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ARCHIVISTICA

È una delle scienze del documento; una delle discipline che studia i documenti. Studia come i documenti si
conservano: come nascono, vivono e come vanno a finire.

È divisa in 2 parti: storia degli archivi: come sono stati conservati i vari documenti nelle società, attraverso
la storia.

Archivi sono la memoria che una società sceglie di darci; possiamo conoscere una società del passato
attraverso gli archivi. La società effettua scelte nella trasmissione dei propri documenti (sceglie cosa far
sapere di sé).

Seconda parte: spiegazione su come funzionano gli archivi oggi, in Italia. Comporta più nozioni tecniche.

Dietro la storia degli archivi, vi è una storia di persone, soddisfano i loro bisogni.

Strumenti di ricerca: impareremo a sfruttarli al massimo.

Gli archivi servono ad esercitare dei diritti: vi è un archivio pubblico in cui lo stato conserva per legge i
documenti che lo attestano.

*Storia delle falsificazione=storia culturale delle fantasia. Le falsificazioni funzionano quando intercettano
desideri da parte del pubblico.

Archivistica è la disciplina degli archivi.

Archivio: documenti-storia. Gli archivi nascono spesso con scopi diversi dalla storia.

L’ Archivio è l’insieme dei documenti che sono prodotti e ricevuti da una persona o da una istituzione
nello svolgimento delle sue attività.

- Prodotti e ricevuti: qualcuno che li possiede. I documenti si dividono in: documenti ricevuti
dall’esterno e quelli che si è prodotto lui stesso.
Ex. Archivio Unibg: documenti che la stessa uni ha prodotto (libretti informatici); documenti che
l’università ha acquisito dall’esterno (ricevute pagamento tasse degli studenti-diplomi superiori).

- Da una persona o da una istituzione: oltre alle istituzioni, ciascuno di noi è titolare di un proprio
archivio (ex insieme di bollette).

- Nello svolgimento delle sue attività: i documenti riguardo l’attività di persone o istituzioni.

Esistono altri due significati di archivio:

- Luogo fisico in cui i documenti vengono conservati.


Ex: archivio di stato di bg
- Istituzione o ente preposto alla loro conservazione (dei documenti).

Documenti = contengono dati e informazioni utili al presente (strumento pratico per l’oggi); servono per la
memoria, per studiare il passato (fonte storica). Non sempre le società hanno conservato documenti per
questi motivi, nel corso della storia cambieranno le sue funzioni.

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Diverse definizioni di documento; la disciplina Diplomatica (studia le forme del documento, come è fatto)
ha dato la definizione più adatta. Definizione molto stretta, ha in mente il documento giuridico. Infatti
secondo la Diplomatica:

Il documento è la narrazione scritta di un’azione giuridica compilata secondo determinate forme che
servono a darle valore di prova.

Secondo determinate forme: i documenti hanno valore di prova se sono compilate secondo determinate
forme, testuali (ex patenti: i dati) o fisiche (patenti hanno caratteristiche di formato uguali per tutti).

Ex. Lo scontrino: narrazione di un’azione giuridica (ex pagamento ad un ristorante, cosa abbiamo
consumato , data e l’ora) secondo determinate forme (partita iva dell’azienda, telefono, indicazione di
macchina fiscale).

*Le leggi che regolano gli archivi mantengono immutata la funzione dei documenti come prova.*

Per l’Archivistica, un Documento è l’unità di base che forma l’archivio, qualunque sia la sua natura
(cartacei, informatici, audio-visivi).

BIPARTIZIONI:

Documenti cartacei-documenti digitali: cambia solo il supporto materiale, le regole generali dell’archivistica
sono ugualmente applicate.

Documenti aperti-documenti chiusi.

- Documenti chiusi: compilati una volta per tutte in un’unica soluzione, al termine della quale non si
dovrebbero più aggiungere parti/informazioni.
Ex. Atti scritti dal notaio nel medioevo: è presente sottoscrizione del notaio medievale (la
completio) con cui egli completa il documento, nessuno può più aggiungere parti.

- Documenti aperti: possono essere compilati progressivamente.


Ex. Registro medievale che contiene un catasto, aggiornato molte volte; registri scolastici.

STORIA DEGLI ARCHIVI

I primi trattati sono del 400-500. L’ archivistica nasce come disciplina nel 900.

Storia di una serie di tecniche relative alla tenuta degli archivi sviluppati empiricamente, sulla base
dell’esperienza.

Per i primi secoli del medioevo: questione di dispersione archivistica. Tali documenti sono molto rari.

A San Gallo: museo dei documenti dell’abbazia. Ha migliaia di documenti medievali. La mostra si chiama “Il
miracolo della tradizione”. “Sopravvivente miracolosa” della loro documentazione antica.

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La maggior parte dei Documenti passati non li possiamo vedere perché qualcuno ha eseguito delle scelte
rispetto alla loro conservazione: alcuni considerati più importanti, altri no.

Gli archivi vengono molto frequentemente riordinati: difficile capire come fossero tenuti i documenti vari
secoli fa.

Due fonti per capire come i documenti erano tenuti negli archivi del passato:

1. Pergamena dell’abbazia di san gallo: sul retro vi sono dei segnetti (pergamene piegate più volte su
se stesse che formano striscioline; era quindi visibile una sola strisciolina con dei piccoli testi (dette
scritture-segnature tergali): contengono informazioni sul documento (persona e luogo del
documento, collocazione in cui il documento deve stare).
2. Gli inventari d’archivio: si diffondono dal basso medioevo. Un inventario è un registro che contiene
un elenco totale o parziale dei documenti che si trovano nell’archivio (contengono anche info
fisiche e topografiche relative a dove i documenti stanno).

EVOLUZIONE STORICA DEGLI ARCHIVI, DELLA CONSERVAZIONE DEI DOCUMENTI

In età romana classica, i documenti ufficiali erano spesso scritti su tavolette cerate.

A Pompei ed Ercolano sono state trovate tavolette di Cecilio Giocondo (banchiere), che stipulava con i
clienti dei contratti che venivano redatti in queste tavolette cerate, che formavano un quadernino.

A Roma, usavano lettere scritte su papiro.

I documenti assumevano valore di prova, in antica Roma, attraverso gli archivi. La credibilità dei documenti
(la cosiddetta fides) veniva data da dove il documento era conservato; un documento è ritenuto attendibile
se un esemplare del documento fosse insinuato (insinuatio=documenti messi dentro gli archivi del
rispettivo municipio).

A Roma quindi si avevano diversi Centri di conservazione dei documenti: garantivano ai documenti,
contenuti all’interno del centro, una piena validità come prova. Con la caduta dell’impero romano, termina
anche la insinuatio-insinuazione; termina anche il sistema scolastico che aveva garantito la presenza di una
forte alfabetizzazione.

Nell’alto medioevo: polarizzazione di leggere e scrivere, conservare documenti. Lettura e scrittura


dipendono dai religiosi: i soli enti religiosi (monasteri, chiese), fino all’11 sec, conservano gli archivi. Le fonti
si sono conservate poiché presenti nell’archivio di un ente religioso, fino all’11 sec; questo determina la
selezione dei documenti, poiché inerenti la religione. -fino 11sec egemonia ecclesiastica-

Archivi di un ente religioso dell’Alto medioevo: si trovano in locali che presentano meno rischi per la
conservazione della documentazione (ex. Torri campanarie). In essi troviamo molti documenti su
pergamena sciolta -pergamene che contengono ciascuna un singolo documento, scritti solitamente da un
notaio, riguardano operazioni economica dell’ente – troviamo negli archivi anche Diplomi-atti, di sovrani
laici o papi, con cui i sovrani fanno delle concessioni all’ente religioso; troviamo anche primi esempi di
documenti contabili (elenchi di beni della chiesa o monastero, scritti dai monaci stessi: detti polittici).

Chiese e monasteri riflettono sull’ordine che devono dare a queste pergamene. Il modo migliore per
conservarle in maniera ottimale è quello di far copiare alcuni dei documenti all’interno di libri. Iniziarono
quindi a compilare registri e codici con delle copie di una parte della loro documentazione: tali registri sono
detti cartulari. Sono una fonte importante per lo studio delle chiese medievali.

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Controindicazione dei cartulari: le chiese, dopo che gli atti sono stati copiati, si interessano di meno alla
conservazione del documento originale; di conseguenza l’archivio può andare perso. (San Gallo non aveva
effettuato cartulari, quindi maggior conservazione dell’archivio originale).

I documenti copiati erano quelli più importanti: quelli che fondavano le prerogative di quella chiesa (ex.
diplomi di papi) e quelli che attestavano possedimenti e diritti importanti all’epoca.

I cartulari devono servire per amministrare i patrimoni e le signorie di quelle chiese: sono strumenti
amministrativi, scritti in maniera utile all’esercizio dell’amministrazione. I documenti quindi vengono copiati
secondo un ordine preciso: quasi mai un ordine cronologico. Ad esempio erano organizzati per località.

Dovevano anche essere facili da consultare. Ciò veniva realizzato in due modi:

1. Si fanno degli indici con oggetto dei vari documenti;


2. Presenza di titoletti che riassumono il contenuto, scritti solitamente in rosso: sono detti rubriche.

Un ritorno ad una forte produzione di documentazione scritta da parte di laici, per l’Italia, si ha con
l’affermazione dei comuni: fra anni finali 11sec e il 12sec. Questo è un periodo di grandi trasformazioni, si
fondano università, scoperta del diritto romano, aumenta l’alfabetismo. Nella seconda metà del 12 sec, i
comuni italiani si scontrano con i Barbarossa, e ne escono con un riconoscimento della loro autonomia; i
comuni ottengono controllo politico sul contado (territorio rurale sottoposto ad influenza della città).

Tutto questo sviluppo dei comuni ha effetti sui loro archivi: nei loro archivi troveremo documenti su
pergamena sciolta, diplomi di imperatori e papi, atti di cittadinatico (contratti nei quali i signori della
campagne si sottomettono al comune e diventano suoi cittadini), documenti relativi a proprietà e diritti del
comune. Documenti quindi simili a quelli ecclesiastici, della chiesa.

Inizieranno anche i comuni a copiare i documenti più importanti all’interno di libri, uguali ai cartulari,
prodotti dai comuni e non dalle chiese: detti libri iurium (libri dei diritti-attestano diritti del comune). Questi
primi libri comunali saranno scritti tutti da notai, che saranno protagonistici tecnici della documentazione
comunale. I libri sono organizzati come i cartulari.

Questa situazione è destinata a trasformarsi, arrivando nel 200, con la nascita di nuovi tipi di documenti e
con la trasformazione della struttura degli archivi, che ha degli effetti anche sull’oggi.

*il fatto che esista un comune non implica che esista un archivio del comune, molti comuni infatti non
avevano nemmeno una loro sede. Le avranno dalla seconda metà del 12 sec. *

Con libri iurium, i comuni rimangono attenti anche a conservare la documentazione originale, mentre le
chiese sono molto meno attente.

Costante nei comuni: affidamento continuo, fin dalla nascita dei comuni, della produzione documentaria
comunale ai notai.

Frattura nei comuni: intorno all’anno 1200, vi è una trasformazione della documentazione: sono prodotti
moltissimi documenti in più; i comuni iniziano a sfruttare in modo intensivo la documentazione come
strumento per svolgere tutte le attività di tipo amministrativo che sono di loro competenza. Incominciano a
produrre numerose serie di documenti che riguardano attività di tipo amministrativo. Questi documenti
hanno una forma diversa rispetto a quelli del passato: si tratta di fonti su libro scritte sulla carta e su
registro.

Questa trasformazione può definirsi rivoluzione documentaria: riguarda il piano quantitativo e il piano delle
tipologie. Ex. Diversificazione sul pianto dei tipi, fra tanti tipi di registri, che contengono ciascuno

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informazioni legate al funzionamento di un ufficio-tribunale, che corrispondono ad una singola attività:
avremo quindi diverse serie di registri. Lo stesso vale per la documentazione finanziaria.

Non essendoci un unico registro, quindi si dovranno consultare più registri e confrontarli li uni con gli altri:
la conseguenza è che essi hanno un rapporto fra loro e hanno dei richiami reciproci, intertestuali. Questo è
importante per noi perché prima vi era archivio che conteneva atti notarili chiusi in se stessi, fino ad
arrivare ad un sistema di documenti. Negli archivi dei comuni ci sono tantissimi tipi di registri che
riguardano varie parti delle stesse attività amministrative, che funzionano solo se sono in rapporto con altri.
Questo impone una grande trasformazione degli archivi: serve che ci sia del persone che sia in grado di
orientare nella consultazione di quei documenti.

Esempio. Registro degli estimi (catasti): è la base per il prelievo delle tasse nei comuni dal 200 in poi. Per
decidere quanto prelevare dai singoli contribuenti, il comune fa stimare il valore delle loro proprietà. Si
producono grossi registri di carta in cui si elencano i possedimenti dei vari contribuenti con il rispettivo
ammontare dei valori. Riguarda una parte limitata della procedure di finanza.
Successivamente si prende poi il registro degli estimi e si fa un calcolo. Il comune ha bisogno di un tot di
soldi e si fa la proporzione fra le ricchezze di tutti quanti. Si calcola quanti soldi ogni proprietario deve dare
al comune e si scrivono in un registro: libro delle somme d’estimo.
Quando consegnano il denaro: registro che contiene i rendiconti degli esattori, Libri delle rationes.
Ovviamente ci saranno gli evasori fiscali (un terzo dei contribuenti totali, solitamente); si compilano allora
dei registri con i nomi degli evasori e le somme che devono. Coloro che rimangono recidivi vengono scritti
in un altro registro: Libro dei mali debitores.
Tali registri quindi sono collegati fra di loro.

Sempre nel 1200 trasformazione istituzionale: i comuni non più governati da consoli, ma da podestà. Per
documentazione cambia che il podestà proviene da fuori e governa di 6 mesi in 6 mesi dei comuni diversi e
si porta dietro un’equipe composta da notai, giudici che producono documentazione. Tutti i comuni così si
dotano di strutture documentarie simili.
All’interno del regime podestarile, si afferma verso la metà del 200, il potere delle società di popolo. Sono
una forza politica che ha come primo obiettivo una distribuzione più vasta dell’imposizione fiscale e sono
loro che spingono perché questi strumenti documentari si diffondano per favorire un più sicuro controllo
delle finanze da parte del comune.

La documentazione cambia tantissimo, cambiano anche gli archivi.


Esempio di 3 comuni, molto diversi.

Montpellier: Francia del sud. Vi è un governo di tipo comunale che riesco fino al 300 a governare in maniera
autonoma. Ha molta documentazione e negli anni 50 del 200, in occasione di trattati politici che
consolidano l’autonomia del comune, decide di organizzarla meglio. Il comune quindi seleziona i documenti
più antichi, fondanti delle prerogative del comune e li portano in un monastero, chiesa cittadina; qui i
religiosi li mettono in un grande mobile all’interno della chiesa.
Questo perché volevano sacralizzare tale documentazione, vogliono farne un monumento; un altro motivo
è che progressivamente si stanno distinguendo 2 tipi di archivio:
1. Archivio tesaurus: gruppo di documenti importanti che sono conclusi in se stessi e testimoniano le
prerogative del comune; sono i documenti fondativi.
2. Archivio sedimento: è l’archivio amministrativo, in cui andranno a confluire tutti i documenti che
hanno a che vedere con l’amministrazione corrente dell’istituzione. Sono documenti correnti che si
sedimentano nell’archivio gli uni sugli altri.

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I documenti dono conservati con un ordinamento tematico, in vari cassettini su cui vi è un simbolo che li
contraddistingue. Si producono poi degli inventari, cioè elenchi del contenuto in cui si descrivono i vari
documenti. Tali inventari sono di natura pratica, scritti in volgare, in occitano.
-Caratteristiche archivi del basso medioevo-

Moncalieri: pochi km da Torino, primi anni del 400. In occasione di una trasformazione politica (passaggio
sotto il dominio dei buchi di savoia), decide di aggiornare l’archivio. Il duca di savoia chiede un donativo
importante al comune: situazione di grave difficoltà economica per il comune e cambio di dominazione,
questo porta il comune a riorganizzare i propri documenti. Il comune lancia una grande inchiesta, manda
dei messi comunali a verificare casa per casa se qualcuno avesse documenti riguardanti il comune. Raccolti
tutti i documenti, si fa un grande inventario, con descrizione analitica di tutti di documenti.
Il comune mette i documenti in un convento, all’interno di un armadio; tali armadi contengono
documentazione importante-fondativa del comune, registri amministrativi molto vecchi. -Desiderio di
sacralizzare una parte importante della documentazione.- Troviamo anche documentazione più recente che
serve all’amministrazione corrente del comune. Molti documenti sono rilegati in filze: pile di documenti
infilati in un chiodo.
In questo inventario si disegnano anche le segnature presenti sul tergo delle pergamene e sulle coperte dei
registri.

Capiamo quindi che cosa può spingere un comune a modificare il proprio archivio, attraverso personale
qualificato. Ciò avviene quindi per esigenze politiche o per esigente pratiche per amministrare meglio il
comune.
Quest’ultima esigenza avviene soprattutto a Bologna

Bologna. 1217: documenti custoditi da un massarius (ufficiale del comune che si occupa delle finanze). Egli
ha anche la responsabilità dell’archivio.
c. 1250: vi è bisogno di un personale-ufficio apposito che si occupi della conservazione della
documentazione: camara actorum e notai ad acta (personale che gestisce questi uffici, scelto fra notai, che
scrivono i documenti del comune e li sanno gestire). Questa camera actorum serve a conservare i
documenti e a far si che tutti coloro che hanno bisogno di una copia di un atto amministrativo che li
riguarda possono recarvisi e chiederne una copia, pagando; i notai sanno infatti scrivere copie autenticate.
Queste attività si devono pagare e infatti i notai riescono a guadagnare solo tramite queste copie.
La documentazione continua a crescere e nel 1303 alcuni documenti vengono conservati in altre sedi,
chiese. Tali documenti sono quelli che non servono più, documenti nullius valoris; sono infatti documenti
amministrativi vecchi.
La camara actorum ci ha lasciato documenti importanti che ci fanno capire come lavorano i notai deputati
alla gestione dell’archivio. Essi devono essere in grado di orientare gli individui nella consultazione dei
materiali.
Della camara, sono sopravvissuti dei registri, i Memorialia. In essi i notai segnano le consegne di materiale
documentario. Tali registri indicano il periodo, il luogo della documentazione consegnata da determinate
persone-podestà; si descrivono poi i vari registri. Riportano anche le lettere presenti sulla facciata dei
registri.
Tali Memorialia hanno una duplice funzione di inventario per ritrovare i documenti; funziona giuridico-
amministrativa, chiarimento di chi siano le persone coinvolte in tale processo e a chi spetti nei vari momenti
la responsabilità sulla custodia di questi documenti.

*Anche lo stato attuale conserva documentati che attestano i miei diritti, e ognuno di noi ha diritto di
consultarli, come avveniva a Bologna.*

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Tra la fine del medioevo-inizio età moderna, quando i comuni italiani persero la loro autonomia, il potere è
gestito da signori o città dominanti. Si hanno aspetti di continuità: i comuni produrranno la stessa
documentazione di prima. Novità: nascono archivi dei signori-principi.
Tali archivi non presentano grandi differenze contenutistiche con quelli del comune, presentano infatti parti
amministrativi e parti fondative delle prerogative del signore.
Due trasformazioni in questi archivi:
1. Si individua meglio la divisione fra archivio tesaurus (documenti chiusi) e archivio sedimento
(documenti aperti).
“Tesaurus” deriva da “tresor des chartes”, cioè tesoro delle carte; nasce in Francia per definire
questo nucleo di documenti che si sta fondando intorno ai sovrani francesi.
Molti principi italiani useranno il termine “tesoro” per designare questo tipo di documentazione. In
alti casi si parlerà di archivi segreti (deriva dal latino secretum: separato-staccato. Composto quindi
da documenti selezionati).
2. Un’altra trasformazione riguarda la pluralità degli archivi: a partire dal 400 vi è una polarizzazione
della documentazione principesca intorno a una o più grandi sedi.
Questo lo vediamo presso la signoria dei Savoia; all’inizio del 400 i Savoia diventano più potenti e vi
è anche l’accentramento dello stato. Il duca di Savoia fa così convergere della documentazione
verso il proprio archivio tesaurus, presso Chameries.
La documentazione sedimento diventerà ad appannaggio del principale istituto finanziario, cioè la
Camera dei conti, che produce queste documentazione e ne incamera dell’altra.
Si hanno quindi due nuclei di accrescimento più importanti di sedi locali di conservazione
archivistica.
3. Questo processo di accorpamento della documentazione, che continua a crescere in età moderna,
fa si che si avvii una produzione molto frequente di inventari. Negli archivi principeschi, i documenti
vengono messi in ordine ed inventariati. L’inventariazione è una garanzia della fruibilità del
contenuto degli archivi signorili.
Dietro la redazione di un inventario, vi è un grande lavoro: vi è un’organizzazione volta a fare di
questi inventari degli strumenti potenti per il rinvenimento veloce delle info necessarie per il
governo del ducato (ex. Archivio sabaudo: organizzato topograficamente o sulla base
dell’interlocutore, rapporti duca di savoia e un certo potere, ad esempio con il papa. Nel caso della
foto riguarda la dinastia angioina: identificazione oggetto del documento sulla sx, sulla dx numeri
romani che servono ad indentificare le segnature che si trovano sul retro delle singole pergamene).
Gli inventari garantiscono il Dominio intellettuale dell’archivio: sapere dove stanno i documenti,
come sono legati fra loro e a cosa si riferiscono

*Il popolo è una componente sociale del comune, è un ceto di persone che stanno accumulando ricchezze
ma che non appartengono all’aristocrazia militare del comune. Il suo programma politico è di distribuire
meglio gli oneri fiscali del comune e i benefici-proventi. È una politica di più equa distribuzione dei carichi
fiscali, introduzione tassazione diretta proporzionata alle ricchezze. In molti comuni quindi si introducono i
regimi degli estimi.
I regimi di popolo sono quelli che meglio sanno usare la scrittura come strumento di governo: si scrivono
molte liste -governo delle liste- ex. Liste di banditi, evasori fiscali, ecc..

Questo processo circa i documenti non muta in età moderna: crescita documentazione e della
concentrazione della costruzione degli istituti archivistici. Le tecniche si formano in maniera empirica.

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Nel 600, secoli iniziali dell’età moderna, sono secoli in cui gli archivi diventano dei veri e propri arsenali: i
conflitti tra stati si combattono con le armi o con i documenti. Si parla di bella diplomatica. I vari stati
europei legittimano le loro pretese attraverso i documenti antichi, affermando i propri diritti.
Da ciò derivano importanti falsificazioni. Verso il 1680 si istituisce la disciplina che si occupa dello studio
della forma dei documenti, la Diplomatica; nasce con lo scopo di accertare scientificamente la falsità o la
veridicità dei documenti. gli archivi diventano quindi importantissimi; perdere un archivio è una perdita
terribile.
Nascono in questo secolo anche una serie di trattati scritti da persone che hanno condotto un’attività di
riordino degli archivi, che danno regole generali: Baldassarre Bonifacio nel 1632 scrive un trattato in cui
spiega le modalità di riordino degli archivi secondo un ordine topografico o cronologico o per argomenti;
Niccolò Giussani spiega come organizzare gli archivi con ordine geografico o per tipo di documento.
Tutti questi trattati danno anche nozioni di archiveconomia: come deve essere organizzato l’archivio come
spazio fisico (ex riguarda faldoni, mobili, architetture dell’archivio..).

Secoli 700-800 (18-19sec)


Si affrontano due concezioni diverse dell’ordinamento dei documenti dentro l’archivio:
1. Il principio di provenienza
2. Ordinamento per materie
Da questo scontro il vincitore segna tutt’ora il nostro approccio nei confronti degli archivi

Il 700 è importanti perche il processo di accentramento archivistico, verso singoli grandi archivi, arriva ad
un punto di arrivo: si creano grandi sedi archiviste una per ciascuno stato italiano che fungono da grandi
archivi governativi, contenenti documentazione utile allo stato. A Torino-regno di Sardegna, dominio dei
Savoia, negli anni 30 del 700 fu costruito un enorme edificio come archivio; a Milano nel 1781 nascono i
Grandi archivi governativi di Milano. Si hanno quindi grandi sedi centrali in cui confluisce una serie di
documenti; proprio nel 700 perché in questo periodo vi è una razionalizzazione della struttura degli uffici: ci
sono grandi riforme sul piano istituzionale (siamo nell’illuminismo) e lo stato deve acquisire la sua
documentazione, che va a confluire in questi grandi centri.

L’arrivo di molta documentazione presso un unico archivio centrale poneva dei problemi: si incomincia ad
intravedere che tutti i documenti antichi sono ancora importanti per difendere oggi, ma un gruppo di
documenti antichi è scritta nel medioevo su pergamena e sta nascendo una sensibilità per il suo studio
storico. Sensibilità che prima non c’era o era molto limitata.
Dalla metà del 700, alcuni sovrani decidono di estrapolare i documenti più antichi, scritti su pergamena in
età medievale, e di farne delle sezioni apposite, dove saranno custoditi come titoli giuridici utili, ma anche
come oggetto di studio storico. Questi fondi creati si chiamano fondi diplomatici.
Il primo diplomatico nato è quello degli archivi governativi di Firenze, nel 1778; a Milano nasce nel 1803 in
età napoleonica; nel 1811 in età napoleonica a Napoli (qui nascerà la Commissione generale degli archivi,
che individuerà questo fondo diplomatico da conservare anche per la sua importanza storica, che
introdurrà il concetto della pubblicità degli archivi).

Questa grande concentrazione archivistica ha però un lato oscuro.


Infatti negli archivi centrali italiani del 700, affluiscono tonnellate di documenti amministrativi, di scartoffie:
a partire dal 500 questi tendono ad avere la forma del foglio volante, che riguardano aspetti minuti della
pubblica amministrazione.
Negli archivi del 700, essi sono vecchi e poco importanti; la soluzione per gestire questa mole di
documentazione è quella di farla sparire distruggendola. Infatti il 700-800 sono i secoli dominati nei grandi

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archivi dagli “spurghi”: cioè prendere tonnellate di documentazione amministrativa e farla sparire.
(operazione oggi non più accettabile).
In alcuni posti, come archivi di Siena, questa massa documentaria sarà in grandissima parte strappata via:
ciò crea perdite a livello storico, che orienteranno le decisioni in materia di archivi dei secoli successivi.

La documentazione negli archivi governativi, del 700 (fine 700 e inizio 800), viene ordinata in maniera
precisa, effettuando l’ordinamento per materie. Estrapolando quindi da questi documenti dell’archivio i
singoli documenti che hanno a che vedere con singole materie; raggruppare quindi i documenti a seconda
dell’oggetto-argomento contenuto.
L’ordinamento per materia spezza l’ordine originario dei documenti.
Questo ordinamento per materie prevale per diversi motivi:
1. Motivo culturale: siamo in pieno illuminismo, caratterizzato da uno spirito enciclopedico e da una
mentalità classificatoria (raggruppare secondo una classificazione per categorie).
2. Decisione di politica amministrativa da parte degli stati: gli archivi dovevano avere un’utilità
amministrativa, sono contenitori di documenti di amministrazione per far funzionare lo stato.
Per un ricercatore-storico è importante consultare un documento, ma sapere anche come tale
documento si sia formato, da quale ufficio è arrivato, confrontarlo con altri documenti, ecc…
L’ordinamento per materie aiuta le pubbliche amministrazioni nel ritrovamento dei documenti che
servono per il disbrigo degli affari.
3. Si sta trasformando l’insieme di prassi legate alla formazione dei documenti: la formazione dei
documenti è diversa. Durante il medioevo e la prima età moderna, i documenti erano immessi in
archivio raggruppati per tipologia: si formavano grandi pile con documenti dello stesso tipo, non
dello stesso contenuto (ex pila di decreti).
Nel 700 incomincia a diffondersi un modo di formare la documentazione, che sarà quello che
abbiamo ancora oggi. Oggi infatti, Negli archivi della pubblica amministrazione, i documenti non si
sedimentano più per tipi di documenti, ma si sedimentano per pratiche: i vari uffici amministrativi
mettono nell’archivio i documenti già organizzati per pratiche-affari, che riguardano una stessa
materia.
Ex. Fascicolo con documenti di diverso tipo che si collegano ad una singola pratica.
La cosa più banale da fare è dividere quindi l’archivio per materie. Questa situazione nasce a partire
dalla fine del 700 e dall’età napoleonica.
Esempio più importante di ordinamento per materie: Milano.
Nel periodo asburgico e napoleonico, negli archivi governativi di Milano, che raccolgono
documentazione di governo, si era formato un’enorme massa di documenti che provenivano da
oltre 100 uffici. Questa massa di documenti viene emessa in ordine per materie: Luca Peroni è a
capo di questo ordinamento, infatti si parla di Ordinamento Peroniano per indicare l’ordinamento
archivistico per materie. Egli farà una descrizione di quello che si trova nell’archivio descrivendo le
varie materie organizzate in ordine alfabetico (ex categoria acque, contiene sottocategorie che
riguardano navigazione, alluvioni,…).
*Uno storico che fa ricerche in archivio, deve studiare il contesto della documentazione; con Peroni
questo diventa molto difficile. Si è persa infatti l’unità dei fondi ed è impossibile risalire alle
circostanze della produzione della documentazione.
Questo ordinamento ha una grossa diffusione, non totale però; ad esempio nei grandi archivi di
corte di Torino ci sarà divisione per materie ma un po’ diversa, le materie corrisponderanno infatti a
delle precise funzioni di governo (ex materie ecclesiastiche, giuridiche, …); questo fa sì che le
materie corrispondano comunque a degli ufficiali che avevano quelle competenze.
Ci sono pero alcuni Archivi governativi in cui ci si oppone a questo ordinamento, portando avanti
l’ordinamento secondo il principio di provenienza. I documenti sono conservati tutti insieme

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quando provengono da uno stesso ufficio, non si perde quindi il legame fra documenti e l’ufficio da
cui provengono. Ad esempio questo avviene negli archivi della repubblica di Genova, nel 700;
anche a Lucca, in età napoleonica, i documenti vengono lasciati riferiti a ciascun ufficio che l’ha
prodotta; anche a Napoli, in età napoleonica; negli anni 20 dell’800 negli archivi del granducato di
toscana (di Firenze), con decine e decine di fonti di diversi uffici che si decideranno di lasciare cosi.

La teorizzazione di questo tipo di ordinamento che rispetta la provenienza originaria, verso la metà
dell’800, è avvenuta proprio in Toscana; sta nascendo una concezione dell’ordinamento archivistico che è
tuttora la nostra.
L’archivista fiorentino Francesco Bonaini si fa portavoce di questa teorizzazione; muore nel 1874 e ha il
tempo di influenzare l’atteggiamento che avrà il neonato stato italiano nei confronti dei suoi fondi
archivistici. Teorizza il principio di provenienza, battezzandolo come Metodo Storico. Egli scrive nel 1869,
anni in cui in Italia vi è il problema di gestione degli archivi, che la base per l’ordinamento della
documentazione archivistica è una estesa cognizione della storia: vi è un solo modo di organizzare i
documenti, cioè studiare come l’ufficio di provenienza, che ha prodotto ogni gruppo di documenti, teneva
in ordine i propri documenti, e riportarli quindi a quell’ordine; bisognava rimettere quindi ogni documenti
in relazione con l’ufficio di provenienza, ma ridare anche ai singoli gruppi di documenti, prodotti da singoli
uffici, l’ordine originario che avevano negli uffici di provenienza.

Bonaini ha due massime:


1. Bonaini dice che uno studioso, entrando in archivi, deve cercare non le materie ma le istituzioni;
questo è l’opposto dello scopo dell’ordinamento per materie.
Il metodo storico è concepito per lo studioso, a cui interessa poter vedere tutti insieme i documenti
storicamente prodotti all’interno di uno stesso ufficio-situazione storica (siamo nella metà 800).
2. L’ordinamento di un archivio costituisce il diritto pubblico di uno stato applicato ai documenti.
siamo negli anni 60-70 dell’800, vi è la filosofia del positivismo: dottrina che è animata da grande
fiducia nella scienza, nella possibilità di ricondurre tutto il reale a dei dati che possono essere
studiati scientificamente e che porteranno a conoscere con esattezza la realtà.
Secondo Bonaini dunque, nel momento in cui conosco il diritto pubblico, cioè se di un ufficio
conosco i regolamento, le leggi e le norme che lo determinavano, allora io sono in grado di
ricostruire come per forza doveva essere fatto il suo archivio. L’archivio infatti doveva seguire la
regolamentazione che stava alla base dell’ufficio.
Questa considerazione verrà presto messa in discussione.

Il limite del pensiero di Bonaini è corretto da un successivo importante personaggio, della storia archivistica
toscana, Salvatore Bongi. Egli muore nel 1899 e lavora nei decenni finali dell’800; fa salva l’idea del
principio di provenienza, ma capovolge l’idea che Bonaini esprime su come arrivare a questo ordine, cioè
Bongi sostiene di non guardare più le norme che regolano l’ente per vedere come fatto l’archivio, bensì cioè
che resta dell’ente sono proprio i documenti. quindi secondo Bongi bisogna studiare i documenti stessi e
arrivare cosi a conoscere come funzionava l’ente.
Bongi applica tali norme in maniera innovativa nella sua attività di archivista.
Egli lavora al riordino e l’inventariazione degli archivi di Lucca: in periodo napoleonico era un principato
autonomo, con grande archivio governativo, acquisendo documenti degli uffici vicini. Negli anni70-80
dell’800, Bongi lo sistema pubblicando quattro grandi inventari a stampa di questo grande archivio. Fino a
quel momento gli inventari d’archivio erano strumenti pratici che contenevano elenchi dettagliati su cosa
contenevano gli archivi; anche con Bongi questa funzione persiste. pero Bongi crea un inventario che
rispetta l'ordine che è stato dato dei documenti, ufficio per ufficio. Contengono anche moltissimo testo,
questa è una novità per l’epoca: il testo per ogni ufficio produttore di documenti, presenta una descrizione

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storica dell’ufficio stessa e della sua documentazione, che dai documenti è stata desunta. Questo si ripete
per ogni tipologia di documenti che i singoli uffici hanno prodotto. Produzione storico-documentaria, detta
cappello. Le varie sezioni relative alle serie prodotte da un ufficio sono dette “cappello introduttivo”.
Nella descrizione dell’archivio diventa importante offrire una conoscenza precisa dell’ente che ha prodotto i
documenti, come chiave di comprensione dei documenti stessi.

Bonaini e Bongi sono gli esponenti principali del metodo storico, che si affermerà sul piano legislativo nella
prima legislazione archivistica dell’Italia unita.
Il periodo successivo all’unità:
1. Dal 1870 incomincia ad esserci questa legislazione archivistica
2. Proseguimento del dibattito sull’ordinamento degli archivi, da parte degli archivisti. Tra fine 800-
inizio 900, l’archivistica diventa una vera disciplina archivistica, riflessione teorica.

1908: viene tradotto in italiano il primo manuale di archivistica, scritto in olanda e conosciuto come
manuale degli archivisti olandesi
1909: nasce la prima rivista archivistica italiana, l’annuario dell’archivio di stato di Milano.
1910: si tiene a Bruxelles il primo congresso internazionale degli archivisti; per l’Italia il rappresentante è
Eugenio Casanova che è uno dei fondatori dell’archivistica in Italia come disciplina archivistica.
È sovraintendente degli archivi di Roma e fonderà la prima rivista di archivistica nazionale, nel 1919, detta
Gli archivi italiani. Fonda associazione nazionale degli archivisti italiani, e la prima cattedra universitaria di
archivistica nel 1925, nel 1928 scriverà il primo manuale di archivistica.

Nel periodo fascista, grande riflessione teorica degli archivisti italiani. Giorgio Cencetti è una delle
personalità più importanti del 900, anni 30 del 900.
Cencetti è l’ideatore della teoria che porta alle estreme conseguenze le teorie del metodo storico, in
particolare quelle di Bonaini. Cencetti sostiene la teoria del rispecchiamento: l’archivio è un
rispecchiamento esatto della istituzione che lo ha prodotto e delle norme che regolano quell’istituzione.

Nel 1937 scrive un breve articolo che s’intitola L’archivio come universitas rerum.
“Universitas rerum”: totalità coerente di cose-oggetti. Considerazione che arriva dalla giuria, nel 1929 vi era
sentenza del tribunale civile di Napoli in una causa fra eredi di una famiglia nobile, che volevano acquisire
delle parti dell’archivio.
L’archivio non è una biblioteca: una biblioteca si può formare come pare a noi, i libri possono arrivare in
tante maniere indipendenti e i libri sono tutti autonomi, senza un legame fra di loro; nell’archivio è tutto
diverso. Tutti i documenti dell’archivio sono legati fra loro, questo legame deriva dal fatto che questi
documenti sono stati prodotti o acquisiti da uno stesso soggetto. Dietro tutti i documenti di un solo archivi,
vi è una volontà amministrativa, politica, unitaria che p quella del soggetto produttore dell’archivio.
Cencetti non parla semplicemente di un legame fra i documenti, parla di qualcosa di più forte: di un vincolo
archivistico. Esiste un vincolo che sin dal momento della produzione o acquisizione di un singolo
documento, lo lega a tutti gli altri. Dice anche che questo vincolo è necessario. Significa che data una certa
modalità di funzionamento dell’ente che ha prodotto l’archivio. I documenti potranno disporsi in una e una
sola maniera. Se il soggetto produttore funziona in un certo modo, il vincolo archivistico tra i suoi
documenti potrà disegnare uno e un solo tipo di ordine. Ecco perché l’archivio di un istituto rispecchia
l’istituto stesso, il suo modo di produrre e ordinare le carte e quindi stabilire rapporti fra esse.

Questo riprende molto l’idea di Bonaini: cioè il fatto di osservare le norme degli enti per capire i documenti
stessi.

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Cencetti rende questo concetto assoluto, esiste solo un tipo di ordinamento, quello imposto dalla
necessaria ordinatezza del vincolo archivistico.
Le carte si ordinano da sé: le carte si ordinano in una certa maniera, dato l’ordinamento di un ufficio. Il vero
inventario è una descrizione dettagliata di come funziona l’ufficio, poiché da questo dipende l’ordine che le
carte d’ufficio devono avere. Questa posizione di Cencetti condiziona il modo con cui tuttora percepiamo
noi l’archivio, ma lascia a desiderare il determinismo con cui Cencetti afferma che l’archivio rispecchia
l’istituto.
Nel secondo dopoguerra, questa parte viene messa in discussione con una riflessione che chiama in causa
una visione più complessa degli archivi. Visione espressa da Claudio Pavone.
Articolo in polemica con la teoria del rispecchiamento, 1970.
L’archivio è molto di più dell’insieme delle regole che ha l’istituzione produttrice: ci sono tanti fattori oltre
al dato normativo dell’ufficio che determinano la maniera in cui quell’ufficio ordinerà le proprie carte. Ci
sono ad esempio le prassi concrete, i rapporti che l’ufficio ha con il suo contesto sociale e storico, l’insieme
dei rapporti tra l’ufficio e gli utenti dell’ufficio,…
Quindi Pavone dice che quello che l’archivio rispecchia è il modo con cui l’istituto organizza la propria
memoria e cioè la propria capacità di auto documentarsi in rapporto alle proprie finalità pratiche.
L’archivio di un istituto rispecchia quindi soltanto la storia di quell’istituto e la memoria che quell’istituto si
vuole dare.
Questi sono anni in cui si riflette sul tema dello scarto, di come organizzarsi di quando si deve buttare unna
parte della documentazione. Quando è lecito distruggere i documenti?
Il concetto di archivio di memoria sarà fondamentale in questa discussione.

II parte
IL FUNZIONAMENTO DEGLI ARCHIVI

Legislazione archivistica italiana -primi elementi-


I bisogni degli archivi sono molteplici:
Amministrativo: gli archivi servono alle pubbliche amministrazioni
Giuridico: servono per contenere documenti con valore giuridico, che attestano i diritti
Scientifico-storico: gli ultimi che si affermano

Gli anni successivi all’unità


Ci sono due problemi che lo stato italiano deve risolvere:
1. l’Italia fino al giorno prima era composta da tantissimi stati, dotati di un propri archivio centrale.
Ma la concentrazione presso questi archivi non è totale. Ci sono anche altri archivi che continuano
a produrre documentazione.

2. l’amministrazione degli archivi dei singoli stati era sottoposta a ministeri diversi: ministero
dell’istruzione, dell’interno, delle finanze. Si tratta di stabilire a chi debbano fare capo gli archivi a
livello nazionale nell’Italia unita.

Si ha una logica di superamento delle varie specificità regionali e si avvia subito una discussione
parlamentare sul tema, che si impantana subito e dopo 10 anni di litigi, nel 1870 si decide di delegare tali
decisioni a una commissione che sarà attiva dal 1870 al 1874. Questa è detta Commissione Cibrario (Luigi
Cibrario era una piemontese), e al termine del suo lavoro (1974-1975) escono tutti i testi che regolano il
sistema normativo italiano degli archivi.

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REGIO DECRETO DEL 1874
Art.1
Tutti gli archivi di stato sono posti nella dipendenza del Ministero dell’interno.

Ministero dell’interno: si privilegiano funzione politica e amministrativa dell’archivio e rimarrà cosi per un
secolo, fino al 1975.

ART.1
È istituito presso il Ministero dell'interno un Consiglio per gli Archivi, composto di un presidente e di otto
Consiglieri nominati per Decreto Reale, su proposta dei Ministri dell'interno e della Istruzione Pubblica,
scelti fra persone estranee al personale degli Archivi: ne è Segretario il Direttore della Divisione
ministeriale incaricata del servizio degli Archivi.

Fra il 74 e il 75, Si hanno una serie di leggi relative agli Archivi dello stato, a quegli archivi che contengono i
documenti degli enti statali. Tutti gli enti statali di carattere nazionale, che possono essere centrali, ad
esempio i ministeri, o periferici, ad esempio i tribunali e le prefetture, o enti statali soppressi, sia dello stato
italiano sia degli stati preunitari.
Non stiamo parlando però degli archivi dei comuni, delle province, delle regioni, che sono enti pubblici non
statali.

Da subito nasce un Consiglio generale degli archivi, un organo consultivo con funzioni di consulenza tecnica
al quale debbano essere chiesti dei pareri.

1875: regio decreto per l’ordinamento generale degli archivi di stato.


Sin da subito vi è l’idea di una costruzione di un archivio centrale del regno: si crea un archivio centrale del
regno, a Roma, e in esso verseranno i propri documenti tutti gli enti centrali dello stato.
Questa idea non avrà mai un’applicazione vera e propria.
Solo in età repubblicana, nel 1953, con l’entrata in funziona dell’Archivio centrale dello stato, si realizzerà
tale idea .

ART.1
Gli atti dei dicasteri centrali del Regno, che più non occorrono ai bisogni ordinari del servizio, sono raccolti in
unico archivio, il quale ha titolo di Archivio del Regno.

Art. 2
Negli stati preunitari esiste già archivi centrali, che sopravvivono e diventano archivi di stato. Essi
serviranno a contenere la documentazione che stava già lì, degli organi statali preunitari, ma anche per
versarci dentro gli atti degli enti statali non centrali dello stato (Art. 3).
Quando si parla di immissioni di documenti, si parla di documentazione che più non occorre ai bisogni
ordinari del servizio.

ART.2
Gli atti dei dicasteri centrali degli Stati che precedettero al Regno d'Italia sono raccolti nell'archivio esistente
nella città che fu capitale degli Stati medesimi.

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ART.3
Gli atti delle magistrature giudiziarie e delle amministrazioni non centrali del Regno che più non occorrono
ai bisogni ordinari del servizio e quelli delle magistrature, amministrazioni, corporazioni cessate, sono
raccolti nell'archivio esistente nel capoluogo della provincia nella quale le magistrature, le amministrazioni,
le corporazioni hanno o avevano sede.

Alcuni articoli regolano alcuni aspetti della vita degli archivi dello stato.
Art 8: sostiene che si debba fare un inventario, controllo su cosa si butta delle documentazione degli archivi
Art. 10: il consiglio debba stabilire le regole, il consiglio controlla il funzionamento interno degli archivi

ART.8
Di tutte le carte costituenti l'archivio viene fatto inventario, da cui risulti il numero dei mazzi o volumi e
quello degli atti contenuti, notando se siano originali o copie. Senza il parere del consiglio per gli archivi,
nessuno scarto può farsi degli atti scritti sull'inventario.

ART.10
II consiglio per gli archivi stabilisce le regole per la compilazione degli inventari, degli indici, dei repertori,
dei regesti, e di ogni altro lavoro generale d'archivio.

Articoli relativi alla Pubblicità degli atti, del diritto di accesso agli atti. ART 11-12-13-14
Gli archivi sono pubblici, tranne alcune eccezioni

Alcuni articoli importanti che regolano “le tre fasi di vita del documento”. ART. 15-17-19-21
Le tre fasi di vita:
1. Fase dell’archivio corrente: fase in cui i documenti sono in uso e si trovano presso i vari uffici-
scaffali dell’ente di cui gli impiegati li stanno in quel momento usando. Sono quelli relativi a
pratiche aperte.
2. Quando la pratica si chiude, non vi è più lavoro quotidiano sul documenti, e il documenti entra nella
fase di deposito. Fase in cui il documento viene trasferito in un ambiente interno all’ente
produttore in cui per qualche anno o decennio rimane lì, nell’eventualità in cui ci sia bisogno di
consultarlo.
3. Dopo un periodo stabilito dalla legge, si arriva alla terza fase, la fase dell’archivio storico. Il
documento viene versato in un archivio storico, in cui rimarrà per sempre e servirà come fonte
storica, ma non solo.
Non tutti i documenti approdano a questa fase: oggi (ma non in questi anni) nella fase di deposito
infatti si applicano gli scarti.
(Per gli archivi degli organi statali)

Il regio decreto del 1875 si pone per la prima volta il decreto di regolare queste fasi (hanno particolarmente
senso per i documenti di pubblica amministrazione).
Bisogna stabilire un periodo durante cui la documentazione relativa a pratiche terminate rimanga presso
l’ente, seconda fase. Servirà stabilire regole certe su come gli enti debbano conservare tali documenti.
stabilire delle regole che dicano quando, come e da parte di chi questi documenti vadano scartati.

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Art. 17
Il passaggio da archivio corrente all’archivio di deposito, deve avvenire nei primi mesi di ogni anno, e li si
conserva in un posto separato. Qui dovranno stare per 10 anni, senza essere toccati.
Dopo 10 anni, che diventano 30 nel caso delle documentazione giudiziaria (Art. 19), la si prende e la si versa
nel competente archivio di stato e solo a quel punto (Art 21) i direttori degli archivi di stato esaminano se
un documento possa essere distrutto. Le proposte sono portate al sovraintendente archivistico che le
trasmette al ministero dell’interno che dà la sua approvazione o negazione
Le responsabilità di stabilire quale parte della documentazione debba essere scartata spetta agli archivi di
stato, ai direttori che fanno delle proposte accettate o respinte dal ministro dell’interno. Lo scarto avvera
quindi negli archivi di stato.
Questa non è una buona idea: vi è un problema pratica, 10 anni sono pochissimi. I termini di permanenza
infatti aumenteranno, sono quadruplicati. Problema logistico: attribuire lo scarto all’archivio di stato che
riceve, quindi invasi da tutta la documentazione prodotta dai vari enti della provincia o regione. Non è una
soluzione praticabile per la mole di documenti.
La documentazione che arriva negli archivi di stato e negli archivi storici, è già solo quella documentazione
sopravvissuta alla fase di scarto. Quindi oggi si effettua nell’archivio di deposito ed è l’ente stesso che se ne
occupa.

ART.15
Gli atti dei tribunali e degli uffici amministrativi, finché rimangono presso i medesimi, devono essere raccolti
in unico locale per ogni magistratura od ufficio, ed affidati alla custodia di un solo impiegato. Nessuno di
questi atti può per alcun motivo venire segregato dagli altri o levato dall'ordine generale della loro
conservazione.

ART. 17
Dagli archivi delle magistrature giudiziali o degli uffici amministrativi sono nei primi mesi di ogni anno levati
gli atti concernenti affari compiuti da oltre dieci anni, e trasportati nell'archivio a cui spettano.

ART. 19
I registri delle sentenze giudiziali rimangono per trenta anni nelle cancellerie delle corti e dei tribunali da cui
esse furono pronunziate.

ART. 21
Avanti di scrivere sull'inventario le carte recentemente depositate, i direttori d'archivio esaminano se alcuna
possa venire distrutta senza danno della storia o dell'amministrazione. Le proposte, col parere del capo
dell'ufficio a cui le carte appartenevano, sono spedite al sovrintendente, che le trasmette col proprio avviso
al ministro dell'interno, perché, udito il consiglio per gli archivi, decida sulle medesime.

- Istituzione delle sovraintendenze archivistiche: esercitano una funzione di vigilanza sugli archivi
stessi (art 22).

ART. 22
Gli archivi delle provincie, dei comuni, dei corpi morali, tutelati dal Governo od esistenti per virtù di legge,
non che quelli delle curie diocesane e delle dignità ecclesiastiche pel tempo in cui esse esercitarono civile
giurisdizione, devono essere custoditi ordinatamente dalla provincia, dal comune, dal corpo morale, dalla
dignità ecclesiastica e sono soggetti alla vigilanza dei sovrintendenti.

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ART. 23
I sovrintendenti vigilano e fanno vigilare dai direttori perché nel territorio della propria giurisdizione,
ponendosi in vendita documenti storici, carte antiche,o0 atti di pubbliche amministrazioni, siano denunziati
gli abusi, rivendicate le carte pubbliche, acquistati per conto del Governo i documenti che interessano la
storia o l'amministrazione.

*Il regio decreto del 75, si preoccupa della formazione degli archivisti: esistono scuole presso cui si formano
gli archivisti che andranno a lavorare nei vari archivi degli enti pubblici. La legge stabilisce quali materie
devono essere preparati per il sostenimento del titolo. Tali materie non hanno a che fare con la dottrina
archivistica, ci sono molte nozioni storiche, la paleografia (capacità di leggere i documenti antichi); la
scienza archivistica, che diventa tale all’inizio del 900, è ancora qualcosa che si affaccia all’interno di
discipline dominate dalla paleografia e dalla diplomatica.
Altre leggi archivistiche:
- 1911: legge importante perchè finalmente sancisce la preparazione di dottrina archivistica presso le
scuole di formazione degli archivisti.

- 1939: anno di un ampio organico tentativo di risistemare il settore degli archivio.


È una legge che incomincia a contenere delle indicazioni che sono ancora alla base del nostro
sistema archivistico attuale, come quella contenuta nell’art. 1 di tale legge.
L’art. 1 precisa il principio della doppia funzione dell’amministrazione archivistica in Italia:
Lo stato provvede quindi alla:
1. Conservazione: eseguita sulla documentazione degli enti statali, attraverso l’archivio centrale
del regno, per i documenti degli enti statali centrali, e attraverso gli archivi di stato per i
documenti degli enti statali periferici. (art. 2)
2. Vigilanza: se lo stato si incarica della conservazione dei documenti degli enti statali, lo stato
invece esercita solo una vigilanza sulla conservazione di altri archivi, che fanno capo a tutta
un’altra serie di enti.
Per gli archivi che appartengono a enti non statali, lo stato esercita una vigilanza, anche su certi
archivi privati. Tutti questi enti provvederanno da soli a conservare i loro documenti, ma lo
stato vigilerà su di essi, attraverso le neo istituite sovrintendenza archivistiche. (art.3)

LEGGE 22 DICEMBRE 1939


NUOVO ORDINAMENTO DEGLI ARCHIVI DEL REGNO.
NELLA GAZZETTA UFFICIALE N.13 DEL GENNAIO

ART. 1
LO STATO, PER MEZZO DEL MINISTERO DELL'INTERNO, PROVVEDE:
1. A CONSERVARE GLI ATTI E LE SCRITTURE Dl PERTINENZA DELLO STATO STESSO, SIA QUELLI
RIGUARDANTI LE SUE AMMINISTRAZIONI, SIA QUELLI DEPOSITATI NEGLI ARCHIVI STATALI IN VIRTÙ
DI ALTRE LEGGI O PERCHÉ ABBIANO IMPORTANZA STORICA E SCIENTIFICA RICONOSCIUTA;
2. A ESERCITARE LA VIGILANZA: 1/A SUGLI ARCHIVI DEGLI ENTI PARASTATALI, DEGLI ENTI AUSILIARI
DELLO STATO E DELLE ISTITUZIONI PUBBLICHE Dl ASSISTENZA E BENEFICENZA; 2/A SUGLI ARCHIVI
DEGLI ISTITUTI Dl CREDITO Dl DIRITTO PUBBLICO E DELLE ASSOCIAZIONI SINDACALI; 3/A SUGLI
ARCHIVI PRIVATI.

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ART. 2
LA CONSERVAZIONE DEGLI ATTI E DELLE SCRITTURE Dl CUI ALLA LETTERA A) DELL'ART. 1 È EFFETTUATA:
A) NELL'ARCHIVIO DEL REGNO; A) NEGLI ARCHIVI Dl STATO; A) NELLE SEZIONI Dl ARCHIVIO Dl STATO.

ART. 3
PER IL SERVIZIO Dl VIGILANZA Dl CUI ALLA LETTERA B) DELL'ART. 1 SONO ISTITUITE LE SOPRINTENDENZE
ARCHIVISTICHE.

La legge del 39 definisce gli istituti della conservazione: il mai avviato archivio centrale del regno, 20 archivi
di stato nei principali capoluoghi italiani, con delle sezioni disperse in una settantina di altre città.

Sul territorio esistono poi 9 sovraintendenti archivistici, ciascuno relativo ad una regione-insieme di
province, che vigileranno sul resto della documentazione e sui restanti enti pubblici non statali.

Questi sono principi ripresi e applicati veramente, quando l’Italia è ormai diventata una repubblica, con la
grande legge archivistica del 1963: penultima grande legge che descrive le prerogative dello stato nella
conservazione e vigilanza del patrimonio documentario.

Decreto del Presidente della Repubblica


30 settembre 1963, n. 1409
Norme relative all'ordinamento ed al personale degli archivi di Stato

Art.1
È compito dell'Amministrazione degli archivi di Stato:
a) conservare: (i) gli archivi degli Stati italiani pre-unitari; (2) i documenti degli organi legislativi,
giudiziari ed amministrativi dello Stato non più occorrenti alle necessità ordinarie del servizio: (3)
tutti gli altri archivi e singoli che lo Stato abbia in proprietà o in deposito per disposizione di legge o
per altro titolo;
b) esercitare la vigilanza: (1) sugli archivi degli enti pubblici; (2) sugli archivi di notevole interesse
storico di cui siano proprietari, possessori o detentori, a qualsiasi titolo, i privati.

*“Archivi di notevole interesse storico”: è un’idea che si forma ora e ha conseguenze importanti

Art.3
Archivi dello stato: insieme di organi che lo stato italiano usa per la conservazione dei documenti degli enti
statali. Essi sono di due tipi: archivio centrale dello stato e gli archivi di stato (per gli organi periferici dello
stato).
Gli archivi di stato oggi sono 100 circa, uno per quasi tutti i capoluoghi di provincia.
Esistono anche fino a 40 sezioni di archivi statali istituiti in comuni che non sono capoluoghi di provincia, ma
che hanno avuto importanti uffici amministrativi. (oggi ne esistono una trentina di questi comuni).
-Sistemazione tutt’ora vigente-

ART. 3
Organi preposti alla conservazione. Gli organi che provvedono alla conservazione degli archivi e dei
documenti di cui alla lettera a) del primo comma dell'art. 1 sono:

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a) l'archivio centrale dello Stato, con sede in Roma;
b) gli archivi di Stato, con sede nei capoluoghi di Provincia. In non più di quaranta Comuni, nei quali
esistano archivi statali rilevanti per qualità e quantità, possono essere istituite sezioni di archivio di
Stato, con decreto del Ministro per l'interno, su conforme parere del Consiglio superiore degli
archivi.

Art.4
Sovrintendenze archivistiche come organi preposti alla vigilanza. Cambia la loro geografia: noi abbiamo un
sovraintendente in ogni capoluogo di regione, o quasi.
A Bg c’è archivio di stato ma non c’è la sovraintendenza.

ART. 4.
Organi preposti alla vigilanza. Gli organi che provvedono alla vigilanza sugli archivi di cui alla lettera b) del
primo comma dell'art. 1 sono le sovrintendenze archivistiche, le sedi e circoscrizioni delle quali sono
stabilite nella tabella A annessa al presente decreto.

Art. 18
Sancisce la demanialità degli archivi, i quali non possono essere venduti.

ART. 18
Condizione giuridica degli archivi e dei documenti dello Stato e degli enti pubblici. Gli archivi che
appartengono allo Stato fanno parte del demanio pubblico. Gli archivi che appartengono alle Regioni,
alle Provincie o ai Comuni sono soggetti al regime del demanio pubblico. I singoli documenti che
appartengono allo Stato, alle Regioni, alle Provincie e ai Comuni e gli archivi e i singoli documenti che
appartengono agli enti pubblici non territoriali sono inalienabili.

Art.23
Versamenti. Nel 1963 i documenti degli organi statali continuano ad essere versati dopo un certo tempo
agli archivi di stato, ma questo limite di tempo (10 anni) viene quadruplicato fino a 40 anni; recentemente è
stato abbassato a 30 anni.
Ciò prevede alcune eccezioni tuttora in vigore: le liste di leva sono versate 70 anni dopo l’anno di nascita
della classe cui si riferiscono, gli archivi notarili (nelle città italiana esistono archivi notarili distrettuali, che
fanno capo al ministero della giustizia e che servono a raccogliere i registri dei notai che operano nei
rispettivi territori) verseranno la loro documentazione nell’archivio di stato dopo 100 anni dalla cessazione
dell’attività del notaio.
Ora sono direttamente gli uffici produttori dei rispettivi archivi che, prima di versare negli archivi di stato i
loro documenti, devono aver scartarlo la documentazione non necessaria (quindi l’operazione di scarto non
è più a carico degli archivi di stato). Questo responsabilizza gli enti produttori della documentazione e
alleggerisce il compito degli archivi di stato.

ART. 23
Versamenti. Gli organi indicati nel n. 2) della lettera a) del primo comma dell'art. 1 [= gli organi legislativi,
giudiziari ed amministrativi dello Stato] versano ai competenti archivi di Stato i documenti relativi agli
affari esauriti da oltre 40 anni. Le liste di leva e di estrazione sono versate 70 anni dopo l'anno di nascita
della classe cui si riferiscono. Gli archivi notarili versano gli atti notarili ricevuti dai notari che cessarono
dall'esercizio professionale anteriormente all'ultimo centennio. Il sovrintendente all'archivio centrale
dello Stato e i direttori degli archivi di Stato possono accettare versamenti di documenti più recenti,
quando vi sia pericolo di dispersione o di danneggiamento. Nessun versamento può essere ricevuto se

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non siano state effettuate le operazioni di scarto (…)

Art.25
Presso i vari uffici statali si istituiscono le commissioni di sorveglianza, composte da un misto di personale
interno dell’ufficio e personale dell’amministrazione archivistica statale, che hanno lo scopo di sorvegliare
sulla gestione della documentazione di quell’ente.

ART.25
Commissioni di sorveglianza. Presso gli uffici centrali, interregionali, regionali, interprovinciali e
provinciali delle Amministrazioni dello Stato, esclusi i Ministeri degli affari esteri e della difesa, e presso
gli uffici giudiziari non inferiori ai tribunali sono istituite Commissioni di sorveglianza sui rispettivi archivi,
composte dal capo dell'ufficio o da un suo delegato, da un impiegato della carriera direttiva del
medesimo ufficio, che disimpegna anche le funzioni di segretario, dal sovraintendente all'archivio
centrale dello Stato o dal direttore dell'archivio di Stato competente per territorio o da impiegati della
carriera direttiva dei propri archivi da essi delegati. È compito delle Commissioni:
a. esercitare la sorveglianza sulla conservazione e l'ordinamento degli archivi e sulla tenuta dei relativi
inventari e degli altri strumenti di consultazione;
b. esercitare le funzioni di Commissioni di scarto;
c. esercitare la sorveglianza sulla applicazione delle norme dettate dalla Commissione per la
fotoriproduzione di cui all'art. 12;
d. curare la preparazione dei versamenti nei competenti archivi di Stato.

Art. 30
Obblighi degli enti. Fra questi vi è un obbligo importante che incide tuttora.
Se gli enti statali hanno l’obbligo di versare i loro documenti negli archivi di stato competenti, dopo i vari
scarti, gli enti pubblici (comuni, regioni, province) che non versano la loro documentazione negli archivi di
stato, devono aspettare che passi un certo termine di anni (40 che diventano 30) e la conservano presso di
se in sezioni separate di archivio storico.
Comune di Bg, ente pubblico, ha il suo archivio corrente, archivio di deposito dove per vari decenni
stazionerà la documentazione di pratiche evase, archivio di deposito con le varie attività di scarto, e la
documentazione destinate alla conservazione permanente arriverà in una sezione

ART. 30
Obblighi degli enti. Gli enti pubblici hanno l'obbligo di:
A. provvedere alla conservazione e all'ordinamento dei propri archivi;
B. non procedere a scarti di documenti senza osservare la procedura stabilita dall'art. 35;
C. istituire separate sezioni di archivio per i documenti relativi ad affari esauriti da Oltre 40 anni,
redigendone l'inventario che deve essere inviato in triplice copia alla sovrintendenza archivistica, la
quale provvede a trasmetterne una all'archivio di Stato competente per territorio e un'altra
all'archivio centrale dello Stato. Prima del passaggio dei documenti alle sezioni separate d'archivio
devono essere effettuate le operazioni di scarto;
D. consentire agli studiosi, che ne facciano richiesta. tramite il competente sovrintendente archivistico,
la consultazione dei documenti conservati nei propri archivi e che siano consultabili ai sensi degli
articoli 21 e 22.

19
Art. 36-37
Dichiarazione di notevole interesse storico.
Tra gli obblighi dei sovraintendenti archivistici vi è l’esercizio di una vigilanza sugli archivi degli organi non
statali
Vi è un Binomio: archivi stato-sovraintendenti che hanno competenze su diversi tipi di documentazione
Sovra: vigilano sulla documentazione degli enti pubblici non statali, ma anche su alcuni archivi privati.
Vi è un’Azione giuridica del sovraintendente: che è la dichiarazione di notevole interesse storico.; interesse
storico legato ad esempio all’antichità dei documenti.
Quando avviene tale situazione, la sovrintendenza emette una dichiarazione di interesse storico, e per la
persona a cui appartiene l’archivio scattano una serie di obblighi.
Tali persone devono conservare i loro archivi di interesse storico, non distruggerne delle parti, non possono
venderli senza aver avuto un’autorizzazione da parte dello stato che avrà il diritto di prelazione (se io voglio
vendere il mio archivio, lo stato ha il diritto di acquistarlo lui a titolo preferenziale, prima che io possa
venderlo a terzi), non possono smembrarli, devono vigilarli, devono permettere la fruizione da parte degli
studiosi di questi archivi.
È un grande onere possedere un archivio privato, per questo molto spesso si ricorre a espedienti come il
deposito: cioè, chi possiede un archivio di interesse storico lo può cedere in deposito allo stato che lo
conserverà in un archivio di stato; dal punto di vista della proprietà l’archivio rimarrà del privato, ma sarà
solo depositato presso lo stato.

*Legge 1963 è una legge chiave che nelle sue grandi linee stabilisce i capisaldi dell’amministrazione
archivistica italiana.

1. 1974: istituito il Ministero per i beni culturali e per l’ambiente (Ministero della cultura).
2. 1975: si stabilisce che tale Ministero abbia competenza sugli archivi, che quindi passano dalla
competenza del ministero dell’interno al ministero della cultura.
3. Legge del 2004: parla dell’amministrazione archivistica in Italia: codice dei beni culturali in Italia. La
gestione degli archivistica sarà regolata insieme alla gestione di tutti gli altri beni culturali.

Chiarimento: Differenza metodo storico Bonaini e Bongi


Tutti e due sono d’accordo sul fatto che la documentazione debba essere ordinata secondo l’ordine che le
aveva dato l’ente produttore dell’archivio; non solo mettere tutti insieme i documenti prodotti da un certo
ente ma organizzarli secondo le varie serie che l’ente aveva dato loro.
20
Bonaini dice che per scoprire tale l’ordine iniziale, devo prendere le fonti di diritto, la normativa che dice
come quell’ente funziona e conserva la sua documentazione (secondo lui il metodo storico è il diritto
pubblico applicato agli archivi); di conseguenza ordino la documentazione secondo tale normativa, perché
l’ente avrà sicuramente seguito tale normativa.
Bongi non è convinto di questo metodo positivistico e propone un procedimento diverso. Partire dalla
documentazione giunta a noi dell’archivio degli enti, per ricostruire la storia dell’ente (procedimento
inverso a Bonaini). -Ricostruire come funzionava l’ente sulla base del suo archivio, come è giunto fino a noi-

*Enti pubblici non statali: comuni, regioni, province


*enti statali: fanno capo direttamente allo stato, come i ministeri (ex ministero dell’interno) e gli enti, che si
trovano in sedi locali ma che fanno capo ai ministeri (ex prefettura).

CODICE DEI BENI CULTURALI E DEL PAESAGGIO


L’archivio è ora legato agli altri beni culturali; l’attuale funzione degli archivi in Italia è disegnata dal testo
legislativo del 2004: il Codice dei beni culturali e del paesaggio.
È una legge che ruota intorno a due concetti cardine: tutela e valorizzazione.
*già in precedenza abbiamo incontrato il binomio:
- Conservazione: conservazione dei documenti dello stato
- Vigilanza: sovraintendenze archivistiche e vigilanza sugli archivi non statali
Ora vi è un altro binomio:
- Tutela: (art. 3) individuazione dei beni culturali della collettività e la loro protezione.
- Valorizzazione: (art 4) promuovere la conoscenza, rendere fruibili tali beni.
Esse spettano però a soggetti diversi.
L’idea di tutela è un concetto vecchio, che esisteva già nei testi legislativi italiani; l’idea di valorizzazione
inizia a farsi strada dopo l’istituzione del ministero dei beni culturali.
Ma perchè questo venga fatto, è necessario capire chi deve esercitare la tutela e chi la valorizzazione.

Art.1
Serve come principio generale ad ancorare questo codice a due articoli della Costituzione:
- art. 9: la repubblica promuove lo sviluppo della cultura, che tutela il paesaggio, il patrimonio
artistico e storico della nazione.
- Art. 117: determina chi detenga nel nostro paese una potestà legislativa; art delicato soprattutto
negli anni in cui esce il codice.
Infatti, agli inizi degli anni 2000, vi è un’importante riforma costituzionale, la Riforma del titolo quinto:
promossa da certe forze politiche italiane che ha ridisegnato la spartizione dei poteri tra lo stato e le
regioni, attribuendo varie competenze che prima erano statali alle regioni; quindi il Codice dei beni cultuali
reagisce a questa situazione di ridefinizione delle competente dei vari soggetti dello stato, mettendo nero
su bianco chi debba tutelare e chi debba valorizzare il patrimonio italiano. Si giunge alla conclusione che
Solo lo stato può legiferare in materia di tutela dei beni culturali, mentre lo stato, insieme con le regioni e
gli altri enti locali, cooperano per la valorizzazione dei beni culturali.

Art.1 Principi
Commi 3-4-5 dell’art 1: si parla di pubblica fruizione, valorizzazione a proposito di stato, regioni,
metropolitane province e comuni.
Gli altri soggetti pubblici, conservazione e fruizione del loro patrimonio culturale

21
Si prevede la responsabilità sulla conservazione del patrimonio culturale anche da parte dei privati
proprietari.
Si cerca quindi di stabilire i ruoli di tutti.

*Questo codice ha alcune contraddizioni, non è perfetto


Fa rientrare l’attività di conservazione del patrimonio culturale nella sfera della tutela, che dovrebbe
spettare allo stato. Ma come vedremo, Non è pero soltanto lo stato che conserva il patrimonio culturale, ci
sono anche enti pubblici non statali, privati.
*Questo codice rimane il pilastro dei nostri archivi, ma ha subito numerose modifiche ed è anche stato nel
corso dello scorso decennio oggetto di una ricezione da parte di molte regioni; molte regioni hanno
recepito il codice all’interno di legislazioni regionali sui beni culturali. Quindi molte regioni hanno un testo
unico regionale aggiungendo un’attenzione per la tutela di specificità regionali, cioè di caratteristiche della
loro storica (archivistiche o storiche).

Tipologia degli istituti archivistici dalla normativa italiana (riguardano l’oggi)


Art.41 e seguenti: descrivono le funzioni dei vari enti di conservazione archivistica ripartendoli per
tipologia, in Italia. Grande descrizione della tipologia, della geografia e della struttura attuale degli archivi in
Italia, di tutti i tipi di archivio.

Archivi che contengono i documenti delle amministrazioni statali. I primi commi dell’art 41 descrivono che
cosa e quando deve essere versato negli archivi dello stato, riprendendo la legge del 1963.
La variazione più significativa a questo testo, è avvenuta nel 2014, il passaggio da 40 a 30 anni di tempo di
conservazione nell’archivio di deposito dei documenti relativi a pratiche esaurite.

Comma 1: dopo 30anni, quando verso la documentazione nell’archivio statale, la accompagno da elenchi
che descrivono quale documentazione sto versando. Riporta anche alcune eccezioni.

Che cosa conservano gli archivi di stato?


- La documentazione degli organi statali pre-unitari
- La documentazione degli enti statali cessati
- La documentazione degli organi statali periferici
- La docu varie ed eventuale di vari fondi documentari che appartengono a famiglie, imprese, che
possono essere lasciati in deposito o acquisiti dagli archivi di stato

Eccezioni: comma 6.
Esistono organi centrali dello stato che non versano la propria documentazione nell’archivio centrale dello
stato, perche hanno dei propri archivi storici. Tali organi sono: i 4 organi costituzionali (camera dei
deputati, senato della repubblica, presidenza della repubblica, corte costituzionale), ministero degli esteri
(la Farnesina), una serie di stati maggiori militari (esercito, marina, aeronautica, carabinieri, ...)

*Esistono archivi storici anche per gli organismi europei; essi dopo un determinato periodo di tempo
versano la loro documentazione in un archivio storico, che si trova in Italia, a Firenze.

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TIPOLOGIA DEGLI ISTITUTI ARCHIVISTICI TOCCATI DALLA NORMATIVA ITALIANA
Archivi dello stato: archivio centrale dello stato, archivi di stato e altri archivi storici dello stato (alcuni
ministeri, stati maggiori, organi costituzionali…)

Per tutti gli organi non statali:


Esistono archivi storici regionali ma sono una nota dolente del nostro ordinamento archivistico, perchè la
legge che disponeva che le amministrazioni regionali versassero la documentazione in un loro archivio
storico, è la legge del 63, ma in quell’anno le regioni non esistevano ancora (esistono dal 1970).
La legge del 63 stabiliva che le regioni dovevano funzionare come qualsiasi ente pubblico non statale, i quali
hanno proprie sezioni di archivio storico; poche regioni sono dotate di un vero archivio storico regionale,
tra cui la Valle d’Aosta, che non è divisa in province.
Diversa è la situazione delle province e dei comuni; già secondo la legge del 63 dovevano avere una loro
sezione separata di archivio storico, non sempre pero davvero funzionante; la gestione dei loro archivi è
sottoposta alla vigilanza delle sovraintendenze archivistiche.

PREMESSA: noi stiamo usando la più recente legge, molto importante in materia di organizzazione del
sistema archivistico italiano, ovvero il codice dei beni culturali del paesaggio dell’anno 2004, come spunto (a
partire da alcuni suoi articoli, 41-42) per descrivere qual è attualmente la geografia e la tipologia degli
istituti di conservazione archivistica del nostro paese.

GLI ARCHIVI DEGLI ENTI PUBBLICI


Gli enti pubblici (che non sono statali) tradizionalmente si dividono in 2 gruppi.

1. Gli enti pubblici territoriali sono enti che hanno una circoscrizione all’interno della quale agiscono,
prevalentemente al di là delle regioni, ovvero si parla di province e comuni.
Sin dalla legge archivistica del 63 si dispone che questi enti non versino la documentazione negli archivi di
stato, in quanto non sono enti statali, ma che abbiano delle proprie sezioni separate di archivio storico e
che quindi tutte e tre le cosiddette “fasi di vita” del documento si svolgano sostanzialmente all’interno
dell’ente, non in maniera del tutto autonoma, ma sempre sotto la vigilanza delle sovraintendenze
archivistiche, le quali servono proprio a quello. Ciò non implica che tutti i comuni o province, conservino
autonomamente presso i propri locali tutta la loro documentazione. Un caso è ad esempio il comune di
Bergamo: la parte antica dell’archivio storico del comune di Bergamo si trova in deposito altrove (nella

23
Biblioteca Civica Angelo Mai, che contiene molti fondi archivistici). Ci sono poi molti comuni, specialmente
quelli piccoli, che non hanno la possibilità di costudire e rendere fruibile in maniera efficace la propria
documentazione storica, e dunque l’hanno data in deposito ad archivi di stato. Ci sono alcune zone in cui
ciò è frequente, per esempio molti piccoli comuni della provincia di Biella (siamo sulle alpi piemontesi)
hanno fatto la scelta di depositare almeno la parte antica dei propri archivi storici all’interno dell’archivio di
stato di Biella.

2. Gli enti pubblici non territoriali non sono enti privati (in quanto pubblici) e non hanno una circoscrizione
o un territorio di competenza.
Una volta enti solo pubblici erano per esempio le poste e le ferrovie, poi le cose sono cambiate col tempo
perché esse ora sono in gran parte società privatizzate.
Ci sono tantissimi tipi di enti pubblici non territoriali.
Ci sono istituti come la banca d’Italia perché, diversamente da altri enti pubblici non territoriali che non
hanno una normativa particolarmente cogente sulla tenuta dei loro archivi, di là dall’obbligo di preservarli,
di non alienarli e da renderli fruibili, la banca d’Italia ha fatto un investimento molto forte sul dotarsi di un
archivio storico che avesse degli inventari, che fosse fruibile e che potesse essere visitato e consultato dagli
studiosi.

Altri enti pubblici non territoriali sono molti degli enti pubblici legati all’istruzione: le scuole e l’università.
Molte università si sono date negli ultimi decenni un archivio storico, questo è il caso soprattutto di
università che hanno una storia lunga, ad esempio l’università di Torino e di Bologna. Sono enti che hanno
investito sul fatto di prendere tutta la documentazione storica a partire dai primi diplomi di laurea, quelli
ancora su pergamena (del medioevo), e renderla fruibile e consultabile al pubblico.
La situazione in generale degli enti pubblici non territoriali rispetto alle varie iniziative di inventariazione e
di valorizzazione dell’archivio storico è una situazione “a macchie di leopardo”: ci sono situazioni molto
virtuose e situazioni molto poco virtuose. Lo possiamo notare guardando le singole scuole: fino a tempi
relativamente recenti erano pochissimi i plessi scolastici che avevano veramente dei locali a doc che
custodivano degli archivi storici correttamente ordinati e inventariati, poiché c’era un sostanziale
disinteresse. Nell’ultimo ventennio e decennio la situazione molte volte è cambiata: ci sono stati degli
investimenti per l’ordinamento e per l’inventariazione dell’archivio storico, investimenti che però sono
arrivati dopo molti decenni spesso di incuria, che fa sì che in molti casi gli archivi storici dei vari plessi
scolastici siano molto discontinui (frammentati). Inoltre queste attività molte scuole le hanno messe
nell’ambito dei programmi didattici della scuola stessa.

Hanno una sua legislazione a doc il gruppo degli istituti storici, soprattutto quelli legati al Risorgimento e
alla Resistenza (ci sono anche istituti storici ovviamente per lo studio di altri periodi storici, ma essendo in
Italia questi sono i due periodi su cui la storia contemporanea maggiormente ha investito). Ci sono molti di
questi istituti che oltre ad organizzare conferenze, attività di ricerca, a promuovere pubblicazioni su questi
periodi storici, fungono anche da bacino collettore di una documentazione che riguarda quei periodi, ad
esempio il museo del Risorgimento di Milano e di Torino, che non sono soltanto dei musei che si possono
visitare, ma hanno anche delle biblioteche e degli archivi che contengono i fondi relativi a varie personalità
dell’epoca.

Moltissime biblioteche in Italia contengono anche dei fondi archivistici o in deposito o di proprietà della
biblioteca stessa, un esempio è la Biblioteca civica Angelo Mai in cui è depositato (quindi non è di sua
proprietà) un gigantesco archivio storico che è quello della cosiddetta Mia, ovvero quello della Misericordia
Maggiore di Bergamo, che è un consorzio fondato nel 200, che esiste tutt’ora, e che ha questo grande
fondo archivistico con documentazione su pergamena medievale che parte appunto dal 200 e arriva ai
nostri giorni. La Biblioteca stessa invece ha di sua proprietà una sua collezione di pergamene che sono
arrivate da varie parti e sono state nei secoli acquisite dalla biblioteca. Sostanzialmente la legislazione
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archivistica italiana si sforza di tener conto anche di questo importantissimo patrimonio che si trova nelle
biblioteche.
Il rapporto tra archivi e biblioteche dal punto di vista gestionale, logistico, “non è tutto rosa e fiori”, perché
ci sono alcune biblioteche pubbliche, come appunto la Biblioteca Mai, che hanno una tale esperienza
consolidata e una tale abitudine nel gestire dei ricercatori che vengono a guardare i fondi archivistici, che
non vi è problema di alcun tipo. Ma ci sono anche alcuni casi di biblioteche importanti che hanno un
numero di fondi archivistici più ridotto e in cui il personale non è formato o abituato al fatto che arrivino dei
ricercatori a consultare il documento di archivio, perché la maggior parte delle persone che arrivano in
queste biblioteche arrivano per consultare invece i libri. Ad esempio, la Biblioteca Reale di Torino (si trova
in centro ed è stata fondata da Carlo Alberto) ha un gruppetto neanche piccolo di fondi archivistici (ad
esempio dentro si trova il famoso Autoritratto di Leonardo, quindi si parla veramente di monumenti della
conservazione archivistica e bibliografica), che però non sono sicuramente la ragione per cui la maggior
parte della gente si reca lì. Quindi non sempre questi fondi sono accessibilissimi, non sempre sono ben
inventariati e soprattutto non si ha abbastanza spazio e quindi qualche anno fa, poiché ci si trova all’interno
di un edificio Patrimonio Unesco nel quale non si può modificare la struttura per creare (ad esempio) altri
scaffali, si fece una selezione della documentazione che magari veniva consultata meno e la depositarono
da un’altra parte, cioè all’interno di depositi che però non si trovano neanche a Torino, ma a Novara.
Ciò non vuol dire che i documenti siano mal conservati, ma che l’accessibilità non sia così immediata
(magari come un ricercatore si augurerebbe).
Altri problemi sorgono quando, e questo lo fanno molti comuni, si fa la scelta di conservare almeno la parte
antica dell’archivio storico del comune all’interno della biblioteca civica (comunale). Quindi vi sono
tantissime cittadine della Lombardia e del Nord d’Italia (ma sicuramente anche altrove) che fanno questa
scelta, perché non tutti questi comuni, che magari non sono tanto grandi, possono permettersi del
personale archivistico e quindi sostanzialmente il lavoro che si collega al tenere aperto l’archivio e al far
accedere i ricercatori o studiosi in archivio se lo dividono i dipendenti della biblioteca, il che non sempre è
un bene, in quanto non sempre questo personale è formato (anche se lo è in molti casi) e soprattutto non
sempre la biblioteca civica di per sé ha degli spazzi che si prestano alla conservazione anche di cose che libri
non sono.

Parlando di documentazione soprattutto otto-novecentesca, esistono molti archivi che sono


specificamente incentrati sulla conservazione di audiovisivi o fondi fotografici. La legge italiana tutela anche
questi. Moltissimi archivi hanno all’interno un fondo fotografico e alcuni archivi sono proprio solo archivi di
foto. Uno dei più importanti archivi fotografici italiani è l’archivio Alinari, che era una grande famiglia di
fotografi che dall’800 in poi ha raccolto decine di migliaia di immagini storiche. Questo archivio è tutt’ora
esistente e costituisce una fonte fondamentale.

Esistono storicamente 2 enti nazionali in Italia che servono alla conservazione di audiovisivi, che sono la
Cineteca Nazionale e la Discoteca di Stato. Essi servono per la conservazione dei prodotti audio, nel caso
della Discoteca di Stato, e di prodotti di video o filmici, nel caso della Cineteca nazionale. Hanno una
funzione legale importantissima, ovvero il cosiddetto deposito legale obbligatorio: nel momento in cui io
faccio un disco o un film e lo distribuisco, sono tenuto ad inviare alla Discoteca o alla Cineteca (dipende
dalla tipologia del prodotto) una copia del mio prodotto, in maniera tale che sia conservato lì. Esiste anche
per i libri: per ciascuno dei libri che sono stampati e che sono pubblicati in maniera ufficiale, un’esemplare
deve essere inviato alla Biblioteca Nazionale Centrale a Firenze, che lo conserva.

La Cineteca Nazionale ha una sede distaccata che è particolarmente attiva e importante per lo studio della
storia del 900: l’archivio nazionale del Cinema di Impresa. La Cineteca Nazionale ha raccolto tutti i filmati,
che aveva già o che man mano sono arrivati, relativi alle imprese (dunque dalle pubblicità ai film
promozionali, ai vari filmati che si giravano nelle fabbriche per documentare la produzione) e le ha
raggruppate in un unico archivio che non si trova a Roma, come la Cinetica Nazionale e la Discoteca di
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Stato, ma si trova a Ivrea in Piemonte, che si è ritenuto il posto più adatto per ospitare questo archivio in
virtù della tradizione di questa cittadina. Loro fanno un lavoro importantissimo, perché risolvono uno dei
grandissimi problemi che si collega alla conservazione delle fonti audiovisive, ovvero essendo su supporti
(specialmente quelle non digitali) da un lato sono molto fragili (tendono a deperirsi) e dall’altro lato non
sono riproducibili. Il personale dell’archivio del Cinema di Impresa dunque si occupa di digitalizzare questa
documentazione cinematografica, riversando il contenuto delle bobine che contengono in originale questi
filmati su supporti digitali. Inoltre garantiscono la massima pubblicità, in quanto hanno creato un canale
YouTube dove possono caricare tutti questi filmati.

GLI ARCHIVI ECCLESIASTICI


Usciamo dall’ambito degli archivi pubblici. Gli archivi ecclesiastici non appartengono allo stato, ma
appartengono alla chiesa. Per la grande importanza e interesse degli archivi ecclesiastici, però, lo stato
tiene a fare in modo che la loro documentazione sia conservata correttamente, gestita da persone che
sanno fare questo lavoro e fruibile da parte degli studiosi. Quindi lo stato italiano ha stipulato da alcuni
decenni una convezione con la C.E.I. (Conferente Episcopale Italiana) che sostanzialmente dispone quanto
segue: dispone che sia trattata alla stregua di documentazione privata di interesse storico la
documentazione ecclesiastica con più di 70 anni, dispone anche che ogni diocesi debba avere un archivio
storico proprio, che si chiamerà appunto archivio storico diocesano. Non sempre gli archivi storici
diocesani sono così facili da fruire da parte dello studioso perché, purtroppo, in molti casi vi è una certa
gelosia nei confronti della propria documentazione, o non sempre vi è del personale realmente formato, o
anche soltanto perché molto spesso questi fondi non sono ordinati e inventariati. In molti altri casi la
documentazione è stata ben inventariata e ben fruibile, ed è il caso ad esempio di Bergamo.
La legge prevede che gli archivi storici diocesani siano i soli archivi ecclesiastici ad avere per forza un
archivista, ovvero devono per forza avere una persona che abbia ricevuto una formazione d’archivio e che
sappia quindi assicurare la gestione corretta e la fruizione dell’archivio.

Gli archivi storici diocesani hanno un’importante funzione, ovvero quella di aiutare i vari enti ecclesiastici
locali (le parrocchie ma non solo) nella conservazione della propria documentazione. Alcune parrocchie
hanno della documentazione molto antica. Questo è il caso ad esempio di alcune parrocchie di città alta.
Le parrocchie non sono tenute ad avere un personale con una formazione archivistica, ma sono tenute
ovviamente a rendere fruibile la propria documentazione storica a chi voglia. Normalmente le parrocchie
conservano presso di sé questa documentazione, ma possono anche scegliere di depositare il loro archivio
storico negli archivi storici diocesani (così come fanno i comuni, depositando la documentazione storica
negli archivi di stato).

GLI ARCHIVI PRIVATI


Un archivio privato viene tutelato dallo stato italiano nel momento in cui abbia un interesse storico o
culturale (sono delle denominazioni che variano nella successione delle varie leggi). Per certificare questo
interesse è necessario che ci sia una dichiarazione da parte di quell’ente che è preposto alla vigilanza degli
archivi non statali in Italia, ovvero la sovrintendenza archivistica regionale. La dichiarazione di notevole
interesse storico o di interesse culturale, relativa a un archivio privato, innesca vari obblighi da parte del
proprietario dell’archivio (obblighi in termini di conservazione di integrità dell’archivio e altro):
 non lo si può smembrare o espatriare o alienare o cedere senza prima aver denunciato la cosa alle
autorità dello stato, il quale avrà un diritto di prelazione sull’acquisto dell’archivio;
 non si può distruggere o avere comportamenti tali da mettere a repentaglio la corretta conservazione
dell’archivio stesso;
 si deve permettere, trovando orari e modalità che vadano bene anche al privato, la consultazione dei
documenti da parte degli studiosi;
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 deve esserci la possibilità che qualcuno possa venire a inventariare l’archivio, in quanto il privato non è
obbligato a mettere in ordine il proprio archivio di interesse storico.
Quando questi obblighi sono ritenuti troppo gravosi, il privato può decidere di dare in deposito o addirittura
di cedere o di vendere allo stato il proprio archivio, che sarà quindi conservato tendenzialmente in un
archivio di stato.
Quando si parla di archivi privati non si parla solo di archivi di persone fisiche private, ma anche di persone
giuridiche. Dunque negli archivi privati ci sono tutti gli archivi ad esempio delle aziende, delle imprese, delle
case editrici, dei partiti e movimenti politici.
Esiste una serie di archivi storici che non appartengono ad un privato, ma sono gestiti da delle fondazioni
che raccolgono delle documentazioni relative a quel privato, perché era un personaggio importante. Un
esempio è l’Istituto Gramsci, il quale ha un archivio che non è della proprietà della famiglia Gramsci, ma che
raccoglie documentazione relativa al personaggio.

LE FASI DI VITA DEL DOCUMENTO


Il documento d’archivio ha un ciclo di vita che si svolge dalla nascita, ovvero quando il documento viene
prodotto o acquisito dall’ente conservatore, fino alla fase finale, che può essere una “pensione onorevole”
nell’archivio storico oppure una “morte brutale” se il documento deve essere invece scartato.
Nel passaggio tra le 3 fasi di vita del documento, ovvero archivio corrente, archivio di deposito e archivio
storico, il documento non cambia soltanto collocazione, ma cambia anche funzione. Possiamo dunque
definirla, più che un ciclo di vita, una metamorfosi: nasce con un valore preponderante di utilità pratica
giuridica-amministrativa ed esce con un’utilità giuridica-amministrativa oramai molto limitata e con una
preponderante utilità come fonte storica. Dunque le due nature coesistono sempre, ma variano, in quanto
quella storica, man mano passa il tempo, diviene più importante.
L’organizzazione di queste 3 fasi di vita può essere molto varia, poiché dipende da delle decisioni che il
soggetto che produce l’archivio mette in atto per organizzare la propria memoria.
All’interno degli archivi degli enti statali, o in generale degli enti pubblici, esistono delle norme cogenti e
uniformi per tutto il territorio nazionale su come i singoli enti debbano organizzare la sedimentazione dei
propri documenti. Tale organizzazione serve per garantire 3 cose:
 il funzionamento pratico dell’ente stesso, che ha bisogno della sua stessa documentazione;
 la certezza del diritto, perché le pubbliche amministrazioni conservano documenti che attestano diritti.
Lo stato garantisce al cittadino che i suoi documenti che attestano i diritti siano conservati entro i limiti
di legge dalle pubbliche amministrazioni;
 la funzione storica, ovvero le pubbliche amministrazioni devono far sì che sia preservata quella
documentazione che servirà a chi studia la storia.

Noi cercheremo di studiare queste 3 fasi di sedimentazione attraverso 2 punti di vista:


1- a ciascuna di queste 3 fasi corrispondono delle azioni che gli impiegati della pubblica amministrazione
svolgono;
2- a ciascuna di queste 3 fasi corrispondono degli strumenti che vengono usati dagli impiegati per
svolgere queste operazioni.

Con l’emergere dei documenti informatizzati, la legislazione italiana ha lo scopo di garantire negli archivi
digitali la tutela di quei 3 aspetti citati precedentemente, nello stesso modo in cui erano tutelati negli
archivi cartacei.
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1. L’ARCHIVIO CORRENTE
Definizione: L’archivio corrente è l’insieme dei documenti prodotti o acquisiti da un soggetto nello
svolgimento delle proprie funzioni e relativi agli affari in corso di trattazione (cioè nell’archivio corrente si
trovano i documenti relativi alle pratiche in corso da parte dell’ufficio o dell’ente).

L’archivio corrente costituisce il cardine del funzionamento moderno degli archivi delle pubbliche
amministrazioni, in quanto tutto quello che succederà al documento durante tutte le sue fasi di vita viene
deciso in questa fase, ovvero nel momento in cui il documento arriva nell’archivio. Ciò è lo scopo delle varie
operazioni che si svolgono nell’archivio corrente.
L’archivio corrente non è un luogo fisico, ma è una fase logica (i documenti stanno sulla scrivania del
dipendente, non sono riposti su uno scaffale o in una stanza apposita).

Nel momento stesso in cui il documento viene prodotto o acquisito si eseguono 3 operazioni logiche, che
sono quelle attraverso cui si stabilisce che fine farà il documento su lungo periodo: la registrazione, la
classificazione e la fascicolazione.

*Nell’archivio corrente, cosi come nelle altre due fasi di vita del documento, esistono degli strumenti fi
gestione che sono usati dagli impiegati dell’ente per gestire la sedimentazione di questi documenti.

LA REGISTRAZIONE:
La registrazione ha un suo proprio strumento di gestione che è il registro di protocollo. Nel momento
stesso in cui un documento arriva nell’archivio (perché l’ente lo ha prodotto o acquisito) ci sarà un
impiegato dell’ente che aprirà un registro di protocollo, il quale fino agli anni 2000 era cartaceo mentre
adesso è informatico, e darà un’identità al documento, ovvero registrerà all’interno del registro di
protocollo una serie di elementi identificativi del documento stesso. Questi elementi identificativi sono:
 Il numero di protocollo, ovvero un numero progressivo (cioè a seconda dell’ordine cronologico di
arrivo del documento) che funge da nome del documento e che lo individua in maniera univoca. A un
documento corrisponderà un numero di protocollo. Può esserci un protocollo in entrata e un protocollo
in uscita, cioè un registro di protocollo con la numerazione progressiva dei documenti in entrata, e un
registro in uscita con la numerazione progressiva dei documenti man mano che vengono prodotti e
spediti fuori dall’ente.
Alcuni documenti possono avere 2 numeri di protocollo, ad esempio se un ufficio deve inviare un
documento ad un altro ufficio: intanto il primo che lo produce gli dà un numero di protocollo, e anche
l’ufficio che riceverà il documento gli darà un numero di protocollo, in quanto deve anch’esso
registrarlo come documento di entrata; il secondo ufficio, oltre a registrare il suo numero di protocollo,
registra anche quello del primo ufficio (sempre per identificare ulteriormente il documento).
Il numero progressivo di protocollo è annuale, ovvero è abbinato all’indicazione dell’anno (a ogni anno
ricomincia).

*Il numero di protocollo è quindi un numero progressivo dato sulla base dell’ordine di arrivo del
documento in archivio.

 Il mittente e il destinatario
 La data e l’oggetto
 Indice di classificazione: nel registro di protocollo viene inserito anche l’Indice di classificazione, cioè un
codice che viene assegnato al documento sulla base della sua classificazione.

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LA CLASSIFICAZIONE:
E’ quella operazione sulla base di cui un documento, nel momento in cui arriva nell’archivio, viene inserito
all’interno di una griglia logica che è composta da una serie di insiemi e sottoinsiemi che corrispondono alle
funzioni, alle competenze e alle materie trattate dall’ente-ufficio.
Quindi, quando acquisisco o produco un documento lo devo inserire all’interno di una griglia, costituita da
categorie, classi e sottoclassi di materie.
Abbino quindi il singolo documento alla sua materia di appartenenza.
Per compiere questa operazione, si usa uno strumento di gestione: titolario o piano di classificazione. È un
documento che rende esplicita l’organizzazione della divisione logica della documentazione dell’ente in
grandi categoria di materie, in classi più specifiche di materie e in sottoclassi di materie.. a ciascuna di
queste categorie-classi-sottoclassi, è abbinato un numero e la composizione dei numeri che identificano la
categoria-classe-sottoclasse formerà l’indice di classificazione che io vado a mettere nel mio registro di
protocollo.
Il Titolario o piano di classificazione è uno strumento fondamentale per la gestione dell’archivio, come lo è
anche il registro di protocollo.
È importante fare questa operazione subito, quando un documento arriva in archivio, perchè il
funzionamento degli attuali archivi delle pubbliche amministrazioni, prevede che sin dalla nascita del
documento il suo destino sia segnato, e che sin da subito si indichino quali saranno le future vicende della
sua sedimentazione (quindi in quale raggruppamento di documenti il documento dovrà andare, di che
morte dovrà morire).

Tali raggruppamenti di categorie-classi-sottoclassi sono raggruppamenti logici, cioè una grande


distribuzione logica di tutte le varie materie che possono essere trattate dall’ufficio, ma ha degli effetti sul
piano concreto e materiale, infatti a ciascuno degli insiemi più piccoli, corrisponderà la formazione in
archivio di deposito di una serie.
Le serie sono raggruppamenti compatti, anche fisici, di documenti che appartengono a uno stesso
raggruppamento logico che è presente nel titolario.
I vari registri di protocollo arrivano in Italia nel periodo napoleonico, fine 700 e inizio 800, a loro volta la
prassi della registrazione arrivava dalla Germania, dove si faceva già da un po’ di tempo.

Una legislazione unitaria italiana, sulla gestione di questi due aspetti, cioè registrazione e classificazione in
archivio corrente, arriva negli ultimi anni dell’800.

Ci sono due fonti normative molto importanti:

1. 1897: Circolare Astengo. Istituzioni per la normativa del protocollo e dell’archivio per gli uffici
comunali.
Si trattava di regolare migliaia di uffici comunali, che avevano ancora prassi eterogenee-preunitarie.
Art.1: sancisce che ogni atto che arriva o parte dall’ufficio deve essere classificato e registrato nel
protocollo.
Art.2: tutti i comuni eseguiranno la stessa classificazione, useranno un solo modello di titolario. Si
cerca di dare uniformità alle prassi di classificazione dei comuni per rendere più facile il
ritrovamento e la fruizione degli atti.
Art.4: tutti i comuni dovranno usare lo stesso tipo di registro-protocollo.

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Vi è una distinzione delle varie materie che possono essere oggetto dell’attività delle
amministrazioni comunali che sono raggruppati per gruppi logici: come ad esempio Categoria
amministrazione, Categoria opere pie e beneficenza, Categoria finanze,…
La categoria XIV: relativa agli oggetti diversi. È una classe unica. Vi si trovano tutti gli affari che non
trovano posto nelle altre categorie.
Le categorie sono 15.

La circolare Astengo è stato per quasi tutto il 900 il titolario comunale: I comuni usavano per
classificare la propria documentazione il titolario astengo.
Ma nel 2005 si è approdati al titolario ANCI.

Titolario ANCI (associazione nazionale comuni italiani - 2005). Ci sono alcune delle categorie che
restano le stesse della circolare Astengo. Qua le categorie sono diventate 14.

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2. Vi sono poi altri titolari, che non riguardano solo il comune.
Un’altra importante legge è infatti quella del 1900: riguarda gli uffici centrali-statali

Esempio di titolario di classificazione dello Stato


maggiore dell’esercito (2015).

-quindi non più relativo ai comuni-

Esiste poi la terza operazione che si svolge nell’archivio corrente, nel momento in cui il documento nasce.

LA FASCICOLAZIONE:
L’inserimento dei documenti all’interno di un fascicolo.
Un fascicolo: raggruppamento organico di documenti relativi a uno stesso oggetto (affare, materia, nome di
persona o di ente e di luogo) che si costituisce nel corso dell’attività.
Il fascicolo è quell’insieme formato da tutti i documenti relativi ad una stessa pratica. Ciascun fascicolo
corrisponde ad una singola pratica trattata dall’ente, perciò il fascicolo sarà un raggruppamento composto
da documenti eterogenei per tipo di documento ma omogenei per oggetto.
Esempi:
Una gara di appalto comunale. A ciascuna gara di appalto che il comune indice, corrisponderà una pratica,
che si traduce in un fascicolo, all’interno del quale andranno a confluire tutti i documenti relativi a quella
pratica. Ex. Fascicolo relativo ad una gara d’appalto contiene: bando, buste con le offerte-richieste dei
candidati, materiale pubblicitario, cv, verbali relativi alla gara d’appalto. tutta questa documentazione finirà
quindi all’interno di un solo fascicolo.
I fascicoli possono essere relativi anche ad una persona. Possiamo avere infatti un fascicolo per ciascuno dei
dipendenti del comune: contiene quindi cv, richieste di ferie, malattie… di quel dipendente.

Quando inserisco un documento nel fascicolo, non è più possibile spostare tale documento. L’abbinamento
tra documento e fascicolo è stabile; il fascicolo è un’unita di base della maggior parte delle operazioni che si
svolgono in archivio.
Fascicolo relativi alla stessa materia, verranno inseriti nella stessa serie (il passaggio fisico e concettuale è
quindi: Documento-fascicolo-serie).
Esistono anche serie non formate da fascicoli. Possono essere formate da documenti tutti uguali, ad
esempio formate da registri. Ex. Serie formate da registri di atti di nascita e di morte (registri uguali dal
punto di vista della forma, organizzati in serie).
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La Circolare astengo definisce anche qualcosa della fascicolazione:

Per la fascicolazione, lo strumento di gestione utilizzato era il repertorio dei fascicoli (oggi non più
esistente). Per gli archivi cartacei era uno strumento fondamentale, era un elenco in cui venivano segnati i
nuovi fascicoli aperti.
Ora non è più uno strumenti cartaceo, infatti è stato sostituito da funzionalità che hanno gli strumenti
informatici.

Tutto questo (registrazione-classificazione-fascicolazione) serve a due scopri:

1. Scopo gestionale: meglio organizzo la mia documentazione, più facile sarà ritrovarla e più comoda
sarà la gestione dei “flussi documentali”.
2. Scopo che riguarda le necessità di certezza del diritto: scopo meno evidente. Gli archivi delle
pubbliche amministrazioni infatti servono anche a garantire a me cittadino una serie di diritti: i
diritti che attestano i documenti conservati in quegli archivi, e della cui conservazione-accessibilità-
inalterabilità lo stato si fa garante.
Tale utilità si vede soprattutto nel registro di protocollo, che è un atto pubblico, che certifica delle
situazioni giuridiche. Nel momento in cui un ufficio pubblico riceve un mio documento, l’ufficio è
tenuto a protocollarlo, e tale registrazione all’interno del registro di protocollo, attesta-prova del
documento inviato-ricevuto.
Questo è stato sancito da una serie di sentenze fra gli anni 80-90, che sono culminate nel 1993 con
una pronuncia del consiglio di Stato, che ha riconosciuto al registro di protocollo, il valore di atto
pubblico di fede privilegiata, cioè il più credibile di tutti

In anni recenti, nel 2000, si introduce un ultimo strumento di gestione dell’archivio corrente, che è un super
strumento di gestione: il manuale di gestione.
È un grande manuale di istruzioni, in cui in maniera globale si spiegano tutti i funzionamenti connessi alla
formazione e alla conservazione dell’archivio dell’ente.

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Il manuale di gestione viene introdotto negli anni 2000 per due motivi:
1. Siamo nel 2000 e dopo poco le pubbliche amministrazioni passeranno a dover formare tutti i loro
documenti con strumenti informatici (nota il nome del DPCM sopra). Vi sono tantissime novità e
quindi vi è bisogno di avere regole chiare, che tutti quanti possano seguire.
2. Incomincia a porsi molto di più il problema dei ruoli, di chi fa cosa. Questo per due motivi
1) la legislazione archivistica va sempre più in una direzione di maggior trasparenza e pubblicità;
2) il secondo motivo è connesso alla transizione tecnologica: ora che i documenti sono informatici,
stanno su un server, ma questo server non è detto che sia interno alla pubblica amministrazione.
Il fatto che si apra la possibilità che, aspetti della gestione dei flussi documentali delle pubbliche
amministrazioni non si svolgano più tutti quanti all’interno del personale delle pubbliche
amministrazioni, ma ci sia qualche azienda esterna che se ne occupa, rende indispensabile la
presenza di documenti generali che spiegano chi sia la persona responsabile di queste azioni.

*I manuali devono essere resi pubblici, i cittadini devono potervi accedere.

2. L’ARCHIVIO DI DEPOSITO

È la seconda fase di vita del documento; ha delle operazioni standard e degli strumenti che c aiutano a farle
ed una serie di norme che ci spiegano come e perché.
È una fase di transizione, contiene quei documenti-fascicoli che si riferiscono ad affari esauriti, quindi a
pratiche chiuse, che non sono più necessarie all’attività corrente, ma che è utile che sdiano comunque
conservate dall’ente, per alcuni anni o decenni. Perche potrebbero ancora servire all’ente, o perche è
possibile che abbiano ancora un valore giuridico-amministrativo.

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È importante perché e è il luogo in cui oggi avviene la selezione dei documenti: tra quelli che dovranno
essere scartati-gettati e quelli che dovranno essere versati in un archivio storico, dopo un certo tempo
imposto dalla legge.
Quindi è uno spazio fisico all’interno di cui, a cadenza regolare, viene immessa la documentazione che
proviene dall’archivio corrente (questa operazione è detta trasferimento), viene raggruppata fisicamente in
serie che rispecchiano il raggruppamento logico delle varie sottoclassi-classi-categorie, e a cadenze
periodiche si eseguono interventi mirati di selezione.
Le pubbliche amministrazione spesso prendono queste operazioni sotto gamba; tendono a prendere
sottogamba i loro obblighi in termini di tenuta dell’archivio. In certi casi l’archivio di deposito (soprattutto di
piccole amministrazioni) diventa un luogo di accumulo di documenti, senza effettuare operazioni di scarto-
selezione.
*La selezione dei documenti avviene sulla base della classificazione che io ho dato al documento.
Non sempre le pubbliche amministrazioni ritengono utile eseguire regolarmente queste operazioni di
scarto-selezione (dato che prevedono dei costi).

Altre leggi
che
trattano
del tema
nella
Circolare
Astengo

È la Legge del 1900 per le amministrazioni comunali: afferma informazioni simili a quelle che abbiamo già
detto.
34
*Una parte interessante è l’Art.85: è all’inizio della nascita di un documento, che si stabilisce quale ordine
sia logico sia fisico che il documento avrà, tale ordine sarà sempre mantenuto nei 3 archivi.

Testo normativo del 2000 che reca disposizioni legislative in materia di documentazione amministrativa.
Articoli che riprendono quello che si stabiliva nel 1897 e 1900:

Strumenti di gestione in archivio di deposito:


 elenco di consistenza: ogni documento trasferito nell’archivio di deposito è accompagnato da un elenco
di consistenza, ossia è accompagnato da una descrizione sommaria delle varie categorie-classi-
sottoclassi a cui appartiene tale documento, e dalla sua consistenza (quanti fascicoli, quanti faldoni).
 piano di conservazione: strumento per eseguire la selezione.

LA SELEZIONE
Cosa si può o si deve buttare e cosa non si può buttare?
Il problema dello scarto è un problema che è dibattuto da sempre, da prima che l’archivistica si formasse
come disciplina accademica (in Italia già dal pieno 800).
Negli gli archivi medievali, chi li gestiva formulava giudizi di valore sull’utilità dei documenti (ex. Documento
di nessuna utilità). In quel periodo non esistevano prassi codificate per lo scarto documentario, e più che di
scarto noi possiamo parlare di progressiva emarginazione dei documenti ritenuti meno utili. Mandano
quindi a morire documenti che interessavano meno.
Anche in assenza di operazioni programmate di scarto, questa emarginazione progressiva dei documenti,
che non segue però delle regole, è l’anticamera della loro dispersione.

In età moderna, con l’aumento della produzione scritta documentaria e l’individuazione di grandi sedi
archivistiche centrali (a partire dal 700), si tende a fare piazza pulita di tutto quello che si può, secondo il

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criterio dell’utilità amministrativa, politica, giuridica. Sono anni in cui si eseguono i grandi spurghi, cioè
eliminazioni programmate di migliaia di documenti anche di secoli prima. Sono anche gli anni in cui nascono
i fondi diplomatici, raccolte di documenti molto antichi ritenuti importanti come fonti per gli studiosi, dalla
seconda metà del 700.
Questi due aspetti sembrano in contrasto, ma in realtà sono due facce della stessa medaglia: nel momento
in cui individuo documenti fondamentali, ci sono anche quelli di cui possiamo disfarci.

Un nuovo atteggiamento arriva verso la metà dell’800: nasce la scuola del metodo storico, vi è l’idea che un
archivio storico serva innanzitutto allo storico per le ricerche, i teorici che elaborano il metodo storico si
portano dietro le ferite degli spurghi medievali (soprattutto toscani); nel momento in cui si forma la scuola
del metodo storico, emerge un atteggiamento negativo nei confronti dello scarto archivistico.
Nel 1867 Bonaini scrive e sostiene: noi non possiamo compiere l’errore di alcuni decenni fa, non dobbiamo
avere l’arroganza di giudicare ciò che è importante o irrilevante per la storia, e per sicurezza dobbiamo
conservare tutto; lo scarto si dovrà comunque fare, ma questo è un male necessario.
Siamo negli anni 60 dell’800, in cui in Italia sta nascendo la legislazione archivistica, e queste istanze
verranno accolte nella legislazione del 1874-75: esse prevedevano che lo scarto della documentazione degli
uffici statali avvenisse negli archivi di stato tramite i loro funzionari.

Quando nasce l’archivistica come disciplina accademica, questi argomenti sono maggioritari: durante la
prima metà del 900 perdurerà l’impostazione secondo cui noi oggi non siamo in grado di stabilire che cosa
sarà importante per gli studiosi di domani.
Benedetto Croce nel 1927, scrive: non esiste nessun criterio scientifico che permette di dare una patente di
scartabilità ad un documento (e non esiste tuttora). Questo punto di vista inizierà a trasformarsi a partire
dal secondo dopoguerra (soprattutto negli anni 60-70 del 900), quando si incominciano a fare strada
aspetti-elementi che fino ad allora non erano stati considerati dalla dottrina archivistica:
1. Fino a metà 900, chiunque si sia occupato dello scarto-selezione, è sempre partito chiedendosi cosa
si potesse o dovesse eliminare. Probabilmente la domanda giusta da porsi era un’altra: partire dal
capire che cosa tenere, quali documenti sono essenziali da conservare in maniera permanente.
Quando si è data una risposta a questa domanda, poi ci si può chiede cosa possa essere scartato.
2. A partire dagli anni 60-70 del 900, che approderà alla legislazione italiana: fino a quel momento la
selezione dei documenti era stata eseguita a posteriori, per eliminare parti di documentazione
prodotte anche secoli prima, che non ci stavano più negli archivi (questa è la logica delle operazioni
di spurgo). Negli anni 60-70 ci si rende conto che la selezione è un aspetto che deve essere tenuto
in conto sin dalla formazione dei documenti e degli archivi (le operazioni che si svolgono in archivio
corrente -fascicolazione-registrazione-classificazione- sono operazioni che servono ad assegnare un
destino al documento sin dall’inizio; sulla base di come un documento viene classificato, noi
sapremo fin dall’inizio quale sarà il suo destino).
La produzione e la selezione dei documenti sono quindi due facce della stessa medaglia.

3. Fino a quel momento lo scarto era stato visto come un male necessario. Paola Carucci, archivista
della seconda metà del 900, negli anni 70 propone un punto di vista diverso: lo scarto è
un’occasione importante per la qualificazione dei documenti che restano come fonti storiche. Solo
eliminando certi documenti, riusciamo a qualificare quali documenti che attraverso la selezione si
sono classificati come fonti storiche. Non ci sarà mai niente sul piano teorico che ci indichi cosa
buttare, ma non ha nessun senso che noi ci poniamo il problema di prevedere cosa potrà essere
importante per gli studiosi in futuro.

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Selezionare la documentazione è infatti un’operazione che si conduce sulla base della memoria che
noi oggi nel presente ci vogliamo dare. La domanda è: quali sono i documenti che sono importanti
ai fini della conservazione della mia memoria?
La costruzione dell’archivio come processo di auto documentazione del soggetto produttore, è
qualcosa di ricorrente ed estremamente importante.
Selezione-costruzione della memoria: è un legame comprensibile se

Varie tipologie di scarti, già negli anni 20 vi è un primo studio delle tipologie di scarto
Sulla base del momento in cui lo scarto avviene, distinguiamo:
 Scarti preordinati: quando lo scarto è già deciso sin dal momento della produzione della
documentazione.
 Scarti in itinere: eseguiti man mano che i documenti non servono più.
 Scarti differiti: eseguita a posteriori, dopo che la documentazione si è sedimentata.

Sulla base dell’incidenza che lo scarto ha sulla totalità di un fondo:


 Scarti totali di un fondo: tutto quanto viene distrutto.
 Scarti parziali: prevedono il fatto di conservare alcune parti del fondo e di distruggerne delle altre.
 Scarti a campione: si distrugge il fondo ma si conservano alcuni scarti a campione.

*Oggi per gli scarti delle amministrazioni


Si eseguono in maniera parziale, ma di alcune serie si dispone uno scarto a campione.

Sul piano della pratica


Gli atteggiamenti che guidano l’operazione di scarto sono due (sono due atteggiamenti che coesistono,
applicati a seconda del tipo di documento di cui stiamo parlando):
1. Conservazione del documento
2. Conservazione della notizia
Conservazione del documento: questo approccio ai fini di conservare la documentazione originale e
primaria, e scartare la documentazione preparatoria o in copia. Significa tenere il documenti originale
Conservazione della notizia: io posso anche scartare dei documenti originali, purché tutte le notizie-
informazioni contenute in questi documenti, io le possa ritrovare all’interno di altri documenti originali che
io conservo in archivio.

Un altro atteggiamento è la Conservazione dei documenti vitali: di quei documenti che anche qualora
dovesse esserci un cataclisma che distrugge tutto il resto dell’archivi, potrebbero essere usati per
ricostruire:
a) lo status giuridico dell’ente
b) le sue prerogative-i suoi diritti-le sue proprietà
c) i suoi obblighi nei confronti dei cittadini-dipendenti

COME SI ESEGUE LA SELEZIONE


Grande dibattito sulla selezione dei documenti, quali documenti conservare e quali no.
Gli archivi non rispecchiano l’istituto, come diceva Cencetti, ma rispecchiano la nostra memoria che
l’istituto si vuole dare.

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ART 25: -Enti statali- vengono descritte le funzioni delle commissione di sorveglianza.
-Ogni ente statale ha una sua commissione di sorveglianza archivistica, sono commissioni miste, sono
composte dal capo dell’ufficio, da un impiegato della carriera direttiva del medesimo ufficio, ecc… si
formano sulla base di questa legge, queste commissioni miste di personale interno agli uffici e di archivisti
di stato.
-Le commissioni fanno varie cose, tra cui: esercitare le commissioni di selezione di scarto e curare la
preparazione dei versamenti nei competenti archivi di Stato.
-Il Massimario di scarto era lo strumento che all’epoca si utilizzava per stabilire quale gruppo di documenti
dovessero essere scartati e dopo quanto tempo dalla loro produzione; sostanzialmente è un elenco delle
varie categorie delle varie categorie, classi e sottoclassi che corrispondevano nell’archivio fisico a tante
serie, limitatamente a quelle però che dovevano essere oggetto di scarto.

ART 27: scarto di documenti degli uffici dello stato

ART.35: scarto di documenti pubblici, non statali.


-Gli enti pubblici decidono quali documenti del proprio archivio devono essere scartati: decisione interna
sottoposta all’approvazione dell’autorità che esercita la vigilanza sull’ente.
-Gli archivi degli enti pubblici non statali sono sottoposti alla vigilanza delle sovraintendenze archivistiche.

*La legge del 63 cerca di mediare tra due esigenze: quella di rendere più responsabili gli enti stessi per la
gestione del loro archivio di deposito e delle varie operazioni che si svolgono all’interno; e dall’altro lato

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rimane importante la necessità che ci sia da parte dell’archivio dei funzionari statali che siano un controllo
su quello che gli enti fanno.

Questa situazione, sancita dalla legge del 63, è rimasta all’interno di queste coordinate generali ma si è
evoluta in un importante provvedimento legislativo del 2000.

Se fino a questo momento la selezione era avvenuta tramite uno scarto eseguito secondo i massimari di
scarto, adesso lo scarto dei documenti degli archivi di deposito è inserito in un contesto più organico di
progettazione generale delle modalità di conservazione, eseguito a partire da un piano di conservazione.

Mentre il massimario di scarto diceva soltanto cosa bisognava scartare e quando, il piano di conservazione
è un grande documento che riporta tutte le categorie-classi-sottoclassi che compongono l’archivio, riprende
il titolario di classificazione in tutte le sue componenti e per ciascuna di queste ci dice, non solo quali serie
dovranno essere scartate e quando, ma anche quali serie dovranno invece essere sottoposte a
conservazione permanente.
*Il documento che attesta che abbiamo pagato dei contributi, dobbiamo tenerlo perché non lo tengono
terze persone, bisogna conservarlo soprattutto per il futuro con la pensione.
*I documenti di finanza vengono conservati, sia sul piano dei bilanci sia sul piano della memoria storica ma
in questa categoria ci sono una serie di documenti che possono essere scartati e sono quei documenti che
attestano il pagamento da parte dei singoli cittadini delle tasse sugli immobili / sui rifiuti, informazioni che si
trovano anche in documenti di singoli.

I comuni e degli enti pubblici non hanno degli archivisti propri e quando si tratta di eseguire delle
operazioni di scarto ci si rivolge ad archivisti liberi professionisti, i quali passano settimane o mesi all’interno
dell’archivio di deposito, ispezionano i vari fascicoli / documenti e per ciascuno compiono una valutazione
in merito allo scarto, fanno un file Excel all’interno del quale si indicano tutti i fascicoli che si ritiene di poter
scartare con il motivo, si mettono da parte e si invia questa proposta all’ente, cioè il comune, il quale valuta
se di quella documentazione, che su basi legali potrebbe essere scartata tutta, ci sia qualcosa che vuole
conservare per varie necessità (ex: cedolini degli stipendi); dopodiché nel momento in cui l’ente approva
questa proposta di scarto non è sufficiente questo per procedere, è necessario ricevere il nullaosta da parte
della sovraintendenza archivistica. Nel momento in cui lo si ottiene, allora si può procedere alla distruzione
fisica della documentazione.
Solitamente la documentazione scartata (cartacea) la vengono a prendere delle cooperative sociali che
guadagneranno qualcosa a fini benefici dalla vendita di questa carta che va al macero nelle cartiere.

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*Ci sono alcuni documenti che possono essere scartati senza bisogno di giustificare il loro scarto: ad
esempio il cosiddetto SCARTO BIANCO che riguarda tutti i moduli non compilati e anche gli STAMPATI cioè
opuscoli /libri promozionali conservati nell’archivio di deposito che possono essere scartati senza problemi.
*Ci sono infine documenti che hanno bisogno di procedure speciali perché sono documenti particolari
come le CARTE D’IDENTITA’.

3. ARCHIVIO STORICO

L’archivio storico è quel contesto che corrisponde all’ultima fase di vita del documento: quando un
documento viene destinato a conservazione permanente, la legge impone il suo versamento in un archivio
storico.
L’archivio storico, come le altre 2 fasi di vita del documento, ha dei propri strumenti che permettono di
gestirlo e di essere usato dal pubblico.
Uno strumento, che deve sempre accompagnare i vari gruppi di documenti nel momento in cui sono versati
nell’archivio storico, è l’elenco di versamento. Esso descrive in maniera sommaria la natura, la consistenza
e gli estremi cronologici della documentazione che si sta versando.

Anche se la documentazione che si versa nell’archivio storico ha prevalentemente una finalità ai fini della
ricerca storica, ciò non significa che abbia perso necessariamente anche un valore giuridico e un utilità di
tipo amministrativo: ad esempio, una parte considerevole degli utenti nell’archivio di stato sono ingegneri
o architetti, i quali vanno a cercare dei documenti storici relativi alle concessioni per la costruzione di edifici
in cemento armato, perché questi documenti vengono consultati per le ristrutturazioni (adempimento di
tipo giuridico-amministrativo).

Ci sono diversi tipi di archivi storici, ma tendenzialmente gli archivi storici devono essere composti da due
settori: il deposito e la sala di studio.
 Il deposito, luogo in cui i documenti sono conservati quando non c’è nessuno che li sta consultando; ne
esistono di diversi tipi: vecchie cassettiere (Archivio dell’abbazia di Sant-Maurice, in Svizzera), armadi in
legno o scaffalatura compatta (Archivio di Stato di Torino).
Esistono delle norme che sono cogenti in materia di modalità di conservazione della documentazione e
di modalità di gestione e manutenzione degli spazi di conservazione dei depositi. La disciplina che dice
come gli archivi debbano essere organizzati è “l’Archive Economia”;
 La sala di studio, luogo di incontro tra l’utente e i funzionari archivistici, i quali possono guidare l’utente
sia nella ricerca dei documenti, sia nella consultazione.

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lunga trafila di stanzoni

si trova dentro il Palazzo dei


papi

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Negli archivi più grandi ci sono anche altri luoghi che sono importanti ai fini della fruizione:
 La sala inventari, una sala con degli scaffali che contengono gli inventari cartacei (altro strumento che
si usa in archivio storico, fondamentale per sapere quali documenti ci sono e come reperirli, alcuni
inventari iniziano ad essere digitalizzati ma tanti rimangono cartacei) che si possono consultare;
 Una biblioteca, in quanto alcuni inventari acquistano dei testi che riguardano alcuni aspetti della
documentazione che conservano, poiché agli studiosi potrebbe essere utile poter consultare anche dei
libri che parlano dei documenti che stanno ricercando. Un esempio è l’Archivio di Stato di Torino, il
quale ha perfino due biblioteche (biblioteca nuova e biblioteca antica).

Sala studio dell’archivio di Bergamo

Biblioteca dell’archivio di Bergamo

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Come funziona un archivio storico?
La legge impone che ci sia una continuità tra la classificazione dei documenti e i fascicoli che si formano
nell’archivio corrente, l’organizzazione che i documenti delle varie categorie formano costituendo delle
serie nell’archivio di deposito e l’organizzazione dei vari gruppi di documenti che arrivano nell’archivio
storico.
L’unità documentaria fondamentale è il fascicolo: esso si mantiene tale nell’archivio storico, ma qui è un
raggruppamento di fascicoli che si chiama busta. La busta è un contenitore di qualsiasi forma materiale
(faldoni, scatole, ecc.) che contiene un raggruppamento di fascicoli.
All’interno delle buste, i documenti non sono sciolti, ma ciascuno di essi è conservato all’interno di una
specie di “foglio di protocollo”, chiamato (in termini tecnici) camicia.
Sopra la camicia si trova:
 il regesto, ovvero un testo che riassume il contenuto del documento;
 le indicazioni relative alla data del documento (solitamente nel fondo la documentazione è in ordine
cronologico);
 varie indicazioni che esplicitano la collocazione del singolo documento all’interno del fondo e
dell’archivio.
 il numero di corda, ovvero un numero progressivo che viene dato ai vari fascicoli che si trovano
all’interno della busta e che permette di individuarli. (

*Spesso le buste corrispondono ai faldoni in cui sono stati conservati i fascicoli della varie serie in archivio
corrente.

Le buste spesso si
chiamano in
maniera differente
a seconda della
regione (ex.
Mazzo)

*Spesso, in fondi antichi, a un singolo documenti corrisponde un singolo fascicolo.

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Esempio di busa
con fascicolo, in cui
possiamo
osservare le
caratteristiche
riportate sulla
camicia a dx.
Ex. N.13 in alto a sx
è il numero di
corda; il paragrafo
centrale è il
registro.

A sx la busa- a dx i
fascicoli.

Per usare la documentazione di un archivio storico, lo strumento fondamentale è l’inventario. Esso fa parte
di un gruppo più vasto di strumento che tutti insieme si chiamano strumenti di ricerca, o strumenti di
corredo. Essi sono quelli strumenti che permettono di orientarsi all’interno di uno o più fonti di un archivio;
l’inventario è quello principale.
La parola “inventario” deriva da un verbo latino che è “invegno” (= “trovo”).
Originariamente l’inventario era semplicemente una descrizione di quello che si trovava in archivio, mentre
oggi si tende ad abbinare (quando si può) l’attività di inventariazione all’attività di riordino del fondo; sono
attività che possono essere contestuali.

Esistono due tipi di inventari, sulla base del livello di specificità delle informazioni che sono fornite:
1. Inventari analitici: descrivono il contenuto di un fondo, fascicolo per fascicolo;
2. Inventari sommari: descrivono il contenuto su un livello più generale (busta per busta, registro per
registro..), senza scendere nel dettaglio dei singoli fascicoli.
Alla fine dell’800 vi sono degli inventari realizzati da Bongi, per gli archivi di Lucca.
L’inventario, a partire da questi anni, non è semplicemente una lista di quei documenti che stanno nel
fondo, ma si compone di varie parti che aiutano anche l’utente a comprendere tali documenti e a sfruttare
al massimo le loro potenzialità.
Normalmente un inventario dovrebbe contenere 3 parti distinte: tale tripartizione è stata oggetto di
raccomandazioni ministeriali indirizzati soprattutto agli archivi di stato a partire dagli anni 60 del 900. La
tripartizione è la seguente:

1. Parte introduttiva: deve indicare vari aspetti, come la storia dell’ente o del soggetto produttore del
fondo, la storia delle sue varie prassi documentarie e la storia del fondo in sé (gli archivi hanno
subito spesso spostamenti e chi inventaria il fondo oggi deve essere in grado di spiegarli);
2. Una parte che descrive quali sono i documenti, sulla base dell’ordine che hanno (se è sommario:
raggruppamento per raggruppamento, busta per busta; se è analitico: fascicolo per fascicolo). Così
come l’inventario di Bongi, oggi si raccomanda che in tali descrizioni, all’inizio delle sezioni dei
singoli raggruppamenti relativi ad un singolo ufficio, si aggiunga una piccola parte introduttiva, il
cappello, che specifichi ancora di più nello specifico il funzionamento dell’ufficio;
3. Gli indici analitici: dei nomi e dei luoghi.

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Gli inventari di archivio non sono una prerogativa degli archivi storici: spesso in enti come i comuni esiste
un inventario anche dell’archivio di deposito.

DEFINIZIONE DI FONDO: il fondo è, in archivio storico, l’insieme della documentazione che proviene da
uno stesso soggetto produttore oppure l’insieme di documenti che provengono da soggetti produttori
diversi, ma che, a seguito di un riordino, sono stati assemblati in un unico gruppo.
È un termine che si utilizza quando si parla di archivio storico.

Esempi di inventario (come si sono evoluti)


Dall’archivio di stato di Torino: inventario del fondo archivistico che contiene i documenti relativi al
principato di Monaco. Questo fondo è stato assemblato tra 7-800, in quella fase in cui vi sono grandi
riordini archivistici; a partire dal 700, nei grandi archivi di corte dei savoia, si costituisce un super fondo che
si chiama Paesi. Sostanzialmente gli archivisti di corte estrapolano dall’insieme della documentazione che
fino a quel momento sii è sedimentata negli archivi di corte, tutti quei documenti che riguardano singoli
territori, e per ciascuno si crea un piccolo o grande fondo, come quello di Monaco (contiene tutta la
documentazione trovata all’epoca negli archivi di corte e relativa a Monaco).
Nel momento in cui nasce questo raggruppamento, se ne fa anche un Inventario delle scritture riguardanti
il principato di Monaco, Mentone, Roccabruna e la Turbia.
Dopo il frontespizio di questo grande registro, tuttora usato oggi come strumento di ricerca nell’archivio di
stato di Torino, ha una struttura estremamente essenziale: ha una successione dei mazzi (buste) con
l’elenco dei vari documenti che stanno all’interno, ordinati secondo un ordine cronologico (sono presenti:
numero di corda + regesto + data).
L’inventario corrisponde di fatto ad un elenco di quello che si trova all’interno del fondo.

Anno 2010: nell’archivio di stato di Torino si esegue l’inventariazione di un altro fondo, che corrisponde a
quello che era l’archivio di un unico soggetto produttore, l’abbazia piemontese di Novalesa (fondata
all’inizio dell’8sec.). Tale abbazia possiede l’atto di fondazione dell’abbazia dell’anno 726.
Il fondo archivistico dell’abbazia, non si trova nella stessa abbazia ma presso l’archivio di stato di Torino,
perché moltissimi archivi di enti religiosi sono confluiti negli archivi di stato: sia nell’età napoleonica, sia nel
regno di Sardegna durante l’età di Cavour, si procede alla soppressione di molti enti religiosi e di molte loro
sedi. Nel momento in cui tali enti sono soppressi, la loro documentazione viene acquisita dallo stato.
Il fondo di Novalesa fa parte di un raggruppamento ancora maggiore, il fondo abbazie, il quale a sua volta fa
parte di un fondo ancora più grande, quello della abbazie ecclesiastiche. Anche qui siamo nel 700 e
l’ordinamento per materie domina su tutto, quindi si creano questi grossissimi raggruppamenti di
documenti che riguardano delle singole materie (ci sono anche le materie giuridiche, economiche, militari,
di politica interna, ecc.). anche gli archivi di corte sabaudi subiscono questo riordinamento per materie,
anche se in questo caso è molto meno invasivo rispetto a quello di Milano, dove hanno davvero preso tutta
la documentazione e l’hanno frammentata in una vera e propria enciclopedia.
In questo caso invece, molti fondi come questo, hanno conservato una loro integrità e noi, ora, possediamo
in un unico contesto quello che era l’archivio dell’abbazia di Novalesa.
Questo è un inventario molto moderno ed è fatto a regola d’arte, secondo quello che noi adesso riteniamo
che debba presentare un inventario all’interno di un archivio storico. All’inizio vi è una schedina che dice
quale è la denominazione del fondo e la sua consistenza, gli estremi cronologici e chi ha fatto l’inventario,
ecc. L’inventario poi si apre con una lunga introduzione, che parte da un’indicazione sulla storia del fondo:
descrive le vicende delle carte dell’abbazia di Novalesa nei regi archivi sabaudi.
Vi è quindi un vero e proprio studio storico che si antepone a questa descrizione.

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Alla descrizione delle vicende archivistiche del fondo, seguono ad esempio dei contributi fotografici che
mostrano come erano fatti i precedenti strumenti di ricerca: infatti, quando tra 7-800, questa
documentazione degli enti religiosi arriva dentro gli archivi di corte, hanno già a loro volta degli inventari,
che costituiscono una fonte importantissima per capire come fosse ordinato l’archivio anticamente.
Possiamo trovare poi un quadro cronologico degli strumenti di corredo, quindi tutte le attestazioni di
inventari del fondo che sono stati realizzati a partire dal 1452.
Soltanto a questo punto, incomincia poi l’inventario vero e proprio, con la descrizione analitica dei singoli
fascicoli, che si trovano all’interno dei singoli mazzi.

Sulla sinistra viene riportato il numero della


busta, e poi con un numero progressivo si
dà un indicazione di tutti i documenti che si
trovano all’interno del mazzo, riportando la
date e l’oggetto del fascicolo (in questo
caso tra virgolette, poi chi ha fatto questo
inventario, ha ricopiato le descrizioni 7-
800entesche che erano poste sulle camice).

Infine si riporta anche un’indicazione


sulla consistenza del materiale e sulla
sua natura.

Per finire, troviamo delle tabelle che permetto di fare le concordanze tra il nuovo ordinamento, con i
numeri di corda attuali, e l’organizzazione dei vecchi mazzi.

Non tutti gli inventari devono però essere fatti con questo grado di analiticità; quelle serie che hanno un
forte grado di unità possono essere descritte con degli inventari sommari.

Nell’archivio di stato di Bergamo ci sono dei fondi notarili: vi è anche un fondo notarile molto antico che
contiene registri notarili che partono dalla prima metà del 200.
I registri dei notai contengono tantissimi atti, quindi non è possibile fare un inventario per ciascun registro
di tutti gli atti contenuti, allora si è scelto di fare un indice dei registri dei notai, in cui per ciascun notaio di

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dichiara nome e cognome, il numero dei registri, gli estremi cronologici di riferimento e la piazza in cui
esercita la propria attività.
Nell’archivio di stato di Bergamo troviamo 3 indici notarili (uno ordinato per cognome, uno per data e uno
per residenza).

Non sempre i fondi archivistici sono inventariati: fare un inventario di un fondo è un lavoro molto
complesso, gradualmente gli archivisti possono occuparsi di fare degli inventari di quella documentazione
che non è stata ancora inventariata, ma alo stato attuale molta documentazione continua a non essere
inventariata.
Un fondo non inventariato, specialmente se grande, è praticamente un fondo non consultabile; tuttavia ci
sono degli altri strumenti di ricerca-documenti, che, in mancanza di un inventario, possono essere utilizzati
per orientarsi nella ricerca dei documenti che stiamo cercando. Fra questi strumenti di ricerca, troviamo ad
esempio, gli elenchi di versamento: quando un gruppo di documenti viene versato in archivio storico, deve
essere accompagnato da un elenco, cioè un indicazione generale della consistenza e del contenuto più o
meno delle singole buste o gruppi di buste.
Ex. Inventari sommari ed elenchi di versamento dei documenti dell’azienda ospedaliera Papa Giovanni XXIII,
contenuti nell’archivio di stato di Bergamo.

Ci sono anche altri strumenti di ricerca o di corredo:


 le guide: descrizioni non troppo analitiche, generali, di più fondi archivistici. Ad esempio io posso
fare una guida che potrà essere usata dagli studiosi della storia delle imprese, di tutti i fondi
archivistici di imprese che ci sono in archivi storici della Lombardia (metto tutti insieme all’interno
di una guida tutti i fondi e li descrivo sommariamente).
La guida per eccellenza archivistica in Italia, è la Guida generale degli archivi di stato italiani. È
sostanzialmente un grande tentativo, condotto durante dei decenni tra gli anni 60 e 90 del 900, di dare una
descrizione unitaria del patrimonio di tutti gli archivi di stato italiani.
Questa è un’impresa molto difficile: infatti gli archivi di stato oggi sono 100, formati in maniere molto
eterogenee. Si è scelto di descrivere archivio per archivio la documentazione, dividendola in 3 parti:
1. Descrizione della documentazione di antico regime, degli uffici statali: quali sono i fondi posseduti
dall’archivio, quali sono le loro suddivisioni, quante buste contengono e quali sono gli estremi
cronologici, relativamente alla documentazione degli uffici statali di antico regime (fino all’800);
2. Descrizione della documentazione degli uffici statali dall’800 in poi;
3. Descrizione di fondi che si trovano negli archivi di stato, ma che non sono stati prodotti da uffici
statali: ad esempio gli archivi privati, archivi di enti religiosi, ecc.
Quindi, usando questo schema tripartito, gli autori di questa guida sono riusciti a descrivere in maniera
uniforme tutti i raggruppamenti dei documenti che si trovano negli archivi di stato italiani. Ancora oggi,
questa guida è la chiave d’accesso principale degli studiosi ai fondi dei vari archivi di stato.
In archivistica vi è differenza tra volume e registro:
Il registro è un libro che è stato confezionato prima della compilazione (ex registro di classe degli
insegnanti);
Il volume è invece un libro-codice che è stato formato assemblando a posteriori dei fogli-fascicoli sciolti (ex
volumi di sentenze rilegando insieme tante sentenze scritte su tanti fogli protocollo)

L’AVVENTO DI INTERNET
Da 20-25-30 anni, l’uso dell’informatica ha condizionato le ricerche archivistiche.
Tra la fine degli anni 80 e inizio anni 90, nasce tra gli archivisti un dibattito circa l’individuazione di uno
standard internazionale di descrizione archivistica. Questa discussione è stata portata avanti dal Consiglio

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internazionale degli archivi (ICA), e il risultato è stato uno standard di descrizione archivistica internazionale
(ISAD-G).
Le prime versioni dell’ISAD sono all’inizio degli anni 90 e tuttora lo si usa per descrivere in maniera
uniforme i fondi archivistici e i documenti; consiste in alcune decine di voci standard che devono essere
compilate nel momento in cui si descrivono i vari fondi archivistici (natura dei documenti, estremi
cronologici, consistenza, ecc.)

L’avvento di Internet ha fatto sì che si sviluppassero in Italia, e altrove, alcuni sistemi informativi. Un
sistema informativo è una piattaforma informatica che raccoglie una serie di strumenti di ricerca utili a
eseguire delle ricerche incrociate su un’intera categoria di archivi.
In Italia per esempio sono stati creati, prima il SIAS (sistema informativo degli archivi di stato-per consultare
il patrimonio degli archivi di stato), il SIUSA (sistema informativo unificato delle sovraintendenze
archivistiche-per consultare il patrimonio non statale). Da una decina di anni, dagli anni 10 del 2000, esiste
un sistema generale che si chiama SAN (sistema archivistico nazionale), che permette di eseguire ricerche
sulla base di vari criteri e contiene anche tantissimi portali tematici, che riguardano il mondo degli archivi in
generale, e non solo la ricerca.
*La direzione generale degli archivi (DGA) ha messo online un glossario generale dei termini principali di
archivistica.

IL DOCUMENTO INFORMATICO (delle pubbliche amministrazioni)


Per parlare di documento informatico, è necessario ricordare quali sono gli scopi degli archivi delle
pubbliche amministrazioni; le pubbliche amministrazioni devono assolvere a due funzioni fondamentali:
1. Certezza del diritto: lo stato attraverso gli archivi delle pubbliche amministrazioni, si fa garante del
fatto che all’interno di questi archivi ci siano documenti che attestano miei diritti, che questi
documenti non vengano alterati e che siano validi e che vi possa accedere chi sia autorizzato;
2. Scopo di conservazione: la pubblica amministrazione si deve impegnare a conservare i documenti in
maniera efficace.
Quando passiamo da un ambiente cartaceo a uno digitale, questo passaggio influisce su entrambi gli
aspetti.
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Per quanto riguarda la certezza del diritto, le pubbliche amministrazioni devono garantire che anche il
documento informatico, come quello cartaceo, sia autentico, degno di fede e inalterabile nel tempo;
bisogna eseguire una serie di aggiustamenti tecnici affinché questo sia possibile.
Per quanto riguarda la conservazione, devono inoltre conservare in maniera stabile nel tempo i documenti
informatici, cosa che è estremamente complessa.

Certezza del diritto


Come influisce il passaggio al documento digitale sulla nascita di un documento autentico?

Ciò che rende quindi un documento autentico, cioè degno di fede e con valore di prova, è questo legame
inscindibile tra un certo contenuto testuale e una certa forma.
In ambiente cartaceo, tale nesso-legame inscindibile è assicurato. In ambiente digitale non è così, perchè
posso alterare un documento, quindi affinché un documento sia autentico servono degli espedienti che
garantiscano e rendano stabile l’abbinamento tra il contenuto testuale e la forma.
Il problema dell’abbinamento tra contenuto e forma si pone per tutti i documenti digitali: i documenti
digitali infatti sfruttano dei formati che prima o dopo saranno soggetti ad obsolescenza; nel momento in cui
voglio aprire un file creato 20 anni fa, devo quasi sicuramente cambiare formato, e quindi devo mutarne la
forma, e di conseguenza sto spezzando il legame tra testo inserito e formato del documento.
Altro problema del passaggio al documento informatico: come si fa a rendere autentico un documento
quando non si può usare quello strumento che da sempre è stato usato per rendere autentici dei documenti
cartacei, e cioè la firma autografa? La firma autografa è qualcosa di perfetto, perchè assolve a due funzioni
importanti:
1. Funzione indicativa: indica l’autore del documento. Spesso è scarabocchiata per renderne difficile
l’imitazione.
2. Funzione dichiarativa: nel momento in cui firmo un documento, mi prendo anche la responsabilità
di ciò che ho firmato.
La firma autografa è alla base della genesi della documentazione su formato cartaceo.

Per i documenti che nascono digitali, come posso fare per replicare le due garanzie giuridiche garantite
dalla firma autografa? Si può usare una firma digitale: è un sistema di criptografia, di cifratura (la cifratura
è un insieme di sistemi che permettono di criptare-nascondere il contenuto di un messaggio attraverso una
o due chiavi note a me e al destinatario del messaggio) che garantisce 3 scopi:
1. Scopo di confidenzialità: il documento che produco è visibile solo a chi possiede la chiave di
cifratura; è la pubblica amministrazione che controlla chi può accedere al contenuto informativo
del documento.
2. Principio di integrità dei dati: la firma digitale garantisce che il documento digitale, nel passaggio
dal mittente al destinatario, non subisca delle modifiche, e se le subisce permette di accorgersene.
3. Autenticità: si sostituisce alle funzioni che aveva la firma autografa, permettendo di identificare
l’autore del documento e la responsabilità.

Le firme digitali sono limitate nel tempo, infatti i certificati digitali solitamente hanno una durata limitata, e
poi si devono rinnovare. Dal punto di vista legale, la firma digitale ha lo stesso valore e le stesse funzioni
della firma autografa, e quindi la posso usare per gli stessi scopi.
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Un’applicazione di quanto appena detto, è la cosiddetta PEC, posta elettronica certificata: la PEC ha la
stessa funzione di una raccomandata, dal punto di vista giuridico. La raccomandata è una lettera che in più
ha un documento abbinato che noi firmiamo; la PEC è una mail che parte da me, arriva a un mio gestore
PEC, tale gestore prende la mia mail e le abbina una firma digitale, invia l’email al gestore PEC del
destinatario e poi la invia al destinatario.

STORIA DELLA LEGISLAZIONE DELLE FASI DI VITA DEL DOCUMENTO NEL DIGITALE
La storia dell’informatizzazione nelle pubbliche amministrazioni, dura da circa 30 anni; il primo testo
normativo è una legge del 1990, che reca il titolo “Nuove norme in materia di procedimento
amministrativo e diritto di accesso ai documenti”. Già dal titolo si capisce che è una legge che nasce con la
preoccupazione della trasparenza del processo amministrativo.
In tale legge si iniziano a nominare gli strumenti informativi per diversi motivi: i documenti non essendo più
cartacei, stanno dentro un computer e quindi si hanno problemi di accessibilità; si pone anche il problema
dell’autenticità.
A parte dalla legge del 1990, che per prima nomina gli aspetti della gestione informatica dei documenti, si
susseguono una serie di interventi legislativi che nel giro di un 15ennio, entro la metà degli anni 2000,
hanno portato a quelle che sono le basi del quadro normativo attuale. Poiché l’informatica è in continua
evoluzione, anche la legislazione sul documento informatico è qualcosa che si aggiorna con grande
frequenza.
Le leggi che hanno fissato il quadro attuale della legislazione sul documento informatico, sono agli inizi
dell’anno 2000, e sono sostanzialmente due: Disposizioni legislative in materia di documentazione
amministrativa (DPR del 2000); Codice dell’amministrazione digitale (CAD, 2005). Queste sono due leggi
di carattere generale che danno un orientamento generale agli atteggiamenti che le pubbliche
amministrazioni devono avere nei confronti della loro documentazione informatica e sono accompagnate
da una legislazione collaterale che dà delle indicazioni tecnicamente più pregnanti.

La legislazione degli anni 2000, gira attorno a 3 capisaldi problematici:


1. Nella loro attività ordinaria, le pubbliche amministrazioni devono usare dei documenti digitali
(documenti nati cartacei e poi digitalizzati, o documenti nativi digitali);
2. L’informatizzazione non riguarda solo il documento, ma anche la gestione dei documenti, quindi
tutti i processi che riguardano le fasi di vita del documento.
3. L’amministrazione archivistica, cioè quelle istituzioni preposte in Italia alla tutela e alla
valorizzazione del patrimonio archivistico, esercita sulla formazione e sulla gestione degli archivi
informatici le stesse funzioni che esercita su documenti e archivi cartacei.
In termini generali, il DPR del 2000 stabilisce una regola fondamentale: la gestione dei documenti deve
essere eseguita con sistemi informatici automatizzati.
Tale legge dispone il passaggio dal protocollo cartaceo al protocollo informatico. Il protocollo informatico
ha le stesse funzioni del protocollo analogico, ma dal punto di vista tecnico-pratico fa qualcosa di più: la
registrazione del documento nel protocollo informatico crea un profilo digitale del documento, al
documento quindi si associano una serie di dati (metadati) che descrivono il documento e che servono ad
identificarlo.
All’interno di questa legge del 2000, ci sono poi una serie di disposizioni che precisano una serie di azioni
che garantiranno l’integrità dei documenti, la tracciabilità dei loro spostamenti, la riservatezza della loro
consultazione; per esempio si stabilisce l’obbligo di eseguire la consultazione di un documento nel
protocollo informatico, in un'unica soluzione.
Il protocollo informatico è un programma informatico, quindi, mentre il registro di protocollo cartaceo
posso metterlo in una cassaforte, il registro informatico deve essere sottoposto regolarmente a dei backup,

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e deve avere delle forme di tutela e delle copie di sicurezza; già nel 2000 si disponeva che tutti i giorni,
l’addetto alla registrazione di protocollo, dovesse salvare su un altro supporto i dati registrati durante la
giornata nel protocollo informatico.
In termini di maggiore responsabilizzazione dei soggetti produttori, la legge del 2000 istituisce presso i
soggetti produttori un servizio per la gestione informatica dei documenti; si individua quindi un personale
che sia responsabile per il servizio di gestione documentale all’interno dell’ente. Di conseguenza, la legge
del 2000 predispone che ciascuna pubblica amministrazione raggruppi i propri uffici in tante aree
organizzative omogenee, ovvero gruppi di uffici all’interno dei quali si seguono le stesse prassi di gestione
dei documenti. In ciascuna di queste aree organizzative omogenee, si individua un funzionario, cioè un
impiegato con una professionalità tecnica-archivistica a cui affidare la gestione informatica ei documenti di
quell’area. Tali figure, devono essere responsabili di tutti i passaggi collegati alla gestione dei flussi
documentali.
Inoltre, viene esplicitato che restano valide tutte le precedenti norme circa la gestione dei flussi
documentali cartacei (ad esempio: il trasferimento annuo della documentazione relativa ad affari esauriti
nell’archivio di deposito, la formazione di serie, la redazione di piani di conservazione, i versamenti
periodici in archivio storico della documentazione a conservazione permanente, ecc.).

Siamo nel 2000, in una fase in cui vi è grande disparità nell’adozione di strumenti informatici da parte delle
pubbliche amministrazioni; viene dato un periodo di 5 anni alle pubbliche amministrazioni per adeguarsi ed
iniziare ad usare un protocollo informatico, le pubbliche amministrazioni si adeguano a macchia di
leopardo, però arriviamo nel 2005 in una situazione in cui l’informatizzazione delle procedure
documentarie delle pubbliche amministrazioni, si è compiuta.

Quindi, in una situazione di assestamento dell’informatizzazione dei flussi documentali, si sente il bisogno
di intervenire con il Codice dell’amministrazione digitale (CAD, 2005), con una grande legge generale che
da un lato risolva tutta una serie di questioni tecnico-giuridiche, e dall’altro lato si imponga come testo di
riferimento generale per i rapporti tra le pubbliche amministrazioni e il cittadino.
Questi sono gli anni (siamo a metà degli anni 2000) in cui si incomincia a spingere molto sulla possibilità di
automatizzare le varie procedure amministrative che riguardano i rapporti con il cittadino, si incomincia a
parlare del fatto che i cittadini possano usufruire dei servizi delle pubbliche amministrazioni attraverso le
nuove tecnologie.
Il Codice dell’amministrazione digitale, si divide in varie parti (capi) che vengono progressivamente
aggiornate con nuove norme. Il capo I-principi generali, è estremamente importante, dal punto di vista
della definizione dei rapporti fra istituzione-cittadino nel mondo digitale; contiene una serie di norme
relative alla cittadinanza digitale, cioè il diritto delle persone, fisiche o giuridiche, a disporre di una identità
digitale e di un domicilio digitale. Identità e domicilio digitale permettono di identificare la persona nelle
procedure amministrative, e quindi le diano la possibilità di interagire con le pubbliche amministrazioni e di
accedere ai servizi tramite le tecnologie digitali (ex. Lo SPID).
Tutte queste parti relative al diritto dei cittadini e alla loro identità digitale, sono state aggiunte al Codice
nel 2017; questa aggiunta recepisce un testo del 2015 che si chiama Carta della cittadinanza digitale, un
testo di diritto costituzionale, che stabilisce una serie di diritti che sono connessi con la cittadinanza digitale.
Un altro passo in avanti, rispetto al rapporto tra cittadino e pubbliche amministrazioni, è avvenuto nel 2012
con l’istituzione di un’agenzia governativa, l’AGID (Agenzia governativa per l’Italia digitale) che è un’agenzia
del governo che ha il compito di prospettare le soluzioni tecniche per l’attuazione dei principi del Codice
dell’amministrazione digitale.
Il capo II del CAD è un aggruppamento di articoli che si preoccupano di aspetti collegati ai problemi della
certezza del diritto e ai problemi dell’autenticità del documento informatico. Ci cono due grandi problemi
che il CAD cerca di gestire:

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1. La validità delle firme: il CAD conferma che la firma digitale è l’esatto equivalente della firma
autografa, ma la firma digitale è solo una delle possibili forme di firma elettronica.
Esistono infatti anche firme elettroniche non qualificate, come ad esempio le nostre credenziali per
accedere ai siti; di fronte a queste firme non qualificate, in caso in cui ci troviamo a dover spiegare
ad un giudice che le nostre credenziali sono state usate per imputare a noi un’azione non nostra,
come si deve comportare il giudice?
Nella versione del 2005, il CAD dice che l’autenticità delle firme elettroniche non qualificate sia
liberamente valutabile in giudizio: il giudice id volta in volta potrà scegliere se ritenete adempiute,
attraverso l’uso di credenziali informatiche, quelle necessità di integrità e autenticità dei dati.
Ci saranno poi dal 2005 delle successive modifiche che daranno una definizione più cogente per
indicare cosa fare nelle varie situazioni.

2. Il problema dell’autenticità e del valore giuridico che bisogna accordare alle copie digitali di
documenti nativi cartacei e alle stampe cartacee di documenti nativi digitali: se io ente acquisisco
un documento cartaceo, per comodità ne faccio una scansione da inserire in archivio, tale scansione
avrà lo stesso valore dell’originale cartaceo? Se io ente stampo dei documenti, lo stampato avrà lo
stesso valore del documento digitale originale?
Da un lato vi è un problema giuridico, come posso usare questi documenti, dall’altro lato vi è un
problema di conservazione, perché nel momento in cui eseguo lo scarto del documento, il fatto che
un documento sia originale o sia la copia non è del tutto irrilevante. Il CAD dice che se un
documento cartaceo è trasformato in una copia digitale, quella copia digitale per essere autentica e
avere lo stesso valore dell’originale cartaceo, dovrà essere accompagnata da una firma digitale;
viceversa, se un documento digitale viene stampato in una copia cartacea, quella copia avrà la
stessa validità dell’originale se un pubblico ufficiale attesterà la conformità della copia rispetto
all’originale.

*Approfondimento libro
Tutti i documenti che compongono un archivio sono collegati (rete di relazioni).
La teoria di Cencetti: esiste una relazione tra tutti i documenti di un archivio -vincolo archivistico- e tale
relazione deriva dal fatto che dietro alla nascita di tutti i documenti vi è un’unica volontà, ovvero quella del
soggetto produttore.
Il vincolo ha dei caratteri di necessarietà: dato un certo tipo di soggetto produttore che segue certe regole
per organizzare la documentazione, i documenti del suo archivio dovranno essere organizzati in uno e un
solo modo (l’archivio rispecchia l’istituto -teoria del rispecchiamento-).* -fine approfondimento libro-

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Il capo III del CAD si riferisce alla regolazione delle tre fasi di vita del documento in ambiente digitale;
a questo capo appartiene l’ART. 40, che parla di archivio corrente e introduce un concetto fondamentale: le
pubbliche amministrazioni formano l’originale dei propri documenti con mezzi informatici. Questo non
impedirà di stamparli, ma i documenti delle pubbliche amministrazioni devono nascere digitali.
L’art. che più ci interessa è l’ART. 41: esso ha subito delle modifiche nel corso del tempo, ma
fondamentalmente spiega come debba avvenire, in ambiente digitale, la fascicolazione.

Per ciascun affare, la


pubblica amministrazione
titolare compone un
fascicolo contenente tutti i
dati relativi all’affare stesso;
nel momento in cui un
fascicolo viene aperto,
questo viene comunicato a
tutti gli interessati.
Gli interessati al fascicolo
informatico sono: il
cittadino e le altre pubbliche
amministrazioni che
partecipano alla pratica.
Il fascicolo informatico deve essere formato in maniera tale che gli aventi diritto possano consultarlo
(comma 2-bis).
Io-cittadino o pubblica amministrazione, avente diritto, posso consultare i documenti della pratica che mi
riguarda, ma affinché ciò sia possibile e io possa partecipare a questa consultazione del fascicolo creato,
presso una pubblica amministrazione, è necessario che tale pubblica amministrazione abbia fornito i servizi
di interoperabilità: ovvero abbia formato un file-programma-software in cui io possa accedere e
modificarlo.
Una novità, quindi, del fascicolo informatico è che le pubbliche amministrazioni lo formano in maniera tale
che un cittadino o altre pubbliche amministrazioni possano consultarlo o modificarlo, lavorando quindi con
programmi il più fruibili possibili da altri soggetti.
Inoltre il comma 2-ter sottolinea dati che devono essere abbinati al fascicolo informatico, nell’ottica della
garanzia legale che le pubbliche amministrazioni esercitano sull’integrità dei dati. Il fascicolo informatico è
quindi accompagnato da una serie di metadati che riguardano l’indicazione dell’amministrazione titolare

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del procedimento, delle altre amministrazioni partecipanti, ecc. Il fascicolo informatico esiste con
appiccicati metadati che danno informazioni su questi punti (comma 2-ter).

Questo gruppo di norme è seguito da norme che riguardano la conservazione, quindi le successive fasi di
vita del documento stesso. Conservare un documento per una pubblica amministrazione vuol dire
garantire, su lungo periodo, che i documenti che attestano i miei diritti siano fruibili e inalterabili. In
ambiente digitale questo è molto complesso perché, se un documento scritto 500 anni fa su carta è
intrinsecamente immutabile sul piano materiale, per i documenti informatici si presenta invece un
problema di obsolescenza sul livello dei supporti e sul livello dei software-programmi. Tutti i documenti
digitali per essere fruibili continuamente, subiscono un processo di trasformazione, passando da un
supporto all’altro e da un formato all’altro (da quello più vecchio a quello più nuovo), hanno quindi bisogno
di una “migrazione”.
Il problema, soprattutto per la migrazione tra software, è che cambiare l’estensione di un file significa
sostanzialmente modificarlo, dal punto di vista tecnico è un grande problema rispetto alla necessità delle
pubbliche amministrazioni di garantire l’inalterabilità e l’unicità del contenuto, proprio perché l’autenticità
dei documenti risiede nell’abbinamento tra il contenuto e la loro forma-supporto.
Mentre la conservazione di un documento cartaceo non comporta un dinamismo di contenuti e supporti, la
conservazione del documento digitale è invece un’attività costante e dinamica, che prevede interventi
costanti nel tempo.

PROBLEMA DELLA CONSERVAZIONE


I documenti quando passano al formato informatico non hanno più un abbinamento stabile fra il contenuto
e la forma , questo già di per sé è un problema . La conservazione del documento informatico è un’attività
dinamica che prevede di eseguire periodicamente delle migrazioni tanto di supporto quanto di formato .
Le MIGRAZIONI DI FORMATO sono un problema perché cambiando le dimensioni dei file si perde
l’abbinamento supporto-forma-contenuto e viene minacciata l’autenticità del documento; la legge italiana
pone delle regole su come e chi devono essere eseguiti questi passaggi.
Altro problema: INDIVIDUAZIONE DI RESPONSABILITA’ delle varie azioni rispetto al flusso di
documentazione. Nel 2000 si sente la necessità di individuare chi fa cosa nelle pubbliche amministrazioni,
perché si sta passando a registri informatici; i registri cartacei sappiamo che ogni ente / ogni pubblica
amministrazione ha il proprio archivio di deposito che si trova presso l’ente, ma con i documenti
informatici non è così semplice.
I documenti informatici non perdono la loro materialità (smaterializzazione dei documento) ma il
documento, per quanto informatico, ha un’esistenza fisica nella misura in cui da qualche parte ci sarà un
server con dei supporti di memoria nei quali le informazioni sono salvate.
Il problema è che non tutte le pubbliche amministrazioni hanno un loro server. Il passaggio al documento
informatico apre la possibilità al fatto che la documentazione digitale sia archiviata su un server che non
appartiene alla stessa pubblica amministrazione. In questi casi lo Stato deve essere particolarmente attento
a vigilare affinché, il privato che sta fornendo un servizio di conservazione documentaria, conservi questi
documenti nella maniera corretta.
Tutta una serie di criteri che sono forniti da un documento che si chiama LINEE GUIDA sulla conservazione
dei documenti informatici e sono emesse dall’AGID, agenzia governativa Italia digitale (istituito nel 2012),
che si occupa di indicare le specifiche tecniche che devono essere rispettate nella conservazione delle
pubbliche amministrazioni.

C’è un ultimo articolo del CAD che parla di conservazione dei documenti informatici ed è l’ART. 44 (requisiti
per la gestione e conservazione dei documenti informatici): questo articolo ci spiega che conservare un

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documento digitale non significa semplicemente conservarlo e garantire l’immodificabilità del contenuto
del singolo documento, ma significa in realtà conservare due cose:
1)le aggregazioni logiche di documenti: quindi i fascicoli e le serie, che sono composte da fascicoli
omogenei;
2)le informazioni sotto forma di metadati che sono associate ai documenti e ai fascicoli. I metadati sono ciò
che rende esplicito il vincolo archivistico.

DPCM del 2013 con cui


lo Stato italiano si è
preoccupato per la
prima volta di fornire
delle Regole tecniche in
materia di sistemi di
conservazione,
definendo tutto
l’insieme di metadati e
quello che essi devono
dire.

Lo Stato, per capire quale sia l’insieme di questi metadati che un fascicolo deve avere perchè il vincolo
archivistico sia esplicitato, recepisce uno standard internazionale. Esiste un organizzazione mondiale ISO
(International Standard Organisation) che è quell’organizzazione che definisce standard internazionali per il
funzionamento di qualsiasi strumento materiale o informatico, e ha elaborato questo OAIS che è uno
standard internazionale per l’elaborazione di pacchetti di metadati per i documenti digitali e la
conservazione dei documenti informatici.

I documenti informatici sono sottoposti alle due azioni principali che l’amministrazione archivistica in Italia
svolge, cioè la TUTELA e la VIGILANZA da parte degli organi dello stato (tutela e vigilanza sono due azioni
cardine del sistema archivistico italiano).
Ad esercitare la vigilanza sugli archivi di enti pubblici non statali sono le sovraintendenze; il Codice dei beni
culturali (2004) spiega che tra le situazioni in cui la sovraintendenza archivistica deve intervenire dando il
proprio nulla osta, c’è anche il trasferimento di archivi, che siano archivi pubblici o privati di interesse
culturale. Lo stato italiano interviene, attraverso le sovraintendenze, anche sulla selezione, infatti tutte le
regole relative allo scarto si applicano anche in ambiente digitale e valgono le stesse garanzie legali che
valgono per gli ambienti cartacei.(il nulla osta della sovraintendenza e il coinvolgimento del ministero dei
beni culturali).

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CONSULTABILITA’, ACCESSIBILITA’ DEI DOCUMENTI
I documenti d’archivio statali e degli enti pubblici, sono pubblici, ma non sempre è così. all’interno degli
archivi delle pubbliche amministrazioni sono conservati dei documenti che dicono “chi sono, cosa faccio,
che patologie ho, ecc…” cioè informazioni che non possono essere comunicate a chiunque perché sono MIE
e ci sono una serie di informazioni che lo stato stabilisce che per determinati periodi è meglio che non
circolino per motivi di sicurezza e quindi non sono subito accessibili a tutti quanti.
-Esistono delle figure istituzionali che si occupano di questi aspetti, come il garante della privacy, ed esiste
tutta una legislazione, una serie di prassi che regolano il problema dell’accesso ai documenti, soprattutto a
questi documenti più delicati.

QUALI SONO LE LEGGI CHE SI OCCUOPANO DI QUESTI ASPETTI?

Legge del
2004
(Codice
dei beni
culturali).
Esisteva
già nel
2003 un
codice
riguardo la
protezione
dei dati
personali e
un’altra
norma
importante che ha integrato questo insieme di leggi è il regolamento generale sulla protezione dei dati che
l’Italia ha adottato nel 2016 recependo una normativa europea.

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Questo capo III parla della consultabilità dei documenti degli archivi e tutela della riservatezza.
I documenti conservati negli archivi pubblici, la legge ci dice che sono liberamente consultabili, ma con due
eccezioni:
a)Quelli dichiarati di carattere riservato e riguardanti la politica estera, che diventano consultabili 50 anni
dopo la data del documento stesso;
b)I documenti che contengono dei dati personali, dati sensibili e documenti di natura penale che
diventano consultabili 40 anni dopo la loro data.

Questa legge ci sta dicendo che dei DATI PERSONALI esistono due tipi:
1) i dati sensibili quindi che rivelano le origini di una persona, le convinzioni politiche, i dati genetici ecc… e i
documenti che li contengono possono essere comunicabili dopo 40 anni;
2 )all’interno dei dati sensibili c’è un gruppo di dati super sensibili cioè quelli relativi alla salute della
persona, vita sessuale e ai rapporti riservati di tipo famigliare, e possono essere consultati dopo 70 anni.

-Un altro gruppo di documenti riservati è quello dei Dati relativi a condanne penali e connesse misure di
sicurezza (ex. incarceramento) possono essere consultati 40 anni dopo la data del documento.
Nel COMMA 3: gli archivi di stato possiedono non soltanto i documenti prodotti dall’ente ma possono
anche ricevere, o in donazione o per acquisto o per deposito degli archivi di privati; queste disposizioni
vengono applicate anche a questo tipo di archivi depositati negli archivi pubblici, possono anche stabilire la
NON CONSULTABILITA’ della documentazione posteriore a 70 anni fa.

Ci sono però dei modi che fanno sì che chi legittimamente, per necessarietà, ha bisogno di questi
documenti, vi si possa accedere attraverso una normativa molto attenta.

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Questi documenti
riservati non sono
completamento
inconsultabili, ma
hanno una
consultazione
limitata e
regolata
attraverso un
meccanismo di
decisione che, per
la
documentazione
di archivi di stato,
fa capo al
Ministero
dell’interno (art.
123).

Il Ministero dell’interno dispone di una commissione che formula pareri di accesso ai dati riservati; se io
devo svolgere una ricerca posso, presentando una domanda, ricevere un’autorizzazione all’accesso anche
prima della decorrenza dei termini (comma 1).
Comma 2: una volta ricevuta l’autorizzazione, questi documenti rimangono comunque riservati, quindi non
posso pubblicarli. Anzi, posso pubblicarli seguendo un codice di regole deontologiche, che è un codice che
recepisce la normativa europea del 2016 e che reca il tiolo di Regole deontologiche per il trattamento a fini
di archiviazione nel pubblico interesse o per scopi di ricerca storica.
Queste regole deontologiche devono essere seguite e rivolte all’archivista e dallo studioso stesso che studia
i dati e deve avere la possibilità di pubblicare le sue idee, ma non ignorando certi bisogni di rispetto della
dignità delle persone riguardate dai dati sensibili dei documenti riservati. Da questi derivano principi
ulteriori, come quello per cui l’utente può diffondere i dati personali se sono pertinenti e indispensabili alla
ricerca e se gli stessi non ledono la dignità e la riservatezza delle persone.
Solitamente si usa l’anonimato come soluzione, senza riportare il nome delle persone coinvolte.

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Un discorso diverso si applica quando si stanno descrivendo personaggi noti: la sfera privata delle persone
note, deve essere rispettata nel caso in cui le notizie o i dati non abbiano alcun rilievo sul loro ruolo o sulla
loro vita pubblica.
In generale, la differenza fondamentale è quella che c’è tra comunicabilità dei documenti e pubblicabilità
dei documenti. Se un documento può essere comunicato vuol dire che può mettere essere a disposizione di
uno storico; non necessariamente un documento comunicabile può anche essere pubblicabile.

Aggiornato 2018

DOCUMENTI SEGRETI
I documenti segreti sono tali per questioni di sicurezza: ce ne sono di due tipi che differiscono per vari
aspetti, a cominciare da chi è che li dichiara segreti.
1. Documenti sottoposti a classifiche di segretezza: sono documenti che i vari uffici produttori
dichiarano segreti nel momento stesso in cui li producono. Questi documenti si chiamano
documenti classificati, perchè quando un documento viene dichiarato segreto da un ufficio
produttore, viene inserito in una classifica di segretezza, cioè una griglia di 4 livelli di segretezza. In
questo caso la segretezza ha una scadenza: esiste una normativa del 2007 che stabilisce che, di 5
anni in 5 anni, i documenti sottoposti a classifiche di segretezza scendano al livello inferiore di
segretezza e poi escano del tutto. I documenti segreti di questo tipo, non possono essere
comunque tenuti segreti all’autorità giudiziaria.
2. Documenti sottoposti a segreto di stato: sono documenti che hanno a che vedere con la sicurezza
nazionale e che solitamente, per provvedimento della presidenza del consiglio, sono classificati

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come segreto di stato. Sempre alla presidenza del consiglio, spetta la decisione di declassificarli e
quindi desegretarli. Piu volte è successo nella storia recente italiana che il Presidente del consiglio
decidesse di declassificare interi gruppi di documenti relativi a determinati oggetti, spesso affinché
questi documenti vengano accorpati e versati nell’archivio centrale di stato, per agevolare la
consultazione agli storici.
Ad esempio, gli atti relativi al caso Moro: varie direttive hanno stabilito di declassificarli e inserirli
all’interno dell’archivio centrale dello stato. La direttiva Prodi (2008) riguarda proprio documenti
relativi al caso Moro e versati nell’archivio centrale dello stato e diventati ad accesso pubblico.
Nell’archivio centrale dello stato ci sono anche atti relativi alla declassifica avviata dalla direttiva
Renzi (2014), cioè atti relativi alle stragi degli anni 70.
Quest’anno, Draghi ha emanato un’ulteriore direttiva relativa alla declassifica degli atti segretati
relativi alla Loggia P2 e al Gladio.

*Normalmente dopo 50 anni la documentazione viene comunque desegretata.

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LIBRO
Il capitolo più tosto è il primo: utile per la descrizione del documento d’archivio, ma la difficolta sta nel
confronto con altri studi di altri paesi.
Cap 1.3 (naturalezza, unicità, ecc.)
1.4 ci si può basare su quello che ha detto lui (1.5)
Cap sulle 3 fasi di vita del documento danno info in più su quello che ha detto lui. Pag. 45 concetto di
assegnazione: prima delle tre operazioni, c’è l’assegnazione, atto con cui l’ente che ha ricevuto il
documento lo assegna ad un ufficio di competenza.
Pag. 48: unità archivistica relativa alla fascicolazione, nel momento in cui il fascicolo si forma, l’unità
archivistica non è più il singolo documento, ma è il fascicolo.
Pag. 52: tutti gli strumenti di gestione in archivio corrente servono come strumenti di corredo coevi e in
ambiente informativo servono a costruire il profilo digitale di un documento (cioè documento con tutti i
metadati che lo identificano).
Archivi ibridi= archivio che contiene documenti cartacei e documenti digitali.
Cap.3: presenza storia su come cambia la storia dell’archivio di deposito. Leggere il confronto modello di
archivio in Italia e altri paesi. Esplicita l’accessibilità relativa agli archivi correnti: in tutte le fasi, gli archivi
delle pubbliche amministrazioni, sono beni culturali e quindi sono accessibili, anche a chi non è un avente
diritto cioè ai fini di ricerca.
Cap.4 riprende le cose che ha detto lui.
parte della selezione molto didascalica.
Sapere quali tipi di archivi storici esistono in Italia (domanda che fa più frequente)
Cap.5 riprende cose che ha detto lui
Cap.6 definizione di termini – parte finale info su come si esegue l’ordinamento dei fondi nella pratica -
sottoparagrafo del versamento (che non ha detto, da guardare)
Cap 8-9 molto discorsivi, cose di cui abbiamo parlato
Cap.7 da non guardare (fare solo cose dette a lezione)

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