Documenti e archivio
La recente definizione teorica ha approfondito l’analisi del concetto di documento archivistico; in questa
categoria sono stati infatti inseriti gli scritti non formalmente perfezionati, ma comunque rilevanti per la
formazione della memoria istituzionale del soggetto produttore.
Paola Carucci definisce documento archivistico ogni rappresentazione di un fatto o di un atto
relativo allo svolgimento dell’attività istituzionale di un ente o di una persona.
Mariella Guercio, invece, lo definisce come una rappresentazione memorizzata su un supporto e
conservata da una persona fisica o giuridica nell’esercizio delle sue funzioni.
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circostanze, assume un ruolo di primaria importanza in quanto consente di ricostruire il passato e ricavare i
precedenti.
Il modello nordamericano prevede una differenziazione sostanziale tra documenti attivi (rilevanti per la
conduzione degli affari) e tra documenti inattivi. Ma in tempi recenti si è accettata la concezione delle tre
fasi di vita degli archivi, introducendo il concetto dei documenti semiattivi.
Il modello tedesco, invece, prevede quattro fasi (cancelleria, registratura corrente, registratura di deposito e
l’archivio).
Il modello spagnolo, infine, prevede quattro fasi a seconda del tempo passato dalla formazione del
documento.
Anche Elio Lodolini, seguendo le indicazioni tedesche e spagnole, propone per il nostro Paese quattro età dei
documenti: archivio corrente (0-5), archivio di deposito (5-15,20), prearchivio (15,20-40,50) e archivio
(oltre 50).
Uffici e organi centrali dello Stato: Archivio centrale dello Stato e altre sedi di conservazione
L’Archivio centrale dello Stato, con sede all’EUR di Roma, fu istituito nel 1959-60. In esso si conservano gli
originali delle leggi, le inchieste parlamentari, gli archivi del Senato, dei Tribunali militari, dello Stato
fascista e di enti nazionali; svolge inoltre funzioni di sorveglianza sugli archivi correnti e di deposito.
Oltre l’Archivio centrale dello Stato le altre sedi designate per la conservazione dei documenti sono:
• gli Archivi storici parlamentari,
• l’Archivio storico della Presidenza della Repubblica,
• l’Archivio storico della Corte costituzionale,
• l’Archivio storico del Ministero degli affari esteri,
• gli Archivi storici del Ministero della Difesa (militare, della Marina, dell’Aeronautica, dell’Arma del
Genio),
• l’Archivio storico della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Gli enti pubblici e gli archivi privati dichiarati di interesse storico particolarmente importante:
le Soprintendenze archivistiche
Gli Archivi dichiarati di interesse storico particolarmente importante vengono conservati dai rispettivi
produttori, ma la loro sorveglianza spetta alla Soprintendenze archivistiche. La loro attività di vigilanza,
esplicata anche attraverso le ispezioni, è volta a garantire l’individuazione, la conservazione e l’uso corretto
del patrimonio archivistico.
Per sostenere i privati nella conservazione dei loro archivi lo Stato prevede l’erogazione di alcuni
contributi finanziari. Le Soprintendenze, dal canto loro, possono disporre addirittura l’esproprio dei beni
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archivistici “in pericolo”, al fine di garantirne la fruibilità futura. Queste vigilano anche sugli archivi
ecclesiastici, che vengono riconosciuti come archivi privati.
L’attività didattica
L’Amministrazione archivistica svolge inoltre un’altra funzione molto importante: quella didattica. Negli
ultimi anni tale Amministrazione ha addirittura organizzato corsi, di breve durata, atti alla formazione di
nuovo personale capace di preservare i beni archivistici.
Un caso esemplare: la gestione documentale nel Comune di Padova dal XIII al XXI secolo
L’esame della situazione del comune di Padova ci permette di analizzare le modalità di formazione, gestione
e conservazione degli archivi dal medioevo ai giorni nostri.
L’epoca comunale. Risale al 1263 la prima indicazione sul testo statutario, conservato in
quadruplice copia presso altrettanti uffici; inoltre alcune copie di sicurezza dei documenti considerati vitali
erano conservate in armadietti blindati presso i monasteri cittadini. I documenti minori erano rilegati in
volumi, la consultazione era consentita sia agli ufficiali comunali, sia ai singoli cittadini.
La dominazione veneziana. Intorno al 1420 vennero promulgate una serie di norme per
l’organizzazione della cancelleria municipale e dell’archivio. Si elessero un cancelliere e alcuni notai
incaricati della redazione e della conservazione dell’archivio. La carica era vitalizia, salvo manifesta
indegnità. Gli eredi dei notai defunti vennero obbligati a consegnare all’archivio municipale le scritture
private in loro possesso. L’archivio cittadino si andava configurando come un’istituzione nella quale
confluivano anche gli archivi prodotti dagli altri soggetti. Nel 1583 tra i notai più esperti della città venne
eletto un massaro che gestisse l’archivio comunale; la carica era triennale, ogni anno il suo lavoro veniva
vagliato da due consiglieri: queste precauzioni erano dettate dall’esigenza di garantire l’autenticità dei
documenti. Queste regole rimasero in vigore a lungo, anche quando nel 1633 vi fu una riforma dovuta
all’aumento della mole dei documenti: si incrementò il numero degli addetti, si cambiò sede dei documenti,
si riordinò la documentazione in ordine alfabetico (Giuseppe Revese).
L’Ottocento e il Novecento. La caduta della Serenissima causò la dispersione e spesso la perdita dei
documenti conservati; si affermò in questo periodo un nuovo modo di gestione, caratterizzato dalla
registrazione a protocollo e dalla classificazione dei documenti. A Padova la gestione dell’archivio delle
passate amministrazioni ricadde sul Museo. Innumerevoli furono gli archivisti che si susseguirono nell’opera
di recupero dei documenti, ma lo spartiacque fu segnato dall’opera del Gloria, che divise anche fisicamente
l’archivio storico e quello amministrativo. Questa decisione, se da un lato portò alla conservazione perfetta
dell’archivio storico, dall’altro portò ad una gestione spesso dubbia della parte amministrativa.
Realizzazioni e progetti. Alla fine del XX secolo l’amministrazione comunale ha capito che il
servizio archivistico andava ripensato e riorganizzato. Tale consapevolezza ha portato ad una serie di norme
atte alla miglioria delle condizioni dell’archivio, che tra le altre cose hanno portato a:
• Censimento sistematico di tutti i documenti conservati in ben 87 sedi;
• Costruzione e arredo a norma della nuova sede dell’archivio di deposito;
• Cicli di addestramento del personale;
• Scelta di un sistema informatico di protocollazione;
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1. Il registro di protocollo consiste in sostanza nella memorizzazione dei dati essenziali del singolo
documento in grado di individuarlo in modo univoco. La forma dei registri di protocollo si standardizza ben
presto, sino ad arrivare alla forma attuale (due facciate da leggere simultaneamente, in arrivo e in partenza).
La registrazione dei documenti in un registro di protocollo è rigidamente cronologica, scandita da un
numero progressivo (si inizia da 1 ad ogni anno solare), detto numero di protocollo, che individua in modo
univoco e definitivo il documento (il numero viene riportato anche sul documento stesso): es. 17600/2007.
Del documento registrato si riportano:
• Data di redazione del documento;
• Data di registrazione (il documento entra a far parte dell’archivio);
• Oggetto, sintetico ma preciso;
• Mezzo di trasmissione;
• Numero degli allegati;
• Classificazione;
• Numero del documento precedente e successivo relativo a quell’affare, in modo da ricostruirne la
storia;
La funzione del registro di protocollo è duplice:
• Attestare la presenza di un documento all’interno dell’archivio;
• Documentare la data archivistica di quel documento.
2. L’indice del registro di protocollo è uno strumento che consente di reperire un determinato mittente o
destinatario di corrispondenza.
4. L’utilizzo dei fascicoli consente l’ordinato stratificarsi della produzione documentaria; i fascicoli sono
contenuti in una camicia in carta forte sulla quale vanno riportati i dati identificativi (anno, titolo e classe del
fascicolo, numero, oggetto); es. 2005-VI/5.26 “Costruzione del nuovo archivio di deposito”.
ISO 15489
L’Organizzazione Internazionale per gli Standard, organismo federale di più Stati membri, ha emanato una
norma per la gestione documentale, ISO 15489, appunto. Tale norma si propone di fornire una guida per la
gestione dei documenti e degli archivi in organizzazioni pubbliche o private.
L’Archivio generale di Ateneo dell’Università degli Studi di Padova: un esempio di gestione integrata.
Tale ente pubblico conserva tutto il suo archivio (corrente, di deposito e storico) seguendo la normativa
vigente, sia per le tecnologie che per le esigenze dell’amministrazione. Sorta nel 1222, l’Università di
Padova conserva nel proprio archivio le serie dei fascicoli degli studenti, dei professori, delle tesi di laurea,
delle delibere accademiche e della contabilità.
Sorveglianza e vigilanza.
Gli archivi di deposito degli uffici statali vengono sorvegliati da apposite commissioni; queste devono
preparare il materiale per il futuro versamento nell’Archivio centrale dello Stato, ossia per la conservazione
permanente. In questa fase si deciderà quale materiale conservare e quale scartare (verbali di scarto e di
versamento).
Romiti distingue gli scarti in differito, preordinato e in itinere. Il primo di questi scarti, molto avanti nel
tempo, è sempre più tralasciato a favore degli altri due. Lo scarto preordinato, infatti, non è altro che una
delle pratiche della semplificazione amministrativa, consistente nello snellimento della produzione, mentre
quello in itinere si ha sostituendo carte uguali indispensabili in fasi preparatorie con documenti autentici
riassuntivi.
Sfoltimento
Con questo termine si intende l’estrazione e l’eliminazione fisica di alcuni documenti da un fascicolo e da
una serie. Ad esempio, dalla serie Concorsi, si possono eliminare le domande dei candidati una volta scaduto
il periodo nel quale si può ricevere un ricorso.
Campionatura.
Con questo termine si intende l’eliminazione della maggior parte di una serie, della quale però si conserva un
campione ridotto. Ad esempio, delle denunce dei redditi si conserva un campione non inferiore all’1%.
Macero e triturazione.
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Il materiale destinato allo scarto è solitamente riciclato. Sin dall’inizio del Novecento, il materiale
archivistico di scarto era consegnato alla Croce Rossa Italiana, che ne ricavava utili. Attualmente invece ogni
amministrazione può decidere le modalità di cessione. Per alcuni documenti, per es. quelli che possono dare
vita a truffe o quelli riservati, sono previste norme atte alla verifica dell’avvenuta distruzione.
La conservazione.
Conservare un archivio significa non solo provvedere alla costruzione di un edificio attrezzato, ma anche e
soprattutto realizzare le condizioni migliori per la sua fruizione sia amministrativa che scientifica.
Per quanto concerne la realizzazione dell’edificio, in Italia più che in ogni altro luogo sorge il
problema della destinazione, in quanto vista l’enorme mole di edifici di interesse artistico è necessario
sfruttare questi. Tuttavia negli edifici destinati alla conservazione archivistica bisogna prevedere:
• Area destinata all’accoglienza di utenti esterni (guardaroba, ristoro, bagni, telefono)
• Area per consultazione e studio (sale studio con prese per PC)
• Area destinata al personale tecnico-scientifico e amministrativo
• Depositi per il materiale, monitorati e trattati per clima, umidità e luce
• Area tecnologica (restauro, legatoria, riproduzioni)
Oltre, ovviamente, ai lavori di consolidamento dell’edificio, che deve avere una capacità di 1200kg/mq in
caso di scaffalatura compattabile (che riduce la necessità di spazi) e ai sistemi di sorveglianza e di allarme.
Per ovviare a questi problemi molti enti hanno destinato il loro archivio storico a terzi, di fatto riducendo
l’archivio ad un semplice deposito.
La descrizione archivistica.
Gli strumenti descrittivi servono a tutelare il materiale per consentire l’accesso ai documenti archivistici.
• Lo standard ISAD (G) serve per la descrizione di un archivio nelle sue articolazioni; si basa sul
concetto di multilivellarità, che comporta l’evidenziazione dei nessi sia di carattere orizzontale che
verticale. Dei 26 punti descrittivi dello standard, 5 sono assolutamente indispensabili e sono:
1. Segnatura archivistica: nome Stato, località, istituto conservazione, archivio, serie, unità;
2. Denominazione o titolo, che può essere testuale o critico;
3. Estremi cronologici dell’unità, con informazioni sugli allegati;
4. Aspetto fisico dell’unità e la sua consistenza;
5. Livello di descrizione.
• Lo standard ISAAR (CPF) serve per la descrizione del soggetto produttore o conservatore; lo scopo
di queste norme è quello di creare liste di autorità in grado di regolamentare gli accessi alle
informazioni. Lo standard ISAAR (CPF) può essere utilizzato per la descrizione di enti, persone,
famiglie; le norme fondamentali di questo standard sono:
1. Tipologia del soggetto produttore;
2. Forma o forme autorizzate del nome;
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3. Date di esistenza;
4. Codice identificativo del record di autorità.
Censimento.
Con il termine “censimento” si intende uno dei mezzi di corredo archivistico che elenca tutti gli archivi di un
certo tipo esistenti in un determinato territorio. Può essere pubblicato, ma di solito è un documento
preparatorio alla guida.
La realizzazione di un censimento prevede una serie di operazioni scientifiche:
- Realizzazione di un campo d’indagine,
- Indagini bibliografiche,
- Piano di rilevazione (pianificazione anche economica),
- Definizione di una scheda di rilevazione,
- Raccolta dei dati,
- Rielaborazione dei dati.
Guide
Esistono vari tipi di guide: settoriali, tematiche, topografiche, d’istituto.
Le guide settoriali sono un mezzo di corredo attraverso il quale si descrivono tutti gli archivi di un
certo tipo esistenti in un determinato territorio. Solitamente pubblicate, si compongono di un’introduzione,
che contiene i criteri di individuazione, le schede descrittive dei singoli archivi, l’indice dei nomi di persone
e di famiglie, località, istituzioni e autori citati.
Le guide tematiche sono un mezzo di corredo attraverso il quale si elenca e descrive il materiale
relativo ad un determinato tema di ricerca, sia esso un intero archivio, una serie, una singola unità
archivistica. La guida tematica è di difficile realizzazione in quanto è difficile censire tutto l’esistente su un
dato argomento. Di solito sono destinate alla stampa.
Le guide topografiche sono un mezzo di corredo attraverso il quale si facilita la collocazione fisica
di un archivio, di una serie o di un pezzo all’interno di un istituto di conservazione. Serve soprattutto per il
servizio interno di reperimento. È utile in caso di trasferimento del materiale da una sede all’altra. È
costituita da piante dettagliate dei locali.
Le guide d’istituto sono un mezzo di corredo attraverso il quale si descrive in modo logico e
sistematico i fondi in esso conservati; sono pochi gli istituti ad avere una propria guida.
Elenco.
Con il termine “elenco” si intende il mezzo di corredo archivistico che descrive un archivio del quale non
ricostruisce, a differenza dell’inventario, l’ordine e la struttura. Un elenco è analitico quando fornisce una
descrizione critica, mentre viene definito di consistenza quando fornisce una descrizione sommaria.
Inventario.
Con il termine “inventario” si intende il mezzo di corredo redatto al termine di un processo critico di riordino
(riordinare secondo l’ordine originario, non quello attuale) di un archivio. È costituito da un’introduzione
generale, riguardante la storia del produttore e le vicende dell’archivio, una sezione descrittiva, nella quale
le singole unità dell’archivio vengono raggruppate in serie, introdotte da un cappello, e dall’indice dei nomi.
L’inventario, quindi, a differenza dell’elenco, presuppone un riordino dei documenti; l’inventario in
definitiva non è solo un elenco, sia pure analitico, di descrizioni dei singoli pezzi, ma ricostruisce il
funzionamento dell’archivio nella sua organizzazione originaria.
Per quanto riguarda il riordino, bisogna elencare i passaggi che producono questo effetto:
• Schedatura preliminare, anche sommaria (preferibile partire dai pezzi legati) che porta alla stesura di
una prima schedatura contenente n° provvisorio, titolo, estremi cronologici, descrizione fisica;
• Tenere a mente le denominazioni gergali, utili per ricostruire il sistema dell’archivista originale.
L’inventario deve considerare solo l’archivio storico e non quello di deposito, in quanto in quest’ultima parte
non è avvenuto ancora lo scarto.
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numero di persone un testo che per difficoltà grafiche e linguistiche rimarrebbe fruibile solo da poche
persone. L’ortografia deve rimanere estremamente fedele all’originale, a parte qualche eccezione:
• Scioglimento del segno y
• Resa con il segno i della j
• Resa con suono consonantico o vocalico del simbolo v
• Scioglimento delle abbreviazioni
• Scioglimento dubbio: Pad Pad(ue) oppure Pad(uanus)
• Guasto del supporto: v[endidit e]t tradidit
• Lapsus del compilatore: Bon<fi>glio
• Lacune del compilatore: Caius filius ***
Ogni documento della trascrizione deve essere numerato e deve contenere informazioni relative alla data,
alla sede di conservazione, alle note. Deve infine contenere un indice.
Regesto.
Si intende con il termine “regesto” la descrizione critica dell’azione giuridica. Si adottano le stesse regole
ortografiche dell’edizione critica.
Sunto.
Il sunto è la forma più discorsiva del regesto.
Scheda.
Preferibile a volte al regesto, consiste in una schedatura sistematica di un gruppo di documenti, che può
assumere anche l’aspetto di una base di dati (es. schedario testamenti, schedario dei procuratori di S. Marco)
Indice.
Con il termine “indice” si intende l’elenco in ordine alfabetico dei nomi di categorie determinate (persone,
famiglie, località, istituzioni, cariche, materie, merci). Un indice deve essere sempre critico e normalizzato,
le varianti vanno ricondotte al lemma principale e gli omonimi vanno disambiguati. Nella costituzione di un
indice vanno seguite le norme dello standard ISAAR (CPF).
Per quanto riguarda la consultazione, ricordiamo i vari casi che possono presentarsi:
1. Consultazione interna all’ente produttore;
2. Consultazione di terzi, privati o pubbliche amministrazioni, per fini amministrativi;
3. Consultazione di terzi per fini di ricerca scientifica.
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Nel primo caso l’ente produttore consulta i documenti per fini puramente amministrativi;
ovviamente, ciascun produttore è obbligato ad organizzare il servizio archivistico in modo tale che i
documenti privati restino tali, cosa sulla quale tra l’altro vigila il Garante.
Nel secondo caso viene distinto il consultatore privato da quello pubblico; il privato deve dimostrare
di essere portatore di diritti soggettivi che legittimano la sua consultazione: spesso questo tipo di
consultazione è soggetta ad imposta di bollo o diritti di segreteria.
Nel terzo caso, infine, la consultazione può riguardare anche documenti molto recenti; essa è gratuita
ed è regolamentata dalle disposizioni del Codice dei Beni Culturali.
La normativa vigente
Il Testo Unico sulla Documentazione Amministrativa (TUDA) n. 445/00, contiene norme che
riguardano la consultazione: esistenza di procedure di accesso da parte dei non appartenenti alla pubblica
amministrazione.
Il Codice della Privacy (n.196/03), ribadisce la protezione dei dati personali e i diritti degli
interessati.
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Il Codice dei beni Culturali (n.42/04), mantiene la distinzione degli archivi tra statali, pubblici e
privati e prende in considerazione le motivazioni che portano alla richiesta di consultazione.
Gli archivisti oggi
Fino a qualche anno fa esistevano in Italia due carriere archivistiche parallele: gli archivisti di alto profilo
culturale (operanti nell’amministrazione e specializzati in conservazione e studio di fondi storici) e gli
archivisti di profilo medio basso, operanti nelle amministrazioni pubbliche, che gestivano la registratura e
l’archiviazione dei documenti.
Tuttavia la situazione è cambiata in quanto si è sviluppata una vera e propria coscienza archivistica
che ha riunito gli archivisti delle varie branchie arrivando a costituire l’ANAI ed elaborando, nel 1996 a
Pechino, il Codice internazionale di deontologia.
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