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Anthropocene

Introduzione:
Quella in cui viviamo è una nuova epoca successiva all’Olocene, definita
Anthropocene, il cui inizio viene datato dalla “Grande accelerazione”.
Fondamentali cicli naturali sono stati compromessi a causa dei processi di
industrializzazione ed urbanizzazione, e delle attività militari che hanno procurato il
riscaldamento globale, nonché una generale devastazione del pianeta. Molti di
questi cambiamenti sembra che persisteranno per millenni. Le esplosioni nucleari
che hanno caratterizzato il secondo dopoguerra, vasti incendi hanno interessato la
Russia, la California, l’Amazzonia, l’Australia. Circa dieci milioni di ettari di
vegetazione scomparsi a causa degli incendi, un miliardo di animali morti nella sola
Australia.
Durante il periodo di pandemia da Coronavirus abbiamo assistito a un lockdown
generale. Le emissioni di gas serra, nichel e cadmio si sono ridotte d’improvviso; a
Venezia i pesci hanno fatto nuovamente capolino, i cigni sono tornati a far visita ai
canali; a Cagliari, senza il traffico delle navi, si sono visti i delfini; daini e cervi tra i
campi di golf; le lepri sono riapparse nelle città; il canto degli uccelli ha sostituito il
rumore dei clacson. La natura ci ha dimostrato che una certa economia fa male alla
salute del pianeta e quindi alla nostra. Ma le preoccupazioni sono state solo quelle
relative alla produzione di un vaccino, si è visto solo un “nemico” ed una “guerra” da
combattere. L’origine delle epidemie non ha nulla di “naturale”, ma esprime un
regime economico ecocida.
La protesta di Greta Thunberg, il movimento vegano Animal Rebellion, la lotta
contro il riscaldamento globale e la difesa del non umano, i gilet gialli, la terza guerra
mondiale è già iniziata.
Il mondo vegetale (più dell’80%), i batteri (15%), funghi, virus, animali (meno del
10%). Sul totale gli animali fanno circa lo 0,3%. Mammiferi e uccelli d’allevamento
oramai superano in ermini di biomassa quelli selvatici, ciò a causa del regime
alimentare, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra e della progressiva
riduzione degli habitat per le altre specie. C’è una forte necessità di ridurre
drasticamente il consumo di carne, pesce e latticini dati gli effetti enormemente
distruttivi sull’ambiente causati dal sistema industriale. Ciò che conta, in termini di
biomassa, è l’effetto radiante dell’umanità, ossia la distruzione degli habitat, la
caccia, l’inquinamento e i cambiamenti climatici.
Marx individuò la frattura nel ciclo dei nutrienti (azoto, potassio, fosforo) a causa
della separazione tra città e campagna. Fece seguito la produzione sintetica di
fertilizzanti e poi di pesticidi che hanno caratterizzato l’agricoltura industriale e la
cosiddetta rivoluzione verde. Tale frattura metabolica è alla radice della crisi
ecologica e si accompagna a quella del ciclo del carbonio (da cui il riscaldamento
globale), da cui consegue la perdita di biodiversità, la frattura del ciclo riproduttivo
dei pesci nel Mediterraneo, la siccità prolungata nel Medioriente, che ha procurato e
procura milioni di migranti climatici che si affacciano sullo stesso mare. La frattura
metabolica mette a rischio la sopravvivenza della specie e dell’uomo.
Alcuni marxisti proponevano di rifondare la teoria del valore sull’energia. Siamo in
un punto di rottura, di degradazione ambientale, come un cancro della natura. Ciò
che conta sono gli effetti devastanti che l’accumulazione capitalistica, gli
investimenti hanno sulla forza-lavoro e sulla natura.
Serve un sistema economico basato sul riciclare, conservare, e di porre rimedio alla
compromissione dei processi naturali che finora non ha né ridotto né conservato. Ci
sono modalità devastanti degli effetti di spreco ed inquinamento. Distruzione di
massa rappresentata dalle scommesse sull’andamento del prezzo di una materia
prima o su un indice finanziario o sul default degli Stati. Il risultato è un sistema
sociale piena di computer e smartphone. Da quanto si assiste al riscaldamento
climatico, l’andamento dell’economia dipende in misura sempre maggiore dalle
condizioni climatiche. Solo ora vi è in gioco il futuro del pianeta, non solo del
capitalismo.
Quando si prevede di gettare calcare negli oceani per renderli più alcalini e in questo
modo in grado di assorbire più anidrite carbonica, anche qui, si “cura” il pianeta
come la medicina convenzionale “cura” il malato: ne cura i sintomi in un quadro
riduzionistico.
Le cause sono date anche dalle attività militari dal secondo dopoguerra e dal
commercio navale e aereo. Le guerre climatiche e la tragedia delle decine di milioni i
migranti climatici in giro per il mondo stanno aggravando il già grave
deterioramento delle condizioni umane sul pianeta.
Marx aveva già capito che il capitalismo stesse compromettendo il ciclo dei nutrienti
nelle campagne inglesi. L’uso dei fertilizzanti di sintesi e pesticidi, ciò che condurrà
alla massima espressione della distruzione della biodiversità in agricoltura. Ma ciò
produrrà, insieme ad altri fattori, una frattura nel processo dell’impollinazione, per
via della distruzione delle specie di insetti, con conseguenze catastrofiche sugli
ecosistemi e la sopravvivenza della nostra specie. Il capitalismo crea situazioni che
compromettono il metabolismo del pianeta e le “risolve” trasformando la Terra in
qualcosa che somiglia ad un tecnofossile. La crisi ecologica è determinata ed è la
crisi di un determinato sistema sociale. Ed ha un carattere storico, ed è talmente
devastante da compromettere l’esistenza della nostra specie.
La classe lavoratrice è parte integrante del capitalismo perché incarna una forma
specifica e dominante di “ricchezza” propria del capitalismo. Negli ultimi decenni, sul
piano teorico, si sono discusse varie alternative, specie in area anglosassone.
L’ecoanarchismo rappresenta la pars destruens. La condanna del capitalismo, per i
primitivisti è parimenti alla condanna della civiltà. I primitivisti non sembrano fornire
alcuna alternativa praticabile, che non sia un “ritorno” ad una condizione quasi
preistorica. Un ritorno in forma nuova alla natura, piuttosto che immaginare fughe
spaziali dalla terra, con lo stesso spirito di conquista e dominio. La pars construens è
data da modelli di economia partecipativa elaborati nel corso degli ultimi decenni,
ovvero il modello di Albert.
Il lavoro come libero esercizio di capacità in un ambito sociale non assumerebbe una
forma mercificata e non incarnerebbe alcuna forma di dominio. L’ecosocialismo di
Angus insiste su alcuni aspetti di una ecologia radicale e sulla necessità di una
rivoluzione sociale che conduca ad una civiltà ecosocialista. Una società in cui si
pongano le condizioni di un’autentica, non ingannevole, sostenibilità dove i
produttori regolano razionalmente il metabolismo uomo-natura. La degradazione
delle condizioni umane sul pianeta è ciò che procura la degradazione ambientale,
sono due aspetti della stessa moneta. Nel capitalismo la tecnologia, le forme del
lavoro, inclusa l’ideologia del progresso materiale, sono diventate parte del
problema e non la soluzione. L’ecosocialismo appare l’unica alternativa che ci
consentirebbe di tornare alla terra secondo la forma dei tempi che ci attendono, in
caso contrario ed a meno di un miracolo, dovremo solo vergognarci, nell’inferno che
abbiamo creato di possedere ancora l’aria per respirare.
I leaders indigeni e i popoli dell’Amazzonia ci avevano avvisati, quello che stiamo
facendo cambierà il mondo intero e distruggerà la nostra casa. Molte delle loro tribù
lottavano tra di loro, ma adesso sono uniti e lottano insieme contro un nemico
comune, ovvero noi, i popoli non indigeni che abbiamo invaso le loro terre e ora
stiamo bruciando anche le piccole parti delle foreste che abbiamo lasciato. Perché
facciamo tutto questo? Non è per sviluppo, ma perché molti possono ottenere una
grande quantità di denaro. Nella lingua Kayapò “denaro” si traduce in “piu caprim”
letteralmente significherebbe “foglie tristi” perché è una cosa morta e inutile, che
porta solo danni e tristezza. Ma queste persone ricche moriranno, come noi tutti
moriremo. I loro spiriti rimangono tristi e soffrono. Dobbiamo cambiare il nostro
modo di vivere perché è perso, noi ci siamo persi, è solo il cammino della distruzione
e della morte. Per vivere, dobbiamo rispettare il mondo, gli alberi, le piante, gli
animali, i fiumi e la terra stessa. Perché tutte queste cose hanno spiriti e senza gli
spiriti la terra muore, la pioggia si fermerà e le piante alimentari marciranno. Tutti
respiriamo quest’aria, tutti beviamo la stessa acqua. Abbiamo bisogno di proteggere
la terra, i grandi venti verranno e distruggeranno la foresta. E allora sentiremo la
paura che altri già sentono.
La capacità del capitalismo da sempre consiste nel farci credere che il peggio debba
ancora venire.
Prefazione
L’anthropocene è una nuova era geologica succeduta all’olocene, costituisce una
frattura antropica nella storia del pianeta. Introdotto nel 2000 nel dibattito
scientifico e ambientalista contemporaneo dal climatologo, il concetto vuol
testimoniare il fatto che l’umanità è ora la principale forza geologica emergente ad
influire sull’avvenire del sistema terra. Il rapporto uomo-ambiente caratterizzato
dalla rivoluzione industriale, la colonizzazione del mondo e l’era dei combustibili
fossili. La frattura metabolica nel rapporto uomo natura è procurata dal capitalismo.
L’umanità era diventata il principale fattore di cambiamento. L’uomo è diventato
sotto i nostri occhi, una potente e sempre crescente forza geologica. La vita,
emergendo in questo modo miliardi di anni fa, può essere considerata creatrice
della biosfera. Vi è la necessità di abbandonare i combustibili fossili: l’aumento della
temperatura del globo sarà inevitabile se noi non limitiamo le nostre fonti di energia
al solare, all’idroelettrico e all’eolico e optiamo invece per i combustibili fossili.
Che cos’è la biosfera? È il guscio sottile coperto di acqua e aria che avvolge la terra.
Il meccanismo di crescita smisurata minaccia questo metabolismo globale. Il mondo
catapultato in una nuova fase ecologica, una fase meno favorevole alla
conservazione della biodiversità e di una stabile civiltà umana. Angus dimostra che il
capitalismo fossile è un treno folle che, se non viene fermato, provocherà
un’apartheid ambientale globale e trascinerà l’umanità verso una fase storica che il
grande storico marxista britannico Thompson definiva sterminista in cui le
condizioni di vita di centinaia di milioni e forse miliardi di persone saranno sconvolte
e in cui verranno minacciate le condizioni stesse della vita così come la conosciamo.
L’urgenza è così pressante che domani è troppo tardi. Hanno finora nascosto questi
rischi sostenendo misure e soluzioni tecnologiche, come il mercato del carbonio e la
geoingegneria, come se la risposta alla crisi dell’anthropocene dovesse essere
strettamente economica e tecnologica. Il capitale è all’origine della crisi. Tali
soluzioni possono solo aggravare i pericoli che pesano sul mondo. E quindi riconosce
che è la logica stessa dell’attuale modo di produzione capitalistico ad impedire la
costruzione di un mondo su uno sviluppo umano durevole e il superamento della
spirale catastrofica che ci minaccia. Per salvare l’umanità, occorrerà adottare un
nuovo ordine socioeconomico, che abbia di mira altri obiettivi umani e ambientali.
Un tale progetto comporta una rivoluzione ecosocialista a cui dovrebbero
partecipare tutti. Ma un cambiamento così radicale non comporta dei rischi, delle
lotte faticose e grandi sacrifici? Ma questo non ci può fermare.
L’obiettivo dovrebbe essere quello di cambiare, riedificare la casa della civiltà
secondo principi architettonici differenti, creando un metabolismo più sostenibile
tra l’umanità e la terra.
Nel corso degli ultimi venti anni, la scienza della Terra ha compiuto un enorme balzo
in avanti per ampliare la nostra comprensione del sistema terrestre nel suo
complesso. Questi lavori hanno permesso di costatare che il pianeta è entrato in una
nuova fase e poco rassicurante della sua evoluzione: l’Anthropocene.
Il titolo del libro ha due significati:
1. Indica che l’umanità del XXI secolo sta affrontando una trasformazione del
suo ambiente fisico, che non è limitata all’incremento dell’inquinamento e
delle temperature, ma si iscrive in una crisi del sistema terra causata
dall’attività umana
2. È una sfida per tutti quelli che si preoccupano del futuro dell’umanità a
prendere atto del fatto che la sopravvivenza nell’Anthropocene richiede un
radicale cambiamento sociale, sostituendo al capitalismo fossile una civiltà
ecologica, l’ecosocialismo. La crisi ambientale globale è la sfida più importante
del nostro tempo

Emissioni di gas serra, attribuibili principalmente all’uso di combustibili fossili, e la


deforestazione hanno significativamente riscaldato la temperatura media globale e
continuano a farlo. Le uniche incertezze stanno del determinare a che velocità e
quanto aumenteranno le temperature se non si fa nulla per rallentare le emissioni o
mettervi fine. Questo libro parla della scoperta, delle conseguenze e delle cause
socio-economiche dell’Anthropocene.

La verità è sempre concreta


Quasi cinquant’anni fa, il pioniere dell’ecologia Barry Commoner osservava che la
crisi ambientale rivela gravi incompatibilità tra il sistema imprenditoriale privato e le
basi ecologiche che lo sostengono. Bisogna cambiare il sistema, non il clima.
La terra come sistema integrato
L’International Geophere-Biosphere Program (IGBP) è il più grande, complesso e
ambizioso programma di cooperazione scientifica internazionale che sia stato mai
organizzato. L’obbiettivo dell’IGBP è quello di descrivere e comprendere le
interazioni fisiche, chimiche e i processi biologici che regolano l’intero sistema
terrestre, gli aspetti unici che prevede per la vita, i cambiamenti che stanno
avvenendo nel sistema e la maniera in cui tali cambiamenti sono influenzati dalle
azioni dell’uomo.
Cambiamento globale e sistema terra
Una componente chiave è la crescente pressione umana sul sistema terrestre.
Considerando questi e molti altri importanti e crescenti impatti delle attività umane
sulla Terra e sull’atmosfera, sembra più che appropriato sottolineare il ruolo
centrale dell’uomo nella geologia e nell’ecologia proponendo di utilizzare il termine
“Anthropocene” per l’attuale epoca geologica.
Circa millequattrocento persone, tra cui ricercatori provenienti da centocinque
paesi, parteciparono a quattro giorni di relazioni e dibattiti, molti dei quali focalizzati
sulla ricerca dell’IGBP.
Fino a poco tempo fa nella storia della Terra, gli esseri umani e le loro attività sono
state una forza insignificante nella dinamica del pianeta. Oggi, l’umanità ha
cominciato a superare la natura per quanto riguarda l’impatto sulla biosfera e altri
aspetti del funzionamento del sistema terrestre. Gli effetti si fanno sentire su tutto il
pianeta, nei flussi dei cicli della Terra o nei cambiamenti dei suoi stati.
Vediamo quali sono le problematiche e le conseguenze:
-in poche generazioni l’umanità sta esaurendo le riserve di combustibili fossili che
sono state generate nell’arco di diverse centinaia di milioni di anni;
-quasi il 50% della superficie terrestre è stato trasformato dall’attività umana, con
conseguenze significative per la biodiversità, il ciclo di nutrienti, la struttura e la
biologia del suolo e il clima;
-più della metà di tutta l’acqua dolce accessibile è utilizzata direttamente o
indirettamente dall’umanità e le risorse idriche sotterranee si stanno rapidamente
esaurendo in molte zone;
-la concentrazione di diversi gas serra climaticamente importanti, oltre la CO2, sono
notevolmente aumentati nell’atmosfera;
-gli habitat costieri e marini sono stati drasticamente alterati;
-i tassi di estinzione sono in forte aumento negli ecosistemi marini e terrestri di tutto
il mondo. La Terra è ora sul punto di assistere a una prima grande estinzione causata
dalle attività di una singola specie biologica, la specie umana.
Ci sono vari modi in cui l’attività umana sta cambiando la faccia della Terra, tra cui:
-una crescita decuplicata della popolazione umana in tre secondi;
-lo sfruttamento del 20-50% delle terre emerse;
-la distruzione di foreste pluviali tropicali;
-la diffusa costruzione di dighe e deviazione dei fiumi;
-lo sfruttamento di oltre metà di tutta l’acqua dolce accessibile;
-un calo del 25% del pesce nelle regioni oceaniche profonde e del 35% nella
piattaforma continentale;
-un aumento di sedici volte maggiore del consumo energetico nel XX secolo, che ha
raddoppiato le emissioni di anidride solforosa rispetto ai livelli naturali;
-un uso più che raddoppiato di fertilizzanti azotati in agricoltura rispetto a quelli
usati naturalmente in tutti gli ecosistemi terrestri messi insieme;
-la crescente concentrazione atmosferica i gas serra, ai massimi livelli rispetto agli
ultimi quattrocentomila anni.
Le conseguenze globali, tra cui le precipitazioni acide, lo smog fotochimico e un
prevedibile riscaldamento globale da 1,4 a 5,8 C, questi effetti sono causati in gran
parte solo dal 25% della popolazione mondiale. A meno che non si verifichi una
catastrofe globale come l’impatto di un meteorite, una guerra mondiale o una
pandemia, per molti millenni l’umanità rimarrà una grande forza ambientale.
Millennium Ecosystem Assessment
Negli ultimi cinquant’anni, l’uomo ha modificato gli ecosistemi con una rapidità e
una profondità maggiori rispetto a qualunque periodo comparabile della sua
precedente storia, in gran parte per soddisfare la domanda in rapidissima crescita di
cibo, acqua dolce, legname, fibre e combustibili. Ciò ha comportato a una perdita
sostanziale e in gran parte irreversibile di biodiversità sulla Terra:
-circa il 20% delle barriere coralline nel mondo è andato perduto e oltre il 20% ha
subito danni negli ultimi decenni del XX secolo;
-i prelievi di acqua da fiumi e laghi sono raddoppiati dal 1960, la maggior parte
dell’acqua viene utilizzata per l’agricoltura (70% a livello mondiale);
-a partire dal 1750, la concentrazione atmosferica di anidride carbonica è aumentata
di circa il 32%, principalmente per effetto della combustione di combustibili fossili e
del cambiamento nell’utilizzo del suolo.
Gli esseri umani stanno modificando in misura fondamentale e irreversibile la
varietà della vita sulla Terra, e la maggior parte di questi cambiamenti
rappresentano una perdita di biodiversità. Sia per la dimensione della popolazione,
sia per la sua varietà o per entrambe, la maggior parte delle specie sta declinando. Il
numero di specie sul pianeta è in declino. Circa il 10-30% delle specie di mammiferi,
uccelli e anfibi è attualmente minacciata di estinzione, con una certezza medio
elevata.
Dare un nome al punto di svolta
Due grandi progetti scientifici su scala mondiale hanno individuato la metà del XX
secolo come punto di svolta nella stori della Terra. Come indicato nel rapporto
dell’IGBP, gli ultimi cinquant’anni hanno visto la trasformazione più rapida della
relazione tra il genere umano e la natura nella storia elle specie. Questi e molti altri
cambiamenti dimostrano che a partire dalla fine della Seconda Guerra mondiale c’è
stato un incremento percepibile dei tassi di cambiamento in molte interazioni
uomo-ambiente per effetto dell’impatto umano sul pianeta, un periodo che è stato
chiamato “Grande accelerazione”.
Un Anthropocene in due fasi?
C’è una teoria che sostiene che l’Anthropocene si è sviluppato in due fasi diverse. La
prima fase è quella industriale, dall’inizio del 1800 al 1945, dove la CO2 atmosferica
ha superato il limite superiore; la seconda fase è quella della Grande accelerazione,
a partire dal 1945 fino ai giorni nostri. Hanno previsto anche una terza fase. Il
termine Grande accelerazione è un nome per descrivere il periodo di crescita
economica e di devastazione ambientale dopo la Seconda Guerra mondiale. Il loro
modello “in due fasi” non è però sopravvissuto.
La scala temporale geologica
Considerando l’arco di quasi un milione di anni, i livelli di anidride carbonica e
metano sono più elevati che in qualsiasi altro momento, e stanno aumentando
molto più velocemente che in qualsiasi precedente periodo di riscaldamento
globale. Estinzioni di massa, migrazioni di specie e sostituzione della vegetazione
naturale con monocolture agricole stanno cambiando la natura della biosfera.
L’innalzamento del livello del mare può raggiungere dai dieci ai trenta metri per ogni
grado Celsius di aumento della temperatura, e l’acidificazione degli oceani avrà gravi
effetti sulle barriere coralline.
L’Antheopocene dovrebbe essere considerato una nuova epoca, non un nuovo
periodo. Ma per essere riconosciuto come una nuova epoca geologica deve
dimostrare che ci sono stati importanti cambiamenti nel sistema Terra e che le
prove geologiche che si trovano nei sedimenti, nella roccia, nei ghiacci sono tali da
caratterizzare l’avvento di una nuova epoca.
Un primo Anthropocene?
Alcuni sostengono che l’Anthropocene ha avuto inizio tra gli otto e cinquemila anni
fa, quando l’uomo introdusse l’agricoltura in varie parti del pianeta. Ritengono che
questa attività abbia prodotto emissioni di anidride carbonica e metano che hanno
innalzato la temperatura della Terra tanto quanto basta per impedire il ritorno
all’era glaciale.
Altri suggeriscono di datare tale epoca dalle prime modificazioni del paesaggio
avvenute per mano dell’uomo, dall’estinzione di molti grandi mammiferi o dalla
trasformazione antropica del suolo in Europa.
Alcuni archeologici propongono di estendere l’inizio dell’Anthropocene sino alle
prime tracce dell’attività umana, il che includerebbe gran parte del Pleistocene,
mentre altri hanno suggerito che l’intero Olocene dovrebbe essere semplicemente
rinominato Anthropocene perché è il periodo in cui sono apparsi i primi
insediamenti tipici della civiltà umana.
La tesi di un primo Anthropocene piace ai conservatori, perché minimizza i recenti
cambiamenti del sistema terrestre: gradualizza la nuova epoca in modo che non
rappresenti tanto una rottura dovuta all’uso di combustibili fossili, ma un fenomeno
causato dal crescente impatto dell’uomo sull’ambiente.
Un recente Anthropocene?
Le varie propote relative ad un primo Anthropocene sono state attentamente
esaminate e respinte. La proposta di un primo Anthropocene è stata respinta perché
affrontava solo un aspetto della questione, ovvero l’impatto umano sugli ecosistemi
terrestri. Il significato di Anthropocene non sta tanto nel vedere le prime tracce della
nostra specie, ma piuttosto nella persistenza dei cambiamenti procurati al sistema
Terra. I cambiamenti hanno la stessa entità di quelli avvenuti alla fine dell’ultima era
glaciale, non è cosa da poco.
Nel 2070 la Terra sarà più calda di quanto non lo sia mai stata, di quanto non lo sia
stata per la maggior parte, se non per tutto il tempo in cui la nostra specie apparve
duecentomila anni fa.
Il passato come guida per il futuro
Si tratta di una questione complessa, non solo si tratterebbe del primo caso di una
nuova epoca di cui le società umane sarebbero diretti testimoni, ma anche di
un’epoca causata dal loro stesso agire.
A partire dai primi anni ’90, l’International Geosphere-Biosphere Program ha
organizzato il suo lavoro in nove progetti incentrati sugli aspetti generali del sistema
Terra, compresi gli ecosistemi terrestri, oceanici e la chimica atmosferica. Ogni
progetto comprendeva studi specifici condotti da scienziati di tutto il mondo.
L’obbiettivo dell’IGBP era far sì che tutti i progetti portassero alla produzione di un
quadro integrato della natura e della direzione del cambiamento globale, ma
probabilmente il più importante, sia negli obiettivi che nei risultati, è stato il
progetto Past Global Changes (PAGES), che mirava a fornire una comprensione
quantitativa del clima e dell’ambiente del passato. Non possiamo capire le
dinamiche e la direzione del cambiamento che sta avvenendo oggi senza conoscere
come e quanto le condizioni attuali sono diverse da quelle del passato.
Comprendere le manifestazioni, le cause e le conseguenze delle variazioni naturali
avvenute in passato è di vitale importanza per poter sviluppare tesi per il futuro.
Per poter raggiungere tale comprensione, i ricercatori necessitavano di informazioni
che non fossero legate a pochi decenni o secoli, ma coprissero un arco temporale
maggiore (da decine a centinaia di migliaia di anni), per i quali non esistevano
documenti scritti. Quando l’IGBP ha iniziato ad operare, gli scienziati conoscevano
solo una parte della lunga storia climatica del nostro pianeta. Si sapeva solo a grandi
linee, quando si verificarono le ere glaciali, ma mancavano i dettagli. I nuovi metodi
di analisi hanno fornito una ricchezza di nuovi dati sulla storia della temperatura, la
composizione atmosferica, i livelli degli oceani e altro ancora.
I cambiamenti indotti dall’uomo stanno spingendo il pianeta ben oltre i suoi normali
parametri di funzionamento. Il sistema si trova in un delicato equilibrio, infatti un
piccolo stimolo può portare ad un grande cambiamento. Bruciare combustibili fossili
ha compromesso il ciclo del carbonio ed il riscaldamento globale ne è un risultato
inevitabile.
Punti di non ritorno
Alcune tesi sostengono che il cambiamento climatico è graduale e che il XXI secolo
sarà più caldo, più tempestoso e con meno biodiversità rispetto al precedente,
meno piacevole. Le comunità scientifiche pensano che almeno alcuni dei
cambiamenti possano avvenire in modo improvviso, superando una soglia di non
ritorno, in grado di provocare un mutamento che il tempo necessario per porvi
rimedio sarebbe minimo.
Molti scienziati sostengono che bruschi cambiamenti ambientali non solo sono
possibili, ma praticamente inevitabili.
Per avere successo, l’agricoltura ha bisogno non solo di stagioni calde, ma di un
clima stabile e prevedibile. Una volta che il clima si è stabilizzato nella forma che
oggi conosciamo, tutti gli aspetti del nostro successivo sviluppo (agricoltura, città,
commercio ecc…) sono stati in grado di prosperare.
Dall’Olocene all’Anthropocene
Confrontando i vari cambiamenti che la Terra sta subendo oggi con gli
sconvolgimenti climatici avuti in precedenza e tenendo conto del notevole impatto
che gli esseri umani continuano ad esercitare sul pianeta, è altamente plausibile che
avvenga un altro cambiamento di stato globale, in un arco di tempo che va da
qualche decennio a qualche secolo, se non è già in corso.
La storia della terra è stata più volte segnata da cambiamenti climatici significativi e
improvvisi. In alcune zone le variazioni di temperatura hanno raggiunto i 10 C in
dieci anni. I dati disponibili suggeriscono che un cambiamento climatico improvviso
non solo è possibile, ma può avere conseguenze importanti sugli ecosistemi e sulle
società. Anche i cambiamenti nella composizione dell’atmosfera possono causare
cambiamenti di stato nel clima. Secondo alcuni improvvisi cambiamenti sono più
probabili quando il sistema climatico è sottoposto ad uno stress estremo.
Il riscaldamento causato dall’effetto serra e altre alterazioni antropiche della Terra
possono incrementare la possibilità di grandi e indesiderati eventi climatici mondiali
o locali. Non è possibile prevedere con certezza i futuri cambiamenti e si possono
avere sorprese.
Limiti planetari
I fertilizzanti contenenti azoto e fosforo, entrambi essenziali per la crescita delle
piante, sono ampiamente utilizzati nell’agricoltura moderna. Almeno il 50%
dell’azoto finisce nei laghi, fiumi e oceani dove può causare bruschi cambiamenti
dell’ecosistema, come nel caso della “zona morta” nel golfo del Messico. In futuro
questa voce potrebbe includere altri elementi.
Una parte delle emissioni di C02 si dissolve nell’acqua di mare, rendendola più acida.
Ciò può interferire con la crescita e la sopravvivenza dei coralli e di molti crostacei,
causandone un collasso e la drastica riduzione della popolazione di pesci e
mammiferi marini.
L’uso di acqua dolce sta esaurendo le principali falde acquifere, mentre lo
scioglimento dei ghiacciai sta prosciugando le fonti d’acqua di molti fiumi.
Circa il 42% di tutti i terreni privi di ghiaccio sono attualmente utilizzati per
l’agricoltura. La perdita di questi ecosistemi riduce la biodiversità e danneggia il
clima ed i sistemi idrici.
La prima quasi catastrofe
Le attività dannose per l’ambiente possono risultare relativamente innocue se
introdotte su piccola scala, ma quando diventano una pratica diffusa e si diffondono
dai loro punti di origine su scala globale, il problema è diverso. Questo è proprio ciò
che sta succedendo a partire dal Secondo Dopoguerra, dando luogo a ciò che viene
chiamata “crisi ambientale”.
Si stima che al 2100 il buco nello strato di ozono abbia causato oltre un milione di
casi di cancro alla pelle e tra i diecimila ed i ventimila morti.
Un nuovo e mortale regime climatico
Ci sono il 90% delle probabilità che la temperatura salirà di oltre 2 C entro il 2100, e
con una probabilità del 33% che sale di oltre 3 C. La temperatura media globale
potrebbe salire e superare di 4 C entro il 2080.
La rilevazione dei dati climatici
La distribuzione delle anomalie ella temperatura media stagionale si è spostata
verso temperature più elevate ed è anche aumentato l’intervallo delle anomalie.
Questo caldo estremo, che nel periodo di riferimento copriva molto meno dell’1%
della superficie terrestre, oggi copre circa il 10% della superficie terrestre.
Le ondate di calore estremo diventano sempre più frequenti:
-Europa 2003, l’estate più calda ha fatto oltre settantamila vittime
-Russia 2010, l’estate più calda ha causato cinquecento incendi nelle vicinanze di
Mosca e ridotto il raccolto del grano del 30%. Le vittime sono state
cinquantaseimila.
-Stati Uniti 2011, l’ondata di calore e di siccità più estrema nel mese di luglio in
Texas e Oklahoma. I danni stimati ammontarono a tredici miliardi di dollari.
-India 2015, duemilacinquecento persone sono morte nell’ondata di calore di
maggio, quando le temperature hanno raggiunto i 47,7 C.
Oggi le probabilità di vivere un’estate estremamente calda sono dieci volte superiori
rispetto ai decenni dal 1951 al 1980.
Il riscaldamento è chiaramente qui e ora, e continuerà ad aumentare se
continueremo a bruciare combustibili fossili.
Nel 2012 uno studio analizzò che le ondate di calore hanno devastato tutti i record.
Gli studi indicano che alcune tipologie di eventi estremi, in particolare le ondate di
calore e le precipitazioni estreme, aumenteranno con il riscaldamento climatico. Le
prove dimostrano che il caldo e le piogge estremi di origine antropica sono qui e
stanno causando un’intensa sofferenza umana.
Le temperature più calde sulla terra ferma sono quelle che hanno una maggiore
incidenza sulla salute umana, sull’agricoltura, sugli ecosistemi e sulle infrastrutture.
Il riscaldamento globale aveva notevolmente aggravato la siccità che colpì lo stato
della California dal 2012 al 2014, rendendola peggiore del previsto e che in Australia,
dove una volta i periodi di caldo e freddo si alternavano con quasi la stessa
frequenza, ora i periodi di caldo sono dodici volte più frequenti dei periodi di freddo.
Accelerando lungo una strada a senso unico
La storia climatica del sistema Terra è stata caratterizzata da bruschi cambiamenti
da un regime climatico all’altro e tali cambiamenti sono imprevedibili; quindi, anche
i modelli computerizzati molto sofisticati non possono includerli. Essi
presuppongono una variazione graduale delle temperature nel tempo. Con
l’emergere del riscaldamento globale, c’è un pericolo crescente di raggiungere un
punto di non ritorno che può provocare un cambiamento improvviso del sistema
climatico.
Le previsioni che riguardano il clima futuro sono probabilità. Non c’è nessuna
possibilità che la temperatura media aumenti meno di due gradi, e una significativa
possibilità, invece, che aumenti di più.
In realtà c’è ancora tempo per evitare un riscaldamento catastrofico, a patto di
uscire dalle regole del capitalismo nella loro forma attuale.
Il capitalismo fossile
Nell’era capitalistica, la condizione umana è considerevolmente migliorata: la salute,
la cultura, la filosofia, la letteratura la musica e molti altri campi hanno fatto
progressi. Dall’altra parte il capitalismo ha anche seminato fame, miseria, genocidi,
tortura e una miriade di mali, tutto a una scala che non ha precedenti.
La ragion d’essere del capitale
Il solo criterio che misura il successo del capitale è l’accumulazione. Quanto profitto
in più è stato realizzato in questo trimestre rispetto al trimestre precedente?
Quanto più oggi rispetto a ieri? Poco importa se e vendite includono prodotti
direttamente dannosi per l’uomo e la natura o che molti di questi non possano
essere prodotti senza diffondere malattie, distruggere foreste essenziali al rinnovo
dell’ossigeno che respiriamo, demolire gli ecosistemi o trattare la nostra acqua, aria
e il suolo come fognature per lo smaltimento dei rifiuti industriali. Tutto contribuisce
alla crescita del capitale e questo è ciò che conta.
Se niente lo ferma, il capitale cercherà di espandersi all’infinito, ma la Terra non è
infinita. L’atmosfera, le foreste e gli oceani sono risorse immense ma limitate. Finché
il capitale sopravvivrà, l’inquinamento non cesserà.
Un’incurabile visione a breve termine
Allevare un pollo di 1 kg richiedeva sedici settimane, mentre oggi cene vogliono solo
sei per allevarne una due volte più grande. L’allevamento selettivo, gli ormoni e i
mangimi industriali hanno permesso agli allevamenti di produrre non solo più carne,
ma più carne con più velocità. La sofferenza degli animali e la qualità del loro cibo
sono preoccupazioni secondarie, se non del tutto assenti.
Fratture metaboliche planetarie: carbonio e azoto
Una frattura metabolica meno visibile ma ugualmente seria riguarda il ciclo
dell’azoto. Tutti gli esseri viventi ne hanno bisogno: le piante per la loro crescita e gli
animali (inclusi gli umani) per produrre muscoli, pelle, sangue, capelli, unghie e il
DNA. L’agricoltura tradizionale garantiva la stabilità dei livelli di azoto nel suolo
attraverso la rotazione, l’agricoltura intensiva a fini commerciali ha iniziato a
esaurire i terreni più velocemente di quanto i processi naturali potessero rigenerarli.
Per un po’ si è potuto compensare questo squilibrio con fertilizzanti (che
contengono azoto) ma queste risorse hanno cominciato a scarseggiare.
Il conseguente eccesso di azoto contribuisce a creare parecchi problemi ambientali,
tra cui la comparsa di zone morte nelle acque costiere e morti di pesci, la perdita di
biodiversità, l’inquinamento dei laghi, dei fiumi e delle falde acquifere, malattie
respiratorie e il riscaldamento globale. L’uso eccessivo di fertilizzanti azotati nuoce
alla fertilità dei suoli, sicché occorre usarne sempre di più per mantenere la
produzione.
Carbone, vapore e capitale
Quando il capitalismo fa la sua prima comparsa le principali fonti di energia erano la
legna, il vento, l’acqua e la forza umana o animale. Il carbone sostituisce la legna nei
processi di produzione che utilizzano il calore (fabbricazione di birra, sapone, ad
esempio), oppure nel riscaldamento delle case e nella cottura del cibo.
L’ampia disponibilità di ferro consentirà la produzione di macchinari industriali,
motori a vapore e lo sviluppo della ferrovia. I fattori determinanti della rivoluzione
industriale poggiano tutti sul carbone. La diffusione del carbone e del vapore nei
processi produttivi non fu affatto un processo scontato. La transizione al carbone e
al vapore non avvenne perché ciò fosse più economico o più affidabile, perché in
realtà non lo era, ma perché consentiva ai proprietari delle fabbriche un migliore
accesso e controllo della forza lavoro. Gli impianti idraulici dovevano
necessariamente essere posti vicino a rapide o cascate d’acqua, che si trovavano più
spesso nelle zone rurali dove il bacino di potenziali lavoratori era limitato; gli
impianti a vapore, invece, potevano essere collocati in città, dove molti lavoratori
già lavoravano nelle fabbriche e dove la presenza di un esercito di disoccupati
rendeva più facile sostituire i lavoratori che non rispondevano alle esigenze dei
padroni.
Benzina, imperi e guerre
Sia la Gran Bretagna che la Francia e la Germania usano navi a vapore durante le
guerre coloniali. I principali obbiettivi delle spedizioni navali britanniche in Africa,
Asia e nel Pacifico è quello di individuare giacimenti di carbone, assumerne il
controllo e stabilire stazioni di rifornimento così che le navi mercantili e militari
possano percorrere il mondo senza difficoltà.
Durante la guerra civile americana e la guerra franco-prussiano la ferrovia
contribuisce in modo importante al trasporto di truppe e munizioni, cosa che
incoraggia i governi d’Europa e dell’America del Nord a sostenere l’industria del
carbone e la costruzione di ferrovie.
L’invenzione del motore a combustione interna, poi quella dell’aereo crearono un
nuovo mercato per il petrolio, che fino ad allora era usato principalmente come
combustibile per l’illuminazione e come lubrificante. Queste nuove macchine
utilizzavano benzina, un derivato del petrolio che alcuni scartavano perché ritenuto
inutile e pericoloso. Ma la grande conversione militare avvenne con la decisione
presa dal Regno Unito di sostituire al carbone il petrolio nelle proprie navi da guerra.
Carri armati, aerei, sottomarini a petrolio giocano un ruolo decisivo nella Prima
Guerra Mondiale.
L’automobilizzazione
“Innovazioni rivoluzionarie” : solo tre innovazioni hanno tutti i requisiti per meritare
l’aggettivo di “rivoluzionarie”, ovvero la macchina a vapore, la ferrovia e
l’automobile.
Le prime auto sono costruite in modo artigianale e vendute come giocattoli a
persone molto facoltose, cosicché il mercato iniziale della benzina è assai limitato.
La situazione cambia quando l’industria automobilistica adotta tecnologie che gli
consentono una produzione di massa.
La prima fase del processo “automobilizzazione” ha luogo negli Stati Uniti. Le
vendite di auto, camion e autobus decollano. Quella automobilistica ormai
rappresenta la più grande industria del paese. Oltre a vendere milioni di veicoli,
questa industria rappresenta un enorme mercato per le industrie dell’acciaio, del
vetro e della gomma.
Un aspetto fondamentale da considerare è che le automobili e i camion hanno
trasformato l’industria petrolifera da produttore di fonti energetiche per
l’illuminazione e lubrificanti a fornitore di rete di vendita e assistenza.
La chimica industriale
Nel XX secolo, tuttavia, l’invenzione stessa diventa una grande attività economica.
Le aziende assumono scienziati e si dotano di laboratori di ricerca preposti a
inventare su commissione.
I profitti della guerra
La Seconda Guerra Mondiale ha creato le condizioni che da allora hanno foggiato il
capitalismo e provocato la Grande accelerazione nelle sue dinamiche
ecologicamente distruttive.
È impossibile esagerare l’orrore della Seconda Guerra Mondiale, un conflitto nel
quale le potenze in competizione hanno usato ogni arma possibile per il dominio
globale. In sei anni, sessanta milioni di soldati e civili sono morti in combattimento o
in genocidi voluti dagli stati, e altri milioni di persone sono morte di fame o malattia.
In India, tre milioni di persone sono morte di fame a causa della cosiddetta “guerra
segreta di Winston Churchill”. Intere città del Giappone e dell’Europa sono state
rase al suolo. Vaste foreste, milioni di ettari di terreni agricoli e siti industriali del
valore di miliardi di dollari sono stati distrutti. Alla fine dei combattimenti, vaste
regioni dell’Europa, Asia e Africa erano in rovina. Le loro infrastrutture economiche
erano devastate. Il Regno Unito era in condizioni migliori rispetto al resto d’Europa,
ma la sua economia era indebolita. L’unico vero vincitore furono gli Stati Uniti.
Risparmiata dai danni materiali del conflitto, la sua economia era più potente che
mai.
Guadagni per il capitale monopolistico
Così, mentre milioni di persone si facevano massacrare, una minoranza si arricchiva.
Il petrolio aveva svolto un ruolo importante nella Prima Guerra Mondiale; nella
Seconda il suo ruolo fu determinante. Più che in qualsiasi conflitto precedente, le
armi alimentate a petrolio (carri armati, aerei, sottomarini) hanno dominato la
guerra. La richiesta di carburante era esorbitante: per coprire cento chilometri, un
battaglione blindato aveva bisogno di oltre 40.000 litri di benzina; da sola, la quinta
flotta degli Stati Uniti ha consumato 630 milioni di galloni di benzina nell’arco di due
mesi. Su sette barili di petrolio usati dalle forze alleate, sei provenivano dagli Stati
Uniti ed erano stati raffinati da compagnie petrolifere statunitensi.
La produzione di auto, camion e pezzi di ricambio era interamente cessata negli Stati
Uniti, ma le case automobilistiche continuavano a prosperare: lo stato gli versò circa
ventinove miliardi di dollari per la produzione di più di tre milioni di jeep, camion,
motori per aeroplani, carri armati, veicoli blindati, mitragliatrici e bombe. Alla fine
della guerra, le loro fabbriche non solo erano intatte ma persino modernizzate e
ampliate. Durante la Seconda Guerra Mondiale, il governo degli Stati Uniti investì
più di tre miliardi di dollari nella costruzione e nell’ingrandimento di impianti
petrolchimici incaricati di produrre composti azotati per esplosivi, gomma sintetica
per pneumatici, nylon per paracadute, etc.
Per molte persone il dopoguerra fu un periodo particolarmente difficile. In Germania
gli industriali americani ridussero le ore di lavoro ed effettuarono licenziamenti. Gli
Stati Uniti contavano circa due milioni di disoccupati e il reddito reale era diminuito
del 15%. Furono particolarmente colpite le donne, perché i datori di lavoro
intendevano tornare a una forza-lavoro “normale”, cioè esclusivamente maschile.
Durante i quattro anni di guerra provocarono la più importante ondata di scioperi
della storia degli Stati Uniti. Fu approvata la legge sui rapporti tra datori di lavoro e
sindacati, che rendeva illegali gli scioperi selvaggi e altre azioni sindacali
“irresponsabili”. Furono condannati rispettivamente a multe di tre milioni e mezzo e
diecimila dollari per aver rifiutato di porre fine a uno sciopero del settore
carbonifero. Una volta calmata l’ondata di scioperi, le aziende automobilistiche e
altri grandi industriali concessero aumenti salariali e garantirono la sicurezza del
posto di lavoro.
Convertire l’Europa al petrolio
Il Piano Marshall non era solo il più importante programma i aiuti esteri mai attuato
da Washington: il suo valore, da solo, superava quello di tutti i precedenti
programmi messi insieme. Molti autori hanno dipinto il piano Marshall come
l’esempio stesso della benevolenza di una grande potenza: in modo disinteressato,
gli Stati Uniti si assumevano la responsabilità di riportare l’Europa sulla via della
prosperità. L’obiettivo del programma era, infatti, quello di rafforzare le aziende
statunitensi (in particolare le compagnie petrolifere) in patria e all’estero. Non
bisogna sottostimare il Piano Marshall alla ricostruzione dell’Europa, ma bisogna
ammettere che era finalizzato in primo luogo a stimolare l’economia statunitense,
incoraggiando i governi a rifornirsi da imprese americane. Gli acquirenti europei
pagavano per questo petrolio un prezzo più alto di quello di mercato e dovevano
anche comprarlo sotto forma di benzina, diesel, piuttosto del meno costoso petrolio
greggio, poiché il programma vietava il finanziamento di progetti che minacciavano
di competere con le aziende statunitensi.
Nel 1955 il carbone rappresentava il 75% di tutta l’energia consumata in Europa
occidentale.
Petrolio a buon mercato e in abbondanza
In Arabia Saudita non solo l’oro nero era abbondante ma non costava quasi nulla.
Una delle ragioni che rese aurea l’età dell’oro fu che il prezzo di un barile di petrolio
ammontò in media a meno di due dollari per tutto il periodo che va dal 1950 al
1973. La grande accelerazione sarebbe stata impossibile senza il petrolio a buon
mercato, soprattutto come carburante per alimentare centinaia di milioni di
automobili, camion, navi e aerei. Il consumo totale di energia mondiale è più che
triplico. Questa crescita non è niente a confronto all’aumento della domanda di
petrolio, che negli stessi anni si accrebbe di oltre cinque volte e mezzo. Ovunque, si
richiedeva più petrolio, il consumo triplicò negli Stati Uniti. Negli stessi anni, la
domanda di petrolio nell’Europa occidentale crebbe di quindici volte. In Giappone, il
cambiamento fu spettacolare perché il consumo crebbe di 137 volte.
Dal 1946 al 1973 il mondo ha consumato più energia ad uso commerciale che
durante l’intero periodo dal 1800 al 1945. Mentre dal 1800 al 1945 il consumo di
energia ammonta a circa 53 miliardi di tonnellate di petrolio, nei 27 anni successivi
alla Seconda Guerra mondiale supera gli 84 miliardi. Questo periodo vede
l’emergere delle principali industrie di gas naturale e di energia nucleare così come
una ripresa della produzione mondiale di carbone. Ma l’industria del settore
energetico più dinamica tra tutte è quella del petrolio. La produzione di petrolio si è
accresciuta di oltre il 700%.
Anticipazioni dalla sinistra
Per la prima volta nella storia del mondo, oggi ogni essere umano è sottoposto al
contatto di pericolose sostanze chimiche, dall’istante del concepimento fino alla
morte. Tutto ciò è una conseguenza dello sviluppo di un’industria che produce
sostanze chimiche sintetiche, cioè fabbricate dall’uomo, dotate di proprietà
insetticide. Tale industria è figlia della Seconda Guerra Mondiale. Dalla Seconda
Guerra Mondiale i problemi collegati alla vita urbana assumono nuove dimensioni.
Al crescere del numero di sostanze inquinanti, le condizioni necessarie per la
disponibilità di aria e acqua pulite sono messe in pericolo.
Dal 1945, il mondo è entrato in una nuova fase di crisi planetaria, nella quale
l’attività economica ha iniziato a influenzare le condizioni elementari della vita sulla
Terra. Questa nuova fase ecologica è collegata all’ascesa del capitalismo
monopolistico, un sistema economico dominato da grandi imprese e dalle
conseguenti trasformazioni che esso ha apportato alle relazioni tra scienza e
industria. Prodotti sintetici non biodegradabili sono diventati elementi basilari della
produzione industriale.
L’accelerazione dell’Anthropocene
La concentrazione atmosferica di biossido di carbonio era aumentata di circa
trentacinque parti per milione rispetto al livello dell’età preindustriale, e il 65% di
quell’aumento era dovuto alle emissioni di due soli paesi, gli Stati Uniti e il Regno
Unito.
Una mezz’età dell’oro
Il periodo che va dalla fine della guerra al 1973 è spesso definito “l’età dell’oro del
capitalismo”. È stato il teatro del più lungo boom economico ininterrotto della storia
del capitalismo. La vita di un gran numero di persone fu trasformata. La
disoccupazione scese a livelli che si erano conosciuti solo durante brevi periodi di
boom economico. Ci fu un graduale e quasi ininterrotto aumento dei salari reali
negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e Scandinavia negli anni ’50, e in Francia e in Italia
negli anni ’60. Gli operai vivevano meglio dei loro genitori e si aspettavano che i loro
figli vivessero ancora meglio. Non erano solo una questione di redditi più alti, i salari
potevano essere spesi per l’acquisto di un vasto assortimento di beni di consumo:
aspirapolveri, lavatrici, frigoriferi, televisori, scaldabagni, etc. Si registrò un salto
qualitativo ne tenore di vita della classe operaia. I lavori domestici rimasero compito
esclusivo delle donne, ma non furono più obbligate a trascorrere ore a far bollire
l’acqua e a strofinare il pavimento in ginocchio. Il cibo poteva essere comprato a
scadenza settimanale anziché giornaliera, incominciando a sostituire il negozio
all’angolo con il supermercato. Ogni tipo di distrazione era disponibile senza uscire
di casa, soprattutto per coloro che non potevano permettersi di frequentare i
cinema, i teatri o le sale da ballo.
Solo una minoranza privilegiata godeva di tale prosperità, anche nel paese più ricco
del mondo. Solo circa un quarto della classe operaia statunitense, soprattutto gli
“operai bianchi e le loro famiglie”.
I poveri abitano ancora nei miserabili caseggiati dell’area centrale urbana, ma sono
sempre più isolati dal contatto con tutti gli altri. Donne medio-borghesi, venendo in
città dai sobborghi residenziali per una serata a teatro, possono cogliere al volo in
rare escursioni l’immagine dell’altra America. Ma i loro figli sono segregati in scuole
suburbane. L’uomo d’affari o il professionista possono sfiorare in macchina, o
eccezionalmente in autobus. I falliti, le persone comuni, gli infermi, i vecchi, le
minoranze di colore, sono lì, fuori mano, dove sono sempre stati. Ma nessun’altro ci
sta. Insomma, lo stesso sviluppo della città americana ha tagliato fuori determinate
persone. Questa segregazione razziale ed economica è stata il fermento della
ribellione dei quartieri poveri che ha travolto gli Stati Uniti. L’età dell’oro riguardò
essenzialmente i paesi capitalistici sviluppati, i quali, lungo decenni,
rappresentavano circa i tre quarti della produzione mondiale. Lo stesso può dirsi
della Grande accelerazione. Tuttavia, l’emergere negli Stati Uniti di una frazione
numericamente significativa e relativamente privilegiata della classe lavoratrice ha
contribuito a mantenere la crescita economica per un lungo periodo e a far
diventare l’uso del petrolio un elemento fondamentale della vita dei paesi
capitalistici avanzati.
Auto e sobborghi
I primi due articoli più voluti dalle persone, ma soprattutto dai lavoratori dopo anni
di carenza e privazioni, erano l’auto e la casa. Il numero delle automobili che si
contava sulle strade crebbe moltissimo. La seconda ondata del processo di
motorizzazione del paese fu ancora più grande, ed ebbe sull’intera economia un
effetto maggiore della precedente: le industrie dell’auto, del petrolio e della gomma
erano responsabili di un terzo di tutti gli impianti e delle attrezzature dell’intero
settore manufatturiero. Durante lo stesso periodo, le somme destinate all’acquisto
di auto, pezzi di ricambio, benzina e petrolio in generale passarono dal 6,5% al 9%.
Il boom automobilistico fu causa ed effetto dell’estensione urbana. Se si possedeva
una macchina, era possibile vivere in periferia; se compravi una casa in periferia,
avere una macchina essenziale.
La costruzione annuale di abitazioni da quel momento si incrementò. Più dell’80%
delle nuove case erano situate alla periferia delle città, dove i terreni erano più
economici e più facili da gestire.
Parliamo non solo de bisogno di automobili, benzina, autostrade, villette, centri
commerciali, ma anche di macchine tosaerba, frigoriferi, condizionatori, tende,
mobili (per interni ed esterni), dispositivi per intrattenimento come la televisione, e
tutto un insieme di sistemi di manutenzione indispensabili per tenere in piedi questo
stile di vita. Vivere nelle periferie statunitensi esigeva il consumo di tutto questo e
anche di più. Lo sviluppo dei sobborghi residenziali ha trasformato queste merci da
necessità e desideri in bisogni assoluti.
Furono costruite anche molte strade considerate essenziali per il trasporto di truppe
e attrezzature militari, e molti parcheggi. Ci volle molto denaro per costruire le varie
reti di linee elettriche, telefoniche e idriche, centri commerciali nazionali, centri
commerciali regionali, centrali elettriche, rivendite di hamburger, pizzerie, negozi di
ciambelle, parchi, uffici, scuole e altri servizi di quel genere di vita. Più della metà
della popolazione americana vive in quel modo.
L’agricoltura industriale
L’agricoltura non è destinata a produrre cibo, ma a generare profitti. Gli alimenti
sono solo un effetto collaterale. Gli agricoltori che avevano i mezzi per procurarsi tali
macchine potevano coltivare aree più grandi con meno lavoro; potevano quindi
produrre di più e vendere a prezzi più bassi. Quelli che non avevano i mezzi furono
penalizzati. Il numero di animali da tiro (cavalli e muli) nelle fattorie americane ebbe
un declino e questo fu solo l’inizio, questi ultimi diventarono così rari che non
vennero più considerati.
Questo cambiamento dell’agricoltura è paragonabile a quello che ha conosciuto
l’industria manufatturiera. Dalla Seconda Guerra Mondiale, il sistema alimentare
degli Stati Uniti si è completamente fossilizzato. Lo si constata in particolare nel
settore agricolo, dove si sono sostituite forme di energia essenzialmente biologiche,
come i muscoli, con una forza meccanica inanimata che poggia sui combustibili
fossili, e dove i fertilizzanti naturali come il letame e il concime sono stati rimpiazzati
da prodotti chimici di sintesi ad alto consumo energetico come i pesticidi.
Spendiamo più energia per produrre cibo piuttosto che per mangiarlo.
L’agricoltura industriale richiede anche enormi quantità di pesticidi, in gran parte
derivati dal petrolio. Una serie di studi dimostrano che solo lo 0,01% di queste
sostanze svolge la sua funzione. Il resto finisce nel suolo, nell’aria e nelle falde
acquifere. I parassiti diventano ogni giorno più resistenti, per ottenere i risultati,
bisogna impiegare quantità sempre maggiori.
L’inquinamento militare
Durante la guerra si spende molto denaro: i benefit ai veterani, gli aiuti militari a
paesi stranieri e gli interessi sul debito delle spese militari. Il budget supera un
trilione di dollari all’anno. Questa somma si rivela spaventosa quando ci si rende
conto che è superiore al totale delle spese militari dei nove paesi. La spesa militare
mondiale totalizzava 130 volte il budget per gli aiuti umanitari, per non parlare degli
investimenti nella lotta contro il cambiamento climatico.
Le spese militari hanno notevolmente stimolato la crescita economica negli anni ’40
e ’50, e hanno contribuito da allora al suo mantenimento. Hanno anche creato un
mercato militare in continua espansione per i combustibili fossili, soprattutto il
petrolio. Le forze armate degli Stati Uniti sono oggi il più grande consumatore
mondiale di petrolio, il più grande inquinatore e il più grande produttore di gas serra
del pianeta.
Secondo una giornalista le forze armate americane non sembrano fare nulla per
ridurre il loro consumo di carburanti: l’esercito impiega moltissimi soldati solo per
alimentare di petrolio, olio e lubrificanti le sue macchine da guerra. Queste,
consumano sempre più energia. Ad esempio, il carrarmato che pesa quasi
sessantotto tonnellate consuma 5 litri di carburante per chilometro percorso.
Progettato negli anni ’60, il suo motore inefficiente brucia 45 litri di carburante in
un’ora girando al minimo. Le macchine da guerra statunitensi richiedono tanto
tempo e denaro. Il peso totale di tutti i soldati, veicoli e armi dell’esercito di terra
degli Stati Uniti è costituito per il 70%di solo combustibile.
Un gruppo di studiosi pensò che, per continuare a soddisfare la loro domanda di
carburante, le forze armate avrebbero bisogno di sistemi d’armamento che
consumano meno energia. Secondo la giornalista i generali sembrano avere scelto
una terza opzione: assicurarsi di avere accesso a nuove fonti di petrolio.
Per la maggior parte delle industrie, la distruzione dell’ambiente è un effetto
secondario della corsa al profitto. L’industria degli armamenti applica metodi di
produzione capitalistici per creare dispositivi di potenza sempre più distruttiva. La
guerra e il militarismo moderni hanno conseguenze drammatiche sulla natura e sul
nostro ambiente vivente, a causa del tipo di armi usate (esplosivi dissimulati di lunga
durata, sostanze chimiche tossiche, radiazioni). Alcuni ricercatori hanno stimato che
le forze armate del mondo fossero responsabili del 5 al 10% dell’inquinamento
atmosferico, che include le emissioni di anidride carbonica, gas che riducono lo
strato di ozono, smog e sostanze acidificanti. Il 20% del degrado ambientale nel
mondo è attribuibile alle attività militari e a quelle connesse.
Una produzione globalizzata
Ad ogni età dell’oro finisce per succedere un’età del piombo. I prezzi della borsa di
New York cominciarono a cadere, il calo avrebbe raggiunto il 45%. Nell’ottobre dello
stesso anno, si decretò un aumento delle tasse imposte alle compagnie petrolifere.
Si ebbe un collasso dell’economia. Un calo colpiva contemporaneamente tutti i paesi
imperialisti. Nello stesso periodo, gli Stati Uniti perdevano la guerra del Vietnam, un
gruppo rivoluzionario rovescia la dittatura he governava il portogallo, alcuni
movimenti rivoluzionari si ribellarono e presero il potere in 14 paesi del Terzo
Mondo, tra cui il Nicaragua e l’Iran.
Alcuni hanno pensato che occorresse cambiare direzione: le politiche che avevano
consentito la crescita del capitalismo dalla Seconda Guerra Mondiale non
funzionavano più. Le grandi aziende ruppero il contratto sociale con i dirigenti
sindacali e lanciarono un grande progetto a lungo termine di tagli di salari e dei
benefici sociali. Ogni “condivisone” dei guadagni di produttività venne interrotta. Le
grandi aziende condussero, con grande successo, una campagna per indebolire o
eliminare le leggi per proteggere l’ambiente e impedire l’adozione di qualsiasi
misura di riduzione delle emissioni di gas serra. Ci fu anche l’assenza di reazioni da
parte di grandi corporation, ognuna delle quali avrebbe potuto facilmente finanziare
una campagna a favore della scienza. Ma i combustibili fossili erano talmente
essenziali al buon funzionamento di ogni corporation che nessuna di esse volle
interferire con la produzione.
L’industria si è spostata a Sud principalmente per approfittare di salari molto più
bassi: tenendo conto delle differenze nel costo della vita, i salari in Pakistan,
Madagascar, Indonesia e Cina sono un decimo di quelli statunitensi.
Nelle regioni più povere del mondo come la maggior parte dell’Asia, America latina,
nonché alcuni paesi dell’Europa le aziende, la cui produzione distrugge foreste,
contamina le riserve di acqua potabile, inquina l’aria o causa altri danni possono
facilmente ignorare le leggi e farla franca. Paesi con bassi salari hanno provocato un
aumento dell’inquinamento, in particolare di emissioni di gas serra. La loro
rivoluzione industriale, come quella in Europa e in Nord America, si fonda sull’uso di
energia a baso costo, che di solito significa usare carbone, spesso di bassa qualità,
per produrre elettricità. Com’è risaputo, oggi la Cina è il primo produttore al mondo
di gas serra. La Cina aveva bassi salari ed elevate emissioni di anidride carbonica,
mentre altri paesi avevano salari elevati e basse emissioni di anidride carbonica. Se
negli anni ’40 dell’Ottocento potevamo chiamare Manchester la “ciminiera del
mondo”, adesso è la Repubblica popolare cinese che svolge questo ruolo.
Emissioni in movimento
La delocalizzazione della produzione in Cina e altrove ha anche provocato una
crescita spettacolare del trasporto internazionale di merci e un aumento delle
emissioni prodotte delle navi. Il gasolio per uso marittimo è il combustibile più
economico e più inquinante disponibile. Una grande nave porta-container consuma
350 tonnellate di carburante al giorno ed emette più anidride carbonica di certe
centrali termiche a carbone. Il gasolio per uso marittimo ha un alto contenuto di
zolfo. Tali quantità di zolfo generano un importante inquinamento atmosferico, che
ha gravi effetti sulla salute, tra cui l’asma, le malattie cardiache e il cancro ai
polmoni. Gli scienziati hanno valutato che questo carburante causa morti premature
nelle regioni costiere.
Il flagello della plastica
La produzione di plastica è esplosa dopo la guerra. L’industria delle materie plastiche
utilizza circa il 6% del petrolio prodotto nel mondo, più di quello del trasporto aereo.
Il più grande mercato della plastica (26% della produzione totale) è quello degli
imballaggi, solo il 14% degli imballaggi è conservato per essere riciclato. Il resto
viene bruciato, interrato e gettato nell’ambiente come elemento inquinante. Il peso
della plastica oceanica dovrebbe superare quello di tutti i pesci.
I fertilizzanti chimici creano dipendenza. Distruggono l’azoto naturale presente nei
suoli, cosicché gli agricoltori devono spenderne sempre di più per mantenere i
rendimenti delle loro colture.
Il dominio del carbone
A livello globale, viene investito più capitale nei settori petrolifero e del gas che in
ogni altro settore industriale. Il mondo conta migliaia di grandi miniere di carbone e
di centrali termiche a carbone. Dal 2000 al 2008, la Cina da sola ha aumentato la sua
capacità di produzione di elettricità basata sul carbone.
Defossilizzare il capitalismo?
Il capitale fossile è il fondamento energetico. Mentre gli altri materiali sono
incorporati fisicamente in prodotti specifici (il cuoio negli stivali, il cotone nei tessuti,
etc.), il carbone, il petrolio e il gas naturale sono utilizzati in tutto l’arco della
produzione di beni come materiali che servono a metterla in movimento e sono la
leva generale della produzione di plusvalore.
Non appena il capitalismo ha adottato i combustibili fossili, non è stato più possibile
tornare indietro: capitalismo e combustibili fossili sono diventati inseparabili e lo
sono ancora oggi. Le emissioni continuano ad aumentare.
I combustibili fossili consentono anche la produzione di cibo, vestiario, alloggi,
riscaldamento e medicine; alimentano veicoli, mezzi di comunicazione e
d’intrattenimento e molto altro ancora. Potremmo godere di tutti questi benefici
senza carbone, petrolio o gas? È possibile separare l’abbondanza di beni dai
combustibili fossili? Può il capitalismo defossilizzarsi? Può sostituire, in tutto o anche
in parte, fonti non fossili di energia ai combustibili fossili? Se fosse solo una
questione tecnica, la risposta sarebbe “probabilmente”. Alcuni studiosi propongono
di costruire, in un periodo di venti anni, milioni di turbine eoliche, impianti solari e
altri sistemi in tutto il mondo. Per dimostrare la fattibilità di questi progetti, i loro
difensori citano l’esempio della Seconda Guerra Mondiale: in soli sei anni hanno
prodotto circa seimila navi, aerei, carri armati, armi pesanti, per non parlare della
bomba atomica. I principali ostacoli sono di ordine sociale e politico. È una
questione di volontà. Sono i fattori economici e politici a fare tutta la differenza. È
insensato credere che la potente industria petrolifera possa accettare
volontariamente di cessare la sua attività.
I combustibili fossili non sono uno strato di vernice che si può rimuovere dal
capitalismo, lasciandolo intatto. Sono parte integrante del sistema.
Il consumo di energia ad alto contenuto di carbonio è praticamente al centro di tutti
i processi di produzione e riproduzione del sistema; al settore industriale si
aggiungono la produzione e la distribuzione alimentare, il riscaldamento e il
funzionamento dei palazzi adibiti agli uffici, il trasporto della manodopera e la
distribuzione di ciò di cui essa ha bisogno per assicurare la sua riproduzione.
Rompere con l’economia del petrolio e del carbone implica la trasformazione in
profondità di queste strutture così come ridefinire completamente le forze
produttive e i rapporti di produzione immediati che ne derivano.
Non siamo tutti sulla stessa barca
Viviamo tutti sullo stesso pianeta. Affrontiamo tutti gli stessi pericoli e possiamo
tutti afferrare le stesse occasioni. Abbiamo tutti la responsabilità di determinare il
corso che prenderà il nostro futuro. Purtroppo, in realtà solo alcuni privilegiati sono
in prima classe con tutti i dispositivi di sicurezza immaginabili, compresi i posti
riservati nelle migliori scialuppe di salvataggio. La maggior parte deve accontentarsi
della terza classe, esposta agli elementi e senza accesso a nessuna scialuppa di
salvataggio. Il capitalismo fossile si caratterizza piuttosto per un’accumulazione
senza precedenti di ricchezza da parte di una piccolissima minoranza e una povertà
di massa. La combinazione di disuguaglianze di ricchezza e potere con gli eventi
meteorologici estremi e il cambiamento climatico sta già avendo conseguenze
catastrofiche sulla maggioranza della popolazione mondiale. Il divario non separa
solo ricchi e poveri, o agi e miseria. È tra sopravvivenza e morte.
Le vittime del cambiamento climatico
I cambiamenti climatici e gli eventi metereologici estremi non colpiscono a caso gli
esseri umani di qualunque condizione sociale. Nessun miliardario figura tra i morti,
nessun alto dirigente vive in un rifugio, nessun agente di borsa vede i propri figli
morire di malnutrizione. In tutto il mondo il 99% delle vittime di catastrofi
metereologiche abita in paesi in via di sviluppo e il 75% di esse sono donne. Il
fenomeno si osserva a tutti i livelli. Il Sud soffre più del Nord. Nel Sud, sono i paesi
più poveri, nella maggior parte situati nell’Africa sub-sahariana. Le persone più
povere sono donne, anziani e bambini e sono più esposte più delle altre al rischio di
perdere la loro casa, i mezzi di sostentamento e persino le loro vite a causa del
cambiamento climatico.
Il fenomeno affligge anche il Nord, nonostante la ricchezza.
La maggior parte delle vittime dell’ondata di caldo che ha colpito Chicago erano
povere anziane che vivevano da sole in minuscoli alloggi dove l’aria condizionata era
un lusso inaccessibile o in quartieri in cui era persino pericoloso aprire le finestre.
La malnutrizione, che costituisce già un serio problema in gran parte del mondo,
sarà aggravata dal riscaldamento globale, come la siccità che ha colpito il Corno
d’Africa nel 2011. Si stima che gli effetti del cambiamento climatico sul cibo e le
malattie trasmissibili provochino migliaia di morti all’anno nei paesi più poveri del
mondo. Oggi, una persona su otto va a dormire affamata. Se nulla cambia, il
riscaldamento globale condannerà i paesi più poveri del mondo e i loro abitanti più
svantaggiati a una spirale infernale, lasciando centinaia di milioni di persone a
rischio di malnutrizione, mancanza d’acqua, catastrofi ecologiche e di perdere i loro
mezzi di sostentamento. I bambini saranno tra le principali vittime.
Esclusione
Molto di ciò che sembra essere il risultato del cambiamento climatico è in realtà
determinato da politiche razziste e discriminatorie. Nei giorni successivi all’uragano
Katrina, diverse centinaia di persone, compresi bambini su passeggini e adulti su
sedie a rotelle, cercarono di fuggire da New Orleans a piedi prendendo una delle
poche vie di fuga possibili: il ponte che conduce a Gretna. All’ingresso del ponte,
agenti di polizia di Gretna armati bloccarono loro la strada sparando colpi in aria.
Due paramedici di San Francisco, che erano rimasti intrappolati in città, descrissero
la scena: chiedemmo loro perché non eravamo autorizzati ad attraversare il ponte,
anche perché c’era pochissimo traffico sull’autostrada a sei corsie. Ci risposero che
la via occidentale non sarebbe diventata come New Orleans. Parole in codice per
dire: se sei povero o nero, non puoi attraversare il ponte e lasciare New Orleans.
Migliaia di persone partite dal Medio Oriente e dall’Africa sono annegate mentre
tentavano di raggiungere l’Europa. Esse scappavano dalle peggiori siccità e dalle
temperature più alte mai registrate, nonché dalle guerre sanguinose per proteggere
il loro accesso al petrolio. Per spiegare le ragioni del rifiuto del governo di sostenere
un programma destinato a salvare dei rifugiati dall’annegamento, il ministro agli
Affari Esteri del Regno Unito, ha dichiarato davanti alla Camera dei Lord che ciò che
avrebbe avuto l’effetto di incoraggiare altri migranti a intraprendere una via
pericolosa e dato luogo ad altre morti tragiche e inutili. Sanno che, ritirandosi da
questo programma, condannano all’annegamento bambini, donne e uomini
innocenti che avrebbero potuto salvare. Ma così la gente ci penserà due volte prima
di intraprendere il viaggio. Alla lunga, in questo modo saranno salvate più vite.
Militarismo ambientale
I governi affermano di voler aiutare la gente ad adattarsi in modo da non vedersi
costretta a lasciare il loro paese d’origine, ma le loro azioni smentiscono le loro
parole. Il Green Climate Fund è un buon esempio di questa malafede. Fondato dalle
Nazioni Unite, si è dato come obiettivo di mobilitare cento miliardi di dollari all’anno
per aiutare i paesi del Terzo Mondo ad adattarsi ai cambiamenti climatici. Cinque
anni dopo hanno totalizzato meno di un miliardo di dollari.
È tempo di riconoscere l’ambiente per quello che è: la principale questione di
sicurezza nazionale. Le epidemie, le deforestazioni, le erosioni, l’esaurimento
dell’acqua, l’inquinamento dell’aria e l’aumento del livello del mare nelle aree
sovrapposte come il delta del Nilo e il Bangladesh, sono tutti fenomeni che
provocheranno migrazioni di massa e, di conseguenza, conflitti tra gruppi.
Costituiranno le principali sfide in politica estera, sfide da cui deriverà la maggior
parte degli altri problemi, suscitando tensioni all’interno della popolazione.
L’ambiente definirà una nuova minaccia per la nostra sicurezza. Un rapido
sconvolgimento del clima potrebbe destabilizzare l’ambiente geopolitico
provocando battaglie e persino guerre. Le nazioni con disponibilità di risorse
potrebbero costruire fortezze, le nazioni meno fortunate potrebbero lanciare
attacchi per avere accesso a cibo, acqua potabile o energia.
Gli Stati Uniti e l’Australia potrebbero proteggersi con fortezze diversive, perché
dispongono di risorse necessarie. Grazie alla diversità climatica, alla loro ricchezza,
alla tecnologia e all’abbondanza delle loro risorse, gli Stati Uniti potrebbero
sopravvivere a cicli di crescita ridotti e a condizioni metereologiche avverse senza
perdite catastrofiche. In tutto il paese saranno rafforzati i confini per contenere il
flusso indesiderato di migranti affamati provenienti dalle isole dei Caraibi, dal
Messico e dal Sud America. Si tratta di un appello all’uso della forza armata contro
popolazioni affamate. Questa è barbarie in cui la dignità e l’umanità dell’uomo, la
bellezza della civiltà è negata.
Il muro e le pattuglie armate che controllano la frontiera tra gli USA e il Messico,
l’Australia che rifiuta i rifugiati, il rifiuto del Regno Unito di accogliere i rifugiati del
campo di Calais e il muro costruito dall’Ungheria per bloccare il passaggio dei
rifugiati siriani mostrano che il principale errore del rapporto sono le politiche di
esclusione. Quello che si descrive come politica della scialuppa di salvataggio armata
consiste nel rispondere ai cambiamenti climatici con le armi, l’esclusione, l’oblio, la
repressione, la sorveglianza e l’assassinio.
Gli strateghi statunitensi considerano il cambiamento climatico non come un
problema d giustizia sociale, ma piuttosto come un moltiplicatore di minacce a cui
bisogna reagire con la forza. Mentre gli Stati Uniti rifiutano di impegnarsi a ridurre le
loro emissioni di gas serra, i loro capi militari percepiscono il cambiamento climatico
come un problema di sicurezza causato dagli stranieri.
Un’apartheid ambientale o dell’adattamento
Mentre i militari prendono di mira le vittime del cambiamento climatico come
nemici dello stile di vita capitalistico, le élites si preparano ai tempi bui ritagliandosi
spazi protetti per se stesse, le loro famiglie e i loro servitori nella speranza di
garantirsi la possibilità di continuare ad ottenere sempre più della loro part di
ricchezza mondiale, senza preoccuparsi del resto dell’umanità.
Il cambiamento climatico avrà impatti diseguali tra regioni e classi sociali diverse e
causerà i danni peggiori nei paesi poveri meno forniti di risorse per adattarsi. Le
opere di compensazione sono selettive e a favore dei passeggeri di prima classe del
pianeta Terra.
Mai la ricchezza e il consumo di lusso sono stati così isolati e socialmente circoscritti
a pochi. Mentre miliardi di persone vivono con due dollari al giorno, questi mondi da
sogno suscitano desideri di consumo illimitato, di totale esclusione sociale e
sicurezza fisica, di palazzi monumentali, ovviamente incompatibili con la
sopravvivenza ecologica e morale della specie umana. Tutte queste cose incarnano
l’isolamento narcisistico di coloro che fuggono le tragedie che si abbattono sul
nostro pianeta. I ricchi continueranno semplicemente a rifugiarsi nei loro castelli e
davanti ai loro televisori, tentando disperatamente di consumare tutte le cose
buone della Terra nel tempo loro assegnato. Grazie ai loro jet privati e ai loro super-
yacht, gli ultraricchi possono rifugiarsi a piacimento nei mondi da sogno, ma anche
le persone un po’ meno ricche hanno la possibilità di proteggersi dall’ira della Terra,
pur rimanendo nelle città del Nord.
Stimolate da eventi come l’uragano Sandy, nuove società immobiliari di lusso
vendono le loro infrastrutture per far fronte ai disastri, con tutta una serie di misure
che spaziano dall’illuminazione d’emergenza alle pompe e ai generatori alimentati a
gas naturale, dalle paratoie alte 4 metri contro le inondazioni alle stanze sigillate a
tenuta stagna come i sommergibili. Le persone pagherebbero volentieri per essere
relativamente sicuri di non doversi ritrovare in situazioni terribili nel caso di un
disastro naturale.
A causa dell’uragano, migliaia di poveri si sono visti bloccati nei loro alloggi anche
per tre settimane senza elettricità, riscaldamento o acqua. Cresce la massa della
miseria, l’oppressione, l’asservimento, il degrado e lo sfruttamento.
Non si ha bisogno di queste persone né come produttori né come consumatori, cosa
che pochi di loro saranno mai. Quindi si può abbandonarle al loro destino. La fame
delle popolazioni e la distruzione massiccia di habitat non necessariamente
scuoteranno il capitale, a meno che non suscitino ribellioni e rivoluzioni, proprio
perché una buona parte della popolazione mondiale è ormai superflua ed
eliminabile. Centinaia di milioni di persone sono già ai margini dell’economia
mondiale o ne sono escluse, o condannate a sopravvivere con i loro propri mezzi in
un ambiente globale in via di degrado. Esclusi dall’economia esse sono diventate le
principali vittime. Trionfa la logica insensata dello sterminio e dell’apartheid. Se la
tendenza continua, l’Anthropocene sarà una nuova epoca oscura caratterizzata dalle
barbare regole di una minoranza e dalla barbarica sofferenza dei più. Ecosocialismo
o barbarie. Non c’è una terza via.

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