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1. Martin Lutero

Martin Lutero (1483-1546) era di origine contadina. Dopo essere


diventato monaco agostiniano intraprese studi teologici e divenne nel
1513 professore a Wittenberg. Nella continua ricerca di una fede più
profonda e sincera si scontrò presto con le autorità della chiesa.
Nel 1517 Lutero affisse sulla porta di una chiesa a Wittenberg
(nella Turingia) 95 tesi contro la corruzione nella chiesa e in
particolare contro il commercio delle indulgenze che all'epoca era
molto di moda. Il perdono dei peccati era, alla sua epoca, praticamente
in vendita: per una certa somma di denaro ci si garantiva l'entrata in
paradiso. Esistevano delle tariffe ben precise per i vari peccati che
variavano anche secondo lo stato sociale del soggetto. Lutero si ribellò
energicamente contro questa commercializzazione della fede. Dopo
essersi rifiutato di ritrattare le sue opinioni, Lutero giunse a negare
l'infallibilità del Papa e diede così, senza volerlo, inizio a uno
sconvolgimento religioso e politico che spaccò in due la chiesa - e
l'Europa
Molti regnanti della Germania e di altri paesi sfruttarono la
divisione religiosa per motivi politici, in Germania iniziò un periodo
di guerre che ebbero anche un'influenza molto importante per la
formazione dell'assetto politico dell'Europa moderno.

1.1 Il fondatore della lingua tedesca

È meno noto che Lutero era anche l'artefice principale della


lingua tedesca moderna. Cercando di trovare un fondamento della fede
nella Bibbia, che al suo tempo era conosciuta solo a pochissime
persone colte, tradusse la Bibbia in tedesco contribuendo così a una
sua larga diffusione anche tra il popolo.
Per poterlo fare in una Germania frantumata da centinaia di stati
e dialetti creò un nuovo linguaggio, ancorata al dialetto della
Germania centrale e arricchita da elementi di altri dialetti e dal
linguaggio popolare. Questo nuovo linguaggio era comprensibile in
tutte le parti della Germania, per la prima volta un libro ebbe una
diffusione capillare a livello nazionale. Quello che Dante fece per la
lingua italiana, lo fece Lutero per la lingua tedesca: la standardizzò e
le diede una diffusione a livello nazionale. Per la prima volta esisteva,
con la Bibbia di Lutero, una lingua che figurava come "norma".
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1.2 La bibbia di Lutero

La sua traduzione della Bibbia, fatta durante il suo soggiorno


segreto nella fortezza della "Wartburg" dove doveva nascondersi dai
sicari del Papa che lo cercarono in tutta la Germania, ebbe un'enorme
successo, successivamente ne furono stampati centinaia di migliaia di
copie, cifre enormi considerando il fatto che il 90% della popolazione
non sapeva leggere! Se nel Cinquecento fossero già esistiti i diritti di
autore come li conosciamo oggi, Lutero sarebbe diventato sicuramente
uno degli uomini più ricchi del suo tempo.
Lutero si batté anche per un uso concreto, popolare della lingua:
in un suo trattato sui principi della traduzione invitò gli studiosi ad
ascoltare la lingua della gente semplice, delle donne e dei fanciulli al
mercato. La Bibbia divenne così un libro popolare e anche la
letteratura tedesca ne approfittò.
La lingua tedesca di oggi è cambiata molto dall'epoca di Lutero -
e continua a cambiare. Oggi lo stile di Lutero suona decisamente
antiquato, ma leggendo i suoi scritti si sente ancora qualcosa del suo
fascino che garantiva, nel '500 e nel '600, la sua rapida diffusione in
tutte le fasce sociali del popolo.

1.3 Le 95 tesi

Il 31 ottobre del 1517 Martin Lutero, monaco agostiniano e da


tre anni professore di teologia all'università di Wittenberg (in
Turingia), affisse sulla porta della chiesa del castello di questa città un
documento con 95 tesi in cui criticava la prassi della vendita delle
indulgenze e il ruolo delle autorità ecclesiastiche, in particolare del
Papa. L'affissione di un tale documento avvenne di solito in vista di
una pubblica assemblea in cui Lutero avrebbe difeso le proprie
affermazioni, una prassi allora costume corrente nei centri universitari.
Alcuni storici sostengono invece che le 95 tesi furono inviate, in
quel giorno, ai vescovi interessati e che furono diffuse solo dopo la
mancata risposta dei vescovi. Comunque sia, non ci sono prove certe
né per l'una né per l'altra versione dei fatti. Il 31 ottobre 1517 è, in
ogni caso, ritenuto l'inizio della riforma protestante che avrebbe
cambiato la faccia dell'Europa nei secoli a venire.

1.4 La vendita delle indulgenze


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Le 95 tesi (l'originale è in latino) riguardano soprattutto la vendita


delle indulgenze, il ruolo e i poteri del Papa e il rapporto tra il
credente e Dio. La vendita delle indulgenze era praticata dalla Chiesa
di Roma per finanziare la costruzione della Basilica di San Pietro. I
fedeli desiderosi di purificarsi potevano comprarsi, a seconda delle
loro possibilità economiche, la remissione totale o parziale dinanzi a
Dio dei loro peccati. Questa remissione poteva essere comprata sia per
i vivi che per i defunti. In realtà, questa pratica diede luogo a ogni
genere di abusi, di ricatti morali e di corruzione. E oltre alla chiesa di
Roma, erano alla fine soprattutto i Fugger, i ricchissimi banchieri di
Augsburg, a guadagnare dalle ingenti somme di denaro raccolte in
questa maniera. La ribellione contro questa pratica costituì uno dei
punti di partenza di Martin Lutero per chiedere riforme e, quando non
furono concesse, per rompere definitivamente con la chiesa di Roma.
Dato che nel '500 religione e potere politico erano fortemente
intrecciate, la spaccatura religiosa e la reazione della chiesa di Roma
portarono inevitabilmente anche a una spaccatura politica profonda e
molto dolorosa, con più di una guerra tra le opposte fazioni che spesso
usavano la religione solo per portare avanti scopi ben più "terreni".
Molte delle 95 tesi possono sembrare dei cavilli teologici, ma la
forza dirompente che ebbe questo documento sta soprattutto nei
passaggi in cui Lutero nega al Papa e ai sacerdoti un ruolo di
intermediazione tra i fedeli e Dio, e nelle tesi con cui negò loro di
concedere ciò che, secondo Lutero, solo Dio poteva concedere (p.e. il
perdono dei peccati commessi).

Le 95 Tesi
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1. Da unser Herr und Meister Jesus Christus spricht "Tut Buße" usw. (Matth. 4,17),
hat er gewollt, dass das ganze Leben der Gläubigen Buße sein soll.
1. Il Signore e maestro nostro Gesù Cristo dicendo: "Fate penitenza ecc." volle che tutta la
vita dei fedeli fosse una penitenza.

2. Dieses Wort kann nicht von der Buße als Sakrament - d. h. von der Beichte und
Genugtuung -, die durch das priesterliche Amt verwaltet wird, verstanden werden.
2. Questa parola non può intendersi nel senso di penitenza sacramentale (cioè confessione
e soddisfazione, che si celebra per il ministero dei sacerdoti).

3. Es bezieht sich nicht nur auf eine innere Buße, ja eine solche wäre gar keine,
wenn sie nicht nach außen mancherlei Werke zur Abtötung des Fleisches
bewirkte.
3. Non intende però solo la penitenza interiore, anzi quella interiore è nulla se non produce
esteriormente varie mortificazioni della carne.

4. Daher bleibt die Strafe, solange der Haß gegen sich selbst - das ist die wahre
Herzensbuße - bestehen bleibt, also bis zum Eingang ins Himmelreich.
4. Rimane cioè l'espiazione sin che rimane l'odio di sé (che è la vera penitenza
interiore), cioè sino all'ingresso nel regno dei cieli.

5. Der Papst will und kann keine Strafen erlassen, außer solchen, die er auf
Grund seiner eigenen Entscheidung oder der der kirchlichen Satzungen auferlegt hat.
5. Il papa non vuole né può rimettere alcuna pena fuorché quelle che ha imposte per
volonta propria o dei canoni.

6. Der Papst kann eine Schuld nur dadurch erlassen, dass er sie als von Gott
erlassen erklärt und bezeugt, natürlich kann er sie in den ihm vorbehaltenen Fällen
erlassen; wollte man das geringachten, bliebe die Schuld ganz und gar bestehen.
6. Il papa non può rimettere alcuna colpa se non dichiarando e approvando che è
stata rimessa da Dio o rimettendo nei casi a lui riservati, fuori dei quali la colpa
rimarrebbe certamente.

7. Gott erläßt überhaupt keinem die Schuld, ohne ihn zugleich demütig in allem
dem Priester, seinem Stellvertreter, zu unterwerfen.
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7. Sicuramente Dio non rimette la colpa a nessuno, senza sottometterlo


contemporaneamente al sacerdote suo vicario, completamente umiliato.

8. Die kirchlichen Bestimmungen über die Buße sind nur für die Lebenden
verbindlich, den Sterbenden darf demgemäß nichts auferlegt werden.
8. I canoni penitenziali sono imposti solo ai vivi, e nulla si deve imporre in base
ad essi ai moribondi.

9. Daher handelt der Heilige Geist, der durch den Papst wirkt, uns gegenüber gut,
wenn er in seinen Erlassen immer den Fall des Todes und der höchsten Not
ausnimmt.
9. Lo Spirito Santo dunque, nel papa, ci benefica eccettuando sempre nei suoi decreti i casi
di morte e di necessità.

10. Unwissend und schlecht handeln diejenigen Priester, die den Sterbenden


kirchliche Bußen für das Fegefeuer aufsparen.
10. Agiscono male e con ignoranza quei sacerdoti, i quali riservano penitenze
canoniche per il purgatorio ai moribondi.

11. Die Meinung, dass eine kirchliche Bußstrafe in eine Fegefeuerstrafe


umgewandelt werden könne, ist ein Unkraut, das offenbar gesät worden ist,
während die Bischöfe schliefen.
11. Tali zizzanie del mutare una pena canonica in una pena del Purgatorio certo appaiono
seminate mentre i vescovi dormivano.

12. Früher wurden die kirchlichen Bußstrafen nicht nach, sondern vor der
Absolution auferlegt, gleichsam als Prüfstein für die Aufrichtigkeit der Reue.
12. Una volta le pene canoniche erano imposte non dopo, ma prima
dell'assoluzione, come prova della vera contrizione.

13. Die Sterbenden werden durch den Tod von allem gelöst, und für die
kirchlichen Satzungen sind sie schon tot, weil sie von Rechts wegen davon befreit
sind.
13. I morituri soddisfano ogni cosa con la morte, e sono già morti alla legge dei canoni,
essendone sollevati per diritto.
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14. Ist die Haltung eines Sterbenden und die Liebe (Gott gegenüber)
unvollkommen, so bringt ihm das notwendig große Furcht, und diese ist um so
größer, je geringer jene ist.
14. La integrità o carità perfetta del morente, porta necessariamente con sé un
gran timore, tanto maggiore quanto essa è minore.

15. Diese Furcht und dieser Schrecken genügen für sich allein - um von anderem
zu schweigen -, die Pein des Fegefeuers auszumachen; denn sie kommen dem
Grauen der Verzweiflung ganz nahe.
15. Questo timore e orrore basta da solo, per tacere d'altro, a costituire la pena del
purgatorio, poiché è prossimo all'orrore della disperazione.

16. Es scheinen sich demnach Hölle, Fegefeuer und Himmel in der gleichen
Weise zu unterscheiden wie Verzweiflung, annähernde Verzweiflung und
Sicherheit.
16. L'inferno, il purgatorio ed il cielo sembrano distinguersi tra loro come la disperazione,
la quasi disperazione e la sicurezza.

17. Offenbar haben die Seelen im Fegefeuer die Mehrung der Liebe genauso nötig
wie eine Minderung des Grauens.
17. Sembra necessario che nelle anime del purgatorio di tanto diminuisca l'orrore
di quanto aumenti la carità.

18. Offenbar ist es auch weder durch Vernunft- noch Schriftgründe erwiesen,


dass sie sich außerhalb des Zustandes befinden, in dem sie Verdienste erwerben
können oder in dem die Liebe zunehmen kann.
18. Né appare approvato sulla base della ragione e delle scritture, che queste anime
siano fuori della capacità di meritare o dell'accrescimento della carità.

19. Offenbar ist auch dieses nicht erwiesen, dass sie - wenigstens nicht alle - ihrer
Seligkeit sicher und gewiß sind, wenngleich wir ihrer völlig sicher sind.
19. Né appare provato che esse siano certe e sicure della loro beatitudine,
almeno tutte, sebbene noi ne siamo certissimi.
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20. Daher meint der Papst mit dem vollkommenen Erlaß aller Strafen nicht
einfach den Erlaß sämtlicher Strafen, sondern nur derjenigen, die er selbst auferlegt
hat.
20. Dunque il papa con la remissione plenaria di tutte le pene non intende
semplicemente di tutte, ma solo di quelle imposte da lui.

21. Deshalb irren jene Ablaßprediger, die sagen, dass durch die Ablässe des Papstes
der Mensch von jeder Strafe frei und los werde.
21. Sbagliano pertanto quei predicatori d'indulgenze, i quali dicono che per le
indulgenze papali l'uomo è sciolto e salvato da ogni pena.

22. Vielmehr erläßt er den Seelen im Fegefeuer keine einzige Strafe, die sie nach
den kirchlichen Satzungen in diesem Leben hätten abbüßen müssen.
22. Il papa, anzi, non rimette alle anime in purgatorio nessuna pena che
avrebbero dovuto subire in questa vita secondo i canoni.

23. Wenn überhaupt irgendwem irgendein Erlaß aller Strafen gewährt werden


kann, dann gewiß allein den Vollkommensten, das heißt aber, ganz wenigen.
23. Se mai può essere concessa ad alcuno la completa remissione di tutte le
pene, è certo che essa può esser data solo ai perfettissimi, cioè a pochissimi.

24. Deswegen wird zwangsläufig ein Großteil des Volkes durch jenes in Bausch
und Bogen und großsprecherisch gegebene Versprechen des Straferlasses getäuscht.
24. È perciò inevitabile che la maggior parte del popolo sia ingannata da tale
indiscriminata e pomposa promessa di liberazione dalla pena.

25. Die gleiche Macht, die der Papst bezüglich des Fegefeuers im allgemeinen hat,
besitzt jeder Bischof und jeder Seelsorger in seinem Bistum bzw. seinem Pfarrbezirk
im besonderen.
25. La stessa potestà che il papa ha in genere sul purgatorio, l'ha ogni vescovo
e curato in particolare nella propria diocesi o parrocchia.

26. Der Papst handelt sehr richtig, den Seelen (im Fegefeuer) die Vergebung nicht
auf Grund seiner - ihm dafür nicht zur Verfügung stehenden - Schlüsselgewalt,
sondern auf dem Wege der Fürbitte zuzuwenden.
26. Il papa fa benissimo quando concede alle anime la remissione non per il potere delle
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chiavi (che non ha) ma a modo di suffragio.

27. Menschenlehre verkündigen die, die sagen, dass die Seele (aus dem Fegefeuer)
emporfliege, sobald das Geld im Kasten klingt.
27. Predicano da uomini, coloro che dicono che subito, come il soldino ha tintinnato nella
cassa, l'anima se ne vola via.

28. Gewiß, sobald das Geld im Kasten klingt, können Gewinn und Habgier
wachsen, aber die Fürbitte der Kirche steht allein auf dem Willen Gottes.
28. Certo è che al tintinnio della moneta nella cesta possono aumentare
la petulanza e l'avarizia: invece il suffragio della chiesa è in potere di Dio solo.

29. Wer weiß denn, ob alle Seelen im Fegefeuer losgekauft werden wollen, wie es
beispielsweise beim heiligen Severin und Paschalis nicht der Fall gewesen sein soll.
29. Chi sa se tutte le anime del purgatorio desiderano essere liberate, come si
narra di S. Severino e di S. Pasquale?

30. Keiner ist der Echtheit seiner Reue gewiß, viel weniger, ob er völligen Erlaß
(der Sündenstrafe) erlangt hat.
30. Nessuno è certo della sincerità della propria contrizione, tanto meno del
conseguimento della remissione plenaria.

31. So selten einer in rechter Weise Buße tut, so selten kauft einer in der rechten
Weise Ablaß, nämlich außerordentlich selten.
31. Tanto è raro il vero penitente, altrettanto è raro chi acquista veramente
le indulgenze, cioè rarissimo.

32. Wer glaubt, durch einen Ablaßbrief seines Heils gewiß sein zu können, wird
auf ewig mit seinen Lehrmeistern verdammt werden.
32. Saranno dannati in eterno con i loro maestri coloro che credono di essere
sicuri della loro salute sulla base delle lettere di indulgenza.

33. Nicht genug kann man sich vor denen hüten, die den Ablaß des Papstes jene
unschätzbare Gabe Gottes nennen, durch die der Mensch mit Gott versöhnt
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werde.
33. Specialmente sono da evitare coloro che dicono che tali perdoni del papa sono quel
dono inestimabile di Dio mediante il quale l'uomo è riconciliato con Dio.

34. Jene Ablaßgnaden beziehen sich nämlich nur auf die von Menschen
festgesetzten Strafen der sakramentalen Genugtuung.
34. Infatti tali grazie ottenute mediante le indulgenze riguardano solo le
pene della soddisfazione sacramentale stabilite dall'uomo.

35. Nicht christlich predigen die, die lehren, dass für die, die Seelen (aus dem
Fegefeuer) loskaufen oder Beichtbriefe erwerben, Reue nicht nötig sei.
35. Non predicano cristianamente quelli che insegnano che non è necessaria la contrizione
per chi riscatta le anime o acquista lettere confessionali.

36. Jeder Christ, der wirklich bereut, hat Anspruch auf völligen Erlaß von Strafe
und Schuld, auch ohne Ablaßbrief.
36. Qualsiasi cristiano veramente compiuto ottiene la remissione plenaria della
pena e della colpa che gli è dovuta anche senza lettere di indulgenza.

37. Jeder wahre Christ, sei er lebendig oder tot, hat Anteil an allen Gütern Christi
und der Kirche, von Gott ihm auch ohne Ablaßbrief gegeben.
37. Qualunque vero cristano, sia vivo che morto, ha la parte datagli da Dio
a tutti i beni di Cristo e della Chiesa, anche senza lettere di indulgenza.

38. Doch dürfen der Erlaß und der Anteil (an den genannten Gütern), die der
Papst vermittelt, keineswegs geringgeachtet werden, weil sie - wie ich schon sagte -
die Erklärung der göttlichen Vergebung darstellen.
38. Tuttavia la remissione e la partecipazione del papa non deve essere disprezzata
in nessun modo perché, come ho detto [v. tesi n°6], è la dichiarazione
della remissione divina.

39. Auch den gelehrtesten Theologen dürfte es sehr schwerfallen, vor dem Volk
zugleich die Fülle der Ablässe und die Aufrichtigkeit der Reue zu rühmen.
39. È straordinariamente difficile anche per i teologi più saggi esaltare
davanti al popolo ad un tempo a prodigalità delle indulgenze e
la verità della contrizione.
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40. Aufrichtige Reue begehrt und liebt die Strafe. Die Fülle der Ablässe aber macht
gleichgültig und lehrt sie hassen, wenigstens legt sie das nahe.
40. La vera contrizione cerca ed ama le pene, la larghezza delle indulgenze
produce rilassamento e fa odiare le pene o almeno ne dà occasione.

41. Nur mit Vorsicht darf der apostolische Ablaß gepredigt werden, damit das
Volk nicht fälschlicherweise meint, er sei anderen guten Werken der Liebe
vorzuziehen.
41. I perdoni apostolici devono essere predicati con prudenza, perché
il popolo non intenda erroneamente che essi sono preferibili a tutte le
altre buone opere di carità.

42. Man soll die Christen lehren: Die Meinung des Papstes ist es nicht, dass der
Erwerb von Ablaß in irgendeiner Weise mit Werken der Barmherzigkeit zu
vergleichen sei.
42. Bisogna insegnare ai cristiani che non è intenzione del papa equiparare in
alcun modo l'acquisto delle indulgenze con le opere di misericordia.

43. Man soll den Christen lehren: Dem Armen zu geben oder dem Bedürftigen
zu leihen ist besser, als Ablaß zu kaufen.
43. Si deve insegnare ai cristiani che è meglio dare a un povero o fare un prestito
a un bisognoso che non acquistare indulgenze.

44. Denn durch ein Werk der Liebe wächst die Liebe und wird der Mensch
besser, aber durch Ablaß wird er nicht besser, sondern nur teilweise von der Strafe
befreit.
44. Poiché la carità cresce con le opere di carità e fa l'uomo migliore, mentre
con le indulgenze non diventa migliore ma solo più libero dalla pena.

45. Man soll die Christen lehren: Wer einen Bedürftigen sieht, ihn übergeht und
statt dessen für den Ablaß gibt, kauft nicht den Ablaß des Papstes, sondern handelt
sich den Zorn Gottes ein.
45. Occorre insegnare ai cristiani che chi vede un bisognoso e trascurandolo
dà per le indulgenze si merita non l'indulgenza del papa ma l'indignazione di Dio.

46. Man soll die Christen lehren: Die, die nicht im Überfluß leben, sollen das
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Lebensnotwendige für ihr Hauswesen behalten und keinesfalls für den Ablaß
verschwenden.
46. Si deve insegnare ai cristiani che se non abbondano i beni superflui,
debbono tenere il necessario per la loro casa e non spenderlo per le indulgenze.

47. Man soll die Christen lehren: Der Kauf von Ablaß ist eine freiwillige
Angelegenheit, nicht geboten.
47. Si deve insegnare ai cristiani che l'acquisto delle indulgenze è libero e
non di precetto.

48. Man soll die Christen lehren: Der Papst hat bei der Erteilung von Ablaß
ein für ihn dargebrachtes Gebet nötiger und wünscht es deshalb auch mehr als zur
Verfügung gestelltes Geld.
48. Si deve insegnare ai cristiani che il papa come ha maggior bisogno così
desidera maggiormente per sé, nel concedere le indulgenze, devote orazioni
piuttosto che monete sonanti.

49. Man soll die Christen lehren: Der Ablaß des Papstes ist nützlich, wenn man
nicht sein Vertrauen darauf setzt, aber sehr schädlich, falls man darüber die Furcht
Gottes fahrenläßt.
49. Si deve insegnare ai cristiani che i perdoni del papa sono utili se essi
non vi confidano, ma diventano molto nocivi, se per causa loro si
perde il timor di Dio.

50. Man soll die Christen lehren: Wenn der Papst die Erpressungsmethoden der
Ablaßprediger wüßte, sähe er lieber die Peterskirche in Asche sinken, als dass sie
mit Haut, Fleisch und Knochen seiner Schafe erbaut würde.
50. Si deve insegnare ai cristiani che se il papa conoscesse le esazioni dei
predicatori di indulgenze, preferirebbe che la basilica di S. Pietro andasse
in cenere piuttosto che essere edificata sulla pelle, la carne e le ossa delle
sue pecorelle.

51. Man soll die Christen lehren: Der Papst wäre, wie es seine Pflicht ist, bereit -
wenn nötig -, die Peterskirche zu verkaufen, um von seinem Gelde einem großen
Teil jener zu geben, denen gewisse Ablaßprediger das Geld aus der Tasche holen.
51. Si deve insegnare ai cristiani che il papa, come deve, vorrebbe, anche a costo
di vendere - se fosse necessario - la basilica di S. Pietro, dare dei propri soldi
a molti di quelli ai quali alcuni predicatori di indulgenze estorcono denaro.
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52. Auf Grund eines Ablaßbriefes das Heil zu erwarten ist eitel, auch wenn der
(Ablaß-)Kommissar, ja der Papst selbst ihre Seelen dafür verpfändeten.
52. È vana la fiducia nella salvezza mediante le lettere di indulgenza. anche
se un commissario e perfino lo stesso papa impegnasse per esse la propria anima.

53. Die anordnen, dass um der Ablaßpredigt willen das Wort Gottes in den
umliegenden Kirchen völlig zum Schweigen komme, sind Feinde Christi und des
Papstes..
53. Nemici di Cristo e del papa sono coloro i quali perché si predichino
le indulgenze fanno tacere completamente la parola di Dio in tutte le altre chiese.

54. Dem Wort Gottes geschieht Unrecht, wenn in ein und derselben Predigt
auf den Ablaß die gleiche oder längere Zeit verwendet wird als für jenes.
54. Si fa ingiuria alla parola di Dio quando in una stessa predica si dedica
un tempo eguale o maggiore all'indulgenza che ad essa.

55. Die Meinung des Papstes ist unbedingt die: Wenn der Ablaß - als das Geringste
- mit einer Glocke, einer Prozession und einem Gottesdienst gefeiert wird, sollte
das Evangelium - als das Höchste - mit hundert Glocken, hundert Prozessionen
und hundert Gottesdiensten gepredigt werden.
55. È sicuramente desiderio del papa che se si celebra l'indulgenza, che è cosa minima,
con una sola campana, una sola processione, una sola cerimonia, il vangelo, che è la cosa
più grande, sia predicato con cento campane, cento processioni, cento cerimonie.

56. Der Schatz der Kirche, aus dem der Papst den Ablaß austeilt, ist bei dem Volke
Christi weder genügend genannt noch bekannt.
56. I tesori della Chiesa, dai quali il papa attinge le indulgenze, non sono
sufficientemente ricordati nè conosciuti presso il popolo cristiano.

57. Offenbar besteht er nicht in zeitlichen Gütern, denn die würden viele


von den Predigern nicht so leicht mit vollen Händen austeilen, sondern bloß
sammeln.
57. Certo è evidente che non sono beni temporali, che molti predicatori
non li profonderebbero tanto facilmente ma piuttosto li raccoglierebbero.

58. Er besteht aber auch nicht aus den Verdiensten Christi und der Heiligen,
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weil diese dauernd ohne den Papst Gnade für den inwendigen Menschen sowie
Kreuz, Tod und Hölle für den äußeren bewirken.
58. Nè sono i meriti di Cristo e dei santi, perché quesi operano sempre,
indipendentemente dal papa, la grazia dell'uomo interiore, la croce,
la morte e l'inferno dell'uomo esteriore.

59. Der heilige Laurentius hat gesagt, dass der Schatz der Kirche ihre Armen seien,
aber die Verwendung dieses Begriffes entsprach der Auffassung seiner Zeit.
59. S. Lorenzo chiamò tesoro delta Chiesa i poveri, ma egli usava il
linguaggio del suo tempo.

60. Wohlbegründet sagen wird, dass die Schlüssel der Kirche - die ihr durch
das Verdienst Christi geschenkt sind - jenen Schatz darstellen.
60. Senza temerarietà diciamo che questo tesoro è costituito dalle chiavi
della Chiesa donate per merito di Cristo.

61. Selbstverständlich genügt die Gewalt des Papstes allein zum Erlaß von
Strafen und zur Vergebung in besondern, ihm vorbehaltenen Fällen.
61. È chiaro infatti che per la remissione delle pene e dei casi basta la sola
potestà del papa.

62. Der wahre Schatz der Kirche ist das allerheiligste Evangelium von der
Herrlichkeit und Gnade Gottes.
62. Vero tesoro della Chiesa di Cristo è il sacrosanto Vangelo, gloria e grazia
di Dio.

63. Dieser ist zu Recht allgemein verhaßt, weil er aus Ersten Letzte macht.
63. Ma questo tesoro è a ragione odiosissimo perché dei primi fa gli ultimi.

64. Der Schatz des Ablasses jedoch ist zu Recht außerordentlich beliebt, weil er aus
Letzten Erste macht.
64. Ma il tesoro delle indulgenze è a ragione gratissimo perché degli ultimi
fa i primi.
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65. Also ist der Schatz des Evangeliums das Netz, mit dem man einst die Besitzer
von Reichtum fing.
65. Dunque i tesori evangelici sono reti con le quali un tempo si pescavano uomini ricchi.

66. Der Schatz des Ablasses ist das Netz, mit dem man jetzt den Reichtum
von Besitzenden fängt.
66. Ora i tesori delle indulgenze sono reti con le quali si pescano le ricchezze
degli uomini.

67. Der Ablaß, den die Ablaßprediger lautstark als außerordentliche Gnaden


anpreisen, kann tatsächlich dafür gelten, was das gute Geschäft anbelangt.
67. Le indulgenze che i predicatori proclamano grazie grandissime,
si capisce che sono veramente tali quanto al guadagno che promuovono.

68. Doch sind sie, verglichen mit der Gnade Gottes und der Verehrung des
Kreuzes, in der Tat ganz geringfügig.
68. Sono in realtà le minime paragonate alla grazia di Dio e alla pietà della croce.

69. Die Bischöfe und Pfarrer sind gehalten, die Kommissare des apostolischen
Ablasses mit aller Ehrerbietung zuzulassen.
69. I vescovi e i parroci sono tenuti a ricevere con ogni riverenza i commissari
dei perdoni apostolici.

70. Aber noch mehr sind sie gehalten, Augen und Ohren anzustrengen, dass jene
nicht anstelle des päpstlichen Auftrags ihre eigenen Phantastereien predigen.
70. Ma più sono tenuti a vigilare con gli occhi e le orecchie che essi non
predichino, invece del mandato avuto dal papa, le loro fantasie.

71. Wer gegen die Wahrheit des apostolischen Ablasses spricht, der sei verworfen
und verflucht.
71. Chi parla contro la verità dei perdoni apostolici sia anatema e maledetto.

72. Aber wer gegen die Zügellosigkeit und Frechheit der Worte der Ablaßprediger
auftritt, der sei gesegnet.
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72. Chi invece si oppone alla cupidigia e alla licenza del parlare del predicatore
di indulgenze, sia benedetto.

73. Wie der Papst zu Recht seinen Bannstrahl gegen diejenigen schleudert, die
hinsichtlich des Ablaßgeschäftes auf mannigfache Weise Betrug ersinnen.
73. Come il papa giustamente fulmina coloro che operano qualsiasi
macchinazione a danno della vendita delle indulgenze.

74. So will er viel mehr den Bannstrahl gegen diejenigen schleudern, die unter dem
Vorwand des Ablasses auf Betrug hinsichtlich der heiligen Liebe und Wahrheit
sinnen.
74. Cosi molto più gravemente intende fulminare quelli che col pretesto delle
indulgenze operano a danno della santa carità e verità.

75. Es ist irrsinnig zu meinen, dass der päpstliche Ablaß mächtig genug sei, einen
Menschen loszusprechen, auch wenn er - was ja unmöglich ist - der
Gottesgebärerin Gewalt angetan hätte.
75. Ritenere che le indulgenze papali siano tanto potenti da poter assolvere
un uomo, anche se questi, per un caso impossibile, avesse violato la madre di Dio,
è essere pazzi.

76. Wir behaupten dagegen, dass der päpstliche Ablaß auch nicht die geringste
läßliche Sünde wegnehmen kann, was deren Schuld betrifft.
76. Al contrario diciamo che i perdoni papali non possono cancellare neppure
il minimo peccato veniale, quanto alla colpa.

77. Wenn es heißt, auch der heilige Petrus könnte, wenn er jetzt Papst wäre, keine
größeren Gnaden austeilen, so ist das eine Lästerung des heiligen Petrus und des
Papstes.
77. Dire che neanche S. Pietro se pure fosse papa, potrebbe dare grazie maggiori,
è bestemmia contro S. Pietro e il papa.

78. Wir behaupten dagegen, dass dieser wie jeder beliebige Papst größere hat,
nämlich das Evangelium, "Geisteskräfte und Gaben, gesund zu machen" usw.,
wie es 1. Kor. 12 heißt.
78. Diciamo invece che questo e qualsiasi papa ne ha di maggiori, cioè l'evangelo,
16

le virtù, i doni di guarigione, ecc. secondo I Corinti 12 [1COR, 12].

79. Es ist Gotteslästerung zu sagen, dass das (in den Kirchen) an hervorragender
Stelle errichtete (Ablaß-) Kreuz, das mit dem päpstlichen Wappen versehen ist,
dem Kreuz Christi gleichkäme.
79. Dire che la croce eretta solennemente con le armi papali equivale la croce
di Cristo, è blasfemo.

80. Bischöfe, Pfarrer und Theologen, die dulden, dass man dem Volk solche
Predigt bietet, werden dafür Rechenschaft ablegen müssen.
80. I vescovi i parroci e i teologi che consentono che tali discorsi siano
tenuti al popolo ne renderanno conto.

81. Diese freche Ablaßpredigt macht es auch gelehrten Männern nicht leicht,


das Ansehen des Papstes vor böswilliger Kritik oder sogar vor spitzfindigen
Fragen der Laien zu schützen.
81. Questa scandalosa predicazione delle indulgenze fa si che non sia facile
neppure ad uomini dotti difendere la riverenza dovuta al papa dalle
calunnie e dalle sottili obiezioni dei laici.

82. Zum Beispiel: Warum räumt der Papst nicht das Fegefeuer aus um der heiligsten
Liebe und höchsten Not der Seelen willen - als aus einem wirklich triftigen Grund -,
da er doch unzählige Seelen loskauft um des unheilvollen Geldes zum Bau einer
Kirche willen - als aus einem sehr fadenscheinigen Grund -?
82. Per esempio: perché il papa non vuota il purgatorio a motivo della santissima carità e
della somma necessità delle anime, che è la ragione più giusta di tutte, quando libera un
numero infinite di anime in forza del funestissimo denaro dato per la costruzione della
basilica, che è una ragione debolissima?

83. Oder: Warum bleiben die Totenmessen sowie Jahrfeiern für die Verstorbenen
bestehen, und warum gibt er (der Papst) nicht die Stiftungen, die dafür gemacht
worden sind, zurück oder gestattet ihre Rückgabe,wenn es schon ein Unrecht ist,
für die Losgekauften zu beten?
83. Parimenti: perché continuano le esequie e gli anniversari dei defunti e invece
il papa non restituisce ma anzi permette di ricevere lasciti istituiti per loro,
mentre è già un'ingiustizia pregare per dei redenti?
17

84. Oder: Was ist das für eine neue Frömmigkeit vor Gott und dem Papst, dass sie
einem Gottlosen und Feinde erlauben, für sein Geld eine fromme und von Gott
geliebte Seele loszukaufen; doch um der eigenen Not dieser frommen und
geliebten Seele willen erlösen sie diese nicht aus freigeschenkter Liebe?
84. Parimenti: che è questa nuova di Dio e del papa, per cui si concede ad un
uomo empio e peccatore di redimere in forza del danaro un'anima pia e amica di
Dio e tuttavia non la si redime per gratuita carità in base alla necessità di
tale anima pia e diletta?

85. Oder: Warum werden die kirchlichen Bußsatzungen, die "tatsächlich und


durch Nichtgebrauch" an sich längst abgeschafft und tot sind, doch noch immer
durch die Gewährung von Ablaß mit Geld abgelöst, als wären sie höchst
lebendig?
85. Ancora: perché canoni penitenziali per se stessi e per il disuso già da tempo
morti e abrogati, tuttavia a motivo della concessione delle indulgenze sono
riscattati ancora col denaro come se avessero ancora vigore?

86. Oder: Warum baut der Papst, der heute reicher ist als der reichste Crassus,
nicht wenigstens die eine Kirche St. Peter lieber von seinem eigenen Geld
als dem der armen Gläubigen?
86. Ancora: perché il papa le cui ricchezze oggi sono più opulente di quelle
degli opulentissimi Crassi, non costruisce una sola basilica di S. Pietro con i
propri soldi invece che con quelli dei poveri fedeli?

87. Oder: Was erläßt der Papst oder woran gibt er denen Anteil, die durch
vollkommene Reue ein Anrecht haben auf völligen Erlaß und völlige Teilhabe?
87. Ancora: cosa rimette o partecipa il papa a coloro che con la contrizione
perfetta hanno diritto alla piena remissione e partecipazione?

88. Oder: Was könnte der Kirche Besseres geschehen, als wenn der Papst,
wie er es (jetzt) einmal tut, hundertmal am Tage jedem Gläubigen diesen Erlaß
und diese Teilhabe zukommen ließe?
88. Ancora: quale maggior bene si recherebbe alla Chiesa, se il papa, come fa ogni
tanto, così cento volte ogni giorno attribuisse queste remissioni e partecipazioni
a ciascun fedele?

89. Wieso sucht der Papst durch den Ablaß das Heil der Seelen mehr als das Geld;
warum hebt er früher gewährte Briefe und Ablässe jetzt auf, die doch ebenso
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wirksam sind?
89. Dato che il papa con le indulgenze cerca la salvezza delle anime piuttosto che
il denaro perché sospende le lettere e le indulgenze già concesse,
quando sono ancora efficaci?

90. Diese äußerst peinlichen Einwände der Laien nur mit Gewalt zu unterdrücken
und nicht durch vernünftige Gegenargumente zu beseitigen heißt, die Kirche und
den Papst dem Gelächter der Feinde auszusetzen und die Christenheit unglücklich
zu machen.
90. Soffocare queste sottili argomentazioni dei laici con la sola autorità e
non scioglierle con opportune ragioni significa esporre la chiesa e il papa
alle beffe dei nemici e rendere infelici i cristiani.

91. Wenn daher der Ablaß dem Geiste und der Auffassung des Papstes gemäß
gepredigt würde, lösten sich diese (Einwände) alle ohne weiteres auf, ja es gäbe sie
überhaupt nicht.
91. Se dunque le indulgenze fossero predicate secondo lo spirito e l'intenzione
del papa, tutte quelle difficoltà sarebbero facilmente dissipate,
anzi non esisterebbero.

92. Darum weg mit allen jenen Propheten, die den Christen predigen: "Friede,
Friede", und ist doch kein Friede.
92. Addio dunque a tutti quei profeti, i quali dicono al popolo cristiano "Pace.
pace", mentre non v'è pace.

93. Wohl möge es gehen allen den Propheten, die den Christen predigen: "Kreuz,
Kreuz", und ist doch kein Kreuz.
93. Valenti tutti quei profeti, i quali dicono al popolo cristiano «Croce, croce»,
mentre non v'è croce.

94. Man soll die Christen ermutigen, dass sie ihrem Haupt Christus durch Strafen,
Tod und Hölle nachzufolgen trachten.
94. Bisogna esortare i cristiani perché si sforzino di seguire il loro capo Cristo
attraverso le pene, le mortificazioni e gli inferni.

95. Und dass die lieber darauf trauen, durch viele Trübsale ins Himmelreich
19

einzugehen, als sich in falscher geistlicher Sicherheit zu beruhigen.


95. E così confidino di entrare in cielo piuttosto attraverso molte tribolazioni
che per la sicurezza della pace.

2. Le cause storico sociali della riforma protestante

 Critica dell'enorme ricchezza e dei privilegi della Chiesa romana.


Decadenza morale della Chiesa (nepotismo: cariche politico-religiose-
diplomatiche offerte ai parenti di papi-vescovi-cardinali; lusso della
curia romana; corruzione del clero, che si è lasciato influenzare dallo
stile di vita borghese, emergente in tutta Europa, mondanità..). La sede
pontificia era disputata da grandi famiglie italiane (Medici, Farnese,
Della Rovere). In sintesi, da un lato il clero cattolico italiano appariva
molto borghese, dall'altro persisteva un uso feudale del potere politico
da parte del papato.
 Risveglio delle nazionalità (Francia, Germania, Inghilterra, Olanda,
ecc.) contro il Sacro romano impero rappresentato da Carlo V con
Spagna-Austria-Ungheria-Paesi Bassi, e contro l'universalismo
medievale cattolico del papato. In Germania è soprattutto la grande
feudalità che combatte l'impero, negli altri Stati è soprattutto la
borghesia, che appoggia la monarchia nazionale.
 Esigenze emancipative di vari strati sociali: piccoli nobili in decadenza
contro la grande feudalità (soprattutto in Germania, dove la piccola
nobiltà non è riuscita, come in Italia, a istituire i Comuni insieme alla
borghesia); servi della gleba contro la grande feudalità (soprattutto in
Germania); borghesia contro i grandi feudatari (ovunque, ma in
Inghilterra la riforma anglicana si farà sulla base di un compromesso fra
queste due classi).

La riforma protestante, per gli effetti di lunga durata che ha


provocato, è stato l'avvenimento più importante, a livello europeo,
della prima metà del '500. Essa rappresenta non lo sbocco inevitabile
della crisi religiosa dei secoli precedenti, iniziata praticamente in
concomitanza con la rivoluzione comunale e mercantile, con la
riscoperta dell'aristotelismo, con il progressivo distacco dalle
tradizioni bizantine-ortodosse, con la nascita del potere temporale del
papato (appoggiato dai carolingi e da altri regni barbarici), ma
rappresenta lo sbocco che a detta crisi vollero dare i ceti borghesi,
nella convinzione che non esistessero altre alternative (nei secoli
precedenti la crisi della chiesa fu affrontata dai movimenti ereticali
20

pauperistici, per la maggioranza dei quali la riforma della chiesa non


necessariamente avrebbe dovuto portare a uno sbocco individualistico
di tipo borghese).
La riforma provocò la spaccatura del mondo cattolico, la
frantumazione definitiva del concetto di "sacro romano impero" e
l'avvio del processo di formazione delle nazionalità: gran parte dei
popoli di lingua anglo-sassone si separano dalla chiesa romana. Solo a
separazione avvenuta, la chiesa romana intraprese, con il Concilio di
Trento (1545-63) la sua riforma interna (la controriforma), basata sul
rafforzamento dell'autorità pontificia, sull'Inquisizione, sull'Indice dei
libri proibiti, sulla creazione di nuovi ordini religiosi (gesuiti,
cappuccini, barnabiti, somaschi, scolopi..), su una notevole solidità
dogmatica e disciplinare.
Formalmente gli storici fanno risalire la crisi della chiesa romana
al periodo della "cattività avignonese" (1305-77), in cui si verificò il
trasferimento della sede pontificia ad Avignone (Francia meridionale),
dopo il crollo della teocrazia papale: il che determinerà la soggezione
del papato alla politica francese. Questa in realtà fu una disfatta di tipo
meramente politico: gli aspetti di crisi sociale e culturale sono di
molto anteriori.
La crisi politico-istituzionale si accentuò con i due "scismi
d'occidente", dopo il ritorno del papato a Roma. Durante il primo
scisma (1378-1417), il Collegio dei cardinali, in maggioranza francesi,
non era intenzionato ad accettare la politica di autonomia del papato
nei confronti della Francia. Per questa ragione i cardinali elessero un
antipapa, il quale però, dopo essere stato sconfitto col suo esercito,
mentre marciava su Roma per sbarazzarsi del rivale, decise di fissare
la sua sede ad Avignone.
Molti cardinali, in un Concilio di Pisa (1409), decisero di deporre
i due papi e di eleggerne un terzo, che però gli altri due non
riconobbero. Allora l'imperatore Sigismondo convocò un Concilio
ecumenico a Costanza (1414-1418), riuscendo a far deporre i tre papi
e a farne eleggere uno nuovo, riconosciuto da tutti. Il concilio decise
anche di condannare le eresie di Wyclef (Inghilterra) e di Huss (il
riformatore boemo che, insieme al discepolo Girolamo da Praga, finì
sul rogo nel 1415), riservandosi di trattare in un prossimo concilio il
problema della riforma della chiesa. Infine adottò il principio della
superiorità del Concilio sul papato (Sigismondo, al fine di
neutralizzare la prevalenza dei vescovi italiani, impose ai prelati
l'obbligo di esprimere il voto per nationes e per tale ragione con esso
gli storici indicano la nascita ufficiale del concetto di "nazionalità").
Uno dei precedenti fondamentali della Riforma protestante fu anche la
formazione del Movimento Conciliare, che rivendicava la
21

subordinazione del papato al concilio (reformatio in capite et in


membris).
Questo principio però non piacque ai prelati della curia romana, i
quali proclamarono al Concilio di Firenze la superiorità del papato sul
concilio. Per dieci anni (1439-49) il Concilio di Basilea rifiutò di
riconoscere il papa di Roma ed elesse un antipapa, ma i poteri di
questo Concilio (che durò dal 1431 al 144) furono progressivamente
svuotati dal papato in tre modi:

1. trasferendo la sede del concilio prima a Ferrara (1438), poi a


Firenze (1439);
2. realizzando l'unione a Firenze (1439) con la chiesa bizantina,
minacciata dai turchi. Questa unione (durata meno di 20 anni) non
solo illuse i bizantini che il papato avrebbe concesso un aiuto militare
contro i turchi, ma svuotò anche di energia il movimento conciliarista
radicale rimasto a Costanza (tant'è che il papa che quel Concilio aveva
eletto, si dimise);
3. facendo molte concessioni ai vari Stati europei emergenti (politica
concordataria).

Dopo lo scacco del concilio di Basilea, praticamente sino al 1517


il papato tornò ad essere il vero sovrano della cristianità. Il movimento
riformatore sperò che il concilio del Laterano (1512-1517) avrebbe
recepito alcune delle istanze riformatrici. Invece ciò non avvenne. Il
tentativo di riforma per mezzo di concili generali rappresentò l'ultima
possibilità offerta alla chiesa cattolica di ristrutturarsi su base
episcopale, "parlamentare", "federalistica". Il 16 marzo si chiuse il
concilio e il 31 ottobre Lutero pubblicherà le sue 95 tesi. Il movimento
conciliare si era convinto che la riforma avrebbe potuto aver luogo
solo per vie non legali.

I punti di rottura riguardavano:

 Giustificazione per fede: la salvezza si ottiene direttamente dalla


grazia divina e non attraverso le opere guidate dalla Chiesa; quello che
conta è solo l'atteggiamento di coscienza. Non ci si salva per i propri
meriti. Il peccato originale rende l'uomo incapace di bene. Solo Dio
può salvare. Di questa salvezza l'uomo non può essere certo finché
non muore. In attesa di saperlo deve avere la fede. Conseguenza
pratica: forte individualismo, rifiuto dei sacramenti, del concetto di
"opere buone", separazione del civile dal religioso (cioè dello Stato
dalla Chiesa).
 Libero esame delle Scritture: contro l'interpretazione ufficiale,
dogmatica, canonica, della Chiesa. Conseguenza pratica: forte
intellettualismo, nascita di molte comunità e sètte nell'ambito delle
confessioni protestanti, rifiuto quasi totale della tradizione
22

ecclesiastica cattolica, subordinazione dei sacramenti/riti/culto


all'interpretazione della Bibbia.
 Sacerdozio universale dei credenti: contro le divisioni gerarchiche
fra clero e laici. Conseguenza pratica: fine della struttura tradizionale
della Chiesa, fine del monachesimo, sviluppo delle piccole comunità
religiose.

Conseguenze della riforma :

 La riforma in Germania assunse tra il popolo l'aspetto di una


ribellione delle classi oppresse contro quelle privilegiate. La rivolta
dei contadini (1524-25), capeggiata da Tommaso Münzer, fu enorme,
ma venne repressa dai grandi principi feudatari con l'appoggio dello
stesso Lutero. Stessa sconfitta la subirono i piccoli nobili ribellatisi ai
grandi feudatari.
 L'impero di Carlo V, d'accordo col papato, si oppose alla riforma, ma
senza successo. Le ostilità fra impero e principi tedeschi si conclusero
con la Pace di Augusta (1555) che affermò il principio di "tolleranza
religiosa", seppur entro i limiti del "cuius regio eius religio" (cioè la
religione dei sudditi di una nazione deve essere quella del loro re).
 I beni ecclesiastici secolarizzati (confiscati) dai principi o dai re non
furono più restituiti alla chiesa romana.
 La Riforma indebolì senza dubbio l'impero e l'universalismo
medievale, ma non favorì in Germania la monarchia nazionale (come
invece in Inghilterra e Olanda). Furono piuttosto i principi feudali a
trarne i maggiori vantaggi.

2.1 Riforma e etica del lavoro

Gli scritti di Martin Lutero non trattano solo argomenti


strettamente religiosi, riguardano anche molti aspetti della vita
quotidiana, tra l'altro quello del lavoro. Lutero non considerava il
lavoro come castigo di Dio inflitto all'uomo, ma una cosa che nobilita
l'uomo. L'autore del libro "Genesi" della Bibbia fa dire a Dio quando
cacciò Adamo dal paradiso: "Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i
giorni della tua vita ... Con il sudore del tuo volto mangerai il pane..."
E poi continua: "Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden,
perché lavorasse il suolo da dove era stato tratto." In quest'ottica il
lavoro è quindi la punizione per i peccati dell'uomo.
Di seguito alcune citazioni dall'opera di Lutero che riguardano il
ruolo e l'importanza attribuiti al lavoro. Il contrasto con ciò che
scrisse l'autore del libro "Genesi" della Bibbia è evidente.

 L'ozio e la mancanza di occupazione rovinano il corpo e la vita;


l'uomo infatti è nato per lavorare, come l'uccello per volare.
 Chi parla di agricoltura dice: sono le orme del padrone che
ingrassano il campo; e non c'è concime migliore per il campo di quello
23

che cade dalle scarpe del padrone; cioè se il padrone va spesso sui
suoi campi.
 Possedere esteriormente denaro, beni, terra e servi infatti non è un
peccato come tale, bensì dono e disposizione divini.
 L'uomo deve e può lavorare e fare qualcosa [...], perché se non
lavora Dio non gli dà nulla.
 La vita non è riposo, ma trasformazione del buono in meglio.
 Dobbiamo attenerci con lieta coscienza al nostro mestiere, e sapere
che con la nostra opera facciamo più di chi avesse fondato tutti i
conventi e retto tutti gli ordini; anche se è il più piccolo dei lavori
domestici.
 Ciascuno deve produrre quel tanto da potersi mantenere e non essere
di peso agli altri, bensì di aiuto.
 Il lavoro in sé è gioia.
 Sarebbe proprio necessario che nella cristianità venisse abolita ogni
forma di mendicità [...], ogni città si curi dei suoi poveri e non lasci
entrare mendicanti di fuori.
 Cristo non vuole che non si possieda e non si accetti denaro né beni,
o che se li si ha li si getti via, come hanno insegnato e fatto numerosi
pazzi tra filosofi e dei santi pazzi tra i cristiani. Egli permette infatti
che tu sia ricco, però non vuole che l'amore sia legato a ciò.
 Quelli che non difendono e non mantengono nessuno, ma
consumano, oziano e impoltroniscono soltanto, il principe non
dovrebbe tollerarli nel suo paese, ma cacciarli o costringerli a
lavorare: come fanno le api, che cacciano via i fuchi che non lavorano
e mangiano il miele delle altre api.

2.2 Riforma luterana e musica

La Riforma di Lutero non consistette soltanto nel dare nuove


regole alla liturgia, ma rivoluzionò anche il concetto di musica sacra.
Tra l'inizio del Cinquecento e la fine del secolo successivo, la
Riforma luterana inserì molte novità anche nella musica. Martin
Lutero, alla ricerca di nuove impostazioni sul rapporto tra i fedeli e
Dio, introdusse il volgare nella liturgia riformata, la traduzione della
Bibbia in tedesco è uno degli esempi più famosi.
Anche la musica rientrava nella liturgia riformata ed ebbe una
funzione molto importante che Lutero non si lasciò sfuggire. Il corale
fu una forma espressiva prettamente protestante, serviva a
coinvolgere il popolo in modo personale alla liturgia.
Lutero sfruttò abilmente la grande tradizione dei canti
popolari per tradurla in corali, anche se spesso questi canti erano nati
anche con intenti dissacratori e talvolta anche di stampo erotico, ma
molto diffusi negli strati socialmente inferiori della popolazione.
Il corale si sviluppò, seguendo il progresso della tecnica
musicale, in svariate forme: monofonico, polifonico di tipo
mottettistico e polifonico di tipo armonizzato. Molti canti in lingua
24

volgare, da quelli dei Minnesänger a quelli penitenziali ed anche


quelli militari, divennero, poi, corali.
L'uso del canto corale andava contro i canoni del cattolicesimo,
che invece delegava l'esercizio della musica soltanto ai musicisti ed
agli ecclesiastici (infatti i cori, come luogo architettonico all'interno
delle chiese cattoliche, sono uno spazio separato rispetto quello dei
fedeli).
Il canto sacro doveva cessare di essere uno spettacolo o un
concerto offerto agli adepti da musicisti di professione, doveva
diventare qualcosa di diverso, coinvolgere il cristiano in una attiva
partecipazione.
La parola cantata permetteva alla riunione dei credenti, che ai
suoi tempi erano per la maggioranza incolti, di imparare facilmente i
temi della fede cristiana, dal momento che i testi dei Lieder erano in
tedesco.
L'estremizzazione di questa impostazione fu poi inserita
nella Riforma da Calvino, che rifiutò ogni forma d'inquinamento di
musica strumentale all'interno delle chiese, ma solo canti omofonici e
delegati all'uso esclusivo della riunione dei fedeli.
Il corale fu sviluppato da vari musicisti dell'Europa centrale e
settentrionale, ma il suo esponente più celebre fu Johann Sebastian
Bach (la famosa Passione Secondo Matteo).
.
3. I Függer e la vendita delle indulgenze

La Riforma protestante è nata con la questione della vendita delle


indulgenze con la quale doveva essere finanziata la costruzione della
chiesa di San Pietro a Roma. Ma i veri motori di questo gigantesco
affare furono i Fugger, i banchieri di Augusta (Augsburg) che, tra il
1500 e il 1550, possedevano un potere economico e politico senza
eguali.
La famiglia dei Fugger fu, tra il 1500 e il 1550, la famiglia più
ricca d'Europa. Erano banchieri e commercianti che che i loro affari
avevano accumulato un'enorme ricchezza. Abitavano ad Augusta
(Augsburg) in Germania, dominavano tutti i settori dell'economia
dell'epoca e possedevano un potere politico che nessun gruppo
industriale ha mai avuto, né prima né dopo. Con i loro soldi i Fugger
decidevano quando si poteva fare una guerra e quando si doveva
concludere la pace, dai loro soldi dipendeva chi poteva essere eletto
imperatore, erano loro a finanziare la "Guardia Svizzera", l'esercito
privato del Papa. Per mezzo secolo i Fugger furono i veri imperatori
nascosti dell'Europa. Forse solo i Medici di Firenze possedevano una
simile ricchezza, anche se questi non raggiunsero mai la
25

predominanza che i Fugger ebbero nel commercio e nella finanza


internazionale dell'epoca.
La pratica delle indulgenze era in uso già da parecchi secoli e
rappresentava una sorta di condono delle pene che il credente avrebbe
dovuto scontare nel Purgatorio. Ai fedeli, disposti a compiere
particolari penitenze (pellegrinaggi, opere meritorie, ma soprattutto
donazioni monetarie) il papa concedeva uno "sconto" sulla pena,
proporzionato all'importanza della penitenza o all'importo del denaro
dato alla chiesa e certificato in un documento firmato dalle autorità
ecclesiastiche. L'indulgenza poteva essere comprata non solo per i vivi
ma anche per i defunti.
Di solito i soldi raccolti con le indulgenze avevano un obiettivo
dichiarato: p.e. la costruzione di una chiesa o di un monastero. Ma il
Papa che poi doveva elargire i soldi ne riceveva di solito non più di un
terzo di tutta la raccolta - se andava bene, la metà di tutte le entrate.
Prima dovevano essere pagati quelli che organizzavano tutto, i
predicatori e quelli che raccoglievano i soldi. C'erano tasse, permessi e
anche tangenti da pagare: una campagna di indulgenze era una cosa
complessa e costosa e doveva essere preparata con cura. I principi,
conti e margravi, i cardinali e gli arcivescovi dei territori nei quali si
faceva la vendita degli indulti avevano una loro quota garantita. Anche
la banca che raccoglieva i soldi e che alla fine li mandava a Roma si
tratteneva una fetta e, non raramente, c'erano anche dei soldi che
sparirvano attraverso canali oscuri. Ma anche quel 30 o 50% che
arrivava infine a Roma doveva sfamare molte bocche prima che la
parte rimanente potesse essere investita nello scopo dichiarato
ufficialmente.
I Fugger che rappresentavano il più potente alleato del papa a
nord delle Alpi furono dei ferventi cattolici: Jakob Fugger, il capo
dell'impero economico, comprò per sé e per la moglie parecchi "anni
di sconto" su una possibile permanenza in Purgatorio. Era come se
quest'uomo, che giudicava tutto e tutti con uno spirito strettamente
pragmatico e commerciale, vedesse nella chiesa una specie di impresa
assicuratrice per l'Aldilà: pagava dei premi per limitare gli eventuali
danni post morte...
Ma il coinvolgimento dei Fugger nella questione delle
indulgenze non si limitò certo a questo aspetto "privato". Fu proprio
Jacob Fugger che guadagnò, più di qualsiasi altro concorrente in
occidente, nel favoloso affare delle indulgenze.
Nell'autunno del 1511 un incendio distrusse il duomo di Costanza. Un
certo Johannes Zink, l'uomo che i Fugger avevano piazzato a Roma
per oliare gli affari con la chiesa, intervenne subito presso il papa
Leone X per chiedere il permesso di organizzare una campagna di
26

indulgenze nel sud della Germania, per poter ricostruire il duomo.


Visto che i Fugger assicuravano di assumersi tutte le spese di una tale
campagna il papa la concesse.
Ma il documento con cui il papa indisse la raccolta dei soldi non fu
mandato a Costanza, luogo del disastro e sede della raccolta dei soldi,
ma ad Augsburg, nella sede dei Fugger. E i banchieri lo consegnarono
ai canonici di Costanza solo quando questi promisero di lasciare loro
metà delle entrate. Questa generosa parcella per i banchieri di Augusta
avrebbe naturalmente diminuito la quantità di soldi disponibili per la
ricostruzione del duomo. Ma Jacob Fugger aveva già pronta una
soluzione: sempre attraverso il suo uomo a Roma ottenne dal papa il
permesso di allargare l'area della campagna ad altre parti della
Germania, per aumentare la quantità di soldi per la ricostruzione del
duomo - con l'effetto non indesiderato di aumentare anche il bottino
per i Fugger.
E visto che tutto funzionava così bene, i Fugger si inventarono
sempre nuovi motivi per chiedere altre indulgenze - che prontamente
furono concesse: per la costruzione o ricostruzione di ospedali, chiese
e monasteri a Wittenberg, Strasburgo, Norimberga, Vienna, Treviri,
Ingolstadt e in molte altre città. La paura del Purgatorio si rivelò
sempre di più un gran beneficio anche per le casse dei banchieri di
Augusta. Ma tutto questo erano solo dei preliminari.
Il 30 agosto del 1513 Albrecht di Brandeburgo, principe degli
Hohenzollern, fu nominato arcivescovo di Magdeburgo. Una
settimana dopo un suo fratello divenne amministratore del vescovato
di Halberstadt, in Sassonia.
Ma le due nomine avevano bisogno dell'approvazione del papa e
questo fu un bel problema, perché queste nomine comportavano
l'unione di due vescovati in mano agli Hohenzollern che avrebbero
così aumentato notevolmente il loro potere politico. In più, questi due
vescovati sarebbero stati guidati da un principino che aveva appena 23
anni, troppo giovane per una carica così importante. Erano in molti a
ritenere impossibile l'approvazione della chiesa di Roma. Cosa fare?
La soluzione, come in molti altri casi del genere, fu offerta dai
Fugger: dopo dure e difficili trattative condotte da Johann
Blankenfeld, un rappresentante degli Hohenzollern, intervenne il
solito Zink che versò nelle casse del Vaticano la bella cifra di 1.079
ducati d'oro e, di conseguenza, l'insolito accumulo di incarichi al
giovanissimo Albrecht von Brandeburgo non rappresentò più un
problema. Il fatto che Blankenfeld fosse imparentato con la famiglia
dei Fugger diede sicuramente una mano alla faccenda.
Ma questo fu solo l'inizio. La delegazione degli Hohenzollern
non era ancora ritornata a casa quando il 9 febbraio del 1514 morì
27

l'arcivescovo di Magonza, e il più esteso e più importante vescovato al


nord delle Alpi si rese disponibile al miglior offerente.
A questo punto il giovane Albrecht di Brandeburgo vide una
enorme chance: aumentare ulteriormente il suo potere incamerando
anche il più prestigioso arcivescovato della Germania dell'epoca. Ma
ci sarebbero serviti molti più soldi di quelli già sborsati. Già il
predecessore sul trono di Magonza (il vescovo era anche capo politico
del vescovato) aveva speso 21.000 fiorini per comprarsi l'incarico,
soldi che naturalmente alla fine dovevano pagare i suoi sudditi.
Comunque, alla fine il principe degli Hohenzollern vinse la partita
contro il suo concorrente Ludovico del Palatinato: quelli che
dovevano eleggere il nuovo arcivescovo di Magonza scelsero chi era
più bravo con le promesse e più generoso con le offerte di denaro.
Il vero problema sarebbe stato però di nuovo l'approvazione del
papa e questa volta anche il beneplacito dell'imperatore Carlo V. I
29.000 fiorini che i Fugger misero a disposizione degli Hohenzollern
per smussare le inevitabili resistenze di Roma furono respinti con
disprezzo: si diceva che né il papa né l'imperatore vedevano di buon
occhio un tale accumulò di titoli e di potere. Ma la delegazione degli
Hohenzollern - e con loro i Fugger che questa volta vollero rimanere
anonimi - non mollò. Per due mesi trattarono, offrirono sempre più
soldi e alla fine Leone X concesse tutti i titoli e poteri che Albrecht di
Brandeburgo aveva richiesto.
I contabili dei Fugger erano persone molto precise, annotavano
scrupolosamente tutte le spese fino all'ultimo centesimo. Alla fine
calcolarono come "uscita" la bella cifra di 48.236 ducati d'oro*
(* approssimativamente ca. 9 milioni di Euro di oggi), tangenti e
spese varie messe insieme.
I Fugger avevano anticipato questi soldi e non l'avrebbero certo
fatto se non avessero già previsto una concreta possibilità di far
rientrare questa enorme cifra - e possibilmente guadagnare anche
qualcosa in più.
Dopo altri 4 mesi di serrate trattative a Roma l'ormai triplice
vescovo e arcivescovo Albrecht di Brandeburgo tornò a casa con in
mano un accordo talmente clamoroso che il suo contenuto fu tenuto
segreto per parecchio tempo, per non suscitare le rivolte degli altri
principi e vescovi del Sacro Romano Impero: a Albrecht fu concesso il
monopolio di gestire in esclusiva per 8 anni una campagna di vendita
di indulgenze che si estendeva a quasi metà di tutti i territori
dell'impero. Tutte le altre indulgenze già in atto in quel momento per
conto di altri gestori dovevano essere immediatamente terminate.
Esclusi erano solo i territori in cui - guarda caso - i Fugger avevano
già iniziato campagne simili (come per esempio quella per il duomo di
28

Costanza). E come era riuscita la delegazione di Albrecht ad avere una


tale incredibile occasione di guadagno dal papa? Naturalmente di
nuovo con i soldi. Perché l'abile Zink aveva promesso al papa la metà
delle entrate, mentre fino a quel momento il papa aveva ottenuto solo
un terzo dei ricavi delle vendite delle indulgenze.
E con la parte che rimase a Albrecht questi dovette pagare i debiti
con i Fugger che avevano inoltre il diritto di controllare il corretto
svolgimento del commercio con propri commissari, in modo da non
perdere neanche un centesimo.
Così ebbe inizio la famigerata campagna di indulgenze che fece
scoppiare la rabbia di Martin Lutero e che infine segnò l'inizio della
Riforma protestante.
Ufficialmente tutta la campagna fu chiamata "Indulgenza di
giubileo per finanziare la costruzione della chiesa di San Pietro a
Roma" e una parte dei soldi (sicuramente molto meno della metà) fu
anche usata per questo scopo. Ma il vero motivo per cui era stata
iniziata questa gigantesca campagna fu, come si è visto, di carattere
molto meno nobile. Alla fine, nelle tasche dei Fugger rientrò tutta la
somma anticipata, più il 5% di interessi, ovvero il loro guadagno
netto, che i contabili dei Fugger trascrissero fedelmente nei loro libri.
E possiamo essere più che sicuri che ci fu anche qualcosa che rimase
fuori dai libri contabili dei banchieri di Augsburg.

3.1 La Fuggerei di Augsburg

La Fuggerei, il più antico complesso di case popolari del mondo,


è composto da otto vicoli, 67 case con 140 appartamenti e una propria
chiesa, ha delle mura che lo circondano con tre porte che, una volta,
erano anche sorvegliate.
Questo quartiere è stato costruito nel 500 per gli artigiani e
lavoratori impoveriti di Augusta. Per poterci entrare una persona
doveva essere residente di Augusta, cattolico, di buona reputazione e
per un qualsiasi motivo incapace di pagarsi una casa con il proprio
lavoro. L'affitto per un appartamento nella Fuggerei ammontava a 1
fiorino all'anno ed è rimasto uguale fino ad oggi: attualmente è di 88
centesimi all'anno (il valore che oggi avrebbe un fiorino). Nella
Fuggerei abitano oggi 150 persone. Il più famoso abitante della
Fuggerei fu Franz Mozart, bisnonno del compositore Wolfgang
Amadeus Mozart.
La famiglia dei Fugger era, tra il 1500 e il 1550, la famiglia più
ricca dell'Europa. Erano banchieri e commercianti che avevano
accumulato un'enorme ricchezza e un potere economico senza uguali.
29

Dominavano tutti i settori dell'economia dell'epoca e possedevano un


potere politico che, mai prima e mai dopo, ha avuto un unico gruppo
industriale. Con i loro soldi Fugger decidevano quando si poteva fare
una guerra e quando si doveva concludere la pace, dai loro soldi
dipendeva chi poteva essere eletto imperatore, erano loro a finanziare
la "Guardia Svizzera", l'esercito privato del Papa. Per mezzo secolo i
Fugger furono i veri imperatori dell'Europa. Forse solo i Medici di
Firenze possedevano una simile ricchezza, anche se questi non
raggiunsero mai la predominanza che i Fugger ebbero sul commercio
e sulla finanza internazionale dell'epoca.
Per la stragrande maggioranza del popolo che viveva in una
profonda povertà e che non capiva niente di commercio e finanza
internazionale, la loro ricchezza doveva sembrare qualcosa di
misterioso, soprannaturale e anche diabolico. Anche molti teologi
criticavano aspramente la loro ricchezza che stonava con la miseria
che regnava nel paese. I Fugger pagavano fior di professori per
spiegare al mondo la legittimità morale dei loro affari - che in realtà
erano dominati più spesso da una inaudita spietatezza e da metodi che
erano in netto contrasto con i principi della fede cattolica che, almeno
ufficialmente, avevano una grande importanza per i Fugger.
Così decisero la costruzione del quartiere per i poveri della loro
città che doveva rivelarsi, nei secoli, il più efficace investimento in
pubbliche relazioni che una azienda multinazionale abbia mai fatto.
Per la costruzione del quartiere i Fugger spesero complessivamente ca.
25.000 ducati d'oro, pochi spiccioli in confronti al loro immenso
patrimonio che ammontava a ca. 5-6 milioni di ducati d'oro. I soldi
spesi per il quartiere dei poveri furono più o meno la stessa cifra che
Jakob Fugger spese, nello stesso periodo, per l'acquisto di un
diamante, un regalo per sua moglie. Ma questo piccolo investimento -
certamente di indubbia utilità - garantì ai Fugger fino ad oggi
l'immagine di una "lungimiranza sociale e morale" che Bill Gates con
la sua fondazione (pur spendendo enormemente più denaro per opere
di beneficienza) non arriverà mai ad avere.

4. La guerra dei Trent’anni (1618-1648)

4.1 1555 - La pace di Augusta

Carlo V, imperatore del Sacro Romano Impero, decise di


rinunciare all’unità politica e religiosa dell’Impero: coi protestanti
accettò la loro libertà religiosa, anche se impose due principi
restrittivi:
30

1) cuius regio eius religio, secondo cui i sudditi di uno Stato avrebbero
dovuto conformarsi alla religione del loro principe o, in caso
contrario, emigrare;
2) reservatum ecclesiasticum, secondo cui i beni ecclesiastici
secolarizzati prima del 1552 non sarebbero più stati rivendicati dalla
chiesa cattolica, mentre se qualche prelato cattolico si fosse convertito
al luteranesimo dopo tale anno avrebbe dovuto rinunciare a tutti i
benefici e possessi goduti in virtù della propria carica e restituirli alla
chiesa cattolica.

Poi decide di dividere l’Impero: a Ferdinando I l’Impero e la


Boemia e a Filippo II la Spagna, i Paesi Bassi e l’Italia. Ma nonostante
gli sforzi di molti principi per far funzionare le antiche istituzioni
imperiali, erano le alleanze religiose a dominare ora la scena. La
necessità di una politica confessionale era accettata senza minima
riserva nel Palatinato del Reno (Elettore Federico III, calvinista). Sotto
Federico IV il Palatinato era controllato da Cristiano di Anhalt. Costui
pensava che per difendere la causa protestante, la restaurazione
cattolica andava combattuta su tutti i fronti, non solo entro i confini
dell’Impero, ma anche attraverso la promozione di un’alleanza
protestante internazionale. Le relazioni più strette erano con la
Repubblica Olandese.

4.2 L’Affaire Cleves-Julich

All’inizio del 1600 si era definito un nuovo centro d’interesse


con la discussa successione al cattolico Giovanni Guglielmo, duca di
Cleves-Julich, che non aveva figli. Entrambi i pretendenti alla
successione erano di fede luterana: l’Elettore Giovanni Sigismondo
del Brandeburgo e Philipp Ludwig, duca di Neuburg. Ma gli stati dello
Cleves-Julich avevano ricevuto garanzie di appoggio dai cattolici
Elettore di Colonia e da Filippo II di Spagna.
Il candidato favorito da Cristiano di Anhalt e dagli olandesi era
l’elettore del Brandeburgo. Cristiano concentrò la sua attenzione sulla
creazione di un’alleanza esclusivamente tedesca, visto che non aveva
trovato alleanze all’estero.
Nel 1607 egli siglò un trattato tra Palatinato, i mangravi di Ansbach e
Kulmbach e la città di Norimberga, con lo scopo di proteggere l’Alto
Palatinato da un’aggressione della Baviera. Comunque il futuro
dell’Unione protestante era lungi dall’essere chiaro.
L’alleanza non era dotata di un programma politico comune e
all’interno degli 8 firmatari solo la metà era convinta dell’inevitabilità
di una grande guerra di religione. I principi pretendenti al ducato di
31

Cleves-Julich (Giovanni Sigismondo del Brandeburgo e Philipp


Ludwig) erano ora sostenuti dall’Unione protestante. Ora Cristiano di
Anhalt chiese l’aiuto di Enrico IV di Francia (4 febbraio 1610).
L’intervento di Enrico IV trasformò l’affaire Cleves-Julich da crisi
intestina l’Impero in crisi internazionale. Ma le ambiziose manovre
francesi furono frenate dall’assassinio di Enrico IV il 14 maggio 1610.
Sempre nel 1610, ma il 10 luglio, fu fondata la Lega cattolica
(andava a sostituire la lega di Landsberg, sciolta per bancarotta nel
1599). La nuova lega era comandata da Massimiliano di Baviera, ma
esitava ad intervenire nella crisi di Cleves-Julich fino a quando il
timore che la guerra potesse estendersi dopo la caduta di Julich spinse
la Lega a mobilitare un esercito, ma questo provocò dall’altra parte un
incremento dei membri dell’Unione protestante: l’Inghilterra nel 1612
e le Province Unite nel 1613 e 13 città. Nessuna delle due parti però
voleva entrare in guerra e venne firmata una tregua: il governo dei
ducati venne diviso: il Brandeburgo ricevette il Cleves e Neuburg il
Julich
Ma la crisi non era finita: all’interno dell’alleanza si verificò una
spaccatura tra le città ed i principi: Nel 1615 le città rifiutarono di una
guerra che rivendicasse le pretese del Brandeburgo sul Julich: le città
non esitarono a utilizzare il loro predominio economico per dettare i
termini della nuova alleanza: le città ottennero un diritto di veto per
futuri interventi militari comuni. Così l’Elettore del Brandeburgo si
ritirò.
Finito il problema Cleves-Julich si aprì un nuovo affaire: la
designazione del successore dell’Imperatore Mattia. La casa degli
Asburgo sosteneva Ferdinando di Stiria, i signori del Palatinato gli
preferivano Massimiliano di Baviera, nella speranza di dividere gli
Elettori cattolici visto che per Federico V non c’erano chances di
ottenere la maggioranza nel collegio elettorale. Cristiano di Anhalt
(“capo” del Palatinato) decise allora di sollecitare gli Stati
rappresentativi protestanti d’Austria e Boemia: nell’Italia
settentrionale poi era coinvolto nella costituzione di un fronte anti-
asburgico con Venezia e la Savoia.
Per Anhalt la sfida agli Asburgo non era persa in partenza: la
Lega cattolica era al collasso per disaccordi intestini, inoltre se i suoi
alleati (Francia e Inghilterra) non erano affidabili di li a poco sarebbe
scaduta la Tregua dei Dodici anni tra Spagna e Olanda (nel 1621) e
l’Inghilterra la Francia sarebbero state obbligate e schierarsi con il
fronte anti-asburgico.

4.3 La guerra degli uscocchi


32

La difesa della frontiera austro-turca era parzialmente affidata ai


rifugiati dei Balcani, che avevano trovato asilo nei territori asburgici.
Essi erano chiamati uscocchi (parola serba per “rifugiati”). Alcuni di
loro si insediarono nei piccoli porti della costa orientale e
conservavano la zona libera dalle navi turche, ma sfortunatamente
anche da quelle cristiane: nessuna nave era al sicuro dai loro attacchi
pirateschi. Il loro obiettivo privilegiato erano le navi dei mercanti
veneziani.
La Repubblica di Venezia tentò prima di difendere le proprie navi
con flotte più consistenti, poi decise di attaccare direttamente e nel
dicembre del 1615 le sue truppe assediavano Gradisca.
Nello stesso tempo gli agenti veneziani organizzarono all’estero
una campagna diplomatica per procurarsi alleati nella lotta contro
Ferdinando. La Repubblica Olandese invia allora aiuti militari ai
veneziani; più tardi giunse anche un contingente di volontari inglesi.
Nel frattempo una flottiglia di navi inglesi ed una olandese
presidiavano l’Adriatico impedendo così che arrivassero degli
spagnoli di Napoli in aiuto a Ferdinando.
Anche per via terra gli aiuti a Ferdinando erano negati: nel
ducato di Milano era scoppiata la “guerra di Mantova”: si era aperto il
conflitto per la successione al feudo di Mantova. I pretendenti erano il
fratello del duca Francesco (sostenuto dagli Asburgo) e la figlia di
Francesco (che chiese aiuto alla Savoia).
Solo la Spagna era in grado di fornire i rinforzi necessari ed ora
la cessione dell’Alsazia e dei due enclaves imperiali (Finale Ligure e
piombino) alla Spagna sembrava un equo prezzo da pagare in cambio
del riconoscimento spagnolo della legittimità di Ferdinando come
erede di Mattia.
Nell’inverno 1617-18 Ferdinando venne nominato sovrano
designato e la corte imperiale si ritirò a Vienna lasciando un governo
di reggenti a Praga [L'elezione imperiale doveva essere poi
confermata dal pontefice, che procedeva all'incoronazione ufficiale. In
origine, tutti i principi dell'impero partecipavano all'elezione del re,
ma nel 1263 il papa Urbano IV emise due bolle che limitavano tale
privilegio a sette principi.
Tuttavia, l'autorità e la composizione di tale elettorato non furono
stabilite definitivamente fino al 1356, quando con la Bolla d'Oro
l'imperatore Carlo IV nominò gli arcivescovi di Colonia, Magonza e
Treviri e quattro laici, il margravio di Brandeburgo, il duca di
Sassonia, il conte palatino del Reno e il re di Boemia. Nel 1623 il voto
del duca di Baviera fu sostituito a quello del conte palatino del Reno,
poi riammesso nel 1648. Gli elettori salirono a nove nel 1692, quando
fu ammesso anche l'Hannover, per tornare a otto con l'estinzione dei
33

duchi di Baviera nel 1778.]


Agendo sui reggenti di Praga, Ferdinando introdusse una serie di
misure provocatorie: controllo dei libri stampati, vietò il ricorso a
sussidi da fondi ecclesiastici per pagare i ministri protestanti e infine
proibì l’ammissione di non-cattolici a cariche civili.
I leader boemi decisero di opporre resistenza all’imperatore e si
attendevano una mobilitazione di massa per la loro causa da parte
degli alleati stranieri, ma se le nazioni si potevano permettere di venire
in aiuto di uno stato indipendente, non altrettanto potevano fare con
dei ribelli.

4.4 Friedrich Schiller e la Storia della guerra dei Trent’anni

La voce "Schiller, Friedrich" le enciclopedie ci dicono


unanimamente "Poeta e drammaturgo tedesco". Del fatto che Schiller
è stato anche uno storico parlano relativamente poco, eppure Schiller è
stato probabilmente il più famoso storico della sua epoca.
Ricordarsene è importante non solo perché quasi tutta la sua
produzione drammaturgica fa riferimento a persone ed eventi storiche,
p.e. "La Congiura di Fiesco a Genova", "Don Carlos", "Wallenstein",
"Maria Stuart" e "La Pulzella d'Orléans". Per alcuni anni della sua
breve vita Schiller si occupò quasi esclusivamente di ricerche storiche,
fece lezioni di storia all'università di Jena e pubblicò due ricerche
importanti: "Storia della rivoluzione dei Paesi Bassi sotto il regno di
Fillippo II" e soprattutto "Storia della guerra dei Trentanni" che
all'epoca fu un grande successo editoriale.
Occuparsi di storia è stato molto importante per Schiller, per
parecchi anni fu anche l'unica cosa che gli poteva garantire un certo
reddito, importante per uno scrittore sposato e con figli che per quasi
tutta la sua vita si trovò in condizioni economiche piuttosto difficili.
Ma c'è molto di più. In una lettera del 18 gennaio 1788 confessò al suo
amico Körner: "Alla fine di un libro storico ho ampliato le mie idee e
ne ho ricevuto delle nuove - alla fine di una terminata opera teatrale
invece ne ho perso alcune." Le ricerche sulla psicologia dei
personaggi della storia sono per Schiller un campo molto fertile che
arricchisce la sua fantasia poetica.
Nelle sue opere storiche Schiller cercò scrupolosamente "la verità
storica", pur sapendo che ogni storiografia è sempre interpretazione
delle fonti che spesso sono scarse e non sempre affidabili.
Schiller rifiutò categoricamente un punto di vista "nazionale" del
racconto storico che per lui, che si considerò, come Goethe, "cittadino
del mondo", era insopportabile. Quello che, all'epoca, rese
particolarmente apprezzati i suoi libri sulla storia fu l'unione tra la
34

passione per la storia e un'imparzialità del punto di vista, la precisione


dei ritratti psicologici dei protagonisti e, non ultimo, lo stile letterario
piacevole ed elegante del racconto storico.
Dall'altra parte, nelle sue opere teatrali, Schiller usò la storia in
maniera piuttosto disinvolta: personaggi ed eventi dovevano piegarsi
alle esigenze del dramma. Ma per Schiller non si trattava di una
contraddizione: la "verità" di un testo letterario e quella di una ricerca
storica avevano, per Schiller, lo stesso valore, ma compiti diversi.
Già nelle prime pagine dell'opera si scopre la sorprendente
modernità del testo di Schiller quando parla del ruolo del fanatismo
religioso che costituì una componente decisiva in quella guerra: "Ciò
che il pericolo più determinante per lo stato non aveva potuto sui
cittadini fu reso possibile dall'entusiasmo religioso. Per l'interesse
dello stato e del sovrano ben poche braccia si sarebbero armate
volontariamente; per la religione, artisti, commercianti, coltivatori
fecero a gara per arruolarsi. Per l'interesse dello stato e del principe,
anche la minima tassa straordinaria appariva alla gente troppo pesante,
per la religione sacrificavano con gioia la loro vita e tutti i loro beni.
Somme immense alimentarono la finanza pubblica e i volontari
ingrossarono incessantemente i ranghi dell'armata. L'esaltazione era
tale che si percepivano appena sacrifìci che in tempi normali sarebbe
stati considerati impossibili" (pag. 12).
Ma dall'altra parte Schiller sa benissimo che gli interessi religiosi
da soli non avrebbero potuto scatenare un'inferno tale come quella
guerra: "Se gli interessi privati e quelli pubblici non si fossero
sovrapposti, né la voce dei teologi né quella delle genti avrebbero
trovato dei principi così disponibili ad ascoltarle; mai nuove dottrine
(Schiller si riferisce qui alle idee della Riforma di Lutero) avrebbero
armato tanto zelo e tanti valenti difensori. (...) Anche se non si può
negare che l'amore per l'indipendenza e la prospettiva del ricco bottino
che prometteva l'appropriazione dei monasteri e delle abbazie,
accrescesse, agli occhi di molti principi, il merito delle dottrine di
Luterò, per deciderli a difendere apertamente queste dottrine era
necessario che la ragion di stato ne facesse per loro un dovere"
(pag.8). Schiller non nega mai le sue simpatie per la parte protestante,
ma vede chiaramente che la religione, in quella guerra, fu
strumentalizzata da tutte le parti. Mentre per molti partecipanti la
guerra pro o contro l'Imperatore (= pro o contro il potere della Chiesa
cattolica) fu una questione di cuore e di convinzione, per i principi che
manovravano gli eserciti, la religione rimase sempre un mezzo di
potere.
Schiller vide in quella guerra il primo conflitto a livello europeo
che alla fine, nella Pace di Vestfalia, portò l'Europa devastata a una
35

nuova consapevolezza: che gli stati dell'Europa costituivano una


comunità e che una guerra come questa, che aveva dimezzato la
popolazione dell'Europa centrale, non doveva mai più succedere. Qui
Schiller peccava senz'altro di ottimismo: quando scrisse quell'opera
non conosceva ancora le conseguenze devastanti che avrebbe avuto la
rivoluzione francese per gli stati europei, per non parlare delle terribili
guerre del ventesimo secolo. Ma questo non diminuisce certo il valore
di questa ricerca voluminosa (ca. 400 pagine). È del tutto normale che
un testo storico come quello di Schiller, scritto più di 200 anni fa,
contenga delle valutazioni superate, dovute anche alla disponibilità di
certe fonti storiche che Schiller non aveva a disposizione. Ma
l'abbondante apparato critico dell'editore fornisce in ogni caso le
precisazioni necessarie e dà al lettore una grande quantità di ulteriori
informazioni, soprattutto sui personaggi citati che il lettore di oggi,
anche quello con una solida preparazione storica, difficilmente può
conoscere.
Vale la pena leggere i libri storici di Schiller ancora oggi? Senza
dubbio, sia per chi si interessa di storia che per colui che apprezza
soprattutto gli scritti letterari di Schiller: la sua ricerca sulla guerra dei
Trent'anni è tuttora citata e considerata importante nelle monografie
storiche dedicate a quell'epoca e Rüdiger Safranski scrive nella sua
celebre biografia di Schiller: "Per quanto riguarda la bellezza letteraria
del racconto, lo storico Schiller è rimasto, fin ad oggi, insuperato".

5. La Prussia

Quando si pensa alla Prussia viene in mente di solito il periodo


del suo massimo potere, cioè il 700-800 e si pensa alla dinastia degli
Hohenzollern, in particolare al re della Prussia Federico II, chiamato
anche Federico il Grande.
In quell’epoca la Prussia faceva parte dei cinque stati che
dominavano l’Europa (Russia, Austria, Francia,
Inghilterra e Prussia). Ma mentre gli altri stati, in quell’epoca,
avevano alle spalle già centinaia di anni di storia e oggi sono tutti
degli stati con un passato millenario, la Prussia, in senso stretto, è
esistita per soli 170 anni, e cioè dal 1701 al 1871. Ma in quegli anni la
Prussia mise sottosopra l'intero sistema dei poteri in Europa. Dopo il
1871 cominciò lentamente a sparire e oggi è del tutto scomparsa,
senza lasciare (quasi) nessuna traccia.
Certo, nel 1701 la Prussia non nasce dal nulla: prima c’è stata
36

una lunghissima preistoria che inizia intorno al 1100, e questa


preistoria si articola in due rami che per molti secoli si svilupparono
in maniera completamente indipendente l’uno dall’altro. In quei secoli
a nessuno sarebbe venuto in mente che questi due rami avrebbero
potuto avvicinarsi e infine unirsi, per far nascere lo stato della Prussia
come lo conosciamo oggi – cosa che tra l’altro avvenne quasi per
caso.
Il primo di questi due rami riguarda la storia dello stato
dell'Ordine teutonico, fondato all'inizio del 1200 nel territorio dei
paesi baltici, nell'estremo nord-est dell'odierna Germania. L'Ordine
teutonico, i cui membri erano monaci, fu una congregazione militare e
ospedaliera nata nel 1191 in Palestina, durante la terza crociata.
Il secondo dei due rami riguarda la storia della dinastia degli
Hohenzollern che iniziò nell'anno 1100 nella Svevia, nell'estremo
sud-ovest della Germania (nella carta di sopra indicato con B).
Per capire meglio l'inizio della preistoria della Prussia dobbiamo
cominciare dai Prussiani (o Pruzzi) che vivevano in un territorio sul
Mar Baltico che oggi si trova al confine tra Polonia e Russia (nella
carta di sopra indicato con A).

5.1 I prussiani

Delle dieci tribù dei Prussiani non si sa molto, dai ritrovamenti


archeologici sappiamo che vivevano in quella zona già da più di mille
anni. Avevano una loro lingua, ma non conoscevano ancora la scrittura
e quindi non esistono dei documenti di prima mano. Erano delle
popolazioni pagane. Peter von Dusburg, un monaco e cronista
dell'Ordine teutonico scrisse di loro:

"Poiché essi non conoscevano il Signore, adoravano erroneamente le


sue creature, ovvero il sole, la luna, le stelle, gli uccelli, i quadrupedi,
e anche le serpi. Essi possedevano fiumi, campi e boschi sacri, ove
non osavano arare, pescare o raccogliere legna."

Tra il 1000 e il 1300 siamo nell'epoca della


cosiddetta evangelizzazione delle popolazioni pagane dell'est. Una
evangelizzazione che contemporaneamente era anche una conquista
militare dei loro territori, una specie di colonizzazione, in cui
religione, politica ed economia formavano spesso un intreccio difficile
da districare.
Questa evangelizzazione non si svolse in modo uguale in tutte le
regioni dell'est, dipendeva molto dai metodi adoperati da chi la
portava avanti, ma raramente avvenne senza spargimento di sangue.
37

I primi a tentare di evangelizzare i Prussiani e di occupare i loro


territori furono i Polacchi (che erano già stati cristianizzati prima), a
partire dall’anno 1000. Ma in questo caso contavano anche altri
obbiettivi oltre a quelli religiosi e cioè: ottenere uno sbocco sul Mar
Baltico per potersi inserire in una delle tratte commerciali più proficue
dell'epoca. Un altra cosa che li attirava era l'ambra, chiamata
anche l'oro del Mar Baltico. Avere in mano la raccolta dell'ambra e il
suo commercio prometteva ricchezza assicurata.

5.2 Le crociate del nord

Ma questi tentativi di conquista da parte dei Polacchi non ebbero


successo, all'aggressione con la spada i Prussiani risposero con gli
stessi metodi e lo fecero in modo molto efficace.
Per questo, papa Eugenio III autorizzò nel 1147 una "guerra
santa" nei confronti dei popoli slavi, equiparandola addirittura a quella
che si combatteva in Palestina contro i musulmani. Nella bolla papale
scrisse che i pagani slavi andavano combattuti “fino al momento in
cui, con l'aiuto di Dio, essi devono essere o convertiti o cancellati”.
Ma anche questa guerra fu un fallimento e la controffensiva dei
Prussiani fu talmente violenta che i Polacchi e i combattenti alleati
furono costretti a chiedere aiuto all'Ordine teutonico.
La conquista dei territori dei Prussiani e della loro
evangelizzazione da parte dell'Ordine teutonico iniziò nel 1234. I
Cavalieri teutonici combattevano con lo spirito delle crociate: "morte
agli infedeli". O battesimo o morte. A causa della continua resistenza,
nel 1243 Papa Innocenzo IV proclamò un'altra crociata contro i
Prussiani. Ma questi non volevano rinunciare alle loro terre e alla loro
religione che era anche il loro modo di vivere e si difesero con forza.
Alla fine dovettero però arrendersi alla maggiore esperienza militare e
agli armamenti migliori e più efficaci dei Cavalieri teutonici. Fu un
massacro: pochi battesimi e tanti morti.
Dopo alcuni anni di apparente calma, nel 1260 scoppiò una
rivolta generale di tutte le tribù prussiane. Fu una vera e propria guerra
che durò 12 anni, fino al 1272. Nel frattempo i Prussiani avevano
imparato le tecniche di combattimento dei nemici e i Cavalieri
teutonici furono inizialmente costretti ad abbandonare la maggior
parte dei territori prussiani e persino alcune fortezze costruite da loro
per dominare la regione.
Ma mentre i Prussiani erano sempre più esausti da decenni di
ribellioni, l'Ordine reclutava continuamente nuovi cavalieri dal Reich
che combattevano di solito solo per un anno, al massimo per due, per
essere poi sostituiti da nuove forze fresche, e questo alla fine diede
38

all'Ordine teutonico il vantaggio decisivo per vincere la guerra. La


riconquista dei territori delle tribù prussiane fu di nuovo devastante e
alla fine fu quasi un miracolo se rimasero ancora dei Prussiani.

5.3 Lo stato dell’ordine teutonico

I Prussiani rimasti che avevano collaborato con l'Ordine


ottennero il diritto a un pezzo di terra e si germanizzarono in poco
tempo. Gli altri invece erano la parte più povera della popolazione; lo
storico britannico A.J.P. Taylor parla di questi ultimi come di
"braccianti senza terra". La loro lingua e la loro cultura sparì un po'
alla volta e dopo poche generazioni i Prussiani erano diventati una
presenza quasi trascurabile nei territori dove una volta dominavano.
A questo punto nasce una domanda: visto che i Prussiani dopo le
guerre con l'Ordine teutonico erano praticamente spariti, perché lo
stato che sarebbe nato 400 anni dopo si chiamò proprio "Prussia"?
Un primo motivo consiste in un fatto sorprendente, piuttosto raro
nella storia: quelli che avevano conquistato i territori, che prima non
avevano un nome, diedero a questi territori il nome dei vinti, cioè
Prussia. La causa per la quale anche secoli più tardi gli
Hohenzollern - che non c'entravano nulla con lo stato dell'Ordine
teutonico - usarono questo nome per il loro stato è invece un'altra
storia di cui si parlerà più avanti.
Il '200 fu un secolo di orrori, non c'è nulla da abbellire o da
mascherare. Nel '300 invece, l'Ordine teutonico dimostrò di saper
costruire uno stato che, paragonato alle monarchie feudali di
quell'epoca, era sorprendentemente evoluto. Era una repubblica con un
sovrano eletto, divisa in province che erano amministrate in modo
molto efficace. I Cavalieri erano monaci e le loro regole vietavano il
possesso di terreni o di altri tipi di beni, quindi era difficile
corromperli, come amministratori non potevano arricchirsi
personalmente. Gli immigranti tedeschi, contadini, artigiani e
commercianti che dopo la guerra arrivavano in gran numero
contribuirono a una fioritura economica dello stato dell'Ordine che
suscitò ammirazione in molti contemporanei.
Molto bravo nella politica interna, l'Ordine era molto meno bravo
nella politica estera: continuò con una politica molto aggressiva e
espansiva, volendo conquistare anche altri territori. Ma questo creò, a
partire dal 400, una lunga serie di guerre con gli stati vicini,
soprattutto con la Polonia e la Lituania. Queste guerre indebolirono
lo stato dell'Ordine Teutonico anche all'interno, perché le corporazioni
dei commercianti ed artigiani che erano diventati sempre più forti e
39

più ricchi, erano totalmente esclusi dalla sfera politica, riservata


invece ai monaci dell'Ordine. E queste corporazioni guardavano con
invidia alla Polonia dove le corporazioni simili avevano invece un
notevole peso nella politica. E così, nelle guerre del '400, contro la
Polonia e la Lituania le città più importanti della Prussia, si allearono
con i nemici contro il dominio dei Cavalieri Teutonici.
Una delle più importanti battaglie in questa guerra fu quella
di Tannenberg nel 1410 che fu una totale disfatta dell'Ordine
teutonico. Queste guerre finirono con la pace di Thorn (1466) in cui
l'Ordine teutonico dovette cedere la Prussia alla Polonia. Solo la parte
orientale rimase all'Ordine, ma come feudo, cioè come protettorato
sottoposto al re della Polonia.
E se non ci fosse stato quell'altro ramo della preistoria della
Prussia, quello della casata degli Hohenzollern, lo stato della Prussia
non sarebbe mai nato.

5.4 Gli Hohenszollern

La casata degli Hohenzollern proveniva dalla Svevia, nel sud-


ovest della Germania. Non possedevano molte terre ma i loro sovrani
erano degli abili diplomatici che seppero rendersi importanti per
l'imperatore. Nel 1192 divennero amministratori del castello
di Norimberga, dove l'imperatore risiedeva frequentemente.
Nel 1410 fu eletto come nuovo imperatore Sigismundo di
Lussemburgo che prima governava il Brandeburgo, e per i preziosi
servizi resi a lui, Federico VI della casata degli Hohenzollern, fu
nominato nuovo amministratore della Marca di Brandeburgo.
Nel 1415 divenne addirittura uno dei sette Principi Elettori del
Reich, chiamandosi adesso Federico I di Brandeburgo.
Il Brandeburgo era la meno importante e una delle più povere
regioni della Germania. I terreni da coltivare erano di scarsa qualità,
molto sabbiosi, con tante paludi. Politicamente era dilaniato da
continue lotte tra le città, i ricchi latifondiari e da parecchi Cavalieri
predoni che resero insicura la regione. Ma nel secolo successivo i
nuovi sovrani degli Hohenzollern riuscirono a mettere un po’ di ordine
in questa regione che rimase comunque, nella considerazione degli
altri sovrani tedeschi, all'ultimo posto. Ma le cose sarebbero cambiate.
Nel 1511 viene eletto come nuovo Gran maestro dell'Ordine
teutonico Alberto di Brandeburgo che era, casualmente, anche lui
della casata degli Hohenzollern. Non c’era tanta simpatia tra lui e suo
cugino che regnò nello stesso tempo nel Brandeburgo. Quest’ultimo
era un fervente cattolico, mentre Alberto era noto per le sue simpatie
per la riforma protestante di Lutero.
40

Pochi anni dopo, nel 1525, questo Alberto operò un vero e


proprio colpo di stato, un tradimento che scandalizzò molti in
Germania. Come Gran Maestro dell’Ordine sciolse lo stato dei
Cavalieri teutonici e aderì ufficialmente alla Riforma protestante. Con
un trattato tra Alberto e il Re di Polonia si creò il nuovo Ducato di
Prussia, che rimase uno stato vassallo della Polonia, ma adesso non
più collegato allo stato dell’Ordine teutonico. Alberto diventò il primo
Duca di questo nuovo stato e lì attuò la secolarizzazione dei beni
dell’Ordine. Per questo fu messo subito al bando dall’imperatore del
Reich. Ma tutto sommato Alberto di Prussia, come si chiamava
adesso, governò abbastanza bene, fondò scuole in tutte le città e anche
la prestigiosa l'università di Königsberg dove più tardi avrebbe
insegnato Immanuel Kant.
Nonostante il fatto che ora sia il Brandeburgo che il Ducato della
Prussia fossero entrambi governati da esponenti degli Hohenzollern,
nei successivi 100 anni non successe niente che potesse avvicinare i
due stati. Non c’era nemmeno un piano o un’idea di farlo.

5.5 La nascita dello stato Brandeburgo-Prussia

A questo punto va spiegata una cosa importante: per conquistare


nuovi territori, in quell’epoca non c’era solo la guerra, c'erano anche
le cosiddette “candidature all’eredità”. Funzionava così: I sovrani di
praticamente tutta l’Europa si sposavano tra di loro e sposavano anche
i propri figli con quelli degli altri. Se un sovrano rimaneva senza figli
maschi, iniziava subito la ricerca del parente maschio più vicino, cioè
del “candidato all’eredità”. Che poteva benissimo essere di un altro
stato. Se le cose andavano bene c’era un nuovo sovrano che
apparteneva a un altro stato. Se andava male significava guerra tra i
vari contendenti che poteva anche coinvolgere altri stati.
Così facevano anche gli Hohenzollern che governavano il
Brandeburgo: tra le varie unioni matrimoniali con altri stati fecero
sposare anche due figli maschi con due figlie del Duca di Prussia.
Questi due matrimoni potevano anche rimanere senza nessuna
conseguenza politica, ma il caso volle che nel 1618 il Duca di Prussia
morì, senza eredi. E a questo punto il sovrano di Brandeburgo divenne
anche il Duca di Prussia. Rimasero però due stati separati di cui uno, il
Ducato di Prussia, era sempre uno stato vassallo del Re della Polonia,
ma ora erano governati dalla stessa persona. Solo dopo una guerra tra
la Polonia e la Svezia, nella quale il Duca di Prussia si mise abilmente
una volta con i Polacchi e un'altra volta con gli Svedesi, gli
Hohenzollern riuscirono a scrollarsi di dosso la dipendenza dal Re di
Polonia.
41

5.6 La nascita della Prussia (1701)

Siamo nel 1660 e per la prima volta si intravede la possibilità di


uno stato unitario. A questo punto torniamo a una domanda già posta
prima: Perché questo stato unitario è stato chiamato "Prussia" e non
"Brandeburgo" che nel frattempo era diventata la parte molto più
importante?
La risposta sta nella vanità dei sovrani dell'epoca. Il nuovo
stato Brandeburgo-Prussia aveva raggiunto delle dimensioni
notevoli ed era, non già una grande potenza, ma comunque una
potenza media tra gli stati dell'Europa. E il sovrano di Brandeburgo-
Prussia, Federico III, che regnò dal 1688 al 1713 e che portava
sempre i titoli "Margravio di Brandeburgo" e "Principe Elettore"
voleva essere di più, voleva diventare un Re.
Purtroppo, costituzionalmente non era possibile all'interno del
Sacro Romano Impero che conosceva solo un "Re della Germania".
Ma Federico trovò un modo per diventarlo. Nel suo Brandeburgo non
poteva portare il titolo di "Re", nel suo Ducato di Prussia, che non
faceva parte del Sacro Romano Impero, invece era possibile. E così,
nel 1701 Federico III di Brandeburgo si autoincoronò con il nome
di Federico I re in Prussia. Non "re DI Prussia", ma "re IN
Prussia". Questo "IN" era un piccolo difetto del titolo, ma era
necessario perché la Polonia possedeva sempre la parte occidentale
della Prussia, e chiamarsi "Re di Prussia" sarebbe stato un atto di
prepotenza che l'Imperatore sicuramente non avrebbe accettato, e poi
poteva significare anche guerra con la Polonia. Di conseguenza,
l'incoronazione non avvenne nel Brandeburgo, ma alcune centinaia di
chilometri più a est, a Königsberg, nella Prussia.
Ma ora Federico I era comunque un re, anche la popolazione del
Brandeburgo lo chiamava così e tutti gli atti dello stato, a partire dal
1701, erano "atti reali". Anche se dovevano passare altri 70 anni prima
che il sovrano potesse chiamarsi finalmente "Re di Prussia" (dopo
l'annessione militare della parte polacca della Prussia) il regno della
Prussia era nato nel 1701.
Oltre ai titoli Federico I amava anche il lusso e sotto il suo
governo gli sprechi nella gestione della corte e la corruzione
aumentarono a dismisura. Le altissime spese dello stato portarono
all'impoverimento della popolazione e quando Federico morì,
nel 1713, la Prussia era praticamente in bancarotta. Lasciò al suo
successore uno stato con l'enorme debito di 20 milioni di talleri.

5.7 La Prussia nel 1713


42

Se guardiamo la carta geografica dello stato che Federico I, il primo re


prussiano, lasciò al suo successore sono subito evidenti alcune cose:

La Prussia non è affatto uno stato unitario: ci sono due territori


più grandi, ma distanti tra di loro e altri sette territori piccoli, sparsi
per tutta la Germania. Ma anche il territorio centrale, quello più
grande, in realtà è diviso: oltre al Brandeburgo ci sono la Pomerania e
il Ducato di Magdeburgo, due parti importanti della Prussia, ma molto
diversi tra loro e dal Brandeburgo.
In questo stato esistono popolazioni con culture, dialetti,
confessioni religiose e tradizioni diverse. Non è uno stato cresciuto in
modo organico, ma un insieme di territori tenuti insieme solo per
motivi politici.
Se consideriamo poi che Federico I nel 1713 lasciò al suo
successore, Federico Guglielmo I, uno stato vicino alla bancarotta con
debiti giganteschi causati soprattutto da sprechi e corruzione capiamo
che per far sopravvivere questo stato erano necessari degli sforzi
enormi, soprattutto in tre direzioni:

1º mettere in ordine le finanze disastrate dello stato


2º creare all'interno il più possibile una maggiore coesione delle varie
popolazioni
3º unire il più possibile le varie parti dello stato, conquistando i territori che
le
separavano

Questi tre obbiettivi furono quasi pienamente raggiunti dai due


sovrani che governarono la Prussia dal 1713 al 1786, cioè Federico
Guglielmo I e Federico II, chiamato anche Federico il Grande.
Questi due re crearono uno stato che era un piccolo capolavoro di
efficienza, ammirato in tutta l'Europa. Uno stato per certi versi
moderno con un sovrano che amava la cultura, ma allo stesso tempo
fu anche uno stato temuto per la sua forza e la sua aggressività
militare. Uno stato pieno di contraddizioni, uno stato diverso dagli
altri, insolito, sotto molti aspetti straordinario.
Come primo atto ufficiale della sua reggenza Federico Guglielmo
I dichiarò nullo il bilancio dello stato approvato da suo padre, il
defunto monarca.
Ridusse drasticamente il costo della sua corte, il personale della
casa reale fu ridotto da 142 a 46 impiegati. Dei 24 castelli posseduti
dal padre ne mantenne solo sei, gli altri furono venduti o dati in affitto.
L'orchestra di corte venne sciolta, furono venduti all'asta vini preziosi
che facevano parte della cantina reale, oltre a mobili e oggetti d'oro e
43

d'argento. I teatri finanziati dallo stato vennero chiusi e le accademie


statali non ottennero nuovi fondi. Non a tutti piaceva questo drastico
regime di risparmi, non solo negli ambienti della corte che erano
abituati alle feste e alla vita lussuosa del predecessore. Anche molti
artigiani, che prima lavoravano per la corte, rimasero disoccupati e
dovettero cercarsi nuove fonti di guadagno. Tutta l'amministrazione
dello stato fu radicalmente ristrutturata e resa più snella ed efficace.
Ma queste riforme radicali, oltre a rimettere in sesto le finanze
dello stato, avevano anche altri motivi. In una delle sue prime riunioni
Federico Guglielmo dichiarò:

«Mio padre trovò la propria gioia nel costruire palazzi grandiosi,


nell'avere una gran quantità di gioielli, argento, oro e altre
magnificenze - permettete di dar sfogo anche ai miei desideri, voglio
avere una gran quantità di buone truppe.»

Infatti, Federico Guglielmo I fu chiamato anche "Re Soldato" per


l'impronta militarista della sua politica. Per lui, uno stato forte non
poteva esistere senza un esercito forte.
Nel 1719 l'esercito prussiano contava 54.000 uomini, venti anni
dopo, nel 1739 erano già più di 80.000. L'Austria, la Russia e la
Francia avevano degli eserciti più grandi, ma in relazione al numero
della popolazione l'esercito prussiano era al primo posto in
Europa. Sotto i due re Federico Guglielmo e Federico il Grande la
Prussia spese circa l’80% del bilancio dello stato per l’esercito. Il
conte di Mirabeau, un uomo politico francese del '700, disse della
Prussia:

«Altri stati possiedono un esercito, la Prussia invece è un esercito


che possiede uno stato».

Visto da fuori poteva proprio sembrare così, ma se guardiamo


questo stato più da vicino scopriamo che la Prussia era molto di più.
I soldi per la manutenzione di un esercito permanente di queste
dimensioni dovevano venire da qualche parte e la “pressione fiscale”
in Prussia era sicuramente da record europeo. Ma i re della Prussia si
rendevano perfettamente conto che, come disse Federico il Grande,
“una mucca che ha fame non dà latte”. Di conseguenza, per creare
lavoro e con questo garantire alla popolazione il pane in tavola, lo
stato sovvenzionò intensamente l’agricoltura e le piccole manifatture e
introdusse nelle università della Prussia, per la prima volta in Europa,
delle cattedre di economia.
Quando mancavano degli operai specializzati per determinati
progetti lo stato li chiamò dall’estero. Già un secolo prima, nel 1632,
44

la Prussia aveva chiamato a lavorare dei tecnici olandesi, specializzati


nell’architettura del paesaggio e nella costruzione di canali e dighe.
La nazionalità dei suoi sudditi era totalmente indifferente per i
sovrani della Prussia, tutti quelli che potevano servire allo stato erano
benvenuti – non importava se erano tedeschi, olandesi, francesi,
polacchi, russi o austriaci.
Nella stessa ottica dobbiamo vedere la tolleranza religiosa della
Prussia che per l’epoca era insolita, anzi, per molti scandalosa. Due
esempi che fecero clamore in Europa:

1º Nel 1685 il re della Francia cancellò il cosiddetto Editto di


Nantes che per molti anni aveva garantito la libertà di confessione
agli Ugonotti, cioè ai protestanti in Francia. Appena una settimana
dopo l’allora principe elettore del Brandeburgo Federico Guglielmo
rilasciò a sua volta l'Editto di Potsdam che conferì a tutti i
perseguitati protestanti francesi il diritti di venire in Prussia e di
svolgere lì liberamente la loro attività. Cosa che doveva rivelarsi una
decisione molto intelligente perché nei decenni successivi gli Ugonotti
diedero un grande aiuto allo sviluppo dell’economia prussiano. Alla
fine del ‘700 il 30% degli abitanti di Berlino erano francesi.
2º una cosa molto simile successe nel 1732 quando Federico Guglielmo I
accolse migliaia di protestanti cacciati via dall'arcivescovo di
Salisburgo.

Tutto questo non successe per motivi umanitari, ma


esclusivamente per sviluppare l'economia del paese. Le uniche
condizioni per i nuovi arrivati erano: lavorare e pagare le tasse. E
quelli che pagavano più tasse erano anche esonerati dall'essere
collocati nell'esercito in caso di guerra.
Questa totale indifferenza nei confronti della nazionalità e della
religione dei suoi sudditi era indispensabile per la Prussia. Non
essendo uno stato cresciuto in maniera organica, bensì assemblato in
modo artificiale da pezzi molto diversi tra di loro, senza questa
politica la Prussia non sarebbe sopravvissuta.
La Prussia non pretendeva dai suoi sudditi un orgoglio nazionale,
anche perché non era possibile, di nazionalità ce n'erano troppe. Non
chiedeva l'identificazione con le tradizioni, perché non esisteva una
tradizione unitaria. Tutto quello che lo stato prussiano chiedeva era la
disciplina per quanto riguarda lo svolgimento del proprio lavoro,
qualunque cosa fosse, e il rispetto del singolo per le ragioni dello
stato.
Una famosa frase di Federico II fu "Il re è il primo servitore
dello Stato." Ma non solo il re. Tutti, dal contadino più umile fino al
re erano al servizio dello stato che era qualcosa al di sopra delle
45

persone.

5.8 La Prussia sotto Federico II

La prima cosa che Federico II fece quando salì al trono


(nel 1740) fu invadere la Slesia, una delle più ricche regioni
dell'Austria. Non esisteva nessuna legittimazione per farlo e Federico
non fece nemmeno finta di averne una.
Ma l'occasione era buona: L'Austria si trovava in un momento
difficile, cioè gli Asburgo erano rimasti senza erede maschile. Per
essere preparato a un tale avvenimento, Carlo VI, della casa degli
Asburgo e imperatore del Sacro Romano Impero, aveva elaborato, nel
1713, la cosiddetta Prammatica Sanzione che, in mancanza di un
erede maschio, dava il diritto di successione al trono alla prima figlia
dell'imperatore. E così, nel 1740, Maria Teresa d'Asburgo, alla
tenera età di 23 anni, ereditò la corona d'Austria, un fatto
assolutamente inedito e per molti anche scandaloso.
Anche se gli altri monarchi avevano dato, nel 1713, il loro
consenso alla "Prammatica Sanzione", nel 1740 sembrava che non se
ne ricordasse più nessuno.
L'Austria, con la sua giovanissima e inesperta regnante sembrava
un avversario debole. Le altre monarchie dell'Europa non si
scandalizzarono più di tanto dell'attacco della Prussia, anzi, invece di
correre in aiuto all'Austria, la Francia, la Baviera e la Sassonia si
allearono con l'aggressore, nella speranza di poter partecipare allo
smembramento dell'Austria.
Inoltre, nel 1740, la Slesia era spoglia di truppe austriache,
impegnate in altri teatri di guerra, e così la conquista di questa regione
fu una passeggiata per l'esercito prussiano.
Ma quali erano i motivi per questo apparentemente immotivato
attacco all'Austria?

1º La Slesia possedeva dei ricchi giacimenti di carbone e le fabbriche


che lavoravano il ferro per la produzione di armi avevano un crescente
fabbisogno di carbone.
2º La Slesia era una regione molto popolata e per Federico II un
numero alto di sudditi era il tesoro più prezioso per uno stato. Più
sudditi = più persone che lavorano = più sviluppo di industria e
agricoltura = più persone che pagano le tasse = più soldati in caso di
necessità.

Come il suo predecessore anche Federico II dedicò la massima


attenzione allo sviluppo dell'industria e dell'agricoltura. Per migliorare
la situazione dell'alimentazione della popolazione promosse
46

intensamente la coltivazione delle patate e si impegnò anche


personalmente:
L'Austria non digerì mai la perdita della Slesia e cercò, negli anni
seguenti nuove alleanze contro la Prussia, cosa che non era difficile.
Perché gli ex-alleati della Prussia ora erano piuttosto arrabbiati perché
Federico II, invece di far partecipare Francia, Baviera e Sassonia alla
sua vittoria, aveva fatto una pace separata con l'Austria lasciando gli
alleati a mani vuote. Federico II voleva solo la Slesia, non era
interessato a un ulteriore indebolimento dell'Austria. Ma questo spinse
la Francia di nuovo verso l'Austria, questa volta per impedire che la
Prussia diventasse troppo forte.

5.9 La guerra dei sette anni e la spartizione della Polonia

Ormai l'equilibrio dei poteri in Europa era diventato molto


instabile e il sistema di alleanze in subbuglio. E così, nel 1756 scoppiò
una nuova guerra in Europa, la cosiddetta guerra dei sette anni.
Gli attori principali erano la Prussia da una parte e l'Austria, la
Francia e la Russia dall'altra parte. Ma erano coinvolti anche altri stati
in un complicato miscuglio di alleanze che cambiavano spesso.
Francia, Gran Bretagna, Spagna e Portogallo si contendevano anche il
possesso delle loro colonie e per questo motivo, la guerra dei sette
anni è considerata, da alcuni storici, anche la prima guerra a livello
mondiale.
Nei primi anni la Prussia riuscì abbastanza bene a far fronte ai
suoi nemici, ma più la guerra andava avanti, più critica divenne la
posizione della Prussia, per la quale la guerra si trasformò sempre di
più in una lotta estenuante per la sopravivenza. Ma Federico il Grande
non si arrese mai, con una cocciuta testardaggine cercò sempre di
andare avanti e di cambiare la situazione che divenne invece sempre
più disperata. Quello che alla fine salvò la Prussia fu una specie di
miracolo: nel 1762, nel sesto anno della guerra, morì Elisabetta,
l'imperatrice della Russia, e il suo successore Pietro III, che era
invece un ammiratore di Federico II, sciolse l'alleanza con l'Austria e
concluse una pace separata con la Prussia. Visto che ormai tutti gli
stati coinvolti nella guerra erano stanchi, nella pace definitiva
conclusa nel 1763 la Prussia riuscì addirittura a mantenere tutti i
territori che aveva prima della guerra, compresa la combattuta Slesia.
Per un pelo e con una buona dose di fortuna la Prussia aveva
evitato la propria fine. Ma il fatto di aver tenuto testa senza mai
arrendersi per sette anni a una coalizione dei tre regni più importanti
dell'Europa fece entrare la Prussia definitivamente tra i grandi poteri
47

dell'Europa.
Federico II si rendeva perfettamente conto che cosa sarebbe
potuto succedere con la sua Prussia e giurò, davanti ai suoi
collaboratori che nella sua vita non avrebbe mai più attaccato
nemmeno un gatto.
Ma alla Prussia mancava ancora il collegamento tra i due territori
della Prussia orientale e il Brandeburgo al centro. E nel 1772 Federico
riuscì a conquistare questi territori senza neanche muovere un soldato.
Ci riuscì con una astuzia diplomatica che fu, bisogna dirlo, tra le più
vergognose mai adoperate nella politica europea. Trattando
segretamente con la Russia Federico Il si mise d'accordo con lo Zar
di spartirsi la Polonia tra di loro. Visto che l'Austria avrebbe potuto
protestare, Maria Teresa d'Austria fu invitata a partecipare a questo
banchetto. La sovrana austriaca esitò, conscia del fatto che questa
proposta era una inaudita ingiustizia nei confronti della Polonia, ma
alla fine accettò. Nel suo tipico modo un po' cinico Federico II
commentò: "All'inizio Maria Teresa pianse un po', ma alla fine volle
anche lei una sua parte".

5.10 La politica interna

Nella sua Prussia Federico II attuò anche delle riforme


legislative, soprattutto un nuovo codice civile e penale che mirò a una
razionalizzazione del regime feudale, a una separazione tra Stato e
Chiesa. Il suo motto era "Ognuno deve poter vivere a modo suo".
Questa separazione tra stato e religione, oggi normale in
praticamente tutti gli stati europei, all'epoca incontrò anche delle
resistenze. Non tutti erano disposti a convivere nello stesso quartiere o
collaborare nello stesso ufficio con dei "miscredenti". C'erano
addirittura dei preti che lasciarono la Prussia protestando per questa
"eccessiva tolleranza", per trasferirsi in un altro stato meno indulgente
nei confronti di altre confessioni religiose. Federico II considerò un
tale comportamento un tradimento dello stato e con gli anni la sua
iniziale indifferenza nei confronti delle religione divenne alla fine
quasi disprezzo.
Ma Federico non era solo un cinico militarista. Amava la musica,
suonava il flauto traverso e lo suonava piuttosto bene. Spesso
organizzò dei piccoli concerti nel castello di Sanssouci a Potsdam che
aveva fatto costruire tra il 1745 e il 1747.
Stimava moltissimo il filosofo francese Voltaire e lo invitò a
Potsdam dove questi visse per 3 anni animando la corte prussiana con
dibattiti filosofici e politici.
48

5.11 La Prussia e la rivoluzione

Sotto i due successori di Federico il Grande, Federico


Guglielmo II e Federico Guglielmo III la città di Berlino cambiò:
furono costruiti la Porta di Brandeburgo e molti altri monumenti che
oggi determinano l'aspetto della città.
Accanto a Weimar, la città di Goethe e Schiller, Berlino divenne
un nuovo centro culturale della Germania, soprattutto per la nuova
generazione dei poeti romantici.
A livello politico questi due re dovettero affrontare un nemico del
tutto nuovo: la rivoluzione francese. Questa rivoluzione spaventò
parecchio le vecchie monarchie europee, in particolare dopo la
decapitazione del re di Francia Luigi XVI, e fece avvicinare tra di loro
anche la Prussia e l'Austria che prima si erano fatte una guerra dopo
l'altra.
La guerra tra le vecchie monarchie europee e la Francia
rivoluzionaria iniziò nel 1792 e durò vent'anni, ma la Prussia si ritirò
dalla coalizione delle monarchie dopo solo tre anni, nel 1795,
ottenendo dalla Francia, contenta di avere un avversario in meno, delle
condizioni molto favorevoli, estendendo la sua influenza a tutta la
parte nord-ovest della Germania.
Più che a una continuazione della guerra contro la Francia Federico
Guglielmo II era interessato a una ulteriore spartizione della
Polonia. Per due volte, nel 1793 e nel 1795 la Prussia e la Russia si
assegnarono tutte le parti della Polonia che erano ancora rimaste
polacche dopo la prima spartizione sotto Federico II, lasciando di
nuovo una piccola parte all'Austria. La Prussia ottenne così dei vasti
territori nuovi, compresa Varsavia e divenne uno stato con una
popolazione a metà tedesca e a metà polacca.
Mentre la guerra delle vecchie monarchie contro la Francia
continuò, la Prussia rimase neutrale per nove anni. Ma nel 1805 la
situazione precipitò: Francia, Austria e Russia vollero a tutti i costi che
la Prussia abbandonasse la neutralità entrando di nuovo nella guerra
contro la Francia e alla fine Federico Guglielmo III cedette, anche se
controvoglia. Fu un disastro, perché in due battaglie contro l'esercito
di Napoleone quello prussiano fu sconfitto due volte rovinosamente, il
re prussiano dovette fuggire nella Prussia orientale e Napoleone fece
una trionfale entrata a Berlino.
Già una volta, nel 1762, alla fine della guerra di sette anni,
l'esistenza della Prussia era appesa a un filo e si salvò per un pelo.
Ora, nel 1806, la storia si ripeté: in un primo momento Napoleone,
furioso per la rottura della neutralità prussiana, prese in
considerazione la completa cancellazione dello stato della Prussia, ma
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poi si accontentò del suo dimezzamento territoriale e del pagamento di


ingenti somme come riparazione dei danni della guerra.
E ancora, nell'estate del 1813, dopo una rinnovata edizione
dell'alleanza contro Napoleone e dopo altre battaglie perse la Prussia
stava di nuovo sull'orlo dell'abisso. Solo la famosa battaglia delle
nazioni vicino a Lipsia nell'ottobre del 1813 che durò 4 giorni e che
coinvolse 600.000 soldati, di cui 100.000 non tornarono più a casa,
portò la svolta definitiva per la coalizione monarchica e quindi anche
per la Prussia.
Il fatto che, in quegli anni la Prussia si vide due volte molto
vicina alla fine, senza che nessuno tra le altre monarchie dimostrasse
tanto interesse per impedirlo, fa capire che questo stato, per le altre
nazioni dell'Europa, non era indispensabile, in caso di necessità
bastava smontarlo e distribuire i pezzi come si era fatto con la Polonia:
l'est poteva essere diviso facilmente tra Austria, Polonia e Russia, il
Brandeburgo poteva essere annesso alla Sassonia, e i territori all'ovest
aspettavano solo di diventare di nuovo autonomi. La Prussia, nel
settecento protagonista dell'Europa, adesso, all'inizio dell'800, era
diventato un attore secondario, un pedone mosso da altri.

5.12 Le riforme prussiane

Ma negli anni della guerra, all'interno della Prussia, successero


delle cose importanti. Anche se pochi condividevano gli eccessi della
rivoluzione francese, le novità che portò a livello sociale e
amministrativo erano viste da molti come nuovo modello da seguire.
All'interno del governo della Prussia nacque un "partito delle riforme"
e i due protagonisti di questo partito Karl Freiherr vom Stein e Karl
August von Hardenberg introdussero una riforma dopo l'altra:

 la liberazione dei contadini dai legami feudali,


 l'autonomia amministrativa dei comuni,
 l'apertura del corpo degli ufficiali per i borghesi e non solo per gli
aristocratici,
 l'emancipazione degli ebrei,
 la libertà di aprire e gestire negozi e manifatture,
 l'abolizione delle punizioni corporali nell'esercito

Quindi quasi tutto il programma sociale della rivoluzione


francese, ma senza nessun cambiamento a livello politico, una specie
di rivoluzione guidata dall'alto, senza intaccare la monarchia.
Il problema era però che, a causa della guerra e anche per le
accanite resistenze dell'aristocrazia prussiana solo poche cose di
questo programma ambizioso poterono veramente essere realizzate. E
50

quando la guerra finì, finirono anche le riforme. Ma era stata piantato


un seme che nei decenni seguenti sarebbe cresciuto.

5.13 Il congresso di Vienna e il periodo della restaurazione

Il congresso di Vienna nel 1815 che riunì i rappresentanti di tutti


gli stati europei doveva ristabilire l'ordine monarchico in Europa.
Sulle rovine del Sacro Romano Impero, morto sotto i colpi
dell'esercito di Napoleone, fu creata la Confederazione
Germanica di 35 stati e 4 città libere con un parlamento a
Francoforte, sotto la presidenza dell'Austria. Per creare un forte
baluardo contro la Francia anche la Prussia fu ricostituita com'era
prima dell'invasione napoleonica.
Tutto doveva essere come prima, ma in realtà molte cose erano
cambiate. Fino alla fine del '700 non esisteva nessuna consapevolezza
nazionale nelle popolazioni dei vari stati tedeschi. Ci si sentiva
sassone, bavarese, svevo, frisone o austriaco, ma raramente "tedesco".
L'idea di una Germania unita nacque per la prima volta
proprio nella lotta comune contro Napoleone. Ma questa idea,
all'epoca ancora un sogno, era quasi sempre accompagnata da richieste
come una costituzione democratica con un parlamento liberamente
eletto, la libertà di stampa e altre richieste democratiche che erano
però inaccettabili per i governanti dell'epoca, che erano tutt'altro che
democratici.
La Prussia della prima metà del '800 era molto cambiata: nel '700
era moderna, aperta a tutte le novità politiche ed economiche,
bellicosa verso l'esterno, ma tollerante nei confronti delle confessioni
religiose e le nazionalità dei suoi cittadini. Quella dell'800 fu
conservatrice, antidemocratica, cristiana, pacifica verso l'esterno, ma
estremamente repressiva contro tutte le opposizioni interne.
Nei primi decenni dell'800 si diffuse anche in Prussia
la rivoluzione industriale iniziata in Inghilterra e favorita da una
cresente innovazione tecnologica. Creò un forte sviluppo economico
ed ebbe degli sviluppi importanti a livello sociale e politico.
Con la nascita di numerose nuove fabbriche e con la
meccanizzazione del lavoro nacquero anche dei gravi problemi
sociali, molti artigiani non riuscirono più a reggere la concorrenza
delle macchine e rimasero disoccupati. La situazione era
particolarmente grave in Slesia dove gran parte dei tessitori erano
ridotti alla fame. Alle loro ribellioni, delle volte anche violente, le
autorità prussiane non seppero rispondere, se non con la polizia o
anche con l'esercito.
Questo cosiddetto "periodo della restaurazione" durò fino
51

al 1848 quando le rivolte democratiche in tutta l'Europa rovesciarono


il labile equilibrio politico creato nel 1815.

5.14 La Prussia e la rivoluzione del 1848

Queste rivolte coinvolsero tutta la Germania. Le richieste erano


sempre: unità della Germania, libertà di stampa e parlamenti
democraticamente eletti. Dappertutto i regnanti risposero con la
polizia e quando le proteste diventarono più forti e pressanti anche con
l'esercito che non esitò a sparare. I momenti più drammatici si
verificarono proprio nella Prussia, cioè a Berlino: nel marzo del 1848
scoppiò una rivolta che durò parecchi giorni e che lasciò sull’asfalto
centinaia di morti.
Nello stesso tempo a Francoforte si riunì un parlamento formato
da rappresentanti di tutti gli stati tedeschi per elaborare una
costituzione democratica. Una delle discussioni più spinose era fin
dell'inizio: l'Austria doveva far parte di una Germania unita o no?
L'imperatore dell'Austria non volle neanche sentir parlare di una
Germania unita e così una delegazione di questi parlamentari si recò a
Berlino per offrire la corona di "Imperatore della Germania" a
Federico Guglielmo IV, re della Prussia. Ma questi rispose
seccamente: "Non mi metterò mai in testa una corona di
merda". Per lui la corona poteva essere conferita solo con la grazia di
Dio e non con quella del popolo. E con questo la rivoluzione era
finita.

5.15 Bismarck è l’unità della Germania

A questo punto entrò in campo Otto von Bismarck, un uomo


politico prussiano molto abile e senza troppi scrupoli, che in questi
anni divenne il consigliere più stretto del re di Prussia. Bismarck
aveva capito che la Germania poteva essere unita o "dal basso", cioè
dal popolo con tutti i rischi che questo comportava o "dall'alto", cioè
da qualcuno abbastanza forte da costringere gli altri stati ad aderire a
uno stato unitario. Per la verità, non era entusiasta dell'idea di una
Germania unita: era troppo prussiano per vedere la Prussia in uno
stato insieme a 30 altri stati tedeschi. Ma la questione dell'unità
divenne sempre più urgente da risolvere, anche per liberare lo
sviluppo economico, ostacolato da troppi confini e dogane interni e
troppe leggi diverse.
Il problema più importante da affrontare fu, come sempre,
l'Austria. Da risolvere, come sempre, con una guerra. Nel 1866
52

Bismarck provocò, per futili motivi, una guerra con l'Austria e inflisse
agli Asburgo una schiacciante disfatta. La Confederazione degli stati
tedeschi, fondato nel 1815 e fino ad allora capeggiata dall'Austria fu
sciolta. Al suo posto venne costituita una Confederazione della
Germania settentrionale sotto l'influenza della Prussia. La Prussia
incassò altri territori al nord della Germania e raggiunse così la sua
massima estensione. Nel 1871, su 40 milioni abitanti della Germania
24 milioni vivevano in Prussia.
Questa nuova Prussia era talmente grande e potente che la
Francia si sentì minacciata. C’era aria di guerra, e la guerra arrivò.
Quattro anni dopo, nel 1870 scoppiò una crisi diplomatica tra la
Francia e la Prussia sulla successione al trono della Spagna, una
questione in cui era coinvolto anche un principe della casata degli
Hohenzollern. Adesso bastava un niente per far saltare la situazione.
Infatti, dopo movimentate e eccitate trattative la Francia si sentì presa
in giro e dichiarò guerra alla Prussia. Ma non aveva valutato bene la
situazione in Germania, perché i risentimenti nella popolazione nei
confronti della Francia risalenti ancora alle guerre contro Napoleone
erano tali da convincere anche gli stati della Germania meridionale ad
aderire alla guerra. Nel caso della Baviera, regnata da Ludwig II,
Bismarck ottenne la sua partecipazione corrompendolo con una
cospicua somma di denaro di cui Ludwig aveva bisogno per far
costruire i suoi famosi castelli.
La guerra alla quale adesso partecipò quasi tutta la Germania
durò 6 mesi e finì con la totale disfatta della Francia. Il 16 gennaio del
1871, nella galleria degli specchi della reggia di Versailles, il re della
Prussia fu proclamato primo imperatore del nuovo Reich, col nome
Guglielmo I.

5.16 La morte dello stato prussiano e la nascita della


Germania

Considerando che in questo Reich l'imperatore era prussiano, il


cancelliere (Bismarck) pure, più della metà della sua popolazione
viveva in Prussia, la maggioranza dei ministri e dei deputati del
parlamento nazionale era eletta in Prussia, si potrebbe pensare che
adesso la Prussia dominava tutto. Infatti, all'estero dicevano: "La
Prussia si è mangiata la Germania". Ma non era così. Il primo ad
averlo capito era proprio il re della Prussia che prima di essere
proclamato Imperatore della Germania non era affatto entusiasta di
diventarlo e voleva addirittura dimettersi prima. Quando Bismarck,
proprio il giorno prima dell'incoronazione, riuscì a convincerlo ad
accettare la corona, Guglielmo scoppiò in lacrime e disse: "Domani
53

sarà il giorno più infelice della mia vita, perché dovrò assistere al
funerale della mia amata Prussia."
Per convincere gli altri stati della Germania ad aderire al Reich,
Bismarck dovette concedere loro vaste autonomie. E con gli anni
l'influenza degli altri stati tedeschi aumentò sempre di più,
specialmente dopo le dimissioni di Bismarck nel 1890. La Prussia, pur
rimanendo la parte geograficamente più grande della Germania,
divenne sempre di più uno stato tra gli altri. Ora i cancellieri del Reich
provenivano anche da altre regioni. Nel 1918, alla fine della prima
guerra mondiale, era finita anche la monarchia degli Hohenzollern.
Nella breve vita della prima repubblica tedesca, la Repubblica di
Weimar, la Prussia visse, per l'ultima volta un piccolo periodo di
fioritura. Mentre nei 14 anni di questa infortunata Repubblica il suo
cancelliere cambiò ben 13 volte, la Prussia rimase un'isola di stabilità,
con sempre lo stesso presidente, il socialdemocratico Otto Braun (90)
(chiamato anche "ultimo re della Prussia") e rimase anche l'ultimo
baluardo contro avanzata del partito di Hitler, fino al 1932 quando il
governo della Prussia fu cacciato via e sostituito da un commissario
dell'estrema destra. Questa fu la fine dello stato della Prussia.
Quando gli alleati nel 1947, alla fine della seconda guerra
mondiale, dichiararono ufficialmente sciolto lo stato di Prussia, la
Prussia, in realtà era morta già da 15 anni.

5.17 La morte dello stato prussiano e la nascita della


Germania

A livello politico praticamente niente. Esiste un ente pubblico


che si chiama Stiftung preußischer Kulturbesitz (Fondazione tesori
culturali della Prussia) che amministra il lascito culturale degli
Hohenzollern, i castelli, parchi e molti degli edifici storici che erano di
proprietà del defunto stato e che sono sopravvissuti alla seconda
guerra mondiale.
Poi c'è anche il Borussia Dortmund. "Borussia" è la forma
neolatina di "Prussia", ma probabilmente nemmeno i fan più accaniti
di questa celebre squadra di calcio lo sanno...
Forse la cosa più importante che rimane oggi della Prussia è
un mito. Ma quando un personaggio del passato - oppure, come in
questo caso, uno stato - diventa un mito, questo significa sempre una
semplificazione, una riduzione di un fenomeno complesso a uno più
ad uso e costumi dell'opinione pubblica - o peggio - di una corrente
politica. Molti storici del passato hanno raccontato la storia della
Prussia come un processo che dall'inizio aveva un preciso senso, che
54

mirava alla fine alla costituzione della "Grande Germania" nata nel
1871, glorificandola così come un risultato inevitabile e della storia,
come uno stato compiuto e perfetto. Hitler ha cercato di mettersi nella
tradizione di Federico II presentandosi come una specie di esecutore
del suo testamento. E ancora oggi, tra storici, giornalisti e anche da
certi uomini politici, si discute se la Prussia sia stata più uno stato
reazionario e militarista o uno stato moderno e aperto alle novità
economiche e politiche.
La Prussia è stata invece tutto questo, uno stato con molte facce
positive e negative. Nella sua breve esistenza assomiglia un po' a una
cometa che appare all'improvviso nel cielo dell'Europa, diventa molto
luminosa e sparisce presto, lasciando poche tracce.

6. Storia della Germania dal 1815 al 1915

6.1 Il Congresso di Vienna

"La città di Vienna offre ai presenti una visione spettacolare; tutta


l'Europa è qui rappresentata dalle più illustri personalità. L'imperatore,
con l'imperatrice e le grandi principesse di Russia, il re di Prussia con
parecchi principi della sua casa, il re di Danimarca, i re ed i principi
ereditarii di Baviera e del Württemberg, i duchi ed i principi delle case
di Meclemburgo, Sassonia-Weimar, Sassonia-Coburgo, Assia ecc.,
metà dei vecchi principi e dei conti dell'Impero, e poi un numero
immenso di diplomatici provenienti dai più vari reami d'Europa. Tutto
questo non fa che dar vita ad un movimento ed a una tale varietà di
immagini ed avvenimenti che solo la straordinaria epoca, nella quale
noi viviamo, sarebbe in grado di produrre. Gli affari di Stato nel
frattempo, con lo sfondo di tali singolari cose, non stanno andando
avanti affatto."

Così scrisse il segretario-generale del Congresso, il conte


Friedrich von Gentz, in una lettera. Tra il 1814 e il 1815, durante i
nove mesi di questo congresso internazionale, Vienna si trasformò nel
centro non solo politico, ma anche mondano dell'Europa. Gli ospiti del
Congresso, al quale presero parte le delegazioni diplomatiche di quasi
tutte le nazioni europee, cercarono di rendere il soggiorno delle
personalità d'alto rango il più piacevole possibile. I balli, i cortei, le
gite in slitta, le parate militari, gli spettacoli d'opera, i concerti e
55

ricevimenti diedero al Congresso una cornice fastosa che


impressionava il pubblico. E così nacque la battuta con cui questo
straordinario evento è noto ancora oggi: "Il Congresso danza, ma non
avanza".
La rivoluzione francese aveva scosso l'Europa, aveva spazzato
via non solo la monarchia francese, ma aveva scombussolato,
attraverso il suo erede Napoleone Bonaparte e le sue vittoriose armate,
quasi tutti gli stati dell'Europa. Il venerabile Sacro Romano Impero,
fondato dagli eredi di Carlo Magno 900 anni prima, si era sciolto
come la neve nel sole. In molti stati d'Europa Napoleone abolì con un
cenno di mano burocrazie secolari e introdusse un nuovo, moderno
sistema di amministrazione e di diritto.
Ma la megalomania con cui Napoleone spinse i suoi soldati fino
alle porte di Mosca lo fece diventare un nemico odiato non solo da
tutti i rappresentanti della vecchia Europa, dall'aristocrazia e dalla
chiesa cattolica, ma anche da tutti quelli che, delusi dall'esito della
rivoluzione francese avevano sperato in un mondo migliore, magari
ispirato da una salutare tempesta francese. Napoleone fu battuto sul
campo di battaglia dalle forze congiunte di tutta l'Europa, ma l'Europa
dell'epoca prima di Napoleone era irrecuperabilmente distrutta. In
questa situazione ci voleva un grande Congresso per riordinare i regni
andati a pezzi e questo Congresso poteva aver luogo solo a Vienna, nel
centro del potere degli Asburgo che per secoli avevano regnato sul
Sacro Romano Impero. Un impero che, pur essendo fragile e
eternamente in lite con se stesso, aveva comunque rappresentato un
simbolo in cui le monarchie offese da Napoleone si erano
riconosciute.
Nei nove mesi del Congresso molti viennesi avevano
l'impressione che Vienna si fosse trasformata in una gigantesca
kermesse dell'aristocrazia di tutta l'Europa che non faceva altro che
organizzare feste e balli. La facciata splendente che i regnanti
dell'Europa crearono intorno a questo evento fu veramente
impressionante. Ma dopo l'umiliazione da parte di Napoleone lo
splendore delle vecchie monarchie doveva rinascere come prima e
mostrarsi in tutto il suo fasto. Circa 100.000 ospiti da quasi 200 stati,
ducati, principati e città indipendenti affollarono Vienna. I costi
dell'evento, sopportati quasi esclusivamente dalle casse del governo
austriaco, furono enormi. Ma per gli abitanti di Vienna, il grande
spettacolo ebbe anche dei lati decisamente negativi: i centomila ospiti,
per lo più ricchi e spendaccioni, volevano mangiare, spendere e
divertirsi e questo fece aumentare i prezzi anche per la popolazione
locale. Viveri, servizi, combustibili e affitti divennero sempre più cari.
Dall'altra parte c'erano naturalmente molti (imprenditori,
56

commercianti, padroni di casa) per i quali questo Congresso fu come


una manna caduta dal cielo.
Ma dietro la facciata allegra e festosa si faceva politica sul serio.
Furono soprattutto le cinque grandi potenze dell'Europa (Russia,
Inghilterra, Austria, Prussia e Francia) a decidere sui contenuti degli
atti ufficiali del Congresso. Paesi, provincie e città furono spostati qua
e là, spartiti fra principi e monarchi, senza tenere conto in nessun
modo delle conseguenze politiche, economiche o culturali che ciò
poteva avere. Le discussioni non furono sempre pacifiche, anzi, a un
certo punto della conferenza una nuova guerra, questa volta tra gli ex-
alleati contro Napoleone, fu più vicina di un documento di pace
condiviso da tutti.
Ma alla fine si trovò un accordo e i risultati politici più importanti
furono:

 sulle rovine del Sacro Romano Impero fu creata la "Deutscher Bund"


(Confederazione Germanica) di 35 stati e 4 città libere con un
parlamento a Francoforte, sotto la presidenza dell'Austria. Questi stati
non avevano molti interessi in comune e il parlamento, i cui membri
non erano eletti ma delegati dai singoli stati, si limitò essenzialmente a
reprimere nei vari territori ogni tentativo di avere più libertà per i
sudditi. La presidenza dell'Austria non impedì che la predominanza
politica ed economica della Prussia si facesse sempre più sentire, un
preludio alle guerre tra Prussia e Austria nella seconda metà dell'800.
 il territorio dell'Austria si spostò verso l'area balcanica e quello della
Prussia verso il centro della Germania il che favorì l'obiettivo politico
della Prussia: la sistematica esclusione dell'Austria dalle faccende
politiche della Germania.
 la fondazione della "Santa Allenza" tra Russia, Austria e Prussia,
fondata sullo spirito cristiano, per favorire una politica di pace
internazionale. In realtà, durante le varie riunioni di questa alleanza tra
il 1819 e il 1822, non si parlò nemmeno una volta dell'amor cristiano
verso il prossimo, ma solo di provvedimenti militari e polizieschi per
soffocare i tentativo di riforme o di aperta ribellione nei paesi membri,
sempre più frequenti nei decenni successivi.

In una parola: il Congresso di Vienna inaugurò il periodo della


"Restaurazione" che durò fino al 1848 quando le rivolte democratiche
in tutta l'Europa rovesciarono il labile equilibrio politico creato dal
Congresso di Vienna. Ma questa è un'altra storia.

6.2 Ludwig II di Baviera 1


1
Nel 1972, Luchino Visconti girò il film "Ludwig", che fa trasparire non solo una
profonda conoscenza della storia e cultura della Germania dell'Ottocento, ma anche una
notevole capacità di introspezione psicologica nel personaggio ritrattato. Il film "Ludwig"
dura, nella versione integrale, quasi 4 ore. Ma chi si prende questo tempo potrà godersi
57

Ludwig II, re della Baviera e amico e mecenate del compositore


Richard Wagner, era più un sognatore che un re. Detestava la politica
e invece di occuparsi degli affari dello stato preferiva spendere tutto
quello che aveva - e anche quello che non aveva - per la realizzazione
dei suoi sogni, cioè per la costruzione di sempre nuovi castelli. Non ne
aveva ancora terminato uno, che già cominciava la costruzione del
successivo castello. Era amato dal popolo - anche se lui non amava
molto la gente, preferiva la solitudine - ma era disprezzato in tutti gli
ambienti politici, diplomatici ed economici. Alla fine della sua breve e
infelice vita, fu dichiarato pazzo da una commissione di medici
incaricata dal governo stesso e della casa reale della Baviera.
La sua "pazzia" è tutt'oggi argomento di discussioni accese, la
sua vita sregolata è stata spiegata da numerosi punti di vista, è stata
accusata e difesa. Ma soprattutto intorno alla sua morte (è annegato,
molto probabilmente da suicida, nel lago di Starnberg) si sono create
numerose teorie: dall'incidente casuale fino all'assassinio ordinato
dallo stato, ce n'è per tutti i gusti.
Insomma, c'è tutto il necessario per trasformare un personaggio
difficile e scontroso in una leggenda. Ludwig era omosessuale e si
rifiutò di sposarsi, già questo lo metteva in un netto e insanabile
contrasto con il suo ambiente. Ma Ludwig era, soprattutto, una figura
tragicamente anacronistica che, in fondo, viveva nel secolo sbagliato.
Le figure con cui si immedesimava spaziavano dai miti germanici fino
a Luigi XIV, il "re sole" della Francia che visse due secoli prima.
Ludwig soffriva molto della sua incapacità di ambientarsi nella realtà
della seconda metà dell'ottocento, un'epoca in cui l'industrializzazione
avanzava e i pensieri repubblicani e democratici si diffondevano
sempre di più. Con la dispendiosa costruzione di questi castelli, con
uno stile di vita sempre più sregolato, e con un appoggio veramente
"reale" al suo amico Wagner, che sfruttava abilmente la debolezza di
Ludwig nei suoi confronti, accumulò debiti giganteschi e divenne alla
fine sempre più imbarazzante per la casa reale della Baviera.
Ludwig che voleva godersi i suoi castelli in beata solitudine
soffrirebbe parecchio se vedesse i milioni di turisti che oggi, ogni
anno, li visitano. E i visitatori di oggi stentano a credere che questi
castelli siano stati costruiti appena centocinquant'anni fa, quando
c'erano già le ferrovie, le fabbriche e quando nella vita politica
esistevano già i primi partiti politici e dei parlamenti (quasi)
democratici. Neuschwanstein sembra venuto fuori da una favola

uno splendido film con un ritratto del così detto "Re bavarese delle favole" che non ha
uguali per quanto riguarda l'approfondimento psicologico e la veridicità storica - per
quanto ci si può avvicinare alla verità nel caso di quel difficile e discusso re bavarese.
58

medievale, Herrenchiemsee è il risultato del tentativo di imitare e


superare lo stile lussuoso di Versailles e Linderhof assomiglia a un
giocattolo reale al di fuori di spazio e tempo. Sono tutti e tre bellissimi
e se non li avete ancora visti è proprio il caso di
andarci! Hohenschwangau invece è il castello dei genitori - ma
vederlo è indispensabile per capire come mai Ludwig è diventato
quello che era.

6.3 Come e quando è nata l’idea di una Germania

Fino alla fine del '700 non esiste nessuna consapovelezza


nazionale tra gli abitanti del "Sacro Romano Impero di Nazione
Tedesca". Questo impero che, nel corso dei secoli, aveva sempre
meno forza unitaria, con un "imperatore" i cui poteri andavano poco
oltre a quello simbolico, era frantumato in circa 300 principati, ducati,
granducati e città libere totalmente autonomi, che spesso si facevano
anche la guerra tra di loro. Ci si sentiva sassone, bavarese, svevo,
frisone, prussiano o austriaco, ma raramente "tedesco".
L'idea della Germania unita nasce solo nella lotta comune contro
l'imperatore francese Napoleone che, all'inizio dell'800, aveva invaso
e occupato tutta la Germania. Ma questa idea di una Germania unita
era accompagnata anche da richieste democratiche, inaccettabili per i
governanti, che erano tutt'altro che democratici. Un primo tentativo di
arrivare a uno stato democratico e unitario fallì nella rivoluzione del
1848.
Ma un po' alla volta l'unità divenne necessaria, per liberare lo
sviluppo economico, bloccato da troppi confini e dogane interni e
troppe leggi diverse. Ma purtroppo in Germania le idee politiche non
hanno mai avuto forza se non c'era qualcuno che metteva a
disposizione un esercito.
Quel qualcuno era la Prussia. Bismarck, uomo politico prussiano
molto abile e senza troppi scrupoli, aveva capito che la Germania
veniva unita o "dal basso", cioè dal popolo - con tutti i rischi che
questo comportava (bisogna ricordarsi che Carlo Marx aveva già
scritto il suo "Manifesto dei comunisti") - o arrivava "dall'alto", cioè
da qualcuno abbastanza forte da poter costringere gli altri stati ad
aderire a questa "Germania unita". Chiaramente, voleva essere la
Prussia alla guida di questo nuovo stato. Ma come fare a convincere
gli altri stati tedeschi, tutti orgogliosi di essere indipendenti? Un altro
problema era, fin dall'inizio, l'Austria: integrarla o lasciarla fuori da
una futura Germania? La Prussia fece di tutto per provocare e
rafforzare i contrasti con l'Austria, che, un po' alla volta, fu
emarginata. In questo modo la Prussia conquistava una posizione
59

sempre più forte tra gli altri stati tedeschi. La soluzione definitiva per
questi problemi era trovata presto: si provocava una guerra contro la
Francia, il nemico "storico" numero uno della Germania, una guerra
alla quale nessuno stato tedesco poteva dire di no.
Questa guerra (1870-1871) rafforzò da una parte i sentimenti
nazionali, dall'altra parte servì a far capire a tutti la forza militare che
la Prussia nel frattempo aveva raggiunto. Così, vinta la guerra, tutti si
piegarono alla Prussia che in alcuni casi avevano anche usato la forza
convincente del denaro per convincere certi stati tedeschi riluttanti a
una riduzuione della loro sovranità.
Il modo in cui è stato costituito questo nuovo stato rappresentava
una provocazione senza precedenti nei confronti della Francia che la
umiliava profondamente: la cerimonia ufficiale della costituzione della
nuova Germania fu celebrata, quando le truppe tedesche avevano
occupato Parigi, nella "Sala degli specchi", la sala più prestigiosa del
palazzo reale di Versailles, centro e simbolo della monarchia francese
(vedi il quadro sopra che raffigura questa scena). Una umiliazione che
i francesi non dimenticarono e che contribuì a cimentare la "storica"
inimicizia tra i due popoli fino alla fine della Seconda Guerra
Mondiale. Inoltre, la Francia dovette cedere alla Germania le due
province Alsazia e Lorena. Questi territori erano molto importanti per
i ricchi giacimenti di ferro e per le industrie siderurgiche, meccaniche,
alimentari e tessili.

6.4 Bismarck e l’unificazione della Germania

La carriera olitica di Bismarck iniziò nel 1848, l'anno della


rivoluzione che scosse tutta l'Europa e anche la Germania. Il 18 marzo
1848 venne repressa un'insurrezione popolare a Berlino provocando
800 morti. Gli obbiettivi di questa rivolta furono l'introduzione di una
costituzione democratica, libera stampa, e l'unione della Germania. Il
trono di Federico Guglielmo IV, re della Prussia, vacillò, ma il
giovane deputato Bismarck si schierò decisamente dalla sua parte,
ribadendo che la sovranità non veniva dal popolo, ma dall'alto, dal
"diritto divino" dell'imperatore. Per Bismarck i rischi legati alle
rivendicazioni democratiche erano elevati - basta ricordarsi che Carlo
Marx aveva già scritto il suo "Manifesto dei comunisti". Secondo
Bismarck l'unità della Germania poteva solo avenire a tre condizioni:
l'esclusione dell'Austria, unificazione sotto la guida di qualcuno
abbastanza forte da poter costringere gli altri stati tedeschi ad aderire a
questa "Germania unita" e la soppressione delle rivendicazioni
democratiche. Chiaramente, voleva essere la Prussia alla guida di
questo nuovo stato. E Bismarck ci riuscì: nel 1871, dopo la vittoriosa
60

guerra contro la Francia, il re della Prussia (Guglielmo I) fu nominato


imperatore del nuovo "Reich" e Bismarck, che prima era cancelliere
della Prussia diventò cancelliere della Germania uniya. Il modo in cui
Bismarck ha guidato la Prussia a diventare padrone della Germania
era senz'altro caratterizzato da una grande spietatezza. Una volta
individuato un obbiettivo da raggiungere Bismarck non aveva tanti
scrupoli nella scelta dei metodi per arrivarci. L'appellativo "cancelliere
di ferro" che non dispiaceva più di tanto a Bismarck è sicuramente
azzeccato, almeno per certi aspetti della sua politica.

6.4.1 Bismarck “cancelliere di ferro” e “onesto


intermediatore”

Raggiunto lo stato unitario del "Deutsches Reich" (Impero


tedesco), Bismarck si rivelò un uomo politico non affatto aggressivo,
almeno nella politica estera. La Germania era circondata dalle potenze
"vecchie", cioè Francia, Inghilterra, Austria e Russia, tutti diffidenti e
sospettosi nei confronti di questo nuovo e forte elemento nella
scacchiera politica dell'Europa, da sempre molto precaria e instabile.
Fino alle sue dimissioni (forzate) nel 1890, Bismarck si mostrò un
diplomatico cauto e molto abile che più di una volta riuscì a districare
scontri politici e anche militari tra le potenze europee. Certo, sempre
nell'interesse della Germania, ma l'equilibrio tra Russia, Turchia, stati
Balcani, Austria, Francia e Inghilterra - pur essendo sempre labile e
spesso sull'orlo del tracollo - fu sicuramente in buona parte merito
suo. Il soprannome "eiserner Kanzler" (cancelliere di ferro) adesso
cambiò in "ehrlicher Makler" (onesto intermediatore).
Nella politica interna invece Bismarck rimase il temuto
"cancelliere di ferro", piuttosto insofferente nei confronti
dell'influenza che aveva ottenuto il parlamento del Reich. Odiava in
particolare due partiti: i socialdemocratici, che durante il suo
cancellierato erano ancora un partito rivoluzionario che volevano
sovvertire lo stato a favore di una dittatura del proletariato e il nuovo
partito del "Zentrum", un partito cattolico sospettato da Bismarck di
agire non nell'interesse nazionale, ma nell'interesse del Vaticano.
Contro entrambi i partiti Bismarck riuscì a far approvare delle leggi
durissime - in particolare contro i socialdemocratici - che ostacolarono
pesantemente la loro vita politica. Parallelamente cercò di venire
incontri agli elettori dei socialdemocratici con delle riforme che per
l'epoca erano rivoluzionarie: introdusse il primo sistema previdenziale
al mondo, che servì da modello per tutti gli altri paesi. Istituì
l'assicurazione contro le malattie, quella contro gli infortuni e infine
realizzò un progetto di assicurazione per la vecchiaia. Ma nonostante
61

ciò non riuscì a impedire che il partito socialdemocratici cresceva,


lentamente ma in maniera inesorabile. E anche la cosiddetta
"Kulturkampf" (lotta culturale) contro il partito cattolico del Zentrum
non ebbe il successo sperato.

6.5 Le origini della prima guerra mondiale e la Germania

Nel giugno del 1919, dopo la fine della prima guerra mondiale
persa dalla Germania, dall'Austria e dai loro alleati, il trattato di pace
("Trattato di Versailles") definisce la Germania "responsabile, per
essere stata la causa, di tutte le perdite e di tutti i danni subiti dai
governi alleati e associati e dai loro nazionali in conseguenza della
guerra loro imposta dalla aggressione della Germania e dei suoi
alleati".
Questa posizione dei vincitori della guerra è, naturalmente, una
semplificazione che non regge a un esame più attento dei fatti
avvenuti. Infatti, uno dei primi a mettere in dubbio questa tesi
fu Lloyd George, primo ministro inglese tra il 1916 e il 1922 (quindi
dalla parte dei vincitori), sostenendo che gli stati dell'Europa nel 1914
sarebbero "scivolati" in quella guerra, senza realmente volerla. Ma
anche questo modo di vedere gli eventi che sembrava dare la colpa (e
contemporaneamente di discolpare) un po' tutti, è troppo banale per
poter spiegare qualcosa, anche se fu sostenuto non solo dai politici
interessati, ma anche da molti storici. Molti credono che la causa della
guerra sarebbe stata invece l'uccisione del principe ereditario austriaco
Francesco Ferdinando nell'attentato di Sarajevo nel giugno 1914,
alla quale, un mese dopo, segui la dichiarazione di guerra dell'Austria
alla Serbia. Ma quell'attentato fu piuttosto un pretesto, abilmente
sfruttato da chi voleva la guerra ad ogni costo. L'anno 1914 era
talmente pieno di tensioni politiche che bastava molto poco per
scatenare una guerra.
Non si racconta la storia con il "se", ma in questo caso è piuttosto
evidente che, se non ci fosse stato il 19enne bosniaco Gavrilo
Princip a uccidere l'austriaco Francesco Ferdinando, un'altro
pretesto per scatenare la guerra sarebbe stata trovata comunque.
Al giorno di oggi, chiedere di chi è colpa di una guerra è del tutto
comprensibile e legittimo, anche se non è sempre facile trovare una
risposta soddisfacente. Nel 1914 invece, la domanda sulla "colpa"
(intesa come concetto morale) di una guerra non fu posta da nessuno.
Nei primi mesi della guerra in tutti i paesi partecipanti si discuteva
animatamente sui rispettivi obbiettivi della guerra, si accusavano le
altre nazioni di aver iniziato le ostilità, ma questo è una cosa molto
diversa rispetto al concetto morale della "colpa". Per tutti i poteri
62

imperiali dell'epoca la guerra era un mezzo assolutamente legittimo


per ottenere dei risultati altrimenti non raggiungibili. La celebre frase
del generale prussiano Von Clausewitz (1780-1831) - "La guerra non
è che la continuazione della politica con altri mezzi." - non fu messa
in discussione da nessuno. È stata propria la inaudita crudeltà della
prima guerra mondiale, il suo carattere spaventoso e totalmente nuovo
rispetto alle guerre precedenti a cambiare radicalmente la sensibilità
nei confronti delle guerre e ha dato alla pace un nuovo e aumentato
valore, oggi universalmente riconosciuto - anche se poco rispettato.
Il concetto di "colpa" è quindi inapplicabile per l'epoca, rimane
però la domanda sulle origini di quella guerra, sui fattori che lo hanno
preparato e sulle concrete azioni politiche dei singoli capi di stato che
infine l'hanno provocata. E in questo contesto la Germania ha giocato
un ruolo importante che di seguito sarà esaminato più in dettaglio.

6.5.1 La nascita della Germania : 1871

La Germania come stato nasce nel 1871, quindi molto tardi, più


tardi anche dell'Italia. Nell'800 nell'area dove si parlava il tedesco
esistevano ancora 38 stati autonomi, dai più grandi come l'Austria e la
Prussia fino a molti territori piccoli e piccolissimi. Come in tutta
l'Europa, l'800 fu il secolo delle crescenti idee nazionaliste che
investirono anche la Germania. Ma in Germania le idee politiche non
hanno mai avuto forza se non c'era qualcuno che metteva a
disposizione un esercito.
Questo qualcuno era la Prussia sotto il "cancelliere di ferro" Otto
von Bismarck. Quest'ultimo, un uomo politico molto abile e senza
troppi scrupoli, aveva capito che la Germania veniva unita o "dal
basso", cioè dal popolo - con tutti i rischi che questo comportava
(bisogna ricordarsi che Carlo Marx aveva già scritto il suo "Manifesto
dei comunisti") - o arrivava "dall'alto", cioè da qualcuno abbastanza
forte da poter costringere gli altri stati ad aderire a una Germania
unita. Chiaramente voleva essere la Prussia alla guida di questo nuovo
stato.
Ma c'era un problema, e cioè l'Austria: integrarla o escluderla da
una futura Germania? La Prussia fece di tutto per provocare i contrasti
con l'Austria, che, un po' alla volta, fu emarginata, infine anche con
una sanguinosa guerra, nel 1866. La soluzione definitiva fu la guerra
contro la Francia (1870-1871), il nemico "storico" numero uno della
Germania, una guerra iniziata per futili motivi, condotta dalla ormai
potentissima Prussia (senza partecipazione dell'Austria) alla quale
però nessuno degli altri stati tedeschi poteva dire di no. Vinta la
guerra, tutti si piegarono allo strapotere dalla Prussia che nel nuovo
63

stato tedesco, proclamato nel 1871 proprio nella "Sala degli specchi"
del castello di Versailles (per umiliare ulteriormente la Francia),
faceva il bello e il cattivo tempo.

6.5.2 L’era di Bismarck (1871-1890)

Raggiunto lo stato unitario del "Deutsches Reich" (Impero


tedesco), Bismarck, diventatone il cancelliere, si rivelò un uomo
politico non affatto aggressivo, almeno nella politica estera. La
Germania era circondata dalle potenze "vecchie", cioè Francia,
Inghilterra, Austria e Russia, tutti diffidenti e sospettosi nei
confronti di questo nuovo e forte elemento nella scacchiera politica
dell'Europa, da sempre molto precaria e instabile. Fino alle sue
dimissioni (forzate) nel 1890, Bismarck si mostrò un diplomatico
cauto e molto abile che più di una volta riuscì a districare scontri
politici e anche militari tra le potenze europee. Certo, sempre
nell'interesse della Germania, ma l'equilibrio tra Russia, Turchia, stati
Balcani, Austria, Francia e Inghilterra - pur essendo sempre fragile e
spesso sull'orlo del tracollo - è sicuramente in buona parte merito suo.
Bismarck era poco interessato alla corsa per ottenere nuove
colonie in Africa (la Germania ne aveva alcune, ma erano di scarsa
importanza economica). A un suo collaboratore che un giorno gli
mostrò una carta geografica dell'Africa per esporgli le possibilità di
ulteriori conquiste coloniali Bismarck rispose bruscamente: "La Sua
carta dell'Africa è molto bella, la mia carta dell'Africa è invece
l'Europa". E il discorso era chiuso.
Per lo scopo di questo articolo non è necessario approfondire il
complicato sistema di alleanze bilaterali e trilateriali - delle volte
anche segrete e spesso di poca durata e molto mutevoli - tra Turchia,
Russia, Austria, Francia, Inghilterra e Germania. Basta costatare che la
politica estera di Bismarck non prefigurava in nessun modo la prima
guerra mondiale, né nei risultati e tanto meno nei metodi. E chi vede
addirittura una linea diretta tra Bismarck e Hitler probabilmente non
conosce bene né l'uno né l'altro.
Nella politica interna Bismarck fu invece il temuto "cancelliere
di ferro", piuttosto insofferente nei confronti dell'influenza che aveva
ottenuto il parlamento del Reich. Odiava in particolare due partiti: i
socialdemocratici, che durante il suo cancellierato (almeno all'inizio)
erano ancora un partito rivoluzionario che volevano sovvertire lo stato
a favore di una dittatura del proletariato e il nuovo partito del
"Zentrum", un partito cattolico sospettato da Bismarck di agire non
nell'interesse nazionale, ma nell'interesse del Vaticano. Contro
64

entrambi i partiti Bismarck riuscì a far approvare delle leggi durissime


- in particolare contro i socialdemocratici - che ostacolarono
pesantemente la loro vita politica. Ma parallelamente cercò di venire
incontri agli elettori dei socialdemocratici con delle riforme che per
l'epoca erano rivoluzionarie: introdusse il primo sistema
previdenziale al mondo, che servì da modello per molti altri paesi.
Istituì l'assicurazione contro le malattie, quella contro gli infortuni e
infine realizzò un progetto di assicurazione per la vecchiaia. Ma
nonostante ciò non riuscì a impedire che il partito socialdemocratico
cresceva, lentamente ma in maniera inesorabile. E anche la cosiddetta
"Kulturkampf" (lotta culturale) contro il partito cattolico del Zentrum
non ebbe il successo sperato.

6.5.3 Dopo il 1890

Tutto cambiò dopo il 1890. Il vecchio imperatore Guglielmo


I era morto e quello nuovo, Guglielmo II, gradì sempre meno la
politica di Bismarck, prudente verso l'esterno e dura verso l'interno. E
così, nel 1890, il cancelliere è stato costretto a dimettersi.
Sono quattro i fattori che nel corso degli anni successivi
cambiarono radicalmente e che ebbero poi una notevole importanza
sul ruolo della Germania nello scoppio della prima guerra mondiale
nel 1914:

1º Nei vent'anni prima del 1914 la Germania vide una crescita


economica senza precedenti e un conseguente aumento del
benessere generale della popolazione che toccò anche la classe
operaia. Mentre l'Inghilterra crebbe solo lentamente e la Francia
ancora meno, la Germania diventò la potenza all'avanguardia in
Europa per quanto riguarda la modernizzazione dell'industria e
l'innovazione tecnica. Allo stesso tempo la popolazione della
Germania crebbe da 41 milioni nel 1871 a 65 milioni nel 1914 e
aumentò, negli ultimi anni prima del 1914, di circa 800.000 all'anno.
2º Le tensioni politiche e sociali interne diminuirono rispetto all'era di
Bismarck anche perché cessò la persecuzione del partito
socialdemocratico. Questo partito, diventato ormai la forza politica più
importante nel parlamento, si trasformò un po' alla volta da partito
rivoluzionario in un partito riformista, che vide se stessa sempre di
più come una parte integrante del Reich. Questo si rivelò di cruciale
importanza quando i socialdemocratici e la stragrande maggioranza
dei suoi elettori sostenevano la prima guerra mondiale, dall'inizio fino
all'amara fine.
3º Tutto questo creò in vasti strati della popolazione tedesca una nuova
consapevolezza di unità nazionale, ci si accorgeva di contare di più
nel concerto delle potenze europee, la Germania non appariva più solo
65

uno tra altri stati. Adesso molti pretendevano che il Reich dovesse
mettersi addirittura alla guida delle potenze mondiali. Una
sopravvalutazione che nella stampa delle volte sconfinò nel ridicolo e
che avrebbe avuto delle conseguenze fatali negli anni a venire.
4º La politica estera del Reich diventò man mano più aggressiva e
imprudente. Per mettersi alla pari con l'Inghilterra che, per mantenere
in piedi il suo grande impero coloniale, aveva creato una marina
militare impressionante, adesso anche la Germania cominciò
febbrilmente a costruire navi da guerra. Iniziò una corsa agli
armamenti che non lasciò presagire niente di buono. Invece di cercare
l'equilibrio a livello europeo la nuova politica estera della Germania
cercò (senza grandi successi però) di conquistare nuovi spazi coloniali
e a mettere diplomaticamente la Francia e l'Inghilterra l'una contro
l'altra, che alla fine ebbe solo il risultato opposto.

La situazione in Europa negli ultimi anni prima della guerra era


la seguente:

 la Francia voleva riconquistare le due


province Alsazia e Lorena perse a favore della Germania dopo la
sconfitta nella guerra del 1870/71. Questi territori erano molto
importanti per i ricchi giacimenti di ferro e per le industrie
siderurgiche, meccaniche, alimentari e tessili. Mirava a un'alleanza con
la Russia per poter accerchiare la Germania in caso di guerra.
 l'Inghilterra il cui imenso impero coloniale si basa essenzialmente sul
dominio dei mari voleva arginare la crescente concorrenza della
Germania che con il suo ambizioso programma di costruzione di una
marina militare minacciava la predominanza inglese sui mari. Essendo
riuscita a trovare un accordo con la Francia sulla ripartizione coloniale
in Africa e Asia si sentiva più forte anche in Europa dove cercò di
ottenere il predominio anche nel mediterraneo incontrando però forti
resistenza da parte della Turchia e della Russia.
 l'Austria voleva estendere il suo territorio e la sua sfera di influenza
nei territori balcani dove si scontrò però continuamente con la Russia.
 la Russia voleva cacciare la Turchia dallo stretto dei Dardanelli che
avevano una notevole importanza strategica per ottenere un accesso al
meditteraneo, un'impresa vista con grande diffidenza da parte degli
inglesi. Inoltre si scontro con l'Austria nei Balcani dove nessuno dei
due voleva lasciare un chilometro quadro all'altro.
 la Turchia cercò di arginare il declino dell'impero ottomano e di
ristabilire il suo dominio nel medio oriente, cercando l'aiuto della
Germania.
 la Germania non aveva pretese territoriali in Europa, voleva piuttosto
costruire un corridorio sotto la sua influenza che andava della
Germania, attraveso i Balcani, la Turchia fino all'Irak. Il progetto della
"Bagdadbahn" (una linea ferroviaria da Berlino fino a Bagdad)
andava in quella direzione. Ma lì si sarebbe scontrata con l'Inghilterra,
gelosa di tenere la Germania il più lontano possibile dal suo impero
mondiale. E in quegli anni cominciò a diventare importante anche il
66

petrolio, un'altra patata bollente che avrebbe potuto diventare molto


pericolosa. Inoltre voleva eliminare una volta per tutte
l'accerchiamento tra Francia e Inghilterra a ovest e Russia all'est. Con
la nuova e potente marina militare sperava di conquistare nuovi
territori in Africa e Asia che avrebbe sicuramente creato conflitti con la
Francia e con l'Inghilterra.

6.5.4 In sintesi

Questo groviglio intrecciato di interessi, ambizioni e pretese


diventò sempre più incandesente. In tutti i paesi cominciarono ad
elaborare scenari possibili di guerra e così, secondo la già citata frase
di Clausewitz ("La guerra è solo la continuazione della politica con
altri mezzi"), la guerra era ormai nell'aria. In tutti i paesi c'era anche
chi raccomandava la prudenza, ma il "partito della guerra" crebbe di
importanza un po' dapertutto, da anno in anno. È interessante notare
che i tre imperatori, cioè quelli della Germania, dell'Austria e della
Russia - tra l'altro imparentati tra di loro - erano tra quelli che
consigliavano più prudenza. Ma nonostante avessero, in teoria,
l'ultima parola su guerra e pace, evvidentemente stavano sempre di
più sotto l'influenza della casta dei militari. Erano questi che, stufi
della diplomazia inconcludente, degli eterni compromessi che non
duravano mai più di qualche mese, volevano la "soluzione rapida di
tutti i problemi". Negli ultimi anni prima del fatidico luglio 1914 le
loro discussioni non erano "guerra sì o guerra no", ma piuttosto
quando iniziarla e come creare le condizioni migliori per condurla e
per arrivare a una veloce vittoria.
La vera tragicità in tutto questo sta nel fatto che coloro che
spingevano per la guerra credevano che tutto si fosse risolto in poche
settimane, al massimo in qualche mese e che la propria vittoria fosse
scontata. E invece fu l'inizio della carneficina più mostruosa mai
vissuta fino ad allora che si trascinava avanti per 4 lunghi anni - con
quasi 10 milioni di morti.
La Germania aveva sicuramente un ruolo di primo piano per quanto
riguarda lo scoppio della guerra, faceva paura un po' a tutti. Ma la
responsabilità si distribuisce su tutti. In tutti i paesi si credeva di avere
dei conti aperti con i rispettivi "nemici" che si potevano risolvere solo
con il sangue e il ferro. Forse l'Inghilterra era la nazione meno
interessata alla guerra, ma anche loro non esitarono un minuto quando
si trattava di decidere di entrare in guerra.

7. Dal 1918 al 1945


67

La situazione economica della Germania negli anni del


dopoguerra era disastrosa. Il paese, dissanguato dalla guerra, faceva
fatica a riprendersi, anche per il clima di totale insicurezza politica e
per le pesanti condizioni che il trattato di pace (il "trattato di
Versailles") aveva imposto alla Germania. Questo trattato fu in realtà
un diktat dei vincitori della guerra, dominato per lo più da uno spirito
di vendetta. Oltre al trasferimento in Inghilterra e Francia di un gran
numero di interi impianti industriali e di 150.000 vagoni ferroviari, la
Germania perse, a causa della riduzione del suo territorio, il 28% dei
giacimenti di carbone e il 78% dei giacimenti di ferro. In più, avrebbe
dovuto pagare ai paesi vincitori della guerra, per 42 anni (in teoria
fino al 1961), delle ingenti riparazioni di guerra.
Era evidente che, anche con tutta la buona volontà, la Germania
non sarebbe stata capace di affrontare questo gigantesco sforzo.
Infatti, dopo appena un anno fu costretta a dichiarare l'incapacità di
continuare a pagare il che portò a nuove trattative e ad una successiva
revisione del trattato.

7.1 L’inflazione del 1923

Già durante la guerra si sentivano gli effetti di una inflazione


abbastanza consistente e preoccupante. Per poter pagare gli enormi
costi della guerra, il governo tedesco aveva fatto ciò che fanno tutti i
governi, quando non sanno più come affrontare una montagna di spese
incontrollabili: stampava grandi quantità di banconote. Si sperava di
far pagare gli enormi debiti accumulati ai paesi vinti, una volta che la
guerra fosse vinta - come la Germania aveva già fatto dopo la guerra
contro la Francia nel 1870-71. Ma la guerra fu rovinosamente persa e
le conseguenze economiche furono facilmente prevedibili. Ma anche
dopo la guerra il governo tedesco, non sapendo cosa fare contro i
debiti, continuò a stampare sempre nuove banconote e così,
l'inflazione cominciò rapidamente ad aggravarsi, soprattutto a partire
dal 1922. Il denaro perse di valore a vista d'occhio. Prima si pagavano
pane, latte e patate con alcune migliaia di marchi, poi si passò ai
milioni, per arrivare infine a miliardi e addirittura a migliaia di
miliardi di marchi.
68

Alcuni altri prezzi (2 dicembre 1923):

1 corsa in tram  50 miliardi

1 kg di patate  90 miliardi

1 uovo  320 miliardi

1 litro di latte  360 miliardi

0,5 kg di burro  2.800 miliardi

7.2 Conseguenze dell’inflazione

Gli operai venivano pagati ogni giorno. Dall'ufficio paga


correvano subito verso il mercato per spendere tutto il guadagnato,
perché un giorno dopo i prezzi potevano già essere raddoppiati e nella
settimana successiva le stesse banconote potevano non valere più
nulla. 200 fabbriche di carta stampavano, giorno e notte, sempre
nuove banconote, francobolli e altri valori con sopra delle cifre
sempre più astronomiche.
Per i più poveri, per quelli che, prima dell'inflazione, non
avevano niente non cambiò molto. Chi ha niente non può perdere
niente. Anche gli strati più alti della società, quelli che possedevano
terre, case, fabbriche, oro o altri valori immobiliari non subirono
grandi perdite, o almeno si ripresero velocemente. Ma per lo strato
medio della società, per quelli che avevano dei risparmi in banca o
piccoli investimenti in titoli di stato o azioni, per loro fu la rovina
totale: l'inflazione cancellò in pochi mesi tutte le richezze della classe
media e milioni di tedeschi furono gettati nella miseria. Il 1923 fu
veramente traumatico per i tedeschi e la paura di doverlo rivivere si
sente, in modo più o meno articolato, ancora oggi.

7.3 Gli anni d’oro della Repubblica di Weimar

Negli anni successivi i vincitori della guerra, soprattutto gli


americani, cominciarono a capire che non si potevano fare buoni affari
con un paese che, per le pesanti riparazioni di guerra, aveva sempre
l'acqua alla gola, e cominciarono ad aiutare la Germania riducendo il
69

peso del pagamento delle riparazioni. Ma l'illusione di benessere, il


"periodo d'oro" della fragile repubblica di Weimar (tra il 1924 e il
1928), durò poco. Nel 1928 arrivò, con la crisi economica e
finanziaria mondiale, il colpo quasi mortale all'economia tedesca che
preparò il campo per la presa di potere di Hitler nel 1933.

7.4 L’ascesa al potere di Hitler

7.4.1 1924-1929

Landsberg, Germania. 7 dicembre 1924:

Adolf Hitler esce dal carcere per salire su un’auto sportiva di un


amico. Nel novembre del 1923 era stato arrestato per lo sfortunato
putsch della birreria, col quale aveva cercato di rovesciare la neonata
repubblica di Weimar. Per quell’azione sconsiderata era stato
condannato a cinque anni di reclusione (poi diventati solo uno) e il suo
partito nazista dichiarato fuori legge.
Ma Hitler non era il tipo che cedeva tanto facilmente. In prigione
aveva scritto un libro, il Mein Kampf, dettato ad un compagno di
cella, in cui riportava i suoi progetti per la Germania e per se stesso.
Egli era ancora deciso a rovesciare il governo e ad instaurare un
Reich forte ed aggressivo sotto il suo comando. Per cinque anni
quindi, dal 1924 fino al 1929, attendendo il momento giusto per
passare all’attacco, il futuro dittatore riorganizzerà e potenzierà il
partito nazista reclutando nuovi seguaci e tenendo numerosi discorsi.
Dopo il 1929 invece passò all’offensiva dimostrandosi un’abile
oratore capace di dividere i propri avversari e di seminare zizzania sul
loro conto. Obiettivo di Hitler era di concentrare su di se le due
massime cariche politiche della Germania, cancelliere e presidente, e
successivamente diventare il Führer, unica guida di tutto il paese.
Tutti questi progetti e molti altri erano ovviamente raccolti nel
"Mein Kampf" dove c’era una sorta di elenco di tutto ciò che egli
avversava: il marxismo, il capitalismo, la borghesia e gli intellettuali.
Contro tutti questi mali esistevano solo due soluzioni: un’unica razza
pura tedesca sotto il suo comando e la conquista di uno spazio vitale,
da ottenere a spese dell’Unione Sovietica.
Poche settimane dopo il suo rilascio Hitler si incontrò col primo
ministro bavarese, Heinrich Held, ed ottenne la revoca del decreto che
dichiarava il partito nazista e il suo giornale fuori legge. Fu l’inizio
della riscossa per il Führer. Il 26 febbraio 1925 tramite il suo giornale
incitò gli ex membri del partito a dimenticare i vecchi rancori ed a
riunirsi a lui nella lotta contro il Marxismo e gli ebrei. Tenne anche un
70

primo discorso proprio nella birreria dove era fallito il putsch. Gli
amici ed i suoi sostenitori notarono immediatamente che i mesi di
prigionia lo avevano cambiato: era più forte e deciso. Ma soprattutto
infondeva negli altri quella sicurezza e quel coraggio di cui era dotato.
Tutti i cinquemila sostenitori del partito nazista accorsi per ascoltare le
parole della loro guida furono entusiasmati e galvanizzati dal discorso
di Hitler e pronti a seguirlo nella lotta contro la repubblica.
Ora Hitler doveva sbarazzarsi di due uomini, accolti come sue
pari alla fondazione del partito, per poter diventare il solo leader
incontrastato: Erich Ludendorff, un generale della prima guerra
mondiale, e Ernst Röhm, comandante di un’organizzazione
paramilitare. Il primo fu liquidato con la scusa degli scarsi risultati da
lui ottenuti alle elezioni presidenziali del marzo 1925 (diverrà un
acerrimo avversario dei nazisti), il secondo fu allontanato per le
divergenze col futuro dittatore riguardo il controllo delle SA,
l’organizzazione paramilitare nazista organizzata da Röhm.
Quest’ultimo pretendeva che le SA, note anche come camicie brune,
rimanessero sotto il suo totale controllo mentre Hitler pensava che
esse dovessero per prima cosa servire il loro Führer e il partito nazista.
A causa di questa opinione contrastante Ernst dette le dimissioni e
partì per la Bolivia.
Intanto, nel febbraio 1925, furono organizzate delle improvvise
elezioni per la morte del presidente socialdemocratico Friedrich Ebert.
Erano sette i candidati per il prestigioso posto fra cui spiccavano tre
favoriti per la vittoria finale: Otto Braun, socialdemocratico, Wilhelm
Marx, del centro, e Karl Jarres, del partito nazionalista. I nazisti erano
rappresentati da Ludendorff. Vinse Jarres seguito da Braun. Ma
siccome nessuno dei due aveva ottenuto la maggioranza si dovette
procedere ad una seconda votazione. Nel frattempo i Nazionalisti
avevano scaricato Jarres preferendogli Paul von Hindenburg, un
vecchio feldmaresciallo di settantotto anni considerato da tutti un eroe
nazionale.
Fu una mossa astuta. Hindenburg vinse le elezioni con un
vantaggio del 3,3 per cento sui socialdemocratici. Intanto nell’agosto
dello stesso anno il ministro degli esteri Stresemann riuscì a negoziare
con successo il ritiro delle truppe francesi dalla Ruhr, il cuore
industriale della Germania.
Ritornando alle vicende del rinato partito nazista proprio nel
1925 si verificò un moto di ribellione che porterà alla creazione di due
fazioni. Fautori e guide di questa opposizione furono Gregor Strasser,
un piccolo farmacista bavarese incaricato da Hitler di coordinare le
attività naziste nella Germania settentrionale, ed il suo segretario
Joseph Goebbels. Essi si lamentavano del fatto che il programma
71

politico del partito mancava di contenuti ideologici riassumibili per lo


più nei concetti antisemiti e socialisti. Inoltre pensavano che il
pensiero del partito fosse più importante del suo capo. I rivoltosi si
riunirono ad Hannover ed approvarono quasi all’unanimità un nuovo
programma ideato da Strasser. Fu l’inizio della ribellione. Hitler che
non amava molto i progetti politici, venuto a conoscenza della
situazione, montò su tutte le furie. Contestare un qualunque punto del
programma equivaleva a rendersi colpevoli di tradimento verso il
nazismo ed il suo capo assoluto. Deciso a ribadire la propria autorità,
indisse una riunione a Bamberga con tutti i capi del partito per il 14
febbraio 1926. Parlò per quattro ore ribadendo le sue idee e
respingendo quelle avversarie senza però mai nominare direttamente
Strasser o Goebbels, come tutti si aspettavano. Tutto fu ristabilito e
Gregor tornò fedele al Führer. Goebbels invece fu conquistato dal
discorso di Hitler e, dopo aver abbandonato il suo alleato bavarese,
divenne uno dei suoi seguaci più fedeli.
Ristabilito l’ordine interno il gerarca nazista organizzò il 3 e 4
luglio a Weimar una manifestazione per festeggiare la Giornata del
Partito. Il tre, 2000 nazisti marciarono per la città accompagnati da
una banda musicale mentre il 4 dopo una serie di dibattiti si tenne il
discorso di Hitler sulla politica e sulla perdita di prestigio della
Germania in campo internazionale. L’oratoria era l’arma vincente del
dittatore. Egli preparava i suoi discorsi fin nei minimi dettagli.
Annotava su dei fogli i punti principali e studiava i gesti con i quali
avrebbe accompagnato le parole. Adottava persino stili diversi a
seconda delle persone che doveva intrattenere: con i suoi sostenitori
era impetuoso e veemente mentre con la gente comune era controllato
e pacato. Con l’eloquenza riusciva a catturare chiunque.
Intanto una figura assumeva sempre più potere all’interno del
partito: quella di Joseph Goebbels. Abilissimo oratore come Hitler era
laureato in letteratura ed aveva abbracciato la fede nazista nel 1924.
Hitler ammise più tardi che solo Goebbels riusciva a catturare
completamente la sua attenzione. Egli fu quindi scelto dal Führer in
persona per riorganizzare il distretto nazista a Berlino, diviso dalle
fazioni e da lotte interne. Joseph si dette immediatamente da fare ed
impose la sua autorità in meno di due settimane. Organizzò raduni di
massa. Sguinzagliò le SA messe a sua disposizione da Hitler per dare
la caccia ai comunisti. Fondò un giornale con cui attaccava gli
avversari politici del partito. Nel giro di pochi mesi il distretto era
diventato forte e compatto e le adesioni al partito aumentate
vertiginosamente. Con questa abile mossa Hitler prese due piccioni
con una fava. Riorganizzò un distretto allo sfascio e contrastò anche
l’acerrimo rivale Strasser che non aveva abbandonato del tutto i suoi
72

antichi progetti di rivolta.


In quello stesso anno al raduno di Weimar ne seguirono molti
altri di cui il principale fu a Monaco. La coreografia era stata studiata
come sempre nei minimi dettagli. L’arrivo del Führer fu preceduto da
una parata delle SA accompagnata dalla banda musicale del partito e
dalla consegna di un programma ad ogni spettatore. Quando Hitler salì
sul palco la folla, si zittì. Egli iniziò a parlare con veemenza e
decisione gesticolando spesso con le mani. Il pubblico che lo
ascoltava con interesse rimase affascinato dalle parole del dittatore che
focalizzò il suo discorso sul problema dello spazio vitale e sulla
creazione di una razza pura germanica, uniche soluzioni alla crisi in
cui erano caduti i tedeschi. Hitler poté ritenersi soddisfatto del lavoro
che lui ed i suoi collaboratori avevano eseguito nel 1927. Con la fine
dei congressi, infatti, le adesioni al partito erano aumentate del
cinquanta per cento portandosi così ad oltre 50.000. Inoltre la schiera
dei suoi seguaci più stretti si era arricchita numericamente. Restava
però ancora un grave problema da risolvere: i fondi con cui continuare
a combattere la repubblica. Anche se efficaci i raduni che Hitler
organizzava sempre più frequentemente erano molto costosi e
gravavano sulle casse del partito. Per ovviare a questo problema il
gerarca nazista faceva raccogliere offerte fra il pubblico durante le
manifestazioni e vendeva stemmi del partito e bandierine rosse con la
svastica. Anche gli ingressi erano a pagamento.
L’anno successivo si tennero delle nuove elezioni a maggio.
Hitler, avendo rinunciato alla cittadinanza austriaca, era un apolide e
non poté presentarsi. Al suo posto scelse Strasser, Goebbels e Göring.
Quest’ultimo era stato un asso dell’aviazione durante la prima guerra
mondiale ed era fuggito in Svezia dopo lo sfortunato putsch della
birreria. Ritornato nel 1927 si era riaffiancato a Hitler dopo una breve
parentesi come consulente della Lufthansa, la nuova compagnia aerea
tedesca di stato. Ma l’esito delle elezioni si rivelò un’amara sconfitta
per il Führer. I nazisti ottennero solo 800000 voti ed appena dodici dei
491 seggi del Reichstag. Anche i nazionalisti persero terreno nei
confronti dei socialdemocratici. Dopo questi sorprendenti risultati il
panorama politico tedesco appariva sempre più caotico e confuso
poiché i socialisti ed i comunisti non avevano ottenuto la maggioranza
e la destra, che era rimasta al governo fino a quel momento, si era
indebolita. Nonostante tutto però la Germania recuperava credito e
prestigio in campo internazionale grazie al suo ministro degli esteri
Stresemann. Con una serie di incredibili colpi diplomatici aveva fatto
ritirare le truppe francesi dalla Ruhr, aveva permesso l’ingresso nella
Società delle Nazioni, aveva ratificato il trattato di Berlino, che
garantiva i confini fra Germania ed Unione Sovietica. Tutto questo
73

non era visto di buon occhio dai nazisti che basavano la loro politica
sul malcontento generale e sulla perdita di prestigio dei tedeschi a
livello internazionale. Ma anche l’economia nazionale dava segni di
ripresa. Grazie ai capitali stranieri le industrie avevano ripreso a
marciare a ritmi elevati e la produzione aveva raggiunto livelli
accettabili, superiori a quelli del 1914. Il tenore di vita era
notevolmente migliorato ed i salari aumentati. La disoccupazione
rimaneva però ancora molto preoccupante. L’automazione delle
fabbriche sempre più diffusa aveva incrementato il milione di senza
lavoro che nel 1932 diventeranno addirittura sei.
Dopo i risultati delle elezioni del 1928 furono in molti ad
affermare che il nazismo era definitivamente crollato. Ma Hitler non la
pensava allo stesso modo. Ormai aveva imposto la sua autorità
assoluta su tutti i componenti del partito ed aveva riunito sotto il suo
comando una schiera di persone fedelissime che avevano abbracciato
unicamente la fede nazista e le sue idee. Ovviamente sicuro della
vittoria il dittatore manteneva alto il morale dei suoi seguaci
preparandosi all’attacco finale.
La scintilla che permise al Führer di salire al potere è da ricercare
negli accordi stabiliti fra gli Alleati e il ministro degli esteri tedesco
Stresemann, ormai prossimo alla morte, durante la conferenza annuale
della Societa delle Nazioni a Ginevra. Il nuovo patto chiamato Young
dal nome del banchiere americano Owen D. Young prevedeva una
riduzione delle riparazioni di guerra che la Germania doveva pagare ai
vincitori del primo conflitto mondiale a “solo” 121 miliardi di marchi.
Inoltre i francesi si sarebbero ritirati dalla Renania entro il giugno del
1930, con quattro anni di anticipo. Anche se rappresentava un grande
passo avanti rispetto agli accordi precedentemente stipulati, il piano
Young fu malvisto dai tedeschi. Ribadiva, infatti, che la responsabilità
dello scoppio della prima guerra mondiale era da attribuire alla sola
Germania ed obbligava a pagare ingenti risarcimenti in denaro fino al
1988. Ma cosa più grave ricordava l’odioso trattato di Versailles e
rievocava negli animi vecchi risentimenti e rancori mai del tutto
dimenticati.
Era un momento favorevole per instaurare nella popolazione le
idee sovversive naziste e Hitler lo intuì prontamente. Si alleò con i
nazionalisti di Hugenberg , anch’essi avversi alla repubblica e
scontenti del piano Young, ricevendo così i fondi per incominciare una
campagna politica a livello nazionale per la promulgazione della
Legge contro l’Asservimento del Popolo Tedesco. Il progetto si rivelò
però un insuccesso. I nazisti e i nazionalisti potevano contare soltanto
su 85 seggi del Reichstag contro i 406 dei loro avversari e persero
miseramente. Hitler allora propose alla popolazione un referendum: se
74

la maggioranza avesse votato a favore la legge sarebbe stata


approvata. Ma anche questo tentativo naufragò di fronte agli scarsi
risultati raggiunti: appena il quattordici per cento dei tedeschi
appoggiò infatti il Führer che per salvare l’onore ed il prestigio agli
occhi della gente abbandonò i nazionalisti.
Ma nonostante la dura sconfitta la popolarità del Führer era
aumentata notevolmente e le iscrizioni al partito diventavano sempre
più numerose per l’aggravarsi della situazione economica. Un altro
successo del 1929 fu l’elezione del nazista Wilhelm Frick a ministro
degli Interni del gabinetto della Turingia. Hitler si concesse persino il
lusso di acquistare una casa signorile a Monaco che arredò
personalmente e ivi vi trasferì la sede del partito.

7,4,2 Adolf Hitler e la tragedia tedesca

Adolf Hitler arrivò al potere nel 1933 dopo regolari elezioni


politiche. Appena sei anni dopo trascinò mezzo mondo nella più
grande carneficina dell'umanità: la seconda guerra mondiale con 55
milioni di morti.
Per capire come questo era possibile bisogna ripercorrere la
biografia di Hitler insieme alla storia della Repubblica di Weimar che
vide la sua ascesa al potere.
Il fatto che stiamo focalizzando la nostra attenzione sulla figura
di Adolf Hitler non significa che il nazismo e la seconda guerra
mondiale fossero opera di una persona. Ma per capire i tedeschi (che
non significa giustificarli) è necessario farlo, perché al centro del
nazismo c'era sempre la figura di Hitler e la grande maggioranza dei
tedeschi era sedotta da Hitler, dalla sua ideologia, dal suo carisma,
dalle sue dote oratorie e dai suoi presunti successi.
Il 30 aprile del 1945 Hitler si suicida nel suo bunker a Berlino. In
quel momento i soldati della armata rossa combattono già nelle strade
di Berlino e americani, inglesi e russi hanno già occupato gran parte
della Germania. Quando una settima più tardi la Germania firma la
capitolazione incondizionata, il paese è ridotto a un campo di macerie.
Tre anni di continui bombardamenti, che miravano a spezzare il
morale della popolazione, hanno totalmente distrutto le città tedesche
fino a trasformarle in paesaggi lunari. Per avere una idea della vastità
delle distruzioni solo alcune cifre: In 10 giorni, nel luglio del 1943,
3000 aerei scaricavano sopra Amburgo circa. 3 milioni di bombe
incendiarie insieme a 25.000 bombe esplosive. In una unica notte a
Francoforte sempre nel 1943 caddero 250.000 bombe incendiarie e
4.000 bombe esplosive. 131 città furono bombardate e il totale delle
distruzioni a Berlino, Francoforte, Düsseldorf, Colonia, Dresda,
75

Amburgo era tra il 40 e il 90 % di tutte le abitazioni. Per tre anni, gran


parte della popolazione era costretta a vivere nei rifugi antiaerei e
circa 600.000 persone vi morirono. Tra le macerie cominciarono a
muoversi interminabili fiumi di profughi. Persone in fuga davanti
all'avanzare dell'armata rossa, tedeschi cacciati dalle loro case e dalle
loro terre. 12 milioni di profughi si trovavano per strada, tra un campo
di accoglimento sovraffollato e l'altro. Tra il 1945 e il 1946, la guerra
è già finita, nei treni o sulle strade muoiono così ancora 2 milioni di
tedeschi, per la fame, per le fatiche o per malattie che nessuno poteva
curare.
La tragedia della Germania alla fine della guerra era terribile. Ma
le atrocità degli altri certamente non attenuano la responsabilità della
Germania. Tutto questo era soltanto un riflesso di quello che il
nazismo aveva fatto ai popoli dell'Europa, era soltanto l'ultimo atto di
una guerra che Hitler aveva fortemente voluto, che aveva, fin
dall'inizio della sua carriera politica, preparato prima ideologicamente
e poi anche materialmente, di una guerra che nessun altro in Europa
aveva voluto o cercato.
Hitler è stato al potere per soli 12 anni. 12 anni sono pochissimi
per la storia, ma mai prima un periodo così breve aveva avuto un
impatto così violento non solo su un paese, ma anche su un intero
continente, anzi sulla storia mondiale. Tutta la storia di oggi è risultato
della seconda guerra mondiale, e la seconda guerra mondiale è opera
della Germania di Hitler e di nessun altro. Anche dopo più di 50 anni
l’ombra di Hitler è ancora presente. Ma per imparare a non ripetere gli
errori del passato bisogna prima capire perché Hitler era possibile.

7.4.3 Il giovane Hitler

Hitler nasce nel 1889 a Braunau, un piccolo paese dell'Austria


settentrionale. Lascia la scuola senza ottenere la licenza media, non ha
lavoro, ma non lo cerca nemmeno perché sogna di diventare un artista.
A 18 anni, dopo la morte della madre, si trasferisce a Vienna dove
spera di fare fortuna.
Li vuole iscriversi all'accademia d'arte ma viene respinto due volte.
Conduce una vita da vagabondo, vive con la pensione da orfano e con
la occasionale vendita dei propri disegni. A Vienna all'inizio del secolo
l'opinione pubblica è molto politicizzata, dappertutto si parla di
politica, e per Hitler che non ha altro da fare, la politica diventa subito
il vero senso della vita. Fin dall'inizio l'interesse per la politica domina
e non lascia spazio ad altro. Tutte le cose che possono dare calore e
76

importanza a una persona, come il lavoro, l'amicizia, l'amore e la


cultura, gli mancano quasi completamente. Legge molti giornali, ma si
interessa soprattutto delle cose militari. Ogni tanto va all'opera ma gli
piace solo Wagner con il suo misticismo pangermanico. Il suo paese
invece, l'Austria non gli piace affatto, il ventenne sente che il grande
impero austro-ungarico è ormai arrivato alla fine, sente che non ha più
futuro. È invece molto attirato dalla Germania, che prima della Grande
Guerra si presenta come una nazione giovane, forte, con molte energie
e con un futuro da nazione di primo piano a livello europeo e
mondiale. E già nel ventenne comincia a formarsi una ideologia che è
un misto tra nazionalismo e antisemitismo, due tendenze molto di
moda in quel momento, a Vienna ma anche in altri paesi.

7.4.4 La prima guerra mondiale e la rivoluzione del 1919

La sua prima decisione importante è quella di emigrare in


Germania nel 1913, un anno prima dello scoppio della grande guerra.
Lo fa per sottrarsi al servizio militare austriaco, ma non perché è
contrario alla guerra, anzi, Hitler vuole fare la guerra, ma con la
Germania e non con l'Austria. Infatti, appena cominciata la guerra si
arruola come volontario nell'esercito tedesco. Nella guerra, Hitler si
sente finalmente a suo agio, ottiene una decorazione al valor militare,
ma rimane un soldato semplice perché i suoi superiori non lo
ritengono idoneo per comandare, a causa del suo spiccato
individualismo. I suoi compagni lo ricorderanno come un tipo un po'
strano, che spesso faceva discorsi politici molto radicali, ma anche un
po' confusi.
Quando nel 1918 finisce la guerra in Germania scoppia una
rivoluzione. Non è una rivoluzione come quella di un anno prima in
Russia, dove c'era un leader carismatico come Lenin con un piccolo
ma efficientissimo partito rivoluzionario. In Germania la rivoluzione è
spontanea, senza guida ideologica o organizzativa, alimentata dalla
fame, dalla delusione di una guerra perduta, dalla volontà molto
diffusa di cacciare quelli che ne avevano la responsabilità. Alcuni dei
rivoluzionari vogliono la democrazia parlamentare, altri un sistema
politico come quello russo, tutti vogliono la Repubblica e le
dimissioni del Kaiser. C'è molto idealismo ed entusiasmo, ma non c'è
nessuno capace di guidare i tanti focolai rivoluzionari che nascono un
po' dappertutto.
Inoltre i rivoluzionari tedeschi non sono come quelli russi. Lenin
stesso disse una volta scherzando, che i rivoluzionari tedeschi, prima
occupare una stazione per sequestrare un treno, si compravano tutti
quanti il biglietto. Non aveva del tutto torto. In uno dei momenti più
77

caldi della rivoluzione, mentre nelle strade di Berlino si spara, un


soldato rivoluzionario, incaricato di consegnare un ultimatum dei
rivoluzionari al governo, si fa convincere dal governo a tornare
indietro, senza nulla di fatto, semplicemente perché il governo gli fa
notare che quell'ultimatum non era firmato in modo regolare.
La Socialdemocrazia non sa bene se sostenere la rivoluzione o
no. Da una parte sostiene alcune delle richieste dei rivoluzionari,
dall'altra parte ne è anche piuttosto spaventata. Adesso, dopo tanti anni
di opposizione, è arrivato finalmente il momento di poter governare e
all'improvviso si vedono superati a sinistra da una grande massa di
rivoluzionari costituita in parte anche da propri sostenitori e militanti.
Per la media e l'alta borghesia e per le forze militariste e
monarchiche questa rivoluzione è invece un vero e proprio choc.
Nasce così una strana alleanza tra la socialdemocrazia e le forze
militariste della destra più estrema. Nessuna delle due forze ha da sola
la forza di placare l'ondata rivoluzionaria. Insieme ci riescono
facilmente. La Socialdemocrazia arriva al governo, e dall'altra parte, i
cosiddetti "corpi franchi", le formazioni dell'estrema destra
appositamente create, soffocano la rivoluzione con il terrore e
massacri estremamente sanguinosi.

7.4.5 Gli inizi della carriera politica di Hitler

Come risultato della rivoluzione, la Germania è diventata


finalmente una repubblica e una democrazia, il re è fuggito in Olanda
e la Socialdemocrazia arrivata al governo. Molti diritti ed istituzioni,
che oggi sono normali in tutti i paesi democratici, nascono proprio in
quei giorni. Per la prima volta, anche le donne hanno il diritto di voto
e i sindacati ottengono competenze importanti che possono migliorare
la situazione dei lavoratori. Insomma, sono gettate le basi per far
crescere una nazione democratica.
Ma questa repubblica è nata nel peggiore dei modi: è nata nel
sangue. A sinistra si comincia ad odiare la socialdemocrazia per aver
tradito la rivoluzione. E quelli che hanno sparso il sangue, l'estrema
destra, i monarchici e i "corpi franchi" in fondo disprezzano i
socialdemocratici, li tollerano al governo solo perché ne hanno
bisogno, almeno per il momento.
Il trentenne Hitler è profondamente impressionato e spaventato
dalla rivoluzione. Lo stato democratico nato alla fine della rivolta con
i suoi protagonisti socialdemocratici è esattamente il contrario di
quello che aveva sognato e da qui nasce la sua seconda decisione
importante, cioè quella di entrare attivamente nella vita politica.
Il partito a cui Hitler nel 1919 aderisce è un piccolo partito di
78

importanza solo locale con un programma che si distingue soprattutto


per il suo radicale antisemitismo. Hitler diventa presto indispensabile
per questo partito perché si rivela un ottimo oratore, uno che
nell'atmosfera delle birrerie di Monaco sa attrarre e ipnotizzare la
gente. La scoperta delle sue qualità di oratore, che sorprende lo stesso
Hitler, lo fanno presto il leader di questo piccolo partito, che sotto la
guida di Hitler cambia nome e diventa il "Partito nazionalsocialista
tedesco dei lavoratori", il "NSDAP".
Il momento politico sembra buono per il suo partito. Dopo la
soppressione della rivoluzione Monaco diventa uno dei centri delle
forze conservatrici che hanno il sostegno anche di una parte
dell'esercito. La continua e molto rumorosa agitazione porta a un
clima politico, in cui tra il 1919 e il 1922 vengono commessi 376
omicidi politici, quasi tutti da parte dell'estrema destra. Tra le vittime
ci sono, oltre a Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, i fondatori del
partito comunista, anche esponenti cattolici, ministri e presidenti delle
regioni. E appena un anno dopo la nascita della democrazia nel 1920
arriva il primo colpo di stato da parte della destra. Il colpo viene
disperso, ma è significativo il fatto che i suoi promotori non subiscono
alcuna condanna. La situazione politica della Germania è diventata più
confusa che mai, con in più un'economia disastrata dalla guerra che fa
fatica a riprendersi nel clima di totale insicurezza politica e sotto le
pesanti condizioni che il trattato di Versailles ha imposto alla
Germania. Questo trattato di pace è in realtà un diktat dei vincitori
della guerra, dominato più dallo spirito di vendetta che da quello di
giustizia.
Era subito evidente che anche con tutta la buona volontà la
Germania non sarebbe stata capace di affrontare questo gigantesco
sforzo, infatti dopo appena un anno, è costretta dichiarare la sua
incapacità di continuare a pagare, il che porta a una successiva
revisione del trattato.
Molti tedeschi si sentono umiliati da queste condizioni.
Certamente, la Germania aveva contribuito molto allo scoppio della
prima guerra, ma non era l'unico colpevole e anche negli altri paesi, in
Inghilterra e in Francia la gente era andata in guerra con grande
entusiasmo. Il carattere simbolico e punitivo del trattato di Versailles è
troppo evidente per non suscitare delle reazioni anche violente.
Per la propaganda di destra è la cosa migliore che poteva
capitare, e i partiti di destra, quello di Hitler in modo particolare, lo
sfruttano per molti anni come uno dei più efficaci argomenti di
propaganda, contro tutti quelli che vogliono invece stabilire buoni
rapporti con gli ex-nemici.
Il 1923 è l'anno più buio e tormentato della Repubblica. Già dalla
79

guerra si sentivano gli effetti di una inflazione abbastanza consistente


e preoccupante. Per pagare gli enormi costi della guerra, il governo
tedesco aveva cominciato a fare ciò che fanno tutti i governi, quando
non sanno più come affrontare una montagna di spese incontrollabili:
stampava banconote, con le conseguenze inflazionistiche facilmente
prevedibili. Questa inflazione, a partire dal 1922, comincia
rapidamente ad aggravarsi. Il denaro perde valore a vista d'occhio.
Prima si pagano pane, latte e patate con alcune migliaia di marchi, poi
si passa ai milioni, per infine arrivare a miliardi e addirittura a
centinaia di miliardi di marchi. Gli operai vengono pagati ogni giorno,
dal ufficio paga corrono subito verso il mercato per spendere tutto e
subito, perché un'ora più tardi i prezzi potevano essere già raddoppiati
e il giorno dopo le stesse banconote non valevano più nulla. 200
fabbriche di carta stampano, giorno e notte, nuove banconote,
francobolli e altri valori con sopra delle cifre sempre più
astronomiche.
Nella sua ultima fase questa disastrosa inflazione è alimentata
anche da un grande sciopero generale nel bacino della Ruhr, una
resistenza passiva a cui il governo stesso ha esortato contro
l'occupazione francese di questa regione. Ma la resistenza passiva
provoca una totale paralisi dell'economia e un ulteriore precipitare
dell'inflazione. É impossibile reggere questo sciopero generale per
lungo tempo. Appena annunciata la fine della resistenza entra in
campo Hitler. Durante il primo colpo di stato nel 1920 Hitler e il suo
partito non erano ancora sulla scena, adesso invece si è presentata la
situazione che aspettavano da tre anni. Con l'appoggio del Generale
Ludendorff, un personaggio centrale dell'estrema destra, Hitler tenta
l'insurrezione a Monaco. Quello che ha in mente è una "marcia su
Berlino" simile a quella di Mussolini su Roma, avvenuta un anno
prima. Hitler fallisce, ma quello che in altri tempi e in altri paesi gli
sarebbe costato l'ergastolo, se non la testa, nella Germania del 1923 gli
costa solo un anno di prigione, dove viene trattato come ospite
d'onore.
Alla fine del 1923 la giovane Repubblica di Weimar ha appena 4
anni. In questi 4 anni vide 2 tentativi di colpo di stato, centinaia di
omicidi politici, un'inflazione senza precedenti nella storia e un
conseguente esaurimento dell'economia. Il paese è profondamente
lacerato e le forme di lotta politica a destra e a sinistra si stanno
deteriorando. Per molti le conquiste della democrazia non contano più
nulla, anche perché economicamente si sta peggio che prima della
guerra.
Ma soprattutto la fiducia in questo stato e nelle sue istituzioni è
molto scarsa, e purtroppo, non sempre a torto. Un esempio è la
80

giustizia:
Nel periodo 1919-1922 in Germania c'erano 376 omicidi politici.
Qui le pene inflitte dai tribunali tedeschi:

 per i 22 omicidi commessi dalla sinistra: 10x pena di morte, 3x


ergastolo, 249 anni di prigione
 per i 354 omicidi commessi dalla destra: 0x pena di morte, 1x
ergastolo, 90 anni di prigione

Così, nel 1923, l'ancor giovane Repubblica di Weimar sembra


avere al suo interno più nemici che sostenitori, si presenta come una
"repubblica senza repubblicani " e una "democrazia senza
democratici". E i fatti, cioè la situazione politica ed economica,
sembrano dare ragione a quelli che, a sinistra e a destra, vogliono
eliminare questa repubblica il più presto possibile.
Negli anni successivi, tra il 1924 e il 1929, succede invece qualcosa di
sorprendente. I vincitori della guerra, soprattutto gli americani, da
bravi capitalisti che sono, cominciano a capire che non si possono fare
buoni affari con un paese che, per le pesanti riparazioni di guerra, ha
sempre l'acqua alla gola, e cominciano ad aiutare la Germania e
riducono il peso del pagamento delle riparazioni.
Il paese è ancora diviso, ma molta gente è stanca. Stanca delle
risse politiche e dell'insicurezza. Nei cinque anni successivi la
Germania vive un fortissimo rilancio economico. Sono i cosiddetti
"anni d'oro" della Repubblica di Weimar. Insieme ad una sorprendente
capacità di ripresa economica, la Germania dimostra una straordinaria
vivacità in campo culturale. Cominciano a fiorire il cinema, il teatro,
la letteratura, la pittura, la musica, i cabaret.
Berlino, che negli anni venti arriva a 4 milioni di abitanti (oggi
ne ha solo 3,5), diventa così la capitale europea della cultura, della
creatività e del divertimento. Sono gli anni del Bauhaus, dei film di
Fritz Lang e di Murnau, del teatro di Brecht, della pittura di Klee e
Kandinsky. Si diffonde un clima allegro e spensierato, la gente vuole
dimenticare la politica e la guerra, vuole guardare verso il futuro,
vuole star bene. La Germania comincia a respirare, sembra finalmente
la svolta.
Hitler odia questa cultura. Ha passato l'anno in prigione
scrivendo il libro "Mein Kampf" in cui getta la base teorica del suo
pensiero e del movimento, che adesso vuole costruire con più metodo
ed organizzazione. Ma finché la gente sta bene, ride di Hitler che non
riesce a sfondare. Anzi, dal già deludente 3 %, ottenuto nelle elezioni
politiche dopo il suo putsch fallito, scende a un misero 2,6 % nel
1928. Ma ciononostante Hitler è molto attivo. Riesce a trasformare il
81

suo partito, che nel 1923 aveva ancora l'aspetto di un piccolo,


disorganizzato gruppetto di avventurieri nazionalisti, in un sempre
piccolo, ma adesso efficientissimo partito nazionale, che dispone nelle
SA, le cosiddette "Sturmabteilungen" cioè "reparti di assalto" di una
vera e propria macchina da guerra contro gli altri partiti.
Ma nonostante la sua vivacissima propaganda, il partito di Hitler
rimane ancora una piccola, marginale presenza sulla scena politica.
Kurt Tucholski, uno dei grandi della letteratura e cultura tedesca di
quei anni esprimeva quello che molti tedeschi pensavano di Hitler: "In
fondo, l'uomo politico Hitler non esiste, quel che esiste è solo il gran
rumore che riesce a creare intorno a sé."

7.4.6 La teoria raziale, l’antisemitismo

Al centro della teoria di Hitler sta l'idea della razza. Tutta la


storia, dice Hitler nel suo libro "Mein Kampf", è solo espressione
dell'eterna lotta tra le razze per la supremazia. La guerra è
l'espressione naturale e necessaria di questa lotta in cui il vincitore,
cioè la razza più forte, ha il diritto di dominare. L'unico scopo dello
stato è mantenere sana e pura la razza e creare le condizioni migliori
per la lotta per la supremazia, cioè per la guerra. E la guerra è l'unica
cosa che può dare un senso più nobile all'esistenza di un popolo. Di
tutte le razze quella cosiddetta "ariana" o "nordica" è, secondo Hitler,
la più creativa e valorosa, in fondo l'unica a cui spetta il diritto di
dominare il mondo.
Tradotto nella realtà questo significava per Hitler prima
l'unificazione del continente europeo sotto il dominio della nazione
tedesca, per cercare poi nuovo spazio vitale all'est, cioè in Polonia e in
Russia. Ma questo doveva essere, come scrive Hitler, solo il preludio
dell'ultima grande sfida, dello scontro finale contro gli Stati Uniti. É
un fatto singolare e molto significativo, che l'andamento reale della
seconda guerra mondiale rispecchia quasi esattamente questa teoria,
che Hitler aveva sviluppato 14 anni prima dell'inizio della guerra. É un
esempio lampante della testardaggine con cui Hitler seguiva le proprie
idee e cercava di applicarle a tutti i costi, una caratteristica che si nota
spesso in lui.
Ci sono numerose contraddizioni e imprecisioni nella teoria
razziale di Hitler. Già il concetto di base, la "razza ariana", è
un'assurdità storica. Inoltre Hitler confonde spesso "razza" con
"popolo" o "nazione", confonde i concetti "tedesco", "germanico" e
"ariano". Ma probabilmente tutto questo non è molto importante per
Hitler, dato che alcuni capitoli più avanti scrive con molta franchezza
82

"la propaganda non ha il compito di essere vera, ha invece l'unico


compito di essere efficace."
Infatti, questa propaganda doveva rivelarsi molto efficace.
Sicuramente al disoccupato tedesco faceva piacere sentire che in
fondo non era un piccolo disgraziato ma uno che apparteneva a una
razza superiore. Parlando del suo futuro Reich Hitler promette :
"Essere uno spazzino in un tale Reich sarà onore più alto che essere un
re in uno stato estero".
Il secondo elemento fondamentale è l'antisemitismo. Per Hitler
gli ebrei non sono una comunità religiosa, ma una razza, e cioè la
razza che vuole rovinare tutte le altre. Mescolandosi con gli altri
popoli, gli ebrei cercano di imbastardirli, distruggendo la purezza
della razza e eliminando così la loro forza, necessaria per la lotta per
la supremazia. L'ebreo è il nemico più pericoloso, è cattivo fino in
fondo. Hitler dice : "Gli Ebrei sono come i vermi che si annidano nei
cadaveri in dissoluzione." L'antisemitismo diventa in Hitler una vera e
propria ossessione. Pacifismo, marxismo, la democrazia, il pluralismo,
persino il capitalismo internazionale e la "Lega dei popoli",
predecessore del ONU, tutto questo è risultato del lavoro distruttivo e
sotterraneo degli ebrei. Hitler: "L'Ebreo è colui che avvelena tutto il
mondo. Se l'ebreo dovesse vincere, allora sarà la fine di tutta
l'umanità, allora questo pianeta sarà presto privo di vita come lo era
milioni di anni fa."
Oggi queste parole suonano ridicole, e anche all'epoca molti le
ritenevano tali e vedevano in esse solo uno strumento politico per
incanalare la rabbia del popolo su un capro espiatorio. Ma l'odio di
Hitler contro gli ebrei non era solo strumento politico, era reale con
tutto il suo evidente anacronismo e la sua irrazionalità. Gli orrendi
eventi degli anni 1940-1945, quando l'antisemitismo non poteva più
servire come strumento politico, lo dimostrano in modo spaventoso. E
nella lotta contro gli ebrei Hitler si vede come pioniere di tutta
l'umanità: Nel aprile del 1945, quando Hitler presagiva già la propria
fine, detta al suo segretario: "Un giorno si ringrazierà il
Nazionalsocialismo per il fatto che io ho annientato gli ebrei in
Germania e in tutta l'Europa centrale".

7.5 La crisi (1929-1932)

Nel 1929, dopo 5 anni finalmente felici per la Germania e per i


tedeschi, anche a livello internazionale la Germania aveva conquistato
nuove simpatie. Ma questo breve periodo ha una brutta fine, quando,
nel 1929, con il famoso "Venerdì nero" a New York crolla la borsa e
inizia una lunga e profonda crisi economica mondiale. La Germania il
83

cui boom era basato in gran parte sulla collaborazione economica con
gli USA e su soldi americani è colpita più di ogni altra nazione. Il
boom precedente è stato forte, ma superficiale e gonfiato, e non ha
risanato a fondo l'economia tedesca. Adesso il crollo è molto amaro.
In pochi anni, dal 1929 al 1932, la Germania precipita in una crisi che
sembra inarrestabile e che vede alla fine l'arrivo di Hitler al potere.
Alcuni dati statistici possono far capire meglio questo dramma:

PIL Produzione
industriale

1928 100 100

1930 91 87

1931 80 70

1932 76 58

Disoccupati

1928 1,3 milioni

1930 3,0 milioni

1931 4,5 milioni

1932 6,1 milioni

Oltre al proletariato, anche impiegati, artigiani, piccoli


commercianti, insomma tutta la piccola borghesia tedesca è
schiacciata dalle difficoltà economiche.
Contemporaneamente a questa crisi drammatica, si risvegliano
anche al livello politico tutti i fantasmi che avevano già dominato i
primi anni infelici della Repubblica. Nel parlamento ci sono 13 partiti
anche piccolissimi che si aggrappano al potere e che non capiscono
che le accanite lotte tra di loro favoriscono solo uno: Hitler. La
Repubblica di Weimar ha visto 20 governi in 14 anni, 5 elezioni
politiche negli ultimi 6 anni, un mare sempre crescente di disoccupati,
una violenza politica sulle strade soprattutto tra comunisti e nazisti
con morti e feriti quasi ogni fine settimana. Tutto questo fa svanire
definitivamente ogni fiducia nella democrazia che entra in un'agonia
84

irreversibile.
Oltre al proletariato, anche impiegati, artigiani, piccoli
commercianti, insomma tutta la piccola borghesia tedesca è
schiacciata dalle difficoltà economiche.
Contemporaneamente a questa crisi drammatica, si risvegliano
anche al livello politico tutti i fantasmi che avevano già dominato i
primi anni infelici della Repubblica. Nel parlamento ci sono 13 partiti
anche piccolissimi che si aggrappano al potere e che non capiscono
che le accanite lotte tra di loro favoriscono solo uno: Hitler. La
Repubblica di Weimar ha visto 20 governi in 14 anni, 5 elezioni
politiche negli ultimi 6 anni, un mare sempre crescente di disoccupati,
una violenza politica sulle strade soprattutto tra comunisti e nazisti
con morti e feriti quasi ogni fine settimana. Tutto questo fa svanire
definitivamente ogni fiducia nella democrazia che entra in un'agonia
irreversibile.
Il caos politico e il dramma dell'economia con più di 6 milioni di
disoccupati fanno aumentare il desiderio di un uomo forte che possa
mettere fine a tutto questo. Alla fine nel 1933 Hitler si presenta per
molti come l'unica speranza che può salvare il paese dalla confusione
totale.
Più che un uomo politico, all'inizio Hitler era un oratore. Lo
sapeva e lo sfruttava fino al massimo. Nel 1932, un anno prima di
diventare Cancelliere del Reich, Hitler fa centinaia di discorsi in tutte
le parti della Germania. Basta un annuncio anche solo 2 giorni prima e
Hitler riempie qualsiasi sala. Affascina la gente non tanto per quello
che dice ma per come lo dice. Con il suo stile insolito ma affascinante
di parlare riesce ad ipnotizzare le masse.
Quello che convince la gente quando parla Hitler è soprattutto
l'energia che riesce a trasmettere, un'energia e una fermezza di cui
molta gente disorientata sente un gran bisogno e di cui anche la
Germania depressa dalla crisi economica sembra che abbia bisogno.
I 17 milioni di tedeschi che votano Hitler nel 1933 non sono 17
milioni di fanatici antisemiti, razzisti e nazionalisti, ma in grandissima
parte sono persone stanche ed esauste che vogliono lavoro, la fine
della insicurezza politica e la garanzia di un modesto benessere, e che
non vogliono più sentirsi gli ultimi in Europa. La violenta propaganda
antisemita di Hitler per molti non conta, conta invece la promessa di
creare lavoro e di mettere fine al caos di cui sembra responsabile la
democrazia. E Hitler non lascia nessun dubbio sul fatto che vuole
eliminare non solo tutti gli altri partiti ma con loro anche la
democrazia stessa. Adesso la propaganda di Hitler e l'organizzazione
quasi militare del suo partito raccolgono i frutti. Più aumenta il
consenso elettorale, più anche i grandi industriali, che prima avevano
85

visto in Hitler solo un fenomeno politico un po' esotico e volgare, si


interessano di Hitler. Nel gennaio del 1933, il partito
nazionalsocialista era ormai da un anno quello più forte, Hitler diventa
cancelliere e la storia della Germania cambia.
É evidente che non è stato Hitler a distruggere la democrazia di
Weimar ma che è stata piuttosto la autodistruzione della democrazia a
portare Hitler al potere. Fattori esterni hanno certamente favorito
questo processo: all'inizio c'era il trattato di Versailles, pesante per
l'economia, ma forse ancora più negativo in senso psicologico, in
quanto umiliava la Germania e forniva gratuitamente continuo
materiale per la propaganda di Hitler. Il colpo di grazia è stata, alla
fine, la crisi economica con 6 milioni di disoccupati.
Decisiva per la autodistruzione della repubblica è stata però la
quasi completa mancanza di senso democratico in ampi strati della
destra (che andava molto oltre il partito di Hitler). Oltre al partito di
Hitler, anche la destra non-nazista rifiutava fin dall'inizio, più o meno
apertamente, la democrazia e cercava con tutti i mezzi a rovesciarla o
a svuotarla di contenuto. Certamente anche i comunisti lottavano
attivamente contro il sistema democratico, ma non erano mai un reale
pericolo per lo stato, se mai erano un problema per la polizia.
Quando lo stato e l'economia erano - o almeno sembravano -
forti, Hitler non aveva la minima chance di ottenere consensi
elettorali. Hitler poteva avere successo solo quando l'avversario, cioè
la democrazia, era debole. Nella prima grande crisi del 1923 tentò un
colpo di stato, ma fallì. Allora la Repubblica vacillò ma non crollò.
Nel 1933 invece, quando la democrazia era già esausta e marcia,
arrivò al potere senza sparare neanche un colpo.
Quando, nel gennaio del 1933 Hitler diventa Cancelliere, in
Germania c'erano 6 milioni di disoccupati. Hitler ha conquistato molti
con la sua promessa di mettere fine alla disoccupazione e alla crisi
economica e psicologica del paese. Dopo solo 4 anni, nel 1937, i
disoccupati sono quasi del tutto spariti, si è raggiunta la piena
occupazione. E la cosa ancora più sorprendente è che prezzi e salari
sono rimasti stabili, senza un'ombra di inflazione e tutto questo mentre
negli altri paesi la crisi continua. É successo quello che nessuno aveva
creduto. Non c'è più la disperazione degli ultimi anni della
democrazia, adesso si ricomincia a sperare e a godersi un modesto
benessere. Milioni di operai che prima votavano socialdemocratici o
comunisti scoprono ora con sorpresa che proprio Hitler, il nemico
numero uno, ha riportato pane e lavoro.
Ma questo "miracolo economico", che sembrava l'argomento più
forte a favore di Hitler, ha dei gravi difetti. 3 fattori lo caratterizzano:
86

 una quasi totale autarchia economica del Reich


 un massiccio incremento della produzione militare che nel '38 arriva al 25%
dell'intera produzione industriale
 un indebitamento dello stato senza precedenti che, tra il 1933 e il 39, si
quadruplica.

INVESTIMENT INDEBITAME
INVESTIMENTI DISOCCUP
I NTO
NELLE FORZE ATI
NEI SERVIZI DELLO
ARMATE STATO
PUBBLICI

1933 0,6 0,7 12,0 6.0

1935 1,0 5,2 14,6 3,1

1937 1,2 11,0 25,5 0,5

1939 0,9 26,0 43,0 0,4

Questa tabella dimostra molto bene su che cosa si reggeva il


cosiddetto "miracolo economico" di Hitler. Alla fine di questo
sviluppo assolutamente innaturale poteva stare solo una cosa: la
guerra.
Anche nella politica estera Hitler può presentare un "successo"
dopo l'altro: Nel 1935 reintroduce - contro il trattato di Versailles - il
servizio militare obbligatorio. Nello stesso anno, la regione della Saar,
ceduta alla Francia dopo la guerra, torna alla Germania dopo un
plebiscito. Nel 1936 le truppe tedesche rientrano nella Renania - che,
secondo i trattati internazionali, doveva rimanere smilitarizzata. Nel
1938 viene annessa l'Austria, che accoglie Hitler con enorme
entusiasmo. Nello stesso anno viene occupato la Regione dei Sudeti,
la zona dei tedeschi nella Cecoslovacchia. Anche qui i soldati tedeschi
sono accolti con grande entusiasmo da quelli che si sentono
finalmente liberati.
In fondo Hitler fa quello che vuole. All'estero ogni tanto si
protesta ma non succede niente di più. Nel 1933 la Germania, per le
disposizioni del trattato di Versailles, aveva un esercito di appena
100.000 uomini, senza armi moderne, senza aeronautica militare. Nel
1938 la Germania è diventata la potenza militare più forte dell'Europa.
I tedeschi non dovevano più sentirsi umiliati e spremuti dai vincitori
della guerra, adesso sono rispettati e temuti in tutta l'Europa. Di fronte
ai sorprendenti successi di Hitler nell'economia e nella politica estera,
87

molti di quelli che nel '33 ancora lottavano contro Hitler adesso
tacciono o addirittura si convertono. É difficile sottrarsi al fascino dei
continui successi di Hitler. Nelle ultime elezioni libere nel 1933 il
partito di Hitler aveva ottenuto il 43 % di voti, 5 anni più tardi
sicuramente la stragrande maggioranza dei tedeschi appoggia Hitler o
almeno lo tollera, anche se non sempre con grande entusiasmo. "Avrà
molti difetti, ma almeno ci ha riportato il lavoro e l'orgoglio di essere
tedeschi", pensano in molti.

Il "miracolo economico" è possibile solo perché il libero mercato


è praticamente abolito. La dittatura totale che Hitler ha creato in
pochissimo tempo non riguarda solo la società ma anche l'economia.
Hitler non ha la minima intenzione di creare un'economia stabile e
ordinata, lo scopo dell'economia è unicamente di preparare la guerra
che Hitler vede come l'ultimo obiettivo della sua politica. Al di sopra
di tutto c'è la sua testarda volontà di portare la "razza ariana" al
dominio prima dell'Europa e poi del mondo. Questo cosiddetto
"miracolo economico" era talmente artificiale per il totale dirigismo
statale e talmente gonfiato dalla smisurata produzione militare che
poteva finire solo in due modi: o prima o poi in un crollo verticale, o
nella guerra. Hitler lo sapeva benissimo, infatti nel 1938 dice: "La
nostra situazione economica è tale che potremmo reggerla solo per
pochi anni ancora. Pertanto non abbiamo tempo, dobbiamo agire."
Nel '37 e '38 una stragrande maggioranza di tedeschi appoggia
Hitler. Ma nessuno tranne una piccola minoranza di fanatici nazisti
vuole la guerra. E Hitler, almeno in pubblico, parla spesso di pace per
rassicurare l'estero - ma anche il proprio popolo. "La Germania vuole
la pace e ne ha bisogno" ripete continuamente. Ma nel 1938 dice ai
suoi collaboratori: "Le circostanze mi hanno costretto per tanti anni a
parlare di pace, solo così era possibile raggiungere i successi di quegli
anni e solo cosi potevamo ricostruire la forza militare di cui la
Germania ha bisogno".

7.6 La repressione e la lotta contro gli Ebrei

Dopo essere arrivato legalmente al governo nel gennaio del 33,


Hitler entro pochissimo tempo abolisce tutti gli altri partiti, ed elimina
o trasforma in truppe ausiliari qualsiasi organizzazione politica o
sociale. Il modo in cui lo fa è caratterizzato da minacce, intimidazioni
e aperta violenza, ma anche da furbizia. Così già nel '33 dichiara il 1°
maggio festa nazionale, cosa che i sindacati, i socialdemocratici e i
comunisti non erano riusciti a raggiungere in decenni di lotte. Ma il
giorno dopo, il 2 maggio, scioglie tutti i sindacati e li sostituisce con
88

delle organizzazioni a lui fedeli. Col divieto dei partiti, e con lo


scioglimento dei sindacati cominciano anche le persecuzioni e gli
arresti, fin dall'inizio Hitler vuole mettere in chiaro che un lavoro di
opposizione non è più possibile. Dopo pochissimo tempo la stampa
parla solo una voce: quella di Hitler. Chi cerca di opporsi finisce nei
campi di concentramento, i primi vengono allestiti già nel '33.
O ci si adegua o si rischia veramente la pelle. Per tutti i 12 anni
del "Terzo Reich" esiste anche una resistenza contro lo stato di Hitler,
da parte dei comunisti, dei socialdemocratici e anche da parte di
cattolici, protestanti e conservatori. Molti pagano il loro eroismo con
la vita, ma per Hitler questa resistenza non diventa mai politicamente
pericolosa, perché è, oltre ad essere chiaramente clandestina, anche
politicamente isolata, manca l'appoggio della popolazione.
Anche la lotta contro gli ebrei inizia fin dal 1933, e quasi subito
cominciano a fuggire decine di migliaia di ebrei. Quelli che sono
costretti a rimanere subiscono ogni tipo di umiliazioni da parte delle
SS e della GESTAPO, cioè la polizia politica e dello stato. Perdono il
lavoro e i diritti civili, sono insultati quotidianamente dalla stampa e
devono subire, senza potersi difendere, le leggi razziali che
restringono man mano qualsiasi possibilità di una vita normale.
Ma in questa lotta, Hitler non riesce a coinvolgere del tutto la
popolazione tedesca. Quando le bande di nazisti spaccano i vetri dei
negozi degli ebrei e bruciavano le sinagoghe, la gente non partecipa
come Hitler sperava, piuttosto è spaventata o imbarazzata, molti si
vergognano, non capiscono bene il perché di tutta questa violenza e
alcuni esprimono anche compassione. Ma un'aperta ribellione contro
queste barbarie non c'è mai, neanche da parte delle chiese cattoliche o
protestanti.

7.7 L’organizzazione della vita quotidiana

C'è anche da considerare un fattore che è molto importante per


capire meglio lo stato di Hitler e l'atteggiamento dei tedeschi: il
movimento di Hitler si chiama "nazional-socialista", e la parola
"socialista" non serve solo ad ingannare e attirare socialdemocratici e
comunisti, ma ha un contenuto reale.
Certamente Hitler non è marxista, anzi, per lui il marxismo è,
essendo un prodotto dell'ebreo, uno dei peggiori nemici da
combattere. Ciononostante il suo stato ha molte cose in comune con
gli obbiettivi del socialismo. Anche Hitler vuole creare una società
senza classi sociali, l'individualismo deve essere superato. Tutta la
vita, dalla culla alla bara, deve essere organizzata collettivamente, e
indubbiamente si fanno dei passi concreti per arrivarci. Durante il
89

nazismo nascono centinaia di organizzazioni che si occupano di sport,


hobby, tempo libero, cultura, formazione professionale. L'adesione a
queste associazioni è più o meno obbligatoria e serve naturalmente
anche per disciplinare e controllare il cittadino.
É importante costatare che Hitler, almeno in parte, riesce a
trasmettere ai tedeschi la sensazione di appartenere tutti a uno stesso
organismo. Le grandi feste commemorative che Hitler ama moltissimo
ne sono un'espressione molto significativa, qui la negazione
dell'individuo e il culto della massa arriva all'apice.

7.8 La cultura e la scienza

Infine alcune parole sulla cultura e sulla scienza. Quando nel '33
cominciano gli arresti e la rapidissima demolizione di tutte le
istituzioni democratiche, comincia anche una epurazione nel campo
della cultura e della scienza lasciando in Germania un provincialismo
culturale che non ha più niente in comune con la straordinaria fioritura
della cultura degli anni venti. Prima tocca ai libri. I libri di autori
ebrei, marxisti o pacifisti vengono allontanati dalle biblioteche
pubbliche e bruciati in piazza.
Scrittori, musicisti, registi, pittori e scienziati cominciano ad
emigrare in massa negli altri paesi dell'Europa o negli Stati Uniti. Uno
dei primi è Albert Einstein, seguono Thomas Mann, Brecht e quasi
tutti quelli che hanno un nome sulla scena culturale e scientifico.
Negli anni precedenti gli ebrei avevano contribuito non poco ai
successi della Germania nel campo della cultura e della scienza, il
cieco antisemitismo di Hitler reca cosi un gravissimo danno in questo
campo. A proposito di ciò un piccolo ma significativo fatto: nelle
pubblicazioni scientifiche fino agli anni venti la lingua tedesca era
quella predominante a livello internazionale. A cominciare con gli
anni 30 questo cambiò radicalmente a favore dell'inglese. Solo a
partire dagli anni 60 la lingua tedesca sta riconquistando importanza in
questo ambito. Prima del '33 il centro mondiale della ricerca atomica è
in Germania, a Göttingen, con l'arrivo di Hitler si sposta in America. Il
fatto che furono gli americani e non i tedeschi a costruire la prima
bomba atomica è indubbiamente "merito" di Hitler. La cultura del
nazismo è banale e piatta, e la Germania, per 12 anni, rimane
praticamente tagliata fuori dalla vita culturale internazionale.

7.9 Le guerre lampo


90

La guerra era l'ultimo scopo della politica di Hitler. Nel '39 la


Germania è diventata la nazione militarmente più forte in Europa.
Hitler aveva annesso praticamente tutte le zone al di fuori della
Germania in cui si parlava il tedesco. L'Alto Adige è un piccolo
problema, perché l'Italia di Mussolini è uno dei pochi alleati, ma
Hitler si era messo d'accordo con Mussolini di trasferire i tedeschi di
questa regione prima in Austria e poi, dopo la conquista del necessario
spazio vitale all'est, di mandarli come colonizzatori in Russia.
Gli altri paesi seguono l'aggressiva politica estera della Germania
con crescente preoccupazione. A tutti i costi vogliono evitare una
nuova guerra mondiale, ma non vedono che le concessioni a Hitler
non servono a niente, lui avrebbe fatto la guerra in ogni caso.
Infatti, nel '39 Hitler non vuole più aspettare, la guerra deve
cominciare ora. Al ministro degli esteri della Romania, che era alleata
alla Germania, confessa proprio in quell'anno: "Adesso ho
cinquant'anni, preferisco avere la guerra adesso, che non più tardi,
quando ne avrò 60 o 65." Questa citazione rivela un tratto del suo
carattere che è tipico di Hitler: il destino della Germania si doveva
compiere nell'arco della sua vita. Infatti Hitler non ha mai pensato a
quello che poteva succedere dopo di lui, identificò praticamente la
propria biografia con il culmine e il compimento della storia tedesca.
All'inizio comunque, la guerra va benissimo per la Germania:
nella serie di guerre lampo vengono occupate nel 1939 la Polonia, nel
1940 Danimarca, Norvegia, Olanda, Belgio, Lussemburgo e Francia,
nel 1941 la Iugoslavia e la Grecia. Nel 1940 anche l'Italia, sebbene
militarmente impreparata, entra in guerra accanto alla Germania,
probabilmente abbagliata dai successi facili della Germania. Alla fine
del 1941 praticamente tutto il continente europeo, ad eccezione della
Svezia, della Svizzera e della Spagna (neutrale, ma fortemente
simpatizzante con Hitler), è sotto il dominio della Germania e dei suoi
alleati.
Ma a guardare bene quelli che possono sembrare degli incredibili
successi sono tutti successi contro avversari molto più piccoli e più
deboli. Polonia, Danimarca, Norvegia, Olanda, Belgio, Iugoslavia e
Grecia, cosa possono fare da soli contro il colosso militare della
Germania? L'unica vera sorpresa è la facile vittoria, in un solo mese,
contro la Francia, che nel primo conflitto mondiale non aveva ceduto
per 4 anni. Ma la Francia del 1940 è molto diversa da quella di 25 anni
prima, è politicamente ed economicamente debole, non è preparata
alla guerra e soprattutto: nel 1914 la Francia era entrata nella guerra
con grande entusiasmo e voglia di vincere, adesso nel 1940 ha paura.
Una preda facile per Hitler.
91

Solo con l'Inghilterra non è così facile. Certo, nel 1940 gli inglesi
devono ritirarsi dal continente, ma l'isola è una fortezza che Hitler non
riesce mai a piegare nonostante i continui e violenti bombardamenti
delle città inglesi.
Comunque, nel 1941 la Germania sembra ancora la più forte di
tutte: l'Inghilterra non è battuta, ma in difensiva, e l'America e
l'Unione Sovietica sono entrambi esitanti ad entrare nella guerra. Ma
Hitler non ha la minima intenzione di accontentarsi a metà strada. La
sua idea fissa è conquistare "spazio vitale" all'est, cioè abbattere e
sottomettere gli enormi e profondi spazi della Russia con i suoi 200
milioni di abitanti.

7.10 L’Olocausto

Hitler non era il primo nella storia mondiale a voler costruire un


impero mondiale. Prima di lui c'era Napoleone e prima ancora Cesare,
gli altri imperatori romani e Alessandro Magno. Un tentativo di questo
genere ha sempre comportato molti morti innocenti e molte crudeltà
ed ingiustizie. Ma nessuno chiamerebbe per questo Napoleone, Cesare
o Alessandro Magno semplicemente dei criminali. Con Hitler è un po'
diverso, lui ha fatto qualcosa che nessuno prima di lui aveva mai fatto:
ha fatto uccidere sistematicamente milioni di persone non in una
guerra, ma semplicemente per motivi di un odio razziale, alimentato
da una presunta necessità ideologica.
Parallelamente alla guerra comincia il capitolo più buio della
storia della Germania.
Nello stesso giorno dell'attacco alla Polonia, Hitler ordina
l'uccisione dei malati di mente, degli handicappati di tutte le età, e di
altri "mangiatori inutili" come sono ufficialmente chiamati. Vengono
così fucilate circa. 100.000 persone. Poi tocca agli zingari. Le stime di
zingari uccisi in tutti i paesi occupati dai tedeschi si agirono intorno al
mezzo milione. Il terzo atto di questa tragedia si compie in Polonia e
in Russia. Zimmer, la mano destra di Hitler, descrive così il destino di
queste popolazioni: "Le popolazioni non tedesche dell'est non devono
avere una formazione che vada oltre la scuola elementare. Devono
saper contare, scrivere il proprio nome e devono imparare la
ubbidienza. Saper leggere non è strettamente necessario... Queste
popolazioni ci dovranno servire come lavoratori saltuari e stagionali
per i lavori di costruzione di strade, ponti ecc. e per i lavori nelle
cave." E il comandante superiore tedesco per la Polonia ne trae le
92

conseguenze necessarie: "Quello che adesso forma l'élite intellettuale


e politica della Polonia è da liquidare, quello che in futuro ricrescerà
sarà prima da arrestare e di seguito nuovamente da eliminare."
E infine gli ebrei. Le stime di ebrei uccisi in tutta l'Europa
variano tra 4 e 6 milioni, ma più probabile è la cifra più alta. Durante
la "conferenza del Wannsee" nel gennaio del '42, Hitler annuncia "la
soluzione finale della questione ebraica". Fino a quel momento la
liquidazione fisica degli ebrei si era limitata alla Polonia e alla Russia,
adesso si estende a tutta l'Europa e anche i metodi cambiano. Prima si
adoperava la fucilazione di massa, un procedimento che adesso si
rivela troppo complicato e lento. E cominciano a funzionare le
"camere da gas" che garantiscono un lavoro più veloce.

7.11 La svolta della guerra

La decisione di Hitler di attaccare l'Unione Sovietica è una follia,


in tutti i sensi. Basta pensare ai 200 milioni di abitanti della Russia
rispetto ai 70 milioni della Germania, agli spazi enormi da conquistare
(e soprattutto da tenere), alle lunghissime vie di rifornimento militare
e alle risorse economiche inesauribili di questo immenso paese. Ma
Hitler e i suoi generali sono talmente accecati dalle facili vittorie dei
primi anni che nel momento dell'attacco, è in giugno, non pensano
nemmeno a preparare per l'esercito gli indumenti invernali che
sarebbero stati necessari per il durissimo inverno russo. Il che avrebbe
causato migliaia di morti nell'esercito tedesco.
Hitler e i suoi generali pensano veramente di conquistare la
Russia come la Danimarca, il Belgio o la Francia. Quando nell'inverno
parte la prima grande controffensiva sovietica per molti generali è
come uno choc. Ed è proprio in quel momento che Hitler prende una
decisione altrettanto incomprensibile: senza esserne veramente
costretto, senza motivo militare, dichiara guerra anche agli Stati Uniti,
che fino ad allora erano impegnati solo nella guerra nel Pacifico
contro il Giappone. E in quel momento decide anche la "soluzione
finale della questione ebraica", che quando diventa nota all'estero
contribuisce non poco a rafforzare ulteriormente la volontà delle forze
alleate, di combattere Hitler con tutti i mezzi possibili.
Questa accelerazione della guerra è spiegabile solo in un modo:
offrire o chiedere la pace o un armistizio sono concetti inaccettabili
per Hitler. Per lui la guerra è la condizione normale per un popolo, la
pace invece un'eccezione, un periodo transitorio. Allora chiede al
popolo tedesco l'impegno in una "guerra totale" e come risultato di
93

questa guerra Hitler stesso vede solo due possibilità. Davanti ai


ministri del estero della Croazia e della Danimarca lo spiega con
agghiacciante franchezza : "Se il popolo tedesco non dovesse essere
più sufficientemente forte ad affermarsi in questa guerra, allora
dovrebbe sparire dalla storia e dovrebbe essere sostituito da un altro
popolo più forte. Allora non verserei neanche una lacrima per il
destino della Germania." Hitler vuole sapere fin dove poteva arrivare
la forza della Germania.
Con la clamorosa disfatta di un'intera armata tedesca a
Stalingrado nel gennaio del '43, con l'apparire della potenza militare
degli Stati Uniti prima in Africa e poi anche in Europa comincia il
lento ma inarrestabile avanzare degli alleati. Più diventa difficile,
critica e alla fine disperata la situazione della Germania, più Hitler si
indurisce, più inumane diventano le sue decisioni, che sono sempre
meno decisioni collettive ma sempre di più solitarie e imposte solo
con l'autorità del "Führer geniale ed infallibile"; un'immagine che si
era creata nei primi anni di guerra. Questa volta non sono decisioni
crudeli ed inumane per gli altri popoli, ma per la Germania stessa.
Nell'estate del '44 basta poco buon senso per capire che la guerra
era definitivamente persa. Tutto il territorio conquistato dalla
Germania dall'inizio della guerra è stato riconquistato dalle forze
alleate. La Germania ha già perso milioni di soldati ed è, anche
all'interno, molto indebolita per i massicci bombardamenti inglesi ed
americani. Tutti gli ex-alleati in Europa, Italia, Ungheria, Romania,
Croazia e Bulgaria si sono schierati con i nemici. Una Germania molto
più debole deve ora affrontare da sola una coalizione di nemici adesso
molto più forte, soprattutto dall'entrata in guerra degli Stati Uniti. Ma
non c'è ancora nessun soldato nemico sul territorio tedesco.

7.12 Guerra totale

In una situazione simile nella Prima Guerra Mondiale i generali


tedeschi avevano deciso di finire la guerra, di salvare quel che si
poteva ancora salvare. Anche adesso alcuni generali tentano di
fermare Hitler, ma l'attentato nel luglio del '44, la bomba fatta
esplodere nel quartier generale di Hitler, purtroppo manca per poco il
bersaglio.
In questa cospirazione sono coinvolte circa. 200 persone, quasi
tutti generali, altri militari o forze conservatrici che non vogliono più
seguire la politica suicida di Hitler. Hitler si vendica ferocemente
facendo fucilare circa. 5000 persone, arrestando anche tutti i familiari
delle persone coinvolte. Tra Hitler e gli stessi tedeschi che sino a
pochi anni prima lo avevano ammirato, si apre, nel corso del '44, un
94

abisso sempre più profondo. Anche Hitler probabilmente lo percepire,


si ritira infatti sempre di più dalla scena pubblica. E si fida sempre
meno del proprio popolo. Ogni comandante del fronte che ha solo
l'intenzione di ritirare le proprie truppe senza ordine personale di
Hitler viene fucilato. I soldati che vogliono disertare possono essere
sicuri che tutti i loro familiari sarebbero stati automaticamente
arrestati. Adesso la stragrande maggioranza dei tedeschi comincia a
desiderare la fine della guerra. Ma Hitler vuole lottare fino all'ultimo,
vuole addirittura rendere la guerra ancora più totale.
Nel ottobre del '44 sono chiamati alle armi tutti gli uomini
tedeschi tra i 16 e i 60 anni, anche le donne possono entrare
volontariamente nel "Volkssturm" (letteralmente "assalto popolare").
Scopo è un ultimo disperato tentativo di fermare le truppe russe che
avanzano da est e quelle americane che dilagano a ovest. Inoltre Hitler
ordina una nuova offensiva al fronte occidentale: ormai è il più debole
che cerca di assaltare il più forte. Hitler non è stupido e con le sue
conoscenze militari deve sapere che quest'offensiva non può finire che
in poco tempo e con un grande massacro. Molti generali sono contrari,
ma ancora una volta si piegano a Hitler. E succede quello che doveva
succedere. Questa folle operazione militare indebolisce, inoltre, il
fronte all'est, e i russi non si fanno invitare due volte. Iniziano subito
un massiccio attacco che fa crollare gran parte delle posizioni
difensive all'est.
Ma il culmine della follia Hitler lo raggiunge con gli ordini il 18
e 19 marzo del 1945, quando le truppe alleate sono già entrate in
Germania e stanno per sferrare l'ultimo attacco decisivo. Il 18 marzo
Hitler ordina: "Tutta la Germania occidentale interessata dall'offensiva
americana è da evacuare". All'obiezione che non ci sarebbero i mezzi
di trasporto necessari, Hitler dice: "Allora che vadano a piedi !" E il
giorno dopo ordina: "Tutti gli impianti militari di trasporto, di
comunicazione, di industria e di rifornimento, cosi come tutti i beni
materiali che al nemico, adesso o in futuro, potrebbero essere utili
sono da distruggere." Questa è praticamente la condanna a morte della
Germania. E quando persino i più fedeli protestano, risponde con voce
gelida: "Se la guerra sarà persa, sarà condannato anche il popolo. Non
è necessario tener conto della base di cui il popolo ha bisogno per la
sopravvivenza. Al contrario, è meglio, distruggere persino questa.
Perché il popolo si rivelato quello più debole, e il futuro appartiene al
popolo dell'est che ha dimostrato di essere più forte. Tanto, quello che
rimane della Germania dopo questa guerra sono i più deboli, i più forti
sono già caduti sul campo di battaglia."
Non si può dire che Hitler non fosse coerente per quanto riguarda
la sua teoria razziale.
95

I tedeschi avevano dimostrato di non essere degni del ruolo


assegnato loro da Hitler e quindi dovevano essere puniti. Per fortuna,
questi ultimi ordini di Hitler non sono più stati eseguiti, anche se non
mancarono i tentativi di farlo e ancora negli ultimi giorni della guerra
furono uccisi decine di "traditori della causa tedesca", che si
opponevano all'esecuzione di questi ordini.
Il popolo al quale Hitler ha recato più danni è stato, a parte gli
ebrei e i russi, proprio il popolo tedesco. All'inizio Hitler voleva la
Germania come dominatrice del mondo, alla fine voleva la sua
distruzione. Si è avvicinato più al secondo che al primo obiettivo. 55
milioni di morti e 35 milioni di feriti sono il bilancio agghiacciante di
questa guerra. E la responsabilità, questo è fuori ogni dubbio, è
unicamente della Germania di Hitler.

8. La fine della guerra, divisone e riunificazione

8.1 La Germania in macerie

Il 30 aprile del 1945 Hitler si suicida nel suo bunker a Berlino. In


quel momento il paese è già ridotto a un campo di macerie.
Tre anni di continui bombardamenti, che miravano a spezzare il
morale della popolazione, hanno totalmente distrutto le città tedesche
fino a trasformarle in paesaggi lunari. Per avere una idea della vastità
delle distruzioni solo alcune cifre: In 10 giorni, nel luglio del 1943,
3000 aerei scaricavano sopra Amburgo circa. 3 milioni di bombe
incendiarie insieme a 25.000 bombe esplosive. In una unica notte a
Francoforte sempre nel 1943 caddero 250.000 bombe incendiarie e
4.000 bombe esplosive. 131 città furono bombardate e il totale delle
distruzioni a Berlino, Francoforte, Düsseldorf, Colonia, Dresda,
Amburgo era tra il 40 e il 90 % di tutte le abitazioni. Per tre anni, gran
parte della popolazione era costretta a vivere nei rifugi antiaerei e
circa 600.000 persone vi morirono. Tra le macerie cominciarono a
muoversi interminabili fiumi di profughi. Persone in fuga davanti
all'avanzare dell'armata rossa, tedeschi cacciati dalle loro case e dalle
loro terre. 12 milioni di profughi si trovavano per strada, tra un campo
di accoglimento sovraffollato e l'altro. Tra il 1945 e il 1946, la guerra
è già finita, nei treni o sulle strade muoiono così ancora 2 milioni di
96

tedeschi, per la fame, per le fatiche o per malattie che nessuno poteva
curare.
La tragedia della Germania alla fine della guerra era terribile. Ma
le atrocità degli altri certamente non attenuano la responsabilità della
Germania. Tutto questo era soltanto un riflesso di quello che il
nazismo aveva fatto ai popoli dell'Europa, era soltanto l'ultimo atto di
una guerra che Hitler aveva fortemente voluto, che aveva, fin
dall'inizio della sua carriera politica, preparato prima ideologicamente
e poi anche materialmente, di una guerra che nessun altro in Europa
aveva voluto o cercato. E anche dopo più di 60 anni l’ombra di Hitler
è ancora presente.

8.2 L’anno 0 delle macerie

Nel 1945 lo stato nazista non esiste più, la Germania è occupata


dalle truppe americane, sovietiche, inglesi e francesi. Il morale della
popolazione è a terra, la fine della guerra è vista da molti con un misto
di sollievo per la fine del terrore della guerra e di angoscia per la
vendetta dei vincitori. La preoccupazione per la semplice
sopravvivenza, la caccia al pane per il giorno dopo, sono per la
maggior parte dei tedeschi molto più importanti di tutto il resto. La
politica, che negli anni del nazismo ha invaso e dominato tutta la vita
dei cittadini, è adesso odiata e vista con paura e diffidenza. I tedeschi
sono come paralizzati dall'incubo del passato e dall'insicurezza del
futuro. Sono i vincitori della guerra a decidere il futuro della
Germania.
In verità, americani, russi ed inglesi hanno già da molti anni
cominciato a discutere su cosa fare con la Germania, una volta che la
guerra fosse finita. Ancora durante la guerra, le conferenze, le
proposte e i progetti degli alleati che riguardano il destino della
Germania del dopoguerra si susseguono, spesso dettati dalla
situazione attuale della guerra, sempre invece dominati dagli interessi
contrastanti dei 3 paesi.
Roosevelt e dopo di lui Truman, presidenti degli Stati Uniti,
Stalin per l'Unione Sovietica e Churchill per l'Inghilterra preparano,
insieme ai loro consiglieri, numerosi progetti per dividere la Germania
in 3, 4, addirittura in 5 stati indipendenti con mappe già pronte e piani
più o meno precisi per la politica e l'economia. Del ministro
americano delle finanze Morgentau è per esempio il programma di
distruggere completamente la capacità industriale della Germania per
trasformarla in un paese agricolo, oltre alla divisione in 2 stati
indipendenti e una zona sotto controllo internazionale.
Quello che tutti questi progetti hanno in comune è la volontà di
97

impedire alla Germania una volta per sempre di diventare nuovamente


una forza politica ed economica che potesse trascinare il mondo in
un'altra guerra mondiale.
Inoltre anche la Francia, la Polonia e la Cecoslovacchia
cominciano a porre condizioni e pretendere la restituzione di territori
perduti e ulteriori sicurezze territoriali a spese della Germania.
Ognuno cerca una fetta più grossa della torta, con motivazioni più o
meno giustificate.
Il primo compromesso a cui i vincitori della guerra giungono è di
dividere la Germania in 4 zone occupate ed amministrate da
americani, sovietici, inglesi e francesi, ma di lasciare a future
conferenze il destino politico ed economico della Germania.
I quattro anni dalla fine della guerra nel 45 alla fondazione dei
due stati tedeschi nel 49, cioè alla definitiva divisione della Germania
sono anni durissimi per i tedeschi. La rimozione delle macerie della
guerra è una fatica quasi sovrumana per un popolo che soffre la fame e
il freddo dei primi inverni molto duri, da passare senza quasi nessun
tipo di riscaldamento. Non conoscono il proprio futuro e non sanno
che cosa avrebbero deciso i vincitori che litigano tra di loro in modo
sempre più aspro. La classe politica tedesca democratica che è
sopravvissuta al terrore nazista è debolissima e non riesce, almeno
all'inizio, a far sentire la propria voce.

8.3 La guerra fredda

Appena finita la guerra che gli alleati hanno combattuto insieme


contro la Germania scoppiò la Guerra Fredda tra Unione Sovietica e
Stati Uniti e la Germania è il territorio di questa guerra che si sarebbe
trascinata in forme più o meno aspre fino agli anni ottanta.
L'Unione Sovietica comincia immediatamente a ricostruire la
"sua" parte della Germania secondo i propri piani. Stalin ha promesso
alla Polonia una grossa fetta di territorio tedesco in cambio di una fetta
ancora più grossa di territorio polacco che lui pretende dalla Polonia.
L'Unione Sovietica che durante la guerra ha pagato il prezzo più alto
in vite umane e risorse chiede adesso un risarcimento altissimo alla
Germania: intere fabbriche, tra cui quelle più importanti, vengono
portate in Russia, ingenti quantità di materie prime vengono pretese
per anni come pagamento dei danni della guerra. Ma in questa
maniera Stalin si crea molti nemici in Germania, compromettendo
98

molto l'immagine dei russi come "liberatori dal nazismo".


Gli americani invece hanno capito che in questa Guerra Fredda
hanno bisogno di alleati in Germania affinché diventasse l'avamposto
contro l'Unione Sovietica. Quasi subito cominciano ad organizzare
aiuti per la Germania. Decine di migliaia di pacchi "Care" con generi
alimentari, medicine e vestiti arrivano in Germania nei primi anni del
dopoguerra. Ancor più che un aiuto reale sono un segnale politico e
psicologico: gli americani, dopo essere stati nemici dei tedeschi
vogliono dimostrare di essere adesso loro amici. Fin dall'inizio gli
americani cercano di unire la loro zona a quelle occupate da inglesi e
francesi, con l'intenzione di rafforzare la propria posizione contro la
zona occupata dai russi. Cercare di ricreare uno stato unitario è invece
un pericolo per loro perché sarebbe stato impossibile tenere fuori
l'Unione Sovietica.
Già pochi mesi dopo la fine della guerra la divisione della
Germania è diventata praticamente inevitabile, anche se devono
passare ancora 4 anni fino alla definitiva separazione. In realtà, tranne
la maggioranza dei tedeschi stessi, nessuno vuole veramente una
Germania unita, nonostante le parole contrarie di tutti gli alleati.
In fondo, la divisione accontenta un po' tutti, a parte naturalmente
i tedeschi, e crea meno problemi nella gestione della Germania vinta.
Il fatto che per tutti, compresi gli americani il destino dei tedeschi è
alla fine una questione di importanza secondaria è tristemente
documentato dai risultati della conferenza di Potsdam nel 1945
durante la quale si decide che, per quanto riguarda il pagamento dei
danni della guerra, ognuna delle 4 forze vincitrici può servirsi da sola
come vuole nella propria zona. Ma la decisione più tragica per i
tedeschi è che gli americani, per accontentare i russi e per avere la
mano libera all'ovest, accettano la deportazione forzata di più di 3
milioni di tedeschi dalla Polonia e dalla Cecoslovacchia, e questo
porta, oltre a moltiplicare sofferenza e miseria, ancora a decine di
migliaia di morti durante i trasporti eseguiti in condizioni
assolutamente disumane. La Germania è diventata oggetto della
Guerra Fredda e non ha ancora né la forza, né la reale possibilità di
sottrarsi al dominio e alla concorrenza delle 2 superpotenze USA e
URSS.

8.4 Il processo di Norimberga

Un evento che scuote profondamente la coscienza dei tedeschi è


il processo di Norimberga nell'estate del '45. Davanti a una corte
internazionale sono accusati 24 tra i massimi esponenti dello stato
nazista per crimini commessi contro la pace, contro l'umanità e per
99

crimini di guerra.
12 di essi vengono condannati a morte e giustiziati in quello stesso
anno. Molti tedeschi sentono per la prima volta da una fonte ufficiale i
racconti delle terribili crudeltà che sono state commesse in nome della
Germania e della cosiddetta "razza ariana". Molti sentono solo la
conferma di quello che si sapeva o almeno si è intuito già da molto
tempo. Qualcuno cerca di scrollarsi di dosso la responsabilità dicendo
che non hanno sentito e saputo niente. Ma per altri è uno shock che
provoca una vergogna profonda e che lascia nella coscienza collettiva
dei tedeschi dei segni che sono percepibili ancora oggi.
Molto più difficile della individuazione e punizione dei grandi
criminali è invece l'individuazione e la neutralizzazione dei tanti
piccoli nazisti ed opportunisti che hanno in fondo retto lo stato nazista.
Con la cosiddetta "Entnazifizierung", cioè la denazificazione, si cerca
di ripulire le istituzioni pubbliche dai nazisti compromessi o ancora
convinti. Ma stabilire delle responsabilità individuali è una impresa
quasi impossibile e inoltre questa campagna viene condotta in modo
molto diverso nelle 4 zone occupate. Con questo si apre anche un
campo vastissimo e praticamente incontrollabile di possibilità di
corruzione o di atti di vendetta personale. Alla fine molti colpevoli, tra
i quali per esempio quasi tutti i giudici, che durante il nazismo sono
stati un aiuto importantissimo e accondiscendente per Hitler,
rimangono non solo impuniti ma continuano anche a lavorare con gli
stessi incarichi di prima, affermando o di aver cambiato idea o di
essere sempre stati contro Hitler.

8.5 L’inevitabile divisione

Nella vita quotidiana dei tedeschi continuano a regnare la


preoccupazione per il giorno dopo, la fame e la caccia alle cose
indispensabili per sopravvivere. I soldi hanno perso qualsiasi valore, i
prezzi non si calcolano più in marchi, ma in sigarette americane. Un
chilo di pane costa un certo numero di sigarette, un paio di scarpe
alcuni pacchetti. Regna il mercato nero, il baratto. Ogni fine settimana
la gente della città va in campagna per scambiare con i contadini
merce di ogni genere e tutte le cose ancora utili trovate tra le rovine in
cambio di burro, zucchero o patate.
Per rafforzare economicamente le 3 zone dell'ovest, americani,
inglesi e francesi decidono a sorpresa di introdurre una nuova moneta
nelle loro zone. Nel giugno del '48 ogni tedesco riceve 40 marchi
nuovi e all'improvviso, come per miracolo, i negozi, che per mesi non
hanno offerto praticamente niente, sono pieni di merci. Nella speranza
di una riforma della valuta, i commercianti hanno accumulato per
100

mesi e mesi merci che adesso sono di colpo disponibili.


Ma gli americani non riescono, e probabilmente non vogliono
neanche, mettersi d'accordo con l'amministrazione della zona sovietica
sulla nuova valuta. Come risposta i sovietici bloccano nel luglio del 48
ogni accesso alla parte occidentale di Berlino che è occupata da
americani, inglesi e francesi. Per 10 mesi aerei americani ed inglesi
devono trasportare qualsiasi tipo di merce, generi alimentari, carbone,
macchinari, tutto fino ai chiodi, nella città bloccata. 200.000 voli in 10
mesi, fino a 1.200 voli al giorno riforniscono la città in questi mesi
drammatici trasportando fino a 12.000 tonnellate di merci al giorno.
Alla fine i sovietici si arrendono ma hanno perso più di una battaglia:
per la stragrande maggioranza dei tedeschi dell'ovest gli americani
sono diventati adesso quelli che garantiscono non solo la
sopravvivenza, ma anche la sicurezza, mentre i sovietici (e con loro i
comunisti tedeschi), che hanno pagato il prezzo più alto nella
resistenza contro Hitler, stanno perdendo le ultime simpatie. Inoltre
stanno arrivando nella Germania dell'ovest i massicci aiuti economici
del "Piano Marshall" degli americani, mentre allo stesso tempo all'est i
sovietici continuano a trasportare in Russia fabbriche e macchinari
tedeschi come pagamento dei danni della guerra.
Il blocco di Berlino è il colpo di grazia per il sogno dell'unità
della Germania. Pochi mesi dopo la fine del blocco vengono fondati i
due stati tedeschi: la Repubblica Federale ad ovest e la Repubblica
Democratica ad est.
La divisione della Germania è diventata realtà ma in fondo è solo
l'ultima conferma di quello che si è andato delineando già 4 anni
prima, nei primi mesi dopo la guerra. La guerra fredda, che tra gli
alleati è cominciata forse ancora prima che fosse finita quella vera
contro Hitler, ha reso impossibile la ricostruzione di uno stato unitario.
La colpa non può essere attribuita facilmente a una nazione o a questo
o quel protagonista dell'epoca, la Germania è diventata vittima della
nuova costellazione internazionale, della concorrenza tra le nuove
superpotenze USA e URSS.
E in fondo la Germania è anche diventata vittima del proprio
passato, la divisione è il prezzo che deve pagare per aver scatenato la
più sanguinosa e violenta guerra che il mondo aveva mai visto.

8.6 Il Miracolo Economico

Sul piano economico-sociale la Germania occidentale vive negli


anni 50 un fortissimo boom economico, sono gli anni del cosiddetto
"Wirtschaftswunder" (miracolo economico). Aiutata all'inizio dai soldi
americani, la Germania Federale riesce in breve tempo a diventare
101

nuovamente una nazione rispettata per la sua forza economica. In


parte, le distruzioni della guerra sono addirittura un vantaggio, perché
la ricostruzione può così mirare al livello tecnologicamente più
avanzato dell'epoca. L'economia che durante i 12 anni di Hitler ha
subito un forte dirigismo statale e un'autarchia forzata, adesso, con
l'economia del mercato, comincia a fiorire.

Il numero dei disoccupati:


1949: 2 milioni
1957: 600.000
1965: 160.000

Il PIL (prodotto interno lordo)


1949: 88 miliardi
1957: 217 miliardi
1965: 460 miliardi

La parte orientale fa invece molto più fatica a riprendersi ed è


svantaggiata all'inizio per le pesanti richieste economiche fatte
dall'Unione Sovietica per riparare i danni subiti nella guerra e poi per
la mancanza di aiuti paragonabili a quelli che riceveva la parte
occidentale. Inoltre la rigida struttura di pianificazione nazionale
dell'economia non favorisce lo stesso sviluppo così come nell'altra
parte del paese.
Più i due paesi si stabiliscono a livello politico ed economico, più
si fanno sentire le differenze tra le due parti per quanto riguarda lo
standard di vita.
Sul piano politico, all'inizio tutto è provvisorio. Addirittura la
nuova capitale Bonn viene chiamata ufficialmente "capitale
provvisoria". Tutti sperano in una rapida riunificazione delle due parti.
E infatti, nei primi anni, tutti i partiti dell'ovest e dell'est parlano
continuamente di unità e di riunificazione. Ma quello che succede
nella realtà è la sempre più rigida integrazione delle 2 Germanie nei 2
blocchi che si stanno formando in Europa e che sono capeggiati da
USA e URSS. Per poter mettersi a un tavolo per parlare seriamente di
una riunificazione ogni parte pone delle condizioni che l'altra parte
non può o non vuole assolutamente accettare. Questo atteggiamento fa
comodo a tutti perché permette di dare la colpa per il perdurare della
divisione all'altra parte.
Un tipico esempio è la proposta sovietica del 1952 per una
soluzione definitiva della questione tedesca. La proposta provvede una
Germania unita e completamente sovrana (nel 1952 i due stati tedeschi
sono solo parzialmente sovrani), senza più truppe di occupazione di
102

nessuna parte, con un proprio esercito (che fino al 1952 nessuno dei
due paesi ha) e senza nessuna prescrizione per il sistema economico
da adottare. La proposta contiene addirittura elezioni politiche libere
in tutta la Germania. Una proposta insomma che può sembrare molto
ragionevole e che fa molto scalpore. E allora, perché gli americani, gli
inglesi e lo stesso governo tedesco si rifiutano categoricamente
persino di discutere con i sovietici di una tale soluzione? La risposta è
semplice: la proposta sovietica mira a una Germania unita ma
neutrale, senza nessun legame con uno dei 2 blocchi dell'est e
dell'ovest, insomma una soluzione "all'austriaca". La proposta
sovietica mira ad impedire l'integrazione della Germania nell'alleanza
militare occidentale, cosa che il governo tedesco e gli americani
vedono invece come presupposto indispensabile di ogni politica. Non
vogliono accettare la neutralità come prezzo per la riunificazione. E
temono che una Germania neutrale sarebbe comunque più
accondiscende nei confronti dell'Unione sovietica. Così,
probabilmente l'unica vera possibilità per arrivare a una riunificazione
già negli anni 50 viene sprecata.
Il boom economico nell'ovest continua comunque a un ritmo
sempre più sostenuto. La disoccupazione scende quasi a quota zero,
c'è un grande bisogno di manodopera e si cominciano a chiamare
lavoratori dall'estero: prima vengono dall'Italia, poi dalla Spagna,
dalla Grecia e dalla Iugoslavia e infine dalla Turchia:

Numero di lavoratori stranieri in Germania:


1955: 80.000
1957: 108.000
1959:167.000
1961: 507.000
1963: 773.000
1965: 1.120.000

Oggi gli stranieri residenti in Germania sono circa. 7,2 milioni.

Con un po' di autoironia i tedeschi stessi descrivono questo


"miracolo economico" come un susseguirsi di varie ondate. La prima è
la "Freßwelle", cioè l'ondata dei cibi. Dopo la fame dei primi anni del
dopoguerra si deve recuperare. Dopo l'ondata dei cibi segue la
"Möbelwelle", cioè l'ondata dei mobili, degli acquisti per
l'arredamento della casa. E poi, nella seconda metà degli anni 50 la
"Reisewelle", l'ondata dei viaggi. I tedeschi cominciano a scoprire in
massa le coste del Mediterraneo, soprattutto della Spagna e dell'Italia.
E infine la "Autowelle", la corsa all'acquisto di un'automobile, che sta
103

diventando il simbolo più vistoso e amato del nuovo benessere.

8.7 Tensione all’est e all’ovest

Nel giugno del 1953 scoppia in molte città della Germania


orientale una rivolta contro alcune misure economiche restrittive del
governo, ma presto questa protesta diventa politica e per il 17 giugno
viene programmato uno sciopero generale. Quel giorno, solo la
dichiarazione dello stato di emergenza e un massiccio intervento di
carri armati sovietici riescono a domare una protesta che minacciava
di diventare molto pericolosa per lo stato socialista della Germania
dell'est.
Questa protesta degli operai è motivata dal basso livello dello
standard di vita nella parte della Germania dell'est, che non riesce a
tenere il passo con lo sviluppo della Germania dell'ovest, e dalla
mancanza di diritti democratici.
Ma anche all'ovest gli anni 50 sono anni non privi di tensioni e
contraddizioni. L'integrazione della Repubblica Federale nell'alleanza
militare dell'ovest, con la conseguente ricostruzione di forze armate
tedesche è un argomento molto caldo, e soprattutto la discussione
sull'uso o meno dell'arma atomica divide i tedeschi in campi
nettamente contrapposti. I ricordi della terribile Seconda Guerra
Mondiale sono ancora troppo freschi per non suscitare emozioni molto
forti nell'opinione pubblica. Ma la Guerra Fredda, che poi non è tanto
fredda, non permette un ruolo autonomo alla Germania. O con
l'America o con l'Unione Sovietica: questa sembra essere l'alternativa
a cui i tedeschi non possono sottrarsi. La realtà di un paese socialista è
lì, la Germania dell'est è a due passi, e si vedono i suoi scarsi risultati
a livello economico e i forti limiti alla libertà personale. Soprattutto
per questo confronto ravvicinato dei due sistemi, il partito comunista
tedesco, che prima di Hitler è stato un partito molto importante, negli
anni 50 non ha mai la minima chance di ottenere consensi.

8.8 La grande fuga all’ovest

In quegli anni il confine tra est ed ovest non è ancora


insuperabile e per tutti gli anni 50 centinaia di migliaia di persone
fuggono ogni anno dall'est all'ovest. Quasi la metà di loro erano
giovani con meno di 25 anni e spesso persone con una buona
formazione professionale, laureati, operai specializzati e artigiani, che
104

all'ovest si aspettano un futuro più redditizio e più libero. Questo


continuo dissanguamento sta diventando un pericolo serio per la
Germania dell'est ed è un'ulteriore causa delle difficoltà economiche
di questo stato.

Numero di persone fuggite dalla DDR:

totale (1949-1961): circa. 2,6 milioni


media annuale (1949-1961): circa. 220.000
popolazione totale della ex-DDR: 17 milioni

8.9 Il muro di Berlino

Nelle prime ore del 13 agosto del 1961 le unità armate della
Germania dell'est interrompono tutti i collegamenti tra Berlino est e
ovest e iniziano a costruire, davanti agli occhi esterrefatti degli
abitanti di tutte e due le parti, un muro insuperabile che attraversa tutta
la città, che divide le famiglie in due, e taglia la strada tra casa e posto
di lavoro, scuola e università. Non solo a Berlino ma in tutta la
Germania il confine tra est ed ovest, che fino a quel momento con un
po' di coraggio e gambe veloci era superabile, diventa una trappola
mortale. I soldati ricevono l'ordine di sparare su tutti quelli che
cercano di attraversare la zona di confine che con gli anni viene
attrezzata con dei macchinari sempre più terrificanti, con mine anti-
uomo, filo spinato alimentato con corrente ad alta tensione, e
addirittura con degli impianti che sparano automaticamente su tutto
quello che si muove nella cosiddetta "striscia della morte".
Per l'opinione pubblica la costruzione del muro è uno shock, ma
la reazione del mondo politico tedesco e internazionale è molto strana,
con toni incomprensibilmente smorzati. Il cancelliere tedesco Konrad
Adenauer, impegnato in campagna elettorale, aspetta 9 giorni prima di
recarsi personalmente a Berlino. Il presidente degli Stati Uniti viene
informato solo 15 ore dopo l'inizio della costruzione del muro e non
interrompe le sue vacanze perché "gli interessi dell'ovest non sono
direttamente toccati". L'ambasciatore americano in Germania viene
informato di quello che sta succedendo a Berlino durante una partita
di Golf che vuole però terminare prima di dare un commento. Solo 4
giorni dopo l'inizio della costruzione del muro, gli alleati occidentali
protestano ufficialmente contro quell'atto di barbarie. Certamente i
servizi segreti dell'ovest dovevano sapere che si stava preparando un
colpo del genere, che sicuramente necessitava di una preparazione
logistica non indifferente e quindi anche visibile. Ma come si spiega
105

allora una reazione così tiepida a un evento così grave ? Una risposta
ce la dà il responsabile del Ministero degli Esteri americano per la
questione di Berlino, che lo stesso 13 agosto dice: "Vediamo come si
svilupperà la faccenda. In fondo i tedeschi dell'est ci hanno fatto un
favore, perché la grande massa di profughi dalla Germania dell'est era
molto preoccupante." Molti politici americani, inglesi e francesi
vedono nel muro una soluzione brutta ma tutto sommato accettabile
per la situazione che si è creata a Berlino, che negli anni precedenti è
diventata sempre più instabile e pericolosa. La stabilità dei due
blocchi in Europa è diventata il principio sovrano che sta al di sopra di
tutte le considerazioni di carattere umano. Di nuovo la Germania è
oggetto e vittima della Guerra Fredda. Solo dopo, quando le
conseguenze inumane di questa brutale divisione della Germania
diventano sempre più evidenti, anche gli americani correggono il tono.
Famosa è la visita di Kennedy a Berlino durante la quale pronuncia, in
lingua tedesca, davanti a migliaia di entusiasti berlinesi, la frase "Ich
bin ein Berliner": "Anch'io sono un abitante di Berlino".
Bloccato quasi completamente il pericoloso dissanguamento
dello stato, negli anni 60 e 70 la Repubblica Democratica dell'est vive
anch'essa un suo boom economico, anche se inferiore a quello
dell'ovest 10 anni prima. Tra gli stati dell'Europa dell'est diventa la
nazione economicamente più forte e molti tedeschi sia all'est che
all'ovest cominciano a rassegnarsi alla divisione, che è vista sempre di
più come un fatto certamente non normale ma inevitabile, un fatto che
si deve accettare e che pesa sempre meno sulla coscienza nazionale.
Di riunificazione si parla sempre meno e solo durante le
commemorazioni e le feste nazionali.

8.10 La situazione tra i due stati tedeschi nel 1969

Alla fine degli anni 60 i democristiani e i loro alleati liberali


perdono la maggioranza in parlamento e con la socialdemocrazia al
governo comincia l'era della cosiddetta "Entspannungspolitik", cioè
della politica di distensione tra i due stati tedeschi.
Per vent'anni, nonostante la continua affermazione della volontà
di fare di tutto per la riunificazione, i due stati si trattano come i
peggiori nemici. Non esiste nessun tipo di rapporto ufficiale tra le due
Germanie, nessun trattato politico o economico. Per la Germania
dell'ovest l'altro stato non esiste nemmeno, dopo 20 anni di esistenza
della DDR si parla ancora di "zona sovietica" e un riconoscimento
ufficiale è considerato un tradimento della nazione. La rigidità della
politica è tale, che la Germania Federale interrompe subito i rapporti
diplomatici con un altro stato, se questo stato vuole installare rapporti
106

anche con la DDR. E da parte dell'est, la Germania Federale viene


chiamata con i peggiori aggettivi del linguaggio politico della Guerra
fredda : aggressiva, imperialista, reazionaria, successore del fascismo,
revanscista, pericolosa per la pace ecc. ecc. I rapporti economici e
politici di entrambi gli stati tedeschi sono più sviluppati con un
qualsiasi piccolo stato del terzo mondo che non tra di loro. La politica
dei governi democristiani dei primi vent'anni ha sì portato la Germania
Federale ad essere un paese ricco ed economicamente forte, ma si
sente sempre di più il bisogno di un cambiamento al livello della
politica estera. "La Germania è economicamente un gigante, ma
politicamente un nano" si sente dire sempre più spesso, e con questo si
vuole criticare il servilismo soprattutto rispetto agli USA, che persino
a loro stessi piace sempre meno. Dall'altra parte la Germania dell'est si
nasconde dietro l'Unione Sovietica e segue docilmente ogni mossa del
grande fratello. Quando nell'agosto del 68 le truppe sovietiche
schiacciano i tentativi riformatori della cosiddetta "Primavera di
Praga" la Germania dell'est è tra i primi ad applaudire e manda anche
delle proprie truppe per completare l'opera di repressione nella
Cecoslovacchia. Le due Germanie sono più lontane che mai, si è
giunti in un vicolo cieco.

8.11 Willy Brandt

Questa è la situazione quando nel '69 Willy Brandt, leader della


socialdemocrazia tedesca, arriva al governo. Ha vinto le elezioni con
la promessa di un vento fresco non solo nella politica interna - sono
anche in Germania gli anni della contestazione studentesca e giovanile
- ma anche con la promessa di una svolta nei rapporti tra i due stati
tedeschi.
Il primo passo autonomo è un trattato con l'Unione Sovietica in
cui la Germania Federale riconosce ufficialmente le frontiere createsi
dopo la Seconda Guerra Mondiale e rinuncia solennemente a volerle
cambiare con la forza. Segue, nello stesso anno, un trattato con la
Polonia e più tardi uno simile con la Cecoslovacchia, cioè con i due
paesi che sotto Hitler hanno subito le umiliazioni più gravi da parte
della Germania.
Riconoscere ufficialmente lo stato delle cose può sembrare una
cosa piuttosto banale, ma per l'epoca è un atto molto coraggioso.
Infatti da molti Brandt viene accusato di tradire l'idea della
riunificazione. Questi contratti sono soprattutto segnali politici e
psicologici con i quali la Germania riacquista credibilità e stima in
tutto il mondo. Ma il trattato più importante fu quello nel 1972 con la
DDR. Non si tratta di un riconoscimento ufficiale, ma di un insieme di
107

accordi che devono regolare i rapporti tra i due stati tedeschi, devono
migliorare la situazione umana della popolazione della DDR e
favorire oltre agli scambi economici anche quelli politici e culturali tra
le due Germanie.

8.12 La nuova Ostpolitk e le sue conseguenze

Le conseguenze di questa nuova politica sono enormi: i due stati


tedeschi vengono ammessi alle Nazioni Unite e la DDR viene, in poco
tempo, riconosciuta diplomaticamente da 132 paesi, tra cui anche
l'Inghilterra, la Francia e gli Stati Uniti, che hanno tirato un sospiro di
sollievo per il fatto che, con questi contratti, le tensioni in Europa si
sono notevolmente abbassate. Il riconoscimento internazionale è
senz'altro un successo per la DDR, dall'altra parte la nuova politica
della Germania Federale le crea non pochi problemi. La popolazione
all'est è entusiasta perché il governo della DDR è costretto a fare
alcune concessioni per quanto riguarda i viaggi all'ovest e i contatti
familiari tra est ed ovest. Da quando, all'ovest, si parla meno di
riunificazione ma si cerca, con la cosiddetta "politica dei piccoli
passi", più concretamente di creare dei legami tra est ed ovest, il
governo dell'est cerca di contrastare questa offensiva con una più
rigida separazione ideologica. Si cerca, senza molto successo, di
arginare il numero dei viaggi dall'ovest all'est con l'aumento del
cambio obbligatorio della valuta. Dall'est all'ovest invece i viaggi sono
permessi solo ai pensionati, e se i pensionati rimanevano all'ovest, la
DDR era contenta perché aveva delle pensioni in meno da pagare.
Funzionari, sportivi, scienziati che devono fare dei viaggi all'ovest
devono, dopo il loro ritorno, compilare un lungo questionario che
riguarda anche il proprio comportamento all'estero e da cui dipende il
permesso per futuri viaggi. Di una coppia sposata solo uno dei due
può andare all'ovest, l'altro deve rimanere nel paese.
Più la Germania Federale cerca di dialogare e di arrivare ad
accordi su problemi comuni, più la DDR si irrigidisce e sottolinea le
cose che separavano i due stati rispetto a quelle che possono unirli, il
che ha anche degli aspetti decisamente ridicoli: nel linguaggio
pubblico si cerca di eliminare il più possibile l'uso della parola
"tedesco" per sostituirla con "della DDR". La più autorevole
organizzazione scientifica, per esempio, che fino al 1974 si chiamava
"Accademia tedesca delle scienze" viene rinominata "Accademia delle
scienze della DDR", la radio nazionale non si poteva più chiamare
"Voce della Germania" ma "Voce della DDR" e il testo dell'inno
nazionale, che conteneva un riferimento a "Deutschland - einig
108

Vaterland", cioè "Germania - patria unita" non fu più cantato, adesso


ci si limitava a suonare la melodia.
Quello che per i capi della DDR rende molto difficile la
situazione è il fatto che economicamente hanno un crescente bisogno
della collaborazione con la Germania dell'ovest. Anche se la DDR è
ormai diventata un paese con un certo benessere la sua economia ha
verso il mondo occidentale e specialmente verso la Germania Federale
un crescente bisogno di valuta estera. Così, gli stessi funzionari che
ordinano di aprire ogni pacco che arriva dall'ovest per paura
dell'importazione di libri, giornali e riviste indesiderati devono
permettere ai cittadini dell'est di accettare regali in valuta estera. Con i
marchi dell'ovest possono fare degli acquisti nei cosiddetti negozi
"Intershop", dove si acquista solo in marchi occidentali. Dopo poco
tempo il marco dell'ovest circola nella DDR come una specie di
seconda valuta, con la quale si possono comperare anche delle cose
altrimenti introvabili. Il fatto che il marco della Germania Federale è
evidentemente migliore del proprio marco provoca tra la popolazione
dell'est un continuo paragone tra est e ovest con risultati facilmente
prevedibili.
Mentre a livello ufficiale i capi della DDR continuano a chiamare
l'altra Germania "imperialista, reazionaria e un pericolo per la pace" e
dall'altra parte i più conservatori nella Repubblica Federale continuano
a chiamare i protagonisti della DDR "assassini e criminali" tra le due
Germanie si sviluppa, negli anni 70 e 80, un commercio che per la
DDR è sempre più indispensabile. La DDR non esita di chiedere
crediti miliardari all'ovest in cambio di piccoli miglioramenti a livello
dei rapporti umani tra est ed ovest. E uno degli esponenti più accaniti
della cosiddetta "linea dura" nei confronti della DDR, il politico
bavarese Franz Josef Strauß, che non smette mai di condannare la
politica di distensione e di chiamare il governo della DDR "una banda
di assassini", aiuta segretamente a rendere possibile un credito di un
miliardo di marchi per la DDR. Inoltre, il governo della Germania
Federale paga per parecchi anni segretamente con somme ingenti la
liberazione di molte migliaia di prigionieri politici e comuni che, dopo
la loro liberazione, vengono subito messi in autobus e trasportati nella
Germania Federale.
La cosiddetta "linea dura" degli anni 50 e 60 ha contribuito non
poco a rendere più profonda la divisione. Anche la politica di
distensione e dei piccoli passi degli anni 70 e 80 non porta certamente
a rendere più vicina la riunificazione. Cambiano però molte cose sia a
livello internazionale che nei rapporti tra i due stati. A livello
internazionale le due Germanie non sono più quel focolaio pericoloso
dei primi vent'anni e a livello nazionale molti pur piccoli cambiamenti
109

aiutano la popolazione dell'est e i contatti familiari tra est ed ovest. La


politica di avvicinamento della Germania Federale porta ad un
confronto sempre più ravvicinato tra est e ovest che la DDR riesce
sempre meno a reggere e che contribuisce ad aumentare le
contraddizioni interne di questo stato.
Nella seconda metà degli anni ottanta, quando la riunificazione è,
in realtà, ormai vicinissima, sempre meno persone sia all'est che
all'ovest ci credono. Persino nel partito democristiano si alzano delle
voci che chiedono di riconoscere diplomaticamente la DDR. Ma la
costituzione stessa della Germania dell'ovest richiede di lavorare per
la riunificazione e così, almeno a livello ufficiale, nulla cambia e la
riunificazione rimane, per tutti i partiti, un argomento riservato alle
celebrazioni di commemorazione.

8.13 L’inizio dei cambiamenti a Est

Quello che infine, per la grande sorpresa di tutti e nel giro di


pochissimo tempo porta alla riunificazione sono due fattori che,
all'epoca, quasi nessun politico dell'occidente ha capito nella sua
importanza: l'arrivo di Gorbaciov come leader dell'Unione Sovietica e
le crescenti difficoltà politiche ed economiche dei paesi dell'est e
specialmente della DDR.
L'Unione Sovietica, da molti giudicata forte e pericolosa, negli
anni ottanta è in realtà già un gigante in agonia. L'economia è
tecnologicamente arretrata, la produttività è molto scarsa e gli enormi
sforzi per tenere il passo con gli Stati Uniti nella corsa agli armamenti
hanno logorato le finanze dello stato. In più regna una corruzione
sempre più dilagante che ha portato il paese in una situazione politica
molto grave. Con la "Perestroika", cioè la radicale trasformazione
della politica e della economia e con la "Glasnost" , che deve portare
alla trasparenza politica, Gorbaciov comincia a cambiare strada.
I dirigenti della DDR vedono questo processo prima con un certo
imbarazzo e poi con crescente resistenza. Applicare gli stessi principi
nella DDR, può essere molto pericoloso per loro. I gruppi di
opposizione politica, che negli anni ottanta trovarono protezione
soprattutto nella chiesa protestante della DDR trovano un alleato
inaspettato: uno degli slogan più odiati nella Germania dell'est, cioè
"Imparare dall'Unione Sovietica", all'improvviso diventa uno slogan
dell'opposizione. In Polonia e in Ungheria, dove la crisi economica e
le spinte per una riforma sono più forti, la politica di Gorbaciov trova
invece più amici anche tra i governanti. Più arrivano dall'URSS e dagli
altri stati dell'est notizie di riforme economiche e democratiche, e più
la popolazione della DDR chiede di fare lo stesso nel loro paese, più i
110

leader della DDR si chiudono a ogni richiesta del genere. Si arriva


persino a vietare la distribuzione nella DDR di quelle riviste
sovietiche che sostengono di più la nuova politica dell'URSS. Lo
stacco tra popolazione e governo diventa un abisso ma la reazione più
diffusa tra la gente è ancora la rassegnazione. Alla fine degli anni 80 la
DDR è, o almeno sembra, economicamente abbastanza forte,
l'apparato statale sembra indistruttibile e così nessuno può prevedere il
crollo verticale che nel 1989 sarebbe avvenuto in pochissimi mesi.

8.14 Il 1989 un anno drammatico

I cambiamenti democratici, le piccole rivoluzioni nell'economia e


nella politica in Polonia, in Ungheria e nell'Unione Sovietica
riempiono ogni giorno i giornali in tutta l'Europa, una notizia
sensazionale dall'Europa dell'est segue l'altra, solo nella DDR il tempo
sembra essersi fermato. Le elezioni amministrative del maggio del
1989 portano al solito risultato di 98% per i candidati ufficiali, ma la
falsificazione del risultato è più evidente che mai e la gente comincia a
ribellarsi. Le speranze in un cambiamento dello stato sono ancora
scarsissime ma molta gente adesso è impaziente. Visto che il tentativo
di lasciare la DDR in direzione ovest equivale ancora a un suicidio, la
gente si inventa altre strade. All'improvviso Praga, Varsavia e
Budapest diventano le città più amate da molta gente della DDR, ma
non per la bellezza dei loro monumenti, ma perché qualcuno aveva
capito che le ambasciate della Germania Federale in queste città sono
il territorio occidentale più facilmente accessibile. Nell'estate del 1989
comincia un assalto in massa a queste tre ambasciate che devono
ospitare migliaia di persone che erano stanche di vivere nella DDR.
Nel momento più critico l'ambasciata tedesca a Praga viene assalita da
più di diecimila persone che scavalcano le sue recinsioni e, una volta
dentro, non vogliono più uscire, se non in direzione Germania
dell'ovest. Ma il colpo decisivo all'esistenza della DDR avviene anche
questa volta in un modo del tutto insolito e inaspettato. L'Ungheria,
che è forse il paese più avanzato per quanto riguarda le riforme
democratiche fa un passo che porta in soli 2 mesi alla caduta del muro
di Berlino. Il 10 settembre, a mezzanotte, apre i suoi confini con
l'Austria. Decine di migliaia di tedeschi dell'est sono già affluiti in
Ungheria nei giorni precedenti in attesa di questo evento e le
immagini della gente che, ancora incredula e piangente, assiste alla
rimozione del filo spinato tra Ungheria e Austria fanno il giro del
mondo. Il governo della DDR ha disperatamente cercato di impedire
questa decisione, ma le prospettive di una migliore collaborazione con
l'ovest sono per gli ungheresi più importanti della solidarietà
111

ideologica con la DDR.


Non tutti vogliono o possono lasciare il paese in cui sono vissuti
e hanno lavorato per 40 anni. Mentre il flusso di persone che arriva
nella Germania dell'ovest attraverso l'Ungheria e l'Austria aumenta di
giorno in giorno, anche nella DDR crescono le proteste e la gente si fa
più coraggiosa. Ogni lunedì a Lipsia decine di migliaia di persone
manifestano contro il governo ed ogni lunedì erano più numerose.
Bisogna ricordarsi però che manifestare apertamente contro il governo
è ancora un rischio enorme. Tutte le esperienze precedenti nei paesi
dell'Europa dell'est sono finite nel sangue e in una repressione feroce.
I ricordi delle rivolte fallite nella DDR nel 53, in Ungheria e in
Polonia nel 1956, in Cecoslovacchia nel 68 e di nuovo in Polonia
nell'81 sono ancora freschi e nessuno sa come avrebbe reagito un
regime che sicuramente è già indebolito ma che ha ancora il pieno
controllo della polizia, dell'esercito e dell'intero apparato repressivo,
che nella DDR ha sempre funzionato molto bene. Nell'ottobre del
1989 gli eventi nella DDR precipitano.
Sotto la pressione delle manifestazioni di massa e del flusso
sempre crescente di persone che lasciavano il paese molte
amministrazioni comunali si sciolgono e vengono sostituite da organi
ai quali partecipano per la prima volta anche gruppi di opposizione.
Anche l'ultimo tentativo di salvare il salvabile, cioè il cambiamento
dei vertici del partito comunista e del governo non serve a nulla.
Quando la sera del 9 novembre un portavoce del governo della DDR
annuncia una riforma molto ampia della legge sui viaggi all'estero, la
gente di Berlino est lo interpreta a modo suo: il muro doveva sparire.
Ma il muro c'è ancora e i soldati che lo sorvegliavano in quella notte
non sanno come comportarsi. Migliaia di persone stanno all'est
davanti al muro, ancora sorvegliato dai soldati, ma migliaia di persone
stanno anche aspettando dall'altra parte del muro, all'ovest, con ansia e
preoccupazione. Nell'incredibile confusione di quella notte, qualcuno,
e ancora oggi non si sa esattamente chi sia stato, ha dato l'ordine ai
soldati di ritirarsi e, tra lacrime ed abbracci, migliaia di persone
dall'est e dall'ovest, scavalcando il muro, si incontrano per la prima
volta dopo 40 anni.

8.15 Annessione o riunificazione

Il muro è caduto ma esistono ancora due stati tedeschi, due stati


con sistemi politici ed economici completamente diversi. Le leggi, le
scuole, le università, tutta l'organizzazione della vita pubblica è
diversa. La riunificazione è di colpo diventata possibile, ma nelle
prime settimane dopo il 9 novembre dell'89 nessuno sa ancora come
112

realizzarla e quando. Molti credono e sperano di poter gestire un


periodo di avvicinamento reciproco dei due stati, molti sperono che la
nuova Germania riunita possa unire in se le esperienze positive dei
due stati, eliminando i loro lati negativi. Molti credono possibile una
"terza via" tra il socialismo e il capitalismo. Ma tutti, anche i più
ottimisti, prevedono un periodo di alcuni anni, in fondo le differenze
tra i due stati a livello pratico ed organizzativo sono abissali. Ma
ancora gli eventi stravolgono tutti i programmi e tutti i progetti, di cui
i primi mesi dopo la caduta del muro sono pieni.
Adesso la libertà tanto a lungo desiderata c'è, manca però il
benessere e la gente all'est non vuole più aspettare: infatti, dopo la
caduta del muro il flusso dall'est all'ovest non diminuisce, anzi
aumenta di colpo e di nuovo si pone il problema di un dissanguamento
dell'est, di nuovo sono soprattutto i giovani che vogliono tutto e lo
vogliono subito, e non fra dieci anni. "Se il marco non viene da noi,
saremo noi ad andare dov'è il marco" è uno degli slogan più gridati
contro quelli che chiedono pazienza. Dopo le prime elezioni libere nel
marzo del 90 la DDR ha finalmente un governo democraticamente
legittimato, ma la fiducia nel proprio stato sta scendendo a zero, nelle
amministrazioni comunali e regionali si diffondono insicurezza e uno
stato di quasi-anarchia, l'economia sta crollando verticalmente, la
disoccupazione aumenta di giorno in giorno. Nella DDR comincia a
regnare il caos. Già dopo pochi mesi la riunificazione non è più una
possibilità, ma una necessità, è diventata l'unico modo per fermare il
degrado dell'est. Ma riunire due stati non è così facile e nel caso della
Germania si deve considerare anche il fatto che la DDR fa ancora
parte di un sistema di sicurezza militare e di un'alleanza con l'Unione
Sovietica e che anche la Germania Federale a questo riguardo non può
agire senza il consenso degli ex-alleati della Seconda Guerra
Mondiale. Questo rende la riunificazione un problema non solo
nazionale ma internazionale e solo dopo trattative non facili tra Stati
Uniti, Unione Sovietica, Francia e Gran Britannia e dopo il "sì"
definitivo di Gorbaciov, la strada per la riunificazione è libera.
Il modo in cui alla fine i due stati vengono unificati è senz'altro
dettato più dalla fretta che da considerazioni ragionevoli, ma
probabilmente non c'è altra possibilità. Infatti, il 3 ottobre del 1990, i
due stati non vengono riuniti, ma uno dei due stati, cioè la DDR, si
auto-scioglie e le regioni della DDR vengono annesse in blocco alla
Repubblica Federale.
La Germania fu divisa nel 1949, ma i motivi per questo fatto
sono da ricercare anzitutto nella guerra che Hitler aveva scatenato e in
cui aveva trascinato quasi tutti i paesi più importanti del mondo che,
dopo la guerra, sentivano un comprensibile desiderio di non vedere
113

mai più una Germania così forte e distruttiva. La divisione della


Germania è quindi anche opera di Hitler. Il secondo motivo era la
Guerra fredda che era cominciata ancora prima che fosse finita quella
vera e che rendeva impossibile un accordo tra i due protagonisti, cioè
tra Stati Uniti e Unione Sovietica.
Anche l'aggravamento della divisione della Germania negli anni
50 e 60 è un risultato della situazione internazionale con responsabilità
da molte parti. La Germania stessa all'inizio era troppo debole per far
valere una propria voce, ma poi si legava anche le mani da sé con una
politica che si ostinava a non voler vedere la realtà dei fatti. La nuova
politica di distensione, iniziata da Willy Brandt negli anni 60 e 70
portò invece a grandi cambiamenti positivi dell'atmosfera
internazionale e a molti piccoli cambiamenti politici ed economici che
miglioravano i rapporti umani tra i tedeschi dell'est e dell'ovest.
Nessun politico dell'ovest può reclamare alcun merito concreto
per quanto riguarda gli eventi che portarono alla riunificazione. Tutti,
compreso il cancelliere Helmut Kohl, erano trascinati e travolti dai
fatti, Kohl ebbe solo la fortuna di essere cancelliere della Germania
quando si verificarono questi eventi, che né lui né qualcun altro poteva
influenzare in modo decisivo. Kohl ha avuto però il fiuto giusto per
scavalcare la valanga che si era messa in movimento senza nessuna
guida politica. L'unico uomo politico che, in realtà, ha contribuito a
iniziare e ad accelerare il processo della caduta del muro e della
riunificazione della Germania è stato Gorbaciov, che con la sua
politica ha reso possibile tutto quello che è successo. I tedeschi lo
sanno bene, e ancora oggi, Gorbaciov gode di una straordinaria
popolarità in Germania. Poi c'è stato il governo dell'Ungheria che
nell'agosto dell'89 prese la coraggiosa decisione di aprire i confini con
l'Austria e che diede così inizio a quella valanga inarrestabile che
portò in pochissimo tempo alla caduta del muro di Berlino. Un ruolo
molto importante e spesso trascurato hanno avuto i centinaia di
migliaia di cittadini sconosciuti che sfidarono, negli ultimi mesi prima
della caduta del muro, il regime della DDR, manifestando apertamente
contro il governo, rischiando anche la propria vita.
Oggi la Germania è ancora lontana dall'essere un paese
veramente unito. Era divisa per 40 anni, e non è del tutto escluso che
devono passare altri 40 anni prima che anche le ultime ferite del
passato siano chiuse e dimenticate.

9. 20 Anni dalla caduta del muro. La Germania è unita ?

Era la sera del 9 novembre 1989. Da una parte e dall’altra del


114

muro, a Berlino, la tensione era palpabile, le emozioni intense. Nella


parte ovest migliaia di cittadini si erano già riuniti in prossimità del
muro; nella parte est altrettanti cittadini attendevano impazienti un
segnale, quanto più possibile vicini a quello stesso muro, ma per loro
sempre troppo lontano, inavvicinabile e ben protetto dai terribili
Vopos, i poliziotti dell’est, e dall’efficiente sistema di difesa.
Finalmente succede qualcosa. Si diffonde il comunicato appena letto
dal portavoce del governo della DDR: “È possibile fare richiesta di
espatrio ... a partire da subito ... da tutti i posti di frontiera di Berlino
Ovest.” È il segnale tanto atteso. La massa dell’est si precipita verso il
muro, si dirige verso i numerosi poliziotti che si ritirano perplessi, i
primi che raggiungono il muro cercano di scavalcarlo, aiutati dai
cittadini dell’ovest, già in piedi sopra il muro ad attenderli. Il muro è
praticamente già caduto..... Sembra l’inizio di una bella fiaba. In realtà
è l’inizio di una fine: la fine di una dittatura, ma soprattutto, per la
Germania, la fine della lacerante divisione di un popolo durata più di
quaranta anni. Chi era a Berlino in quel periodo ricorderà sempre con
emozione l’atmosfera di gioia e di stupore che regnava in tutta la città.
Appena una settimana dopo l’abbiamo respirata anche noi, docenti e
studenti del Da Vinci1 , passando giorni indimenticabili a camminare
per le vie di Berlino con la sensazione di essere testimoni di un evento
importante, a picconare con fatica le pareti di cemento del muro, ad
applaudire i cittadini dell’est che attraversavano il primo varco nella
Potsdamer Platz a piedi e sulle loro buffe Trabant. Ma si respirava
anche aria di attesa, di tensione. L’apertura del muro era infatti solo il
primo passo verso la riunificazione. Riunire due Stati non è certo cosa
facile. Nel caso della Germania significava mettere in discussione
l’assetto politico mondiale costruito e consolidatosi a partire dalla fine
della guerra. Inizialmente, dopo la “caduta del muro”, la riunificazione
era solo un possibilità remota, ma ben presto divenne una necessità,
sulla spinta di un immenso flusso migratorio che riprendeva quel
flusso che era stato la causa della costruzione del muro nel 1961. E
così, poco meno di un anno dopo, grazie alla svolta politica di
Gorbaciov che aveva portato di fatto alla fine della “guerra fredda”, fu
sancita la riunificazione della Germania: il 3 ottobre 1990.
Quest’anno, il 2009, la Germania celebra il ventennale della caduta
del muro. Durante l'intero corso dell'anno a Berlino si terranno
numerosi eventi: mostre, commemorazioni, avvenimenti culturali.
Con la Legge n. 61 del 2005 il Parlamento italiano ha dichiarato “il 9
novembre Giorno della Libertà, quale ricorrenza dell’abbattimento del
muro di Berlino, evento simbolo per la liberazione di paesi oppressi e
auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al
totalitarismo.” In occasione di questo anniversario vengono
115

organizzate abitualmente cerimonie commemorative e momenti di


approfondimento nelle scuole e nei centri culturali. Quest’anno, per il
ventennale, le manifestazioni si moltiplicano. Per festeggiare la
ricorrenza in Germania si stanno pubblicando o ri-pubblicando
numerosi testi e documentazioni sulla storia della ex DDR, ai quali si
aggiungono molti links in internet. Fluter, la rivista per giovani
pubblicata a scadenza trimestrale dalla “Bundeszentrale für politische
Bildung” (Centrale federale per la formazione politica) ha dedicato un
intero numero alla storia della DDR “prima e dopo la caduta del
muro”. La ricorrenza non è solo occasione per festeggiare, ma anche
per riflettere sui problemi rimasti irrisolti nella nazione tedesca.
Nell’introduzione di Thorsten Schilling si legge:

La cosa migliore della DDR è stata la sua fine. Una rivoluzione


complessivamente pacifica. Nello spazio di pochi mesi migliaia di
persone coraggiose hanno sfruttato la debolezza dell’impero sovietico
e del proprio stato, hanno fondato organizzazioni e partiti, sono andati
nelle strade e hanno fatto crollare il castello di carte. Le settimane che
precedono e che seguono la caduta del muro di Berlino sono fra le più
felici della storia tedesca. “Wahnsinn!” “(pazzesco”, “incredibile”) era
il grido che echeggiava in quei giorni storici. La rivoluzione ha
assunto vari nomi: 89, caduta del muro, riunificazione, svolta. È
soprattutto il termine “svolta” (“Wende”) che si è imposto nel
linguaggio comune, perché meglio di altri riesce a trasmettere il
radicale cambiamento avvenuto nella storia personale di milioni di
persone. Si tratta infatti di una “svolta”, perché la storia della DDR
non è finita con la rivoluzione del 1989. La DDR continua. A 20 anni
dalla sua fine, per milioni di persone il paese è ancora presente non
solo come luogo di vita vissuta, ma anche come confronto con il
presente, come condizionamento della propria mentalità, come
superficie di proiezione sia all’est che all’ovest. La Germania riunita è
sotto molti aspetti un paese con due società; la via per “il compimento
dell’unità” è più lungo del previsto.

Nonostante siano trascorsi 20 anni e ci sia in Germania un’intera


generazione che non ha nessuna memoria o esperienza personale della
divisione e del muro, sembra che un residuo di quel muro sia rimasto
nella testa di molti suoi cittadini. Lo rivela un recentissimo sondaggio
compiuto dall'Istituto Forsa per il quotidiano Berliner Zeitung.
L’euforia scatenata dal crollo del muro è svanita. Le speranze
alimentate dal cancelliere Kohl, che prometteva in breve tempo
“blühende Landschaften”, “paesaggi fiorenti”, sono rimaste deluse.
Nell'anno dei tre grandi anniversari storici, come il ventennale della
caduta del Muro di Berlino e il sessantesimo della fondazione dei due
Stati tedeschi (la Repubblica Federale il 24 maggio 1949 e la DDR il 7
116

ottobre 1949), un’ampia maggioranza dei tedeschi guarda con


profonda delusione ai risultati prodotti dalla riunificazione del Paese.
Mentre nel 1989 il 71 per cento dei tedeschi dell'est era convinto di un
miglioramento della propria situazione economica dopo la
riunificazione, la percentuale attuale di soddisfatti è crollata al 46 per
cento. All'ovest l’insoddisfazione è ancora maggiore, con il 40 per
cento, rispetto al 52 per cento di chi venti anni fa vedeva il proprio
futuro con ottimismo. Un tedesco dell'est su quattro è anche convinto
che nella DDR si viveva meglio che nella Germania riunificata, e solo
il 39 per cento degli "Ossis"3 dichiara di aver guadagnato nel processo
storico avviato venti anni fa. Addirittura due terzi dei tedeschi dell'est
sono convinti che nel sistema democratico attuale non c'è giustizia
sociale, opinione condivisa anche dal 59 per cento dei "Wessis". Il 67
per cento all’est e il 53 per cento ad ovest si dice insoddisfatto
dell'attuale sistema politico. Manfred Güllner, direttore dell’istituto
“Forsa”, interpreta la delusione dei tedeschi per come si è sviluppato il
processo di riunificazione come un “consolidamento di pregiudizi". I
tedeschi dell'est si considerano sfruttati e ingannati e sono convinti che
i miliardi affluiti all'est per la ricostruzione siano finiti nelle tasche dei
'Wessis' arrivati nei nuovi Länder4 per fare affari. Ben il 64% dei
cittadini dell’est si sente “cittadino di seconda classe”. Da parte loro i
tedeschi dell’ovest, che da 19 anni continuano a versare il 5,5 per
cento del loro salario lordo per la ricostruzione dell'est, sono ”convinti
di mantenere” i concittadini dell’est e di impoverirsi per questo. È
sconfortante notare che dal sondaggio non emergono elementi positivi
e che le aspettative per i prossimi anni sono dominate più dalle paure
che dalle speranze. Forse le commemorazioni per i 20 anni dalla
caduta del muro possono offrire ai cittadini tedeschi anche l’occasione
per riflettere sulle condizioni sociali del loro paese e per collaborare
con maggiore fiducia reciproca alla risoluzione dei problemi comuni.
117

APPENDICE

Il muro di Berlino

La divisione della Germania

Già nel 1945, appena finita la seconda guerra mondiale scoppiò


la Guerra Fredda tra Unione Sovietica e Stati Uniti e la Germania fu il
territorio di questa guerra che si sarebbe trascinata in forme più o
meno aspre fino agli anni ottanta.
La Germania era occupata dai vincitori della guerra e divisa in
quattro zone. L'Unione Sovietica cominciò immediatamente a
ricostruire la "sua" parte della Germania secondo i propri piani.
Durante la guerra aveva pagato il prezzo più alto in vite umane e
risorse economiche e ora chiese un risarcimento altissimo alla
Germania: intere fabbriche, tra cui quelle più importanti, furono
portate in Russia, ingenti quantità di materie prime furono pretese per
anni come pagamento dei danni della guerra. Ma in questa maniera
Stalin si creò molti nemici in Germania, compromettendo molto
l'immagine dei russi come "liberatori dal nazismo".
Gli americani invece avevano capito che in questa Guerra
Fredda avevano bisogno di alleati in Germania affinché diventasse
l'avamposto contro l'Unione Sovietica. Quasi subito cominciarono ad
organizzare aiuti per la Germania. Decine di migliaia di pacchi "Care"
118

con generi alimentari, medicine e vestiti arrivarono in Germania nei


primi anni del dopoguerra. Ancor più che un aiuto materiale era un
segnale politico e psicologico: gli americani, dopo essere stati nemici
dei tedeschi volevano dimostrare di essere adesso loro amici. Fin
dall'inizio gli americani cercarono di unire la loro zona a quelle
occupate da inglesi e francesi, con l'intenzione di rafforzare la propria
posizione contro la zona occupata dai russi.
Già pochi mesi dopo la fine della guerra la divisione della
Germania era diventata praticamente inevitabile, anche se dovevano
passare ancora 4 anni fino alla definitiva separazione nel 1949. In
realtà, tranne la maggioranza dei tedeschi stessi, nessuno voleva
veramente una Germania unita, nonostante le parole contrarie di tutti
gli alleati.
In fondo, la divisione accontentò un po' tutti, a parte
naturalmente i tedeschi, e creò meno problemi nella gestione della
Germania vinta. La Germania era diventata oggetto della Guerra
Fredda e non aveva ancora né la forza, né la reale possibilità di
sottrarsi al dominio e alla concorrenza delle due superpotenze USA e
URSS.

Le due Germanie

La "DDR" (Deutsche Demokratische Republik" - Repubblica


Democartica Tedesca) all'est stava sotto l'influenza dell'Unione
Sovietica e la "BRD" ("Bundesrepublik Deutschland" - Repubblica
Federale della Germania) all'ovest, sotto l'influenza degli Stati Uniti.
Sul piano economico la Germania occidentale visse negli anni 50 un
fortissimo boom, erano gli anni del cosiddetto "Wirtschaftswunder"
(miracolo economico). Aiutata all'inizio dai soldi americani, la
Germania Federale riuscì in breve tempo a diventare nuovamente una
nazione rispettata per la sua forza economica.
La parte orientale faceva molto più fatica a riprendersi: era
svantaggiata all'inizio per le pesanti richieste economiche fatte
dall'Unione Sovietica per riparare i danni subiti nella guerra e per la
mancanza di aiuti paragonabili a quelli che riceveva la parte
occidentale. Inoltre la rigida struttura di pianificazione nazionale
dell'economia non favorì lo stesso sviluppo come nella parte
occidentale del paese. Più i due paesi si stabilivano al livello politico,
più si facevano sentire le differenze per quanto riguarda lo standard di
vita.
In quegli anni il confine tra est ed ovest non era ancora
119

insuperabile e per tutti gli anni '50 centinaia di migliaia di persone


fuggivano ogni anno dall'est all'ovest, per la maggior parte erano
giovani con meno di 30 anni e spesso persone con una buona
formazione professionale, laureati, operai specializzati e artigiani, che
all'ovest si aspettavano un futuro più redditizio e più libero. Questo
continuo dissanguamento stava diventando un serio pericolo per la
Germania dell'est ed era un'ulteriore causa delle difficoltà economiche
di questo stato.

Il muro (1961)

Nelle prime ore del 13 agosto del 1961 le unità armate della
Germania dell'est interruppero tutti i collegamenti tra Berlino est e
ovest e iniziavano a costruire, davanti agli occhi esterrefatti degli
abitanti di tutte e due le parti, un muro insuperabile che avrebbe
attraversato tutta la città, che avrebbe diviso le famiglie in due e
tagliato la strada tra casa e posto di lavoro, scuola e università. Non
solo a Berlino ma in tutta la Germania il confine tra est ed ovest
diventò una trappola mortale. I soldati della DDR ricevettero l'ordine
di sparare su tutti quelli che cercavano di attraversare la zona di
confine che con gli anni fu attrezzata con dei macchinari sempre più
terrificanti, con mine anti-uomo, filo spinato alimentato con corrente
ad alta tensione, e addirittura con degli impianti che sparavano
automaticamente su tutto quello che si muoveva nella cosiddetta
"striscia della morte".

Bloccato quasi completamente il dissanguamento economico dello


stato, negli anni 60 e 70 la DDR visse anch'essa un boom economico.
Tra gli stati dell'est diventò la nazione economicamente più forte e i
tedeschi, sia all'est che all'ovest, cominciarono a rassegnarsi alla
divisione. Di riunificazione si parlava sempre meno e solo durante le
commemorazioni e le feste nazionali.

L’est comincia a cambiare

Quello che infine, per la grande sorpresa di tutti e nel giro di


pochissimo tempo portò alla riunificazione furono due fattori: l'arrivo
di Gorbaciov come leader dell'Unione Sovietica e le crescenti
difficoltà politiche ed economiche dei paesi dell'est e specialmente
della DDR. Con la "Perestrojka", un'insieme di riforme politico-sociali
ed economiche e con la "Glasnost", che doveva portare alla
trasparenza politica, Gorbaciov cominciò a cambiare strada. Decisivo
per gli eventi che portarono infine alla caduta del muro fu invece la
120

decisione di Gorbaciov di lasciare libertà agli altri paesi del Patto di


Varsavia promettendo di non intromettersi più nei loro affari interni.

9 Novembre 1989

I dirigenti della DDR videro questo processo prima con un certo


imbarazzo e poi con crescente resistenza. In Polonia e in Ungheria,
dove la crisi economica e le spinte per una riforma erano più forti, la
politica di Gorbaciov trovò invece più amici anche tra i governanti.
Più arrivavano dall'URSS e dagli altri stati dell'est notizie di riforme
economiche e democratiche, e più la popolazione della DDR chiedeva
di fare lo stesso nel loro paese, più i leader della DDR si chiudevano a
ogni richiesta del genere. Lo stacco tra popolazione e governo diventò
un abisso ma la reazione più diffusa tra la gente era ancora la
rassegnazione. Alla fine degli anni 80 la DDR era, o almeno
sembrava, economicamente abbastanza forte, l'apparato statale
sembrava indistruttibile e così nessuno poteva prevedere il crollo
verticale che nel 1989 sarebbe avvenuto in pochissimi mesi.
Ogni tentativo di lasciare la DDR in direzione ovest equivaleva
ancora a un suicidio, ma nell'estate del '89 la gente della DDR trovò
un'altra via di fuga: erano le ambasciate della Germania Federale a
Praga, Varsavia e Budapest il territorio occidentale dove si poteva
arrivare molto più facilmente!
Cominciò un assalto in massa a queste tre ambasciate che
dovevano ospitare migliaia di persone stanche di vivere nella DDR.
Ma il colpo di grazia all'esistenza della DDR arrivò quando
l'Ungheria, il 10 settembre del 1989, aprì i suoi confini con l'Austria.
Ora, la strada dalla Germania dell'est all'ovest (attraverso l'Ungheria e
l'Austria) era libera!
Mentre il flusso di persone che arrivò nella Germania dell'ovest
attraverso l'Ungheria e l'Austria aumentò di giorno in giorno, anche
nella DDR crescevano le proteste e la gente si fece più coraggiosa.
Ogni lunedì a Lipsia decine di migliaia di persone manifestavano
contro il governo ed ogni lunedì le manifestazioni erano più affollate -
anche se manifestare apertamente contro il governo era ancora un
rischio enorme dato che il regime aveva ancora il pieno controllo della
polizia, dell'esercito, dei servizi segreti e dell'intero apparato
repressivo.
Ma anche l'ultimo tentativo da parte del governo della DDR di
salvare il salvabile, cioè il cambiamento dei vertici del partito
comunista e del governo non servì a nulla. Quando la sera del 9
novembre un portavoce del governo della DDR annunciò una riforma
piuttosto ampia della legge sui viaggi all'estero, la gente di Berlino est
121

lo interpretò a modo suo: il muro doveva sparire subito. Migliaia di


persone si riunivano all'est davanti al muro, ancora sorvegliato dai
soldati, ma migliaia di persone stavano anche aspettando dall'altra
parte del muro, all'ovest, con ansia e preoccupazione. Nell'incredibile
confusione di quella notte, qualcuno, e ancora oggi non si sa
esattamente chi sia stato, dette l'ordine ai soldati dei posti di blocco di
ritirarsi e, tra lacrime ed abbracci, migliaia di persone dall'est e
dall'ovest, scavalcando il muro, si incontravano per la prima volta
dopo 29 anni.

3 Ottobre 1990. La riunificazione della Germania

Il muro era caduto ma esistevano ancora due stati tedeschi, due


stati con sistemi politici ed economici completamente diversi. Le
leggi, le scuole, le università, tutta l'organizzazione della vita pubblica
era diversa. La riunificazione era di colpo diventata possibile, ma nelle
prime settimane dopo il 9 novembre dell'89 nessuno sapeva ancora
come realizzarla e in quanto tempo. Tutti, anche i più ottimisti,
prevedevano un periodo di alcuni anni, ma ancora gli eventi
stravolsero tutti i progetti.
Adesso la libertà tanto a lungo desiderata c'era, mancava però il
benessere e la gente all'est non voleva più aspettare: infatti, dopo la
caduta del muro il flusso dall'est all'ovest non diminuì, anzi aumentò
di colpo e di nuovo si poneva il problema di un dissanguamento
dell'est, di nuovo erano soprattutto i giovani che volevano tutto e lo
volevano subito, e non fra dieci anni. "Se il marco non viene da noi,
saremo noi ad andare dov'è il marco" era uno degli slogan più gridati
contro quelli che chiedevano pazienza.
Nella DDR cominciò a regnare il caos. Già dopo pochi mesi la
riunificazione non era più una possibilità, ma una necessità, era
diventata l'unico modo per poter fermare il degrado amministrativo e
politico all'est. Ma riunire due stati non è così facile e nel caso della
Germania si doveva considerare anche il fatto che la DDR faceva
ancora parte di un sistema di sicurezza militare con l'Unione Sovietica
e che anche la Germania Federale non poteva agire senza il consenso
degli ex-alleati della Seconda Guerra Mondiale. Questo rendeva la
riunificazione un problema internazionale e solo dopo trattative non
facili tra Stati Uniti, Unione Sovietica, Francia e Gran Britannia e
dopo il "sì" definitivo di Gorbaciov, la strada per la riunificazione era
libera.
Il modo in cui alla fine i due stati vennero unificati era senz'altro
dettato più dalla fretta che da considerazioni ragionevoli, ma
probabilmente non c'era altra possibilità. Infatti, il 3 ottobre del 1990,
122

i due stati non vengono riuniti, ma uno dei due stati, cioè la DDR, si
sciolse e terminò ad esistere e le regioni della DDR vennero annesse
in blocco alla Repubblica Federale.

Conclusioni

Nessun politico dell'ovest può reclamare un merito decisivo per


quanto riguarda gli eventi che portarono alla riunificazione. Tutti,
compreso il cancelliere Helmut Kohl, erano trascinati e travolti dai
fatti, Kohl ebbe solo la fortuna di essere cancelliere della Germania
quando si verificarono questi eventi. Kohl ha comunque avuto il fiuto
giusto di scavalcare la valanga che si era messa in movimento senza
nessuna guida politica. L'unico uomo politico che, in realtà, ha
contribuito in modo decisivo a iniziare e ad accelerare il processo
della caduta del muro è stato Gorbaciov, che con la sua politica ha
reso possibile tutto quello che è successo. I tedeschi lo sanno bene, e
ancora oggi, Gorbaciov gode di una straordinaria popolarità in
Germania.
Poi c'è stato il governo dell'Ungheria che nell'agosto dell'89 prese
la coraggiosa decisione di aprire i confini con l'Austria e che diede
così inizio a quella valanga inarrestabile che portò in pochissimo
tempo alla caduta del muro di Berlino.
Un ruolo molto importante e spesso trascurato hanno avuto anche
i centinaia di migliaia di cittadini della Germania dell'est che
sfidarono, nei mesi prima della caduta del muro, l'apparato statale
della DDR, rischiando anche la propria vita.
Oggi la Germania è ancora lontana dall'essere un paese
veramente unito. Era divisa per 40 anni, e non è del tutto escluso che
devono passare altri 40 anni prima che anche le ferite del passato
siano chiuse.
KONRAD ADENAUER

La sua carriera politica fino al 1945

Konrad Adenauer nacque a Colonia il 5 gennaio 1876 da una


famiglia cattolica. Fin da giovane entrò nella politica tedesca da
protagonista e divenne uno dei massimi dirigenti del partito cattolico
dello "Zentrum" fino a ricoprire, dal 1917 prima dell'avvento dei
nazisti, la prestigiosa carica di borgomastro della sua città natale.
Fu estraneo e avversario del nazismo e, dopo il collasso del III
Reich, tornò a ricoprire l'antica carica di sindaco di Colonia, ma fu in
urto con l'amministrazione alleata (nello specifico con gli inglesi) che,
dopo averlo duramente e ripetutamente accusato di incompetenza, lo
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costrinsero alle dimissioni.

Adenauer diventa cancelliere della Germania Federale

Dal 1945 al 1949 fu uno dei massimi artefici della unificazione


dei vari gruppi conservatori e cristiano-democratici nati nella
Germania occidentale: nacque così la Unione Cristiano-democratica
(CDU) che, associata alla consorella bavarese Unione Cristiano-
Sociale (CSU) diede origine alla coalizione di ispirazione
democratico-cristiana CDU-CSU di cui fin dal 1949 Konrad Adenauer
fu presidente e leader indiscusso.
Nel 1948 cominciò, con altri esponenti della corrente politica
democristiana europea (l'italiano Alcide De Gasperi e il francese
Robert Schuman in primis) dell'inizio del processo di realizzazione di
progetti di cooperazione europea da cui nasceranno prima il Mercato
Comune Europeo (MEC), poi la Comunità Economica Europea (CEE)
ed, infine, l'Unione Europea (UE) con la sua moneta unica Euro
(2002).
Sempre nel 1948 fu presidente del Consiglio parlamentare e,
dopo le elezioni del 1949 che videro il suo partito vincitore,
Cancelliere della Repubblica Federale Tedesca (Rft). Portò avanti una
politica anticomunista, europeista legata al mondo atlantico, agli Stati
Uniti d'America ed al resto dell'occidente.
Dal 1951 al 1957 fu anche Ministro degli esteri e riuscì a
riportare la Germania occidentale nel "salotto buono" delle
democrazie occidentali e delle nazioni rispettabili.
Nel 1957 ci fu il trionfo elettorale del Cancelliere, di quest'uomo,
che, con il suo Ministro dell'Economia Ludwig Erhard, aveva dato il
via alla ricostruzione ed ad un forte sviluppo dell'economia tedesca
che, grazie alla cosiddetta "economia sociale di mercato" (la
definizione è di Erhard), in pochi anni tornò ad essere una potenza
economica mondiale superando le difficoltà seguite alla sconfitta ed
all'onta della sconfitta subita.

Il declino

Alle citate elezioni del 1957 la CDU-CSU ottiene la maggioranza


assoluta dei suffragi e dei seggi al Parlamento, ma la Germania creata
del "cancelliere di ferro" ha seri limiti nella carenza di spazi di
discussione e di democrazia interna e nei rapporti di politica estera
con i paesi dell'Europa orientali governati da regimi comunisti e, in
particolare, con i fratelli tedeschi che vivono al di là dell'Elba nella
Repubblica Democratica Tedesca (DDR).
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La dottrina Hallestain (dal nome del sottosegretario agli Esteri


tedesco che la teorizzò), fatta propria dai governi Adenauer, prevedeva
pochi rapporti con l'Est e, soprattutto che l'unico stato autorizzato a
rappresentare gli interessi del popolo tedesco fosse la Germania
federale, togliendo così ogni dignità ed ogni rilevanza politica alla
Germania democratica.
Ma i tempi erano cambiati ed erano maturi per una nuova linea di
politica, sia estera, sia interna: la necessità di costituire una nuova
coalizione di governo con i liberali della FDP nel 1963 fece si che nel
1963, dopo 14 anni di ininterrotto governo, Konrad Adenauer fosse
costretto a dimettersi ed a lasciare la cancelleria, pur continuando a
rimanere Presidente della CDU.

WILLY BRANDT

L’inizio della suac carriera politica

Terminata la guerra torna in Germania come giornalista


accreditato per il processo di Norimberga. Riprende la cittadinanza
tedesca e inizia la sua carriera politica nella rinata SPD. Fu membro
del Senato berlinese e deputato al Parlamento federale fino al 1957
anno in cui divenne borgomastro di Berlino Ovest. Fu proprio da
questa carica che nel 1961 denunciò e condannò la barbaria
rappresentata dall’erezione del famigerato Muro di Berlino.
Nel 1958 comincia una rapida carriera nel suo partito che lo
porterà in breve tempo ai vertici della socialdemocrazia tedesca: prima
Presidente della SPD di Berlino Ovest (1958) e poi in tutta la
Germania federale (1963).
Nel 1966 porta i socialdemocratici al governo con gli eterni rivali
della CDU-CSU formando una Große Koalition (Grande
Coalizione) presieduto dal democristiano Kurt Georg Kiesinger in
cui Brandt è Vicecancelliere e Ministro degli Esteri. Comincia una
nuova era di politica estera per la Germania federale: dialogo e poi
riconoscimento dei Paesi dell’Est (compresa la DDR) ed in particolare
con la Polonia (definitiva rinuncia ad ogni rivendicazione tedesca oltre
il confine polacco-tedesco dell’Oder-Neiße.
La nuova politica estera (nota come Ostpolitik) continua dopo le
elezioni del 1969 quando, dopo un balzo in avanti della SPD, Brandt
diventa cancelliere federale formando un governo che, basandosi su
di una coalizione tra la SPD ed i liberali della FDP di Walter
Scheel (divenuto Ministro degli Esteri), manda all’opposizione la
CDU-CSU dopo oltre vent’anni di governo ininterrotto.
Nel 1971 Willy Brandt viene insignito del Premio Nobel per la
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Pace (per leggere il discorso che Brandt tenne in occasione del


conferimento del premio vedi il sito ufficiale del comitato per il
premio Nobel: www.nobelprize.org/prizes/peace/1971/brandt/).
Nel 1974 un suo stretto collaboratore, Günter Guillaume, viene
arrestato in quanto spia della "Stasi", la potente polizia segreta della
DDR. Brandt è costretto alle dimissioni (gli subentrerà il compagno di
partito Helmut Schmidt a capo sempre di una “piccola coalizione”
SPD-FDP). L’ex cancelliere, che con la sua attività ha posto i
presupposti per la pace in Europa e per la futura riunificazione tra le
due Germanie, diventa Presidente della SPD e dell’Internazionale
Socialista. Si dimise dalla Presidenza della SPD per contrasti interni al
partito nel 1987 ed è morto nel 1992.
Probabilmente il gesto più significativo della sua cancelleria lo
compì nel 1970 recandosi a Varsavia, in visita al ghetto, una foto che
fece il giro del mondo (vedi sopra). Il giornalista italiano Enzo
Biagi scrisse a proposito: "È il 7 dicembre. Brandt va nella piazza in
cui tra le grigie case popolari, sorge il monumento agli eroi del ghetto
ebreo, e si inginocchia chinando il capo. È in quel momento, il
cancelliere che assume su di sé la colpa d’un passato di cui non è
colpevole." (Enzo Biagi, Cento Anni, Rizzoli, Milano 1993).

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