Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Venite o volontari
dell'armata aretina
a voi la patria grata
gli allori preparò
Viva Gesù e Maria
l'Imperatore evviva i
Torni Fernando in riva
dell'Arno a dominar
dell'Arno a dominar!
Signore illuminate
i ciechi partitanti
fate che ognuno canti
"Muoia la libertà"
Inno delle armate sanfediste toscane capeggiate dai marchesi Inghirami, che
spadroneggiarono nel Valdarno superiore, nel Casentino e nelle Maremme fino ad
occupare per ben 5 giorni Livorno (poi ceduta agli Austriaci) nel 1799. A Monte San Savino
se la presero con gli Ebrei; a Siena ne uccisero 13 nel pogrom che saccheggiò il ghetto;
alcuni furono bruciati in Piazza del Campo, non si sa se ancor vivi o già uccisi
Marcello, Francesco e Curzio sono i tre fratelli Inghirami del Viva Maria tra il 1797 ed il
1801;
Niccolò, console d'Austria-Ungheria, figlio di Marcello, paga con la vita la sua difesa del
Crenneville, nel 1869 a Livorno, pugnalato a morte dalla congiura ordita da Sgarallino e
Dodoli, i vendicatori.
Francesco INGHIRAMI (1772-1846)
Storico e archeologo. Nato a Volterra il 22 ottobre 1772 dal cav. Niccolò del cav. Curzio
Ottaviano Inghirami e da Lidia del marchese Marcello Venuti di Cortona, ebbe due sorelle
e cinque fratelli tra i quali si distinsero in particolar modo Giovanni, astronomo e geodeta
di fama internazionale, e Marcello, primo animatore della lavorazione industriale e della
commercializzazione dell’alabastro. Avviato allo studio nel collegio volterrano delle Scuole
Pie in S. Michele, ne uscì nel 1785 (ovvero un anno prima che vi entrasse il fratello minore
Giovanni) e fu quindi indirizzato, quindicenne, alla carriera militare in quanto suo padre
individuava in lui il successore del famoso antenato Iacopo, ammiraglio stefaniano e gloria
militare della famiglia. A tale scopo fu inviato a Malta perché fosse iscritto all’Ordine
Gerosolimitano. Qui ebbe occasione di conoscere il re di Napoli che egli scortò in più d’un
viaggio per mare e che lo chiamò a far parte del reggimento dei cadetti reali di stanza nel
capoluogo partenopeo. A Napoli fu ospitato dallo zio materno Domenico Venuti, che vi
ricopriva l’incarico di direttore della fabbrica delle porcellane e del Museo Farnese e che
gli fornì dunque l’occasione di studiare gli antichi monumenti rafforzando così la sua
genuina e originaria passione per le belle arti e per l’archeologia a tal punto da destare in
lui il desiderio di abbandonare le armi e di dedicarsi completamente allo studio. A seguito
di tale scelta si applicò dunque a studiare indefessamente i volumi della biblioteca del
marchese Borio e a disegnare i monumenti del Museo Farnese compilando alcuni scritti
(1790) che gli procurarono una buona reputazione di archeologo e la nomina ad
intendente generale degli scavi d’antichità nel Regno di Napoli. Come tale si guadagnò a
tal punto la stima del sovrano che questi lo volle premiare con l’omaggio di una
tabacchiera d’oro. Nel 1791 lo troviamo a Firenze dove sotto la guida del Lanzi,
etruscologo di fama europea, si applicò con passione al disegno e all’archeologia. Rientrato
a Volterra a causa della sua salute malferma, partecipò assieme ai fratelli Marcello e
Curzio ai moti antifrancesi del 1799 e, col grado di capitano della cavalleria del litorale
toscano, ebbe l’incarico di condurre a Pisa 700 prigionieri napoleonici catturati
nell’avanzata sulla costa dal piccolo ma combattivo esercito volterrano. Trasferitosi a Pisa
presso l’amico Filippo Hackert per apprendere da lui la pittura di paesaggio, su preghiera
del fratello celebrò i successi conseguiti nelle azioni militari di quell’anno nell’operetta
Relazione officiale delle imprese fatte dalle armi volterrane nel littorale toscano (Livorno, presso
G.D. Giorgi, 1799) con la quale intese glorificare le azioni delle armi volterrane. Questi
avvenimenti militari rappresentarono tuttavia solo una breve parentesi poiché egli era
ormai indirizzato unicamente verso le sue due grandi passioni: l’archeologia e il disegno.
Si dedicò così alacremente allo studio dei reperti conservati nel Museo Etrusco di Volterra
con l’idea di trame una pubblicazione. Con tale scopo viaggiò per tutta Italia, visitando in
particolare la Sicilia e Roma e giunto a Firenze vi si fermò per perfezionarsi nello studio
del disegno e dell’incisione in rame presso l’Accademia di Belle Arti. Qui entrò in contatto
con studiosi ed artisti e in compagnia dell’amico Filippo Hackert intraprese alcuni viaggi
pittorici nelle campagne toscane. Tornato a Volterra per realizzare finalmente il suo lavoro
sui monumenti etruschi, nel 1810 fu nominato Prefetto e Bibliotecario del Museo
Guarnacci in sostituzione del defunto dotto Giuseppe Cailli che era succeduto nel 1805
all’abate Ballani. In tale mansione (che coprì fino al 1815) l’Inghirami prese l’iniziativa di
formare un comitato con lo scopo di pubblicare le migliori 200 urne esistenti in Volterra
(anticipando così l’opera del Brunn e del Korte), ma per la deficienza dei mezzi a
disposizione e anche per l’incuria di dei alcuni promotori dovette rinunciare all’impresa. Il
materiale che intanto aveva disegnato e inciso trovò poi il modo di utilizzarlo nelle sue
pubblicazioni successive e in particolare nei Monumenti Etruschi. Tramontato così il suo
progetto volterrano, nel 1811 l’Inghirami passò a Firenze per raccogliere i disegni dei
monumenti presenti in gallerie pubbliche e private e in quella circostanza si prodigò anche
nella pittura di alcune tele teatrali guadagnandosi una fama di valente scenografo. In
questo periodo pubblicò l’opera Osservazioni sopra i monumenti antichi uniti all’opera l’Italia
avanti il dominio dei Romani (1811) in cui criticò lo scritto pubblicato poco tempo prima da
Giuseppe Micali suscitando grande consenso sia in Italia che in Francia. Nominato in
quello stesso periodo Conservatore della Badia Fiesolana di S. Domenico, fu quindi
chiamato dal granduca Ferdinando III a ricoprire anche l’incarico di Bibliotecario della
Marucelliana: frutto degli studi di quegli anni furono le opere Descrizione dell’I. e R. Palazzo
Pitti e Lettera sopra un bronzo etrusco che furono accolte con grande favore dal pubblico
degli studiosi coevi. Stimolato da tali successi si decise finalmente a pubblicare i risultati
dei suoi prolungati studi sui monumenti etruschi, ma ben consapevole della estrema cura
personale di cui necessitava l’opera, ottenne nel 1819 la facoltà di aprire e dirigere una
tipografia presso la Badia di S. Domenico in cui risiedeva, segnando così la nascita della
celebre Poligrafia Fiesolana (che ebbe in seguito tra i suoi allievi anche il tipografo
“volterrano” Benedetto Sborgi). Dopo una lunga gestazione vide così finalmente la luce
nel periodo 1821-1826 la monumentale opera Monumenti etruschi che fu accolta in termini
estremamente lusinghieri ed alla quale seguì nel 1831 la pubblicazione della Galleria
Omerica, commento pittorico dell’Iliade e dell’Odissea, e quindi la stampa delle opere
Etrusco Museo Chiusino (1833), Pitture di vasi fittili (1835) e Memorie per servir di guida
all’osservatore in Fiesole (1839). In virtù della notevole reputazione acquisita fu accolto in
numerose accademie letterarie scientifiche ed artistiche (l’Archeologica di Roma,
l’Ercolanese di Napoli, la Regia di Torino, quella dei Georgofili, quella delle Belle Arti e
quella della Colombaria di Firenze). Studioso infaticabile, nel 1845, ormai settentatreenne,
dette alle stampe dopo anni di indefesso lavoro una monumentale Storia della Toscana in 16
volumi integrata da un atlante illustrativo nella quale trasferì i risultati delle sue
scrupolose ricerche sulle complesse vicende storiche regionali: fu questa l’ultima fatica di
una vita interamente dedicata allo studio ed alla diffusione della cultura. Divenuto ormai
infermo, si spense a Firenze il 17 maggio 1846 e fu tumulato nelle Logge di S. Domenico.
Nel prezioso archivio di casa Inghirami sono conservate due sue opere manoscritte
(concepite probabilmente tra il 1809 e il 1811 e nel periodo in cui fu Prefetto del Museo
etrusco) che rimasero inedite per mancanza di finanziamenti e che risultano di grande
interesse per la bibliografia cittadina: L’Etrusco Museo di Volterra descritto dal Cav. Francesco
Inghirami e Storia di Volterra ed appunti per la guida.