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UGO FOSCOLO

LA VITA
Nasce il 6 febbraio 1778, nell’isola greca di Zante (anticamente Zacinto) da madre greca, Diamantina Spathis.
L’isola era sotto il dominio veneziano e di origine veneziana era il padre di Foscolo, un medico di nome Andrea.
Nel 1785 la famiglia si trasferisce a Spalato e poi, nel 1792, quando il padre è morto da quasi un lustro, a
Venezia. Il 12 maggio 1797, mentre Napoleone si avvicina a Venezia, il governo dichiara decaduta la Repubblica
e consegna la città ai francesi. Foscolo pubblica l’ode A Bonaparte liberatore, quindi si arruola nei battaglioni
che combattono a fianco dei francesi: inizia così a esercitare quel “mestiere delle armi” che gli darà da vivere per
molti anni.
Il 17 ottobre dello stesso anno, Napoleone e l’Austria stipulano il Trattato di Campoformio, che sancisce la
cessione di Venezia e del suo territorio all’Austria: è la fine di ogni speranza per Foscolo che si trasferisce a
Milano e poi a Bologna dove avvenne la pubblicazione delle Poesie e la prima stesura dell’Ortis, ma costretto ad
allontanarsi dalla città, lascia incompiuta l’edizione.
Lo stampatore Marsigli chiede ad Angelo Sassoli, letterato bolognese, di concludere il libro: viene così messa in
circolazione la Vera storia di due amanti infelici ossia Ultime lettere di Jacopo Ortis.
Quando Napoleone inizia a radunare un esercito per combattere gli inglesi, Foscolo si arruola. Si trasferisce così
nella Francia del Nord e vi rimane tra il 1804 e il 1806. Napoleone rinuncia alla spedizione contro l’Inghilterra e
Foscolo torna a Milano: l’ambiente gli è sempre favorevole, anche grazie all’amicizia e alla stima di Vincenzo
Monti (1754-1828), che, dopo la morte di Giuseppe Parini (1729-1799), è il poeta italiano più rinomato.
Il 1807 è un anno importante nella storia della poesia di Foscolo: stampa il carme Dei sepolcri, la sua
composizione più nota, e la traduzione del primo libro dell’Iliade.
Nel marzo del 1808 Foscolo realizza finalmente il suo sogno: viene nominato professore di Eloquenza italiana e
latina all’Università di Pavia e può abbandonare la carriera militare.
L’ambiente culturale milanese, presso il quale Monti aveva ampio credito e numerose amicizie, diventa ostile a
Foscolo.
Il 9 dicembre del 1811, al Teatro alla Scala di Milano, Foscolo mette in scena un’altra tragedia, l’Aiace: è un
insuccesso. Si racconta che il pubblico abbia riso a sentir nominare «i Salamini» (gli abitanti di Salamina),
scambiandoli per le salsicce; secondo alcuni, la tragedia contiene allusioni satiriche contro Napoleone. L’autorità
politica decide quindi di intervenire: le repliche sono vietate e il copione è sequestrato.
In esilio quasi volontario, Foscolo si ferma a Firenze dall’agosto del 1812 al novembre del 1813. Il capoluogo
toscano è culturalmente poco vivace, specie nel paragone con Milano. Qui il poeta si innamora di Quirina
Mocenni Magiotti: la loro è una storia tranquilla, quasi coniugale. Grazie alla serenità riconquistata, Foscolo
lavora con fervore al poema Le Grazie, che non condurrà mai a termine. Il progetto del poema cambia varie
volte nel corso degli anni. L’ultima versione prevede tre inni in endecasillabi sciolti, dedicati rispettivamente a
Venere (dea della «bella natura apparente»), celebra la nascita delle Grazie e la loro opera di incivilimento,
grazie a cui gli uomini passano dallo stato ferino al culto delle arti.
Vesta (dea del focolare e degli affetti domestici) racconta il trasferimento delle Grazie dalla Grecia in Italia, sulla
collina fiorentina di Bellosguardo, dove tre donne amate dal poeta, con la funzione di sacerdotesse, celebrano
un rito propiziatorio
Pallade («dea delle arti consolatrici della vita»)., l’ambientazione si sposta ad Atlantide: nella reggia divina viene
tessuto un velo per le Grazie, con lo scopo di proteggerle dalle passioni umane.
Nel periodo fiorentino, Foscolo riprende e pubblica la traduzione del Viaggio sentimentale di Yorick lungo la
Francia e l’Italia dello scrittore Laurence Sterne: Foscolo aveva studiato la lingua durante il biennio trascorso
nella Francia del Nord, quando, aveva avuto una storia d’amore con una ragazza inglese.
La traduzione è accompagnata dalla Notizia intorno a Didimo Chierico, perché Foscolo finge che il traduttore del
romanzo di Sterne sia appunto un immaginario «Didimo Chierico» (“Didimo l’Intellettuale”, potremmo
parafrasare), e nella Notizia ne descrive il carattere e le opere.
Nel novembre del 1813, dopo la sconfitta di Napoleone nella battaglia di Lipsia, Foscolo torna a Milano e rientra
nell’esercito con le funzioni di Capitano. La città è in uno stato di agitazione politico-sociale: Il Regno italico
(fondato nel marzo del 1805 e protetto dai francesi) cessa di esistere nello stesso mese di aprile, dopo la
sconfitta di Napoleone a Lipsia e la sua abdicazione dal trono di Francia. Insieme ad altri ufficiali milanesi,
Foscolo prende parte a una riunione in cui, si discute un piano per salvare il Regno italico. Il potere torna nelle
mani degli austriaci, che il 28 aprile rientrano a Milano. Foscolo, cerca di allontanare i sospetti dei nuovi
occupanti, collaborando alla creazione di un giornale filoaustriaco: passa così per traditore agli occhi di quanti
avevano condiviso fino ad allora le sue idee politiche.
Il 30 marzo 1815, fugge da Milano per evitare il giuramento di fedeltà all’Austria, allontanatosi da Milano,
Foscolo si trasferisce in Svizzera, dove però è costretto a continui spostamenti.
Stampa un’altra edizione dell’Ortis con la falsa data di “Londra 1814” (in realtà “Zurigo 1816”) per non dare
indizi sulla sua residenza.
Nel settembre del 1816 decide di trasferirsi a Londra. In Inghilterra è accolto con molto interesse, soprattutto
grazie ad alcuni uomini di cultura inglesi e italiani che lo stimano e lo introducono nei circoli politici e letterari
londinesi. Viene invitato a tenere conferenze, a collaborare con editori e a pubblicare studi critici. Foscolo
accetta le offerte e scrive numerosi saggi, in particolare su Dante Alighieri e la Commedia, ma anche su Petrarca,
sul Decameron e sulla questione della lingua. Sembra però aver perso la passione per la poesia.
Nel 1817 inizia, senza portarlo a termine, il progetto di un volume intitolato Lettere scritte dall’Inghilterra, che
secondo le intenzioni dell’autore doveva articolarsi come un «parallelo degli usi, della letteratura e della storia
politica inglese e italiana».
i Nel 1822, dopo una leggera revisione, Foscolo stampa alcuni frammenti delle Grazie composti prima dell’esilio.
La dimora fastosa in affitto, il gioco d’azzardo, i lussi portano Foscolo a contrarre debiti a causa dei quali sarà
incarcerato per alcuni giorni.
Muore in povertà il 10 settembre 1827. Nel 1871 il Regno d’Italia fa trasferire il suo corpo nella Basilica di Santa
Croce a Firenze, collocandolo accanto a quelli dei grandi italiani che egli aveva celebrato nei Sepolcri.

LE IDEE, LA POETICA, LA FORTUNA

Nel suo Essay on the Present Literature of Italy (“Saggio sulla letteratura italiana contemporanea”), Foscolo
individua come linea di separazione tra se stesso e i letterati della generazione precedente (Cesarotti, Parini,
Alfieri, Pindemonte, Monti) «la rivoluzione del 1795», ovvero le modifiche politiche, istituzionali e sociali messe
in moto dal diffondersi della Rivoluzione francese in Italia (la campagna di Napoleone inizia nei primi mesi del
1796). Un evento politico viene caricato di un’importanza tale da fare da spartiacque tra le generazioni dei
letterati. Foscolo vuole mettere in rilievo il suo costante impegno nella vita pubblica civile e culturale (o, come si
dice in francese, engagement), cioè il suo bisogno di prendere posizione, di partecipare, di stare in prima linea.
Foscolo indirizza i lettori verso un’interpretazione delle sue opere letterarie che tenga in debito conto l’impegno
politico. Per esempio, la componente politica dell’Ortis va adeguatamente valorizzata: Jacopo è sì un giovane
innamorato, ma è anche un perseguitato politico, che, sulla base della propria esperienza, riflette sulle forze che
muovono la storia.

Anche nelle Grazie, un poema mitologico che sembra andare nella direzione del disimpegno, della fuga dalla
realtà, vi sono alcune parti in cui risuona l’«eco delle drammatiche vicende contemporanee, se pur considerate
con l’aspirazione a un illusorio distacco» Le Grazie restano incompiute, e una delle ragioni della loro
incompiutezza sta forse proprio nel legame tra quel progetto letterario e la stagione storica (quella napoleonica)
che lo aveva visto nascere. Questa stagione si conclude infatti nella tragedia.

La sovrapposizione tra vita vissuta e arte Un altro aspetto che emerge dalle parole del Saggio che abbiamo
citato è l’urgenza, da parte di Foscolo, di rappresentarsi, di parlare di sé, di fare letteratura servendosi di
materiali autobiografici. L’Ortis ci fornisce alcuni esempi.

• Nel romanzo, Foscolo inserisce parti di lettere che aveva effettivamente inviato ad amanti o amici, e di cui
aveva conservato copia: un’evidente sovrapposizione tra vita vissuta e arte.

• Nelle edizioni del romanzo, sulla pagina di fronte a quella del titolo, viene stampato il ritratto di Jacopo:
accompagnare un libro con un’incisione che rappresenti il protagonista, o una scena emblematica della vicenda
narrata, è una strategia editoriale molto comune. Nel caso dell’Ortis, però, è singolare che il ritratto di Jacopo sia
ricalcato sul ritratto di Foscolo, e che, di edizione in edizione, il ritratto cambi, si aggiorni, invecchi, proprio come
capita alle nostre fotografie scattate negli anni.

• Nell’edizione dell’Ortis del 1816, le lettere di Jacopo subiscono modifiche e aggiunte. Queste varianti
risentono della riflessione politica sulle disillusioni legate alla fine dell’impero napoleonico, ovvero cambiano le
idee di Foscolo e, di conseguenza, cambiano le idee di Jacopo.

L’Ortis: il libro di una generazione L’Ortis viene subito riconosciuto come il libro di una generazione: come
un’opera che descrive con efficacia gli eventi, le idee, le passioni che accomunano gli uomini in un determinato
tempo e in una determinata fase della loro. L’Ortis è un libro fondato su un solo personaggio: un ribelle
appassionato e inquieto, amante infelice, perseguitato. È un personaggio che contribuisce a fissare e a
diffondere le caratteristiche dell’“eroe romantico”: Foscolo visse come il suo personaggio e, propagandando la
sua vita, cercò di farne un mito.

La poesia di Foscolo: tradizione italiana e modelli classici Gli altri due pilastri su cui si regge la gloria letteraria di
Foscolo sono le Poesie e i Sepolcri. Una produzione poetica assai limitata per quantità, ma intensa, concentrata
e di qualità letteraria molto alta; Dal punto di vista del contenuto, è notevole il fatto che Foscolo pieghi il tema
della poesia sepolcrale, ben diffuso in quegli anni, in una direzione politica e civile, cioè verso il culto laico delle
glorie di una nazione, glorie che devono presiedere al rinnovamento politico dell’Italia.

LE ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS

Un romanzo fatto di lettere L’Ortis è un romanzo epistolare pubblicato per la prima volta in forma completa a
Milano nel 1802. Foscolo aveva iniziato a pubblicarlo nell’autunno del 1798 a Bologna ma, costretto ad
allontanarsi dalla città, non aveva portato a termine l’edizione.
Il libro era stato completato, su richiesta dello stampatore: inizialmente era intitolato Vera storia di due amanti
infelici. Dopo l’edizione del 1802, la prima integralmente foscoliana, Foscolo ne pubblica un’altra a Zurigo nel
1816: il frontespizio ha però la falsa data di Londra 1814, perché l’autore, in fuga dagli austriaci, non voleva dare
indicazioni sulla sua residenza. La nota introduttiva Al lettore è firmata da Lorenzo Alderani: l’amico a cui, fra
l’11 ottobre 1797 e il 25 marzo 1799, Jacopo Ortis, l’io narrante, invia numerose lettere.

Dopo il suicidio di Jacopo, Lorenzo le raccoglie e le pubblica per ricordare e far conoscere il valore di Jacopo.

La storia di Jacopo Jacopo Ortis è un ragazzo veneziano di vent’anni che ha un ruolo di rilievo negli avvenimenti
politici successivi alla spedizione di Napoleone in Italia. All’avvicinarsi dell’esercito francese, il 12 maggio 1797, il
Maggior Consiglio (il più alto organo istituzionale della Serenissima Repubblica di Venezia) dichiara il proprio
scioglimento: viene proclamata la Repubblica Veneta. Dopo la pace di Campoformio, con cui Napoleone cede
Venezia all’Austria, Ortis è costretto a scappare. Fino al luglio del 1798 si nasconde sui colli Euganei, vicino a
Padova. Qui conosce e si innamora follemente di Teresa, una ragazza dolce, mite e affettuosa, che ne ricambia i
sentimenti. La ragazza, però, è già stata promessa dal padre a Odoardo, un uomo benestante ma gretto. Non
riuscendo più a sopportare la situazione, Jacopo si allontana, dirigendosi prima a Firenze, poi a Milano; si
avvicina al confine con la Francia, ma poi desiste dal progetto di espatrio e torna a vagare senza meta. Dopo un
pellegrinaggio alla tomba di Dante a Ravenna, torna in Veneto. Qui viene a sapere che Teresa e Odoardo si sono
sposati: disperato, si suicida colpendosi con un pugnale.

Ortis e Werther L’Ortis è chiaramente ispirato ai Dolori del giovane Werther (1774) di Goethe.
Anch’esso è un romanzo epistolare nel quale mette in scena la vita di un giovane generoso, sentimentale, colto,
innamorato di una donna, Charlotte (o Lotte), già promessa in sposa a un funzionario pragmatico e di orizzonti
intellettuali ristretti. Per l’impossibilità di realizzare questo amore e per l’incapacità di trovare una propria
collocazione nella società, anche Werther, come Jacopo, si uccide.

Sensibilità romantica e modelli letterari Nelle sue lettere, Ortis si descrive come in perenne, furioso conflitto
con il suo tempo, tanto a livello politico quanto a livello personale. In questo quadro rientrano l’esilio, le
peregrinazioni, la lontananza dagli affetti familiari, il destino avverso, la precarietà esistenziale, la difficoltà di
adattamento alla società borghese, il suicidio come atto eroico di liberazione dalle sofferenze.
Un altro aspetto tipicamente romantico è l’attenzione verso i sentimenti e le passioni, la cui intensità è sempre
al massimo livello: l’amore, la disperazione, la rabbia, l’impegno politico, di volta in volta, sembrano coinvolgere
(e sconvolgere) la psiche intera.

Perché Jacopo si uccide Il suicidio di Jacopo è causato da un duplice fallimento. Dal punto di vista sentimentale,
Ortis non potrà mai realizzare il suo amore: Teresa infatti è promessa a un altro uomo. Dal punto di vista
politico, Ortis è disperato per il tradimento di Napoleone: sperava che la Repubblica oligarchica veneta
diventasse, grazie alle armate francesi, il primo germe di una repubblica democratica italiana, e invece Venezia
viene ceduta all’Austria perdendo così la sua indipendenza.

LE POESIE
Un piccolo canzoniere bipartito Nel biennio 1802-1803 Foscolo pubblica per tre volte le sue Poesie: la prima
volta nel 1802, a Pisa; la seconda nel 1803 a Milano; la terza sempre a Milano, pochi mesi dopo. L’ultima
edizione è identica alla precedente fatto salvo l’inserimento di un nuovo sonetto, Un dì, s’io non andrò sempre
fuggendo, scritto per la morte del fratello Giovanni, avvenuta nel dicembre del 1801 (forse per suicidio). Si tratta
di un libro breve, addirittura minuscolo se lo si paragona ai grandi canzonieri d’autore, da Francesco Petrarca in
poi, e anche alle ampie raccolte settecentesche; soltanto due odi e dodici sonetti, in quest’ordine .
Le Odi: componimenti d’occasione Le Poesie si
aprono con due odi, due elaboratissimi testi
d’occasione dedicati a due donne: il primo alla
genovese Luigia Ferrari, moglie diciassettenne del
marchese Domenico Pallavicini, che si era
gravemente ferita cadendo da cavallo; il secondo ad
Antonietta Fagnani.

I Sonetti: dolori e inquietudini del poeta Dopo le odi


compaiono dodici sonetti, alcuni d’occasione (il terzo,
per esempio, viene scritto da Foscolo per protestare
contro la decisione del Gran Consiglio Cisalpino di
abolire l’insegnamento del latino in alcune scuole),
ma per lo più centrati sui dolori, le inquietudini, gli affetti familiari, la nostalgia della terra natale, le meditazioni
sul destino, gli eroici contrasti con il proprio tempo, insomma la personalità del poeta: un vero e proprio
canzoniere personale, che riporta ai grandi autobiografi in versi come Francesco Petrarca, Torquato Tasso

Il mito e il presente Foscolo fa un uso abbondante della mitologia classica, tanto da poterla considerare un
elemento costitutivo della sua poesia. Ma il mito non è un elemento esornativo, qualcosa che viene utilizzato
perché “la poesia si è sempre fatta così”: è un termine di paragone del presente, uno sfondo contro cui
proiettare la contemporaneità, un paradigma interpretativo della realtà.
Per esempio, nelle due odi le donne celebrate vengono circondate da figure del mito perché, in questo modo,
anch’esse vengono sottratte alla contingenza, al tempus edax (“tempo divoratore”), alla morte per entrare
nell’eternità: compito della poesia è dunque quello di strappare all’instabilità del tempo storico ciò che viene
ritenuto degno di essere perenne.
Un altro esempio: nel sonetto A Zacinto [▶ T8] Foscolo paragona le proprie peregrinazioni a quelle di Ulisse. Ciò
significa che Foscolo interpreta se stesso sulla base del mito, e in questo modo esalta la propria esperienza, la
rende degna di memoria e di canto come quella di Ulisse.

La forma (?) Dal punto di vista formale, Foscolo si serve di una lingua preziosa e ricca di latinismi, che spesso
sono favoriti dalle fonti classiche. Facciamo due esempi tratti dal sonetto In morte del fratello Giovanni
Ai vv. 6-7 Foscolo scrive che la madre «parla di me col tuo cenere muto» e che «io deluse a voi le palde Cenere in
italiano corrente è femminile, ma in latino può essere tanto maschile quanto femminile: se leggiamo questo
verso di Properzio «et mea cum muto fata querar cinerem» (“mi lamento del mio destino con il cadavere muto”,
capiamo perché Foscolo utilizzi il genere maschile. Anche la sineddoche di palme per “mani” (o “braccia”) è
determinata dalla fonte classica. Questi sono i versi di Virgilio che Foscolo probabilmente sapeva a memoria:
«invalidasque tibi tendens, heu non tua, palmas» (“tendendo a te, io che purtroppo non sono tua, le mani
deboli”, Georgiche, IV, 498). Per quanto riguarda la sintassi, essa fa ampio uso di figure retoriche di posizione
(anastrofi, iperbati) e di enjambements che rendono alto lo stile del discorso. Un esempio celebre, che è anche
un esempio limite, è quello dei primi undici versi del sonetto A Zacinto costituiti da un unico periodo.

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