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Ioannis Barbas
no. matricola 18-983-32
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Indice
Introduzione alla bellezza: il Bello e il Buono 3
Alberti: il De Re Aedificatoria 6
Concinnitas 6
Conclusione 8
(In copertina, il dettaglio della facciata del cortile di Palazzo Te a Mantova, progettato da Giulio Romano nel 1524. La
fotografia ritrae la sottile e ironica bellezza dei triglifi scivolati, che, rompendo l’ordine classico, introducono un elegante
elemento di tensione nella teoria compositiva della facciata: la bellezza scaturita dall’armonia dei contrasti.)
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Introduzione alla Bellezza: il Bello e il Buono
Vitruvio stabilisce delle precise analogie tra il corpo e gli ordini architettonici, riprese e
perfezionate dagli artisti e architetti rinascimentali attraverso il disegno, luogo della
sperimentazione empirica (si pensi all’Uomo Vitruviano di da Vinci). A proposito dell’ordine dorico,
Vitruvio scrive: “Dovendo erigere le colonne di quel tempio, non sapendo come proporzionarle e
domandandosi con quale criterio potessero fare ciò, perché da un lato fossero idonee a sostenere
i carichi e dall’altro fossero piacevoli a vedersi, presero come unità di misura la pianta del piede di
un uomo, che riportarono in altezza. E avendo riscontrato che il piede è la sesta parte dell’altezza
dell’uomo, trasportarono questa proporzione nella colonna. Cosi avvenne che la colonna dorica
rappresento negli edifici la proporzione, la forza e la bellezza del corpo virile”10. Si legge il tentativo
di trovare un’analogia antropomorfica nelle forme che compongono l’architettura. Sull’ordine
ionico, più femminile, gentile e aggraziato, l’autore scrive: “Volendo edificare un tempio dedicato a
Diana, ricercarono uno stile espressivo nuovo: continuarono a usare il sistema di
proporzionamento basato sulla pianta del piede, ma fecero riferimento alla forma più slanciata
della donna. Perciò stabilirono che il diametro della colonna corrisponde a un ottavo del piede,
perché sembrasse più alta. Sotto la base posero un elemento a profilo convesso, come se fosse
una calzatura, mentre a destra e a sinistra del capitello posero delle volute pendenti in avanti,
come quelle di una capigliatura ondulata. Posero anche i cuscini e dei festoni al posto dei capelli,
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e così ornarono il volto, e tracciarono le scanalature lungo la lunghezza del corpo della colonna, a
somiglianza delle pieghe di una stola matrimoniale”11. È interessante notare come la bellezza sia,
secondo la concezione vitruviana, indissolubilmente legata ad un principio di adeguatezza e
corrispondenza. Se si desidera erigere un tempio per Diana, questo dovrà articolarsi attraverso
l’impiego dell’ordine ionico, per esprimere femminilità e delicatezza; un tempio in onore di Era,
dea della guerra, dovrà invece impiegare un ordine dorico, rappresentativo di forza e resistenza.
Esiste quindi una correlazione precisa tra forma e funzione, il decorum vitruviano dal quale
scaturisce armonia.
La venustas vitruviana, termine che rimanda a Venus, la dea della bellezza, si ottiene progettando
attraverso symmetria: “ossia, stabilito un modulo, tutte le parti dell’edificio devono, secondo
precisi rapporti, essere multipli o sottomultipli di quel modulo”14. L’architettura acquisisce in tal
modo eurithmia, un giusto battito, un’accordata melodia. La concezione Vitruviana di eurithmia
deriva dal canone proporzionale di Policleto, secondo il quale la bellezza non risiede nei singoli
elementi, ma nell’armoniosa proporzione delle parti. Il criterio assume un connotato organico, in
cui i rapporti tra le parti dipendono, per la prima volta, anche dal mutare della prospettiva: nella
scultura, il punto di vista dello spettatore diviene centrale per stabilire il proporzionamento
armonico delle figure, che non è sempre di natura matematica. Secondo la concezione platonica, i
nostri occhi, come tutti i nostri sensi, sono imperfetti, in quanto incapaci di cogliere precisi
rapporti misurativi se non in maniera distorta: ciò che è più vicino ci apparirà più grande di ciò che
è lontano, anche se così non è. La proporzione che armonizza le figure scultoree o gli elementi
architettonici, terrà quindi conto della natura illusoria del nostro sguardo, “correggendone" la
prospettiva, in maniera tale che ai nostri occhi risulti più “bella”. Mentre la proporzione si riferisce
all’applicazione tecnica del principio di simmetria, l’eurithmia vitruviana è, come la definisce Eco,
“l’adattamento delle proporzioni alle necessità della visione”15.
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Il Partenone dell’Acropoli di Atene, ad esempio, non è perfettamente simmetrico: è stato
progettato per essere contemplato dal basso, calcolando ogni distorsione ottica affinché le
proporzioni apparissero perfette allo sguardo.
Leon Battista Alberti, architetto e teorico dell’architettura del Rinascimento, redigerà quello che ad
oggi rimane il più importante trattato di architettura, il De Re Aedificatoria. Si tratta di una raccolta
di dieci libri, scritti in latino, nei quali non figurano immagini. È particolare come un umanista quale
Alberti diffidi del disegno come strumento attraverso il quale tramandare la conoscenza; questa
diffidenza è attribuibile al timore che l’autore sentiva nei confronti dei copisti, che sovente
nell’arco della storia avevano commesso delle imprecisioni. Le parole di Alberti risultano di una
precisione inequivocabile, il che suggerisce la volontà del trattatista di redigere un’opera duratura
nel tempo. Alberti è il primo a discostarsi dal De Architettura di Vitruvio, scrivendo un trattato
radicalmente diverso, suddiviso in capitoli differenti. Già nell’incipit del volume, Alberti attacca
duramente lo scritto di Vitruvio, ammettendo, tuttavia, di averlo studiato con attenzione:
“In mezzo a tante rovine, un’opera sola è scampata giungendo fino a noi, quella di Vitruvio:
scrittore assai competente, ma tanto guasto nei suoi scritti e malridotto dai secoli, che in molte
parti vi si notano lacune e imperfezioni. Non solo; il suo eloquio non è curato; sicchè i Latini
direbbero ch’è voluto apparir greco, i Greci latino. Il fatto, tuttavia, basta da sé a provare che il suo
linguaggio non è latino né greco; sicchè per noi è quasi come non avesse scritto nulla, dal
momento che egli scrisse in modo a noi non comprensibile”16. La diffidenza nei confronti del De
Architettura spingerà l’autore a recarsi direttamente alle rovine classiche per studiarle dal vivo,
sotto forma di schizzi e appunti. Con Alberti torna il tema della rinascenza, del recupero
dell’antico: “Tutti gli edifici dell’antichità che potessero avere importanza per qualche rispetto, io li
ho esaminati, per potere ricavare elementi utili. Incessantemente ho rovistato, scrutato, misurato,
rappresentato con schizzi tutto quello che ho potuto, per potermi impadronire e servire di tutti i
contributi possibili... Indubbiamente dare una veste unitaria ad argomenti tanto svariati…”17.
Concinnitas
Nel De Re Aedificatoria, Alberti tocca il tema della bellezza tracciando delle sottili demarcazioni
rispetto alla venustas vitruviana. Lo farà introducendo un termine differente: la concinnitas, la cui
traduzione letterale è “con il canto”. L’analogia con la musica si riallaccia inequivocabilmente alla
tradizione pitagorica, nonostante il termine sia probabilmente tratto da Cicerone, e si riferisce alla
musicalità delle espressioni poetiche. Alberti riconosce la bellezza come un “fattore della massima
importanza”, il più nobile della triade vitruviana “Dei tre criteri fondamentali che informano la
tecnica costruttiva in ogni campo – che gli edifici risultino adeguati alle loro funzioni, abbiano la
massima solidità e durata, e siano eleganti e piacevoli nella forma – abbiamo terminato di trattare i
primi due. Rimane dunque il terzo, che è di tutti il più nobile, oltreché indispensabile”18. Alberti
sostiene che, senza la bellezza, non possano esistere stabilità e utilità. La concinnitas diviene
quindi determinante per la perfezione dell’opera d’arte.
A proposito della concinnitas, Alberti scrive: “Definiremo la bellezza come l'armonia tra tutte le
membra, nell'unità di cui fan parte, fondata sopra una legge precisa, per modo che non si possa
aggiungere o togliere o cambiare nulla se non in peggio”19. Questa frase rivela la prima grande
differenza da Vitruvio: Alberti sembra intuire che la bellezza si riveli in un momento di equilibrio
preciso, in una composizione di contrasti che non ammette composizioni alternative. La
concinnitas è da intendere come una melodia delicata, tenuta in vita da un preciso equilibrio di
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tensioni, che si rompe con una nota di troppo. Nelle parole di Elisabetta di Stefano: “La
concezione albertiana del bello va oltre la symmetria di Vitruvio. Infatti la concinnitas, pur avendo
un valore simile a quello della simmetria, si basa sul concetto di molteplicità nell’unità e si riferisce
ad un rapporto che è il frutto non solo di una somma di elementi, ma anche di una loro
riorganizzazione nell’intero, assumendo in questo caso un significato affine ad ‘organicità’”20.
Si capisce, dunque, come la concinnitas differisca dalla venustas in quanto non ammetta quella
che Vitruvio chiamava eurithmia. Mentre le simmetrie vitruviane potevano subire delle alterazioni
per porre rimedio alle illusioni prospettiche della visione, la concinnitas albertiana richiede
l’immutabilità dell’ordine, in quanto è “fondata sopra una legge precisa, per modo che non si
possa aggiungere o togliere o cambiare nulla se non in peggio”. La bellezza assume quindi un
connotato più naturalistico e matematico, slegandosi dalla concezione platonica di Buono e Vero,
per riallacciarsi invece ai principi pitagorici di numero, ordine e cosmo. Con Alberti si assiste,
quindi, ad una rivalutazione dei sensi: il mondo sensibile non è più una pallida imitazione del
mondo delle idee, come voleva la tradizione platonica, ma acquisisce una veridicità inedita. I
nostri occhi non sono più imperfetti, al contrario divengono autorità infallibili in quanto capaci di
cogliere la concinnitas; e la ragione, la ratio albertiana, ricomporrà i criteri matematici che la
sostengono. L’occhio e la prospettiva diventano, nel Rinascimento, strumenti di composizione
pittorica e progettazione architettonica; e la bellezza diventa un fenomeno visibile e percepibile
attraverso i sensi.
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Concluderei con una curiosa considerazione di Alberti a proposito del rapporto tra ratio e opinio,
un giudizio estetico che vede a confronto l’oggettività e la soggettività della bellezza. “Ciò
nonostante, il fatto di preferir l’una o l’altra delle bellezze precedenti non implica che si
classifichino tutte le rimanenti come scarse o sconvenienti; ciò indica invece che la preferenza è
stata originata dalla presenza di un qualcosa, sulle cui caratteristiche non indagheremo”23. È
interessante come in questo passaggio l’autore decida di fermarsi e non andare oltre; riconosce
che, introducendo un principio di soggettività nello studio della bellezza, compare un elemento
indefinito che gli sfugge.
Forse non si conoscerà mai il segreto della bellezza. Perché per quanto uno ci provi, non potrà
non riconoscere che c’è della bellezza anche nelle cose storte; c’è una bellezza sfuggente
nell’incrinatura di una voce, come nella ruga di un volto, in un tessuto stropicciato. C’è grazia
nella tensione che si crea tra due corpi asimmetrici, nelle cose non finite; c’è eleganza in una linea
che sembra dritta ma non lo è. Tuttavia, rimane sempre la parvenza che, sotto tutte queste
differenze, qualcosa che le unisce c’è; e non appena sembra di poterla intuire, questa si dissolve.
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Bibliografia
Eco U., Storia della Bellezza, Bompiani, 2004
Di Stefano E., L’Altro Sapere: Bello, Arte e Immagine in Leon Battista Alberti, 2000 reperibile su
https://www.academia.edu
Vitruvio M., De Architectura, translato commentato et affigurato da Cesare Cesariano 1521; a cura
di Arnaldo Bruschi, Adriano Carugo e Francesco Paolo Fiore, Il Polifilo 1981
Alberti L.B., L'architettura (De Re Aedificatoria), testo latino e traduzione a cura di G. Oriundi,
introduzione e note di P. Portoghesi, Milano, Il Polifilo, 1966
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Integrity Statement
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Ioannis Barbas
Mendrisio, 26.06.2022
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