Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
● PREMESSA
La parziale definizione di arte come linguaggio simbolico ha dominato gli studi artistici
del nostro secolo.
Si è sviluppata così una storia della cultura tutta rivolta allo studio dei significati,
trascurando gli aspetti formali. Ma nessun significato può essere trasmesso se non gli
si da una forma, che può essere percepita indipendentemente dal significato. Scopo di
questo testo è attirare l’attenzione su alcuni dei problemi morfologici di durata e serie
in sequenza
5
Innovazioni tecniche
Ci interessa far notare come una sequenza possa cedere il passo a un’altra quando si
verifica una notevole alterazione di uno degli elementi della sequenza originale. La
sequenza formale corrisponde sempre del resto a una chiara serie di mutamenti
potenziali. va notato d’altra parte che molte innovazioni tecnologiche non provocano
sviluppo immediato (è già accaduto che oscuri insuccessi tecnici fossero riportati alla
luce dopo lunghi periodi di oblio pr riprenderne lo sviluppo).
La serie di soluzioni che formano una sequenza non è necessariamente limitata a una
sola arte.
La catena invisibile
L’artista non è un essere libero. la sua situazione è rigidamente condizionata da una
catena di eventi che lo hanno preceduto; fanno sì che egli debba continuare ubbidiente
sulla strada della tradizione o ribellarsi. Gli eventi precedenti esercitano una azione
selettiva sulla gamma dei temperamenti. Eventi precedenti e possibilità future
all’interno della sequenza: queste sono le dimensioni che controllano la posizione di
ogni opera d’arte.
Artisti solitari e artisti con istinto gregario
Altri elementi variabili dipendono dal temperamento e dalle doti naturali di ogni
individuo. Alcune sequenze hanno bisogno di differenti sfere di sensibilità. Molti sono
gli esempi di coppie di artisti rivali, occupati nello stesso momento e con mezzi diversi,
a risolvere lo stesso problema. Poussin contro Rubens, Bernini contro Borromini, Eliot e
Joyce, Klee e Picasso. L’artista innovatore per eccellenza, come Caravaggio, è però
funzionalmente un solitario. Soltanto in certi casi l’artista si presenta come un ribelle;
più comunemente è un cortigiano. oggi l’artista non è più ne un buffone ne un ribelle.
Solamente il commediografo opera ancora come artista
6
Mutamenti linguistici
Il concetto storico di mutamento è collegato a quello linguistico di deriva illustrato dal
progressivo allargarsi della distanza che separa due lingue dello stesso ceppo. Questa
deriva può essere paragonata alle interferenze che distorcono ogni comunicazione
sonora. Si tratta di mutamenti irregolari e inattesi e perché il linguaggio sia efficiente è
necessario mantenerli a un livello minimo. Nella storia delle cose è compresa anche la
storia dell’arte. Le opere d’arte, più degli arnesi, rappresentano un sistema di
comunicazione simbolica che deve essere esente da eccessivi disturbi. Grazie alla sua
posizione intermedia tra storia generale e linguistica, la storia dell’arte potrà forse
rivelare un giorno inattese possibilità come scienza del futuro: meno produttiva della
linguistica, ma assai più di quanto possa esserlo la storia in generale.
3.2 REPLICAZIONE
In un’epoca pervasa dalla passione per il cambiamento fine a se stesso siamo giunti a
scoprire la semplice gerarchia delle repliche di cui è pieno il mondo. La replicazione
che riempie la storia prolunga in relatà la stabilità di molti momenti; abbiamo scelto il
termine replicazione per evitare l’accezione negativa di “copiare” ma anche per
includervi per definizione quelle variazioni che sono una caratteristica essenziale della
ripetizione: poiché qualsiasi ripetizione continuata porta inevitabilmente a un
progressivo allontanamento dall’originale, dobbiamo interessarci a questo lento
processo di mutamento.
Permanenza e mutamento
La nostra percezione del tempo dipende dalla regolare ricorrenza di eventi, a differenza
della nostra coscienza della storia che dipende dai mutamenti. Senza mutamento non c’è
storia; senza regolarità non c’è tempo. Il tempo e la storia stanno tra loro come la regola
e la variazione. Lo stesso rapporto esiste tra repliche e invenzioni. La replica è collegata
alla regolarità e al tempo; l’invenzione è collegata alla varietà e alla storia. Ad ogni
istante i desideri umani sono divisi tra replica e invenzione, tra il desiderio di tornare
agli schemi conosciuti e quello di sfuggirne attraverso nuove variazioni. In generale il
desiderio di ripetere il passato ha sempre prevalso sull’impulso a staccarsene
Anatomia della routine
La replicazione è simile alla forza di coesione. Ogni copia ha proprietà adesive in
quanto mantiene uniti il presente e il passato. La variazione illimitata è invece sinonimo
8
di caos. Ogni società fascia e protegge l’individuo entro una invisibile struttura di
usanze, dai rischi di una originalità disgregante. L’esistenza di un simbolo è basata
sulla ripetizione: la sua identità dipende dalla capacità di tutti di attribuire uno stesso
significato a quella forma. È improbabile che una qualsiasi copia possa essere
accettata come tale senza un forte sostegno di associazioni simboliche. Tutte le cose,
le azioni, i simboli – l’intera esperienza – non sono altro che repliche gradualmente
differenziate più dalle alterazioni minute che dai bruschi sbalzi dell’invenzione. Troppo
freddo o caldo, troppa aria o troppo poca, bastano a ucciderci. Il nostro limite di
tolleranza per le variazioni e sempre piuttosto basso.
Deriva storica
La replicazione obbedisce a due tipi di movimento contrastanti, da e verso la qualità.
Un miglioramento di qualità quando Beethoven arricchisce i canti popolari scozzesi; un
peggioramento si ha ad esempio con le repliche paesane dei vestiti e mobili di corte. La
perdita di qualità ha due velocità diverse: quella provinciale che porta a un prodotto più
grezzo; quella commerciale che porta allo sgargiante. Circa 5000 anni fa non
esistevano grandi città. I documenti di quell’antico periodo presentano una gradazione
qualitativa assai meno sensibile di quelle di opere moderne. la monotonia del villaggio
resta ancora il più antico di tutti i gradi qualitativi della vita civile.
9
dimestichezza genera il disprezzo, e conduce alla ricerca di forme nuove. Queste
differenziazioni, il loro ritmo, accelera in prossimità della fine di uno stile.
10
Al polo opposto si trova l’artista evangelizzatore, missionario, che migliora il mondo
imponendogli la sua sensibilità.
Gli innovatori appartengono a due categorie: i precursori come Brunelleschi, Masaccio,
Donatello; i ribelli come Caravaggio e Picasso. Il precursore non può avere imitatori,
mentre il ribelle ha molti seguaci. Il precursore dà forma a una nuova civiltà; il ribelle
segna il limite di una civiltà che si va disgregando.
Questi sei tipi di artisti (precursori, versatili, ossessivi, evangelizzatori, meditativi, ribelli)
coesistono nella civiltà occidentale odierna, e ognuno occupa diverse sequenze
formali: ogni sequenza offre le opportunità della sua particolare età sistematica
soltanto a quel gruppo che presenta le condizioni di temperamento necessarie a un
ingresso favorevole. Quando ci volgiamo a studiare altre società più indietro nel tempo,
la categorizzazione diventa sempre più ardua.
Tribù, corti e città
Emerge una spiegazione provvisoria al fenomeno dei mutamenti rapidi o lenti nella
storia delle cose. I due casi estremi sono quello della piccola tribù in cui tutti sono
occupati nella lotta per l’esistenza e quello della grande metropoli dalle mille facce: il
tipo di mutamento più lento e quello più vertiginoso. Ma il fattore vita urbana non
basta. La velocità degli eventi artistici è legata a 4 fasi societarie:
1) vita tribale;
2) città di provincia;
3) società tribali artigiane e professioniste;
4) città o corti.
I differenti climi storici di patronato artistico favoriscono in maniera diversa i sei tipi di
carriere a cui abbiamo accennato. Concludendo ci sono due velocità significative nella
storia delle cose. Una è quella dello slittamento cumulativo, lento come quello dei
ghiacciai, tipico di piccole società nelle quali è scarsa la spinta a modificare i ritmi.
L’altra invece assomiglia al rapido propagarsi del fuoco da un punto all’altro di una
foresta, quando centri assai distanti tra loro ardono della stessa attività. Nel divenire
veloce esistono anche andamenti intermittenti, legati a classi di forme premature che
risorgeranno quando il momento sarà più favorevole.
11
Il solo vantaggio nel calcolare le epoche attraverso secoli sta nel fatto che esso non
corrisponde a nessun ritmo naturale del divenire ma solo a quell’umore escatologico
che sembra sorprendere la gente all’avvicinarsi di un numero tondo. Così il millennio
romano (dal 600 a.c. al 400 d.c.) è stato definito in modo arbitrario. Proviamo dunque a
considerare quei periodi che possono corrispondere a durate “pratiche”.
L’anno è certamente una durata accettabile: rappresenta lo spazio di 4 stagioni e molti
tipi di lavoro rientrano in questi limiti. Il lustrum, o quinquennio romano, è tornato di
moda per i piani economici dei paesi socialisti. Sia la decade che il secolo non sono
durate pratiche ma tempistiche arbitrarie.
La lunghezza più appropriata è una generazione umana: 25 anni per gli studiosi di
demografia, 33 per la storia in generale. Lo spazio di 3 generazioni corrisponde dunque
a un secolo e può essere ritenuto il ciclo più appropriato ai nostri studi
L’indizione come modulo
La vita lavorativa di un uomo d’arte è di 50/60 anni. I 4 periodi di 15 anni –
preparazione, maturità, maturità piena, tarda – ricordano le indizioni del calendario
romano o i periodi climaterici della psicologia dello sviluppo, e sono una misura ideale
per cogliere le fasi della vita di un artista.
Passiamo alla durata di serie collegate di eventi: le classi di innovazioni nella storia
dell’arte richiedono circa 60 anni per la loro formulazione e altri 60 per le prime
applicazioni sistematiche (così vale per la pittura vascolare in Grecia o il rinascimento
italiano, ad esempio). Queste durate abbracciano la sola invenzione, finchè cioè il
sistema diviene di uso comune in regioni più vaste, costituendo un’entità suscettibile di
ripetizione indefinita. Il periodo di 60 anni suggerisce l’esistenza di una lunghezza
comune alla storia e alla biografia produttiva di un artista: ma la piena capacità
inventiva di un individuo si riduce a non più di 15 anni, una indizione, in giovinezza.
Quando studiamo i pulsamenti delle serie collegate di eventi, esse comprendono un
periodo di 120 anni in due stadi di 60 anni ciascuno, divisi da generazione artistiche di
15 anni. L’indizione serve dunque a misurare molte diverse lunghezze nella durata
storica. È un’unità di misura derivata dall’esperienza, come i passi, i piedi, le braccia, e
risulta un modulo adatto a collegare le cose con le vite.
Su durate più lunghe, una unità di misura può essere il periodo di 300 anni,
corrispondente a stadi di civiltà calcolati sulla base di ritrovamenti di oggetti durevoli.
Possiamo infine fare una distinzione tra calssi continue e classi intermittenti: le prime
riguardano soltanto i più grandi gruppi di cose, come l’intera storia dell’arte, o le classi
più comuni, come le ceramiche di uso domestico, la cui produzione non si è mai
interrotta.
Classi intermittenti
Ve ne sono di due tipi: che ricadono nello stesso gruppo culturale oppure che si
estendono a comprendere differenti culture. La storia della diffusione transculturale
presenta a sua volta vari meccanismi: penetrazioni commerciali o missionarie, oppure
azioni militari violente. Non rari sono anche i casi di colonializzazioni alla rovescia:
recuperi 900eschi di classi incomplete di arte indigena americana del 400.
Civiltà estinte possono infatti sopravvivere attraverso la sopravvivenza del loro
vocabolario formale, che può influenzare artisti di una civiltà totalmente diversa a
distanza di secoli. nel rinascimento fu l’opera incompiuta dell’antichità greco romana a
prendere possesso della mente collettiva e a dominarla fino al 900. Oggi all’antichità
classica sono venuti a sostituirsi modelli anche più remoti, dell’arte preistorica. È
questo uno dei meccanismi più significativi della continuità delle culture. Soltanto il
funzionalismo, intorno al 1920 ha cercato di liberarsi completamente da tutte le
formule espressive precedenti. Fasi simili si trovano nei movimenti iconoclasti a
12
Costantinopoli, nella firenze del 400, nell’Islam, nel mondo ebraico e nel puritanesimo
protestante. In tutti questi casi solo il necessario viene riconosciuto come bello.
Classi interrotte
Abbandonate prima di essere completamente sfruttate, oppure conquistate, quando il
vincitore sovverte le istituzioni indigene e le sostituisce con proliferazioni delle
istituzioni proprie. Come ovvio le classi incomplete sono le meno documentate.
Non è facile dare una definizione universalmente accettabile di società coloniale: ma in
ogni caso si tratta di una società nella quale non si registrano importanti scoperte o
innovazioni, dove l’iniziativa principale viene dal di fuori e non dall’interno della società
stessa.
Serie prolungate
Gli stati coloniali presentano anche molti tipi di serie prolungate che testimoniano della
dipendenza della colonia dallo stato madre. Le proliferazioni coloniali hanno di solito
effetto benefico sul paese colonizzatore, aumentando la richiesta di artisti e artigiani.
Studiosi di storia dell’economia hanno suggerito l’esistenza di una correlazione tra
fioritura artistica e disordini economici (caso emblematico il Siglo de Oro spagnolo).
Serie vaganti
Certe classi, per continuare a svilupparsi sembrano avere bisogno di periodici
cambiamenti di scena, con spostamenti dal centro focale di invenzione (vedi il gotico, il
manierismo barocco, i grandi pittori nelle corti d’europa nel 500 o nei ricchi centri
commerciali nel 600). Ogni forma fortunata satura la sua regione d’origine impedendo
ad altre forme più nuove di occupare quella posizione. Una forma di successo crea
attorno a sé un sistema protettivo che ne assicura la perpetuazione. I più pericolosi
concorrenti di un artista contemporaneo non sono infatti i suoi contemporanei.
Serie simultanee
Il presente è un complesso mosaico che si risolve in forme leggibili solo molto tempo
dopo essere retrocesso a far parte del passato storico. Inoltre, più vecchi sono gli
eventi e più siamo portati a trascurare le differenze di età sistematica.
Quanto più completa è la nostra conoscenza della cronologia degli avvenimenti, tanto
più diventa chiaro che eventi simultanei hanno età sistematiche diverse: il presente
contiene varie tendenze che dovunque si contendono gli obbiettivi più ambiti. La
topografia delle classi simultanee si divide in classi guidate e classi autodeterminate.
Le prime dipendono esplicitamente da modelli presi dal passato (revivals,
rinascimenti); le seconde sono più rare (la prima arte cristiana). Tradizione e rivolta
suggeriscono l’idea di sequenze cicliche in cui l’una diventa l’altra. Così i movimenti
autodeterminati sono necessariamente brevi mentre i movimenti guidati sono la
sostanza della storia.
5) CONCLUSIONE
Lo studio storico dell’arte sulla base di principi sistematici è vecchio di quasi duemila
anni, inclusi Vitruvio e Plinio. Se è poco probabile la scoperta di pittori misconosciuti, è
possibile che diversi artigiani vengano accolti nel pantheon degli artisti, una volta che
la loro disciplina viene nobilitata al rango di arte, così come l’action painting ha
rivalutato una pratica simile della Cina del IX secolo.
14
LA CRITICA D'ARTE DEL NOVECENTO - Gianni Carlo Sciolla
CAPITOLO 1 – LA SCUOLA DI VIENNA
Scuola di Vienna: coniato da von Schlosser, intende una successione di personaggi
eminenti che hanno contribuito allo studio della storia dell’arte, intesa come analisi
delle opere in quanto oggetti materiali e delle fonti documentarie. Molti arrivavano da
passate esperienze museali, per cui valorizzano:
1. il contatto con l’opera, valutata in modo filologico e non estetico;
2. la considerazione paritaria di ogni forma artistica;
3. la ricontestualizzazione degli oggetti artistici grazie alla Kunsttopographie, il cui
punto di riferimento è la Commissione imperiale centrale per lo studio dei
monumenti artistici e storici e che muove i primi passi da esperienze francesi e
tedesche.
Rudolf Eitelberger: a lui andò la prima cattedra di Storia dell’Arte nel 1852. Scrisse
Monumenti artistici degli stati imperiali (1850-1860), analisi e schedatura topografica, e
Fonti per la storia dell’arte e delle tecniche del Medioevo e del Rinascimento (1870).
Theodor von Sickel: diresse l’Istituto per le ricerche storiche e diede grande importanza
alla diplomatica, alla paleografia e alla cronologia.
Moritz Thausing: successore di Eitelberger. In La posizione della storia dell’arte come
scienza (1884) sosteneva che l’analisi scientifica dovesse avere un taglio storico, e che
si distingueva da altre indagini per la peculiarità del vedere artistico.
Robert Zimmermann: in Storia dell’estetica come scienza filosofica (1858) e in Estetica
generale come scienza della forma (1865) porta avanti la filosofia herbartiana, per cui:
1. il concetto di bello è unito alla forma, cioè la coerenza degli elementi;
2. la forma è riferita agli organi di senso.
Konrad Fiedler: in alcuni saggi (Scritti sull’arte, 1896) riprende gli assunti di
Zimmermann, elaborando la teoria della pura visibilità: l’uomo si avvicina al mondo con
le sensazioni, di cui la vista è la più completa, e poi rielabora internamente quanto
percepito; da questa interpretazione della natura nasce l’arte. Inoltre, l’arte si giudica
secondo la coerenza visiva, attuata nella forma regolare.
Adolf von Hildebrand: in Il problema della forma (1893), il parametro di giudizio diventa
il modo di rappresentazione della forma, fondata sulla visione ravvicinata o a distanza.
La prima è tattile, ma manca di unità; la seconda è ottica, e sarà dunque unita e
artistica. Questa teoria trova conferme in quella percettiva scientifica
dell’impressionismo, in quella della forma e in quelle psicofisiologiche.
Annuario delle collezioni storico-artistiche (1883): fondato da Quirino von Leitner, le
trattazioni puntano a illustrare sistematicamente i fondi delle raccolte imperiali
viennesi e a ricostruire storicamente collezioni e raccolte statali. Nella prima sezione si
studiano oggetti di arte antica, nella seconda antiche collezioni. Inizia intanto la
revisione critica di periodi storici sino ad allora considerati di decadenza.
Altre riviste: Annuario della commissione imperiale centrale (1856), Informazioni della
commissione imperiale centrale per lo studio e la conservazione dei monumenti
artistici e storici (1902), Le arti grafiche (1878), Comunicazioni storico-artistiche
(1904).
Franz Wickhoff: interessi principali: arte classica, medievale, miniatura, arte del
Rinascimento e arte contemporanea.
La Genesi di Vienna (1895): nella prefazione sostiene per primo l’autonomia dell’arte
romana, che consisteva:
1. nel carattere pittorico-coloristico, anche nella scultura;
2. nel valore illusionisticospaziale della rappresentazione, soprattutto con
l’invenzione della “narrazione continuata”;
15
3. nel realismo della ritrattistica.
Con grande attenzione per una impostazione scientifica e per i testi figurativi, ribadiva
l’importanza, da un lato di studiare ogni momento dell’arte antica nei suoi specifici,
dall’altro di considerare le sue continuità col mondo moderno. Si interessa di arte
medievale in gioventù (Guido da Siena, 1889; Il mosaico absidale della Basilica di San
Felice da Nola, 1890; La figura d’amore nella fantasia del Medioevo italiano, 1890). Si
concentra sulla miniatura, ispirato dalla rivalutazione delle “arti minori” data dalle
Esposizioni universali, dal movimento della Secessione e dai nuovi musei d’arte
applicata, tra cui il Museo austriaco per l’arte e l’industria.
Per quanto riguarda il Rinascimento, studiò i problemi dell’arte italiana rinascimentale, il
tema della continuità dei motivi classici e il disegno degli antichi maestri (Raffaello,
1903; Rembrandt, 1906).
L’ispirazione di Thausing: prese da lui la passione per il disegno antico e anche il
metodo d’indagine morelliano, che voleva dare un’oggettività all’attribuzione,
sospendendo il giudizio soggettivo e soffermandosi su aspetti peculiari, come ad
esempio particolari anatomici apparentemente secondari. Il disegno è ideale per
questa tecnica perché lo stato di conservazione è normalmente migliore e perché lo
stile dell’artista trapela con maggiore immediatezza. Prese le difese di Klimt nel 1900,
attraverso una conferenza intitolata Che cosa è brutto?, in cui sosteneva il relativismo
delle categorie di brutto e bello.
Altri autori viennesi interessati nell’arte contemporanea: Joseph Strzygowski e Hans
Tietze.
Alois Riegl: Problemi di stile (1893), Industria artistica tardoromana (1901), Il ritratto di
gruppo olandese (1902), L’origine dell’arte barocca a Roma (1908), Scritti brevi generali
(1929), scritti sul restauro (1898, 1907), Grammatica storica delle arti figurative (1966).
Problemi di stile: esamina storicamente l’evoluzione dei motivi decorativi negli oggetti
di arte applicata in un quadro temporale di cinquemila anni e in un ampio spazio
geografico. Vuole dimostrare che i motivi sono schemi iconografici indipendenti e,
soprattutto, vuole dimostrare che l’evoluzione di tali motivi non è data dalla
spontaneità, quanto dalla Kunstwollen.
Ispirazioni: Jugendstil viennese, che ispirò Antichi tappeti orientali (1891) e Arte
popolare, arte domestica e industria a domicilio (1894); la Grammar of Ornament
(1856) di Owen Jones e la Grammar of Lotus (1891) di W.H. Goodyear; l’universalismo
di Max Büdinger, che si ritrova in Storia dell’arte come storia universale (1898);
evoluzionismo della storia artistica, trattato in Lo stato d’animo contenuto dell’arte
moderna (1899).
Il problema della genesi delle forme artistiche: Riegl respinge l’assunto che ogni stile
nasca unicamente dalla tecnica e dai materiali usati dagli artisti, mettendosi in
contrapposizione con Semper che sosteneva questo condizionamento, così come
l’imitazione della natura. Per Riegl fondamentale è il Kunstwollen (a cui non dà una
definizione precisa, ma potrebbe essere una volontà superindividuale o la direzione
dell’impulso artistico).
Industria artistica tardoromana: analisi dell’arte sotto Costantino e Giustiniano del
tutto inedita e che ne rivaluta i valori simbolici e anticlassici, si divine in tre parti:
1. studia il linguaggio di quest’arte attraverso le arti emergenti, cioè architettura,
pittura e scultura;
2. analizza le tecniche suntuarie praticate nelle botteghe;
3. i lineamenti fondamentali della volontà artistica tardoantica.
La scelta di questo periodo risiede nella convinzione che non esistano periodi di
decadenza, ma tutto va analizzato nel suo quadro storico di riferimento. L’analisi delle
16
singole opere è condotta secondo le loro leggi interne e in particolare si adottano i
seguenti schemi visivi, opposti a coppie:
1. visione tattile;
2. visione ottica;
3. visione plastica;
4. visione coloristica;
5. visione spaziale/di profondità;
6. visione planimetrica.
In questa teoria, Riegl è molto vicino ad Adolf von Hildebrand ne Il problema della
forma nelle arti visive (1893) e alla filosofia hegeliana: l’opera è intesa come forma di
percezione e fruizione, in cui lo spettatore ha un importante ruolo di interpretazione
(pag. 18). L’opera deve inoltre molto a Wilhelm Wundt e Immanuel Löwi per quanto
riguarda l’analisi dell’elemento psicologico percettivo. L’insieme di queste prospettive di
valutazione, in cui grande peso ha l’esperienza soggettiva, è detta “estetica della
disintegrazione”. Particolarmente importante è il capitolo sulle tecniche praticate nelle
officine altomedievali, in cui si sentono le influenze del clima secessionista austriaco e
quelle di Semper (pag. 19).
Allora Riegl inserisce il concetto di Kunstwollen, mai chiarito perfettamente, ma che
appare come quell’impulso che orienta l’insieme della produzione artistica dei diversi
periodi: esso è il prodotto delle condizioni di vita sia sociale che culturale. Secondo
questa idea, non esistono periodi di decadenza: riabilita dunque il barocco olandese
(Ritratto di gruppo olandese, 1902) e romano (L’arte barocca a Roma, 1908). Questo
processo di rivalutazione continuerà poi con Cornelius Gurlitt, Wölfflin o Schmarsow.
Riegl scrive poi Il moderno culto dei monumenti (1903) in cui prende in esame i
principali valori insiti in un monumento storico, esaminando le linee guida per il giusto
restauro. I valori del monumento sono:
1. storici: memoria e documento;
2. artistici: ideali estetici;
3. d’uso: funzione
4. pratica;
5. di novità.
Bisogna preservare le testimonianze del passato.
Grammatica storica delle arti figurative (1966): opera postuma. La tesi è che il
linguaggio artistico si evolve nel tempo con mutevoli regole grammaticali; ciò è da
porre in relazione con la visione del mondo dell’artista, il Kunstwollen e le leggi della
natura.
Max Dvorak è un elemento di originalità all’interno del periodo viennese. egli intende
l’indagine artistica come prettamente storica ed atta ad approfondire proprio le
conoscenze in questo ambito; proprio questo differenzia la storia artistica dall’estetica
(pag. 22-23). Ad ogni modo, la storia artistica è una scienza sì storica, ma con una
propria autonomia rispetto ad altre discipline simili e da non confondere con la storia
della cultura. Si può dunque dire che la specificità della storia artistica è l’analisi delle
forme e dello stile (pag.23-24). Tutto questo è in linea con gli studiosi che lo avevano
preceduto, mentre Dvořák si distingue per il modo di intendere la storia e il suo
processo: egli infatti li concepiva come un processo spirituale e indivisibile, che è
anche mezzo conoscitivo della realtà, di cui la storia dell’arte faceva parte, con una
propria specificità. La sua produzione storiografica si può suddividere in tre periodi:
1. la formazione: è ispirato da von Sickel, ma anche dalla lettura stilistico-formale
delle opere, e scrive opere sulla pittura o miniatura boema del Trecento, ma
17
anche sulla resistenza della cultura bizantina nel tardo medioevo, mettendo in
risalto anche il contesto;
2. l’approfondimento e il superamento: si scava nelle teorie di Riegl, per poi
andare oltre. In questo periodo, in Das Rätsel der Kunst der Brüder von Eyck,
imposta il problema della genesi del naturalismo nella pittura fiamminga di
inizio Quattrocento, facendo proprio il concetto di storia ininterrotta riegliano e
l’importanza dello stile (pag. 28);
3. la maturità: in vari saggi mette a punto la sua teoria di storia dell’arte come
storia dello spirito e il concetto di Zeitgeist (pag. 29): in questo modo la
Weltanschauung di un’epoca diventa determinante per la storia delle forme
artistiche (es. il gotico e la filosofia tomista). Per Dvořák sono importanti anche
la conservazione e la tutela, e intende il bene culturale come testimonianza
della vita di una determinata cultura.
Tietze: convergente col pensiero di Dvořák è Tietze in Die Methode der
Kunstgeschichte (1913): il fondamento di questo trattato è la storia dell’arte concepita
come scienza storica, organizzata in ricerca euristica e interpretazione critica,
secondo il modello di Ernst Berheim. Essa si configurava comunque come autonoma
rispetto alle discipline confinanti (pag. 24-25), unico modo per indagare geneticamente
l’evoluzione dell’essenza dell’arte. La storia dell’arte è dunque approdo di una
concezione che passa per due fasi:
1. la fase narrativo-didattica: una descrizione delle opere artistiche in scritti di
carattere estetico, tecnico e topografico, dove domina l’intento pratico;
2. la fase didattico-genetica: emerge un atteggiamento di tipo storico nei
confronti dell’arte, che però non è ancora un approccio scientifico.
La storia artistica genetica si occupa invece di ricercare le cause che stanno a monte
degli elementi specifici delle opere e i loro collegamenti; ciò che secondo Tietze
garantisce la scientificità è l’estetica: essa dà il via alla comprensione dell’artisticità
che può illuminare l’interpretazione storica. Questo, insieme ad altri mezzi, serve a
studiare l’Erlebnis (esperienza) di un’opera nel tempo. Importanti risultano anche le
posizioni estetiche del passato.
Tietze è inizialmente fortemente influenzato dai primi maestri viennesi e
dall’evoluzionismo: secondo lui l’arte si evolve secondo meccanismi interni ed è questa
la chiave di volta della storia dell’arte scientifica. Più avanti, si discosta da questa
concezione rigida e dà importanza anche alla personalità dell’artista e alla funzione
individuale nella costruzione dell’opera d’arte; alla fine, la storia artistica (cioè quella
degli artisti che producono opere) e l’evoluzione artistica sono concetti assai
complessi, che non per forza comportano un miglioramento. Conferisce importanza
anche ai contenuti iconografici e alla Kulturgeschichte: in particolare, l’indagine
iconografica deve essere integrata allo studio della storia delle forme (pag. 27) ed è
fondamentale perché è il ponte che unisce tutti gli ambiti spirituali di un’epoca.
Julius von Schlosser: Schlosser era un umanista dallo spirito enciclopedico, e ciò si
intuiva già dai lavori di catalogazione pubblicati sullo Jahrbuch, in perfetto stile
viennese (pag. 30). I primi trattavano di numismatica antica, quelli degli anni ottanta di
oggetti tardomedievali, ma il denominatore comune era l’arte di corte (pag. 31).
Proprio in questo ambito Schlosser presentava le opere accanto al contesto storico e
culturale in cui si sviluppano; l’elemento portante di questa nuova visione storica e
antiformalistica è l’iconografia (pag. 32). Da questo taglio innovatore nascono opere
come Die Kunst und Wunderkammern der Spätrenaissance (1908), caratterizzata dal
fenomeno del collezionismo, e Geschichte der Porträtbildnerei in Wachs (1911), dove si
rivaluta il ritratto in cera. Il tutto attribuendo grande importanza alle fonti letterarie
18
storicoartistiche: non per niente già nel 1892 scrisse un volume sulle fonti dell’arte
carolingia.
Kunstliteratur (1924): opera nata da uno scritto sui Commentarii (1912) e da
Materialen zur Quellenkunde der Kunstgeschichte, quest’opera costituisce il manuale
fondamentali sulle fonti delle arti, dall’antichità all’Ottocento. È strutturata in nove
capitoli su periodi diversi (pag. 33-34), affrontati sotto il profilo euristico e storico
interpretativo. Viene data grande importanza alle testimonianze letterarie e all’ipotesi
storiografica di Benedetto Croce (pag. 34): l’opera risulta infatti una storia di scrittori
che si interrogano sulle opere d’arte. Ad avvicinarlo al pensiero crociano è Karl Vossler.
Stilgeschichte und Sprachgeschichte der bildenden Kunst e Xenia (1938): saggi in cui
si affronta il tema del linguaggio nella storia artistica (pag. 35).
26
e l’arte nel Novecento di Manet, Renoir, Daumier, Gauguin, Cézanne, Picasso, Arturo
Martini e Utrillo (pag. 160).
Dedalo (Ugo Ojetti, 1920): studia arte antica con impostazione storico-filologica e i
collaboratori fanno parte delle soprintendenze. Le posizioni nei confronti dell’arte
contemporanea erano retrograde e intransigenti (es. Marcello Piacentini e Francesco
Reggiori).
Vita artistica (Tullio Gramantieri, 1926): la rivista si poneva in antitesi allo storicismo,
per ergersi contro le analisi integrali (pag. 162) e le interpretazioni mistico religiose;
inoltre, invitava a studiare solo su opere originali e non trattava di arte contemporanea
per non far eco alle polemiche. Alcuni scritti importanti:
1. Alfredo Gargiulo confuta l’estetica crociana e rivaluta il momento tecnico;
2. i trattati longhiani: Precisazioni nelle Gallerie italiane, Saggi in Francia, Lettera
pittorica a Fiocco;
3. recupero della pittura ottocentesca italiana (pag. 163) da parte di Somaré,
Ojetti, Carrà e Soffici, senza alcuna verve nazionalista;
4. collaborazione tra Longhi e Cecchi, che proseguirà poi sulle pagine di
Pinacotheca con Me pinxit e Quesiti caravaggeschi.
La critica d’arte (Carlo Ludovico Ragghianti, Ranuccio Bianchi Bandinelli, 1935): aveva
come scopo il superamento della filologia stilistica e documentaria, per cogliere i
significati autentici delle personalità e forme artistiche; inoltre, poneva nuova
attenzione sulla tecnica, intesa come determinante dell’espressione linguistica. Infine,
era in continuo aggiornamento sul dibattito internazionale sul problema metodologico.
Le arti: conteneva contributi filologici, sotto l’egida del regime.
1927 Problemi di arte attuale (Raffaello Giolli): commentava gli eventi artistici
contemporanei – esaltando il razionalismo architettonico- ed esprimeva la convinzione
che l’arte dovesse essere portatrice di valori civili e morali nella società.
Architettura e arti decorative (Marcello Piacentini, Gustavo Giovannoni): rivista al
servizio della retorica del regime. La casa bella (poi Casabella) e Domus, invece,
sostenevano apertamente i nuovi indirizzi dell’architettura.
27
dell’alto-medioevo. Durante il periodo romanico –che Focillon studia introducendo
nuove categorie (pag. 177 e secondo una riflessione sui fenomeni come fatti di stile:
1. la tecnica guida è l’architettura, assai estesa, che nell’area mediterranea vira
verso la volta in pietra (pag. 177), mentre in Germania rimane l’eredità
carolingia;
2. la scultura è a vocazione architettonica, ed è visionaria.
L’arte gotica inizia nel XII secolo, si prolunga in quello dopo e si conclude nel XIV, ma
egli analizza il fenomeno più a fondo, nel contesto delle varie influenze e delle regioni.
Facendo ciò, egli si concentra in particolare sulle forme, la rappresentazione, gli stili, i
fatti sociali e sul rapporto tra architettura e altre forme artistiche.
Vie des formes (1934): le forme artistiche hanno radice nella fantasia umana, che
concepisce la realtà come forma. Le forme sono entità autonome, ma mosse da un
principio dinamico che le trasforma continuamente: ognuna di esse è il risultato di
precedenti metamorfosi e preannuncia caratteri espressivi futuri. Esse non sono infatti
avulse dalla storia e vanno considerate, al contrario, in relazione al “tempo storico”. Altri
concetti:
1. lo stile (pag.179): esso attraversa varie fasi, cioè quella arcaica, del
raffinamento, barocca;
2. l’esperimento: è il processo di conoscenza della realtà formale, attraverso
tecniche, materiali e strumenti;
3. tempo storico: è costituito da tradizione,
influenze e tentativi (pag. 179-180). Focillon, nel suo formalismo, deve molto a Fiedler,
Bell, Wölfflin e Riegl, ma al contrario di questi, egli esplora il regno delle forme
occupandosi del processo genetico che porta al concepimento dell’opera. In questa
impostazione, ricorda più Valéry, Alain, Leroi-Gourhan e Bergson.
Tra le due guerre prosegue in Francia la grande tradizione di studi di archeologia
medievale. In questo ambito, centrali furono Marcel Aubert e Jean Porcher. Si assiste
poi a una nascita di ricerche sull’arte francese dal Rinascimento al tardo Settecento:
grande importanza in questi studi li ha Louis Dimier, che comunque aveva molti
interessi, come mostrano le numerose opere (pag. 181). Altri nomi da ricordare sono
Louis Hautecoeur e Louis Réau per quanto riguarda il classicismo (pag. 182).
In Belgio, le personalità che portano avanti studi di tipo filologico sono Georges Hulin
de Loo, Marcel Laurent e Jacques Lavalleye (pag. 183).
28
Kunstgeographie: viene sviluppata da Hugo Henninger, Kurt Gerstenberg, August
Grisebach e Paul Frankl. Quest’ultimo considera la geografia artista come elemento
cardine del sistema delle arti (pag. 195).
Stile: la riflessione più originale è quella di Wilhelm Pinder. Nel 1926 pubblica Il
problema della generazione nella storia dell’arte europea, in cui la storia artistica è
analizzata sotto il profilo della psicologia storica: l’opera è risposta dell’uomo agli ideali
del mondo e va analizzata formalmente e stilisticamente, senza trascurare aspetti
culturali e psicologici. Questa storia è fatta da varie generazioni in un determinato
spazio temporale: ogni generazione è regolata da impulsi e ritmi che conducono a
soluzioni individuali e da fattori costanti (es. la razza, la religione ecc.). Ogni era ha poi
forme artistiche dominanti e due polarità, che rendono l’arte e il suo processo ritmici e
antitetici: l’armonia e il suo contrario.
Studiosi del Medioevo: Wilhelm Pinder si occupa di scultura medievale e del gotico,
rivalutando l’arte tedesca in modo quasi nazionalistico –in linea col periodo storico. Si
promuovo in questi anni iniziative editoriali che illustrano i monumenti artistici secondo
la suddivisione regionale del territorio, nonché collane storie sistematiche. Paul Frankl
analizza la cultura romanica e gotica e scrive Le fasi evolutive (1914) e un volume
sull’architettura medievale europea (1926); poi, ispirandosi a Wölfflin, scrive Il sistema
della scienza artistica, in cui analizza sistematicamente i più grandi problemi teorici
della disciplina. Il problema dello stile lo analizza ancora in Gli Interrogativi dello stile
(1988), postumo (pag. 197). Fondamentali, infine, i suoi studi sul gotico, sintetizzati in
The Gothic Literary Sources and Interpretations (1960).
Arte italiana (manierismo, barocco, Settecento veneziano): ne scrive Hermann Voss
sin dai suoi esordi, poi in opere come Pittura del tardorinascimento a Roma e Firenze
(1920) e La pittura del barocco a Roma (1924), trattazioni sul Seicento napoletano e
veneto. La storiografia tedesca esplora anche arte spagnola, del nord dei Paesi Bassi, e
varie tecniche artistiche.
Disegno: Jakob Rosenberg fu esperto di grafica nordica del Seicento e tedesca del
cinquecento. L’interesse per il disegno comunque è coltivato anche da Wilhelm
Valentiner, Detlev von Hadeln, Hans ed Erica Tietze, Fritz Saxl, Otto Kurz, Johannes
Wilde, Theodor Parker, Arthur Mayger Hind, Arthur Ewat Popham e Frederick Antal.
Arte tra Ottocento e Novecento: iniziatore di questo interesse è Alfred Julius
Meier-Graefe, la cui vicinanza alle avanguardie e agli ambienti parigini lo portano a
diffondere gli orientamenti della Art Nouveau e postimpressionismo, in
contrapposizione con il realismo impressionista. Altra notevole personalità è Gustav
Pauli, che si occupa di musei e istituzioni per il rilancio delle arti, ma anche di critica
degli artisti dell’Ottocento o a lui contemporanei. La sua opera più importante sono i
suoi Ricordi, editi nel 1936.
La rivalutazione del manierismo, che finora aveva avuto caratterizzazione negativa,
avviene proprio ad opera della critica tedesca in questo periodo. Inizia questo processo
Werner Weisbach, che aveva affrontato il problema in stretta connessione col barocco:
il suo scopo è quello di individuarne i caratteri stilistici, che esaltavano la libertà
creativa dell’artista. Grande importanza ha anche
Dvorak: egli sostiene che il manierismo sia iniziato con Michelangelo e si sia concluso
con El Greco, e la sua manifestazione vitale consisteva nell’elemento soggettivo, la
fantasia –ciò provocò reazioni tutt’altro che univoche dalla critica (pag. 200-201).
Anche Walter Friedländer in L’origine dello stile anticlassico nella pittura italiana intorno
al 1520 (1925) analizza il fenomeno, ponendolo cronologicamente tra 1520 e 1590 e
introducendo la categoria dell’anticlassico: all’armonia rinascimentale, infatti, il
manierismo contrappone l’irrazionalismo.
29
Il significato culturale del manierismo: per Weisbach, si tratta di un riflesso delle
tendenze umanistiche coeve e da un certo gusto cortigiano. Nikolaus Pevsner,
influenzato da Dvorak e storicista, considera il manierismo come qualcosa di parallelo
agli ideali della riforma cattolica (pag. 202). Vanno ricordate poi le posizioni di
Hubertus Lossow. In corrispondenza con questo interesse per il manierismo, risorge
anche quello per il barocco (come ben spiega Rudolph Wittwoker, pag. 202-203).
Albrecht Erich Brinckmann: affronta i problemi dello stile e delle tipologie barocche
sotto il profilo delle categorie formali del suo maestro, Wölfflin. Da ricordare in
particolare Theatrum Novum Pedemontii (1931).
Altri testi importanti: Sul genio del barocco di Wilhelm Hausenstein e Il barocco arte
della controriforma di Werner Weisbach (questo secondo ispirerà le teorie di Nikolaus
Pevsner sul manierismo ed ha una tesi simile a quella proposta da Marcel Raymond;
anche Wölfflin, d’altro canto, aveva teorizzato che il barocco avesse le proprie radici nel
Cinquecento).
Nikolaus Pevsner: nel 1928 esce La pittura barocca nei paesi latini, in cui la lettura
dello spazio figurativo è pensata come empatica e percettiva –cosa che aveva già
anticipato Schmarsow nel 1897 in Barocco e Rococò).
Altre interpretazioni:
1. Worringer e Hamann lo interpretano come movimento tipico della Germania nel
quale rivivono i principi del tardogotico;
2. Huebscher con Barocco come forma antitetica della vita interpretava, con poca
produttività, il barocco come l’epoca delle antinomie;
3. si cominciò ad applicarlo anche alla musica e la poesia nel XVI e XVII.
La nuova scuola di Vienna
A Vienna, Hans Sedlmayr e Otto Pächt riscoprono l’interpretazione formalista in delle
riviste:
1. Kritische Berichte (1927-28) fu frequentata da grandi studiosi (Pinder, Antal, tra
gli altri) e si occupò di recensioni;
2. Kunstgeschichtliche Forschungen, edita a Berlino dal 1931.
Questo nuovo indirizzo di studio era caratterizzato da:
1. reazione a una storia dell’arte come storia dello spirito e della cultura;
2. validità di un’analisi delle opere in chiave formalista;
3. ipotesi di creazione di una scienza storico-artistica.
Si criticava la concezione di Dvorak di storia dell’arte come storia dello spirito: risultava
infatti impossibile porre in parallelo fatti artistici e appartenenti alla spiritualità di
un’epoca. Bisognava dunque rivalutare l’opera sotto l’aspetto formale e stilistico, in
senso strutturalista. Inoltre, si riprendono in considerazione (La quintessenza
dell’insegnamento di Riegl di Sedlmayr, 1929) due concetti cari a Riegl: lo stile e il
Kunstwollen (pag. 207). L’interpretazione di Riegl conduceva dunque a ritenere l’opera
un microcosmo inteso non come unità indistinta, ma come una totalità articolata in
una struttura; Sedlmayr approdava infine all’esigenza di una storiografia artistica di
carattere scientifico e che collaborasse altre scienze (pag. 208). In questo modo, si
potevano analizzare i significati insiti all’opera (che risultano stratificati), le costanti
storiche (possono essere nazionali o regionali), i suoi caratteri dinamici (il valore
immanente che si coglie attraverso la percezione), quelli fisiognomici (i valori
d’espressione di un’opera, che si colgono solo con un certo punto di vista), quelli
trascendenti, il senso di direzione dei prodotti artistici (indica quanto sia stato
raggiunto a livello formale e quanto deve essere ancora raggiunto). Sedlmayer sembra
ispirato da molte correnti di pensiero: dal positivismo logico, da quello di Carl von
Lorck, da quello di Philip Lersch, dallo strutturalismo viennese (pag. 209).
30
Psicologia della forma: nasce in Germania a inizio Novecento con Wertheimer, Koffka e
Koehler. Si poneva in contrapposizione con la psicologia sperimentale per tre ragioni:
1. quella sperimentale esaminava il rapporto tra stimolo e sensazione, sostenendo
che il loro mutare fosse proporzionale geometricamente;
2. ogni sensazione sarebbe dipesa dallo stimolo di una determinata struttura
fisiologica;
3. la comprensione della realtà sarebbe avvenuta secondo un dualismo
epistemologico. La psicologia gestaltica, invece, propone un’interpretazione
strutturale unitaria della percezione, in cui le forme sono percepite come unità
prima di essere analizzata (pag. 210).
I gestaltici formularono une serie di leggi dei processi percettivi:
1. della vicinanza;
2. della somiglianza;
3. della forma chiusa; d) della continuità di direzione;
4. del movimento solidale;
5. della pregnanza;
6. dell’esperienza.
Questi enunciati vennero ad esempio utilizzati da Seflmayr in:
1. L’architettura di Borromini (1930);
2. L’architettura barocca austriaca (1930).
Nei saggi successivi (pag. 211), l’autore approfondisce quindi una storia dell’arte
fenomenologica attenta alla funziona delle opere, alla loro contemporaneità e il loro
rapporto col futuro, dove la storia dello stile e delle strutture vengono messe a riscontro
con lo spirito del tempo –dà però una discutibile interpretazione dell’arte moderna a
partire dal Settecento, applicando lo schema della secolarizzazione.
Otto Pächt: rende noti i risultati delle sue ricerche strutturali applicate al gotico
internazionale. I saggi su questo argomento iniziano con Antica pittura austriaca su
tavola (1929); la sua attenzione era rivolta a evidenziare i principi formali delle varie
zone europee: questi, che egli considerava costanti, riguardavano:
1. la resa spaziale;
2. gli schemi compositivi;
3. organizzazione delle immagini (esempi a pag. 212).
Durante le leggi razziali, emigrò a Londra, dove in un primo momento collaborò col
Warburg Institute, salvo poi rientrare a Vienna nel 1963: in questa ultima fase si
interessò dei problemi di metodo e dell’arte europea dei secoli XIV e XV. Le sue lezioni
vengono raccolte nel 1977 in Metodo e prassi nella storia dell’arte: qui l’autore
sintetizza le sue posizioni teoriche sulla storia artistica, intesa come scienza dell’arte e
disciplina autonoma; dunque, l’opera deve essere analizzata formalmente in una
prospettiva storica (pag. 213). L’opera, per Pächt, non è solo un messaggio: l’opera deve
essere analizzata sì stilisticamente, ma in connessione con l’aspetto iconografico.
Esiste insomma un intreccio inscindibile tra forma visibile e significato e ogni opera
deve essere posta in una catena evolutiva –l’autore fa insomma uso della convinzione
evoluzionista di Riegl (pag. 214). Questa storia dell’arte genetica studia le varianti e
costanti nello stile delle opere rispetto alla tradizione.
Guido Kaschnitz von Weinberg: con questo autore, l’analisi della struttura delle forme
trovò applicazione anche nell’arte antica, dando inoltre grande importanza al contenuto
simbolico proprio delle forme (pag. 215).
Emile Kaufmann: sostiene che i principi formali degli edifici neoclassici siano
diametralmente opposti da quelli dominanti nell’età precedente (pag. 216). Ciò,
secondo Kaufmann, rifletterebbe i cambiamenti sociali dell’età della ragione.
31
Michael Alpatov: è attento ai principi dell’organizzazione formale nelle opere, agli
aspetti di contenuto, ai principi psicologici del fruitore e ai fattori sociali che
influenzano l’artista.
32
2. Hogarth and his Place in European Art (1962), in cui Antal sviluppa i temi
riguardanti le tecniche dell’artista in relazione con le tradizioni, la committenza,
il trattato da lui steso, il gusto e via dicendo.
Arnold Hauser: influenzato da Weber, Simmel e Mannheim, nel 1951 dà alle stampe la
Storia sociale dell’arte, il primo tentativo di discutere sociologicamente tutta l’arte
occidentale:
1. adotta tre categorie storiche, cioè gotico, manierismo e barocco;
2. indaga le mutazioni di stile;
3. tratta le condizioni materiali della produzione artistica. Ci sono comunque,
come nota Gombrich, delle parti insoddisfacenti in questa trattazione (pagg.
243-244).
Hauser sviluppa la sua teoria in Philosophie der Kunstgeschichte (1958) e in Soziologie
der Kunst (1974), in cui sostiene che:
1. l’arte sia un prodotto della società, in particolare dei fatti economici e dei ceti
dominanti;
2. il valore ideologico e propagandistico è centrale nelle opere;
3. la lettura psicoanalitica dell’opera è preziosa, ma insoddisfacente;
4. quella stilistico-formale separa il processo formativo da quello creativo, nonché
da quello socioeconomico;
5. una storia dell’arte scientifica deve considerare la struttura sociale;
6. importanti sono la ricezione e lo studio dell’arte secondo i vari strati sociali.
Francis Haskell: nel 1963 pubblica Patrons and Painters, un’analisi approfondita della
committenza in Italia tra Seicento e Settecento, secondo fonti scritti e d’archivio. Nel
1976, quando il suo interesse si è spostato su ricezione e gusto, dà alle stampe
Rediscoveries in Art, in cui ha indagato la fortuna di varie correnti analizzando
collezionismo, istituzioni museali e scritti d’arte. La ricerca si fa più ristretta
sull’argomento “gusto” nella collaborazione con Penny, Taste and Antique (1981), in cui
si analizza la fortuna della scultura classica presso amatori, artisti e collezionisti.
Questo viaggio nell’ambito del gusto si conclude con i saggi contenuti in Past and
Present in Art and Taste (1987).
Michael Baxandall: esordisce nel 1971 con Giotto and Orators. Humanist Observers of
Painting in Italy and the Discovery of Pictorial Composition 1350-1450), cui si
analizzano i pensieri dei maggiori umanisti sull’arte, nonché come grammatica e
retorica abbiano influenzato il nostro modo di intendere e descrivere le opere. Questo
argomento è presente anche in Painting and Experience in Fifteenth Century in Italy
(1972), dove però sono considerati anche il pubblico, che si abitua alla ricezione
attraverso l’apprendimento e memorizzazione di determinate strutture (pag. 246-247),
e la produzione, analizzata secondo una revisione dei contratti tra artisti e committenti.
Scritti di rilievo:
- The Limewood Sculptors of Renaissance Germany (1980), in cui si analizza la
scultura lignea del Quattrocento in Germania meridionale in rapporto al clima
socioeconomico;
- Patterns of Intention (1985), quattro letture su Benjamin Baker, Picasso, Chardin
e Piero della Francesca, come pretesto di verifica di problemi teorici e
interpretativi (pag. 247).
Pierre Francastel: l’arte è per lui struttura, e la sua storia è intercambiabile con la
sociologia. Applica questa convinzione in Peinture et societé (1951), dove, accettando
parzialmente la tesi di Panofsky, sostiene che la prospettiva non sia reale, bensì la
proiezione dell’uomo nella società: partendo dalla definizione teorica di arte come
“funzione”, sostituisce solamente l’interpretazione simbolica con una sociologica. In
33
questo contesto, la prospettiva è una struttura sociale, cioè un sistema che unisce dati
estratti dal reale con altri dati, e in cui l’uomo esprime tutta la complessità della sua
vita interiore e delle relazioni con la società (pag. 248). Francastel fu ispirato da
Goldmann, Scheler, Mukarowsky, Piaget, Durkheim e Merleau-Ponty.
Nicos Hadjinicolau: nel saggio del 1973 Histoire de l’arte et luttes de classes rivaluta
Antal, sostituendo il concetto di “ideologia” con quello di “ideologia figurativa” (pag.
249). Inoltre, in Italia Antal era stato ben considerato, anche se non da tutti i critici (pag.
250).
Ranuccio Bianchi Bandinelli: iniziatore di un indirizzo sociologico in Italia. Ispirato dalla
scuola dell’arte critica, 1976), dall’arte contemporanea e Benedetto Croce –anche se
poi lo rivaluta negativamente (pag. 250-251), i suoi saggi giovanili (I caratteri della
scultura a Chiusi, 1925-1926; Sovana. Topografia ed arte, 1929) evidenziano il filone
anticlassico dell’arte etrusca e italica, ponendola nei giusti limiti tra la necessità di
rivalutare produzioni artigianali e evitare interpretazioni irrazionali del fenomeno. Scrive
per la Critica d’Arte, il Contemporaneo e nel 1939 esce Maestro delle Imprese di
Traiano. Tra il 1950 e il 1960 si avvicina a uno storicismo integrale e un materialismo
storico, che lo portano a scrivere una serie di saggi (Il problema della scultura romana
del III e IV secolo, 1952; Il ritratto tardoromano, 1957; Organicità e astrazione, 1956;
Archeologia e cultura, 1961), in cui in polemica con l’astrattismo irrazionale richiama
all’umanesimo e all’impegno civile razionale. In Archeologia e cultura, definisce l’opera
non come raptus irrazionale dell’artista, quanto come nata dalla struttura sociale.
Suggerisce quindi un piano metodologico (pagg. 253-254) articolato nei seguenti
momenti:
1. analisi filologica e cronologica;
2. iconografia e stile epocale;
3. committenti;
4. giudizio storico-artistico.
Dirige due riviste (Enciclopedia dell’arte antica e Dialoghi di archeologia) e scrive:
Formazione e dissolvimento della koiné ellenistico romana (1965), Arte plebea (1967),
Osservazioni sulla forma artistica in Oriente e Occidente (1968), L’arte al centro del
potere (1969), Roma: la fine dell’arte antica (1970), Etruschi e Italia prima di Roma,
1973).
Manfredo Tafuri: studia l’architettura sotto un punto di vista sociologico e marxista,
ispirato da Carlo Ginzburg e dagli Annales. Importanti sono Teoria e storia
dell’architettura (1968) e Progetto e Utopia (1973), per le sue opinioni su capitalismo e
avanguardie, e per le posizioni contro architetti che si davano alla ricerca storica
(pag.256).
41
3. sulla percezione, per cui cogliamo la catena delle componenti del significato e
riconosciamo il significante per il “verso” delle strutture del significato (pag.
380).
Su quest’ultimo punto ha insistito recentemente anche Sergio Bettini.
Boris A. Uspenskij: rileva la difficoltà dell’applicazione della semiotica al linguaggio
della pittura, dato che spesso ignoriamo il contenuto di un quadro antico: non
sappiamo infatti cosa fosse rilevanti per l’artista, né possiamo esaminare il grado di
convenzionalità (prende d’esempio le antiche icone russe, pag. 380).
Louis Marin: in un saggio del 1968, Marin verifica se esista un’equivalenza tra lo
specifico della lingua e dell’immagine, trovando analogie (pag. 381):
1. nell’esistenza di una sintagmatica pittorica;
2. nella paradigmatica pittorica costituita da elementi seriali secondari;
3. nel codice figurale entro il quale si svolge la differenza tra referente e senso;
4. nella denotazione-connotazione;
5. nella presenza di strutture doppie e di simboli-indici;
6. nell’individuazione di strutture elementari della significazione pittorica.
Sul versante delle verifiche, si concentra su Philippe de Champaigne.
Hubert Damish: in Théorie du nuage (1972), dedicato all’analisi semiotica della
“nuvola”, è convinto che il sistema pittorico sia l’articolazione gerarchica dei piani di
connotazione (pag. 381).
Jean-Louis Schefer: si propone una trascrizione dell’icona in codice linguistico,
utilizzando il concetto di intertestualità.
42
- studio dei centri storici, ispirato dalle Istruzioni per la tutela dei centri storici
(inserite nella Carta del restauro del 1972), non si limita più ai grandi centri
urbani, ma si estende a tutti gli insediamenti umani. I centri sono considerati
come organismi viventi, in relazione col territorio e analizzati globalmente;
- catalogazione dei beni culturali nel territorio, legata al bisogno di eliminare
gerarchie tra varie forme d’arte e usata per cogliere le specificità di ogni
territorio, da un punto di vista globale e antropologico, senza però dimenticare
che ogni bene culturale ha un’importanza diversa in ogni contesto.
George Kubler: studia l’architettura in epoca coloniale e l’arte dell’America
precolombiana, e usa queste conoscenze, unite al metodo antropologico, in The Shape
of Time (1962). Riprendendo Focillon, propone una storia dell’arte come studio degli
oggetti, inseriti in una griglia strutturale di “sequenze formali” o “serie”, che spiegano i
mutamenti di stile e le innovazioni, senza tirare in ballo concetti tradizionali qualità e
gerarchia. Fu ispirato anche da Rynyanov, Jakobson e Kroeber (pag. 394).
43
44