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Federico Barocci
Licenza Creative Commons 3.0 Attribuzione - Non commerciale No opere derivate http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/3.0/
I titoli di opere d'arte sottolineati e colorati in blu sono cliccabili: si aprir l'immagine dell'opera (necessaria connessione a internet).
Ci aveva visto molto bene Michelangelo quando, ormai alla fine della sua carriera e della sua esistenza, a Roma not un Federico Barocci poco pi che ventenne che disegnava in compagnia di Taddeo Zuccari, e dopo aver visto quegli schizzi lo lod inanimandolo a proseguire gli studi incominciati, come racconta Giovan Pietro Bellori. Non poteva esserci inizio migliore per la carriera di quel giovane che lasci presto la capitale dello Stato Pontificio per ritirarsi nella sua patria, Urbino, in una sorta di autoisolamento che tuttavia non gli imped di ottenere fama in tutta Europa e di diventare uno dei pittori pi influenti del suo tempo. Non si sa bene per quale motivo se ne sia partito in tutta fretta da Roma: lui sosteneva di essere stato avvelenato da colleghi invidiosi. Chiss se fu davvero cos o se erano soltanto le paure di un uomo dal carattere molto fragile: non si sa ancora niente di sicuro. Ma certo che anche agli occhi dei suoi contemporanei e dei suoi biografi, Federico Barocci doveva apparire come una persona estremamente sensibile, dal temperamento difficile, chiuso e solitario. Un temperamento che condizion anche il suo lavoro, perch diventata famosa la quasi proverbiale lentezza con cui conduceva a termine i suoi dipinti e a causa della quale faceva aspettare anche diversi anni i committenti: lentezza dovuta in parte alle asperit del suo carattere, ma in parte anche all'elevatissima cura che dedicava a ogni singola composizione, e la grande quantit di disegni che di lui ci rimasta l a testimoniare questo aspetto della sua arte. Ma nonostante tutto ci fu un uomo buono, altruista e fortemente stimato da tutti coloro con cui si trov a intrattenere rapporti di lavoro. Non per si guid mai con l'avarizia, ma solo faceva stima della sua riputazione; dipingeva nobilmente per l'onore, non mancando a studio o fatica []. Circa li costumi non avresti ripreso in lui cosa minima alcuna; era principalmente caritativo verso i poveri, benefico con tutti, affabile ed umile nel conversare. Cos lo descriveva ancora Giovan Pietro Bellori, che nelle sue Vite dedica una sezione molto ampia a Federico Barocci: un'ulteriore attestazione di quanto importante fosse la sua personalit. Federico Barocci passato alla storia dell'arte come il maggior interprete della pittura controriformistica. Ma si tratta di una defini4
zione piuttosto riduttiva, perch non d idea del fascino che esercitano le sue meravigliose opere d'arte sugli osservatori. La sua produzione costituita quasi esclusivamente da temi a soggetto sacro e, se si escludono i ritratti, l'unico dipinto a soggetto profano la Fuga di Enea da Troia. Ma la bellezza, la raffinatezza, il lirismo delle composizioni baroccesche fanno apparire i personaggi della sfera religiosa sotto una luce diversa: la Madonna dell'Annunciazione della Pinacoteca Vaticana o della Basilica di Santa Maria degli Angeli ci sembra una ragazzina timida, le Maddalene sono sempre bellissime e delicate, la Sacra Famiglia della Madonna del gatto o della Madonna delle ciliegie sembra quasi non aver niente di sacro tanta la dimensione di quotidianit e intimit che caratterizza queste scene. E a far da contorno a questi personaggi troviamo in molte opere un'umanit viva, colta in una grande variet di pose e di espressioni: il caso, per esempio, della Madonna del popolo, dove proprio il popolo a ottenere il ruolo di protagonista principale del dipinto, ancor pi dei personaggi appartenenti al mondo ultraterreno. un'arte che suscita emozioni, che colpisce, e in certi momenti si ha quasi l'impressione di dimenticare che quelle a cui si assiste sono scene tratte dal repertorio della religione, tanta la meraviglia che si prova davanti a questi capolavori. E come tralasciare i ritratti di Federico Barocci, cos realistici e naturali, cos eleganti e accurati? Studiando le opere di Tiziano che abbellivano le sale del Palazzo Ducale, Federico creava ritratti splendidi, che ci dnno un'ulteriore idea della sua sapienza e della sua immensa abilit tecnica. E un'altra presenza costante nella sua arte proprio il Palazzo Ducale di Urbino, raffigurato in moltissime opere cos come il pittore lo vedeva dalla finestra della sua casa, sullo sfondo delle colline marchigiane: rappresentazioni che pi di ogni scritto e pi di ogni documento forniscono prove di quello stretto rapporto che Federico Barocci aveva con la sua citt natale. E infine, tutti coloro che osservano le opere di Federico Barocci, anche per la prima volta, rimangono colpiti dai suoi colori: non un caso se la grande mostra monografica che si tenuta a Siena tra la fine del 2009 e gli inizi del 2010 definiva, nel titolo, la pittura di Federico Barocci come l'incanto del colore. Sono proprio quei brillanti, vivaci e luminosi colori di derivazione correggesca una delle
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peculiarit salienti dell'arte di Federico Barocci: le sue opere sono un tripudio di gialli, arancioni, azzurrini, verdi, violetti declinati sempre diversamente e declinati in modo da stupire e da coinvolgere in modo sempre pi avvincente l'osservatore. Un coinvolgimento che diventa assoluto quando si osserva la Deposizione di Perugia, dipinto che pi di ogni altro cattura chi lo ammira con le sue incredibile variazioni cromatiche, con la sua luminosit, con il suo dinamismo. impossibile pensare ad altro quando si osserva la Deposizione di Federico Barocci, e per provare queste sensazioni necessario osservare dal vivo questa grandiosa tela. Un dipinto emozionante, una sinfonia di colori che avvolge l'osservatore come una straordinaria e magica melodia. S, perch per Federico Barocci pittura e musica si equivalgono: il pittore come un musicista, accosta i toni come il musicista esegue gli accordi, e dal momento che l'udito trae diletto ascoltando una bella melodia, cos anche la vista deve trarre piacere dall'armonia dei colori e dei lineamenti. Bellori racconta che un giorno, mentre dipingeva, gli si accost il suo mecenate Guidobaldo II Della Rovere, duca di Urbino, e gli chiese cosa stesse facendo. E facendogli vedere il quadro, Federico rispose: sto accordando questa musica.
Indice
I. Profilo biografico II. Le opere III. L'eredit di Federico Barocci IV. Bibliografia di riferimento
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I. Profilo biografico
Potrebbe risultare difficile pensare che un pittore che non si mosse quasi mai dalla sua citt natale sarebbe poi diventato uno degli artisti pi influenti della sua epoca: cos per Federico Barocci, che trascorse pressoch tutta la sua esistenza a Urbino, dove nacque tra il secondo e il terzo decennio del Cinquecento. La data di nascita stata a lungo oggetto di dibattito tra gli studiosi, perch il suo primo biografo importante, Giovan Pietro Bellori (1613 1696), indica il 1528 come anno in cui il pittore vede la luce. Ne consegue che altri che in seguito scrissero su Barocci presero per buona questa come data di nascita. Studi risalenti al Novecento e condotti, tra gli altri, da Harald Olsen, Edmund Pillsbury e Andrea Emiliani, spostano la data al 1535, in seguito alla scoperta di un importante documento: Francesco Maria II Della Rovere, duca di Urbino che, come vedremo nel prosieguo della trattazione, divent un punto di riferimento importante per l'arte di Barocci, annotava in un suo diario la scomparsa del pittore, avvenuta nel 1612, scrivendo che il pittore aveva all'epoca settantasette anni. Al giorno d'oggi sembra essere proprio questa la data di nascita pi corretta, in ragione del fatto che la fonte da cui la data viene tratta risulta di gran lunga pi attendibile rispetto all'altra. Ma non solo la data di nascita a creare qualche piccolo problema: c' anche il cognome del pittore. Proprio sul cognome c' grande confusione, perch nelle fonti l'artista viene citato come Federico Barocci ma spesso anche come Federico Fiori, quindi al giorno d'oggi, anche navigando sul web, si pu constatare come molti siti e molti libri parlano di Federico Barocci detto il Fiori e tanti altri parlano di Federico Fiori detto il Barocci. C' da notare che il pittore spesso firmava i suoi dipinti, ed era solito farlo con la dicitura FEDERICUS BAROCIUS URBINAS FACIEBAT, seguita dalla data. Sempre Olsen, uno dei pi autorevoli studiosi novecenteschi di Federico Barocci, dice che il vero nome era proprio Barocci e che la dicitura Fiori era totalmente sconosciuta ai contemporanei dal momento che appare soltanto a partire da documenti settecenteschi. La famiglia di Federico era di origini lombarde, e sappiamo che un suo antenato, Ambrogio Barocci, di professione scultore, si era trasferito nel piccolo ducato negli anni Settanta del Quattrocento, forse attratto dalle prospettive di guadagno che la corte di Urbino poteva of10
frire. Troviamo questa notizia ancora nelle Vite di Giovan Pietro Bellori: stando alla ricostruzione dello storico romano, Ambrogio sarebbe stato il bisnonno di Federico, e il padre del nostro artista si chiamava anch'egli Ambrogio. Quest'ultimo svolgeva la professione di modellatore, occupandosi di rilievo, modelli, sigilli, ed astrolabi. Nell'anno in cui nacque Federico Barocci, il ducato di Urbino era retto da Francesco Maria I Della Rovere (1490 1538): questi era salito al potere nel 1508, dopo che il suo predecessore, Guidobaldo I da Montefeltro (1472 1508), figlio di quel Federico III (1422 1482) noto per essere stato uno dei pi grandi mecenati del Rinascimento e per essere stato ritratto da Piero della Francesca, era scomparso senza lasciare eredi e facendo estinguere la famiglia dei Montefeltro. Francesco fu indicato come suo successore proprio da Guidobaldo, che era suo zio, e govern fino al 1538, fatta eccezione per una breve interruzione tra il 1516 e il 1521: nel 1516 infatti Lorenzo II de' Medici, noto per essere il dedicatario del Principe di Niccol Machiavelli, riusc a spodestare il Della Rovere, che recuper il ducato solo qualche anno dopo, in seguito alla scomparsa di papa Leone X Medici, che aveva favorito Lorenzo II durante le lotte per la conquista di Urbino. Nel 1539 Francesco scomparve e lasci il ducato nelle mani di Guidobaldo II Della Rovere: ci troviamo negli anni della formazione di Federico Barocci, e il ducato di Urbino, dopo le lotte del secondo decennio del Cinquecento, conosce un rinnovato periodo di splendore culturale. In seguito all'esperienza quattrocentesca dei Montefeltro (soprattutto di Federico III), i Della Rovere vollero porre le basi per fare di nuovo di Urbino uno dei poli artistici e intellettuali pi importanti della penisola. La piccola corte marchigiana tornava a vivere gli splendori del primo Rinascimento, frequentata da artisti e letterati (un nome su tutti: Baldassarre Castiglione), diventando cos un eccezionale centro di cultura umanistica, forte anche dei rapporti che il ducato aveva con lo Stato Pontificio: non bisogna dimenticare che tra il 1503 e il 1513 il papa fu Giulio II, al secolo Giuliano Della Rovere. Un'importanza culturale sancita anche dalla nascita, nel 1506, dell'Universit: il primo nucleo fu istituito per merito di Guidobaldo da Montefeltro, e negli anni successivi, sotto il dominio dei Della Rovere, furono ampliate le prerogative del nuovo ateneo, che and cos
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acquistando sempre maggior prestigio. Per quanto riguarda l'arte, sarebbe quasi sufficiente dire che a Urbino nacque, nel 1483, Raffaello: il suo genio fu stimolato dall'atmosfera raffinata che poteva respirare alla corte, per la quale lavorava il padre Giovanni, nonch dalle grandi opere realizzate dai maestri che operarono per i Montefeltro nel Quattrocento. Ma parlare solo di Raffaello sarebbe riduttivo, perch furono moltissimi gli artisti che ebbero i natali nelle terre del ducato o che nel corso della loro carriera si trovarono ad aver a che fare con la corte urbinate. Tra gli artisti molto legati ai Della Rovere troviamo Tiziano (1488 ca. 1576), che ricevette diverse commissioni da parte di Francesco Maria prima e da Guidobaldo poi: il ritratto pi famoso di Francesco Maria, quello conservato agli Uffizi che ritrae il duca in armatura, fu realizzato proprio dal pittore cadorino, che sempre per Francesco esegu anche altri dipinti tra cui il ritratto della moglie Eleonora Gonzaga e il Cristo conservato a Palazzo Pitti. Per Guidobaldo invece realizz nel 1538 quello che forse uno dei dipinti pi famosi e discussi del mondo, la Venere di Urbino, che arriv a Firenze nel 1631 insieme a Vittoria Della Rovere (1622 1694), discendente dei duchi di Urbino, andata in sposa nel 1634 (all'et di dodici anni) a Ferdinando II de' Medici (1610 1670): in seguito alla scomparsa, proprio nel 1631, dell'ultimo duca Francesco Maria II (1549 1631), il ducato si estinse e fu annesso allo Stato Pontificio, ma le collezioni artistiche furono lasciate a Vittoria. Si spiega cos perch oggi troviamo nei musei fiorentini moltissime delle opere realizzate per la corte di Urbino. Tra gli altri artisti che, in un modo o nell'altro, furono legati ai Della Rovere necessario citare il Bronzino (1503 1572), che durante gli anni della sua formazione soggiorn per un breve periodo nel Ducato e di cui si ricorda il famoso ritratto di Guidobaldo II, conservato a Palazzo Pitti, e Dosso Dossi (1486 1542), che per Francesco Maria I affresc la Camera delle Cariatidi nella Villa Imperiale di Pesaro, citt che i Della Rovere avevano fatto diventare una seconda capitale del ducato e dove programmarono diversi interventi urbanistici e culturali, vista anche la posizione sul mare della citt, pi favorevole ai rapporti commerciali con gli altri stati. Infine necessario citare tre artisti dai nomi meno famosi ma che
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furono decisivi per l'iniziale formazione di Federico Barocci: Girolamo Genga, Francesco Menzocchi e Battista Franco. Il primo, nato a Urbino (1476 1551), fu non soltanto pittore ma anche scultore e architetto, ed interessante notare che la sua famiglia era legata ai Barocci da vincoli di parentela. Il figlio di Girolamo, Bartolomeo (1518 1558), era infatti lo zio di Federico Barocci, e nel 1551 divent responsabile delle fabbriche ducali, un ruolo di grande prestigio che ricopr fino al 1558, anno della sua scomparsa. Francesco Menzocchi (1502 1574), pittore di origini romagnole (nacque a Forl), lavor nei primi anni della sua carriera nella citt natale, e in seguito, tra la fine degli anni Venti e l'inizio degli anni Trenta del Cinquecento, si trasfer a Pesaro per lavorare presso la gi citata Villa Imperiale e torn poi nel Ducato pi avanti nel corso della sua carriera. Battista Franco (1498 1561) proveniva invece da Venezia ed noto per essere stato, oltre a un importante pittore manierista, anche il pi grande e fedele ammiratore di Michelangelo: dopo aver conosciuto a Roma le opere del genio di Caprese ne rimase impressionato a tal punto da dedicare una buona parte delle sue energie alla copia delle opere del Buonarroti. famosa la frase di Giorgio Vasari su Battista Franco, che d un'idea della carica di venerazione del pittore nei confronti di Michelangelo: non rimase schizzo, bozza o cosa non che altro stata ritratta da Michelagnolo, che egli non disegnasse. Battista Franco arriv a Urbino negli anni Quaranta del Cinquecento, grazie all'intercessione di Bartolomeo Genga che lo raccomand a Guidobaldo Della Rovere: il pittore veneziano fu incaricato di eseguire alcuni affreschi all'interno del Duomo di Urbino. Furono questi gli artisti, come detto, importanti per la formazione di Federico Barocci, e bisogna aggiungere il fatto che anche la sua era una famiglia di artisti: un particolare di non poco conto, visto che grazie alla famiglia comp i suoi primi passi in ambito artistico. Tuttavia necessario sottolineare che a oggi non conosciamo con sicurezza l'esatto iter della formazione di Federico Barocci e ci sono ancora molti aspetti da chiarire, perch sulla sua produzione giovanile le ombre prevalgono sulle luci. Stando a quanto ci racconta ancora Giovan Pietro Bellori, il suo primo maestro dovrebbe essere stato Francesco Menzocchi, informazione che possiamo accettare con un certo margine di certezza: secondo Bellori, il pittore forlivese prese
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ferma speranza del giovinetto, e l'esort ad applicarsi tutto alla Pittura. Menzocchi era un pittore piuttosto famoso al suo tempo, e anche se in seguito alla sua scomparsa la sua fortuna and scemando, di recente si sta assistendo a una rivalutazione della sua figura. Pittore dallo stile elegante e raffinato, debitore nei confronti del classicismo raffaellesco che ebbe modo di osservare dal vivo durante un soggiorno a Roma, Francesco Menzocchi ebbe un ruolo di un certo peso nell'avviare Federico Barocci a quella pittura aggraziata e delicata che avrebbe contraddistinto la sua personalit anche negli anni a venire. In seguito al ritorno di Francesco Manzocchi in patria, Federico Barocci fu mandato a bottega da Battista Franco: anche se era un pittore veneziano, Franco si era trasferito a Roma da giovanissimo, quindi possiamo inserirlo a pieno titolo tra gli esponenti del Manierismo romano, una cultura che l'artista, possiamo ipotizzare, cerc di trasmettere al suo giovane allievo. L'esperienza accanto a Battista Franco certa ma fu di breve durata, perch l'artista lasci dopo poco tempo Urbino e Federico si trasfer dallo zio Bartolomeo Genga, che era in ottimi rapporti con il duca Guidobaldo: Federico aveva cos la ghiottissima opportunit di studiare i dipinti della collezione del duca, esperienza per lui molto importante. Bartolomeo Genga aveva ricevuto una formazione di alto livello dal momento che da giovane aveva studiato a Firenze prima con Bartolomeo Ammannati (1511 1592) e poi con Giorgio Vasari (1511 1574), quindi si trasfer a Roma e poi ancora a Verona, entrando a contatto con l'attivo ambiente artistico romano ma ricevendo suggestioni anche dal Veneto: ed proprio grazie allo zio che Federico Barocci cominci ad aprirsi verso culture figurative diverse da quella della citt natale. Culture figurative diverse con le quali ebbe modo di entrare in contatto durante un soggiorno a Roma che secondo molti studiosi da collocare tra il 1553 e il 1555. Lo zio Bartolomeo Genga, a seguito dell'elezione del nuovo papa Giulio III, era stato chiamato nella capitale dello Stato Pontificio per progettare alcune opere militari, e si ipotizza che a Roma l'architetto abbia introdotto il giovane Federico Barocci presso il cardinale Giulio Della Rovere (1532 1578), fratello del duca Guidobaldo, anche se alcuni studiosi tendono a minimizzare il ruolo dello zio. Possiamo dire che Giulio Della Rovere fu il primo
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mecenate di Federico Barocci, e il rapporto tra i due continu anche negli anni successivi. A questi anni, e pi precisamente al 1555, risale la prima opera nota di Federico Barocci, la Santa Cecilia tra i santi Giovanni, Maria Maddalena, Paolo e Caterina (nota anche come Estasi di Santa Cecilia, n. 1 della sezione Le opere). Risale invece al 1557-1558 il Martirio di san Sebastiano (n. 2), opera conservata presso la Cattedrale di Urbino, come la precedente. Queste due tele furono realizzate al ritorno di Federico Barocci da Roma: qui lo scultore aveva avuto modo di studiare da vicino le grandi opere dei maestri del Rinascimento, a cominciare dal suo concittadino Raffaello, l'incontro con il quale fu determinante per il prosieguo della sua carriera e per l'elaborazione del suo stile. In quegli anni la citt stava vivendo l'affermazione del Manierismo romano, e di l a poco si sarebbero imposte le personalit di grandi artisti come gli Zuccari, Taddeo (1529 1566) e Federico (1539 - 1609), che peraltro erano originari del ducato di Urbino e si erano trasferiti a Roma da giovanissimi, come Niccol Circignani noto anche come il Pomarancio (1530 1597), che lavor nella capitale dello stato pontificio all'inizio degli anni Sessanta del Cinquecento, e come Santi di Tito (1536 1603), fiorentino, trasferitosi a Roma a met degli anni Cinquanta. Non bisogna poi dimenticare che in quell'epoca era ancora attivo Michelangelo, che scomparve nel 1564 e la sua personalit esercitava una grandissima influenza sui giovani artisti. E tra l'altro pare che lo stesso Michelangelo nutrisse una particolare ammirazione nei confronti del giovane e molto promettente Federico Barocci. un aneddoto che ci racconta Giovan Pietro Bellori e che gi stato anticipato nell'introduzione: Federico si trovava in compagnia di Taddeo Zuccari (che fu un po' una guida per lui in quel di Roma) a ricopiare una facciata di un palazzo eseguita da Polidoro da Caravaggio, e avvenne che Michelangelo si trov a passare cavalcando una muletta, com'era suo costume davanti a quel palazzo. Gli altri giovani pittori si precipitavano dal grande maestro per mostrargli i loro dipinti, e pare che Federico non si fosse mosso, per timidezza: Taddeo gli avrebbe quindi preso i disegni e li avrebbe portati a Michelangelo, che lod Federico Barocci inanimandolo a proseguire gli studi incominciati.
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Nel frattempo Bartolomeo Genga, nel 1558, moriva a Malta, dove si era recato per progettare alcune fortificazioni per rafforzare le difese dell'isola, che in quegli anni era minacciata dai turchi: famoso l'assedio del 1565, dal quale i Cavalieri di Malta uscirono vincitori. Andrea Emiliani ipotizza che, in seguito al ritorno da Roma, Federico Barocci comp anche altri due viaggi, uno a Parma e uno a Venezia, entrambi comunque nel 1559: potrebbe spiegarsi cos la grande affinit che lega Federico Barocci al Correggio (1489 1534) e che troverebbe quindi maggiore riscontro sapendo che l'artista ebbe modo di vedere da vicino le opere di Antonio Allegri che si trovavano nella citt ducale. Cos come il viaggio a Venezia aiuterebbe a spiegare meglio i punti di contatto tra l'artista urbinate e i pittori veneti, in particolare Tiziano, bench sia necessario sottolineare che Federico ha avuto modo di studiare in modo approfondito le opere di Tiziano presenti nelle collezioni del ducato di Urbino. Un rapporto, quello tra Federico Barocci e Tiziano, che si pu notare gi nelle sue opere giovanili, come l'Estasi di santa Cecilia citata in precedenza. Il pittore comp il suo secondo e ultimo viaggio a Roma nel 1561: era stato incaricato di partecipare alle decorazioni ad affresco del Casino di papa Pio IV in Vaticano. Si tratta di una villa che fu progettata da Pirro Ligorio (1510 1583) inizialmente per Paolo IV: alla scomparsa di papa Carafa, nel 1559, i lavori continuarono sotto il neoeletto Giovanni Angelo Medici di Marignano che, per la decorazione, scelse alcuni artisti all'epoca molto giovani ma destinati a diventare tra i pi grandi esponenti del Manierismo. L'edificio aveva una doppia natura in quanto doveva essere luogo di svago ma anche palazzo di rappresentanza: per questo motivo, per le decorazioni, i pittori si cimentarono non soltanto in temi aulici e solenni, ma anche in temi rustici. Tra gli artisti che parteciparono agli affreschi si distinsero, oltre a Federico Barocci, i gi citati Taddeo e Federico Zuccari e Santi di Tito. In questo contesto, Federico si dimostra particolarmente attratto dall'arte degli Zuccari, come si nota osservando le due volte decorate dal pittore (n. 4 e n. 5). Il secondo soggiorno a Roma si protrasse fino al 1563, come ci testimoniano i documenti relativi al pagamento dei lavori eseguiti da Federico: tuttavia il suo brillante periodo romano termin in maniera
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non chiara e sono diversi i punti oscuri, perch pare che sia stato addirittura avvelenato da non meglio specificati colleghi invidiosi. O almeno questo era il timore di Federico Barocci, che dovette comunque lasciare la citt in preda a problemi di salute che lo avrebbero accompagnato per tutto il resto della sua esistenza (anche se non conosciamo bene quale sia stata questa malattia: forse un'ulcera duodenale). Bellori racconta addirittura di una merenda alla quale Federico sarebbe stato invitato da alcuni pittori, e continua dicendo che l'artista di Urbino avrebbe consumato insalata avvelenata. Racconta ancora Bellori che il cardinale Della Rovere, per cercare di far ritornare presto in salute il suo protetto, chiam i migliori medici della citt, ma questi non poterono far altro che consigliargli di tornare a Urbino per ritemprarsi. Quello che certo che l'artista trascorse due anni di inattivit cercando un rimedio alla sua malattia, tuttavia senza trovarlo. Una malattia che spesso diventava anche una giustificazione ai continui ritardi nel consegnare le opere d'arte ai committenti: Federico Barocci del resto ha anche la fama di pittore molto lento, ma questo forse pi che alla sua malattia si deve all'estrema meticolosit con la quale progettava i suoi dipinti. A testimonianza di ci abbiamo una mole davvero poderosa di disegni eseguiti da Federico Barocci, a fronte di un corpus di opere non vastissimo: l'ingente quantit di disegni che ci sono rimasti certifica in modo inequivocabile quanto fosse approfondito lo studio di ogni singola opera. Secondo alcuni studiosi per l'episodio dell'avvelenamento sarebbe nient'altro che un aneddoto, e la malattia che accompagn Federico Barocci per il resto della sua vita non sarebbe dovuta a cause dolose ma semplicemente, come anticipato poco sopra, all'insorgere di un'ulcera. Secondo altri, la causa del suo allontanamento frettoloso da Roma fu una profonda crisi esistenziale. Possiamo anche ipotizzare che l'artista crollasse sotto il peso dell'eccessiva pressione a cui era sottoposto lavorando a Roma, una citt con un ambiente artistico molto diverso e molto lontano rispetto a quello della citt natale. Al giorno d'oggi sembra comunque che la maggior parte degli studiosi sia portata a considerare l'episodio dell'avvelenamento alla stregua di un aneddoto privo di fondamento. Ad ogni modo, avvelenato o no, la manifestazione della malattia segn profondamente la vita del pittore: gi timido, introverso e
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molto sensibile per carattere, decise di non lasciare pi la citt natale, ritenendo che fosse l'unico luogo dove avrebbe potuto trovare conforto e svolgere al meglio il suo lavoro, lontano dalle gelosie dei rivali. Il 1563 un anno importante non solo perch coincide con il ritorno di Federico Barocci a Urbino, ma anche perch l'anno in cui si conclude il Concilio di Trento, che si era aperto nel 1545 sotto il pontificato di Paolo III. Il Concilio di Trento ebbe importanti ripercussioni anche sulle arti figurative e di fatto pose le basi per la nascita del Barocco: l'arte prodotta in questi anni, nella seconda met del Cinquecento, nota anche come arte della Controriforma (altri addirittura la chiamano arte tridentina, a sottolineare la profonda influenza che il Concilio esercit sugli artisti), e gli studiosi tendono a collocare Federico Barocci proprio in questo contesto storico culturale. Con il Concilio di Trento e in particolare con il famoso decreto sulle immagini sacre, promulgato nel dicembre del 1563, la Chiesa poneva le basi per dettare le regole anche in campo artistico. Contrariamente alle idee proposte dai riformatori protestanti, su tutti Giovanni Calvino e Huldrych Zwingli (Lutero riteneva quello delle immagini sacre un problema minore), la Chiesa affermava non solo la liceit, ma anche l'utilit delle immagini sacre: tuttavia non disponeva a quali esplicite regole dovessero attenersi i pittori, lasciando quindi ai singoli membri del clero la facolt di interpretare il decreto come meglio avessero ritenuto. Era per ovvio l'indirizzo dettato dal decreto, in base al quale veniva bandito ogni tipo di eccesso (eccesso ovviamente in riferimento alla morale del particolare e delicato contesto storico), e in particolare non si tolleravano dipinti che invitassero alla lascivia. La Chiesa quindi non dettava regole strette, ma di fatto dettava i programmi iconografici condizionando in modo pesante l'operato degli artisti, anche perch chi non si atteneva alle regole, in un momento di forte religiosit che spesso sfociava nel fanatismo, e di accesa lotta nei confronti di ogni tipo di eresia, poteva davvero rischiare grosso. Il caso pi celebre quello di Paolo Veronese (1528 1588), che nel 1573 venne processato dall'Inquisizione per una sua Ultima cena che secondo il tribunale ecclesiastico affrontava il tema sacro con troppa licenziosit: il pittore si difese pronunciando la
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famosa frase nui pittori ci pigliamo la licenzia che si pigliano i poeti e i matti, ma fu comunque costretto a modificare alcuni particolari del dipinto e a cambiare il titolo (da Ultima cena a Cena in casa di Levi). Nel tentativo di interpretare il decreto e di regolare in modo pi ferreo la produzione di arte, alcuni importanti esponenti della Chiesa scrissero negli anni successivi famosi trattati: sono del 1577 le Instructiones fabricae et suppellectilis ecclesiasticae di Carlo Borromeo e risale invece al 1582 il celeberrimo Discorso intorno le immagini sacre e profane di Gabriele Paleotti, forse il trattato destinato ad avere pi influenza sui pittori. E a proposito di Gabriele Paleotti, interessante notare che ci fu anche un rapporto diretto tra il cardinale e Federico Barocci: parte infatti che Paleotti abbia commissionato all'artista, nel 1586, un dipinto da porre nella cappella di famiglia all'interno della cattedrale di San Pietro a Bologna. Il dipinto doveva raffigurare la Madonna con il Bambino insieme ai santi Petronio e Francesco, ma l'opera non vide mai la nascita. Tornando a parlare pi nello specifico di Federico Barocci, Giovan Pietro Bellori ci racconta che, finito il periodo di inattivit (che lo storico fa durare quattro anni), l'artista realizz un'opera raffigurante una Madonna con il Bambino che benedice san Giovanni Evangelista per darla in voto ai frati cappuccini di Crocicchia, una localit poco distante da Urbino (oggi fa parte del comune): l'opera oggi nota con il nome di Madonna di san Giovanni (n. 6), fu realizzata nel 1565 e attualmente conservata presso la Galleria Nazionale delle Marche. La critica pressoch unanime nel ritenere la Madonna di san Giovanni la prima opera realizzata da Federico in seguito al ritorno da Roma. Subito dopo arriv una commissione molto importante per Federico Barocci: il Nobile Collegio della Mercanzia di Perugia voleva infatti che il pittore realizzasse una tela da collocare nella cattedrale della citt umbra, per la precisione nella cappella di San Bernardino. Raccontano le fonti che nel novembre del 1567 il capitano Raniero Consoli giunse a capo di una delegazione di gentiluomini perugini per discutere della realizzazione del dipinto. Quest'ultimo fu consegnato nel 1569: si tratta della Deposizione (n. 9), una delle opere pi importanti del pittore urbinate, ancora oggi conservata nella sua sede
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originaria. Pressoch contemporaneo (risale a un periodo compreso tra il 1570 e il 1573) il Riposo dalla fuga in Egitto noto anche come Madonna delle ciliegie (n. 11) e conservato nella Pinacoteca Vaticana. del 1575 invece un altro dei dipinti pi famosi dell'artista, la Madonna del gatto (n. 15) conservata alla National Gallery di Londra (che non deve essere confusa con la Madonna della gatta, n.30, che fu realizzata a cavallo tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento e che oggi conservata agli Uffizi). Nel frattempo, nel 1574, Guidobaldo II Della Rovere moriva e prendeva il suo posto Francesco Maria II, venticinquenne che era stato educato negli anni Sessanta alla corte di Spagna. Il nuovo duca, tra l'altro, si era fatto ritrarre due anni prima da Federico Barocci: il dipinto che lo raffigura conservato agli Uffizi. Francesco Maria II fu, dei duchi di Urbino, quello con cui forse Federico Barocci intrattenne rapporti pi stretti: esiste un prezioso documento, il Diario di Francesco Maria II che non utile solo per ricostruire il legame tra il duca e il pittore, ma utile anche per saperne di pi circa la personalit di Federico. Emerge quindi il ritratto di un uomo insicuro, dal carattere difficile e molto introverso, ma connotato anche da una forte religiosit e da una fede piuttosto accesa. Ci rimangono anche alcune lettere che i due si scrissero, e l'epistolario conferma tutte le debolezze dell'uomo Barocci. C' per da dire che, malgrado il ritratto che traspare dalle fonti, noi non possiamo conoscere a fondo la personalit di Federico Barocci e non possiamo esprimere giudizi tassativi, anche per il fatto che dagli scritti che ci sono rimasti non riusciamo a comprendere quali erano i pensieri di Federico Barocci sull'arte, e quindi possiamo dedurlo solo da ci che abbiamo e, ovviamente, dallo stile delle sue realizzazioni. Sulla base di tutto ci si deve anche contestualizzare il rapporto tra Federico Barocci e la Controriforma, di cui si parlato prima: un dibattito, quello che cerca di indagare gli aspetti che legano il pittore al movimento antiriformato, che impegna in modo costante gli studiosi. A detta di molti Federico Barocci uno dei pi grandi interpreti del programma iconografico della Controriforma: diversi suoi dipinti sembrerebbero testimoniare l'influenza diretta che i temi del Concilio di Trento, del decreto sulle immagini sacre e dei trattati
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sull'iconografia religiosa esercitano sul pittore. Questo appare se si osservano dipinti come la stessa Deposizione, un'opera dai toni piuttosto drammatici, oppure la Sepoltura di Cristo (n. 18), un importante capolavoro che Federico realizz tra il 1579 e il 1582 per la chiesa della Confraternita del Santissimo Sacramento e Croce di Senigallia, oppure dipinti pi tardi come le Stimmate di san Francesco (n. 28) o l'Istituzione dell'Eucarestia (n. 43), di cui si parler pi avanti. Accanto a dipinti che sembrano caratterizzati da una tragicit di fondo e da un acceso misticismo o che trattano temi prettamente controriformistici come, appunto, l'istituzione dell'Eucarestia, ne troviamo invece altri che ci testimoniano una dimensione molto pi intima e forse anche pi sentita: per parlare di dipinti gi citati si pu far riferimento alla Madonna di san Giovanni e alla Madonna delle ciliegie. Dipinti che dimostrerebbero una religiosit sincera e intima, in contrasto con i dipinti pi grandiosi. Come collocare dunque la produzione di Federico Barocci nel contesto della Controriforma? Scendendo nei particolari possibile guardare anche pi lontano e tornare al dettaglio all'apparenza ininfluente ma in realt piuttosto importante della formazione di Francesco Maria II Della Rovere presso la corte di Spagna. Negli anni Sessanta del Cinquecento, periodo del soggiorno del futuro duca all'Escorial, il re di Spagna era Filippo II, ed quindi lecito supporre che fu il sovrano spagnolo il modello a cui il giovane Francesco Maria dovette ispirarsi. Filippo II era uno dei pi ferventi sostenitori della Controriforma e proponeva un ideale di sovrano che governa quasi per mandato divino e che si dedica alla strenua difesa della fede. Quindi, a causa della formazione di Francesco Maria II e dei suoi conseguenti stretti rapporti con lo Stato Pontificio, testimoniati anche dalle diverse opere che da Roma venivano richieste a Federico Barocci, risulta evidente che i temi della Controriforma non dovettero avere difficolt a penetrare nel Ducato di Urbino, che, a detta di molti storici, con Francesco Maria II va incontro a un periodo di decadenza e di perdita di prestigio che avrebbe poi portato alla fine del Ducato stesso, nonostante i grandi sforzi del duca. Ci sono pertanto tutti i presupposti perch si possa attribuire a Federico Barocci la fama di acceso sostenitore della Controriforma o, quantomeno, di pittore che si fa carico di dare forma nei suoi dipinti
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ai temi della Controriforma in modo fedele ai dettami della Chiesa. indubbio che Federico Barocci sia stato un pittore della Controriforma (e per certi versi ne anticip i dettami), ma anche vero che stato un pittore capace di interpretare in modo personale e intelligente i princip sanciti dal movimento: questo perch, particolare molto importante, i dipinti di Federico sono quasi sempre frutto del suo sentire. Anche quando il tema potrebbe portare l'artista a realizzare un dipinto dai toni fortemente drammatici, ed il caso della Deposizione, Federico sceglie di mitigare il tutto restituendo quindi composizioni che sono sempre molto raffinate ed eleganti, che conciliano poesia e fede come ha avuto a scrivere Andrea Emiliani, che sono connotate da una tenerezza, che derivava dallo studio delle opere del Correggio, unita a un colorismo di suggestione veneta. Colori incantevoli che fanno apparire liriche e delicate anche le rappresentazioni pi drammatiche. Predominano gli azzurrini, i rossi tenui, i gialli, i violetti, i rosa: colori che all'apparenza rimandano all'arte manierista in un periodo, quello tra gli anni Ottanta del Cinquecento e gli anni Dieci del Seicento, in cui il Manierismo dapprima viveva i suoi ultimi momenti e poi scompariva per lasciare spazio all'arte barocca (i rapporti tra Federico Barocci e l'arte barocca saranno oggetto di una esposizione pi dettagliata nell'ultima sezione di questa trattazione). indubbio che, se strettamente necessario affibbiare un'etichetta a Federico Barocci, quella che gli sta meglio forse quella di manierista, ma se Barocci fu un manierista seppe tenere alte le sorti di un movimento che stava andando incontro alla fine e soprattutto seppe declinare il Manierismo con grandissima originalit e personalit. C' anche chi mette in relazione gli episodi pi intimi della produzione di Federico Barocci con i dettami della Controriforma, nel senso che i dipinti pi lirici sarebbero visti come un tentativo di far entrare il divino in una dimensione molto vicina all'uomo. Quello che certo che esiste in Barocci una volont di creare dipinti che abbiano una elevata efficacia comunicativa: per fare questo il pittore decide di spogliare le sue opere di ogni inutile orpello retorico, facendo apparire quasi quotidiana la sfera in cui vengono ambientate certe opere ( il caso della succitata Madonna del gatto), oppure conferendo un'eccezionale bellezza e grazia ai soggetti di dipinti dal tema
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tragico (e qui il caso della Deposizione di Perugia). Ancora Andrea Emiliani parla di poetica degli affetti nella pittura di Federico Barocci: il modo, del tutto personale, di Federico Barocci di interpretare la Controriforma. E forse anche a questo suo particolare modo di coniugare esigenze controriformistiche e lirismo e delicatezza che contribu a procurargli fama negli anni a venire. Quella di Federico Barocci insomma una religiosit n ufficiale n solenne, ma naturale, emozionale e quasi quotidiana. Gli anni Ottanta coincidono con l'inizio della fase matura del pittore, e risalgono a questi anni alcuni capolavori come la gi citata Sepoltura di Cristo, la Visitazione (n. 22), la Chiamata di sant'Andrea (n. 20) e il Martirio di san Vitale (n. 21). La Visitazione fu realizzata tra il 1583 e il 1586 per la chiesa di Santa Maria in Vallicella di Roma, nota anche come Chiesa Nuova, dove si trova ancora oggi, su commissione dei padri oratoriani della Vallicella (ovvero i membri della congregazione dell'Oratorio di San Filippo Neri, che gestivano la chiesa) : un dipinto importante anche perch sembra che san Filippo Neri era solito pregare davanti all'opera di Barocci, come testimoniano alcune fonti agiografiche. Il Martirio di san Vitale e la Chiamata di sant'Andrea risalgono entrambe al 1583-1584. Per quanto riguarda il primo dipinto, sappiamo che fu commissionato dalla chiesa di San Vitale a Ravenna: oggi invece si trova alla Pinacoteca di Brera, dove giunse all'epoca delle spoliazioni napoleoniche. Lo stesso destino tocc alla Chiamata di sant'Andrea, che per non pi rientrata in Italia e oggi conservata ai Muses Royaux des Beaux-Arts di Bruxelles. Bellori ci dice che fu realizzato per la Confraternita di sant'Andrea di Pesaro: lo storico ci fa anche sapere che l'opera piacque cos tanto al duca Francesco Maria II che decise di farne realizzare allo stesso pittore una copia per inviarla in dono a Filippo II di Spagna. Il dipinto fu completato nel 1588 e ancora oggi conservato all'Escorial. Non si tratt dell'unica volta in cui Francesco Maria II si serv di Federico Barocci per inviare doni a un altro sovrano, e su questo aspetto del rapporto tra il duca e il pittore stato scritto molto (esemplificativi a tal proposito sono gli studi del gi citato Harald Olsen e quelli dello statunitense Stuart Lingo). Ci troviamo in un periodo, quello a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta del Cinquecento,
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durante il quale Federico Barocci stava diventando uno dei pi grandi protagonisti dell'arte sulla scena europea nonch uno dei pittori pi influenti, e il fatto che non volle mai lasciare Urbino fu per il duca un grandissimo vantaggio, perch poteva avere a sua completa disposizione uno dei migliori, pi apprezzati e pi famosi artisti in circolazione. Un vantaggio che il duca seppe sfruttare nel migliore dei modi, e soprattutto un vantaggio che poteva dare prestigio e risalto a un ducato il cui equilibrio era ormai diventato molto fragile. Questo aspetto del rapporto tra i due tuttavia piuttosto complesso ed stato molto studiato, perch, tra l'altro, il duca non fu soltanto un committente per il pittore, ma spesso svolgeva anche la funzione di intermediario tra Federico Barocci e committenti esterni: uno degli esempi pi noti dato dalla Crocifissione conservata presso la Cattedrale di San Lorenzo di Genova (n. 33), che fu commissionata al pittore dal senatore (poi doge tra il 1595 e il 1597) Matteo Senarega per la propria cappella. Francesco Maria II si trov a fare da intermediario e a facilitare i rapporti tra il pittore e l'importante politico genovese. Si trattava di un legame, quello tra Federico Barocci e il duca di Urbino, che era utile sia al primo che al secondo (malgrado i dipinti di Federico difficilmente venissero chiesti da Francesco Maria per abbellire i suoi palazzi). Francesco Maria, come si gi detto, sfruttava la maestria e la fama di Federico Barocci per far accrescere il prestigio del ducato in modo indiretto, ovvero inviando doni alle potenze straniere (abbiamo gi citato Filippo II di Spagna, ma la lista composta da diverse personalit a cominciare dal papa e dall'imperatore Rodolfo II, per il quale Federico Barocci dipinse intorno al 1586 la Fuga di Enea da Troia, oggi perduta, che rappresenta la prima versione del dipinto oggi conservato presso la Galleria Borghese di Roma, n. 35) oppure facendo in modo che dall'estero arrivassero a Urbino richieste per dipinti realizzati da Federico Barocci. Questo spiega anche per quale motivo Francesco Maria II difficilmente commissionava al pittore opere per abbellire il ducato: voleva impiegare le energie del pittore per acquisire importanza nelle relazioni con gli altri stati, quindi non azzardato dire che il duca facesse un uso politico di Federico Barocci. Questo ruolo di intermediario da parte del duca doveva essere dettato anche dal carattere dell'artista:
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del resto si pi volte ribadito, nel corso della trattazione, quanto difficile e chiuso fosse Federico Barocci. Dall'altro lato, il pittore traeva ovvi vantaggi dal rapporto con il duca per il fatto che grazie a questa opera di intermediazione, i suoi capolavori giungevano presso tutte le pi importanti corti d'Europa, cos che la sua pittura riusc a diffondersi in ogni dove, e non un caso se la personalit di Federico Barocci una delle pi influenti del suo tempo: si vedr poi nell'ultima sezione di questo lavoro in quanti centri arriv l'arte di Federico Barocci e quanti artisti riusc a suggestionare. Agli anni Novanta risale un nucleo importante della produzione di Federico Barocci, con alcuni grandissimi capolavori: il primo di questi l'Ultima cena (n. 26) che oggi si trova nella Cattedrale di Urbino e che fu realizzata tra il 1590 e il 1599. L'opera gli fu commissionata dal duca, che fu il finanziatore della cappella del Santissimo Sacramento, dove l'opera doveva essere posta e dove pu ancora oggi essere ammirata. Al 1596 invece risale l'Annunciazione (n. 31), un altro grande capolavoro su cui per pendono alcuni dubbi, nel senso che non sappiamo se sia interamente opera di Federico Barocci, se sia un'opera di bottega o se sia una copia con varianti della famosa Annunciazione (n. 19) eseguita negli anni Ottanta sempre per Francesco Maria II Della Rovere, che voleva l'opera per la propria cappella nella Basilica di Loreto. L'Annunciazione del 1596 oggi si trova nella Basilica di Santa Maria degli Angeli e gli fu commissionata, stando a ci che testimoniano i documenti, da Laura Coli Pontani per la cappella di famiglia all'interno della Basilica stessa. Tra gli altri capolavori doveroso menzionare la Crocifissione realizzata per Matteo Senarega e di cui si parlato poco fa, risalente al 1596, nonch la Fuga di Enea da Troia, anch'essa citata in precedenza: come anticipato, la copia di quella realizzata per Rodolfo II d'Asburgo, fu eseguita nel 1598 e oggi conservata a Roma presso la Galleria Borghese. Stando a ci che ci dice Giovan Pietro Bellori, questa Fuga di Enea da Troia fu realizzata per monsignor Giuliano Della Rovere (omonimo del Giuliano Della Rovere che era stato papa Giulio II): ben presto per pass nelle collezioni di Scipione Borghese (lo attesta lo stesso Bellori), ma non sappiamo bene in che modo il potente cardinale riusc a entrare in possesso del dipinto. probabi25
le, ma non sicuro, che dovette trattarsi di un dono fatto dal Della Rovere a Scipione Borghese. Lo stesso cardinale Della Rovere si era fatto ritrarre nel 1595 circa dal pittore, e il dipinto che lo raffigura oggi conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna (n. 29). Rimanendo nell'ambito della ritrattistica, secondo gli studiosi alla fine degli anni Novanta che risale il celeberrimo Autoritratto (n. 32) di Federico Barocci conservato agli Uffizi, con il quale il pittore d prova di grande naturalismo e fornisce notevoli spunti agli studiosi per abbinare al suo ritratto fisico anche un ritratto interiore. Infine, l'ultima opera da citare per quanto riguarda gli anni Novanti quella nota come le Stimmate di san Francesco (n. 28) che risale al 1594-95 ed conservata presso la Galleria Nazionale delle Marche di Urbino: il dipinto gli fu commissionato da Francesco Maria II Della Rovere per una chiesa di Urbino. Le Stimmate di san Francesco offrono anche lo spunto per riflettere sul legame tra Federico Barocci e il francescanesimo. Il pittore stesso era terziario francescano, ovvero apparteneva all'ordine secolare, costituito da laici che si impegnano a vivere secondo i dettami della regola di san Francesco. Oltre alle opere a tema francescano (le appena citate Stimmate di san Francesco e il Perdono di Assisi, n. 13, realizzato tra il 1574 e il 1576 per la chiesa di San Francesco di Urbino, sono solo le pi famose), sono diversi i dipinti eseguiti per i francescani, come la Madonna di san Giovanni (n. 6), che, come detto, fu consegnata ai cappuccini di Crocicchia come ex voto, o l'Immacolata concezione (n. 16), che fu realizzata anch'essa per la chiesa di San Francesco di Urbino, gestita dall'ordine dall'Ordine dei Frati Minori Conventuali. Al ritorno da Roma, Federico si era avvicinato al mondo della spiritualit francescana, entrando a diretto contatto con i frati delle congregazioni: questo tipo di spiritualit era particolarmente radicato nei territori del Montefeltro, anche perch il fondatore dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini, Matteo da Bascio, proveniva da queste zone (Bascio, che oggi fa parte del comune di Pennabilli, non lontana da Urbino). Marchigiano era anche Ludovico da Fossombrone, che faceva parte, insieme a Matteo da Bascio e ad altri, del gruppo che ottenne nel 1528 da Clemente VII (con la bolla Religionis zelus) l'approvazione della regola che sanciva ufficialmente la nascita dell'ordi26
ne. dal contatto e dalla vicinanza con i frati francescani che Federico Barocci arriva a quella spiritualit sincera e forte e a quella religiosit che in certe opere arriva a sfiorare il misticismo e la drammaticit. Una vicinanza che si nota soprattutto nelle opere realizzate negli anni che seguirono il ritorno da Roma del pittore. del resto noto che i frati francescani propongono un ideale religioso molto fedele al dettato evangelico e quindi votato alla preghiera, alla povert, al ritiro e alla meditazione. Valori che Federico Barocci cerca di trasferire nei suoi dipinti. Il nuovo secolo si apre con alcune importanti committenze, in particolare due dipinti realizzati per il Duomo di Milano: Sant'Ambrogio perdona Teodosio (n. 38), che il pittore realizz tra il 1600 e il 1603 avvalendosi dell'aiuto della bottega e che ancora oggi conservato nell'altare di sant'Ambrogio all'interno del Duomo, e il grande capolavoro, l'incompiuto Compianto sul Cristo morto (n. 39) che Federico Barocci inizi nel 1600 ma non ebbe modo di terminare. Oggi fa parte delle raccolte d'arte comunali di Bologna ed conservato presso la Biblioteca dell'Archiginnasio. Fin dal 1592 il capitolo del Duomo di Milano aveva tentato di ottenere dipinti di Federico Barocci e si dette quindi molto da fare per avviare i contatti con il pittore: oltre a questi due dipinti Barocci realizz per la cattedrale milanese nel 1597 anche un Presepe di cui per non si hanno pi notizie. Tra gli altri capolavori di questo periodo conclusivo della carriera e della vita di Federico Barocci necessario citare due tele che oggi sono conservate a Roma: la Presentazione della Vergine al Tempio (n. 40), che si trova nella chiesa di Santa Maria in Vallicella, e l'Istituzione dell'Eucarestia (n. 43), che invece si trova nella basilica di Santa Maria Sopra Minerva. Per la prima delle due chiese, Federico Barocci aveva gi realizzato la Visitazione, cos che gli oratoriani decisero di affidargli anche l'incarico di realizzare la pala destinata alla cappella del transetto sinistro dell'edificio sacro: il dipinto fu consegnato nel 1603. L'Istituzione dell'Eucarestia uno degli ultimi capolavori di Federico Barocci: gli fu commissionata direttamente da papa Clemente VIII, Ippolito Aldobrandini, per la cappella di famiglia all'interno della basilica di Santa Maria sopra Minerva dove si trova ancora oggi:
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probabile che questa commissione fu facilitata dalla visita di Clemente VIII a Urbino avvenuta nel 1598, occasione durante la quale si ipotizza che il pontefice abbia conosciuto il pittore. Bellori dice che durante la visita Francesco Maria II regal al papa un'acquasantiera d'oro dipinta da Federico Barocci con un Ges Bambino benedicente. L'Istituzione dell'Eucarestia fu consegnata nel 1611 e rappresenta uno dei dipinti pi controriformistici di Federico Barocci. Tra gli ultimi dipinti necessario poi citare l'Ecce Homo della Pinacoteca di Brera (n. 45), che Federico lasci incompiuto all'anno della sua scomparsa, il 1612, e che fu completato dall'allievo Ventura Mazza, e poi il Crocifisso del 1604 conservato al Prado (n. 41). Questa una delle ultime opere in cui appare il profilo del Palazzo Ducale di Urbino, e in particolare Federico dipinge la facciata dei torricini, ovvero il profilo del palazzo cos come lo vedeva dalla propria abitazione, che esiste ancora oggi. Il legame tra Federico Barocci e Urbino fu un legame molto profondo: il pittore era continuamente ispirato dalla sua citt, citt che amava molto e dalla quale, dopo il ritorno da Roma, non volle mai separarsi. Motivo per cui pens di rappresentarla spesso nelle sue opere inserendo in moltissimi dipinti il profilo del Palazzo che Luciano Laurana progett nel Quattrocento per Federico da Montefeltro. Un rapporto stretto quello tra il pittore e la sua terra, e la piena comprensione dell'arte di Federico Barocci non pu prescindere dalla comprensione dell'importanza che Urbino aveva per lui. Una citt in cui si era consumata quasi tutta l'esistenza di un pittore destinato a diventare uno degli artisti pi influenti del suo tempo.
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II. Le opere
1. Estasi di santa Cecilia Urbino, Cattedrale 1555 circa Olio su tela, 200 x 145 cm Immagine Si tratta della prima opera nota di Federico Barocci, realizzata durante gli anni Cinquanta del Cinquecento e attualmente conservata presso la cattedrale della sua citt natale. La santa al centro della composizione, in estasi, mentre rivolge lo sguardo verso l'alto osservando gli angeli che suonano strumenti musicali. Al suo fianco troviamo quattro santi, da sinistra santa Maria Maddalena (con in mano il vaso di unguento, suo classico attributo iconografico), san Giovanni, con i consueti tratti somatici effeminati e con il Vangelo in mano, san Paolo, che regge tra le mani la spada, e santa Caterina d'Alessandria che poggia il piede sulla ruota, strumento del suo martirio. A terra vediamo inoltre gli strumenti musicali rotti, segno che la santa non pi attratta dalla musica terrena ma soltanto da quella celeste, rappresentata dagli angeli. Non sappiamo bene per quale motivo santa Cecilia si associata alla musica (tanto che oggi la santa patrona della musica). Forse il tutto deriva da un inno in latino il cui testo recita Cantantibus organis Caecilia virgo in corde suo soli Domino decantabat (mentre suonavano gli strumenti, la giovane Cecilia nel suo cuore cantava solo per il Signore). La composizione deriva con evidenza dall'Estasi di santa Cecilia di Raffaello attualmente conservata alla Pinacoteca Nazionale di Bologna: un richiamo notato anche da Giovan Pietro Bellori, che parla di una Santa Cecilia imitata da Rafaelle. Tuttavia molto probabile che Federico Barocci non abbia osservato direttamente il dipinto, e che lo abbia quindi conosciuto attraverso stampe e incisioni come quelle di Marcantonio Raimondi. Gli studiosi hanno infatti riscontrato che l'Estasi di santa Cecilia di Federico Barocci mostra maggiori debiti nei confronti dei disegni di Raimondi che non nei confronti della pala di Raffaello, dunque quasi sicuro che il pittore non ebbe conoscenza
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diretta del dipinto realizzato dal suo grande concittadino. L'opera conservata nella cattedrale di Urbino dimostra le iniziali influenze dello stile di Battista Franco e di Francesco Menzocchi sul pittore, ma anche il notevole studio dell'arte di Tiziano, che Federico pu aver appreso osservando i dipinti del pittore veneziano presenti nelle collezioni del ducato di Urbino: la testa di san Paolo infatti pressoch identica a quella dell'apostolo che si trova alla destra di Ges nell'Ultima cena di Tiziano conservata presso la Galleria Nazionale delle Marche di Urbino.
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2. Martirio di san Sebastiano Urbino, Cattedrale 1557-1558 Olio su tela, 405 x 225 cm Immagine Il protagonista di questa pala centinata al centro della scena, sereno, mentre osserva i suoi carnefici. Uno di questi, incredibilmente vicino, sta per scoccare una freccia: notiamo che una si gi conficcata nel corpo del santo, che tuttavia sembra quasi non soffrire e non avvertire il dolore. In alto, sopra le nuvole, la Madonna con Ges Bambino e gli angeli osservano il martirio di san Sebastiano, sullo sfondo di un cielo che mostra ancora chiare suggestioni tizianesche. Da Tiziano sembrerebbe derivare anche la posa della Madonna con il Bambino, in particolare dalla cosiddetta Pala Gozzi, che rappresenta la Madonna insieme ai santi Francesco e Biagio e al donatore Luigi Gozzi ed conservata presso il Museo Civico di Ancona. La posa di san Sebastiano e del suo carnefice invece rimanda a Michelangelo, studiato direttamente a Roma e indirettamente attraverso il primo maestro Battista Franco. Le gambe dei due protagonisti del dipinto hanno identica posizione: la gamba sinistra avanzata, la destra arretrata con il tallone sollevato. Tuttavia lo stile sembra gi allontanarsi da quello di Battista Franco e, al contrario, avvicinarsi a quello di Tiziano. La delicatezza nella resa degli incarnati (soprattutto il corpo, in primo piano, di san Sebastiano) avrebbe infatti qualche debito nei confronti del pittore cadorino. L'opera fu commissionata a Federico Barocci nel novembre del 1557 per la cappella di San Sebastiano all'interno della Cattedrale di Urbino: ancora l che oggi la si pu ammirare.
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3. Ritratto di Antonio Galli Copenaghen, Statens Museum for Kunst 1558-1560 Olio su tela, 108 x 84 cm Immagine Antonio Galli era un intellettuale umanista nonch poeta attivo presso la corte dei Della Rovere, e durante gli anni Cinquanta fu ajo, ovvero precettore, del futuro duca Francesco Maria II: in questo particolare ruolo era succeduto a un altro grande umanista che fu attivo a Urbino, Girolamo Muzio. Il ritratto che raffigura Antonio Galli un altro esempio di quanto in questo periodo Federico Barocci fosse interessato allo studio della pittura di Tiziano. Quindi vediamo i frutti di questo studio anche nella ritrattistica, e sappiamo che presso la corte di Urbino c'erano ottimi esempi di ritrattistica tizianesca: si parlato in precedenza del Ritratto di Francesco Maria I Della Rovere e del Ritratto di Eleonora Gonzaga, moglie di Francesco Maria I. Entrambi i dipinti si trovano oggi agli Uffizi e volevano un po' ispirarsi al doppio ritratto di Federico da Montefeltro e Battista Sforza realizzato da Piero della Francesca. Un rapporto, quello tra Federico Barocci e Tiziano, che qui notiamo non soltanto nella tecnica di realizzazione e nelle scelte cromatiche, ma anche nella rappresentazione di alcuni particolari, come l'orologio da tavolo che vediamo sulla destra nel ritratto di Antonio Galli e che notiamo anche nel ritratto di Eleonora Gonzaga di Tiziano, sulla sinistra, vicino al cane. Il modo in cui il giovane Federico raffigura capelli e barba del poeta richiamano invece il ritratto di Francesco Maria I. Una vicinanza che ha portato anche alcuni studiosi in passato ad attribuire questo ritratto allo stesso Tiziano e si deve, tra gli altri, ad Harald Olsen il merito di aver riassegnato il dipinto a Federico Barocci.
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4. Sacra Famiglia Citt del Vaticano, Casino di Pio IV 1561-1563 Affresco Immagine Si tratta dell'affresco che decora una delle due stanze che furono affrescate da Federico Barocci. L'opera importante anche perch il pittore si cimenta qui per la prima e ultima volta con la tecnica dell'affresco, quindi la stanza della Sacra Famiglia assieme a quella dell'Annunciazione sono le uniche testimonianze che abbiamo di affreschi realizzati da Federico Barocci. L'ambientazione molto intima, quasi quotidiana: i personaggi si trovano all'interno di una casa, arredata in modo molto semplice. La Madonna tiene il Bambino sul grembo mentre san Giovannino si inginocchia davanti a loro e in primo piano sant'Anna (che Bellori riconosce come santa Elisabetta) assiste alla scena e san Giuseppe rivolge invece lo sguardo verso l'osservatore. Sono molti i particolari che ci portano in una dimensione molto familiare: vediamo stoviglie, una cesta, un cagnolino vicino ai piedi di san Giuseppe. Questo modo di rappresentare le scene sacre, soprattutto quelle che hanno per tema la Sacra Famiglia, torner molto spesso nell'arte di Federico Barocci e diventer quasi un tratto distintivo della sua pittura. In questo periodo della sua carriera, Federico Barocci si avvicina all'arte degli Zuccari, Taddeo e Federico, che lavorarono con lui alla decorazione del Casino di Pio IV in Vaticano. Nella stessa stanza, ai quattro angoli, appaiono le figure di quattro virt: laetitia, felicitas, virtus e tranquillitas.
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5. Annunciazione Citt del Vaticano, Casino di Pio IV 1561-1563 Affresco Immagine L'Annunciazione l'affresco che decora la volta della seconda stanza decorata da Federico Barocci nel Casino di Pio IV. Anche questa, al pari della precedente, una composizione dal tono piuttosto familiare, con l'arcangelo Gabriele che irrompe da destra nella scena e distoglie Maria dalla lettura: la Vergine, ancora con il libro davanti a s aperto, si volta indietro per osservare l'angelo in modo molto naturale. Il modo raffinato con il quale Federico Barocci delinea i tratti dei due personaggi potrebbe far pensare a suggestioni correggesche: l'artista potrebbe essere entrato con il Correggio durante un viaggio a Parma, che gli studiosi ipotizzano possa essere stato compiuto prima del secondo soggiorno a Roma, per la precisione intorno al 1559. Le figure di Maria e dell'arcangelo furono apprezzate anche da Bellori, che le descrisse, rispetto a quelle della prima stanza, come figure pi picciole, ma raramente condotte. In seguito all'Annunciazione, Federico Barocci inizi a decorare un'ulteriore stanza con il tema delle Storie di Mos, ma non termin il lavoro in quanto nel 1563 lasci in fretta Roma per i motivi che sono stati discussi nella prima sezione della trattazione.
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6. Madonna di san Giovanni Urbino, Galleria Nazionale delle Marche 1565 circa Olio su tela, 151 x 115 cm Immagine La Madonna di san Giovanni, cos chiamata per la presenza dell'evangelista inginocchiato davanti alla Vergine con il Bambino, il primo dipinto realizzato da Federico Barocci dopo il suo ritorno da Roma, in seguito a un paio di anni di inattivit. L'opera, come testimonia Giovan Pietro Bellori, fu realizzata come ex voto e regalata ai frati cappuccini di Crocicchia, localit nei pressi di Urbino: sentendosi per alquanto meglio, fece un quadretto con la Vergine, e 'l figliuolo Ges, che benedice San Giovanni fanciullo; e lo diede in voto ai Padri Cappuccini di Crocicchia, due miglia fuori d'Urbino; l dove egli soleva trattenersi in suo podere. Il dipinto testimonia anche i primi contatti tra Federico Barocci e il francescanesimo, per un rapporto che diventer molto stretto negli anni a venire. Si trattava dunque di un dipinto privato, intimo, e l'atmosfera della composizione ci suggerisce del resto come la Madonna di san Giovanni sia un frutto del sentire personale dell'artista. San Giovanni raffigurato con i soliti tratti giovanili, quasi effeminati, e di particolare efficacia espressiva il particolare del Bambino che dona un fiore all'evangelista. Federico Barocci dimostra ancora una notevole base correggesca, che si evince non soltanto dalla delicatezza dei lineamenti dei personaggi, ma anche dall'utilizzo della tecnica dello sfumato, che il pittore adott anche nelle decorazioni del Casino di Pio IV. Le suggestioni derivano anche dall'arte di Raffaello: la posa della Madonna che tiene il Bambino per un piede ricorda infatti quella della Madonna di Orlans di Raffaello, attualmente conservata al Muse Cond di Chantilly. Come altre opere di Federico Barocci, la Madonna di san Giovanni (che si trovava all'epoca nel convento dei cappuccini) fu coinvolta nelle spoliazioni napoleoniche e fu condotta a Brera nel 1811: il dipinto fu poi recuperato nel 1826 e oggi conservato presso la Galleria Nazionale delle Marche.
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7. Crocifissione Urbino, Galleria Nazionale delle Marche 1566-1567 Olio su tela, 288 x 161 cm Immagine Nota anche come Crocifissione con i dolenti, l'opera fu dipinta per il conte Pietro Bonarelli di Ancona, che faceva parte della corte di Guidobaldo II Della Rovere, e doveva essere posta nella chiesa del Crocifisso Miracoloso di Urbino: questa la notizia che ci d Giovan Pietro Bellori circa il dipinto. Per l'idea generale della composizione, Federico Barocci potrebbe essersi ispirato, ancora una volta, a Tiziano, e in particolare alla Crocifissione conservata presso la chiesa di San Domenico di Ancona: si ipotizza che il pittore urbinate abbia studiato il dipinto di Tiziano vista anche la provenienza del committente. Ci sono per notevoli differenze tra la pala di Barocci e quella di Tiziano: oltre all'ovvia assenza, nella Crocifissione di Barocci, di san Domenico (che in Tiziano troviamo ad abbracciare la croce), notiamo innanzitutto linee molto pi dolci e delicate in Barocci. La Crocifissione di Tiziano risale al 1558, ovvero a un periodo in cui lo stile del pittore veneto si fa pi aspro. Vediamo poi che le pose e soprattutto le espressioni dei due dolenti (la Madonna e san Giovanni) sono diverse, osserviamo due angeli alla destra e alla sinistra di Cristo (assenti in Tiziano) e infine notiamo come sullo sfondo Barocci inserisca il paesaggio urbinate: si tratta della prima volta nella sua produzione in cui la citt di Urbino fa da sfondo a un dipinto, e questa peculiarit andr a caratterizzare molti altri suoi capolavori.
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8. Madonna di san Simone Urbino, Galleria Nazionale delle Marche 1567 circa Olio su tela, 283 x 190 cm Immagine La tela fu realizzata nel 1567, forse prima che Federico Barocci ricevette l'incarico di realizzare la Deposizione (n. 9) di Perugia, come suggerisce Bellori. L'opera fu eseguita per la chiesa di San Francesco a Urbino e affronta il tema della sacra conversazione, ovvero il tema in base al quale la Madonna con il Bambino si trova al centro della scena circondata da santi, che in questo caso sono san Simone (che d il nome al dipinto) sulla destra e san Taddeo sulla sinistra. Secondo le agiografie, Simone (noto anche come Simone il Cananeo o Simone lo Zelota per distinguerlo da Simon Pietro) e Taddeo condussero assieme la propria attivit di predicazione in Mesopotamia: per questo motivo i due santi sono spesso associati. Simone viene rappresentato con la sega in quanto la sega fu, secondo la tradizione, lo strumento del suo martirio: lo stesso motivo per cui Taddeo viene raffigurato con una lancia tra le mani. Sopra ai due personaggi principali troviamo un angioletto in volo, che arriva per porre una corona di fiori sul capo della Madonna, e in basso sulla destra troviamo i donatori, un uomo e una donna, di cui tuttavia non conosciamo l'identit: possiamo solo ipotizzare che si trattasse di personaggi facoltosi, dal momento che possedevano una cappella all'interno della chiesa. La scena ha un'ambientazione piuttosto umile, rurale, e ci colpiscono ancora i colori brillanti che caratterizzano le vesti dei personaggi nonch la delicatezza con la quale vengono resi i loro incarnati: una delicatezza ancora memore delle soluzioni adottate dal Correggio.
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9. Deposizione Perugia, Cattedrale di San Lorenzo 1567-1569 Olio su tela, 412 x 232 cm Immagine La Deposizione di Perugia uno dei pi importanti e pi famosi capolavori di Federico Barocci. La grandiosa pala gli fu commissionata nel 1567 dal Nobile Collegio della Mercanzia di Perugia per la cappella di San Bernardino all'interno della cattedrale (dove si trova ancora al giorno d'oggi), e fu consegnata dal pittore nel 1569. Tuttavia non ancora stato stabilito con certezza se il pittore, come era solito fare, abbia realizzato il dipinto a Urbino e lo abbia poi spedito a Perugia o se compiuto un viaggio nella citt umbra, come lascerebbe supporre Giovan Pietro Bellori (capitarono in Urbino alcuni gentiluomini Perugini [] fecero risoluzione di condurre il Barocci nella patria loro; n pass molto tempo, che lo chiamarono a Perugia, dove egli stesso volle trasferirsi a dipingere quell'opera). Lo stesso Bellori dimostr di apprezzare fortemente questo capolavoro, dedicandogli una sezione della sua Vita di Federico Barocci e definendola come un'opera che rende Federico Barocci glorioso fra i pittori di maggior fama. Durante il periodo delle spoliazioni napoleoniche la Deposizione fu portata a Parigi ed esposta al Louvre, per poi essere restituita alla Cattedrale di Perugia nel 1815. L'opera stata restaurata di recente, nel 2009, in occasione della mostra monografica Federico Barocci. L'incanto del colore Una lezione per due secoli che si svolta a Siena tra la fine del 2009 e gli inizi del 2010: il restauro ha contribuito a donare alla tela la sua luminosit e il suo cromatismo originari. La Deposizione una composizione di grande respiro, che colpisce l'osservatore per la sua teatralit e per la sua drammaticit, che comunque il pittore stempera grazie all'utilizzo dello sfumato correggesco che contribuisce a rendere la composizione molto delicata dando cos il senso di una tragicit composta. Le linee contribuiscono a convogliare lo sguardo dell'osservatore verso Cristo, la cui rappre39
sentazione accresce il senso di sofferenza che si evince dall'opera perch viene raffigurato appeso per un solo braccio alla croce. Da notare poi alcune finezze, per esempio le vesti e i capelli del giovane sulla scala a sinistra che sembrano mossi dal vento (cos come la chioma, in basso, di san Giovanni che regge Ges per i piedi) oppure la fibbia che orna la manica di Giuseppe di Arimatea, che sta sulla destra e si regge a uno dei bracci della croce, o ancora la decorazione delle vesti e l'acconciature delle tre donne (la Maddalena, Maria di Cleofa e una terza dall'identit sconosciuta) che sorreggono Maria e che secondo il Vangelo di Matteo e quello di Marco assistettero alla Crocifissione. Il personaggio che vediamo sulla destra che osserva la scena san Bernardino, titolare della cappella all'interno della quale l'opera doveva essere posta. La composizione molto studiata, come ci testimonia l'elevato numero di disegni, e soprattutto altamente innovativa perch propone un dinamismo e un senso del movimento uniti a una efficace stesura cromatica (prevalgono toni luminosi: rossi, azzurri, gialli arancioni) che insieme contribuiscono a rendere questa pala uno dei pi grandi capolavori non solo di Federico Barocci ma di tutto il Cinquecento.
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10. Autoritratto Firenze, Galleria degli Uffizi 1570-1575 circa Olio su carta, 31 x 23 cm Immagine Questo autoritratto conservato presso la Galleria degli Uffizi, in un inventario del Settecento veniva attribuito ad Ambrogio Barocci, ma l'assegnazione giusta quella che vuole il dipinto eseguito da Federico. In questo inventario, redatto da Giovanni Francesco Bianchi tra il 1704 e il 1714, si parla di un dipinto alto braccia 1 soldi 6 e largo braccia 1, dipintovi su la tela di sua mano il ritratto di Ambrogio Baroccio d'Urbino, con pochi capelli e barba nera, con collarino piccolo aggiuntovi sopra l'asse parte del campo et un fregio attorno a rabeschi di color di pietra, con ornamento simile ai suddetti. La datazione non sicura ma si pu desumere dall'et che il pittore sembra dimostrare, quindi possiamo ipotizzare che sia stato realizzato negli anni Settanta del Cinquecento. Come l'Autoritratto eseguito in tarda et e risalente al 1596-1600 circa (n. 32) anche questo dipinto era presente nelle collezioni del cardinale Leopoldo de' Medici ed annotato in un inventario redatto nel 1676 come il ritratto del Baroccio di mezz'et con barba nera e pochi capelli simili, collare piccolo a lattughe et il giubbone abbozzato, con adornamento simile. Il dipinto si trovava in condizioni di conservazione piuttosto precarie e ha subito un restauro nel corso degli anni Settanta del Novecento, a quattrocento anni esatti dalla sua realizzazione.
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11. Madonna delle ciliegie Citt del Vaticano, Pinacoteca Vaticana 1570-1573 Olio su tela, 133 x 130 cm Immagine La Madonna delle ciliegie l'altro nome con cui noto il Riposo durante la fuga in Egitto conservato presso la Pinacoteca Vaticana: infatti quest'ultimo il tema del dipinto, mentre le ciliegie sono quelle che san Giuseppe sta passando, con aria divertita, a Ges Bambino che accetta sorridendo. La Madonna invece sta riempendo una scodella con l'acqua di un ruscello che scorre sulla sinistra, e vicino vediamo una serie di oggetti, tra cui una bisaccia da cui spunta un tozzo di pane e un cappello di paglia (che ritorna spesso nelle composizioni di Barocci), che contribuiscono a dare un tono molto semplice e molto familiare alla scena. Il particolare della Madonna che riempie una scodella sembrerebbe quasi essere un omaggio al Correggio e a uno dei suoi dipinti pi noti, la Madonna della scodella conservata alla Galleria Nazionale di Parma, una tela che, come la Madonna delle ciliegie, affronta il tema del riposo durante la fuga in Egitto. Le ciliegie sono un particolare importante perch costituiscono una variazione al tema classico: secondo la tradizione infatti la palma la pianta sotto alla quale la Sacra Famiglia si ristora durante la fuga, e Federico Barocci decide di sostituirla con un ciliegio. Un'opera molto suggestiva, caratterizzata da una resa degli affetti molto profonda e sentita, per un risultato molto intimo e delicato. La Madonna delle ciliegie deriva da un originale che Federico Barocci realizz per il duca Guidobaldo: quest'ultimo, con ogni probabilit, don il dipinto alla nuora Lucrezia d'Este in occasione del matrimonio con Francesco Maria II. Si tratt, con evidenza, di un'opera che godette di grande fortuna visto che altri committenti la fecero replicare, per non parlare delle diverse stampe di epoche successive che la riproducono. La versione della Pinacoteca Vaticana fu commissionata da un collezionista di nome Simonetto Anastagi, che forse era uno dei
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gentiluomini Perugini, citati da Bellori, che fecero visita al pittore per chiedergli di realizzare la Deposizione da collocare nella Cattedrale di Perugia. Il committente ricevette l'opera nell'ottobre del 1573, e alla sua scomparsa la Madonna delle ciliegie entr nella chiesa del Ges di Perugia: a seguito della soppressione dell'ordine dei Gesuiti nel 1773, la tela entr nel Palazzo del Quirinale e quindi nella Pinacoteca Vaticana.
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12. Ritratto di Francesco Maria II Della Rovere Firenze, Galleria degli Uffizi 1572 Olio su tela, 113 x 93 cm Immagine il ritratto forse pi famoso di Federico Barocci quello che raffigura Francesco Maria II Della Rovere, futuro duca di Urbino, nel 1572 all'et di ventitr anni (sarebbe diventato duca due anni pi tardi). Il dipinto fu eseguito al ritorno del giovane dalla vittoriosa battaglia di Lepanto, alla quale aveva partecipato l'anno prima come Capitano Generale dell'esercito del Ducato di Urbino, che si era imbarcato per supportare la Lega Santa guidata da Don Giovanni d'Austria. Anche per questo ritratto il paragone con Tiziano, i cui esempi nell'ambito della ritrattistica presenti alla corte di Urbino sono stati menzionati in precedenza: in particolare il confronto, in questo caso, con il Ritratto di Francesco Maria I Della Rovere, il nonno di Francesco Maria II. Il ventitreenne futuro duca ritratto in una elegantissima armatura, finemente decorata, a cui Federico dedica una elevata attenzione descrivendo i dettagli con altissima precisione e aggiungendo una nota accesa con la fascia rossa che solca il petto del giovane condottiero. La mano sinistra poggiata sul fianco, mentre la destra regge l'elmo: quest'ultimo gesto potrebbe far pensare a una conoscenza del Ritratto di Filippo II, sempre di Tiziano, conservato al Prado. Alcuni disegni preparatori testimoniano un certo studio da parte del pittore per quanto riguarda la rappresentazione dello scorcio delle mani. Federico Barocci dedica poi una grande cura anche alla raffigurazione del volto di Francesco Maria II. La pelle bianca con un lieve arrossamento sulle guance, la barba composta che cela le labbra sottili, gli occhi espressivi che guardano verso l'osservatore: tutti particolari attraverso i quali l'artista ha voluto esprimere l'orgoglio di Francesco Maria e che insieme a tutto il resto del dipinto contribuiscono a rendere questo ritratto uno dei pi naturali e realistici di tutto il Cinquecento.
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13. Perdono di Assisi Urbino, San Francesco 1574-76 Olio su tela, 427 x 236 cm Immagine Altro dipinto realizzato per la chiesa di San Francesco di Urbino, il Perdono di Assisi affronta un tema del repertorio francescano: il momento in cui san Francesco, inginocchiato a pregare all'interno della propria chiesetta (la Porziuncola, oggi all'interno della Basilica di Santa Maria degli Angeli), chiede a Ges e alla Madonna il perdono dei peccati per tutti coloro che, nei tempi futuri, avrebbero visitato la sua cappella. Il dipinto fu commissionato da un certo Nicol Ventura, che fece anche inserire, sulla destra, la figura di san Nicola al posto di quella di santa Chiara, che compariva nei primi disegni di questo dipinto. La composizione ricorda la Trasfigurazione di Raffaello nella sua impostazione divisa su due registri, il pi alto dei quali occupato al centro dall'apparizione della figura di Cristo, ma ci sono analogie anche con un dipinto di Tiziano che si trovava in una chiesa di Urbino, la Resurrezione oggi conservata sempre nella stessa citt ma presso la Galleria Nazionale delle Marche. Tuttavia la figura pi interessante sembra essere quella di san Francesco, che viene scorciato in un modo piuttosto ardito: uno scorcio che ricorda il san Francesco della Madonna di Foligno di Raffaello ma che ricorda anche una soluzione gi adottata dallo stesso Barocci, ovvero il san Giovanni che compare nella Crocifissione commissionata dal conte Pietro Bonarelli (n. 7). interessante anche notare come la testa del santo non faccia parte della tela: stata infatti realizzata a parte e quindi incollata, si nota uno stacco molto netto, ed ipotizzabile pertanto che l'artista fosse pi soddisfatto del bozzetto che della realizzazione finale e abbia quindi deciso di sostituire la testa del santo. Molto efficace poi il particolare della porta sullo sfondo che si apre e lascia intravedere all'osservatore l'interno della chiesetta, dove vediamo un dipinto nel dipinto che raffigura una crocifissione.
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L'opera ebbe grande successo, come testimonia il numero di stampe e incisioni tratte da questo lavoro. Lo stesso Bellori ha dedicato un'ampia sezione della sua Vita di Federico Barocci al Perdono di Assisi, descrivendo minuziosamente ogni dettaglio di questo importante capolavoro.
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14. Ritratto di fanciulla Firenze, Galleria degli Uffizi 1570-1575 circa Olio su carta incollata su tela, 45 x 33 cm Immagine Non conosciamo l'identit della ragazza ritratta in questo dipinto: per lungo tempo si pensato che potesse essere Lavinia Della Rovere (1558 1632), sorella di Francesco Maria II, vista anche l'et compatibile con la cronologia del dipinto (non conosciamo comunque con esattezza la data di realizzazione) e vista la somiglianza somatica con il duca (n. 12). Questa ipotesi fu lanciata per la prima volta da Harald Olsen, che dat il dipinto alla prima met degli anni Settanta viste anche le somiglianze con la Madonna del gatto (n. 15). L'ipotesi sembrerebbe essere avvalorata anche da quanto scrive Bellori: fece il ritratto del medesimo Duca, della marchesa del Vasto, del Marchese e di Monsignor della Rovere (la marchesa del Vasto era Lavinia Della Rovere). Nel 2001 per lo storico dell'arte Luciano Arcangeli ha preferito rifiutare l'identificazione della giovane con Lavinia Della Rovere e la critica recente si attestata su questa posizione. Si tratta tuttavia di una ragazzina che con tutta probabilit faceva parte della corte di Urbino. La datazione non accettata in modo unanime da parte della critica: c', per esempio, chi la considera come un'opera degli anni Novanta e chi invece preferisce collocarla ai primi anni del XVII secolo. uno dei rari ritratti femminili eseguiti da Federico Barocci, e ci colpisce per il vivo naturalismo con cui viene raffigurato il giovane volto dall'aria fresca e delicata.
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15. Madonna del gatto Londra, National Gallery 1575 circa Olio su tela, 112 x 92 cm Immagine Per questo signore dipinse un altro scherzo; la Vergine sedente in una camera col Bambino in seno, a cui addita un gatto, che si slancia ad una rondinella tenuta da San Giovannino, legata in alto col filo, e dietro si appoggia San Giuseppe con la mano ad un tavolino, e si fa avanti per vedere. Il signore il conte Antonio Brancaleoni, e la descrizione di Giovan Pietro Bellori. Lo stesso conte aveva commissionato a Federico Barocci una replica della Madonna delle ciliegie (n. 11) che oggi conservata a Piobbico, in provincia di Pesaro-Urbino, presso la chiesa di Santo Stefano. La Madonna del gatto (da non confondersi con la Madonna della gatta, n.30) uno dei dipinti pi gioiosi e familiari e quindi pi apprezzati di Federico Barocci, e prende il nome dal gatto bianco a macchie rosse che si alza sulle zampe posteriori e osserva, in modo molto naturale, il cardellino (simbolo della Passione) tenuto in mano da san Giovannino. Quest'ultimo viene sorretto dalla Madonna, che con l'altra mano regge il Bambino e alza i piedi quasi a voler provocare il gatto, mentre da dietro san Giuseppe osserva divertito la scena sorridendo. Nelle suole consunte delle calzature della Madonna, alcuni vedono quasi una sorta di anticipazione della Madonna dei pellegrini di Caravaggio, perch il particolare sarebbe assimilabile ai piedi in primo piano del pellegrino inginocchiato di fronte alla Madonna nella tela di Michelangelo Merisi. Ges sembra essere talmente preso a osservare il gatto che quasi si dimentica della mammella della madre, dalla quale con tutta evidenza stava succhiando il latte e dalla quale distoglie lo sguardo. Si ha quasi l'impressione di vedere non la famiglia di Ges, ma una normale famiglia terrena in una scena di vita quotidiana: una composizione che quindi si contraddistingue per la sua grande spensieratezza e per la sua atmosfera serena e rilassata. Ad accrescere questa sensazione, l'ambientazione domestica con oggetti della vita
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quotidiana, come la cesta che appare in basso e dentro alla quale notiamo un cuscino. Il dipinto, durante il Settecento, entr a far parte delle raccolte di un collezionista perugino per poi passare, nell'Ottocento, presso due collezionisti inglesi, l'ultimo dei quali, William Holwell Carr, cedette la Madonna del gatto alla National Gallery di Londra dove ancora oggi si pu ammirare.
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16. Immacolata concezione Urbino, Galleria Nazionale delle Marche 1575 circa Olio su tela, 217 x 144 cm Immagine Un'altra pala destinata alla chiesa di San Francesco di Urbino, questa volta commissionata dalla Compagnia della Concezione. La datazione che farebbe risalire l'opera al 1575 circa, in assenza di documenti certi, si deve a un disegno conservato agli Uffizi all'interno del quale si vede uno studio della testa del Ges Bambino della Madonna del gatto (n. 15) e un altro delle mani della bambina che si trova in basso a destra nell'Immacolata concezione. Il tema era particolarmente caro all'ambiente francescano, ma era tuttavia, a quel tempo, al centro di polemiche, tanto che si dovr attendere fino al 1854 con Pio IX la definizione ufficiale del dogma dell'Immacolata concezione da parte della Chiesa. Federico Barocci, con questa tela, rivisita la tradizionale iconografia che voleva la Madonna in cielo con il capo coronato di dodici stelle e con il piede poggiato sopra alla luna e al drago: si tratta di un'iconografia che deriva in parte da un passo del libro dell'Apocalisse (12, 1). Un esempio simile di questo modo di rappresentare il tema, pi o meno coevo a Federico Barocci ma rispetto a lui pi tradizionale, si pu ravvisare nell'Immacolata concezione di Francesco Vanni (circa 1588), pittore senese la cui arte presenta diverse suggestioni baroccesche (come del resto risulta evidente da questo dipinto). L'artista urbinate propone una sorta di misto tra il tema dell'Immacolata concezione e quello della Madonna della Misericordia, ovvero il tema in base al quale la Madonna viene rappresentata mentre apre il suo manto per accogliere i fedeli, che solitamente si dispongono attorno a lei a semicerchio. Notiamo infatti l'assenza del drago (la luna invece c') e al contempo la presenza di alcuni fedeli (forse i membri della confraternita che ha commissionato il dipinto) che si dispongono attorno ai piedi di Maria e guardano tutti verso di lei: il modo in cui la veste della Vergine viene mossa dal vento e il modo in cui apre le braccia ricordano un po' il tema della Madonna
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della Misericordia. Il dipinto viene citato anche nella Vita di Federico Barocci di Bellori: nella chiesa di San Francesco su l'Altare della Compagnia della Concezione vi l'immagine della Vergine in piedi sopra la Luna con le braccia aperte, e sotto raccoglie uomini e donne della Compagnia in divozione.
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17. Madonna del popolo Firenze, Galleria degli Uffizi 1575-1579 Olio su tela, 359 x 272 cm Immagine La pala tra le pi celebri di Federico Barocci ed anche tra quelle con la composizione pi studiata, come testimonia l'elevato numero di disegni preparatori e di schizzi che sono rimasti. La scena si sviluppa su due registri: in quello superiore vediamo Cristo e la Madonna che sono seduti sulle nuvole in compagnia di alcuni angeli, e nel registro inferiore vediamo il popolo che d il nome al dipinto raffigurato in una vasta e interessantissima variet di pose e di espressioni. proprio la parte con il popolo quella pi interessante perch offre molti spunti di riflessione, a cominciare dalla precisione anatomica della pittura di Federico Barocci testimoniata dall'uomo a torso nudo che si trova semisdraiato in basso al centro. Precisione che riscontriamo anche nella raffigurazione del cane in basso a destra e precisione unita a delicatezza e tenerezza che troviamo nella rappresentazione delle espressioni gioiose dei bambini. Federico Barocci, come anticipato, fornisce con questa sua impressionante pala una grande variet di espressioni, tutte attentamente studiate: vediamo quindi la madre, sulla sinistra, che invita i bambini a pregare indicando l'apparizione delle divinit, vediamo ancora a sinistra un bambino curioso che sfoglia le pagine del libro della madre, persone che si stupiscono vedendo Ges e Maria, il musicista cieco sulla destra e sopra di lui un bambino in braccio alla madre che si mette le dita in bocca. Ed curioso notare come l'unico personaggio che rivolge lo sguardo verso l'osservatore sia il cagnolino, particolare questo che torner anche nell'Ultima cena della Cattedrale di Urbino (n. 26). Gli uomini sulla destra forse potrebbero rappresentare i membri della confraternita che commission questo dipinto al pittore urbinate. L'opera doveva essere inizialmente eseguita da Giorgio Vasari, ma l'artista aretino scomparve nel 1574, cos la Pia Confraternita dei Laici di Santa Maria della Misericordia decise di rivolgersi a Federico
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Barocci per la realizzazione della pala da porre nel proprio altare all'interno della Pieve di Santa Maria di Arezzo. Non sappiamo perch la confraternita decise di rivolgersi proprio a Federico Barocci, la cui fama nel 1574 era ancora piuttosto limitata: possibile che la scelta si debba al grande successo che riscosse la Deposizione di Perugia (n. 9), che fu una delle opere che contribuirono a lanciare il nome di Federico Barocci anche al di fuori dei confini della patria. Il dipinto fu poi consegnato nel giugno del 1579, in seguito a numerosi ritardi testimoniati anche dalle lettere tra il pittore e i membri della confraternita.
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18. Sepoltura di Cristo Senigallia, Chiesa della Croce 1579-1582 Olio su tela, 295 x 187 cm Immagine La Sepoltura di Cristo fu commissionata al pittore urbinate dalla confraternita del Sacramento e della Croce di Senigallia per la propria chiesa, dove si trova ancora oggi. La realizzazione del dipinto dur tre anni, dal 1579 al 1582, anche perch la composizione fu, come al solito, studiatissima. Il corpo di Cristo, uno dei particolari pi luminosi della scena, occupa il centro della pala e viene trasportato verso il sepolcro da Nicodemo, Giuseppe di Arimatea e san Giovanni, le cui fattezze ricordano quelle del san Giovanni della Deposizione (n. 9) e della Madonna di san Giovanni (n. 6). La figura di san Giovanni che, come scrive Bellori, tenendo il lenzuolo a' piedi di Cristo, esprime la fatica e la gravezza del peso, per via del suo naturalismo una delle pi interessanti della composizione. Molto tenera e delicata invece la figura della Maddalena, che troviamo in basso a destra e che si contraddistingue per i bellissimi capelli biondi: la santa esprime un dolore composto, inginocchiata di fronte all'ingresso del sepolcro con le mani giunte. Ritroviamo la stessa compostezza e lo stesso gesto nella Madonna, che invece occupa una posizione pi defilata in secondo piano, in compagnia di due donne, una delle quali si asciuga le lacrime con un velo. Motivo di interesse in questo dipinto anche il paesaggio: sulla cima della collina del Calvario vediamo le tre croci, con i due ladroni ancora inchiodati, e con il particolare di due uomini che stanno portando via le scale dalla croce di Ges. Sulla destra vediamo inoltre, illuminati dalla luce del tramonto, i Torricini del Palazzo Ducale di Urbino, particolare che torner spesso nelle composizioni di Barocci: la vista del Palazzo quella di cui Barocci godeva dalla finestra di casa sua. La composizione ricorda a tratti la Deposizione di Raffaello, che Federico con tutta evidenza conosceva e che qui rivisita in modo molto personale e suggestivo.
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19. Annunciazione Citt del Vaticano, Pinacoteca Vaticana 1582-1584 Olio su tela, 248 x 170 cm Immagine La bellissima tela, che fu poi replicata con qualche rivisitazione per il meraviglioso capolavoro della basilica di Santa Maria degli Angeli (n. 31), fu commissionata dal duca Francesco Maria II Della Rovere per la propria cappella nella basilica di Loreto. Bellori dice che il duca Francesco Maria II era divoto alla Santissima Annunziata tanto da dedicarle una cappella all'interno della basilica. Da qui la tela, nel 1781, fu trasferita a Roma ed esposta nel Palazzo Apostolico e quindi requisita durante le spoliazioni napoleoniche nel 1797 e spedita a Parigi, dove rimase fino al 1815 in esposizione al Louvre. Il dipinto rientr poi in Italia in seguito alla Restaurazione e oggi si pu ammirare nella Pinacoteca Vaticana. Durante il viaggio verso Parigi la tela ha subito diversi danni, in parte riparati a seguito di opere di restauro ma che si notano ancora soprattutto osservando la base del dipinto. L'Annunciazione eseguita per il duca godette di grande fortuna, e la replica con varianti conservata in Umbria soltanto una delle tante che Barocci e soprattutto la sua scuola eseguirono. un'opera dall'intenso lirismo, i due protagonisti sono realizzati in modo molto delicato e aggraziato e compaiono alcuni particolari, come il gattino addormentato in basso a sinistra, che contribuiscono a dare un tono familiare alla scena. Dietro ai due protagonisti notiamo che una tenda si discosta per farci vedere, al di l della finestra, ancora la facciata dei torricini del Palazzo Ducale di Urbino. Sempre Bellori, che offre una descrizione molto particolareggiata del dipinto, dice che il duca fu entusiasta di quest'opera e per questo rimuner liberalissimamente l'arte ingegnosa, riconoscendo Federico Barocci tra gli uomini pi insigni della sua corte.
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20. Chiamata di sant'Andrea Bruxelles, Muses Royaux des Beaux-Arts de Belgique 1583 Olio su tela, 315 x 235 cm Immagine La Chiamata di sant'Andrea fu realizzata nel 1583, su richiesta della duchessa di Urbino Lucrezia d'Este, per l'oratorio della Confraternita di Sant'Andrea di Pesaro, come attesta anche Bellori. L'opera fu consegnata l'anno successivo e piacque a Francesco Maria II al punto che il duca ne chiese una replica, realizzata tra il 1586 e il 1588, per inviarla in dono a Filippo II di Spagna e ricevere in cambio l'Ordine del Toson d'Oro (di cui sant'Andrea protettore). Risulta errata la notizia di Bellori secondo la quale l'esemplare inviato all'Escorial quello inizialmente realizzato per la chiesa di Sant'Andrea e secondo cui Federico Barocci, in sostituzione, avrebbe realizzato per la chiesa una replica. Il dipinto, come anticipato nel profilo biografico, fu anch'esso vittima delle spoliazioni napoleoniche: portato prima a Parigi nel 1797, fu quindi inviato a Bruxelles per far parte del locale Museo di Belle Arti, dove si trova ancora oggi. Si tratta di un quadro singolare per la sua atmosfera suggestiva, con la nebbia del lago che avvolge i particolari della scena resa con un uso sapiente dello sfumato e con un colorismo piuttosto tenue. La figura di Cristo in piedi, solenne, mentre sant'Andrea si trova inginocchiato ai suoi piedi, a braccia aperte, mentre riceve la chiamata: sembra quasi di immaginare il dialogo. A queste due figure fa un po' da contraltare san Pietro, che vediamo sulla destra mentre in modo naturalistico spinge la barca sulla riva dopo il termine della pesca, aiutato da un pescatore che ferma l'imbarcazione con il remo.
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21. Martirio di san Vitale Milano, Pinacoteca di Brera 1583 Olio su tela, 392 x 269 cm Immagine Secondo le agiografie, san Vitale era un soldato romano che doveva accompagnare un giudice da Milano a Ravenna, dove un medico di origini liguri, sant'Ursicino, era stato condannato a morte per la sua fede cristiana. Vitale, assistendo Ursicino, rese manifesta la propria fede nel cristianesimo e per questo venne fatto arrestare, torturare e quindi giustiziare dallo stesso giudice che aveva accompagnato a Ravenna, citt di cui il santo diventato protettore e dove il suo culto particolarmente vivo. Si tratta di uno dei dipinti pi tumultuosi di Federico Barocci: il santo al centro, nudo, fatta eccezione per un velo che gli copre la vita, e sta subendo il martirio a opera dei soldati che lo circondano. Il tutto sotto gli occhi del giudice, che alza la sua mano per ordinare il supplizio, e mentre un angelo arriva in volo a portare la palma del martirio. interessante notare come Barocci dipinga le espressioni di partecipazione e anche di curiosit nei soldati in secondo piano. Molto naturalistici sono i volti del primo soldato a sinistra e di quello che si trova in corrispondenza della mano del giudice: si stanno sporgendo oltre le persone che li precedono per vedere meglio la scena. La donna sulla sinistra, la madre con i bambini, la stessa che notiamo, sempre nella stessa posizione, nella Madonna del popolo (n. 17) e che comparir con qualche variante anche in Sant'Ambrogio perdona Teodosio (n. 38). Anche con questo dipinto, Federico si rivela un ottimo osservatore del quotidiano. Inoltre, molto studiato il colorismo della scena: i toni accesi dei protagonisti della scena, che spiccano sul grigiore del cielo nuvoloso, portano l'osservatore a focalizzare su di loro l'attenzione. Il dipinto fu eseguito per la chiesa di San Vitale di Ravenna, che lo commission nel 1580, e come molte altre tele di Federico Barocci fu coinvolto nelle spoliazioni napoleoniche ma non and in Francia: si ferm a Milano a Brera, dove conservata ancora oggi.
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22. Visitazione Roma, Santa Maria in Vallicella 1583-1586 Olio su tela, 285 x 187 cm Immagine La Visitazione fu commissionata nel 1582 dai padri oratoriani della Vallicella, che volevano l'opera per la loro chiesa di Roma (nota anche come Chiesa Nuova). Il dipinto arriv a Roma nell'estate del 1586, fu molto apprezzato sia dai committenti che dal pubblico e, come raccontano le agiografie, ma anche la letteratura artistica (su tutti sempre Bellori), san Filippo Neri era solito pregare e meditare davanti a questo dipinto. L'opera fu apprezzata anche nell'ambiente artistico come dimostrano le diverse riproduzioni a stampa e le copie che ne furono tratte. Il tema quello classico dell'incontro tra la Madonna e sua cugina santa Elisabetta subito dopo l'Annunciazione: le due donne sono raffigurate al centro della scena mentre si scambiano una robusta stretta di mano, quasi mascolina. I due mariti, rispettivamente san Giuseppe e san Zaccaria, si dispongono su una linea diagonale che percorre tutto il dipinto e che ha al centro proprio le due donne. Sulla destra osserviamo invece una serva che in mano ha una cesta con due galline, che a livello letterale possono essere intese come un dono per la visita ma che a livello metaforico possono essere forse un'allusione al fatto che l'uovo il simbolo dell'Immacolata concezione, tema a cui rimanda questo dipinto. Si tratta comunque di un aspetto del dipinto che evoca una dimensione quotidiana, cos come l'asino che vediamo spuntare sulla sinistra e che viene condotto da san Giuseppe. La finestra sullo sfondo si apre su un paesaggio collinare. Da un disegno preparatorio conservato a Copenaghen, risulta che inizialmente Federico Barocci aveva pensato a un'ambientazione urbana per questo dipinto, e gli studiosi, in tale ambientazione, individuano uno scorcio della citt natale del pittore.
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23. Madonna del Rosario Senigallia, Pinacoteca Diocesana 1589-1593 Olio su tela, 290 x 196 cm Immagine La Madonna del Rosario prende il nome dal rosario che Maria tiene in mano ma anche dai committenti, ovvero la Confraternita dell'Assunta e del Rosario di Senigallia. Dai documenti sappiamo che fu realizzata tra il 1589 e il 1593. Originariamente il dipinto era contornato da quindici riquadri che raffiguravano i misteri del Rosario e che erano stati dipinti da un allievo di Federico Barocci, Antonio Viviani (1560 1620): oggi per tali riquadri sono andati dispersi. Agli inizi del Novecento il dipinto fu trasportato dalla Confraternita nella chiesa di San Rocco e fu usato addirittura come tenda per una statua. In seguito ai danni subiti dalla chiesa durante la Seconda Guerra Mondiale, il dipinto stato spostato nella Pinacoteca Diocesana di Senigallia dove si trova ancora oggi. Il quadro anche stato sottoposto a un restauro nel 1973. Il dipinto per certi versi simile alla Beata Michelina Metelli (n. 27) per il trasporto emotivo che caratterizza san Domenico (che Bellori scambia per san Giacinto), anche se al contrario del dipinto che raffigura la beata pesarese, qui appare la visione della Madonna che ha in braccio il Bambino e che offre il rosario al santo. La partecipazione e il coinvolgimento del santo sono accentuati dalla sua posa quasi teatrale a braccia aperte, in piena estasi mistica, nonch dalla luce divina che squarcia le nubi, illumina la notte e fa risaltare l'apparizione della Vergine. Intorno a lei, un gruppo di angeli in festa contraddistinti da un'elegante grazia di gusto correggesco. Il dipinto uno dei pi scenografici di Federico Barocci ma anche uno di quelli caratterizzati da maggior trasporto emotivo: i lavori di Federico Barocci che rappresentano estasi mistiche o che comunque mettono in diretta comunicazione il mondo terreno con il mondo divino, sono quelli che pi si avvicinano al dettato controriformistico.
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24. Circoncisione Parigi, Louvre 1590 Olio su tela, 374 x 252 cm Immagine Il dipinto tratta il tema della Circoncisione di Ges, come da prassi ebraica (rito della milah): l'evento, avvenuto otto giorni dopo la nascita, descritto nel Vangelo di Luca (2, 21). Sempre il Vangelo di Luca racconta che durante la circoncisione fu imposto al bambino il nome di Ges cos come era stato detto a Maria dall'angelo. Il pittore raffigura il momento in cui il mohel, ovvero l'incaricato di eseguire la circoncisione, sta terminando il suo lavoro (nella fattispecie sta tamponando la ferita), sotto gli occhi di Maria e di Ges, che partecipano in modo molto intenso alla cerimonia, e di alcune persone che assistono, tra cui anche una donna che si sporge per osservare meglio la scena. Sulla sinistra alcuni pastori parlano tra di loro (quello che ha in mano la torcia indica al vicino il prepuzio del Ges Bambino dentro la scodella che ha di fianco), in alto gli angeli osservano il tutto e in basso sulla destra vediamo alcuni recipienti, descritti con elevatissima precisione. Grande precisione che contraddistingue anche l'agnello che si trova vicino ai pastori e che sar sacrificato per la cerimonia. L'opera citata anche da Bellori nella sua Vita di Federico Barocci e lo stesso storico ci dice che fu eseguita nel 1590 per la Compagnia del Nome di Dio di Pesaro. Noi sappiamo anche che l'opera era stata chiesta al pittore gi nel 1583, ma a seguito di continui ritardi fu consegnata soltanto sette anni dopo e posta nella chiesa del Nome di Dio di Pesaro dove rimase fino al 1798, anno in cui fu requisita dai napoleonici e portata in Francia. Da allora la Circoncisione esposta al Louvre e nella chiesa pesarese oggi possibile vederne una copia.
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25. Cristo e Maria Maddalena (Noli me tangere) Monaco di Baviera, Alte Pinakothek 1590 circa Olio su tela, 259 x 185 cm Immagine Federico Barocci realizz diverse repliche, alcune delle quali con varianti, sul tema del Noli me tangere. Stando a quanto riferito da Bellori, il primo di questa fortunata serie di dipinti fu realizzato per la famiglia Buonvisi di Lucca e doveva essere collocato nella loro cappella all'interno della chiesa di San Frediano nella citt toscana: la tela poi passata nella collezione Allendale, in Inghilterra, gravemente deteriorata. La versione della Alte Pinakothek di Monaco di Baviera invece fu realizzata per monsignor Giuliano Della Rovere e conflu poi nelle raccolte medicee: nel 1714 il granduca Cosimo III don l'opera al Conte Palatino di Dsseldorf e nel corso dell'Ottocento il dipinto entr a far parte della collezione della pinacoteca. Ne esiste un'ulteriore variante, di dimensioni pi ridotte, conservata agli Uffizi. Il tema uno dei quelli pi tradizionali ed tratto dal Vangelo di Giovanni (20, 11): dopo la resurrezione, Cristo appare a Maria Maddalena (che dapprima lo scambia per un ortolano), le rivolge le parole noli me tangere (non mi toccare) per farle intuire che non appartiene pi al mondo terreno e la invita a recarsi dai discepoli per riferire del loro incontro. Il momento raffigurato nella tela di Monaco quello durante il quale Ges sta dicendo alla Maddalena di annunciare la sua resurrezione ai discepoli: la figura del Signore solenne e allo stesso tempo sembra esprimere affabilit nei confronti della Maddalena che lo ascolta con attenzione. La finestra alle spalle dei due protagonisti si apre su un paesaggio sul quale vediamo ancora stagliarsi il Palazzo Ducale di Urbino, in un'atmosfera nebbiosa al sorgere del sole. La tela di Federico Barocci mostra qualche connessione con il Noli me tangere di Tiziano conservato alla National Gallery di Londra ma anche con il Noli me tangere del Correggio, conservato al Prado di Madrid.
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26. Ultima cena Urbino, Cattedrale 1590-99 Olio su tela, 299 x 322 cm Immagine Il capolavoro, uno dei pi noti di Federico Barocci, fu realizzato per la cappella del Santissimo Sacramento all'interno della Cattedrale di Urbino e impegn il pittore per ben nove anni. Con questo importante dipinto l'artista ha voluto anche omaggiare il duca Francesco Maria II Della Rovere, che finanzi la cappella del Santissimo Sacramento, ambientando la scena in un palazzo i cui interni ricordano quelli del Palazzo Ducale di Urbino e inserendo anche un motivo con foglie di rovere sul recipiente che il servo sulla destra tiene in mano, oltre a un ragazzino che, sempre sulla destra, si avvicina al camino trasportando un fascio di legna di quercia. L'atmosfera piuttosto movimentata, perch vediamo molte persone indaffarate, come il servo sulla sinistra occupato a tenere un bambino lontano dalle stoviglie, un altro servo che con un panno sta asciugando un piatto, o ancora un bambino sulla destra porta una coppa sulla tavola. Si potrebbe quindi tranquillamente dire che all'interno della stessa composizione vediamo non una sola scena, ma tante scenette diverse: un espediente non nuovo, dal momento che gi i pittori veneti, come il Tintoretto, avevano proposto composizioni del genere per presentare il tema dell'ultima cena. Ma nonostante tutto ci notiamo che Barocci ha creato una sorta di vuoto attorno ai due elementi pi importanti della composizione, e cio il pane e il vino, verso i quali tendono le due diagonali del dipinto (quella che, a sinistra, parte dai servi alle prese con le stoviglie e quella che a destra parte dal bacile con l'acqua e arriva al vino). Il cagnolino che appare all'estrema destra , come nel caso della Madonna del Popolo (n. 17), l'unico personaggio della composizione che rivolge lo sguardo verso l'osservatore. Sulla destra, oltre la porta che si apre e ci lascia intravedere un altro ambiente, vediamo una donna che regge un bambino in braccio: si tratta di una citazione quasi letterale di un lavoro di Giusto di Gand
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che faceva parte delle collezioni della corte di Urbino e che oggi conservato presso la Galleria Nazionale delle Marche, la Comunione degli apostoli. Nel dipinto del pittore belga il bambino era Guidobaldo da Montefeltro, pertanto la citazione pu essere vista nell'ottica di ribadire che i Della Rovere sono i naturali successori dei Montefeltro alla guida del Ducato di Urbino.
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27. Beata Michelina Metelli Citt del Vaticano, Pinacoteca Vaticana 1590-1600 Olio su tela, 252 x 171 cm Immagine Michelina Metelli era una ragazza di nobili origini andata in sposa all'et di dodici anni a un membro della famiglia Malatesta, signori di Pesaro (anche se la notizia non certa). Dopo aver perso, a soli vent'anni, sia il marito che l'unico figlio, la ragazza divent terziaria francescana, don le sue ricchezze ai poveri e inizi ad aiutare i bisognosi vivendo di elemosina. Oggi venerata come beata ed la compatrona della citt di Pesaro. Federico Barocci raffigura Michelina Metelli durante il suo pellegrinaggio in Terra Santa durante il quale, mentre stava pregando, ebbe la visione di Ges: il pittore sceglie di non rappresentare Cristo che appare alla beata, tuttavia lascia immaginare all'osservatore il trasporto della donna dipingendo un'opera di grande coinvolgimento emotivo, con Michelina Metelli in estasi, il vento che le agita le vesti e la luce che filtra dalle nuvole nella notte. Tutti particolari che contribuiscono a dare una chiara immagine dell'esperienza mistica della beata, raffigurata con lineamenti delicati e con un'espressione di intenso coinvolgimento e grande partecipazione alla visione. Non abbiamo molte notizie circa la committenza dell'opera: sappiamo solo che fu realizzata per la chiesa di San Francesco di Pesaro e che fu inviata nel 1606, come ci testimonia una lettera dell'artista. Per datarla possiamo solo formulare ipotesi, ma certo che prima del 1601 il pittore ci stesse ancora lavorando perch da un documento anteriore a questa data sappiamo che l'artista in quegli anni stava realizzando questa sua tela. Come molte altre tele di Barocci che si trovavano in territorio marchigiano, fu inviata in Francia a seguito delle requisizioni napoleoniche ma durante la Restaurazione venne restituita allo Stato Pontificio, e da allora la Beata Michelina Metelli si pu ammirare nella Pinacoteca Vaticana.
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28. Stimmate di san Francesco Urbino, Galleria Nazionale delle Marche 1594-1595 Olio su tela, 360 x 245 cm Immagine Tra i capolavori pi noti e apprezzati di Federico Barocci, le Stimmate di san Francesco sono una delle prove pi evidenti del rapporto tra il pittore e il mondo francescano, sia per il tema affrontato che per la committenza: l'opera fu infatti richiesta dai frati cappuccini di Urbino e rimase nella loro chiesa fino al 1811 quando fu condotto a Brera durante le requisizioni napoleoniche. L'opera torn poi nelle Marche nel 1826 e dal 1913 esposta presso la Galleria Nazionale delle Marche. La scena ambientata in un paesaggio roccioso immerso in una cupa atmosfera notturna che viene per rischiarata dal bagliore divino che colpisce san Francesco per imprimergli le stimmate: la posa del santo, in ginocchio e con le braccia aperte, ricorda molto da vicino quella del Perdono di Assisi (n. 12). Il confratello seduto, poco distante, e osserva la scena, ed molto bello e naturale il particolare della mano messa davanti agli occhi per ripararsi dall'abbagliante luce dell'angelo che colpisce san Francesco. Quest'ultimo accoglie la luce e le stimmate con grande intensit emotiva e grande coinvolgimento, come lascia supporre la sua espressione fortemente partecipe. Un dipinto molto suggestivo anche per i particolari secondari, come il rapace che vediamo in alto a sinistra appoggiato su un ramo e, in secondo piano sullo sfondo, un gruppo di pastori che si trovano attorno a un fal che con la sua luce illumina la facciata di un edificio in cui riconosciamo molto facilmente proprio la chiesa dei Cappuccini di Urbino, quella per cui era stata dipinta questa tela. Si tratta di una composizione molto intensa e molto sentita da parte di Barocci, che con le Stimmate di san Francesco realizza uno dei notturni pi belli della pittura italiana tra Cinquecento e Seicento.
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29. Ritratto di Giuliano Della Rovere Vienna, Kunsthistorisches Museum 1595 circa Olio su tela, 117 x 97,5 cm Immagine Monsignor Giuliano Della Rovere (1559 1621) era figlio del cardinale Giulio Della Rovere (il fratello minore di Guidobaldo II e primo mecenate del giovane Federico a Roma) nonch cugino di Francesco Maria II Della Rovere e fu un attivo mecenate di Federico Barocci. Il ritratto fu eseguito attorno al 1595 e, quando il Ducato di Urbino fu annesso allo Stato della Chiesa, il dipinto, come tutti gli altri presenti nelle collezioni ducali, entr a far parte dell'eredit di Vittoria Della Rovere che port le opere d'arte a Firenze. Il ritratto di Giuliano Della Rovere fin poi a Vienna nel 1792 a seguito di uno scambio e oggi lo si pu osservare nel Kunsthistorisches Museum. Il monsignore ritratto all'et di trentacinque anni circa ed raffigurato vestito con un abito nero, mentre osserva con i suoi occhi vivaci l'osservatore. Giuliano Della Rovere si trova nel suo studio, e lo vediamo in compagnia di libri, di un calamaio con una penna e di una clessidra, che si trovano alle sue spalle e dnno prova del suo impegno intellettuale e umanistico. Con la mano destra il protagonista del dipinto sta sfogliando un libro, e questo gesto interessante perch rende molto pi naturale il ritratto. Federico Barocci, come suo solito, dedica grande cura alla raffigurazione dei singoli dettagli e utilizza un colorismo delicato per rendere al meglio l'incarnato del prelato.
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30. Madonna della gatta Firenze, Uffizi 1595-1600 Olio su tela, 233 x 179 cm Immagine Ritenuta danneggiata in modo irreparabile, la Madonna della gatta oggi rivive grazie a un sapiente restauro che si concluso nel 2003, da alcuni definito miracoloso per via delle gravi condizioni in cui versava il dipinto: certo che si trattato di uno degli interventi di restauro pi straordinari degli ultimi tempi. Si credeva che il dipinto avesse subito i danni nel corso dell'incendio degli Uffizi del 1762, ma in realt le analisi chimiche effettuate durante il restauro hanno dimostrato che i danni furono causati da una foderatura mal condotta nel 1712, che con il passare degli anni ha fatto annerire l'opera riducendola a un'ombra. La composizione, ambientata in un interno, presenta la Sacra Famiglia insieme alla famiglia di san Giovannino, che vediamo con la madre santa Elisabetta e il padre san Zaccaria, mentre con l'indice indica Ges Bambino sulla culla che sta dormendo. San Giuseppe scosta una tenda per introdurre gli ospiti a Maria, che sta dondolando la culla in modo del tutto naturale. Il dipinto prende nome dalla gatta che si trova ai piedi della Madonna e che si gira di scatto per controllare chi sta arrivando e forse anche lei, come Maria, cerca di non far svegliare il gattino. Oltre la finestra che si apre dietro i protagonisti vediamo il solito scorcio del Palazzo Ducale di Urbino. Si tratta di un'altra delle composizioni di tono intimo e quotidiano di Federico Barocci, una delle migliori e sicuramente una delle pi note, caratterizzata da grande intensit affettiva. Il pittore rende con grandissima delicatezza il Bambino nella culla e il volto di Maria, che sembra quasi stia leggendo, con quel libretto in mano, una favola al figlio come farebbe una qualsiasi madre: anche attraverso particolari come questo che Federico Barocci conferisce familiarit al suo dipinto. Non sappiamo bene per chi fu realizzata la Madonna della gatta ma possiamo ipotizzare che fu realizzato intorno al 1598 in seguito a
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una visita del papa Clemente VIII al Ducato dei Della Rovere, perch il dipinto, prima di arrivare a Firenze, si trovava nella cappella papale del Palazzo Ducale di Pesaro e un inventario del tempo ci dice che l'opera fu realizzata proprio in occasione di quella visita. Giunse poi nella capitale del Granducato con la gi citata eredit di Vittoria Della Rovere. uno dei dipinti pi apprezzati e pi riprodotti di Federico Barocci.
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31. Annunciazione Santa Maria degli Angeli (Assisi), Basilica 1596 circa Olio su tela, 478 x 249 cm Immagine L'opera una delle pi grandiose e apprezzate di Federico Barocci anche se la critica non unanime sull'assegnarne completamente al maestro urbinate la realizzazione. Lo schema quello dell'Annunciazione conservata alla Pinacoteca Vaticana e realizzata per Francesco Maria II Della Rovere (n. 19), con alcune differenze: la pala centinata, ci sono alcuni particolari assenti nella tela realizzata per la Basilica di Loreto (come il cappello di paglia appeso sulla sinistra) e fanno la comparsa Dio, lo Spirito Santo e due angeli che occupano la parte superiore della composizione. Il dipinto stato realizzato, come testimoniano i documenti, nel 1596 per Laura Coli Pontani, che lo chiese per la cappella di famiglia all'interno della Basilica di Santa Maria degli Angeli. La donna era moglie di Angelo Coli, ricco mercante perugino, nonch nipote di un noto uomo di legge, Guglielmo Pontani, influente giurista della Perugia cinquecentesca. Tuttavia la critica non concorde sulla completa assegnazione a Federico Barocci, e vi anche chi la ritiene opera di un altro artista, come Andrea Emiliani che la considera una copia dell'Annunciazione della Pinacoteca Vaticana eseguita dal pittore perugino Felice Pellegrini. Bruno Toscano la ritiene opera realizzata dalla bottega sotto la supervisione di Federico Barocci (ipotesi che di recente stata per certi versi accolta anche da Emiliani), mentre Francesco Federico Mancini la ritiene opera eseguita dalla mano del pittore urbinate per via della sua altissima qualit. A supporto di quest'ultima ipotesi ci sarebbero un disegno conservato agli Uffizi in cui compare il particolare dei teli appesi sulla sinistra con il cappello nonch l'evidente derivazione di alcuni dettagli (il gi citato cappello ma anche gli angeli, del tutto simili a quello che compare nella Madonna di san Simone, n. 8). Non comunque operazione facile capire fin dove arriva la mano del maestro e dove ha inizio quella dei suoi collaboratori.
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L'opera tuttavia una delle pi delicate del corpus baroccesco: un capolavoro di grazia e di lirismo, che presenta un arcangelo Gabriele molto elegante e una bellissima Madonna, e che si mostra raffinato pur nella sua semplicit sostanziale, dal momento che il lusso sembra essere escluso dalla pala. Il particolare del gatto che dorme in basso a sinistra, gi presente nella precedente Annunciazione, conferisce un ulteriore tono di familiarit al dipinto. Oltre la finestra possiamo vedere, grazie alla tenda che si scosta, un'altra vista del Palazzo Ducale di Urbino. Anche questa Annunciazione un capolavoro che ha goduto di grande fortuna ed uno dei pi apprezzati anche da parte del pubblico.
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32. Autoritratto Firenze, Galleria degli Uffizi 1596-1600 Olio su carta incollata su tela, 42 x 33 cm Immagine Si tratta forse dell'autoritratto pi famoso di Federico Barocci, eseguito quando il pittore aveva circa sessant'anni: la barba bianca, i capelli sono ormai pochi e l'espressione degli occhi incavati sembra comunicare malinconia. un ritratto che ha ispirato molti studiosi per la descrizione di un ritratto sentimentale del pittore, a cui viene sempre attribuita grande sensibilit e allo stesso tempo un po' di quella inquietudine che poteva derivare dal suo carattere difficile. infine un ritratto attraverso il quale il pittore dimostra un certo grado di libert (di cui non poteva dare sfoggio nei ritratti ufficiali), con questo volto che per met si trova nella penombra, ma anche un ritratto che ci d prova del suo grande naturalismo e della sua grande capacit nel rendere i moti dell'animo. Il dipinto faceva parte della collezione del cardinale Leopoldo de' Medici (come l'Autoritratto degli anni Settanta, n. 10) ed annotato nell'inventario del 1676 come il ritratto del Baroccio da vecchio, con barba bianca, calvo, con pochi capelli, collare a lattuga, sopraveste di color scuro, e si vede l'orecchio destro. Non sappiamo tuttavia se arriv a Firenze con l'eredit di Vittoria Della Rovere o se il cardinale riusc a procurarselo in un altro modo. Da questo ritratto deriva anche quello conservato a Salisburgo presso la Residenzgalerie e che da alcuni studiosi ritenuto un autografo del pittore.
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33. Crocifissione Genova, Cattedrale 1596 Olio su tela, 500 x 318 cm Immagine La Crocifissione conservata nella Cattedrale di San Lorenzo di Genova uno dei capolavori pi grandiosi e allo stesso tempo pi influenti di Federico Barocci. Fu commissionata da Matteo Senarega, prima importante senatore e poi doge (dal 1595 al 1597) della Repubblica di Genova, per la cappella di famiglia all'interno della cattedrale genovese. La notizia confermata anche da Bellori: diede compimento alla tavola del Crocifisso, fattagli dipingere dal Signor Matteo Sanarega, che fu Doge di Genova; la qual tavola per la sua bellezza, ha acquistato grandissima fama, come viene ammirata nel Duomo della medesima citt. Le trattative tra il senatore e l'artista ebbero inizio gi nel 1587 ma Federico Barocci consegn l'opera terminata soltanto nove anni pi tardi. La lettera inviata da Senarega a Barocci dopo la ricezione dell'opera stata pubblicata da Bellori nella sua Vita di Federico Barocci, e apprendiamo che il doge rivolse parole di grande elogio nei confronti della pala, dicendo che l'opera del pittore rapisce, divide, dolcemente trasforma. La figura di Cristo crocifisso, che peraltro viene rappresentato non frontalmente rispetto all'osservatore ma di tre quarti, per una scelta molto particolare e di grande interesse, attorniata da quelle degli angeli che piangono, della Madonna, di san Giovanni e di san Sebastiano (la cui presenza spiegata dal fatto che il santo a cui dedicata la cappella). Maria sembra svenire tra le braccia di san Giovanni, ma, come scrive anche Senarega nella sua lettera citata poco sopra, solo sopraffatta dal dolore per la perdita del figlio. L'ambientazione contraddistinta da toni cupi, e sullo sfondo compare ancora il Palazzo Ducale di Urbino bench l'opera fosse destinata alla Cattedrale di Genova. La Crocifissione ebbe grande fortuna ma soprattutto ebbe un'importanza fondamentale sugli sviluppi successivi della pittura genovese, perch fu da modello per molti pittori locali (o che comunque
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operarono a Genova, come dimostra la Crocifissione di Antoon Van Dyck conservata a Lille) e perch contribu a diffondere anche nella citt ligure l'arte del pittore urbinate.
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34. Nativit Madrid, Prado 1597 Olio su tela, 134 x 105 cm Immagine Il bambino sulla destra, dentro la mangiatoia, con il bue e l'asinello sulla destra e la madre inginocchiata davanti a lui, al centro esatto della composizione. San Giuseppe invece all'ingresso della stalla e sta aprendo la porta ai pastori, e con una mano indica proprio il Bambino: sembra quasi che stia dicendo eccolo l! Sulla sinistra vediamo alcuni oggetti: sacchi di grano, un cappello, una cesta con un po' di pane. Il tutto ambientato in una suggestiva atmosfera notturna. La Nativit una delle composizioni sicuramente pi intime e liriche di Federico Barocci, che qui si serve della sua grande abilit nel creare effetti luministici per realizzare una composizione intensa, altamente poetica. Il pittore dimostra grande sensibilit e ancora grande cura per il dettaglio, una cura che notiamo anche nei particolari inaspettati, come gli oggetti sulla sinistra, ma anche nella resa degli incarnati (molto delicati quelli del Bambino) e anche nella raffigurazione degli animali. Si nota in questa composizione ancora una certa suggestione correggesca, unita a una certa originalit in alcune scelte, come quella di porre il Bambino sulla destra, in posizione leggermente defilata, piuttosto che al centro come avveniva di solito. Un notturno connotato quindi da toni delicati e da effetti di luce (una luce in questo caso divina, non naturale) che rendono questo dipinto uno dei pi celebrati e apprezzati di Federico Barocci (la copia pi famosa la Nativit di Alessandro Vitali conservata alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano) nonch uno di quelli pi graditi al pubblico. Il pittore realizz questo dipinto nel 1597 per Francesco Maria II, che poi, nel 1603, invi la Nativit come dono a Margherita d'Austria, che nel 1599 aveva sposato Filippo III di Spagna. Da allora il capolavoro non si pi mosso da Madrid.
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35. Fuga di Enea da Troia Roma, Galleria Borghese 1598 Olio su tela, 179 x 253 cm Immagine Escludendo ovviamente i ritratti, la Fuga di Enea da Troia l'unico dipinto di carattere non sacro della carriera di Federico Barocci. La versione del 1598 conservata presso la Galleria Borghese di Roma quella eseguita per monsignor Giuliano Della Rovere, e nel 1613 era registrata presso le collezioni di Scipione Borghese, anche se non si conosce il modo in cui il cardinale entr in possesso del dipinto: forse un dono da parte di Giuliano Della Rovere. La prima versione del dipinto, quella realizzata tra il 1586 e il 1589 per Rodolfo II d'Asburgo, andata perduta: sopravvive per un cartone preparatorio conservato al Louvre, ma nonostante ci non possiamo sapere quali erano le differenze tra le due versioni. Si tratta di una scena molto intensa: Enea al centro della composizione, tiene in braccio il vecchio padre Anchise (che tiene in mano le statue dei Lari, gli spiriti che secondo la mitologia romana proteggevano la casa e la famiglia) mentre il figlio Ascanio e la moglie Creusa li seguono: il tutto sullo sfondo di architetture classiche sapientemente studiate e scorciate con estrema precisione. In particolare interessante il tempietto che appare sulla destra, dietro a Creusa, e vicino al quale si sta ancora combattendo: ricorda molto la chiesa di San Pietro in Montorio progettata dal Bramante, architetto che come Federico Barocci era originario del Ducato di Urbino. Barocci usa ancora gli effetti luministici per creare una raffigurazione molto realistica e molto intensa dell'incendio della citt di Troia: notiamo le fiamme che scintillando entrano da sinistra oppure l'incendio che si sviluppa dietro al tempietto sullo sfondo. inoltre un dipinto che mostra un'altissima cura per i particolari, come notiamo osservando, per esempio, le armi abbandonate che si trovano ai piedi dei protagonisti, oppure le decorazioni dell'elmo di Enea e della veste di Anchise. Magistrale anche la resa delle espressioni dei protagonisti: leggiamo sui loro volti lo sgomento e la preoccupazione
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per gli eventi che si stanno verificando (oltre alla fatica sul volto di Enea). Al successo di quest'opera contribu anche un'incisione eseguita a bulino da Agostino Carracci, risalente al 1595 e oggi conservata presso il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna. Non sappiamo per se il pittore bolognese si ispir alla versione eseguita per Rodolfo II (e in tal caso il dipinto perduto e quello della Galleria Borghese sarebbero identici) oppure se prese spunto da un cartone dettagliato della versione romana.
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36. San Girolamo Roma, Galleria Borghese 1598 Olio su tela, 97 x 67 cm Immagine Secondo le agiografie, san Girolamo, l'autore della Vulgata (la traduzione in latino della Bibbia che fu la versione ufficiale adottata dalla Chiesa fino al Concilio Vaticano II), dopo aver lasciato Roma, citt dove aveva vissuto e aveva compiuto gli studi, part in pellegrinaggio e si ritir a pregare in penitenza in una grotta. proprio all'interno della grotta che viene raffigurato da Federico Barocci: il santo, in avanti con gli anni, si prostra dinanzi al crocifisso, sotto la luce di una povera lanterna che rischiara il cupo ambiente roccioso dell'antro. Vicino al santo alcuni oggetti simbolo di penitenza: il teschio, la clessidra, la stuoia. I primi due ricordano rispettivamente il destino dell'uomo e lo scorrere inesorabile del tempo, il terzo invece ricorda l'umilt. Una composizione interessante per diversi aspetti, a cominciare dall'espressione sofferente del santo che ci proietta in una dimensione di intenso misticismo e che ci d ancora l'idea della grande abilit di Federico Barocci nel raffigurare gli stati d'animo, in questo caso l'intenso coinvolgimento del santo nella preghiera. Ma interessanti sono anche gli effetti luministici, molto utilizzati da Federico Barocci in questa fase della sua carriera (come si nota anche osservando le coeve Nativit e Fuga di Enea da Troia, n. 34 e 35): nel caso del San Girolamo la luce proviene dalla lanterna sulla destra che rischiara il volto e il corpo del santo in meditazione. Le fonti contemporanee e Giovan Pietro Bellori non parlano di questo dipinto, che sappiamo fu realizzato prima del 1600 perch a questa data risale un'incisione di Francesco Villamena che lo riproduce: il San Girolamo viene citato per la prima volta in un inventario della collezione Borghese del 1693.
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37. Crocifissione Urbino, Oratorio della Morte 1599-1603 Olio su tela, 360 x 254 cm Immagine Questa Crocifissione fu commissionata a Barocci sul finire del secolo dalla Confraternita della Morte per il proprio Oratorio di Urbino, la cui edificazione fu completata nel 1595: la confraternita era chiamata cos perch i suoi membri provvedevano a seppellire i defunti. Il pittore impieg quattro anni per portare a termine la sua realizzazione. La Crocifissione di Urbino vista quasi come una tappa intermedia tra la Crocifissione Senarega della Cattedrale di Genova (n. 33) e il Cristo crocifisso che invece conservato al Prado e che fu commissionato da Francesco Maria II (n. 41): il Cristo, nel dipinto di Urbino, torna a essere in posizione frontale ed quanto mai il fulcro della scena, anche perch rispetto alla Crocifissione realizzata per Matteo Senarega la croce viene abbassata in altezza. Attorno a lui le nuvole e gli angeli si dispongono a formare una sorta di semicerchio illuminato dalla luce divina che squarcia le nubi. Gli angeli in particolare sono gli stessi (indentiche le pose e identici i gesti) della Crocifissione della Cattedrale di Genova. Scompare per san Sebastiano, che compariva nel dipinto precedente in quanto santo titolare della cappella a cui era destinato, e come da tipica iconografia torna la Maddalena, la cui posizione la stessa della Maddalena che troviamo nella Sepoltura di Cristo di Senigallia (n. 18). Sempre molto efficace il particolare della Madonna che sembra abbandonarsi, sopraffatta dal dolore, a san Giovanni che sta dietro di lei e osserva, disperato, il corpo di Cristo appeso alla croce: Ges, come nella realizzazione precedente, ha la testa rivolta verso i due, e in questo caso la testa subisce una torsione (invece nel precedente genovese era la croce a essere rivolta verso la Madonna e san Giovanni).
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38. Sant'Ambrogio perdona Teodosio Milano, Duomo 1600-1603 Olio su tela, 326 x 182 cm Immagine I contatti tra la Fabbrica del Duomo di Milano e Federico Barocci erano iniziati gi nel 1592: sappiamo di un Presepe di cui non si hanno pi notizie, risalente con ogni probabilit al 1597, e di altre due pale. Una questa, Sant'Ambrogio perdona Teodosio, l'altra l'incompiuto Lamento su Cristo morto (n. 39). Il dipinto in oggetto fu realizzato tra il 1600 e il 1603 e il pittore si avvalse anche degli aiuti della bottega, in particolare di quelli dell'allievo Alessandro Vitali. Dai documenti infatti risulta che per quest'opera siano stati pagati sia Barocci che Vitali: questo particolare ha portato alcuni studiosi a individuare un ruolo fondamentale dell'allievo. Molti addirittura assegnano ad Alessandro Vitali l'intera realizzazione, ma anche ipotizzabile che a Federico Barocci appartenga l'idea della composizione e l'esecuzione sia stata affidata al giovane allievo. Teodosio noto per essere stato l'imperatore romano che nel 380 rese il cristianesimo la religione di stato dell'Impero, e al tempo in cui govern, sant'Ambrogio ricopriva il ruolo di vescovo di Milano, che nel corso del III secolo dopo Cristo era diventata capitale dell'Impero Romano d'Occidente. Nel 390 si verificarono nella citt di Tessalonica alcuni disordini che portarono all'uccisione di un ufficiale romano, e Teodosio ordin, per rappresaglia, una strage in cui furono uccisi moltissimi cittadini innocenti. Sant'Ambrogio, data la gravit del massacro, impose a Teodosio una penitenza pubblica e l'imperatore chiese perdono durante una messa tenutasi nel Natale dello stesso anno. Barocci rappresenta la scena all'interno di un edificio sacro dall'architettura classica, con sant'Ambrogio al centro circondato dai diaconi e con Teodosio inginocchiato ai suoi piedi mentre riceve il perdono. Di particolare efficacia il gesto del vescovo che pone la mano sulla testa dell'imperatore, che si tolto la corona e l'ha poggiata a terra davanti a lui.
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una composizione grandiosa, di ampio respiro, contraddistinta da colori brillanti e vivaci e anche da alcuni particolari che si erano gi visti in dipinti realizzati in precedenza, come la madre con i due bambini (motivo presente nella Madonna del Popolo, n. 17, e nel Martirio di san Vitale, n. 21) oppure il cane in basso a destra ( lo stesso che vediamo nell'Ultima cena, n. 26). Possiamo asserire che il dipinto abbia anche una certa valenza politica, dal momento che ritrae una scena in cui un imperatore si sottomette a un esponente del clero, e l'episodio, in epoca controriformistica, trasmetteva un messaggio molto chiaro. Si potrebbe per trovare anche un significato a livello teologico, in base al quale la giustizia terrena necessariamente sottoposta a quella divina.
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39. Lamento su Cristo morto Bologna, Biblioteca dell'Archiginnasio 1600-1612 Olio su tela, 412 x 288 cm Immagine Anche questo dipinto, come Sant'Ambrogio perdona Teodosio, fu realizzato per il Duomo di Milano, dove arriv incompiuto (l'artista non era riuscito a finirlo) nel 1629, diciassette anni dopo la scomparsa di Federico Barocci. Nonostante Ventura Mazza, il pi importante allievo diretto del pittore, si fosse fatto avanti per portare a termine l'opera, il Lamento su Cristo morto rimase incompiuto e nel 1786 il dipinto fu venduto dalla Fabbrica del Duomo di Milano al Comune di Bologna e oggi fa parte delle collezioni comunali d'arte. Anche se il dipinto non finito riusciamo comunque a percepirne la grandiosit, la monumentalit e la solennit: si tratta sicuramente di una delle pi importanti composizioni dell'ultimo periodo della carriera di Federico Barocci. Ci sono anche diversi particolari insoliti: solitamente la scena si svolgeva all'aperto, spesso ai piedi della croce, e invece qui il compianto avviene dentro al sepolcro, e notiamo che il corpo gi stato sistemato sulla lastra. Altro particolare insolito la presenza del santo sulla sinistra, inginocchiato con in mano il pastorale: si tratta sicuramente di san Giovanni Buono, importante esponente del clero del VII secolo, che riport la sede del vescovato a Milano da Genova, dove era stata trasferita nel 569 in seguito all'occupazione dei longobardi. Altra presenza insolita quella, sulla sinistra, di san Michele che caccia il diavolo (lo vediamo mentre ripone la la spada nel fodero), che deriva dal fatto che le spoglie di san Giovanni Buono erano conservate nella chiesa di San Michele in Duomo, vicina alla Cattedrale meneghina e oggi non pi esistente. I personaggi esprimono un dolore molto composto e sono contraddistinti da colori accesi, vivi e brillanti (predominano i tre colori primari variamente declinati: giallo, rosso e blu) che li fanno risaltare nel buio del sepolcro.
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40. Presentazione della Vergine al Tempio Roma, Santa Maria in Vallicella 1590-1603 Olio su tela, 383 x 247 cm Immagine I contatti per la realizzazione di questo importante dipinto iniziarono gi nel 1590, ma l'opera completa fu consegnata soltanto nel 1603. Fu commissionata dai padri della Vallicella che, soddisfatti per la Visitazione eseguita qualche anno prima (n. 22), chiesero all'artista urbinate anche la pala per la cappella Cesi (nota anche come Cappella della Presentazione della Vergine proprio per via del dipinto di Barocci) che era stata inaugurata nel 1593. Nelle intenzioni dei padri, il pittore avrebbe dovuto eseguire anche l'Incoronazione di Maria, la cui realizzazione fu poi affidata al Cavalier d'Arpino (1568 1640) in seguito al rifiuto di Federico Barocci. interessante sapere, tra l'altro, che il pittore urbinate si propose, verso la met del decennio, per la realizzazione della Nativit della Vergine che doveva essere posta sull'altare maggiore di Santa Maria in Vallicella: si tratta dell'unico caso noto in cui Federico Barocci a proporsi per eseguire un dipinto. Tuttavia in seguito l'incarico fu affidato a Pieter Paul Rubens (1577 1640), in quanto i padri erano a corto di fondi e l'opera fu finanziata dal cardinale Giacomo Serra, mecenate dell'artista fiammingo. In questo dipinto la Vergine bambina occupa all'incirca il centro esatto della composizione e si trova inginocchiata ai piedi del sacerdote del Tempio: il momento in cui Maria si consacra totalmente a Dio. In alto, gli angeli assistono la scena e poco pi in basso i genitori di Maria, Anna e Gioacchino, esprimono la loro soddisfazione osservando la figlia. La composizione assume i caratteri di una grande celebrazione, seppur semplice, perch il lusso del tutto assente, anzi: il pittore sembra dare particolare rilievo a dettagli umili, come il pastore che porta un agnello oppure la giovane in basso a sinistra che ha una cesta con alcuni polli, e poco distante vediamo anche, poggiato su uno degli scalini del tempio, il cappello di paglia che compare spesso nelle realizzazioni di Federico Barocci. Un dipinto (peraltro descritto in maniera molto particolareggiata
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da Bellori) che trasmette quasi un'aria di festa, ma una festa, beninteso, composta e solenne, in linea con i dettami della Controriforma e soprattutto un dipinto che fu molto apprezzato dai committenti. Apprendiamo infatti da una lettera scritta dai padri della Vallicella al vescovo Cesi, titolare della cappella, che la Presentazione della Vergine al Tempio fu accolta a Roma con grandissima soddisfazione non soltanto da parte degli oratoriani, ma da parte di tutta la citt.
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41. Cristo crocifisso Madrid, Prado 1604 Olio su tela, 374 x 246 cm Immagine Il Cristo crocifisso di Madrid termina il percorso iniziato da Federico Barocci gi con la Crocifissione del 1566-1567 di Urbino (n. 7) portando diverse novit rispetto alle crocifissioni realizzate in precedenza. Il dipinto fu commissionato da Francesco Maria II Della Rovere, che lo don poi a Filippo IV di Spagna. Sono molte le differenze rispetto alle crocifissioni precedenti, a cominciare dall'assenza dei dolenti: nei dipinti anteriori figuravano sempre almeno la Madonna e san Giovanni, talvolta accompagnati da altri personaggi, e nel Crocifisso di Madrid invece Ges solo, per cui l'attenzione dell'osservatore si rivolge esclusivamente su di lui. Un altro importante aspetto consiste nel fatto che questa l'unica scena di crocifissione in cui Ges ancora vivo: in quelle anteriori invece era gi spirato. Infine, scompaiono gli angeli, presenti in tutte le altre crocifissioni: Federico Barocci riduce cos al minimo la sua composizione, raffigurando da solo il Cristo, la cui figura dimostra un grande studio anatomico. La sua agonia sembra quasi essere contrastata dallo sguardo che rivolge verso l'alto, dimostrando fiducia e speranza in Dio. La figura di Ges immersa nel paesaggio, altra componente fondamentale di questo dipinto attentamente studiata: quello che compare sotto alle nubi grigie squarciate dalla luce divina il paesaggio delle colline marchigiane, sulle quali vediamo ancora una volta svettare il Palazzo Ducale di Urbino, riprodotto cos come il pittore lo vedeva dalla casa dove abitava. Riusciamo poi a distinguere il quartiere di Valbona, vicino al Palazzo Ducale, e alcuni edifici di culto, oltre alle montagne dell'Appennino, sullo sfondo, che costituivano il confine del Ducato.
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42. Assunzione Urbino, Galleria Nazionale delle Marche 1604-1605 Olio su tela, 239 x 171 cm Immagine Quando Barocci scompariva nel 1612, l'opera era ancora nel suo studio, nello stato in cui la vediamo ancora oggi: si tratta infatti di un dipinto incompiuto, che gli fu commissionato, stando a ci che ipotizza Andrea Emiliani, per l'altare maggiore di Santa Maria in Vallicella a Roma, ma purtroppo non si hanno riscontri documentari. Il dipinto rimase agli eredi del pittore e pass poi ai principi Albani di Urbino fino al 1980, quando fu acquistato dallo Stato, e da allora lo si pu ammirare nelle sale della Galleria Nazionale delle Marche. Il dipinto era stato studiato molto attentamente ,come dimostrano i disegni preparatori che sono rimasti, e lo stato di incompiuto facilita nella comprensione delle tecniche di lavoro adottate da Federico Barocci: riusciamo a intuire quindi che per questa realizzazione il pittore ha usato un suo tipico procedimento, ovvero stendeva prima una preparazione di colore brunastro sulla quale poi definiva i colori e gli effetti luministici. Il tema classico: Maria, terminata la sua vita terrena, viene assunta direttamente in cielo, con gli apostoli intorno che assistono all'evento. Si tratta anche uno dei dipinti pi teatrali di Federico Barocci, con la Madonna che da sola occupa quasi tutto il registro superiore della composizione, spalanca le braccia per accogliere la luce divina e viene accompagnata in cielo dagli angeli che sembrano quasi sorreggerla per le gambe. Grande la partecipazione degli apostoli: alcuni guardano stupiti, altri baciano il sepolcro di Maria, un altro ancora, in secondo piano, si porta naturalisticamente la mano davanti agli occhi per ripararsi dall'abbagliante luce celeste. Anche se l'opera incompiuta vediamo che un ruolo molto importante viene giocato dai colori, che sono vivi e accesi: in particolare siamo colpiti dal rosso del velo che avvolge le gambe di Maria e dai bagliori dorati della luce che proviene dal cielo.
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43. Istituzione dell'Eucarestia Roma, Santa Maria sopra Minerva 1603-1607 Olio su tela, 299 x 177 cm Immagine da molti considerato come il pi controriformistico dei dipinti eseguiti da Federico Barocci, sia per il tema che a causa della committenza. L'incarico di eseguire questa tela gli fu infatti conferito da Clemente VIII, che nel 1598 visit Urbino ed probabile che in questa occasione ebbe modo di conoscere l'arte di Federico Barocci. L'opera era destinata alla cappella di famiglia di papa Aldobrandini all'interno della chiesa di Santa Maria Sopra Minerva, che era la chiesa dei domenicani di Roma e per un certo periodo ospit anche il tribunale dell'Inquisizione. Il tema afferma uno dei dogmi fondanti della Chiesa Cattolica, l'istituzione dell'Eucarestia e la conseguente transustanziazione, ovvero la trasformazione del pane e del vino in corpo e sangue di Cristo: un concetto che fu molto criticato durante gli anni della Riforma protestante. Con questo dipinto, eseguito in un periodo storico particolarmente delicato (al 1596 risalgono, per esempio, l'indice clementino e il divieto di tradurre e leggere la Bibbia in volgare), il papa voleva che venisse affermato in modo inequivocabile uno dei princip basilari della dottrina cattolica, e per farlo si rivolse a uno dei pittori pi influenti del suo tempo. E in effetti si ha pi che mai con questo dipinto l'impressione di un Federico Barocci lontano da quell'atmosfera intima e familiare che aveva caratterizzato quasi tutti i suoi dipinti, e al contrario quasi piegato ai dettami della Controriforma: la composizione assume i toni di una celebrazione ufficiale, con un Cristo che tiene davanti a s il pane consacrato e lo offre agli apostoli quasi fosse un sacerdote. Bench il dipinto sia contraddistinto da un certo naturalismo (come quello che mostra il servo che pulisce un bacile di rame in primo piano), sembra quasi che l'Istituzione dell'Eucarestia sia una tela dalle finalit dottrinali. Bellori ci informa che il papa volle vedere il disegno prima che
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fosse terminato il lavoro, e apprendiamo che Barocci aveva previsto il particolare del diavolo che parla all'orecchio di Giuda: la cosa non piacque a Clemente VIII e pertanto il pittore fu costretto a eliminarla dal dipinto. Di questo dipinto esistono alcune varianti: le pi importanti sono una eseguita dall'allievo Alessandro Vitali e conservata nella chiesa di San Giacomo Maggiore a Bologna e l'altra, sulla cui assegnazione la critica discorde perch non sappiamo se si tratta di una copia di bottega o di una variante d'autore, che conservata nella chiesa di Santa Maria Assunta a Bacchereto, in provincia di Prato.
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44. Madonna Albani Roma, Banca Nazionale del Lavoro 1610-1612 circa Olio su tela, 114 x 81 cm Immagine La Madonna Albani, che prende il nome dal suo committente, Orazio Albani, uno degli ultimi lavori di Federico Barocci e da alcuni addirittura considerata l'ultima opera realizzata dal pittore urbinate. Alla sua scomparsa il 30 settembre del 1612 il dipinto era ancora incompiuto e fu portato a termine da alcuni suoi allievi. L'opera fu preparata e studiata con una certa cura, come testimoniano i disegni preparatori e gli schizzi che ci sono rimasti, bench si trattasse di un dipinto destinato alla devozione privata, quindi di un lavoro dal tono intimo e familiare. La Madonna seduta, tiene in braccio il Bambino che si sta addormentando e con una mano sposta le coperte della culla evidentemente per fargli posto: una scena molto lirica e naturale, e come molte altre volte sembrerebbe che la giovane ritratta non sia la Madonna, ma sia una madre terrena che mette a letto il proprio figlio. curioso sapere che su questo dipinto, secondo quanto riporta la tradizione, l'importante poeta e intellettuale umanista urbinate Bernardino Baldi abbia fatto porre un'iscrizione che commemorava Federico Barocci in seguito alla sua scomparsa, e per la precisione tale iscrizione doveva trovarsi sulla culla di Ges Bambino. Tuttavia non v' traccia alcuna di questa iscrizione.
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45. Ecce homo Milano, Pinacoteca di Brera 1612 Olio su tela, 180 x 127 cm Immagine La tela, secondo i pi l'ultima eseguita da Federico Barocci, fu ultimata nel 1613 da Ventura Mazza, l'allievo pi importante. Il dipinto citato anche da Giovan Pietro Bellori: lo storico ci dice soltanto che il pittore urbinate non fece in tempo a terminarlo. Fu commissionato dall'oratorio dei Disciplinati della Santa Croce di Urbino, ma durante le requisizioni napoleoniche fu inviato in Francia e di qui torn nel 1811: da allora si trova alla Pinacoteca di Brera di Milano. Si tratta di un tema classico del repertorio sacro: Ges viene presentato da Pilato alla folla affinch venga giudicato, e le parole Ecce homo (ecco l'uomo) sono quelle che il prefetto rivolge agli astanti. Il Cristo in piedi, sorretto da Ponzio Pilato che guarda verso il pubblico, e con intorno alcuni soldati e un paggio che notiamo sulla sinistra. Ges sembra sereno e per niente turbato dalla situazione, mentre sul volto di Ponzio Pilato, raffigurato con grande abilit ritrattistica, sembra quasi di vedere un'espressione di preoccupazione. Sono due figure molto contrastanti: il volto di Cristo, caratterizzato da grazia e quasi da idealizzazione, si oppone a quello di Pilato che invece contraddistinto da un elevato e acuto realismo. Si tratta quindi di una composizione molto studiata, che vuole portare l'osservatore a riflettere da una parte sulla calma di Ges e dall'altra sull'inquietudine di Ponzio Pilato. Non sappiamo bene fin dove arrivino gli interventi di Federico Barocci e dove abbiano inizio quelli di Ventura Mazza: sappiamo per certo per che l'idea della composizione appartiene al maestro, e possiamo ipotizzare che il disegno appartiene a Federico mentre la stesura cromatica apparterrebbe a Ventura Mazza. Tuttavia un recente restauro sembra dimostrare come anche Federico Barocci abbia fatto in tempo a colorare in parte il dipinto.
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Come si accennato nelle sezioni precedenti, la figura di Federico Barocci stata una delle pi influenti del suo tempo, tanto che gli studiosi hanno coniato un termine, baroccismo, con il quale indicano l'arte di quei pittori che si ispiravano alle realizzazioni dell'artista urbinate. La sua sfera di influenza non tocc soltanto il Ducato di Urbino (e quindi i suoi allievi diretti), ma si estese a tutta l'Italia e super anche i confini della penisola. I primi artisti che risentirono delle suggestioni baroccesche furono, ovviamente, i suoi pi stretti collaboratori e i suoi allievi. Tra gli artisti che lavorarono con lui doveroso citarne almeno quattro: Ventura Mazza, Antonio Viviani, Alessandro Vitali e Antonio Cimatori. Questi, che furono tra i pi noti artisti provenienti dalla scuola di Federico Barocci, sono tutti ricordati, insieme a molti altri pittori, da Luigi Lanzi nella sua Storia pittorica d'Italia, opera nella quale il trattatista passa in rassegna un gran numero di pittori che studiarono con Barocci fornendo per ognuno di loro una breve descrizione. Tuttavia per molti di questi artisti non facile comprendere l'esatta vicinanza a Federico Barocci, perch se nelle opere di bottega dimostrano una elevatissima aderenza all'arte di Federico Barocci, quando lavorano in proprio dimostrano al contrario una certa dose di indipendenza. Ventura Mazza (1560 1638), quello che considerato come il principale allievo di Federico Barocci, termin due lavori incompiuti del maestro (il Lamento su Cristo morto, n. 39 e l'Ecce homo, n. 45) e il suo stile tanto fedele a quello di Federico che difficile distinguere fin dove arriva l'intervento del maestro e dove abbia invece inizio quello dell'allievo. Nonostante ci, Ventura Mazza, nei suoi lavori personali, sembra piuttosto lontano dallo stile baroccesco. Diverso il discorso per Alessandro Vitali (1580 1640 ca.), che degli allievi fu quello che dimostr lo stile pi vicino a quello di Federico Barocci, tanto da essere considerato quasi come un imitatore del maestro (un termine, imitatore, che compare, riferito ad Alessandro Vitali, anche nella trattatistica settecentesca): il suo dipinto pi famoso una Nativit conservata alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano e copia di quella di Barocci conservata al Prado di Madrid (n. 34). Antonio Viviani, soprannominato il sordo di Urbino (1560
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1620) forse, tra gli allievi di Federico Barocci, il pi famoso. Lavor a lungo anche a Roma, dove partecip anche alle decorazioni di Palazzo Barberini, e fu attivo anche a Genova oltre che, ovviamente, in patria, nel Ducato di Urbino. Il suo stile propone una fusione di influenze baroccesche e suggestioni derivanti dalla pittura romana del tempo. Infine tra i seguaci pi prossimi a Federico Barocci viene spesso citato anche Antonio Cimatori, noto anche come il Visaccio (1550 ca. 1623): fu, tra l'altro, uno degli artisti pi apprezzati da Francesco Maria II Della Rovere. Tra i pittori che Lanzi riferisce alla scuola di Barocci compare anche Claudio Ridolfi, menzionato anche come Claudio Veronese (1570 ca. 1644): l'artista, nato a Verona, si trasfer a Urbino in seguito al matrimonio e divent seguace dell'arte di Federico Barocci, e dal momento che per tutto il resto della sua carriera fu attivo nelle Marche considerato come un pittore marchigiano. Sempre rimanendo in zona necessario citare anche Andrea Lilli (1570 ca. 1631), originario di Ancona: Lanzi non lo ritiene allievo di Barocci, ma solo un seguace. Un ruolo determinante per la diffusione del baroccismo fu svolto dalle opere del maestro che giungevano nelle varie citt d'Italia. Una delle pi influenti fu la Deposizione di Perugia (n. 9): la citt umbra tra quelle dove l'arte di Barocci fece pi presa proprio in virt del fatto che i pittori locali erano particolarmente attratti dal grande capolavoro del maestro urbinate. Ma furono diverse altre le opere che contribuirono a diffondere il linguaggio baroccesco in Umbria, e tra queste possibile citare la Madonna delle ciliegie (n. 11) commissionata dal collezionista perugino Simonetto Anastagi, per non parlare dell'Annunciazione (n. 31) della Basilica di Santa Maria degli Angeli. Oltre alla presenza delle opere, decisiva fu anche l'attivit in Umbria dei pittori marchigiani, come il gi citato Antonio Viviani. Si ispirarono quindi a Federico Barocci diversi pittori umbri, tra i quali bisogna citare almeno i due pi importanti, e cio Benedetto Bandiera (1557 1634) e Felice Pellegrini (1567 1630 ca.), oltre agli artisti della fiorente scuola di miniatura perugina che operarono tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento. Tra i pittori che in Umbria subirono il fascino di Federico Barocci doveroso citare anche Ferra Fenzoni (1562 1645), importante pittore romagnolo che negli anni
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Novanta del Cinquecento fu attivo a Todi. Un altro dipinto decisivo per la diffusione del baroccismo fu la Crocifissione (n. 33) commissionata da Matteo Senarega, che contribu a far circolare il messaggio e l'arte del pittore urbinate anche a Genova. La Crocifissione che oggi si pu ammirare nel Duomo della citt ligure esercit la sua influenza anche su pittori di primissimo piano, a cominciare da Bernardo Strozzi (1581 1644): quest'ultimo si era formato studiando con Pietro Sorri (1556 1622), manierista toscano attivo a Genova, e osservando gli esiti dell'arte degli altri pittori toscani attivi nella capitale della repubblica, come Aurelio Lomi e Orazio Gentileschi. L'incontro con Federico Barocci ebbe un ruolo decisivo per la sua pittura, e a partire da questo incontro si possono osservare nella pittura di Strozzi diversi echi barocceschi. Ma la Crocifissione del Duomo non sfugg neppure a due grandi pittori che furono attivi a Genova agli inizi del Seicento, e cio Pieter Paul Rubens (1577 1640) e Antoon Van Dyck (1599 1641). La gi citata Crocifissione di Van Dyck conservata a Lille, per esempio, riprende la concezione della Crocifissione Senarega con il crocifisso posizionato in diagonale, mentre un'opera come il Trittico degli Archibusieri di Rubens conservato nella cattedrale di Anversa dimostra qualche debito, per quanto riguarda il pannello centrale, nei confronti della Deposizione di Perugia di Federico Barocci. Rubens e Van Dyck non furono gli unici pittori olandesi che rimasero affascinati dall'arte di Federico Barocci: gi a partire dagli anni Ottanta diversi artisti fiamminghi, soprattutto incisori, iniziarono a riprodurre le opere del maestro urbinate, in particolare quelle dai toni pi intimi e familiari come la gi citata Madonna delle ciliegie. Molti di questi artisti, come Cornelis Cort (1536 ca. 1578), Hendrick Goltzius (1558 1617) e i gi citati Rubens e Van Dyck, furono attivi in Italia, dove ebbero quindi modo di entrare a diretto contatto con l'arte di Federico Barocci. Diversi altri artisti contribuirono a far circolare in Olanda le stampe del pittore urbinate, quindi ipotizzabile che molti (tra i quali lo stesso Rubens) conoscessero Barocci gi prima di trasferirsi in Italia. L'arte di Federico arriv anche a Bologna, dove fu a lungo studiata da tutti e tre i Carracci: Ludovico (1555 1619), Agostino (1557 1602) e Annibale (1560 1609). In alcuni dipinti dei Carracci si note93
rebbero citazioni baroccesche, mentre alcune incisioni, eseguite soprattutto da Agostino Carracci, riproducono le opere di Federico Barocci: il caso per esempio dell'incisione con la Fuga di Enea da Troia di Agostino conservata presso il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna. Nella citt emiliana, oltre ai Carracci, anche il pittore fiammingo Denijs Calvaert (1540 1619), che aveva aperto a Bologna una fiorente bottega, accolse qualche spunto baroccesco che arriv anche ad alcuni dei suoi pi importanti allievi come Guido Reni (1575 1642) e il Domenichino (1581 1641). E, a proposito di questi ultimi due pittori, ci sono dei dipinti che sembrerebbero quasi ispirarsi ai lavori di Federico Barocci: il caso del Crocifisso di Guido Reni conservato nella chiesa di San Lorenzo in Lucina a Roma o della Presentazione di Maria al Tempio del Domenichino, che si trova nel Santuario di Nostra Signora della Misericordia a Savona. Il fatto che pittori del Seicento conservino nei loro dipinti alcuni spunti che potrebbero derivare da una lettura dell'arte di Federico Barocci ha portato alcuni storici dell'arte a cercare un rapporto tra il pittore urbinate e la pittura barocca, tanto che uno studioso spagnolo, Alfonso Snchez, ipotizzava addirittura che il termine barocco avesse tratto origine dal cognome del pittore vista la sua grande influenza sugli artisti del Seicento. Il rapporto tra Federico Barocci e arte barocca stato a lungo approfondito, e nella grande mostra che si tenuta sul pittore urbinate a Siena tra il 2009 e il 2010 ben tre sezioni dell'esposizione erano intitolate Barocci in barocco e ognuna approfondiva un tema. Si possono cos considerare come protobarocche alcune opere come l'Assunzione (n. 42), perch anticipa la pittura d'aria e di nubi (sottotitolo della prima sezione intitolata Barocci in barocco) tipica dell'arte barocca, o ancora la Fuga di Enea da Troia (n. 35) per la sua forte drammaticit o la Beata Michelina Metelli (n. 27) per il suo intenso misticismo (e che secondo alcuni ha addirittura ispirato l'Estasi di santa Teresa di Gian Lorenzo Bernini, vista anche la cospicua presenza a Roma di dipinti realizzati dall'artista di Urbino): tutti motivi che saranno propri del repertorio barocco e che portano quindi a identificare in Federico Barocci un importante anticipatore di quel movimento artistico che fior nel Seicento. E inoltre, tra i geni del barocco che hanno qualche relazione con l'arte di Baroc94
ci, gli studiosi annoverano anche Pietro da Cortona (1596 1669): anche se quelle del pittore toscano furono composizioni spesso grandiose e magniloquenti, la delicatezza e la grazia di alcuni particolari (per esempio, le giovani che compaiono nell'affresco che raffigura l'Et dell'Oro all'interno della Sala della Stufa in Palazzo Pitti a Firenze) sembra richiamarsi proprio a Federico Barocci. Un'altra citt che risent moltissimo dell'arte baroccesca fu quella in cui si tenuta la grande mostra del 2009-2010, e cio Siena, tanto che alcuni si riferiscono ai pittori che operarono in questa citt tra la fine del Cinquecento e l'inizio del Seicento come ai barocceschi senesi. Gi Bellori individuava nel massimo esponente della scuola senese del periodo, e cio Francesco Vanni (1563 1610), il miglior seguace di Federico Barocci (fra quelli che seguitarono la maniera del Barocci, il Cavalier Francesco Vanni Senese riusc buon pittore). Risulta tuttavia pi vicina al vero la posizione dello studioso Peter Anselm Riedl, che considera questi pittori (in particolare Francesco Vanni e Ventura Salimbeni, 1568 1613) non come dei veri seguaci di Barocci, ma piuttosto come pittori originali e indipendenti che per trovarono nell'artista urbinate un importantissimo punto di riferimento. Fu proprio Francesco Vanni l'artista che inizi a diffondere il linguaggio di Barocci a Siena, ma non si sa con certezza come venne a contatto con la pittura dell'artista urbinate perch non ci sono prove documentarie: per del tutto lecito supporre che Vanni conobbe l'arte di Federico durante un suo soggiorno a Roma negli anni Ottanta del Cinquecento. Molte opere di Francesco Vanni, come l'Immacolata concezione nella cattedrale di San Pietro a Montalcino o l'Annunciazione conservata a Siena nella Basilica di Santa Maria dei Servi, dimostrano chiare suggestioni baroccesche. E cos come Vanni e Salimbeni, anche altri artisti senesi furono influenzati da Federico Barocci: su tutti si possono citare Rutilio Manetti (1571 1639) e Alessandro Casolani (1552 1607). Rimanendo in Toscana, due artisti che trovarono in Barocci un buon punto di riferimento per certi aspetti della loro arte furono Ludovico Cardi, meglio noto come il Cigoli (1559 1613), e Cristofano Allori (1577 1621), a cui la lezione di Federico arrivava filtrata proprio attraverso l'arte di Ludovico Cardi.
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Citazioni baroccesche si riscontrano anche in ambiente lombardo, dove pu aver fatto da tramite la figura di Camillo Procaccini (1561 1629), pittore di origini emiliane che entr a contatto con l'arte di Federico Barocci frequentando l'ambiente artistico bolognese, e anche in ambito napoletano: in Campania uno degli artisti che si dimostrarono maggiormente debitori nei confronti del maestro fu il fiammingo Dirk Hendricksz (conosciuto anche come Teodoro d'Errico, 1544 1618), che fu attivo a Napoli dalla met degli anni Settanta del Cinquecento fin quasi alla fine della sua carriera e la cui conoscenza di Federico Barocci si deve probabilmente agli intensi rapporti che Napoli aveva con Roma all'epoca. Infine, echi della pittura baroccesca si fecero sentire anche nel Settecento: alcuni studiosi, per esempio, hanno individuato nella ritrattistica della celebre artista veneziana Rosalba Carriera (1675 1757) alcuni tratti (e anche alcuni accorgimenti tecnici) che potrebbero rifarsi proprio all'arte di Federico Barocci.
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