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02-Frontespizio 2016 pp.

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roma nel rinascimento

2016
bibliografia e note
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AVVERTENZA
AVVERTENZA
La Bibliografia ha periodicità annuale. La pubblicazione degli In-
dici La
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Bibliografia quinquennale.
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schede sono degliregistrate
autori re-
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censiti, indipendentemente
numerazione successiva secondo dal tipo di contributo
l’ordine alfabetico (libri, saggi, recensi-
degli autori articoli,
etc.);
ti, le miscellanee trovano
indipendentemente dal tipola diloro collocazione
contributo (libri,insaggi,
riferimento
articoli,aletc.);
pri-
momiscellanee
le sostantivo del titolo.la loro collocazione in riferimento al primo so-
trovano
In questo
stantivo numero gli Atti della Giornata di Studi per il trenten-
del titolo.
nale Indalla fondazione
questo numerodell’Associazione
una sezione di “Roma nel precede
Recensioni Rinascimento” (Ro-
le Schede;
ma, 2 dicembre
seguono 2014),diprecedono
segnalazioni Convegni una e la sezione
sezione didedicata
Recensioni, lestrazione
all’illu Schede,
segnalazioni
di di Mostree ediConvegni
Scritture d’archivio e lainedite
biblioteche sezioneo dedicata
poco note. all’illustrazione
di Scritture
I volumi d’archivio
pervenuti e diper
biblioteche
recensioneinedite o pocoa note.
andranno far parte della bi-
I volumi
blioteca pervenuti per
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e saranno andranno adegli
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03-Dedica pp. 3-4__ 18/01/17 10:47 Pagina 3

Il volume è dedicato ad Arnold Esch


in occasione del suo ottantesimo compleanno
come omaggio ad uno studioso che con le sue ricerche
ha dato un eccezionale contributo scientifico
alla conoscenza della realtà romana dei secoli XIV-XVI
e come ringraziamento per la costante e amichevole collaborazione
con “Roma nel Rinascimento” di cui è socio onorario.
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03a-Indice e Avvertenza pp. 5-6__ 18/01/17 10:49 Pagina 5

INDICE

Recensioni:

ROCCO RONZANI, OSA, Dante, Cola di Rienzo e il “mysterium Lunae” . pag. 7

GIANMARIO CATTANEO, «Quaedam ex scriptis Platonis brevi libello com-


plexi sumus». Il De natura et arte del cardinal Bessarione . . . . » 13

MARIA GRAZIA BLASIO, Maccheroni siciliani in salsa latina. Una nuova


edizione del De honesta voluptate et valitudine di Bartolomeo Pla-
tina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 27

FRANCESCO TATEO, Contraddizioni della storia e variabilità della storio-


grafia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 33

STEFANIA PASTI, Michelangelo: il significato teologico di un dente di


troppo, il peccato, il senso della morte, la poesia . . . . . . . . . » 39

EMANUELE ATZORI, L’Archivio della Fabbrica di San Pietro in Vaticano


come fonte per la storia di Roma . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 51

Schede . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 63

Convegni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 231

Scritture d’archivio e di biblioteche:

IVANA AIT, Un medico, la sua biblioteca e il liber partiti scacchorum


a Roma tra l’ultimo quarto del XIV e i primi decenni del XV se-
colo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 249

MICHAEL VON COTTA-SCHÖNBERG, ANNA MODIGLIANI, Nicholas V’s


only surviving oration, the Nihil est of 24 March 1447 . . . . . . » 271

ANNA ESPOSITO, Non è Francesca. Un miracolo contestato di s. France-


sca Romana (a. 1460) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 289

ANDREAS REHBERG, Quando i malati del Santo Spirito andavano alle ter-
me. Qualche episodio legato ai Bagni di Stigliano alla fine del
Quattrocento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 307

PAOLA PIACENTINI, Elementi “romani” nei codici classici (e non solo)


della biblioteca Vallicelliana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 327
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MACCHERONI SICILIANI IN SALSA LATINA


UNA NUOVA EDIZIONE DEL
DE HONESTA VOLUPTATE ET VALITUDINE
DI BARTOLOMEO PLATINA*

La riproposta del celebre trattato di Bartolomeo Sacchi da Piadena, per


tutti il Platina, segue a meno di vent’anni la pubblicazione dell’edizione cri-
tica del testo latino con traduzione inglese curata da Mary Ella Milham1. Il
compito di ripresentare l’opera non era dunque facile e Carnevale Schianca
lo assolve egregiamente offrendo agli specialisti, nell’anno dell’Expo univer-
sale sull’alimentazione, le competenze dello storico della cucina, ai letterati
la possibilità di riflettere ancora su un capitolo non secondario della cultura
del rinascimento romano.
Il volume comprende varie sezioni certamente utili: un’introduzione
biografica, un commento alle fonti, il testo latino e la traduzione italiana, un
glossario di termini, il testo originale delle ricette di maestro Martino de
Rubeis (redazione conservata nel codice Washington, Library of Congress,
Medieval ms. 153) che si trovano tradotte dal Platina, una raccolta di testi-
monianze sul Platina e sugli accademici romani tratte dalle fonti contempo-
ranee, un repertorio di nomi. La traduzione si avvale della padronanza del
lessico specialistico latino e il curatore non tralascia alcune note critiche alle
precedenti versioni italiane moderne (pp. 63-69).
Per il testo l’edizione segue quello approntato dalla Milham sulla base del
manoscritto ora Milano, Biblioteca Trivulziana, 734. Antecedente al 1468 – ma
non come ha affermato la Milham al troppo precoce periodo anteriore alla
prima carcerazione del Platina (1464-1465)2 – il codice reca i nomi originari
degli accademici amici del Platina coinvolti nel celebre presunto complotto
contro il pontefice Paolo II (1468), nomi celati in seguito sotto nove rasure e
altrettanti pseudonimi sovrascritti. Per questa ragione è stata privilegiata la
priorità del codice trivulziano rispetto al testo emendato più tardi dall’autore
e di cui si è dovuto comunque tenere conto nell’apparato. Sono note le osser-

* A proposito di: BARTOLOMEO PLATINA, De honesta voluptate et valitudine. Un


trattato sui piaceri della tavola e la buona salute, nuova ed. commentata con testo latino
a fronte a cura di ENRICO CARNEVALE SCHIANCA, Firenze, Olschki, 2015 (Biblioteca
dell’«Archivum Romanicum». Serie I: Storia, Letteratura, Paleografia, 440), pp. 588.
1
PLATINA, On Right Pleasure and Good Health. A Critical Edition and Translation
of De Honesta Voluptate et Valetudine, by MARY ELLA MILHAM, Tempe 1998; cfr.
recensione di M.G. BLASIO, in RR, 1999, pp. 7-28.
2
Concordo con le argomentazioni di B. LAURIOUX, Gastronomie, humanisme et
société à Rome au milieu du XVe siècle. Autour du De honesta voluptate de Platina,
Firenze 2006, pp. 156-170 (cfr. RR, 2007, pp. 207-214).
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28 MARIA GRAZIA BLASIO

vazioni di Platina in una lettera al cardinale Iacopo Ammannati Piccolomini


(databile al 1468) sullo stato ancora fluido della elaborazione e sulla necessità
di pubblicare il libello per ovviare alla sua incontrollata circolazione3. Nella
tradizione censita il codice parigino – Paris, Bibliothèque Nationale, lat.
13003 – si presenta come testimone uscito dalle mani del Platina dopo la scrit-
tura ultimata dall’amico e copista di fiducia Pietro Demetrio Guazzelli. Alla
fine il manoscritto arrivò ai tipografi romani e riconoscibili sono le loro anno-
tazioni sulle carte predisposte per l’edizione a stampa attribuita a Ulrich Han
con incerta datazione (Roma, circa 1473), la prima di una lunga e fortunata
serie in Italia e in Europa.
Il volume offre un’indagine sulle fonti (pp. 47-61) che raggiunge ottimi
esiti e sono apprezzabili le correzioni apportate al testo e all’apparato stabi-
lito dalla Milham che, come s’indicò a suo tempo, era incorsa in alcuni frain-
tendimenti. Il trattato contiene una prima parte dedicata alle regole della
buona salute, alle proprietà degli alimenti e alla dietetica (libb. I-V), infine
la sezione dedicata alle ricette per la preparazione dei cibi (libb. VI-X) sud-
divise per tipologia e corredate da consigli medici, precetti di natura etica,
informazioni lessicografiche e aneddotiche. Il reticolo di fonti greche (di
riporto), latine e volgari implica la Naturalis historia di Plinio, insieme agli
estratti dalla Medicina ex oleribus et pomis di Gargilio Marziale al tempo
considerata una parte della cosiddetta Medicina Plinii, il De re coquinaria di
Apicio e la rielaborazione del contemporaneo e notissimo Libro de arte
coquinaria di Martino de Rubeis da Como cuoco del cardinale Ludovico
Trevisan. La vastità della materia e il taglio letterario consentivano rinvii ad
Ippocrate, Dioscuride, Varrone rustico, Columella, Celso, Apuleio,
Cicerone, Macrobio. In assenza di uno spiraglio sui manoscritti effettiva-
mente consultati da Platina e al netto dei numerosi evidenti errori d’autore,
per il De honesta voluptate et valitudine, come osserva correttamente l’edi-
tore, non è ancora possibile accertare in concreto tutti gli strumenti dell’e-
steso lavoro di compilazione. Senza dubbio a Roma Platina ebbe la possibi-
lità di effettuare un ampio spoglio di fonti antiche, ma si avvalse anche di
repertori tardo-antichi e medievali e della letteratura dei regimina sanitatis,
che la tradizione mostra spesso raccolta in sillogi, fino al contemporaneo
Libellus de conservatione sanitatis di Benedetto Reguardati medico dei duchi
di Milano e ora individuato come possibile fonte. Interessanti sono le osser-
vazioni linguistiche ascritte da Platina ad Apuleio che trovano invece riscon-
tro in Isidoro di Siviglia o negli erbari medievali (p. 59) e possiamo immagi-
nare come spesso queste fonti tarde, esplorate con perizia nell’edizione, fos-
sero state volontariamente sottaciute. I vari gradi e modalità di stesura del
trattatello, necessariamente preceduto da una schedatura e dall’accumulo di
dati mnemonici, sono ricostruibili con difficoltà per lo spessore del materia-
le erudito di per sé soggetto alla stratificazione delle postille, alle interpola-
zioni, a più strutturati commenti.

3
BLASIO, cit., pp. 12-14.
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MACCHERONI SICILIANI IN SALSA LATINA 29

Un caso preso in esame dal curatore evidenzia queste difficoltà nell’e-


splorazione delle fonti (p. 60). Alla pietra posta nel capo (otolite) del pesce
corvo, se messa sotto un anello, viene attribuita la virtù terapeutica di cura-
re le malattie polmonari, affermazione che Platina attribuisce ad un Palladio
(10, 27). Sugli otoliti dei pesci e sulle proprietà terapeutiche sono presenti
varie annotazioni in Plinio (9, 102; 9, 113 et al.), ma non a proposito del
pesce coracinus, trovato soprattutto nel Nilo, e che da altri venne spesso iden-
tificato con il pesce corvo (corvus/corvulus, o coracinus, o gracculus). Sembra
opportuno ricordare come Ermolao Barbaro, a proposito della stessa termi-
nologia pliniana, noterà che nella traduzione del De historia animalium di
Aristotele Teodoro Gaza aveva reso coracinus con gracculus a sua volta iden-
tificato con il corvulus: «Est autem inter pisces gracculus, Theodoro ita cora-
cinum interpretante, quem et corvulum vocari credidit …» (Castigationes
Plinianae 1, 43). Platina non dà spunti per capire quanto fosse a conoscen-
za del problema della nomenclatura ittica e si limita ad un rinvio a Palladio
che non trova riscontro né in Rutilio Tauro Emiliano Palladio (epitomatore
di Columella), né in Palladio Alessandrino commentatore del VI libro di
Ippocrate (De morbis popularibus). In effetti Rutilio Palladio, mai esplicita-
mente citato altrove, parla del pesce corvo (Opus agriculturae 3, 10, 29) solo
come rimedio per i frutti dell’albero di fico attaccato in marzo dalle formi-
che. L’ultima ipotesi che possiamo suggerire è che il Piadenese riferisca l’o-
pinione non di un autore ma di un amico sotto pseudonimo, di quel Palladio
Rutilio già nominato per l’apprezzamento gastronomico della torta d’anguil-
la (8, 51) e ricordato in una lettera anche da Pomponio Leto. Fatto sta che
l’osservazione riferita da Platina entrò nella successiva letteratura fra le sva-
riate virtù terapeutiche attribuite al pesce corvo e alla pietra ‘coracina’ o
‘corvina’.
Giusto il bilancio che «di tutto questo considerevole complesso di fonti
Platina si è servito in maniera piuttosto disorganica … e per di più manipo-
landole affrettatamente e operando talvolta palesi ‘tradimenti’ … » con l’in-
tenzione di accontentare un pubblico ben disposto «a farsi stupire da una
grandinata di curiosità antiquarie» (pp. 60-61), si può capire, ma non con-
dividere, il motivo per il quale il curatore sia indotto ad uscire dall’ambito
della valutazione tecnica per proporre giudizi alquanto ‘sopra le righe’ dis-
seminati nel profilo biografico di quello che, a suo dire, appare come un
«mestierante della penna» (p. 30), mentre la traduzione del ricettario di
maestro Martino è alla fine un «adescante trastullo» (p. 69). Questi com-
menti rischiano di essere fuorvianti e non del tutto giustificabili.
I nessi della cultura culinaria come linguaggio, racconto, identità sono
acquisiti da tempo e mai come oggi godono di una vastissima bibliografia
che consiglia più caute valutazioni anche per il passato4. Che Platina sia un

4
Mi limito a rinviare ai recenti volumi collettanei Storia della lingua e storia della
cucina. Parola e cibo: due linguaggi per la storia della società italiana, Atti del sesto
Convegno ASLI, Associazione per la storia della lingua italiana, Modena 2007, a cura
di C. ROBUSTELLI e G. FROSINI, Firenze 2009; Mangiare: istruzioni per l’uso. Indagini
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30 MARIA GRAZIA BLASIO

poligrafo a volte superficiale non è una novità, ma qui, se non troviamo


ragioni diverse da quelle della semplice approssimazione scientifica, si perde
un pezzo del senso dell’opera. Si stigmatizza quanto era, almeno in parte,
nella stessa consapevolezza dello scrittore che ben sapeva come il libro, non
raffinato dal punto di vista filologico, sarebbe comunque andato ‘in pasto’ a
uomini di finissima formazione letteraria. Le note linguistiche comprese nel-
l’edizione suggeriscono qualche riflessione in proposito. A fronte delle ricet-
te di maestro Martino Platina si trovava spesso ad affrontare termini che,
non avendo corrispondenza in latino, lo inducono ad aggirare il problema:
l’uso di esicium (inseco>isicium>esicium, con una etimologia ben spiegata
dai linguisti sulla scorta di Macrobio [7, 8, 1], è vocabolo usato da Apicio per
indicare gli ingredienti tagliati e mescolati ad impasto) viene esteso da
Platina al significato di ‘piatto’ che prevede un impasto di carne o altro. È il
caso delle numerose ricette a base di pasta la cui traduzione presentava l’o-
stacolo di un alimento sconosciuto all’antichità: nei maccaroni romaneschi di
maestro Martino ovvero esicium romanicum (7, 42), per la ‘pasta’ si ricorre
alla descrizione dell’amalgama di «farina cum aqua» con l’uso di un bastone
(lignus) da panettiere per avvolgerla e con condimenti a base di burro, for-
maggio, spezie, visto che il dono del pomodoro non era ancora disponibile;
i maccaroni siciliani sono esicium siculum (7, 51) e vengono forati con un
ferro, seccati al sole sono cotti in brodo e conditi con «caso grattugiato»
(trito caseo), burro fresco e spezie dolci. Analogamente il termine cibarium,
che gli autori antichi avevano usato soprattutto al plurale, o come aggettivo
per indicare pietanze e ingredienti poveri, viene associato da Platina a un
gran numero di pietanze sia semplici (8, 25: vernacula cibaria) sia elaborate:
minestre, brodi, civieri (umido di carne con spezie, vino, aceto, cipolla). Ad
esempio il cibarium ex silvatica (6, 7) è piatto tutt’altro che povero di sel-
vaggina in salsa con cipolla (civero de salvaticina nelle ricette di maestro
Martino). Cibarium è per Platina «quod vulgo corrupto vocabulo civerum
appellant» e su questa trafila dal latino al volgare egli ha senza dubbio torto
perché assegna a cibarium una falsa corrispondenza. L’accostamento dei ter-
mini non è tuttavia del tutto fantasioso. Seguendo, infatti, la ricostruzione
linguistica di Alessandro Parenti civerium è gallicismo del latino tardo con il
quale si indicavano salse ‘prevalentemente’ con cipolla (ant. fr. civé / mod.
civet) nelle quali cuocere soprattutto la selvaggina (ad esempio la lepre in
civet) e i suoi corrispettivi in italiano sono civero, civrèo, cibrèo5. Quest’ulti-
mo non risalirebbe a una forma latina classica ma da alcuni è stato accosta-

semiotiche, a cura di G. MARRONE e A. GIANNITRAPANI, Roma 2013 (E/C: serie specia-


le della rivista on-line dell’Associazione italiana di studi semiotici). Per una disamina
delle fonti medievali: A. MARTELLOTTI, Linguistica e cucina, Firenze 2012.
5
A. PARENTI, Cibrèo, in Lingua nostra, 71, 1-2 (2010), pp. 4-9. Cibario ha signifi-
cato consolidato in latino e in volgare almeno dal XIII secolo; v. la scheda di S. SARTI in
TLIon - Tradizione della letteratura italiana online (progetto coordinato da C. CIOCIOLA,
Scuola Normale Superiore di Pisa, s.v.), come anche cìvero (v. G. VACCARO, ibid.).
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MACCHERONI SICILIANI IN SALSA LATINA 31

to al basso latino cirbarius < cibarium < cibus. Che Platina abbia confuso
ceparium (termine tardo nel significato di ‘contenente cipolla’)6 con cibarium
(pp. 445-446) si deve escludere. Piuttosto pensiamo che il civieri (civerum)
suoni al Platina termine abbastanza indeterminato per intingolo e, ignoran-
do forse l’esatta etimologia7, abbia provocato «un violento spostamento di
senso»8 latinizzando il termine nel generico cibarium.
Dal punto di vista della ricostruzione delle fonti sulla materia dietetica
e culinaria appaiono evidenti tutte le sfasature del libello che alla fine rispon-
de ad un obiettivo ben diverso. Il trattato di cucina era argomento eccellen-
te per una società che, ricca e in espansione, cercava maestri di cucina e
novità culinarie da imbandire sulle tavole e nelle conversazioni. Platina
dichiara di voler nobilitare un argomento umile attraverso l’uso della lingua
dei dotti, ma è chiaro come egli lo intenda coeso ad una metafora dichiara-
tamente sociale e spiegata senza reticenze nella dedica, nell’epilogo e negli
interstizi del testo. Il quadro accompagnava l’interesse di orientare l’opinio-
ne dei possibili lettori sul gruppo dei letterati romani. Si trattava di giocare
e ‘inventare’ cum sale et aceto e in buon latino sulla moderazione dello stile
di vita della sodalitas raccolta intorno a Pomponio Leto. Platina stende anzi
una vera e propria trama antagonistica verso quella società del lusso che era
parte della società curiale ostile agli accademici e ai loro mecenati nel
momento in cui si aveva già sentore di quanto sarebbe accaduto poi con la
frattura politica del 1468.
La questione cardine della honesta voluptas soggiace nel commento del-
l’editore all’impostazione di fondo e la vivacissima discussione quattrocente-
sca resta solo nelle retrovie. Carnevale Schianca ricorda giustamente il possi-
bile aggancio con un luogo controverso di Ovidio («Nec liber indicium est
animi, sed honesta uoluntas, | plurima mulcendis auribus apta ferens»: Tristia
2, 357-58), segnalando la lezione voluptas preferita da alcuni moderni editori
e commentatori (Rudolf Merkel e Sidney Owen). Il riferimento ovidiano rima-
ne assai vicino allo spirito del Piadenese, ma è superfluo sottolineare come dif-
fusissimo sia lo scambio (voluptas/voluntas) nella trascrizione dei testi, come
già ricordava Dante – «…quelli disse questo nostro fine essere voluptade (non
dico ‘voluntade’, ma scrivola per P) cioè diletto sanza dolore»: Convivio IV vi,
11 – e, in mancanza di riscontri sul testo disponibile al Platina, la variante della
tradizione ovidiana dovrebbe essere misurata nel vasto mare della produzione
quattrocentesca. L’editore cita (p. 33) anche l’avversa posizione di Seneca (De
vita beata 7,1) sulla possibilità di coniugare i due termini di voluptas e hone-

6
Lexicon Latinitatis Nederlandicae Medii Aevi, composuerunt J.W. FUCHS, O.
WEIJERS … [et al.], fasc. 9, Leiden 1978, col. 317.
7
In ambito romanzo segnalo che un altro termine francese poteva generare con-
fusione: la civière (barella) è veicolo che serviva anche al trasporto delle provviste e col-
legato in linea metonimica a cibaria. Ho consultato il portale online del CNRTL. Centre
National de Ressources Textuelles et Lexicales, s.v. civière.
8
P. FARENGA, Due ricette per un banchetto a Roma, in RR, 2006, pp. 65-73: 72.
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32 MARIA GRAZIA BLASIO

stas, osservazione con la quale per la verità Seneca parafrasava un notissimo


luogo del De officiis ciceroniano (3, 119-120). Il filosofo spagnolo, ricordato
da Platina fra le auctoritates insieme ad altre grandi voci della latinità, è fra gli
autori più decisamente impiegati dall’umanista per sostenere un’operazione
divulgativa e provocatoria. Nella dedica al cardinale Bartolomeo Roverella,
Platina rivendica alla cultura della sodalitas romana la fruizione del pensiero di
Epicuro riscoperto sulla scorta delle opere di Lucrezio, di Cicerone, di Seneca,
di Diogene Laerzio. Il principio della honesta voluptas marca con l’inusuale
iunctura il fatto di non essere espressione di un piacere genericamente ‘virtuo-
so’, bensì proprio di quel piacere guidato dalla temperanza e insieme da un’af-
ferenza piena alla vita, questione che sta al centro dell’infinito dibattito uma-
nistico con accenti diversi. Il significato della valitudo fondata nel vivere secon-
do natura e misura dava fondamento alla polemica contro le mense dei ricchi
sovraccariche di cibi raffinati, vizio di cui gli stessi accademici erano accusati
ma qui addebitato in primo luogo al lusso della società curiale ecclesiastica.
L’autorità di Cicerone e di Seneca – facilmente reclamati nella polemica con-
tro la voluptas epicurea – viene spostata da Platina sulla valorizzazione del
pensiero di Epicuro allontanato dalla schiera dei suoi cattivi seguaci.
All’altezza del De honesta voluptate et valitudine e della corrispondenza fra gli
accademici incarcerati in Castel Sant’Angelo sotto l’accusa prima di complot-
to contro il pontefice, poi di epicureismo e di paganesimo, Platina aveva già
avvicinato, nelle sue prove letterarie, la tradizione che da Petrarca a Lorenzo
Valla aveva raccolto e affrontato la plurisecolare disamina sul piacere come
elemento inscindibile dalla vita attiva. La distinzione fra un ‘buon’ piacere e la
moltitudine dei piaceri si colora della metafora alimentare e la honesta volup-
tas appare sinonimo, con significato volutamente pregnante, dello stato di
equilibrio espresso dalla iucunditas, termine non equivoco come voluptas e che
rappresenta la congiunzione della letizia dell’animo con il benessere corporeo
ancora per la falsariga ciceroniana (fin. 2, 13) e le molteplici osservazioni leg-
gibili in Seneca. Al centro di questa operazione, distesa dall’umanista lungo
vari scritti, stanno gli uomini di lettere e a questi si rivendica un ruolo di primo
piano nella contemporaneità della vita civile, una posizione che, nei fatti, li col-
locava a ridosso della potente macchina amministrativa curiale e che per que-
sto, nella Roma del secondo Quattrocento, restava difficile ambizione.
Il De honesta voluptate et valitudine circolò prima del 1468 e portò cer-
tamente acqua ai detrattori dell’accademia romana che attraverso i letterati
tentavano di colpire i loro mentori. Su questo le testimonianze comprese nel
volume, sia pure note e discusse da tempo, definiscono il quadro d’ambien-
te con molta vivacità. Dopo il 1469, a tempesta conclusa, il successo del libro
fu decretato. Lo straordinario interesse editoriale e le traduzioni nelle prin-
cipali lingue volgari assicurò quella fortuna per la quale buona parte della
letteratura erudita, fra Quattro e Cinquecento, tenne in conto il trattato che
Platina aveva considerato degno tanto delle cucine quanto della tavola dei
letterati. La lettura di quest’ultima edizione italiana gli dà di nuovo ragione.

MARIA GRAZIA BLASIO

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