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M
OR
art. 17, c. 2 l. 633/1941). esente da iva (dpr 26.10.1972, n. 633, art. 2, lett. d).
TA
esente da documento di trasporto (dpr 26.10.1972, n. 633, art. 74).
RINO
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In copertina: Presunto ritratto di Cicerone, dal gruppo di Cartoceto da Pergola. Ancona, Museo Nazionale. © 2010. Foto Scala,Firenze - su concessione Ministero Beni e Attività Culturali.
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PT
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LOCI SCRIPTORUM
UM
Loci scriptorum: un’antologia modulare che, grazie a volumi monografici dedicati ai singoli autori
della letteratura latina, permette di gestire con grande flessibilità la programmazione didattica.
Cicerone
Le opere Verrine, Pro Archia, Catilinarie, Pro Caelio, Pro Sestio, De oratore,
Tusculanae disputationes, Somnium Scipionis, Laelius de amicitia,
Epistolario
I percorsi antologici Cicerone oratore: L’arte e la cultura nelle orazioni di Cicerone; Le Catilinarie;
La politica in tribunale.
Cicerone filosofo: L’humanitas di Cicerone: la forza della parola e quella
della filosofia; Il De republica e il Somnium Scipionis; Il Laelius de amicitia.
L’epistolario: un percorso tra il politico e il privato
Le schede La parti di un’orazione, Il Foro romano, La terminologia della retorica,
Loci Scriptorum
Optimates e populares, Il Circolo degli Scipioni, Cicerone e l’amicizia,
La posta nella Roma antica, Lo stile epistolare
Il lessico Le parole della cultura, Le parole della politica, Le parole della vita sociale,
Le parole dell’amicizia, Le parole della scrittura epistolare,
Le determinazioni temporali
Figure, temi, motivi Catilina in Cicerone e in Sallustio
Tito Pomponio Attico, raffinato intellettuale
Oltre Cicerone Brunetto Latini e Leonardo Bruni traduttori di Cicerone
Cicerone, mediatore «tra la city e il Senato»: un’acuta creazione di Bertolt
Brecht
Petrarca, Leopardi e la riscoperta delle opere di Cicerone
Con Gadda, Cicerone diventa «scior avocatt»
I Laboratori verifiche dei percorsi
lavoro sul testo latino e traduzione italiana
brani di versione dal latino e guida all’analisi
Cicerone
C icerone è indicato per il III e il IV anno del liceo classico e il V anno
del liceo scientifico.
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MORTARINO, REALI, TURAZZA
LOCI SCRIPTORUM
Cicerone
Marzia Mortarino, Mauro Reali, Gisella Turazza
Loci scriptorum
Antologia modulare di autori latini
Cicerone
A cura di Mauro Reali e Gisella Turazza
LOESCHER EDITORE
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Loescher Editore - Vietata la vendita e la diffusione
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Loescher Editore - Vietata la vendita e la diffusione
grazie al suo atteggiamento equilibrato, sempre attento a non proporsi quale esponente di
una singola fazione, ma come elemento di coesione di diverse forze politiche e sociali. Già nel
66 a.C., nell’orazione Pro Cluentio, aveva infatti alluso alla concordia ordinum come necessario
progetto politico consistente nella convergenza tra gli esponenti dell’aristocrazia senatoria
e la parte migliore del ceto equestre. Progetto che l’Arpinate mantenne e andò anzi comple-
tando giungendo a concepire il consensus omnium bonorum (concetto esplicitato nella Pro Se-
stio del 56 a.C.), cioè un’alleanza «trasversale» tra i viri boni (cioè gli «uomini perbene») di
ogni livello sociale, cui premeva anzitutto la difesa del mos maiorum e la conservazione delle
vigenti istituzioni repubblicane, in contrapposizione con i populares che cercavano invece di
«cavalcare» il malcontento dei ceti inferiori (D Optimates e populares, p. 52).
Dal 57 al 46 a.C.: il ritorno a Roma e gli anni difficili della guerra civile
Cicerone tornò dall’esilio nel 57 a.C., per intercessione di Pompeo; ma emarginato dalla vita
pubblica si diede soprattutto all’attività forense e a quella letteraria. Sono infatti del 56 a.C.
le orazioni Pro Sestio e Pro Caelio, con profonde implicazioni politiche, dove Cicerone difese
con successo due amici da accuse, rispettivamente, del «nemico» Clodio e della di lui fami-
gerata sorella Clodia (quella Clodia che Catullo cantò con
il nome di Lesbia e che Cicerone dipinse invece come una
prostituta, allo scopo di gettare fango sull’azione politica
del fratello D TESTO 1.8). Importante è l’appello al consen-
sus omnium bonorum contenuto nella Pro Sestio, con il
quale Cicerone invita ancora una volta tutti i moderati ad
allearsi per difendere lo Stato (D TESTO 1.9). È invece del
52 a.C. l’insuccesso nella difesa di Milone (Pro Milone)
dall’accusa di avere ucciso lo stesso Clodio, durante un
processo che si tenne in un clima di violenze e intimida-
zioni. In questi anni compose anche un’importante opera
retorica, il De oratore (55-54 a.C.), e il celeberrimo De repu-
blica (55-51 a.C.), di taglio politico-filosofico. La successiva
guerra civile tra Cesare e Pompeo lo vide parteggiare per
quest’ultimo, anche se in un primo tempo cercò di man-
tenere un’impossibile neutralità. In Pompeo egli vedeva
Profilo del volto della cosiddetta statua di Pompeo, i secolo d.C. (Roma, Palazzo
Spada).
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Cicerone oratore
Cicerone è divenuto, nell’immaginario collettivo, il modello supremo di oratore. In effetti
egli praticò la professione di avvocato (in un momento storico in cui i processi giudiziari
avevano notevoli risvolti politici, e viceversa), ma non mancò di scrivere opere teoriche
sull’oratoria nelle quali seppe mescolare gli esiti della sua esperienza pratica con la solida
formazione culturale e filosofica. Non bisogna però dimenticare che i discorsi che oggi
leggiamo sono il frutto di un’accurata revisione dell’autore, che li volle pubblicare per
guadagnarsi prestigio presso i contemporanei e i posteri.
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tribuno), descritta sprezzantemente come una prostituta dedita ad amori incestuosi con il
fratello (D TESTO 1.8). In entrambi i discorsi troviamo dunque un livello etico-politico che
va al di là della mera dimensione processuale.
Nell’orazione in difesa di Tito Annio Milone (52 a.C.), accusato di avere ucciso proprio
l’odiato Clodio, Cicerone insiste sul concetto di legittima difesa, giustificando moralmen-
te quell’omicidio politico. Le violenze dei clodiani e le pressioni delle milizie di Pompeo,
che sconvolsero Roma durante il processo, condizionarono non poco l’oratore, che intimo-
rito pronunziò un discorso assai meno incisivo di quello che noi leggiamo oggi, frutto di
una successiva rielaborazione a tavolino.
Letteratura
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Tutt’altro che moderato, invece, è il tono che egli usa nelle sue celebri invettive contro Mar-
co Antonio, chiamate dallo stesso Cicerone Philippicae, sul modello dei discorsi del greco De-
mostene contro Filippo re di Macedonia (iv sec. a.C.). Dopo l’assassinio di Cesare, Antonio
mirava ad assumerne l’eredità politica, mentre l’oratore sperava che il giovane Ottaviano
avrebbe ascoltato i suoi consigli svincolandosi da Antonio e avvicinandosi al partito senato-
rio. Le Philippicae, 14 discorsi scritti tra il 44 e il 43 a.C., rappresentano dunque l’ultima bat-
taglia politica combattuta dall’Arpinate. Il cosiddetto «secondo triumvirato» (43 a.C.), nato
dall’accordo tra Ottaviano, Antonio e Lepido, ne sancì la sconfitta e pose le condizioni per
il suo assassinio.
Le opere retoriche
Tra le opere retoriche, maggiore successo hanno ottenu-
to il De oratore, il Brutus e l’Orator. Per le prime due Ci-
cerone si rifà al genere letterario del dialogo, mentre la
terza è in forma di trattato.
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si danno sintetiche notizie) per giungere a Roma e alle figure del grande Ortensio Ortalo
e di Cicerone stesso, che gli strappò il primato nel Foro. Nel rappresentare se stesso come
il culmine di una secolare esperienza oratoria, Cicerone sembra sancire amaramente il
termine di una lunga stagione di libertà espressiva.
Nell’Orator (46 a.C.) vengono ripresi i problemi dell’elocutio, già trattati nel III libro del
De oratore. Cicerone vi formula la teoria dei tre stili (esile o tenue, medio o temperato,
elevato o sublime) che il perfetto oratore deve sapere di volta in volta usare a seconda
dell’argomento trattato, del pubblico a cui si rivolge e del contesto nel quale pronuncia
l’orazione. Chi parla in pubblico, infatti, deve essere in grado di probare o fidem facere, cioè
di persuadere rigorosamente il suo uditorio, di delectare, cioè di dilettarlo, e di flectere o
animum movere, cioè di toccarne le corde emotive: ciò che avviene anche nelle diverse parti
di una stessa orazione. Completa l’opera una trattazione relativa al numerus, cioè il ritmo
della prosa, soprattutto al termine della frase (clausolae).
La retorica ciceroniana
Come si vedrà anche per i dialoghi filosofici, Cicerone non concepì le sue opere retoriche
come parti di un sistema organico: più che un modello astratto, proponeva soluzioni teori-
che ad alcune delle domande che egli stesso si poneva nella pratica quotidiana. Se proprio
si vuole individuare tra le righe delle sue opere un tipo di oratore che, se non perfetto, è
comunque imitabile, si vedrà dunque come questo assomigli molto allo stesso Cicerone.
Le opere politico-filosofiche
Tra il 54 e il 51 a.C. Cicerone scrisse le sue più importanti opere di natura politico-filoso-
fica, il De republica e il De legibus. Non si era ancora giunti allo scontro frontale tra Cesare
e Pompeo e all’instaurazione della dittatura cesariana, e c’era dunque la speranza che la
res publica potesse reggere e con essa le sue istituzioni, tra i prodotti più alti della storia
dell’umanità, come Cicerone cerca di dimostrare associando la speculazione filosofica (di
tradizione platonica, aristotelica e stoica) all’uso di esempi concreti.
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Il De legibus
Sul modello di Platone, Cicerone scrisse nel 52-51 a.C. il dialogo De legibus (di cui si leggo-
no tre libri) a completamento del De republica, dove l’autore stesso dialoga con il fratello
Quinto e l’amico Attico. Secondo la tradizione stoica, a cui Cicerone si richiama, le leggi
sono una delle espressioni della provvidenza che regola l’universo, e non una conven-
zione come per gli epicurei. Come nel De republica, si tende a mostrare lo Stato romano
come l’exemplum più alto di quanto è stato in precedenza dibattuto a livello teorico.
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Cultura e metodo
La cultura filosofica di Cicerone è vastissima e si basa anzitutto su una buona conoscenza
della filosofia di Platone e di Aristotele. L’influsso che Platone ebbe su di lui è evidente
nel titolo di alcune sue opere (De republica, De legibus) che si ispirano al filosofo greco,
come pure dalla sua traduzione del Timeo e dal suo accostamento (nel Somnium Scipionis,
ma anche nelle successive Tusculanae disputationes) alle teorie platoniche dell’immortalità
dell’anima. Difficile quantificare inoltre il debito che, come buona parte della cultura filo-
sofica d’età ellenistica e greco-romana, egli ebbe nei confronti di Aristotele, e in particolare
della dialettica e dell’etica aristoteliche.
Per quanto concerne le cosiddette «filosofie ellenistiche» (stoicismo, epicureismo, scettici-
smo), Cicerone avversò sempre tanto il disimpegno sociale e il materialismo degli epicurei
quanto il rigorismo della scuola stoica più antica, per simpatizzare invece per lo stoicismo
moderato (basato sulle teorie di Posidonio e di Panezio). Si è dunque soliti affermare che
Cicerone sia un eclettico, costruisca cioè la sua filosofia con idee variamente tratte da diverse
scuole filosofiche. Non mancano, in ogni caso, autorevoli legittimazioni teoriche al suo atteg-
giamento. L’Accademia platonica era da tempo stata pervasa da correnti scettiche e proba-
bilistiche, e dall’ex scolarca Filone di Larissa, del quale Cicerone fu discepolo a Roma nell’88
a.C., e apprese la legittimità di accostarsi alle opinioni volta per volta ritenute più utili.
Va inoltre ricordato come Cicerone abbia udito nell’80-79 a.C. le lezioni di Antioco di
Ascalona, anch’egli scolarca dell’Accademia, il quale aveva cercato una sintesi fra le tradi-
zioni socratico-platonica, aristotelica e stoica.
Non mancano, tuttavia, momenti di più o meno velata polemica proprio nei confronti
della stessa filosofia greca che egli stava divulgando: se ne può trovare traccia nell’inci-
pit delle Tusculanae disputationes, dove al primato culturale greco Cicerone oppone quello
socio-politico ed etico romano. La filosofia, dunque, è un complemento del mos maiorum,
che deve restare il riferimento di ogni buon romano: gli argomenti delle opere ciceroniane
(di natura etica o teologica, con frequenti implicazioni politiche) sono il tentativo di co-
struire un fondamento teorico più solido per i valori della civitas e per i mores. Davanti ai
singoli problemi (la conoscenza, il bene, il male, la morte, la vecchiaia, l’amicizia, la natura
degli dèi ecc.) la filosofia non offre soluzioni, ma solo proposte (spesso differenti da parte
delle diverse scuole filosofiche), che debbono essere discusse, mediate dalla tradizione
patria, se necessario respinte, e solo alla fine di questo iter applicate pragmaticamente.
Questa mediazione tra la filosofia greca e la cultura romana, forse l’eredità più impor-
tante di Cicerone, andò a innestarsi sull’operazione culturale già iniziata dal Circolo degli
Scipioni (D Il Circolo degli Scipioni, p. 84), nell’ambito del quale era sorto e si era svilup-
pato il concetto di humanitas; concetto che con Cicerone, pure in assenza di una rigorosa
sistemazione dottrinale, andò meglio definendosi e concretizzandosi.
La struttura dialogica
Se nelle opere ciceroniane confluiscono idee filosofiche diverse, per di più messe in relazio-
ne con i valori del mos maiorum, si comprende come il dialogo sia la forma letteraria di gran
lunga più adatta, poiché si presta a dar voce a differenti opinioni. In effetti, già le opere di
contenuto politico (De republica, De legibus) avevano struttura dialogica, e tale genere lette-
rario era stato adottato da Cicerone anche per esporre le sue idee sulla retorica (ad esempio
nel De oratore e nel Brutus). Tanto più, dunque, il dialogo si confaceva alla dialettica della
filosofia, e in certe opere (ad esempio nel De finibus o nel De natura deorum) assistiamo a un
vero e proprio catalogo di idee di varia estrazione filosofica, che al termine sono appro-
vate o respinte da un personaggio con funzione di portavoce dell’autore stesso. Il modello
è chiaramente il dialogo socratico-platonico, dal quale Cicerone riprende il gusto per la
descrizione della cornice del dibattito, spesso immaginato, come nel Laelius, nella Roma del
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Il Cato Maior de senectute è un brevissimo dialogo ambientato nel 150 a.C. e dedicato ad
Attico, nel quale l’ottantaquattrenne Catone il Censore, discutendo con Scipione Emilia-
no e Gaio Lelio, elogia la vecchiaia, fra tutte l’età più adatta allo svolgimento dell’attività
politica. Attraverso la figura del vecchio Catone, Cicerone allude forse anche a se stesso, e
vagheggia una Roma d’altri tempi, lontana dalle bassezze del presente.
Il Laelius de amicitia, anch’esso dedicato ad Attico, è un dialogo ambientato nel 129 a.C.
tra Gaio Lelio – l’amico per eccellenza di Scipione Emiliano, morto da poco – e i generi
Fannio e Scevola (D TESTO 2.8). L’amicitia è un legame dalle profonde implicazioni etiche,
poiché si basa sulla virtù e sul rispetto della fides (D TESTO 2.11); anzi: la vera amicizia
accomuna sia il piano personale sia quello politico, ed è possibile solo tra i boni, cioè «gli
uomini per bene» (D TESTO 2.10).
Il De officiis, trattato in tre libri dedicato al figlio Marco, è un’opera dalle finalità squisi-
tamente pedagogiche rivolta alle giovani generazioni romane. I primi due libri, che hanno
come fonte un’opera perduta di Panezio di Rodi, trattano rispettivamente del concetto di
honestum (cioè di «bene morale », da cui scaturiscono gli officia, i «doveri») e di utile (cioè
di «utilità, convenienza»); concetti, come Cicerone spiega nel III libro, che se correttamente
interpretati sono non contradditori, ma coincidenti.
Nel I libro Cicerone illustra anche l’importantissimo concetto di decorum, ovvero di ciò
che è moralmente ma anche esteticamente conveniente a ciascuno. Si allarga dunque il
concetto di officium: anche chi non svolge attività politica, nell’ambito delle proprie scelte
di vita, ha precisi obblighi comportamentali nei confronti della collettività: in questo modo
Cicerone mirava ad assumere un ruolo di guida etico-politica dell’élite romana.
L’epistolario
Di Cicerone si è conservato un ricco epistolario; si tratta di circa 900 lettere, la maggior
parte scritte da Cicerone ad amici e parenti e le restanti (90) di risposta di questi (lo stesso
Cicerone aveva espresso l’intenzione di selezionare e di pubblicare alcune lettere del suo
epistolario). Le epistole ci sono giunte suddivise in quattro raccolte:
16 libri di Epistulae ad familiares, scritte a parenti e amici (tra cui uomini politici come
Pompeo e Cesare) dal 62 al 43 a.C. (D TESTI 3.2; 3.4-5);
16 libri di Epistulae ad Atticum, scritte all’amico Attico dal 68 al 44 a.C. (D TESTI 3.1; 3.3; 3.6);
3 libri di Epistulae ad Quintum fratrem, scritte al fratello Quinto dal 60 al 54 a.C.;
2 libri di Epistulae ad Marcum Brutum, con 26 lettere, 15 delle quali scritte nel 43 a M. Giu-
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Lo stile e la lingua
Uno stile magistrale
Già nel i secolo d.C. Quintiliano considerava Cicerone il modello della prosa latina: e tale
fu considerato per larga parte della latinità antica e umanistico-rinascimentale.
La caratteristica saliente dello stile di Cicerone è la cosiddetta concinnitas, cioè «armonia,
equilibrio, simmetria». Il suo periodare è tanto complesso quanto armonioso, caratterizzato
dall’uso di parallelismi (et ... et, tum ... cum, non solum ... sed etiam, neque ... neque), antitesi (non
... sed), anafore, climax e figure di suono come l’omoteleuto, inseriti nel contesto di una rigo-
rosa architettura logica che privilegia, in linea di massima, l’ipotassi rispetto alla paratassi.
Non secondario, in questa ricerca dell’armonia, l’uso del numerus («ritmo»), cioè di mirate
alternanze di sillabe brevi e lunghe per conferire alla prosa un ritmo che la avvicina alla
poesia, in particolare nella parte finale della frase (clausola), come Cicerone stesso ricorda
ripetutamente nell’Orator. Gli esempi più significativi provengono dalle orazioni, dove si
riscontrano espressioni come patiëntîä nösträ (cretico + trocheo o spondeo, in Catilinaria 1,1
D TESTO 1.4) o il frequente ëssê vîdêätûr.
Un’oratoria duttile
Come detto, Cicerone accolse la lezione della scuola cosiddetta rodia di Apollonio Mo-
lone, fautore di un asianesimo moderato e di un costante adattamento all’aptum (cioè,
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diremmo noi, al contingente), secondo cui l’oratore deve sapere docere, delectare, flectere,
cioè toccare varie corde del proprio uditorio, razionali ed emozionali. Si alternano, nel-
le sue diverse orazioni, raffinata dottrina giuridica, considerazioni politiche (ad esempio
nella Pro Sestio 96-99 D TESTO 1.9), excursus di taglio culturale (come quello della Pro Archia
D TESTO 1.2), ritratti pieni di sprezzante sarcasmo (vedi il ritratto di Clodia nella Pro Caelio
49-50 D TESTO 1.8), toni patetici (come in larga parte della prima Catilinaria D TESTI 1.4-7).
Si può dunque affermare che Cicerone, sul modello del greco Demostene, faccia ricorso
a tutti e tre quei genera dicendi (cioè registri stilistici) di cui egli stesso parla nell’Orator,
e cioè l’esile o tenue (prevalente nella narratio e nell’argumentatio), medio o temperato (ti-
pico dell’exordium – quello veemente delle Catilinarie rappresenta un’eccezione), elevato o
sublime (proprio della peroratio).
Parte integrante di questa varietà stilistica è il sapiente uso di una lingua sempre aderen-
te alla circostanza, con scelte lessicali talora molto incisive. Sempre impeccabile la termi-
nologia giuridica e politico-sociale: espressioni come concordia ordinum, consensus omnium
bonorum, viri boni hanno addirittura assunto valore paradigmatico. La lingua predilige tal-
volta un registro più basso, con espressioni anche volgari o offensive (D TESTO 1.8), oppure
si avvale di un’immaginosa terminologia metaforica: ne sono un esempio i termini legati
alla sfera semantica della malattia e della contaminazione, con i quali Cicerone allude a
Catilina e a suoi congiurati (D TESTO 1.7).
La peculiarità dell’epistolario
Per quanto riguarda l’epistolario, lo stile utilizzato è diverso da quello delle orazioni e del-
le opere filosofiche: si tratta infatti della lingua parlata dai Romani colti appartenenti ai
ceti sociali elevati, che assume un registro più decisamente formale solo in alcune lettere
di contenuto politico e natura ufficiale. Nel periodare prevale un andamento paratattico,
talora ellittico, con anacoluti e interiezioni; compaiono molte espressioni proprie del lin-
guaggio quotidiano, oltre ai formulari tipici della comunicazione epistolare (D Lo stile
epistolare, p. 114). La lingua si caratterizza per la presenza di parecchi diminutivi, spesso
affettuosi (come il frequente Tulliola D TESTO 3.2).
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Indicazioni bibliografiche
Edizioni e traduzioni
Edizioni critiche: le opere di Cicerone sono state edite Vita e passione di un intellettuale, Milano, Carocci, 2005;
in tutte le maggiori collezioni di classici, sia italiane E. Narducci, Cicerone. La parola e la politica, Roma-Bari,
sia straniere. Si segnalano in particolare, per quanto Laterza, 2009; E. Narducci, Introduzione a Cicerone, Ro-
riguarda gli editori italiani, il Corpus Paravianum e l’edi- ma-Bari, Laterza, 2009². Studi sul pensiero politico: E.
zione promossa dal Centro Studi Ciceroniani di Roma Lepore, Il princeps ciceroniano e gli ideali politici della tarda
per l’editore Arnoldo Mondadori, della quale sono già repubblica, Napoli, Istituto Italiano di Studi Storici, 1954;
stati pubblicati numerosi volumi. Per quanto concerne E. Narducci, Modelli etici e società: un’idea di Cicerone,
gli editori stranieri ricordiamo: Bibliotheca Teubneria- Pisa, Giardini, 1989; L. Perelli, Il pensiero politico di Cice-
na, Oxford Classical Texts, Loeb Classical Library, Col- rone. Tra filosofia greca e ideologia aristocratica romana, Fi-
lection des Universités de France (Les Belles Lettres). renze, La Nuova Italia, 1990; N. Wood, Cicero’s social and
Traduzioni: Edizione con testo e traduzione italiana political thought, University of California Press, Berke-
nella collana Classici Latini, Torino, UTET: G. Bellardi, ley, 1988; J. Spielvogel, Amicitia und res publica. Ciceros
Orazioni, 1975-81; G. Norcio, Opere retoriche, 19762; L. Maxime während der innenpolitischen Auseinandersetzun-
Ferrero, N. Zorzetti, Lo Stato, Le leggi, I doveri, 19852; N. gen der Jähre 59-50 v. Chr., Stoccarda, Franz Steiner Ver-
Marinone, I termini estremi del bene e del male, Discussioni lag, 1993. Studi sulle orazioni e l’oratoria: A. Michel,
Tusculane, 19802; C. Di Spigno, Epistole ad Attico, 1998; C. Rhétorique et philosophie chez Cicéron, Parigi, PUF, 1960;
Di Spigno, Epistole al fratello Quinto e altri epistolari mino- A. D. Leeman, Orationis ratio. Teoria e pratica stilistica de-
ri, 2002. Testo e traduzione italiana anche nelle edizioni gli oratori, storici e filosofi latini, Bologna, il Mulino, 1963;
tascabili, talora con ottime introduzioni e annotazioni: F. Bona, Cicerone tra diritto e oratoria. Saggi su retorica e
nella collana BUR, Milano, Rizzoli: L. Storoni Mazzola- giurisprudenza nella tarda repubblica, Como, New Press,
ni, Le Catilinarie, 1979; R. Scarcia, Lettere, 1981; N. Ma- 1984; E. Narducci, Pratiche letterarie e crisi della società.
rinone, L. Fiocchi, D. Vottero, Il processo a Verre, 1992; Oratoria, storiografia e filosofia nell’ultimo secolo della Re-
E. Narducci, La vecchiezza, 1983; E. Narducci, L’amicizia, pubblica, in AA.VV., Storia di Roma, II, Torino, Einaudi,
1985; E. Narducci, I doveri, 1987; E. Narducci, Il poeta 1990, pp. 885-921; E. Narducci, Cicerone e l’eloquenza ro-
Archia, 1992; E. Narducci, Dell’oratore, 1994; E. Narduc- mana, Roma-Bari, Laterza, 1997; C. J. Classen, Diritto,
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duzione nella collana Grandi Libri Garzanti, Milano: S. il Mulino, 1998. Studi sulla cultura filosofica: G. D’An-
Timpanaro, Della divinazione, 19984; N. Marini, G. Petro- na, Alcuni aspetti della polemica antiepicurea di Cicerone,
ne, La vecchiaia, L’amicizia, 1990; A. Burlando, M. Scarsi, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1965; M. Bellincioni, Strut-
Difesa di Archia, Difesa di Milone, 1993; A. Barbarino, Il tura e pensiero del Laelius ciceroniano, Brescia, Paideia,
sogno di Scipione, Il fato, 1995. Testo e traduzione nella 1970; M. Pohlenz, L’ideale di vita attiva secondo Panezio
collana universitaria Marsilio, Venezia: A. Caverzere, In nel De officiis di Cicerone, Brescia, Paideia, 1970; G. Lo-
difesa di Marco Celio, 1990; P. Fedeli, La difesa di Milone, tito, Modelli etici e base economica nelle opere filosofiche di
1990; F. Stok, Il sogno di Scipione, 1993. Testo e traduzio- Cicerone, in A. Giardina, A. Schiavone (a cura di), Società
ne nei Classici Bompiani, Milano: D. Demolli, Il sommo romana e produzione schiavistica, III, Roma-Bari, Laterza,
bene e il sommo male, 1992; D. Demolli, Le Tusculane, 1981, pp. 79-126; F. Stok (a cura di), Cicerone. Il sogno di
1993. Testo e traduzione in C. Vitali, Lettere ai familiari, Scipione, Venezia, Marsilio, 1993; F. Pagnotta, Cicerone
Bologna, Zanichelli, 1973. e l’ideale dell’aequabilitas. L’eredità di un antico concetto
filosofico, Cesena, Stilgraf, 2007. Studi sull’epistolario:
Studi G. Boissier, Cicerone e i suoi amici, Milano, Rizzoli, 1988;
La quantità di studi dedicati alla figura di Cicerone e J. Carcopino, Les secrets de la correspondance de Cicéron,
alle sue opere rende qualunque selezione estremamente Parigi, L’artisan du livre, 19579; F. Trisoglio, La lettera
difficile: ci limitiamo a segnalarne alcuni che uniscono ciceroniana come specchio d’umanità, Torino, Giappichel-
la rilevanza scientifica alla data di pubblicazione rela- li, 1985; P. Cugusi, L’epistolografia. Modelli e tipologie di
tivamente recente e alla facile reperibilità. Studi com- comunicazione, in AA.VV., Lo spazio letterario nel mondo
plessivi su Cicerone: K. Kumaniecki, Cicerone e la crisi romano, II, Roma, Salerno Editrice, 1989, pp. 379-419;
della repubblica romana, Roma, Centro Studi Ciceroniani, S. Citroni Marchetti, Volontà degli amici ed esercizio del
1972; S. L. Utcenko, Cicerone e il suo tempo, Roma, Edi- potere in Cicerone, in «Materiali e discussioni per l’ana-
tori Riuniti, 1975; P. Grimal, Cicerone, Milano, Garzanti, lisi dei testi classici», XLII, 1999, pp. 65-94; S. Citroni
1987; E. Narducci, Introduzione a Cicerone, Roma-Bari, Marchetti, Amicizia e potere nelle lettere di Cicerone e nelle
Laterza, 1992; A. Grilli, Cicerone, in E. V. Maltese, I. elegie ovidiane dell’esilio, Firenze, Università degli Studi,
Lana (a cura di), Storia della civiltà letteraria greca e latina, Dipartimento di Scienze dell’Antichità, Collezione Stu-
II, Torino, UTET, 1998, pp. 507-38; A. Everitt, Cicerone. di e Testi, 2000.
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La freccia (➔) segnala la presenza di uno o più brani di un’opera nei Percorsi antologici.
Orazioni
Nell’elenco che segue, pro processo); 56-52 a.C.: orazioni in difesa di personaggi le-
indica in linea di massima gati ai triumviri, come la Pro Balbo (56), la Pro Vatinio (54),
un’arringa in difesa di qual- la Pro Gabinio (54), la Pro Rabirio Postumo (52), oppure in
cuno, in un’accusa, de una difesa di magistrati colpiti da accuse di brogli o latrocini,
presa di posizione su un come la Pro Plancio (54) e la Pro Scauro (54); 52 a.C.:
provvedimento legislativo. Pro Milone (difesa – nell’aprile 52 – di Milone, accusato di
avere concorso alle violenze che provocarono la morte di
Cause civili e penali Clodio; l’esito del processo fu sfavorevole); 46-45 a.C.: Pro
81 a.C.: Pro Quinctio (dife- Marcello, Pro Ligario, Pro rege Deiotaro (sono le cosiddet-
sa, dall’esito probabilmente te «orazioni cesariane», nelle quali Cicerone – con tono
favorevole, in una causa tra l’adulatorio e il conciliatorio verso il dictator – perora
civile); 80 a.C.: Pro Sexto la causa di pompeiani in esilio; la Pro Marcello è in realtà
Roscio Amerino (➔) (difesa un’orazione «politica» o «deliberativa»).
dall’accusa di parricidio in-
tentata al suo cliente, che Orazioni legate all’attività politica
sarà assolto, da Crisogono, 66 a.C.: Pro lege Manilia vel de imperio Cn. Pompei (di-
potente liberto di Silla); 70 a.C.: le cosiddette Verrine, cioè scorso in cui Cicerone chiede al popolo poteri straordinari
la Divinatio in Quintum Caecilium (20 gennaio 70), la Ac- per Pompeo nella guerra contro Mitridate); 63 a.C.: De
tio I in Verrem (5 agosto 70) e la Actio II in Verrem (➔) lege agraria contra Rullum (durissimo discorso, con il qua-
(settembre 70), con le quali Cicerone fece condannare per le Cicerone si oppose invano alla riforma agraria proposta
concussione Verre, ex governatore della Sicilia; 69 a.C.: dal tribuno Servilio Rullo, esponente dei populares); Ora-
Pro Fonteio (difesa di un magistrato accusato di corru- tiones in Catilinam IV (➔) (4 orazioni relative alla congiura
zione, dall’esito ignoto); Pro Caecina (orazione legata a di Catilina: nella oratio prima Cicerone smaschera la con-
una causa per la rivendicazione di una proprietà, dall’esito giura e invita Catilina all’esilio, nella secunda annuncia la
forse positivo); 66 a.C.: Pro Cluentio (difesa in un proces- fuga di Catilina e invita i congiurati alla resa, nella tertia
so per avvelenamento); 63 a.C.: Pro Rabirio perduellionis proclama di avere sventato il colpo di Stato e nella quar-
reo (difesa, con esito favorevole, di un senatore implicato ta spinge il senato a condannare a morte i cospiratori);
nell’assassinio del tribuno Saturnino, nel 100 a.C.); Pro 57-56 a.C.: le cosiddette orazioni «post reditum», cioè
Murena (difesa di Lucio Licinio Murena, accusato di brogli Post reditum in senatu e Post reditum ad Quirites, discorsi
elettorali per ascendere al consolato); 62 a.C.: Pro Sulla di ringraziamento per la revoca dell’esilio, pronunziati in
(difesa, con esito favorevole, di Publio Cornelio Silla, accu- settembre davanti al popolo e al senato e ricchi di attac-
sato di avere preso parte alla congiura di Catilina); Pro Ar- chi ai propri avversari politici; De domo sua ad pontifices
chia poeta (➔) (difesa del poeta greco Archia, accusato di (settembre 57) e De haruspicum responso (primavera 56),
godere abusivamente della cittadinanza romana, dall’esito orazioni con le quali ottenne di potere riedificare la sua
probabilmente favorevole); 59 a.C.: Pro Flacco (difesa con casa sul Palatino, che Clodio aveva fatto abbattere per
esito favorevole – nell’agosto 59 – di Lucio Valerio Flacco, costruirvi un tempio della Libertas; 56 a.C.: De provinciis
ex governatore della provincia d’Asia accusato di concus- consularibus (discorso in senato a favore del prolunga-
sione); 56 a.C.: Pro Sestio (➔) (difesa con successo – nel mento del comando di Cesare in Gallia); 44-43 a.C.: In M.
marzo 56 – dell’ex tribuno Publio Sestio, accusato de vi, Antonium orationes Philippicae (14 orazioni pronunciate
cioè per costituzione di bande armate, da alcuni prestano- in senato o davanti al popolo per attaccare Marco Anto-
me di Clodio); Pro Caelio (➔) (difesa – in data 4 aprile – del nio; sono chiamate così per un’affinità – già ravvisata da
giovane oratore Celio Rufo, accusato di tentato avvelena- Cicerone – con i duri attacchi di Demostene contro Filippo
mento dalla sorella di Clodio, Clodia; positivo l’esito del il Macedone, nel 351-349 a.C.).
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Opere retoriche
De inventione (84 a.C. De optimo genere oratorum (52 a.C.) Prefazione alla tra-
ca.) Opera giovanile in duzione dal greco delle orazioni Per la corona di Demo-
due libri, i cui contenuti stene e di Eschine: le traduzioni ciceroniane non ci sono
sono affini a quell’anoni- però pervenute.
ma Rhetorica ad Heren-
Brutus (46 a.C.) Dialogo che si configura come tentativo
nium che qualcuno attri-
di una storia dell’eloquenza greco-romana; contiene una
buisce a Cicerone.
critica a certi estremismi della corrente atticista.
De oratore (➔) (55-54 a.C.) Dialogo in tre libri, nei quali
Cicerone rappresenta il modello di perfetto oratore, sinte- Orator (46 a.C.) Trattato con il quale, dopo quasi dieci anni,
si di ingegno, perizia tecnica, cultura filosofica, rettitudine l’Arpinate riprende le tematiche già affrontate nel De oratore,
morale, senso dello Stato. con il fine di definire il perfetto oratore. Il quadro è più sinte-
Partitiones oratoriae (54 a.C. ca.) Dialogo tra Cicerone e tico, ma pone maggiore attenzione ad alcuni aspetti tecnico-
il figlio Marco, ove si illustrano – con tono prettamente professionali dell’attività oratoria e allo stile dei discorsi.
manualistico – le cinque parti canoniche dell’eloquenza: Topica ad C. Trebatium (44 a.C.) Riassunto dei Topica ari-
inventio, dispositio, elocutio, memoria, actio. stotelici.
Opere politico-filosofiche
De republica (54-51 a.C.) Dialo- (comizi); nel VI libro, il Somnium Scipionis (➔) raccon-
go in 6 libri, pervenutoci in modo ta il sogno di Scipione Emiliano, al quale l’avo Scipione
frammentario (specie dai libri I-III Africano mostra le ricompense in cielo per i benemeriti
e VI). Particolarmente importan- della patria.
te il tentativo di presentare la co- De legibus (datazione incerta, a partire dal 52-51 a.C.)
stituzione romana come sintesi Opera in forma dialogica (forse in 5 libri: abbiamo men-
perfetta di monarchia (consoli), zione solo di 3) non edita in vita da Cicerone, pervenutaci
aristocrazia (senato), democrazia in forma frammentaria.
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Epistolario
L’epistolario di Cicerone (864 lette- Ad Atticum (➔) Raccolta (16 libri) che contiene le lette-
re) si divide in: re, per lo più in ordine cronologico (68-44 a.C.), inviate
Ad familiares (➔) Raccolta (16 libri) all’amico Tito Pomponio Attico.
in riferimento alla quale il termine Ad Quintum fratrem Raccolta (3 libri) che contiene 27 let-
familiares indica parenti, amici, co- tere scritte al fratello Quinto (60-54 a.C.).
noscenti cui Cicerone inviò lettere Ad Marcum Brutum Raccolta (2 libri) che contiene lettere
dal 62 al 43 a.C.; vi sono anche 90 scritte nel 43 a.C. a Marco Bruto, il cesaricida, e 9 risposte
lettere inviategli dai suoi corrispon- di quest’ultimo; c’è chi nega l’autenticità di alcune episto-
denti. le della raccolta.
Altre opere
I poemi De consulatu suo e De temporibus suis, en- Restano parti consistenti delle traduzioni dal greco dei
trambi di natura autobiografica, e Marius (sulla figura di Fenomeni di Arato (Aratea, in esametri), e del Timeo di
Gaio Mario) sono andati perduti: erano celebri per la loro Platone, mentre di altre fatiche del Cicerone traduttore
enfasi retorica. non ci è pervenuto quasi nulla (Protagora di Platone, Eco-
nomico di Senofonte).
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1. Venio … studium: «Vengo ora alla passione di costui, guerra punica (241 a.C.), e fu pertanto la più antica provincia
come lui stesso la chiama»; ad istius … studium: il pronome, romana. – latrocinium: si chiude con questo sostantivo la
riferito a Verre, ha valore dispregiativo. – ut amici eius: è climax ascendente studium … morbum et insaniam … latroci-
sottinteso appellant; si noti l’anafora dei due ut, che costi- nium. – Ego … nescio: «Io non so con quale nome chiamar-
tuiscono una variatio rispetto al precedente quem ad modum. la»; quo nomine appellem: proposizione dubitativa retta da
– morbum et insaniam: l’espressione può essere resa con nescio. – Rem vobis proponam: «Vi esporrò i fatti»; vobis: si
un’endiadi, «morbosa mania». – ut Siculi: è sottinteso appel- tratta dei giudici, cui Cicerone rivolge il suo veemente di-
lant; il termine Siculi è da intendersi nel senso complessivo, scorso; si noti il poliptoto con il successivo vos; proponam:
generico, di «abitanti della Sicilia», e non fa alcun riferimen- letteralmente significa «mettere dinanzi»; è il futuro del ver-
to preciso all’antica popolazione dei «Siculi»; si ricordi che la bo propono. – penditote: «valutate»; è imperativo futuro di
Sicilia ebbe lo status provinciale dopo il termine della prima pendo; come più avanti scitote, conferisce solennità allo stile.
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Genus ipsum prius cognoscite, iudices; deinde fortasse non magno opere
quaeretis quo id nomine appellandum putetis. Nego in Sicilia tota, tam
locupleti, tam vetere provincia, tot oppidis, tot familiis tam copiosis, ullum
argenteum vas, ullum Corinthium aut Deliacum fuisse, ullam gemmam aut
margaritam, quicquam ex auro aut ebore factum, signum ullum aeneum,
marmoreum, eburneum, nego ullam picturam neque in tabula neque in textili
quin conquisierit, inspexerit, quod placitum sit abstulerit. 2. Magnum videor
dicere: attendite etiam quem ad modum dicam. Non enim verbi neque criminis
augendi causa complector omnia. Cum dico nihil istum eius modi rerum in tota
provincia reliquisse, Latine me scitote, non accusatorie loqui. Etiam planius:
nihil in aedibus cuiusquam, ne in hospitis quidem, nihil in locis communibus,
ne in fanis quidem, nihil apud Siculum, nihil apud civem Romanum, denique
nihil istum, quod ad oculos animumque acciderit, neque privati neque publici
neque profani neque sacri tota in Sicilia reliquisse.
– Genus ipsum: letteralmente «Il genere in se stesso», cioè 2. Magnum videor dicere: «Sembra che io dica un’esagera-
«Di che tipo di fatti si tratta». – prius: è in relazione con il suc- zione»; costruzione personale di videor. – attendite … dicam:
cessivo deinde. – cognoscite: imperativo presente da cognosco. «prestate attenzione anche in qual modo io lo dica»; quem ad
– deinde … putetis: «quindi forse non vi darete molto da fare modum dicam: proposizione interrogativa indiretta dipendente
a cercare con quale nome ritenete che debba essere chiamato dall’imperativo attendite (dal verbo attendere derivano il nostro
ciò»; magno opere o magnopere è avverbio con il significato di «attento», «attenzione»). – Non enim … omnia: «Non abbrac-
«molto, assai»; quo … nomine … putetis: proposizione inter- cio infatti tutto per accrescere il discorso o l’accusa»; verbi …
rogativa indiretta retta da quaeretis; appellandum: è sottinteso causa: proposizione finale costruita con causa e il gerundivo al
esse. Si tratta di una proposizione oggettiva retta da putetis, genitivo. – Cum … reliquisse: «Quando dico che costui non
con costruzione perifrastica passiva personale (il soggetto è ha lasciato nulla delle cose di tal genere in tutta la provincia».
id). – Nego … fuisse: «Dico che in tutta la Sicilia, provincia Cum dico: proposizione temporale che regge una proposizione
tanto antica e ricca, con tante città, e tante famiglie così ricche, infinitiva con soggetto istum (pronome di senso dispregiativo
non vi è stato nessun vaso d’argento, nessun (vaso) o di Co- riferito a Verre) e con verbo l’infinito perfetto reliquisse; rerum:
rinto o di Delo». Tutto il periodo è caratterizzato da anafore ha valore partitivo ed è retto da nihil, oggetto di reliquisse. –
(Nego … nego; tam … tam … tam; tot … tot; ullum … ullum; Latine … loqui: costruisci: scitote me loqui Latine, non accusato-
aut … aut; ullam … ullam; neque … neque) e da un poliptoto rie «sappiate che io mi esprimo attraverso parole latine e non
(ullum … ullum; ullam … ullam). Nego: il verbo significa «dire attraverso il linguaggio di un accusatore»; Latine … accusatorie:
di no» e regge l’oggettiva che ha come verbo l’infinito fuis- avverbi; Latine loqui vale «parlare chiaro», usando le parole nel
se. L’oratore sentirà il bisogno di ripetere questo verbo alla loro significato vero e proprio; gli è contrapposto accusatorie,
fine del periodo per giungere alla conclusione; locupleti: è da che significa invece «usare il linguaggio di chi accusa», il quale
unire a provincia; tam vetere: fu la prima provincia romana, tende sempre ad esagerare; me … loqui: proposizione oggetti-
subito dopo la prima guerra punica nel 241 a.C.; oppidis … va dipendente da scitote, imperativo futuro da scio. – Etiam
familiis: sono due ablativi di qualità dipendenti da provincia; planius: «(Mi esprimerò) anche più esplicitamente»; planius:
Corinthium … Deliacum: Corinto e Delo erano famose per le è comparativo dell’avverbio plane e sottintende loquar. Fino a
ceramiche e i bronzi. – ullam … eburneum: «nessuna pietra questo momento ha parlato degli oggetti rubati, ora aggiun-
preziosa o perla, alcun oggetto fatto d’oro o d’avorio, nessu- gerà che li ha rubati in ogni luogo, sacro e profano, senza ri-
na statua bronzea, marmorea o eburnea»; quicquam: prono- guardo alcuno per le persone a cui li ha sottratti. – nihil …
me indefinito neutro usato generalmente in frasi negative; ex reliquisse: «(sappiate) che costui nulla nella casa di qualcu-
auro aut (ex) ebore: complementi di materia; factum: participio no, neppure in quella dell’ospite, nulla nei luoghi pubblici,
perfetto da facio, riferito al pronome quicquam; aeneum, mar- neppure nei templi, nulla presso un siciliano, nulla presso un
moreum, eburneum: gli aggettivi esprimono il complemento di cittadino romano, infine nulla che cadesse sotto i suoi occhi o
materia; si noti la variatio di costrutto rispetto ai precedenti ex suscitasse il suo desiderio, né di privato né di pubblico, né di
auro aut ebore. – nego … abstulerit: «dico che non vi è stato profano né di sacro lasciò in tutta la Sicilia». Tutto il periodo
nessun dipinto né in un quadro né in un arazzo che non abbia è caratterizzato da anafore (nihil … nihil, ne … quidem … ne …
ricercato, esaminato e portato via nel caso gli sia piaciuto»; quidem, apud … apud, neque … neque) e dal parallelismo sintat-
nego ullam picturam: è sottinteso fuisse; conquisierit: congiunti- tico; nihil … reliquisse: è una proposizione oggettiva sempre
vo perfetto di conquiro, retto dal quin come i successivi inspe- dipendente da scitote, che ha come soggetto istum; privati …
xerit … abstulerit. Si noti l’omoteleuto e la climax ascendente. publici; profani … sacri: gli aggettivi, che hanno significati an-
La congiunzione quin, che corrisponde a quae non, introduce titetici, sono genitivi di quantità e dipendono da nihil; tota in
una relativa con valore consecutivo. Sicilia: anastrofe della proposizione.
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La lingua e lo stile
Notevole è l’abbondanza di figure retoriche, dalla climax (studium … morbum et insa-
niam … latrocinium), alle numerose anafore, poliptoti e allitterazioni. Particolare effetto,
inoltre, è dato dall’uso dell’imperativo futuro (penditote, scitote), tipico del linguaggio
sacrale e giuridico. Il risultato è fortemente enfatico, come è proprio delle prime ora-
zioni di Cicerone, più vicine alla tradizione un po’ «barocca» dell’oratoria asiana. Sul
versante sintattico, appare però il gusto per la sapiente e armoniosa costruzione della
frase (concinnitas), esaltata dalla presenza di numerosi parallelismi.
18. Quotiens ego hunc Archiam vidi, iudices, – utar enim vestra benignitate,
quoniam me in hoc novo genere dicendi tam diligenter attenditis, –
quotiens ego hunc vidi, cum litteram scripsisset nullam, magnum numerum
optimorum versuum de eis ipsis rebus quae tum agerentur dicere ex tempore!
Quotiens revocatum eandem rem dicere, commutatis verbis atque sententiis!
18. Quotiens … vidi: «Quante volte io ho visto questo Archia, lare significa «lettera dell’alfabeto». L’espressione vuole indicare
giudici, – approfitterò infatti della vostra benevolenza poiché in che Archia era in grado di improvvisare in modo straordinario.
questo nuovo genere di eloquenza mi ascoltate tanto attentamen- – magnum … tempore: «dire improvvisando un gran numero
te –, quante volte io l’ho visto». Quotiens: avverbio iterativo con di versi eccellenti proprio su quei fatti che si svolgevano in quel
funzione esclamativa in anafora con il successivo quotiens; hunc: momento»; ipsis: serve a rimarcare le capacità di improvvisazio-
pronome deittico. Mentre parla, l’oratore indica l’imputato con ne di Archia sui fatti contemporanei: questo escludeva che egli
la mano; utar: utor con l’ablativo significa «servirsi di…», «ap- si fosse preparato prima; quae … agerentur: proposizione relati-
profittare di…». C’è non solo una sorta di captatio benevolentiae, va con il verbo al congiuntivo per attrazione modale, in quanto
ma anche una presa d’atto dell’attenzione con cui il pubblico dipendente dall’infinito dicere; dicere ex tempore: si può tradurre
sta seguendo il discorso dell’oratore; hoc … dicendi: già al par. 3 con «improvvisare»; l’aggettivo italiano «estemporaneo» deriva
Cicerone aveva premesso che avrebbe usato temi atipici rispetto proprio da ex tempore. – Quotiens … sententiis!: «Quante volte
ai normali dibattimenti nei tribunali, con un linguaggio atipico. (ho visto) Archia, richiamato sulla scena, ripetere il medesimo
– cum … nullam: «sebbene non avesse scritto nemmeno una sil- argomento, avendo cambiato parole e concetti!»; revocatum: è il
laba». È una proposizione concessiva; litteram … nullam: iperbato participio perfetto di revocare, verbo tecnico del linguaggio tea-
che dà particolare rilievo all’aggettivo nullam; littera, -ae al singo- trale che significa «richiamare (alla ribalta)»; commutatis verbis:
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ablativo assoluto. Sullo stesso fatto Archia era in grado di im- attenuare l’aggettivo che segue, gli dà una dimensione d’in-
provvisare più volte di seguito in modo diverso. – Quae … determinatezza, traducibile con «per così dire». Si noti come
perveniret: «Quei testi invece che egli aveva scritto con cura e Cicerone ponga la differenza tra ars poetica e le altre discipline:
riflessione, li ho visti apprezzati al punto di giungere alla lode esse trovano il loro supporto in tecniche e applicazioni prati-
degli antichi scrittori». Quae: prolettico di ea; vero: l’avverbio che, mentre la poesia è frutto di predisposizione naturale e di
ha valore avversativo: Archia era in grado non solo di improv- ispirazione divina. – Qua re … poetas: «Per questo motivo, a
visare, ma anche di scrivere in modo eccellente; accurate cogi- buon diritto, il nostro Ennio chiama i poeti “sacri”»; Qua re:
tateque: endiadi; da notare come i due avverbi rappresentino in prolessi rispetto alla causale che segue; noster: pur essendo
due azioni, espresse rispettivamente dai verbi curo e cogito; originario di Rudiae (oggi presso Lecce), Ennio (239–169 a.C) fu
ut … perveniret: proposizione consecutiva; veterum scriptorum: poeta in lingua latina. Sosteneva la sua natura trilingue divisa
Cicerone è tradizionalista anche nel gusto letterario, al punto tra latino, greco (la lingua della formazione culturale) e osco
di considerare gli antichi scrittori come un modello di perfe- (la lingua parlata nell’Italia meridionale). Dai frammenti delle
zione. – Hunc … putem?: «Non dovrei amare questa persona, opere che possediamo non risulta esserci il pensiero che qui gli
non dovrei ammirarla, non dovrei ritenere di doverla difende- è attribuito. Appellandosi al mistero della sacralità dell’ispi-
re in ogni modo?». Hunc: il pronome è in posizione di rilievo. razione nei poeti, Cicerone conferisce al discorso un’aura mi-
L’espressione Hunc ego riprende ego hunc dell’inizio del para- tica. – quod … videantur: «poiché sembra che ci siano stati
grafo: qui i due pronomi sono stati invertiti perché il referente affidati come per qualche dono prezioso degli dèi»; quod …
del discorso è Archia; diligam … admirer … putem: congiuntivi
videantur: proposizione causale al congiuntivo, perché l’autore
dubitativi; defendendum, sott. esse: perifrastica passiva. – Atque
riporta il pensiero di Ennio; dono atque munere: i due termini
… constare: «E così abbiamo appreso da uomini eccellenti e
sono sinonimi, ma spesso sono usati uniti; si possono tradur-
molto eruditi che gli studi delle altre discipline si basano sul-
re considerandoli come un’endiadi; commendati: da commendo
la dottrina, sull’insegnamento e sull’arte»; ceterarum: tutte le
«affidati». Un bene prezioso come il poeta deve essere trattato
discipline tranne la poesia; doctrina: da doceo, è l’istruzione
con lo stesso rispetto che si ha nei confronti delle cose sacre.
in senso generale; praeceptis: sono gli insegnamenti ascoltati
Cicerone suggerisce tra le righe che l’offesa recata a un poeta è
direttamente dai maestri; arte: l’applicazione di ciò che si è
assimilabile a un gesto d’empietà.
imparato (vedi sotto D Le parole della cultura) – poetam …
inflari: «che invece il poeta ha forza per sua stessa natura, è 19. Sit … violavit: «Sia dunque sacro, o giudici, presso di voi
spinto da un impulso dell’animo ed è ispirato da una sorta uomini così colti, questo nome di poeta che mai nessun popo-
di spirito – per così dire – divino»; valere … excitari … inflari: lo straniero ha offeso». Il passo è stato molto celebrato come
infiniti retti da accepimus; ceterarum rerum studia … poetam: si esempio di genus dicendi sublime. Sit: congiuntivo esortativo;
noti la variatio in cui la contrapposizione è tra l’astratto studia poetae: genitivo epesegetico; nulla … barbaria: metonimia, in
e il concreto poetam; quasi divino quodam spiritu: il quasi, più che quanto si usa il termine astratto al posto del concreto. La figu-
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ra del poeta era sacra presso molti popoli. – Saxa … respon- dell’epica: pugnant e contendunt. – Ergo … expetunt: «Dunque
dent: «Le rocce e i deserti rispondono alla voce (del poeta)»; quelli rivendicano uno straniero, poiché è stato un poeta, an-
è richiamato qui il mito di Anfione che, con il fratello Zeto, che dopo la morte». Ergo: congiunzione conclusiva; illi: «quel-
costruì la rocca della città di Tebe, trascinando le pietre dalle li», cioè i popoli appena citati; alienum: la patria di Omero può
montagne con il magico suono della sua lira. Cicerone intende essere una sola, mentre per le altre città egli era uno straniero.
dire che il canto del poeta è in grado di scuotere ogni durezza; – nos … repudiamus: «noi rifiutiamo quest’uomo vivo, che è
solitudines: metonimia, astratto in luogo del termine concreto. nostro per sua volontà e a norma di legge»; nos: coordinazione
– bestiae … consistunt: «bestie spesso feroci sono ammansite per asindeto con valore avversativo: nos si contrappone a illi;
dal canto e si fermano»; viene qui richiamato il mito di Orfeo, vivum: da sottolineare la variatio rispetto a post mortem; noster:
il cui canto aveva il potere di ammansire gli animali feroci. È gli elementi fondamentali della proposizione sono disposti a
nota la storia del suo amore per Euridice, morta per il morso chiasmo: alienum … post mortem … vivum … noster; legibus: il
di un serpente: per riavere la sua sposa Orfeo scese nell’Ade riferimento è alla lex Plautia Papiria del 89 a.C. Archia è rego-
e con il suo canto commosse la regina del regno infernale, che larmente in possesso della cittadinanza romana, poiché la lex
gli consentì di riportarla in vita. – nos … moveamur?: «noi, Plautia Papiria la concedeva ai membri delle città federate con
che siamo stati educati nelle migliori discipline, non dovrem- Roma: tale era la città lucana di Eraclea, alle cui liste anagrafi-
mo essere commossi dalla voce dei poeti?»; nos: forte asindeto che il poeta era iscritto. La distruzione di tali registri anagra-
che accentua la contrapposizione tra la sensibilità della natu- fici rendeva però attaccabile la posizione di Archia, anche se
ra e il pericolo dell’insensibilità degli uomini; voce: ablativo Cicerone non dovette faticare a persuadere il tribunale della
di causa efficiente; non … moveamur: congiuntivo dubitativo. vacuità delle accuse di Grattio. Stupisce che una figura tanto
– Homerum … confirmant: «Gli abitanti di Colofone dicono modesta abbia avuto il coraggio di fronteggiare un ex console;
che Omero è loro (concittadino), gli abitanti di Chio lo riven- alcuni critici pensano che egli fosse in realtà un prestanome,
dicano come proprio, gli abitanti di Salamina lo reclamano, dietro il quale non sappiamo però chi operasse. – praesertim
gli abitanti di Smirne poi asseriscono che sia loro»; Homerum: … celebrandam?: «specialmente dal momento che Archia una
il nome del poeta, posto all’inizio del periodo, contribuisce a volta ha dedicato ogni suo impegno e capacità a celebrare la
dare risalto alla sua eccezionale grandezza; Colophonii … Chii: gloria e la lode del popolo romano?»; cum … contulerit: il per-
i primi sono gli abitanti di una città ionica della Lidia, in Asia fetto congiuntivo è richiesto dalla consecutio temporum, perché
Minore, i secondi di un’isola dell’Egeo di fronte alla costa asia- il verbo dipende dal precedente repudiamus, in rapporto di
tica; sette erano le città che pretendevano di avere dato i natali anteriorità. – Nam … fuit: «Infatti da giovane trattò le vicen-
a Omero (quattro vengono nominate qui da Cicerone, le altre de della guerra cimbrica e fu gradito persino a quel famoso
tre erano Rodi, Argo ed Atene); Smyrnei: gli abitanti di Smirne Caio Mario che pure sembrava piuttosto insensibile a questi
sulla costa dell’Asia Minore; dicunt … vindicant … repetunt … interessi»; Nam: Archia si era dedicato all’epica nazionale e la
confirmant: i verbi, affini dal punto di vista semantico, crea- sua poesia celebrava il popolo romano; Cimbricas … res: dal ii
no una sorta di climax ascendente. – itaque … contendunt: «e secolo a.C. i Cimbri minacciavano il Nord Italia; solo nel 101
pertanto gli dedicarono un tempietto in città; molti altri inoltre a.C. l’esercito romano, sotto la guida di Mario, riuscì a imporsi
combattono tra loro e se lo contendono»; delubrum: di questo ai Campi Raudii, presso Vercelli; adulescens: predicativo del sog-
tempietto esistente a Smirne (Homereion) ci dà notizia il geo- getto; durior: comparativo assoluto di durus, che sottolinea una
grafo Strabone, nella sua Geografia (14,1,37). Si noti il tono so- predisposizione d’animo rigida; ad haec studia: Mario, homo no-
lenne con cui Cicerone celebra il grande potere della poesia: lo vus, non aveva una cultura approfondita e dunque per Cicero-
confermano l’uso dell’aggettivo sanctus, che riconduce a una ne non era molto sensibile alla poesia. Secondo le testimonian-
sfera sacrale; il richiamo ai miti; la rivendicazione dei nata- ze di Plutarco e Sallustio, Mario si vantava addirittura di non
li di Omero e la conclusione, che poggia su due verbi tipici conoscere il greco, che considerava lingua degli schiavi.
Lessico
ingenium: il termine è legato etimologicamente al verbo gigno «produrre, causare»; indica
un carattere innato, naturale, di persona o di cosa. Spesso assume il significato di «capacità
creativa, ingegno».
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Poeta coronato Archia – che fonde la sua originaria cultura greca con i mores romani – diventa dunque
d’alloro, affresco una sorta di alter ego di Cicerone, che per tutta la vita cercò di innestare sui valori pro-
pompeiano, i secolo pugnati dal mos maiorum gli esiti più alti della cultura filosofica greca, coniugando
d.C. (Napoli, Museo il negotium politico con l’otium letterario.
Archeologico Nazionale).
La lingua e lo stile
Lo stile del passo è caratterizzato dall’armonia e
dall’equilibrio formali (la cosiddetta concinnitas) pro-
pri della prosa ciceroniana. Tra gli esempi possibili:
le prime due frasi (par. 18) iniziano entrambe con
quotiens; altre due – nell’ambito dello stesso paragra-
fo – con un pronome relativo (Quae vero … Qua re);
davvero notevole il parallelismo dell’espressione
(par. 18) Hunc ego non diligam, non admirer, non omni
ratione defendendum putem, dalla struttura ternaria,
con l’anaforica ripetizione della negazione non pri-
ma delle forme verbali;
parimenti simmetrica è la frase (par. 19) Homerum
Colophonii civem esse dicunt suum, Chii suum vindicant,
Salaminii repetunt, Smyrnaei vero suum esse confirmant,
dove il parallelismo sta nei quattro soggetti plurali
cui fanno seguito quattro forme verbali terminanti
in -unt o -ant (omoteleuto), e dove troviamo anche la
triplice anafora dell’aggettivo suum;
moderata ma vivace è la presenza di allitterazioni
(tra le altre, quelle in s: summis hominibus eruditis-
simisque; Sit igitur, iudices, sanctum apud vos; Saxa et
solitudines), ed omoteleuti (ad es. nullam, magnum
numerum optimorum versuum).
Ogni riflessione sul lessico non può prescindere infine dalla frase al par. 19: Sit igitur,
iudices … umquam barbaria violavit. Cicerone vi esprime una forte opposizione tra parole
che appartengono a campi semantici diversi: il termine barbaria – da intendersi sia in
senso etnico (cioè «le genti barbare») sia in quello spirituale (cioè «la rozzezza, la cru-
deltà, propria dei barbari») – è opposto infatti sia ai giudici, definiti, con figura etimo-
logica, humanissimos homines, sia al poetae nomen. I giudici detentori dell’humanitas
(valore che consiste nella coscienza che intelletto e cultura sono l’essenza più vera della
natura umana) non potranno insomma far altro che considerare sanctum (cioè «inviola-
bile, venerabile ») il nome del poeta, concedendo ad Archia la cittadinanza romana.
22. Carus fuit Africano superiori noster Ennius, itaque etiam in sepulcro Scipionum
putatur is esse constitutus ex marmore. At eis laudibus certe non solum ipse qui
laudatur, sed etiam populi Romani nomen ornatur. In caelum huius proavus
Cato tollitur: magnus honos populi Romani rebus adiungitur. Omnes denique illi
Maximi, Marcelli, Fulvii, non sine communi omnium nostrum laude decorantur.
22. Carus … noster Ennius: «Il nostro Ennio fu caro al primo l’Africano, è stato lodato anche il nome del popolo romano; qui
Africano»; Africano superiori: si tratta di Scipione l’Africano, laudatur: proposizione relativa propria. – In caelum … tollitur:
che vinse Annibale a Zama nel 202 a.C. È definito superior per «In cielo viene innalzato Catone, il bisavolo di questo»; proavus
distinguerlo dal minore, l’Emiliano; noster Ennius: Ennio, nato Cato: si tratta di Catone il Censore (proavus di Catone Uticense)
a Rudiae, cittadina di tradizione culturale messapica, nel 239 che conobbe Ennio quando era questore in Sardegna, e lo con-
a.C., e morto nel 169 a.C.; è considerato il più grande poeta dusse a Roma. Nonostante Catone fosse profondamente av-
epico romano prima di Virgilio. Nei suoi Annales, di cui ci sono verso a tutta la cultura greca e alla famiglia degli Scipioni, da
pervenuti poco più di 600 versi, celebrò la storia e la leggenda cui Ennio era protetto, il poeta ha celebrato ugualmente il suo
di Roma. – itaque … ex marmore: «e così si ritiene che egli primo protettore, sollevandolo al cielo in quanto era uno dei
sia stato raffigurato nel marmo nel sepolcro degli Scipioni»; personaggi più importanti dell’epoca; huius: dall’uso di questo
putatur: costruzione personale del verbo puto al passivo con pronome riferito a Catone l’Uticense si può dedurre che que-
l’infinito e il nominativo. Come si può ricavare dall’uso di que- sto fosse presente al processo o che Cicerone lo sentisse vicino
sto verbo, Cicerone non è certo che quella nel sepolcro degli a sé e agli ascoltatori. – magnus … adiungitur: «grande onore
Scipioni sia la statua di Ennio. Anche Livio fa riferimento a tre si aggiunge alle imprese del popolo romano»; rebus: il sostan-
statue nel monumento funebre degli Scipioni: due sarebbero tivo, usato spesso al plurale, si può intendere come «storia»
di Lucio e Publio, la terza di Ennio; ma anche in questo caso o più genericamente come «imprese». – Omnes … decoran-
la notizia è incerta; ex marmore: complemento di materia. – At tur: «Infine tutti i vari Massimo, Marcello, Fulvio sono esaltati
… ornatur: «E da queste lodi certamente non solo colui che non senza lode comune di tutti noi»; Maximi, Marcelli, Fulvii:
è lodato, ma anche il nome del popolo romano è ornato»; eis i plurali sono enfatici, in quanto indicano non le famiglie, ma
laudibus: ablativo di causa efficiente. Sono le lodi che Ennio i loro rappresentanti più significativi. Quinto Fabio Massimo
rivolse all’Africano negli Annales; qui si afferma che, lodando fu soprannominato Cunctator (Temporeggiatore) per la tattica
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Ergo illum, qui haec fecerat, Rudinum hominem, maiores nostri in civitatem
receperunt: nos hunc Heracliensem, multis civitatibus expetitum, in hac autem
legibus constitutum, de nostra civitate eiciemus? 23. Nam si quis minorem gloriae
fructum putat ex Graecis versibus percipi quam ex Latinis, vehementer errat:
propterea quod Graeca leguntur in omnibus fere gentibus, Latina suis finibus,
exiguis sane, continentur. Qua re si res eae quas gessimus orbis terrae regionibus
definiuntur, cupere debemus, quo manuum nostrarum tela pervenerint, eodem
gloriam famamque penetrare: quod cum ipsis populis de quorum rebus scribitur,
haec ampla sunt, tum eis certe, qui de vita gloriae causa dimicant, hoc maximum
Particolare
da un’iscrizione et periculorum incitamentum est et laborum.
in caratteri greci.
adottata negli scontri con Annibale; Marco Claudio Marcello riodo ipotetico della realtà; quis sta per aliquis, come di regola
conquistò Siracusa nel 212 a.C. e morì nel 208 contro Anni- dopo si. – vehementer errat: «sbaglia vivamente»; è l’apodosi.
bale; che lo onorò come condottiero restituendone il corpo ai – propterea quod: «per il fatto che»; introduce una dichiara-
Romani; il terzo è Marco Fulvio Nobiliore, che vinse gli Etoli, tiva. – Graeca … continentur: «le opere scritte in greco ven-
conquistando la loro capitale Ambracia nel 189 a.C., dopo un gono lette presso quasi tutti i popoli, mentre quelle scritte in
lungo assedio. Del seguito di Nobiliore faceva parte anche il latino sono costrette nei propri confini, certamente limitati».
poeta latino Ennio, che gli dedicherà l’Ambracia, una praetexta Benché Roma avesse esteso il suo controllo su una gran parte
che celebrava appunto la resa della capitale etolica e la glorio- del mondo conosciuto, come lingua di cultura il latino non
sa vittoria del console romano; non sine laude: litote; omnium era in grado di competere con il greco, essendo parlato fon-
nostrum: genitivo oggettivo. – Ergo … receperunt: «Dunque i damentalmente all’interno della penisola italica. Il fatto che
nostri antenati accolsero nella cittadinanza (romana) colui che Archia avesse scritto in greco le sue opere, in cui raccontava
aveva fatto queste opere, semplice cittadino di Rudiae»; Rudi-
le imprese dei Romani, era garanzia della risonanza di tali
num hominem: Rudiae, era una cittadina semisconosciuta, che
imprese. – Quare … definiuntur: «Perciò se quelle imprese
aveva come unico vanto quello di aver dato i natali a Ennio.
che abbiamo compiuto sono limitate dai confini del mondo»;
Quest’ultimo aveva avuto la cittadinanza romana nel 184 a.C.,
regionibus: sono qui i confini. Cicerone si riferisce alle recenti
grazie a Marco Fulvio Nobiliore. – nos … eiciemus?: «noi cac-
conquiste di Pompeo dalla Spagna all’Eufrate; si … definiun-
ceremo dalla nostra città questo cittadino di Eraclea, desidera-
tur: protasi del periodo ipotetico della realtà; quas gessimus:
to da molte città, stabilitosi poi in questa a norma di legge?»;
nos: coordinazione per asindeto grazie alla quale viene intro- proposizione relativa propria. – cupere … penetrare: «dob-
dotta un’argomentazione opposta alla precedente; hunc Hera- biamo desiderare che, dove sono giunte le armi dei nostri
cliensem: è il poeta Archia, iscritto negli elenchi anagrafici di eserciti, lì giungano la nostra gloria e il nostro nome»; quo:
Eraclea, in Lucania; la città era confederata di Roma e dunque avverbio di moto a luogo prolettico rispetto a eodem, anch’esso
dopo la guerra sociale (con la lex Plautia-Papiria dell’89 a.C.) i complemento di moto a luogo; manuum: potrebbe anche signi-
suoi cittadini diventavano automaticamente cittadini romani. ficare «delle nostre mani», ma il senso non cambia; pervenerint:
Chi accusava Archia metteva in dubbio proprio la sua cittadi- congiuntivo per attrazione modale. Dipende dall’infinito pe-
nanza eracleese; multis civitatibus: dativo d’agente dipendente netrare, retto a sua volta da cupere debemus; gloriam famamque:
dal participio perfetto expetitum; in hac: a Roma, complemento endiadi. – quod … laborum: «poiché come (cum) queste opere
di stato in luogo; eiciemus: è un futuro; altrove si trova eiciamus, poetiche (haec) sono importanti per gli stessi popoli, delle cui
congiuntivo dubitativo. azioni si scrive, così (tum) in verità per coloro che rischiano la
23. Nam: introduce una occupatio, figura di pensiero che con- vita per la gloria, questo è il più grande incitamento ai pericoli
siste nel prevenire una possibile obiezione dell’interlocutore. e ai travagli (cioè: ad affrontare i pericoli e i travagli)»; quod:
L’obiezione che si vuole prevenire qui è che il merito di Archia introduce una proposizione causale; cum … tum: in correlazio-
potrebbe sembrare inferiore a quello di Ennio per il fatto che ne; qui … dimicant: proposizione relativa propria; il verbo di-
egli scrisse i suoi versi in greco. – si quis … ex Latinis: «se mico, costruito con de + l’ablativo, significa «mettere a rischio
qualcuno ritiene che dai versi greci si colga un minore frutto qualcosa»; gloriae causa: complemento di fine; periculorum …
di gloria che da quelli latini»; si quis … putat: protasi del pe- laborum: genitivi oggettivi.
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Le Catilinarie
La prima Catilinaria
Nella prima Catilinaria Cicerone annuncia a Catilina di avere smascherato la
sua congiura (D TESTO 1.4) e lo invita ad andarsene in esilio. L’enfasi oratoria
di questo discorso è evidente e si concretizza anzitutto, dal punto di vista sti-
listico, nell’uso martellante di interrogative retoriche e di imperativi. Cicerone
raggiunge il culmine nel doppio utilizzo della prosopopea della Patria, che
parla in prima persona prima a Catilina (D TESTO 1.5) poi allo stesso console
(D TESTO 1.6). Sotto il profilo lessicale, è frequente l’uso metaforico di termi-
ni tesi a descrivere Catilina come una malattia, una depravazione dello Stato
(morbus D TESTO 1.7).
Nell’orazione riconosciamo le seguenti sezioni.
Exordium (parr. 1-6): Cicerone si rivolge direttamente a Catilina, denuncian-
do il fatto che siede in senato benché i suoi piani eversivi siano stati scoperti.
Narratio (parr. 6-10): l’oratore dimostra a Catilina che la sua congiura è or-
mai sotto gli occhi di tutti, anche in virtù di intercettazioni di informazioni
riservate.
Propositio (parr. 10-13): Cicerone invita Catilina a lasciare Roma per recarsi
in Etruria e raggiungere le truppe dei suoi congiurati.
Argumentatio (parr. 14-31): l’Arpinate spiega perché Catilina deve lasciare
Roma e ricorda al senato come la sua condotta di vita sia sempre stata immo-
rale e illegittima. È la Patria stessa quindi a parlare prima con Catilina e poi
con il console, per rinfacciare le colpe al sovversivo e richiamare il magistrato
alla severità; severità che dovrà essere fatta propria anche dal senato.
Peroratio (parr. 32-33): Cicerone conclude auspicando una netta separazio-
ne tra i congiurati e i boni, cioè i cittadini perbene; invoca poi l’aiuto di Giove
Statore, perché protegga Roma e punisca i catilinari «vivi o morti con eterni
supplizi».
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