Tutto nasce dalla leva e la leva dalla stadera e la
stadera dalla bilancia e la bilancia finalmente dalla propriet del circolo. [...E] la continua giratione del mondo che Vitruvio dice essere come una machinatio- ne et per anco si chiama la macchina del mondo Daniele Barbaro, Prmio al Libro X del De architectura di Vitruvio. Largano di Del Rosso: empiria e tradizione nella prassi del cantiere edile storico Nel 1822, larchitetto fiorentino Giuseppe Del Rosso pubblicava un prezioso opuscoletto dive- nuto raro, intitolato Edificatoria. Della necessit di riformare largano comune per uso delle fabbriche e dei vantaggi che per essa riforma ne risultano 1 . In poche pagine, con elegante chiarezza e sempli- cit di ragionamento, questo architetto illumini- sta, figlio e nipote di architetti, presentava ai let- tori i vantaggi di una macchina da lui messa in opera nel 1792 per il cantiere della chiesa della Madonna delle Pozze a Dicomano in Toscana. Si trattava di un grande argano a ruota dentata, montato sul cantiere in due esemplari, che nei confronti dellargano ordinario aveva il vantag- gio di poter essere manovrato da un ridotto nu- mero di uomini con risultati equivalenti o supe- riori alla norma, avendovi accorciato la lunghez- za delle stanghe con cui veniva azionato e accre- sciuta la grossezza del canapo. Laltro grande vantaggio consisteva nel fatto che il moto gene- rato da questo argano risultava essere costante ed evitava, secondo le parole dellautore le pic- cole ma continuate scosse che tanto affaticano il canapo avvolto allargano comune, e da cui tan- to ne risente il castello di legname a cui il grave sospeso appena staccato dal suolo, producen- do pericolosissimi e visibili effetti dallo strap- pamento delle cordicelle che compongono il ca- napo. Lunico svantaggio stava nelle dimensio- ni molto grandi della macchina: la ruota di que- stargano, mosso da 16 uomini, aveva una cir- conferenza di oltre 18 metri e un diametro in- torno ai cinque metri, per cui era difficile trova- re il magazzino adatto ad ospitarlo e una porta tanto largha da farcelo entrare; ma questa diffi- colt non poteva contrapporsi secondo il co- struttore allindubbio vantaggio da esso offerto. Del Rosso, architetto militante e buon mac- chinatore, particolarmente orgoglioso della sua macchina e ne spiega cos le ragioni: Luso fre- Daniela Lamberini Allombra della cupola: tradizione e innovazione nei cantieri fiorentini quattro e cinquecenteschi 1. Giuseppe del Rosso, Argano a ruota dentata, in Edificatoria, Pisa, 1822.
10-11|1998-99 Annali di architettura Rivista del Centro internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza www.cisapalladio.org quente, e indispensabile che si f dellArgano nel- la costruzione delle Fabbriche di qualche impor- tanza, e il vedere come dai pratici sieno male im- piegate le forze motrici, o non calcolate che per una lontanissima approssimazione, mi ha fatto sempre desiderare che questa macchina fosse condotta ad una maggiore perfezione. Purtrop- po, nelle molte occasioni che gli si sono presenta- te su cantieri aperti sia a Firenze che nelle citt subalterne del Granducato, per la costruzione di fabbriche di una certa rilevanza, il tentativo di in- trodurvi un argano a ruota dentata al posto del- largano tradizionale si sempre scontrato con la dura obiezione dei pratici: nessuno voleva far spesa di cambiare quello strumento di cui ne era- no provveduti tutti gli intraprendenti di Fabbri- che. La costruzione della chiesa di Dicomano, oggi Oratorio di SantOnofrio, in Val di Sieve, ai confini orientali del Mugello, fu dunque unecce- zione fortunata offerta allarchitetto da circostan- ze fortuite. Lontani come eravamo dalla Capita- le, egli spiega qualunque sorta di attrezzi che vi occorsero, si dovettero costruire sul luogo; ed essendovi pure necessario luso di due Argani per sollevare i gravissimi architravi sulle colonne del portico esterno (le maggiori in diametro di quan- te ne esistevano a Firenze) disegnai e feci costrui- re i detti Argani [...] e ne ottenni un servizio ol- tremodo sicuro, agevole, spedito e tale insomma che super laspettativa degli abili operanti in quella non comune intrapresa. Purtroppo non ci dato conoscere laspetto che Del Rosso diede alla sua macchina. Egli stes- so ci informa in una nota di averne depositato il disegno completo presso lo Scrittoio delle Re- gie Fabbriche di Firenze, dove ricopriva il ruolo di architetto, per effettuarsi in natura subito che qualche occasione lo avesse richiesto; ma pro- babile, aggiunge, che pi non vi esista dopo tali cambiamenti, ovvero dopo i grandi rivolgimen- ti della Restaurazione, seguita allepopea napo- leonica, di cui anche Del Rosso fu protagonista 2 . Laccurata descrizione che ne d e lo schema geometrico che laccompagna (ill. 1) ci dicono per chiaramente che non si tratta di una nuova invenzione: largano a ruota dentata infatti non certo una novit per il cantiere edile preindu- striale e larchitetto con grande onest intellet- tuale lo sottolinea, in una frase per noi partico- larmente significativa: Non ardisco scrive appropriarmi linvenzione di questa macchina, bens il modo di costruirla e di valermene, dico ancora che non a mia notizia che avanti e dopo la riferita occasione, verun altro Architetto o pratico macchinatore ne abbia adottato luso 3 . Mi sono soffermata a lungo su questo episo- dio, legato alla carriera architettonica di Giusep- pe Del Rosso, un episodio marginale, poco noto e apparentemente molto lontano nel tempo dal tema del nostro Seminario, perch al contrario lo ritengo emblematico. I punti chiave toccati dallarchitetto e machinator fiorentino nella sua Edificatoria, sono infatti molto significativi per la storia del cantiere edile storico preindustriale, una storia ancora tutta da scrivere ma che si po- trebbe sulla base di questa testimonianza ricon- durre allinterno di precise problematiche. In primo luogo sottolineare come, alle soglie di una tardiva per lItalia quanto stentata ri- voluzione industriale, nel cantiere edile perman- gano le pi tradizionali e antiche tecniche di pro- duzione, in una sorta di longue dure braudeliana, che ha nellet classica lontane origini, rivisitate e rinnovate nel Rinascimento, e riesce a protrar- si fino allOttocento inoltrato, per numerose concause economiche e sociali, quali: labbon- danza di mano dopera non qualificata, i bassi co- sti delle materie prime e dei trasporti e i bassissi- mi salari 4 . In secondo luogo, rilevare come la tec- nologia e i mezzi tecnici utilizzati sul cantiere siano contrassegnati da unempiria dominante, sia per i tecnici che per le maestranze. Empiria nutrita da un consolidato conservatorismo che giustificato da leggi di mercato inerti e imper- meabili alle innovazioni, con cambiamenti rari e aleatori, dettati dal caso e non pi ripetibili. Infi- ne, la consapevolezza di non inventare nel senso moderno del termine, ma di ritrovare, cio di tradurre e adattare alle esigenze del momento le conoscenze pi consolidate o, per gli audaci, spe- rimentare le pi avanzate, e in generale, rielabo- rare personalmente avendo per modello le solu- zioni colte, gli exempla, appartenenti a un patri- monio classico comune, nel solco di una tradi- zione illustre cui nella prassi quotidiana era ben 277 2. Piero Sanpaolesi, Spaccato assonometrico della cupola di Santa Maria del Fiore, in Brunelleschi, Milano, 1962, Tav. 42.
10-11|1998-99 Annali di architettura Rivista del Centro internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza www.cisapalladio.org 278 raro poter attingere, ma che sul piano teorico e della ricerca filologica erano ben note e diffuse tra gli operatori pi attenti e preparati. Sono questi i concetti che, fotografando la condizione professionale degli architetti machi- natores fiorentini sette-ottocenteschi, li accomu- nano, con ben precisi distinguo storico-econo- mici e in tono minore, ai colleghi vissuti tre o quattro secoli prima, tutti operanti allombra della cupola, ampla come scriveva nel De Pic- tura Leon Battista Alberti da coprire chon sua ombra tutti e popoli della Toscana . La gran macchina, mito ed exempla dal cantiere della cupola stata sottolineata di recente e in varie occasio- ni 5 la straordinaria importanza che ebbe la co- struzione della cupola della cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze, intrapresa e condotta a termine da Filippo Brunelleschi tra il 1420 e il 1436. Il cantiere della cupola, la grande mac- china, secondo lammirata definizione di Michelangelo, per larditezza della concezione e per le novit tecnologiche introdottevi dal Bru- nelleschi, divenne la pi grande e rivoluzionaria palestra tecnica della sua epoca e scuola del mondo per gli architetti delle generazioni suc- cessive. La sua costruzione fu unesperienza to- talizzante dellarte edificatoria del primo Rina- scimento, sia per la tecnica costruttiva impiega- ta che per la draconiana organizzazione del can- tiere e per la progettazione delle macchine uti- lizzate per costruirla. Ricordiamo solo qualche dato 6 : lelegantissi- ma volta ogivale della cupola, voltata da Brunel- leschi sanza armatura, formata da otto spicchi e a doppia calotta di mattoni a spina pesce, una macchina architettonica che si innalza finol- tre i 35 metri e mezzo daltezza al di sopra del tamburo ottagono, che alto 13 metri e ha uno sviluppo di 140 metri. La cupola prende il suo slancio dallimposta a circa 54 metri dal suolo; altri 35 metri la separano dai due angoli opposti dellottagono di base, per una altezza di circa 91 metri, che arrivano a 107 con la bellissima lan- terna di marmo, disegnata dal Brunelleschi nel 1436, e terminata solo nel 1472, dopo la sua morte, che avvenne nel 1446 (ill. 2). 3. Daniele Barbaro, Illustrazione della leva e delle macchine semplici, in I dieci libri dellarchitettura di M. Vitruvio, Venezia, 1567, libro X, p. 459. 4. Daniele Barbaro, Illustrazione delle macchine da cantiere, in I dieci libri dellarchitettura di M. Vitruvio, Venezia, 1567, libro X, p. 446.
10-11|1998-99 Annali di architettura Rivista del Centro internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza www.cisapalladio.org 279 Le macchine, per lo pi argani possenti e in- gegnose gru girevoli, concepite e utilizzate da Brunelleschi per questa impresa, che umanisti- camente eguagliava e superava quelle inarrivabi- li degli Antichi, pur protette dal segreto di bot- tega, da aniconiche come le voleva gelosamente mantenere il progettista, divennero modelli, in- nalzati dai contemporanei a livello di exempla 7 . Come tali furono riprodotte su carta e pergame- na e tramandate ai posteri dai disegni, oramai divenuti familiari, dei vari codici di Taccola e Francesco di Giorgio Martini, dallo Zibaldone di Bonaccorso Ghiberti, dal Taccuino senese di Giu- liano da Sangallo, dal Codice atlantico di Leonar- do da Vinci 8 . Circolarono da una generazione allaltra, con uneco continua e costante nella produzione grafica delle generazioni successive agli architetti del primo Quattrocento. Le tro- viamo infatti nei taccuini di bottega e nei codici manoscritti tardo quattrocenteschi, cinquecen- teschi e ancora seicenteschi, affiancate e fram- miste ai modelli degli ingenia classici, alla machi- natio vitruviana, alle macchine della prassi quo- tidiana e agli straordinari mulini, tirari ed alza- ri martiniani, unaltra fonte di exempla che eb- be una fortuna notevolissima 9 . La macchinaria brunelleschiana, che inau- gur quel clima di scientismo antiquario che, a partire dagli anni in cui Francesco di Giorgio scriveva i suoi trattati, si configur sempre pi nettamente come elaborazione parallela della cultura vitruviana, fu il pi delle volte riprodotta con una mancanza di precisione e con unap- prossimazione tecnica che pu sorprenderci tan- to la caratterizza. Soprattutto perch non riguar- da solo autori di basso profilo ingegneristico, co- me poteva essere Bonaccorso Ghiberti, nipote di Lorenzo, il rivale di Brunelleschi, che nel suo Zi- baldone riproduceva con una certa approssima- zione cholle, argani e gru girevoli rubate lette- ralmente con gli occhi sul cantiere della cupola e della lanterna, dove venivano apprestati circon- dandoli da grande segretezza. Ma comune an- che a grandi machinatores, come Leonardo da Vinci, o ai componenti della famiglia da Sangal- lo, che pur padroneggiando fin nei dettagli que- ste macchine riproducono schizzi e disegni ap- prossimativi con ruotismi non intesi nel loro funzionamento, movimenti bloccati, dimensio- namenti errati 10 . Come si spiega dunque questapparente con- traddizione? La risposta sta nel fatto che alla ba- se delloperato teorico e pratico degli artisti-in- gegneri che hanno una grande consuetudine con la realt di cantiere sta una radicata cultura uma- nistica. Questa produzione di macchine impos- sibili la palese riprova che i vari Sangallo, Ghi- berti, Francesco di Giorgio, Taccola, Leonardo e gli innumerovoli ingegneri e architetti anonimi che una generazione dopo laltra li seguirono, 5. Cesare Cesariano, Illustrazione delle macchine da cantiere, in Vitruvius, De Architectura, Como 1521, Liber X, p. clxv. 6. Fra Giovanni Giocondo, Gru detta antenna o stella, (Polyspaston scritto nella chiosa cinquecentesca sotto la xilografia), in M. Vitruvius per Iocundum solito castigator factus, Venezia 1511, Liber X, p. 96v.
10-11|1998-99 Annali di architettura Rivista del Centro internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza www.cisapalladio.org 280 consideravano le macchine messe in opera sul cantiere della cupola in termini umanistici. Era- no modelli secondo laccezione ciceroniana, mo- delli antiquari per la mimesis o imitatio e dunque exempla, sul cui funzionamento e leggibilit tec- nica prevaleva il concetto teorico e il valore spi- rituale. Riprodotti in disegno e copiati come una sorta di prodotto della memoria tecnologica col- lettiva, gli exempla quattro-cinquecenteschi fini- rono dunque per essere ritrascritti pi per il loro significato altamente simbolico, che per il poten- ziale tecnico e innovativo, che indubbiamente possedevano e che era pronto in ogni momento a germinare e dare i suoi frutti. Presso gli epigoni, per generazioni, assunsero il ruolo di topoi lette- rari della tecnica cantieristica e, riducendosi a pure esercitazioni intellettuali, elevarono lo status sociale di chi se ne impossessava da machinarius a quello superiore di architetto. La riproposizione di tali exempla incise inve- ce molto marginalmente sulleffettiva moderniz- zazione dei cantieri. Col tempo, nel suo pro- gressivo affermarsi come prodotto dellarte mec- canica e parte essenziale delle scienze matemati- che, la macchina divenne infatti sempre pi re- taggio delle discipline ingegneristiche e speciali- stiche, e alla fine del Rinascimento, questo pro- dotto, cerebrale per eccellenza in quanto nato, secondo la definizione del Barbaro, da un di- scorso che si fa prima nella mente, divenuto mirabile artificio e oggetto di ammirazione e spettacolo, si era trasformato in tipico prodotto del collezionismo di corte, e come tale popolava i teatri di macchine barocchi e, con modellini in scala tridimensionali, le Wunderkammer dei prncipi 11 . Macchine vitruviane per i cantieri di fabbriche ordinarie e deccezione Capacit di organizzare spazio e uomini e con- fronto razionale con le macchine, umanistica- mente intese, sono le doti principali richieste al- larchitetto-macchinatore del Rinascimento, se- condo la definizione che ne d Leon Battista Al- berti e che la lapide celebrativa, apposta nel duo- mo fiorentino nel 1446, riconosce a Filippo Bru- nelleschi, architetto eccellente nellarte di De- dalo 12 . Sul cantiere, inteso come luogo dove si esercita lars aedificatoria, palestra dove pos- sibile apprendere e formarsi, larchitetto deve non solo dirigere la fase costruttiva della fabbri- ca, generata dal suo progetto, ma anche paralle- lamente impegnarsi nella definizione di forme e parti dellopera architettonica attraverso il pro- cesso organizzativo del lavoro, mentre la macchi- na si configura come laboratorio e misura della possibilit scientifica dintervento delluomo sul- la natura. Le macchine scrive sempre lAlber- ti sono da considerare alla stregua di corpi ani- mati, provvisti di mani eccezionalmente forti e che per muovere pesi si comportano esattamente come ognuno di noi. Quindi occorre riprodurre con le macchine le stesse dimensioni e gli stessi ripiegamenti che noi facciamo con le membra e coi nervi nellappoggiarci, nello spingere, nel tirare e nel trasportare oggetti 13 . 7. Giovan Antonio Rusconi, Gru detta antenna o stella, in Della architettura, Venezia 1590, Libro X, p. 135. 8. Oreste Vannocci Biringucci, Gru detta antenna o stella, in Parafrasi di Monsignor Alessandro Piccolomini sopra le Meccaniche dAristotele, Roma 1582, p. 72.
10-11|1998-99 Annali di architettura Rivista del Centro internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza www.cisapalladio.org 281 E il cantiere rinascimentale, che intende emulare gli Antichi attraverso la metaforica ri- conquista dellequilibrio, riscopre il protago- nismo della macchina e con essa il principio ba- se del suo movimento, vitruvianamente e aristo- telicamente racchiuso nella leva, la macchina semplice eroniana che allorigine di tutte le al- tre: Tutto nasce dalla leva scrive Daniele Bar- baro nella sua traduzione e interpretazione della machinatio di Vitruvio e la leva dalla stadera e la stadera dalla bilancia e la bilancia finalmente dal- la propriet del circolo. [...E] la continua giratio- ne del mondo che Vitruvio dice essere come una machinatione et per anco si chiama la macchina del mondo 14 . Un pensiero reso esplicito dalla ta- vola del X libro che rappresenta appunto le mac- chine (ill. 3), dove la leva fa da protagonista, sia quelle di primo genere (la leva di Archimede in basso a sinistra) che di secondo e terzo genere con le sue applicazioni, circondata dalle macchi- ne semplici della meccanica. Si scorgono infatti, estremamente semplificati in questa figura: la bi- lancia, la stadera che pi presto mezza bilancia si pu chiamare 15 , la stanga a cui appeso cio bilanciato il peso, le carrucole o girelle, percorse dal canapo, due taglie accoppiate che formano il paranco, lantenna o stella con le quattro sartie fissate a terra per orientarla, una biga con verri- celli, cui sta appeso un blocco di pietra da issare in alto fissato con la tenaglia, riconosciamo inol- tre il cuneo e la coclea o vite senza fine (in alto a destra), per concludere la serie delle sei macchi- ne semplici eroniane con il piano inclinato, al centro in basso. Se a questa apologia della leva e delle macchine semplici aggiungiamo le machine tractorie illustrate dal patriarca dAquileia nel II capitolo del X libro (ill. 4), dove si scorgono la capra con le sue taglie, lulivella, le tenaglie sem- plici e autoserranti, largano orizzontale, il verri- cello e largano verticale, abbiamo una panora- mica completa delle principali macchine usate nei cantieri edili, sia per fabbriche ordinarie che per le straordinarie. Nella prassi quotidiana del cantiere architetti e maestranze operavano infatti con mezzi molto tradizionali anche quando si trattava di risolvere problemi notevoli di trasporto e di messa in ope- ra. Macchine tanto note e frequentate, come la capra e il falcone, gli argani, i curri, le ulivelle, la ruota calcatoria, le taglie e i paranchi, con il loro funzionamento elementare, non avevano ragione di essere descritte, n venivano ricordate nella trattatistica coeva; ogni architetto, ingegnere e praticante ne era perfettamente edotto e sapeva organizzarle razionalmente sul cantiere. Se cer- chiamo oggi di comprendere meglio il funziona- mento di queste macchine dalle tavole che i vari epigoni ed editori cinquecenteschi hanno dedica- to alloscuro, anicografo Vitruvio, limpresa pu risultare ardua: evidente infatti come anche i maggiori machinatores abbiano illustrato il laconi- co X libro del De architectura con tavole concet- tuali e aristocratiche, umanisticamente allusive pi che descrittive 16 . Basta vedere con quale sbri- gativo verismo risolve lillustrazione della machi- natio, Cesare Cesariano, che pure era giornal- mente alle prese con queste stesse macchine nel cantiere del duomo di Milano (ill. 5), o quanta schematica astrazione adotta un grande umanista e inventore di macchine come Fra Giocondo per rappresentare la diffusissima gru elementare chiamata antenna (ill. 6). Una macchina che pur illustrata con grande eleganza e drammaticit nelle tavole tardo cinquecentesche dellepitome vitruviana redatta da Giovan Antonio Rusconi, non acquista maggiore scientificit (ill. 7); men- tre al contrario diviene il delizioso pretesto per pure dimostrazioni matematiche nelle Parafrasi sopra le Mecaniche di Aristotile dellingegnere-arti- sta senese Oreste Vannocci Biringucci (ill. 8) 17 . 9. Piero di Cosimo, La costruzione di un palazzo, olio su tavola, ca. 1515-20 (The John and Mable Ringling Museum, Sarasota, Florida, Usa).
10-11|1998-99 Annali di architettura Rivista del Centro internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza www.cisapalladio.org 282 Nessuno infatti doveva da queste tavole impa- rare a costruire e rendere funzionante una gru co- me questa: a ci era delegata la prassi di cantiere. Limmagine serviva esclusivamente al lettore co- me erudito promemoria visivo per meditare sulla grandezza degli antichi, da emulare e superare, e per suscitare, il caso di tavole come questa, stu- pore e maraviglia, sentimenti strettamente le- gati alla pratica di cantiere, che stava diventando con sempre maggiore consapevolezza, soprattut- to per le grandi opere pubbliche depoca manie- rista e barocca, un cantiere-spettacolo. La spalliera conservata nel museo di Saraso- ta in Florida, attribuita a Piero di Cosimo, un olio su tavola risalente al primo ventennio del Cin- quecento, che mostra la costruzione di un palaz- 10. Giovanni Bettini da Fano, Il tempio malatestiano di Rimini in costruzione, in Basini Parmensis, Hesperis, libri XIII (Bibliothque de lArsenal, Paris, cod. 630, c. 126r). zo (ill. 9), come ho gi avuto modo di sottoli- neare 18 , la rappresentazione iconograficamente pi fedele di un cantiere vitruviano, direttamente riconducibile al tradizionale cantiere edile del Ri- nascimento, e al contempo unerudita metafora carica di significati simbolici. Unode allequili- brio e alla funzione della leva, che doveva essere chiaramente decodificabile dai machinatores fio- rentini contemporanei, come ad esempio i fratel- li Giuliano e Antonio da Sangallo, grandi amici del pittore, che secondo alcuni sono ritratti nei due personaggi a cavallo al centro del quadro 19 . Intorno al doppio palazzo, che sta per essere ter- minato, brulicano le attivit umane del cantiere edile, che riproduce in tutte le sue fasi e in pro- gressione logica, ordinata da sinistra a destra, il
10-11|1998-99 Annali di architettura Rivista del Centro internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza www.cisapalladio.org 283 ciclo vitruviano della costruzione: approvvigiona- mento e trasporto dei materiali da costruzione, lavorazione e messa in opera. Il trasporto dei materiali, legname, pietre, marmi, calce, sabbia , dai luoghi di produzione al cantiere avviene su vari tipi di carri, spinti a mano o tirati da coppie di buoi. Carri pesanti bi- lanciati, a due ruote e dalle alte stanghe tirate da una coppia di buoi trasportano sullo sfondo del palazzo (a destra) lunghi bordoni di legno, che vengono scaricati e ammonticchiati, per essere poi trasportarti a mano uno alla volta in bilico su due stanghe da quattro uomini, come si vede al centro del quadro. La grande sega a telaio fisso, manovrata dai due falegnami in primo piano, completa di garzone addetto alla raccolta della se- gatura, antichissima e perfetta nella rappresentazio- ne del suo funzionamento, sembra essere la de- stinazione del quartetto. Dalla carretta a bilico, a due ruote, a cui aggiogata una coppia di buoi, (in primo piano a sinistra) adatta a carichi pesan- ti, due operai e un garzone stanno scaricando un ponderoso blocco di pietra. Con la carretta a ma- no a due ruote si trasportavano invece carichi pi leggeri per brevi distanze: la vediamo al centro della tavola tirata da due uomini di spalle, assisti- ti da un terzo, col prezioso carico della statua da mettere in opera. Conclude la presentazione ge- rarchica dei mezzi di trasporto lumile ma fon- damentale barella, con la quale due manovali portano la calce alla vasca di raccolta, sulla de- stra, per lo spegnimento. La barella, insieme a ceste e corbelli era il mezzo pi comune per portar via la terra di scavo o far arrivare sulle im- palcature malta e mattoni da murare. Di ceste e grandi botti caricata anche la soma della caro- vana di muli raggruppati sulla destra, adibiti al trasporto di sabbia e acqua anche da grandi di- stanze. Le varie fasi di lavorazione, eseguite in loco dalle diverse maestranze, sotto la guida di ca- pimastri e architetti, con gli attrezzi specifici di ciascun mestiere, sono anchesse presentate in ordine, con logica conseguenza e grande preci- sione secondo i ruoli gerarchici dei vari protago- nisti del cantiere. Iniziando dallarchitetto, sulla destra, impegnato con il compasso in mano ad insegnare al giovane armato di squadra la manie- ra per modellare il fusto di una colonna, prose- guendo con i falegnami intenti a segare, trovia- mo al centro in primo e secondo piano tagliapie- tre e scalpellini, armati di sgorbie, martelline, mazzuoli e scalpelli, che lavorano sia alla produ- zione di pezzi ornamentali, capitelli e trabeazio- ni, che delle statue; seguono a sinistra i carpen- tieri che manovrano asce e tengono a portata di mano squadre, compassi, trivelle e succhielli. Per la fase di sollevamento protagonista di questo cantiere ununica e grande macchina, spettacolarmente raffigurata nel momento della posa in opera di una delle statue. Si tratta della classica gru vitruviana controventata, chiamata antenna o stella, o meglio in questo caso falco- ne, terminando con unasse traversale a T a dop- pia mensola e saette, provvista di argano mosso da ruota a timpano azionata da un calcante, che cammina allesterno della ruota per sfruttare al meglio il concetto di momento, e di robuste ta- glie e paranchi che permettono linnalzamento della scultura. La perizia tecnica con la quale illustrato il funzionamento della gru si spinge fi- no al dettaglio rappresentato dai quattro canapi che le fanno da controventatura, i venti ap- punto, di cui solo i due ancorati al terreno da so- lidi cavicchi sono in tensione, mentre gli altri sono allentati per il fatto che lantenna incli- nata verso il palazzo per permettere il corretto posizionamento della statua sul suo piedistallo. Gru di questo tipo, anche nella versione che sostituisce alla ruota con calcanti uno o pi ar- gani posti a terra (come quella fatta montare dallAlberti sul cantiere del suo tempio malate- stiano a Rimini, riprodotta fin nei dettagli nel noto disegno di Giovanni Bettini da Fano, roz- 11. Firenze, Palazzo da Uzzano in via de Bardi, particolare del bugnato di facciata con evidenti segni delluso della tenaglia per la posa in opera dei conci. 12. Firenze, Palazzo Pitti, cortile dellAmmannati, bassorilievo della Mula.
10-11|1998-99 Annali di architettura Rivista del Centro internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza www.cisapalladio.org 284 zo solo nellapparenza 20 (ill. 10), permettevano di sollevare e spostare i pesi secondo una verti- cale passante allesterno dellasse dappoggio, con un largo raggio di manovra; erano inoltre di facile montaggio e potevano raggiungere altezze considerevoli. In ci differivano dalle capre vi- truviane, le capre serrate, costituite da tre ro- buste assi legate insieme, provviste di verricello e paranco (ill. 4), che potevano alzare i carichi solo allinterno della base dappoggio, ma erano particolarmente duttili, pi facilmente montabi- li anche sulle impalcature di servizio e si poteva- no spostare alle diverse altezze del ponteggio. Entrambe, con il loro corredo di canapi, argani, verricelli, carrucole, taglie, paranchi, ulivelle e tenaglie autoserranti, che hanno lasciato pre- cisi segni sui paramenti in bugnato dei palazzi fiorentini (ill. 11) , erano molto usate nei can- tieri ordinari e straordinari. Per la costruzione di palazzo Strozzi, nel giu- gno1490, vennero rizzati unantenna e un falco- ne al canto dei Tornaquinci, la cui arditezza tec- nologica attir sul grande cantiere pieno di pol- vere, una folla di fiorentini incuriositi e incredu- li 21 . Per le monumentali aggiunte cinquecente- sche a palazzo Pitti, lAmmannati pot contare sulla fedelissima Mula. Il docile animale, lega- to allargano dellantenna, permise linnalza- mento e la messa in opera dei marmi, del legna- me e degli enormi blocchi di pietra forte, cavati nelle vicine cave di Boboli, come recita la lapide encomiastica e autocelebrativa dellabilit macchinistica dellarchitetto con la sua effigie marmorea murata a futura memoria allinterno del cortile del palazzo 22 (ill. 12). Altri antichissimi apparecchi di sollevamen- to, che venivano usati soprattutto per il trasbor- do dei carichi pesanti monoliti o grandi blocchi di pietra dalle barche ai carri e viceversa, sia in cava che al porto marittimo o fluviale darrivo, erano i mazzacavalli (ill. 13), impiegati anche in versione idrovora, per sollevare lacqua e co- nosciuti dagli arabi col nome di shaduf. Erano costituiti da un forte telaio di legname che so- steneva unantella provvista di argano sulla qua- le era fissata un lunga pertica bilicata che poteva ruotare di 360 ed era manovrata a mano diret- tamentamente da uno o pi uomini per mezzo di corde, come possiamo vedere in questa ver- sione semplificata ma piuttosto fedele disegnata da Giorgio Vasari il Giovane 23 . Per lo sposta- mento dei giganteschi blocchi di marmo che an- dava a cavare sulle Alpi Apuane e faceva scende- re per limbarco fino alla spiaggia di Carrara, Michelangelo utilizzava unicamente questa ele- mentare applicazione della leva, che riteneva es- sere la sola gru in grado di offrirgli valide ga- ranzie di sicurezza. Nel trasporto di carichi eccezionali, quando i carri non erano abbastanza forti e capienti o la cattiva condizione delle strade rischiava di met- terne a repentaglio lincolumit, si ricorreva alla lizzatura. Il monolite, imbracato in forti telai di legname, veniva fatto scorrere su curri; questi erano cilindri di legno, a volte forati allestre- mit per potervi introdurre sbarre di ferro con cui far leva ed agevolare la rivoluzione del cur- ro, quando non fossero stati sufficienti a pro- durla il gran peso del pezzo, lingrassatura dei curri stessi e la trazione a mezzo di canapi e ar- gani, esercitato dalla forza umana o animale (ill. 14), come si vede in questa incisione un po en- fatica ed evocativa di Jacques Besson, tratta dal suo Theatrum instrumentorum et machinarum, stampato a Lione nel 1578. Con la lizzatura, nel 1504, venne trasportato in piazza della Signoria 13. Giorgio Vasari il Giovane, mazzacavallo (in alto) e argano martiniano (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, ms. Magl. XVIII.2, c. 36r). 14. Jacques Besson, lizzatura, in Theatrum instrumentorum et machinarum, Lyon 1578.
10-11|1998-99 Annali di architettura Rivista del Centro internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza www.cisapalladio.org 285 il colossale David di Michelangelo da machinato- res illustri come Antonio da Sangallo il Vecchio, Simone del Pollaiolo detto il Cronaca e Bernar- do della Cecca. Condotto da quaranta uomini il colosso di 19 tonnellate slitt su quattordici cur- ri ingrassati per quattro giorni, penzolante sul suo robusto castello di legname, per compiere un tragitto di poco pi dun chilometro. La macchina territoriale: lingegneria per le grandi opere pubbliche La presenza indifferenziata nei fogli dei trattati darchitettura civile e militare quattro e cinque- centeschi di studi per macchine da guerra, idrauliche o da cantiere, ribadisce nei fatti las- soluta padronanza pluridisciplinare delle tecni- che ingegneristiche da parte degli artisti archi- tetti rinascimentali che, secondo la definizione di Cicerone, dovevano essere al contempo ar- chitetti e machinatores e nei confronti delle disci- pline architettoniche pensavano ed operavano secondo i parametri classici del vitruviano homo universalis. In ambito pi specificamente fiorentino, lo studio dellabbondante produzione trattatistica locale, nel permettere un serrato confronto fra i generi, ci d la conferma che la sperimentazio- ne, seppur empirica, affiancata allo studio e al- 15. Cosimo Bartoli, Battipalo (Biblioteca Nazionale Centrale, Firenze, ms. E.B.16.5. (II), c. 69v). 16. Bonaiuto Lorini, Strumento et ordine facilissimo per portar dentro la terra, da terrapienar le fortezze, in Le fortificationi, Venezia, 1609, Libro V, cap. X, p. 220. linterpretazione delle fonti classiche, fu molto vivace in questa citt tradizionalista e si applic, soprattutto nel corso del Cinquecento, ai cantie- ri delle fabbriche legate alle grandi opere pub- bliche e alle infrastrutture urbane e territoriali. Opere di difesa e di aggiornamento tecnolo- gico erano rese urgenti dalla precariet degli equilibri politici e per affrontare questi problemi con le armi scientifiche della Matematica, stava prendendo corpo una nuova figura dellingegne- re, al contempo militare e idraulico, che riusciva ad imporrre alla committenza i suoi preziosi ser- vigi in modo direttamente proporzionale alla sua capacit di aggiornamento tecnico scientifico e di adattamento della prassi tradizionale alle nuo- ve esigenze tecnologiche. Fu infatti nel campo delle discipline strettamente congiunte dellinge- gneria militare e dellidraulica, che pi che altro- ve si sentirono gli effetti benefici degli scambi di tecnici e del travaso di conoscenze matematiche e meccaniche tra Firenze e gli altri grandi centri di cultura, sia italiani come Venezia, la prima in assoluto, Milano, Ferrara, Urbino e naturalmen- te Roma, che stranieri, tedeschi innanzi tutto, poi fiamminghi e francesi. La trasformazione dei perimetri delle mura urbane seguita allintroduzione rivoluzionaria del fronte bastionato, incise massicciamente su
10-11|1998-99 Annali di architettura Rivista del Centro internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza www.cisapalladio.org 286 forma, materiali, tecnica costruttiva e organizza- zione del cantiere militare 24 , ma ebbe un ruolo molto marginale sullutilizzo negli stessi cantieri delle macchine. Labbondanza di mano dopera coatta, ottenuta attraverso il sistema delle co- mandate e il lavoro degli schiavi, permetteva in- fatti di compiere lavori ciclopici, comerano i grandi spostamenti di terra e le chilometriche opere murarie tipiche di queste architetture, in- troducendo nel cantiere pochissime macchine elementari. Queste si limitavano a piccole burbe- re, mazzaranghe per costipare la terra, manovra- te a mano da uno o due uomini, e solo alloccor- renza battipali per fondazioni, come quello dota- to di sgancio automatico disegnato da Cosimo Bartoli, utilizzabile anche per fondare in acqua (ill. 15), oltre a pompe aspiranti e prementi per liberare gli scavi dalle acque. Se in alcuni sontuo- si trattati di architettura militare si trovano in- venzioni pi o meno complesse per meccanizza- re i cantieri delle fortificazioni, come il noto stru- mento per portar dentro la terra da terrapienar le fortezze pubblicato da Bonaiuto Lorini, un ingegnere fiorentino emigrato a Venezia 25 (ill. 16), questi ed altri macchinosi ingegni, che si proponevano per cantieri aperti in tempo di pa- ce, ben diversi da quelli usuali, allestiti in gran fretta sotto lassillo della guerra immanente o in atto, queste macchine inusitate, testimonianza dello sperimentalismo e dellempiria del tempo, erano progettate pi per impressionare favore- volmente i potenziali committenti, che per esse- re effettivamente messe in opera nei cantieri di quelle grandi macchine belliche che furono le mura urbiche e le nuove fortezze. Anche nei cantieri dei lavori pubblici e in quelli legati alla magnificenza della corte, aperti in tempo di pace, il massiccio ricorso al lavoro coatto e la naturale abbondanza di lavoratori, spesso impiegati dal principe nelle grandi opere da lui ordinate, per sfuggire la fame e i disordini dei periodi di carestia, permettevano di intra- prendere imprese colossali con mezzi minimi e di limitare luso delle macchine allo stretto indi- spensabile, mentre sul piano della sperimetazio- ne e della produzione scientifico-letteraria il li- vello si manteneva particolarmente alto e molto stimolante. Nelle opere di bonifica, nella costru- zione di acquedotti, nello scavo di canalizzazio- ni, nella regimentazione dei fiumi, o nella co- struzione di strade, luso delle macchine era al- quanto parco e limitato a quelle del cantiere tra- dizionale, con laggiunta, ma solo in casi partico- lari e soprattutto per la costruzione di porti e di ponti, di cavafango e nettacanali, di macchine idrovore e ingegni per sollevare lacqua, con forti connessioni con il settore attiguo delleconomia rurale, in particolare con i mulini, e con quello importantissimo dellindustria mineraria 26 . Questa cultura ingegneristica dalle forti con- notazioni umanistiche, nata allombra della cu- pola, coltivata dalla prassi di cantiere e dalla fre- quentazione di testi classici e di moderni exem- pla, messa incessantemente in circolo apr la strada ai grandi ingegneri idraulici del Cinque- cento. Artisti come Tribolo, Buontalenti, Am- mannati, i Parigi che riscoprirono i testi antichi di Erone e Frontino per applicarli alle ornatissi- me fontane pubbliche e agli strabilianti giuochi dacqua dei giardini e dei parchi granducali da loro progettati. Questo in una citt dove lacqua era sempre stata misurata con grande parsimo- nia e dove, per coerenza, la sua pi antica rap- presentazione in pianta, era contraddistinta da una veristica scena di cantiere legata alla regi- mentazione del fiume (ill. 17). 17. Francesco di Domenico Rosselli (attr.), Firenze, veduta detta della catena, ca. 1471-82, xilogr. In primo piano sullArno, alla Pescaia di Santa Rosa, montato una castello di legname dove in azione un battipalo.
10-11|1998-99 Annali di architettura Rivista del Centro internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza www.cisapalladio.org 287 1. G. Del Rosso, Edificatoria. Della neces- sit di riformare largano comune per uso delle fabbriche e dei vantaggi che per essa riforma ne risultano, estr. da Giornale dei letterati, Pisa 1822, in Biblioteca Ric- cardiana, Firenze, Misc. 487.3, pp. 1-12. 2. Vedi C. Cresti, Giuseppe Del Rosso: ar- chitetto fiorentino fra rivoluzione e restaura- zione, in Dalla libreriola dellarchitetto fio- rentino Giuseppe Del Rosso. Libri, mano- scritti, disegni, (cat. mostra), Firenze, 1983, pp. 13-15. 3. Del Rosso, Edificatoria..., cit. [cfr. nota 1], p. 4. 4. Per lepoca rinascimentale largomen- to stato trattato egregiamente da R. A. Goldthwaite, La costruzione della Firenze rinascimentale, Bologna. 1984 (ed. orig.: The Building of Renaissance Florence. An Economic and Social History, Baltimore, 1980). 5. Vedi in particolare i cataloghi delle fondamentali mostre curate da P. Gal- luzzi: Prima di Leonardo. Cultura delle macchine a Siena nel Rinascimento, (Siena 1991), Milano 1991; Gli ingegneri del Ri- nascimento da Brunelleschi a Leonardo da Vinci, (Firenze 1996-97), Firenze 1996; e precedentemente la mostra monografica su Lonard de Vinci, ingnieur et architec- te, (Muse des Beaux Arts, Montral 1987), Montral 1987; inoltre (scusan- domi fin dora per le numerose ma ine- vitabili autocitazioni): D. Lamberini, Costruzione e cantiere: le macchine, in Ri- nascimento da Brunelleschi a Michelangelo. La rappresentazione dellarchitettura, (cat. mostra, Venezia, 1994), a cura di H. Millon, V. Magnago Lampugnani, Mila- no 1994, pp. 478-490; ead., Macchine da cantiere nella Firenze del primo 500: lere- dit brunelleschiana tra imitatio, re-in- venzioni e continuit tecnica, in M. Dezzi Bardeschi, La difficile eredit. Architettu- ra a Firenze dalla Repubblica allassedio, Firenze 1994, pp. 106-121; ead., Il can- tiere e larchitetto: cultura tecnica e utilizzo delle macchine nellarchitettura del Rinasci- mento, in Quaderni di Palazzo Grassi, in corso di stampa. 6. Si rimanda al recente L. Ippolito, C. Peroni, La cupola di Santa Maria del Fio- re, Roma 1997, con ampia bibliografia. 7. Sulleffettiva presenza in cantiere dei modelli di macchine, costruiti da Brunel- leschi con i materiali pi disparati, vedi ibidem, pp. 15 e sgg., con rimandi biblio- grafici. Sulla consuetudine di disegnare le macchine in assonometria cavaliera traendole dai modelli, vedi D. Lamberi- ni, Machines in perspective: Technical Drawings in Unpublished Treatises and No- rebooks of the Italian Renaissance, in The Treatise on Perspective: Published and Un- published, National Gallery of Art, Wa- shington, Symposium, 7-8 November 1997, in corso di stampa. 8. Vedi in part. i cataloghi Prima di Leo- nardo, cit., e Gli ingegneri del Rinascimen- to, cit. e in gen. la bibl. cit. alla nota 5, cui si rimanda. 9. Ibidem, inoltre D. Lamberini, La fortu- na delle macchine senesi nel Cinquecento, in Prima di Leonardo..., cit. [cfr. nota 5], pp. 135-146; e Ead., Schede n. 99, 102, 106, in Rinascimento da Brunelleschi a Miche- langelo..., cit. [cfr. nota 5], pp. 486-490. 10. Ibidem, scheda n. 99, p. 486, e Lam- berini, Macchine da cantiere nella Firenze del primo 500..., cit. [cfr. nota 5], pp. 108-113. 11. Cfr. Lamberini, La fortuna delle mac- chine senesi nel Cinquecento, cit., [cfr. nota 9] e ead. Machines in perspective..., cit. [cfr. nota 7]. 12. Nel prologo del De re aedificatoria scri- ve lAlberti: Architetto chiamer colui che con metodo sicuro e perfetto sappia progettare razionalmente e realizzare praticamente, attraverso lo spostamento dei pesi e mediante la congiunzione e riunione dei corpi, opere che nel modo migliore si adattino ai pi importanti bi- sogni delluomo, vedi L. B. Alberti, Larchitettura, a cura di G. Orlandi, P. Portoghesi, Milano, 1966, I, p. 6. Il testo della lapide commemorativa di Brunelle- schi, posta lungo la navata destra di San- ta Maria del Fiore a Firenze su testo di Carlo Marsuppini recita: D.S./ QUAN- TUM PHILIPPUS ARCHITECTUS AR- TE DEDALEA VALVERIT CUM HUIUS CELEBERRIMI/ TEMPLI MI- RA TESTUDO TUM PLURES MACHI- NAE/ DIVINO INGENIO ABEO ADIN- VENTAE DOCUMEN/ TO ESSE POS- SUNT QUAPROPTER OB EXIMIAS SUI/ ANIMI DOTES SINGULARES VIRTUTES XV KL./ MAIAS ANNO M CCCC XLVI EIUS B M CORPUS IN HAC/ HUMO SUPPOSITA GRATA PA- TRIA/ SEPPELLIRI IUSSIT. 13. Ibidem, libro VI, capitolo VIII. 14. M. Vitruvio, I dieci libri di architettura tradotti e commentati da Mons. Daniel Bar- baro, Venetia 1567, libro X, proemio, pp. 440-441; vedine led. a cura di M. Tafuri, M. Morresi, Milano 1987. 15. M. Vitruvio, I dieci libri di architettu- ra, cit. [cfr. nota 14], p. 453; vedi anche V. Fontana, Il Vitruvio del 1556: Barba- ro, Palladio, Marcolini, in Trattati scientifi- ci veneti fra il XV e il XVI secolo, Vicenza 1985, pp. 59-60. 16. Cfr. il fondamentale P.N. Pagliara, Vitruvio da testo a canone, in Storia dellar- te italiana, III, Memoria dellantico nellar- te italiana, a cura di S. Settis, Torino, 1986, pp. 5-85. 17. Si veda rispettivamente: [C. Cesa- riano], Di Lucio Vitruvio Pollione de Ar- chitectura Libri Dece traducti de latino in Vulgare affigurati, Commentati & con mi- rando ordine insigniti, (Como 1521), p. CLXV; [Fra Giovanni Giocondo], M. Vitruvius per Iocundum solito castigator factus, cum figuris et tabula, ut iam legi et intellegi possit, (Venezia 1511), p. 96v.; A. Rusconi, Della architectura di Gio Anto- nio Rusconi, Con Centosessanta Figure Dis- segnate dal Medesimo, Secondo i Precetti di Vitruvio, Libri dieci, Venetia MDXC, p. 135; O. Vannocci Biringucci, Parafrasi di Monsignor Alessandro Piccolominiso- pra le Meccaniche di Aristotele, tradotta da O.V.B., gentiluomo senese, Roma 1582, p. 72. 18. Lamberini, scheda n. 86, in Rinasci- mento da Brunelleschi a Michelangelo..., cit. [cfr. nota 5], pp. 479-480; e ead., Macchi- ne da cantiere nella Firenze del primo 500..., cit. [cfr. nota 5], pp. 120-121. 19. P. Tomoroy, Catalogue of the Italian Paintings before 1800, The John and Ma- ble Ringling Museum of Art, Sarasota, Fl., 1976, p. 14. 20. Giovanni Bettini da Fano, Il tempio malatestiano di Rimini in costruzione, in Basini Parmensis, Hesperis, libri XIII, Pa- ris, Bibliothque de lArsenal; vedi D. Lamberini, scheda 98, in Rinascimento da Brunelleschi a Michelangelo, cit. [cfr. nota 5], pp. 485-486. 21. L. Landucci, Diario fiorentino dal 1450 al 1516, Firenze, 1883, p. 59: E a d 2 di giugno 1490 si rizz lantenna e l falcone da tirare su le pietre, pure qui in sul canto [dei Tornaquinci]. 22. La dedica in latino del celebre bas- sorilievo della Mula di palazzo Pitti re- cita: Lecticam, Lapides et marmora, Li- gna, Columna / Vexit, conduxit, traxit et Ista tulit; vedi D. Lamberini, Bartolo- meo Ammannati: tecniche ingegneristiche e macchine da cantiere, in Bartolomeo Am- mannati, scultore e architetto 1511-1592, a cura di N. Rosselli Del Turco, F. Sal- vi, Firenze 1995, pp. 349-356:351. 23. Questa versione del mazzacavallo di Giorgio Vasari in Giovane, in Bibliote- ca Nazionale Centrale, Firenze, ms. Magl. XVIII.2, c. 36r., una copia dal Codicetto vaticano di Francesco di Gior- gio Martini, vedi per i dettagli sullattri- buzione e la datazione, Lamberini, scheda I.k.9, in Prima di Leonardo..., cit. [cfr. nota 5], p. 238. 24. Cfr. D. Lamberini, Il cantiere delle for- tificazioni nella Toscana del Cinquecento, in Les chantiers de la Renaissance. Actes du Colloque tenu Tours en 1983-84, a cura di J. Guillaume, Paris 1991, pp. 227-235. 25. Buonaiuto Lorini, Delle fortificationi di B. L., nobile fiorentino, nuovamente ri- stampatecon laggiunta del sesto libro, Venetia 1609; una prima versione in cinque libri era uscita a Venezia nel 1596; diverse versioni di questa macchi- na, con carrelli, o catene di ceste e cas- sette furono proposte da Agostino Ra- melli nel suo trattato, Le diverse e artifi- ciose macchine, pubblicato a Parigi nel 1588, che non a caso uno dei prodotti pi cortigiani e visionari del sec. XVI. 26. Si veda in part. la splendida serie di mulini, pistrini e altre macchine idrauliche legate allagricoltura, dise- gnate da un anonimo disegnatore-inci- sore fiammingo e illustrate nel ms. di Bernardo Puccini, Palatino 1077 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firen- ze, redatto tra il 1565-75, cfr. D. Lam- berini, Tradizione tecnica e plagio nei di- segni della machinatio vitruviana di ma- trice fiorentina, in Documentary Culture. Florence and Rome from Grand-Duke Fer- dinand I to Pope Alexander VII, ed. E. Cropper, G. Perini, F. Solinas, Bologna 1992, pp. 141-163; e il sesto libro del trattato De re metallica libri XII, Basilea, 1561 del tedesco Giorgio Agricola, ri- pubblicato in ed. it. sempre a Basilea nel 1563; vedine led. a cura di P. Mancini, E. Mesini, (anast.) Roma 1959.
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