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provenienza, estrazione,
tecniche edilizie
Di Monica Giuliano
2010
Nona parte
www.vesuvioweb.com
Università degli Studi
Suor Orsola Benincasa
Napoli
FACOLTA' DI LETTERE
CORSO DI LAUREA
IN
CONSERVAZIONE DEI BENI CULTURALI
TESI DI LAUREA
in
Matricola 002000836
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3. LE TECNICHE EDILIZIE
3.1. INTRODUZIONE
Nell’articolo del Lugli del 1959 dal titolo Opus Incertum,156 nei Rendi-
conti dell’Accademia Nazionale dei Lincei, in risposta alle critiche del
Lamboglia riguardanti il suo volume La Tecnica Edilizia Romana, espresse
sulla “Rivista di Studi Liguri” del 1958 nell‟articolo intitolato Opus Cer-
tum,157 in cui il Lamboglia allude a “quegli elementi intrinseci, spesse volte
matematici ed infallibili, che nascono dal contatto fra il monumento ed il
terreno e che derivano dal riconoscimento attento della stratigrafia”, il Lu-
gli mostra come cosa del tutto “elementare che la ceramica, le monete ed
ogni altro elemento che presenti una datazione sicura, rinvenuto negli strati
sottostanti le fondazioni -e mai rimossi- di un edificio offrano un terminus
post quem per la datazione dell‟edificio stesso”. Il Lugli sottolinea, inoltre,
quanto sia difficile per una mole enorme di monumenti, scavati
“scientificamente” e completamente, tirare delle conclusioni da inserire in
un manuale di carattere generale, pur esistendo, per quelli romani in parti-
colare, una cospicua letteratura (passi di autori o epigrafi); per cui l‟unico
indizio che può dirci qualcosa è la loro struttura e tecnica muraria. E conti-
nua dicendo: “E allora i casi sono due: o studiare questa struttura e questa
tecnica col metodo comparativo, partendo dagli edifici in qualche modo da-
tati (e qui entra anche la loro stratigrafia) per arrivare a quelli interamente
anonimi; oppure abbandonare qualunque studio topografico che non sia
accompagnato da uno scavo in profondità, e cambiare mestiere”.
Nel presente lavoro, pur tenendo conto dell‟opera del Lugli e della lette-
ratura sull‟argomento, verranno analizzate le tecniche edilizie attendendosi
alla più recente sintesi di Adam, L‟arte di costruire presso i Romani (2003),
sicuramente più vicina al Durm e allo Choisy, prescindendo da rigide griglie
cronologiche che finiscono per imprigionare materiali e tecniche in uno sta-
tico schematismo.
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detto da Vitruvio (cfr. II, 7) lapis o semplicemente saxum, che si può tradur-
re con “pietra da taglio”,161 oppure “pietra adatta a essere squadrata” (saxum
quadratum) e perciò in contrapposizione con silex che significa “pietra du-
ra” e che comprende tanto la lava basaltica di natura vulcanica, quanto la
roccia calcarea e il travertino162 di natura sedimentaria. Il silex è appunto il
secondo modo di costruire indicato da Vitruvio, altrimenti detto lapis durus.
Adoperato particolarmente nei paesi a fondo roccioso, è il sistema comune-
mente chiamato ciclopico, pelasgico o poligonale sul quale Vitruvio non si
sofferma perché quasi del tutto abbandonato al suo tempo per gli edifici ur-
bani, ma ancora usato in campagna, nei terrazzamenti agricoli, nei basa-
menti di ville, nei ponti, nelle sostruzioni di strade e in qualche caso spora-
dico nelle mura di città provinciali (Ampurias).
Per finire, con la parola silex gli antichi intendevano designare la mura-
tura fatta integralmente di pietra dura a grandi blocchi, difformi per volume
e per taglio, l‟opera poligonale detta appunto opus siliceum.
161 Lapidicinae o lapicidinae (da lapis e caedo) sono dette le cave dalle quali viene estratto il materiale.
162 Che Vitruvio intenda per silex anche il calcare e il travertino si ricava dal passo II, 5, I, dove distingue
due generi di saxa dai quali ricavare la calce mediante cottura; quello bianco, più compatto e più duro,
detto cristallino o più comunemente calcare, preferito per l‟interno dei muri, e quello fornito di profonde
cavità e più poroso, di origine sedimentaria, detto zoogenico o alocalcare, come il travertino, preferito per
gli intonaci. Al suo tempo sembra non fosse ancora in uso, per la malta da rivestimento, la calce ottenuta
dalla macinazione del marmo bianco statuario, che era la migliore. Questa denominazione è corroborata da
due versi di Ovidio nelle Metamorfosi (VII, 107 sg.), dove i silices polverizzati nella fornace non possono
essere altro che le pietre calcaree e da Plinio (Nat. Hist., XXXVI, 171). Il nome silex è usato spesso anche
per la pavimentazione delle strade.
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solo con la superficie esterna levigata (nella Pompei della c.d. età Sannitica
le tabernae in opus caementicium avevano il rivestimento in opus incertum
lasciato grezzo).
Nel passo ora citato, Vitruvio vuol dimostrare che, nonostante la ristret-
tezza delle aree, Roma aveva delle ottime case, le quali si estendevano pre-
valentemente in altezza, essendo costituite da robusti muri maestri formati
in tre modi: da pilae lapidae, cioè da pilastri di blocchi di pietra squadrata;
da pareti fatte di mattoni cotti o crudi; e da pareti di opera cementizia, rive-
stita, nella maggior parte dei casi, con blocchetti poligonali (opera incerta) o
con tessere piramidali tronche (opera reticolata).
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Vitruvio (II, 8, 17) ci informa inoltre che a Roma i lateres (crudi) erano
poco usati, perché richiedevano muri di un considerevole spessore (46-60
cm), cosa non possibile a causa dello spazio assai limitato, fu per questo che
le case civiche venivano costruite con la tecnica dell’opus craticium che era
però assai fragile e soggetta a crolli.
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difetti, era ancora usato a Roma verso la fine della repubblica e Vitruvio lo
dice ottimo se bene protetto dalle intemperie; seguono poi l‟opera cementi-
zia e la quadrata, ormai note. Manca l‟opera poligonale perché non più ado-
perata nelle fabbriche urbane.
Bisogna a questo punto fare alcune riflessioni sul valore che Vitruvio dà
alle parole opus e structura, le quali si incontrano in ogni passo della sua
Architectura.
167 Cfr. PLINIO, Nat. Hist., XVI, 225 e VARRONE, De re rust., III, I, 10.
168 Cfr. PLINIO, Nat. Hist., XXXVI, 176-177, 183.
169 Cfr. PLINIO, Nat. Hist., XXXVI, 187: similiter fiunt spicata testacea.
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incerta (ibid.) . Queste ultime due sono, secondo Vitruvio, le structurae per
eccellenza, collegate con l‟opera cementizia.
170 Cfr. Corpus Inscr. Lat., VIII, 9026-27, 9109, 20745, 20743=Dessau, 3801, 8096, 5460, 4431.
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Per uniformare la nomenclatura antica e facilitare l’identificazione dei
vari sistemi costruttivi nelle moderne descrizioni, l‟ampia letteratura
sull’argomento si è attenuta all‟uso già invalso da tempo di chiamarli col
sostantivo opus, con riferimento al paramento esterno, detto anche cortina e
in latino corium o lorica.
Così, ad esempio, con opus quadratum verrà designato sia il sistema co-
struttivo formato interamente di blocchi parallelepipedi, sia quello costituito
da un nucleo interno di opera cementizia, rivestito all‟esterno con blocchi
parallelepipedi, qualunque sia la pietra adoperata; e così ancora con opus
reticulatum, opus incertum e opus testaceum verrà indicata l‟opera cementi-
zia con il paramento formato o di cubilia (tessere a base quadrata), o di cae-
menta simili a quelli dell’interno, o di tegulae (tegole o mattoni); e così via.
Di seguito saranno passate in rassegna le varie tecniche edilizie suddivise
in: strutture a grandi blocchi, strutture miste e strutture con pietre di piccole
dimensioni. Prima di analizzare ciascuna tecnica è opportuno fare delle ri-
flessioni sull‟opera cementizia che è alla base di quelle sopra citate.
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structura e molli caemento (II, 8, 5), structura caementicia, caemento-
rum, caementicium opus (II, 4, 1; II, 8, 16; V, 5, 7; VI, 8, 9; ecc.).171
I Romani introdussero la malta di calce nella loro architettura in un‟epoca
che si può solo genericamente situare alla fine del III secolo a.C. Sembra
che l‟influsso orientale o ellenistico, che il Lugli172 nega in base a una diffe-
renza di impasto della malta di produzione orientale rispetto a quella italia-
na, abbia interessato innanzitutto l‟Italia meridionale e centrale, e precisa-
mente la Campania e il Lazio, due regioni in cui non soltanto si trova il cal-
care adatto alla preparazione della calce, ma anche abbondante pozzolana
per la preparazione delle malte migliori.
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Basandosi sugli studi del Maiuri sulle mura pompeiane178 e su quel parti-
colare tipo di case sannitiche dette ad atrio calcareo,179 il Lugli colloca
l‟inizio dell‟opera cementizia a Pompei fra il 300 e il 250 a.C., consideran-
do la città campana come una delle prime in Italia. Da Pompei la structura
caementicia si sarebbe rapidamente estesa a tutta Italia, in un‟epoca in cui i
rapporti fra nord e sud, e specialmente fra Roma e la Campania, erano mol-
to sviluppati, come dimostra la costruzione della via Appia avvenuta quasi
un secolo prima.
Dobbiamo ancora ricordare che nella Campania era assai rinomato il la-
pis puteolanus, prodotto dai giacimenti di cenere eruttata dai crateri Flegrei,
che formava una perfetta coesione con la calce ricavata dai sedimenti calca-
rei della valle del Sarno e con la cruma vesuviana.180
Nelle case più antiche, come la casa del Chirurgo (fine IV secolo
a.C.),181 di Sallustio (III secolo a.C.), del Menandro (III secolo a.C.), del
Fauno (inizi del II secolo a.C.), del Centenario (metà II secolo a.C.), per ci-
tarne alcune, i muri laterali e quelli interni (poiché le facciate erano in gran-
di blocchi di calcare o di tufo) sono in muratura di pietra o in opus africa-
num, con riempimento di pietrisco legato con una malta molto terrosa, re-
cante però anche alcuni noduli di calce, segno che di quest‟ultima si cono-
sceva l‟uso, ma al tempo stesso segno anche di una preparazione scadente
del materiale.182 Nei grandi monumenti eretti alla fine dell‟indipendenza
della città, come il tempio di Giove costruito intorno al 150 a.C., le terme
Stabiane ricostruite alla fine del
come scaturito da un fenomeno di emergenza effettivamente stavolta “temporaneo”. Alcune spie di questo
sciame sismico ci sono state fornite dalle fonti, che peraltro ancora ricordano puntualmente un terremoto
che fece crollare nel 64 a Napoli il teatro dove si era esibito Nerone. Su alcune iscrizioni riferite a restauri
effettuati su edifici (teatro di Nocera, orologio di Sorrento, monumento imprecisato di Napoli, tempio del
Genio della Colonia a Nola) si parla di interventi effettuati dopo i “terremoti”e, d‟altra parte, Plinio il Gio-
vane proprio nel darci il racconto dell‟eruzione vesuviana, esordisce dicendo che c‟erano stati a Miseno e
per alcuni giorni ripetuti movimenti sismici, dei quali tuttavia non ci si era preoccupati molto, essendo il
terremoto alquanto solitus in Campania. Per il terremoto del 62 cfr.: MAIURI 2001; ANDREAU 1984; ADAM
1986, pp. 67-87. Sull‟attività sismica a Pompei tra il 62 e il 79 d.C. cfr.: AA.VV., Archäologie und Sei-
smologie. La regione vesuviana dal 62 al 79 d.C. Problemi archeologici e sismologici, München 1995, in
particolare i contributi di: SCHEFOLD, pp. 15-16; JACOBELLI, pp. 17-21; MARTURANO-RINALDIS, pp. 131-
135; RENNA, pp. 195-199; PAPPALARDO, pp. 191-194.
177 ADAM 2003, pp. 82 sgg.
178 MAIURI 1930, pp. 113-256.
179 MAIURI 2001; MAIURI 1949, p. 85.
180 LUGLI 1957, pp. 379-385.
181 C. Chiaramonte Treré, Sull‟origine e lo sviluppo dell‟architettura residenziale di Pompei sannitica, in
Acme, XLIII, 3, 1990, pp. 5-34.
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II secolo a.C. e la grande basilica del Foro del 120 a.C. circa, troviamo
murature legate con una malta di eccellente qualità, specialmente nelle co-
lonne in laterizio della basilica (Figg. 67, 68).
Figura 67. Opus caementicium con Figura 68. Opus caementicium con malta di buona qua-
malta terrosa e materiali molto etero- lità e ottima coesione fra gli elementi (Pompei, tempio
genei (Pompei, VIII, 5, 24). dei Lari Pubblici)
È interessante notare che questa tecnica edilizia, che non ricorreva più ai
blocchi squadrati di grandi dimensioni – ancora in uso ma riservati alle parti
nobili degli edifici –, bensì a minuti frammenti di pietra sommariamente ta-
gliati, comincia ad affermarsi proprio nel momento in cui l‟Italia, con le vit-
toriose campagne condotte contro i Cartaginesi ( tra la fine della seconda e
l‟inizio della terza guerra punica), contro i Greci (vittoria su Filippo V nel
197 a.C., su Antioco III nel 190 e nuovamente sui macedoni nel 146) e con-
tro la Spagna (vittoria di Numanzia nel 133), può beneficiare di un conside-
revole apporto di manodopera servile.
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particolare all‟estrazione e al taglio delle pietre, compiti che richiedevano
un brevissimo apprendistato. Allo stesso modo la messa in opera dei cantieri
poteva essere effettuata da operai non specializzati, guidati da un capoma-
stro che dirigeva il lavoro. Grazie a questa rigorosa divisione del lavoro,
fondata sull‟uso di materiali prefabbricati adattabili a edifici di qualsiasi di-
mensione e destinazione (come accadrà anche con i mattoni), i Romani si
avviano a fare dell‟architettura, fino ad allora riservata prevalentemente ai
santuari e alle fortificazioni, un‟arte universale, con tempi d‟esecuzione
straordinariamente brevi.183
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Questa idratazione, o spegnimento, si fa immergendo nell‟acqua le pie-
tre, che a questo punto iniziano a sciogliersi, rigurgitano e liberano un forte
calore, trasformandosi infine in una pasta che è la calce spenta. Questa cal-
ce viene mischiata con gli aggregati (o inerti) e si ottengono le malte.
Va tuttavia notato che la presenza di altri corpi sensibili alla reazione chi-
mica, in particolare l‟argilla contenente silicato di alluminio, può provocare
qualche mutamento sia nello spegnimento che nella cristallizzazione e ren-
dere diversa la natura del prodotto finito.
“Il forno a calce sia largo 10 piedi e alto 20; sulla sommità riducete la
larghezza di 3 piedi. Se per cuocere usate una sola bocca, allora sistemate
una grande cavità all‟interno, tale da contenere la cenere, così che non ci
sia bisogno di tirarla fuori; fate in modo che la suola occupi interamente la
superficie inferiore del forno. Se cuocete con due bocche non c‟è bisogno
della cavità; quando occorrerà tirar fuori la cenere lo potrete fare attraver-
so una delle bocche, e nel frattempo il fuoco si sarà conservato nell‟altra.
Fate in modo che il fuoco non si spenga mai, né di notte né in qualsiasi al-
tro momento. Caricate il forno con pietre di buona qualità, le più bianche e
meno macchiate possibile. Quando costruite il forno, date ai pozzetti una
forte inclinazione; quando avete scavato a sufficienza, sistemate il focolare
in modo che sia il più profondo e meno esposto al vento possibile; se non
disponete di un posto adatto per fare un forno molto profondo, allora co-
struite la parte alta in mattoni o in pietra, con malta, e rivestitela
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esternamente. Acceso il fuoco, se vedete che le fiamme escono altrove che
dall‟apertura circolare sulla sommità, chiudete i fori con malta. Evitate
che il vento entri dalla bocca e soprattutto il vento del Sud. Ecco in che mo-
do vi accorgerete che la calce è cotta: è necessario che le pietre più alte
siano cotte, allora quelle in basso, cotte anch‟esse, cederanno e la fiamma
farà meno fumo”185 (Fig. 69).
Figura 67. Restituzione sche-
matica della fornace a calce di
Catone (Fonte: Adam 2003).
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3.3.2. LE MALTE
Tuttavia, per avere un’idea più esatta di quella che era la media delle
murature, è sufficiente prendere atto dell’estrema fragilità di molti edifici
liberati dagli strati di terra che li avevano protetti, e il cui consolidamento
appariva immediatamente problematico. A questo proposito Pompei è alta-
mente illuminante; i muri delle case risultano quasi tutti molto mediocri al
di sotto di un rivestimento di livello altissimo, e anche le malte usate
nell’ultima fase edilizia della città risultano poco accurate e terrose.188
Vitruvio ci fornisce chiare raccomandazioni per l‟uso e precise indicazioni
che rappresentano una smentita all’idea che esistesse un segreto gelosamen-
te conservato dai costruttori romani, e le analisi effettuate hanno ampiamen-
te dimostrato che le sue prescrizioni corrispondono a una realtà pratica am-
piamente applicata.189
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testam tunsam et succretam ex tertia parte adiecerit, efficiet materiae tam-
peraturam ad usum meliorem”.190
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La percentuale d’acqua da usare nell’impasto viene stabilita in funzione
del clima, e quindi del tasso di evaporazione, e dell’uso che si deve fare del-
la malta. Se essa deve essere impiegata nelle fondazioni o in un riempimen-
to, allora sarà meno bagnata, perché meno ventilata rispetto a una malta u-
sata per giunzioni e rivestimenti. Allo stesso modo la percentuale di sabbia
e la sua granulosità varieranno a seconda che si tratti di una malta di con-
nessione o di pavimentazione o di rivestimento; nei primi due casi sarà mi-
schiata a grosse schegge, mentre se si tratta di una malta di rivestimento sa-
rà realizzata con sabbia finissima.
La malta deve la sua bontà non soltanto alla cottura uniforme della pie-
tra, alla qualità e alla percentuale degli aggregati, ma anche all’accuratezza
dell’impasto di calce grassa, sabbia e cocci di tegole, che deve essere il più
omogeneo possibile. Questa operazione va effettuata in prossimità del can-
tiere di costruzione, su uno spiazzo di terra battuta dove viene disposta la
sabbia a forma di cratere (diametro da 1 a 3 metri), al centro del quale viene
posto il grassello di calce – in genere trasportato dalla fossa di spegnimento
entro anfore alle quali è stata rotta la metà superiore,192 talvolta entro un
secchio metallico, un‟impronta del quale è stata trovata nella casa del Sa-
cello Iliaco a Pompei (I, 6, 4); qui infatti è stato rinvenuto in mezzo alla
pozzolana, il cumulo di calce non ancora impastata abbandonato al momen-
to dell’eruzione del Vesuvio.
Sempre a Pompei (casa del Moralista, della Calce e villa dei Misteri) si è
potuto verificare che la calce grassa veniva ammucchiata in un corridoio o
in qualche altro luogo riparato (Fig. 70).
Figura 68. Muccchio di calce
nella villa dei Misteri a Pompei.
192 In molte case di Pompei sono state trovate ancora piene di calce: V, 3, 4, o VII, 3, 17.
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Per ottenere la malta, il muratore mescola a lungo gli aggregati e il le-
gante aggiungendo a poco a poco l‟acqua; per far questo si serve di una
zappa dal manico molto lungo (in media m 3,50), la marra (di cui abbiamo
un esemplare trovato a Pompei): con la lama dell‟attrezzo viene effettuato
un movimento di sfregamento per eliminare i grumi e far penetrare la sabbia
nella massa elastica della calce. Per questo la lama forma un angolo acuto
con il manico, mentre la zappa usata per assicurare il movimento nella fossa
di spegnimento ha la lama ad angolo retto con il lungo manico. Questa ope-
razione, detta impasto, deve protrarsi fin quando il composto non appaia
perfettamente omogeneo e privo di grumi.193
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termine greco: “Altera est quam εµπλεκτον appellant, qua etiam nostri ru-
stici utuntur. Quorum frontes poliuntur, reliqua ita uti sunt nata cum mate-
ria conlocata alternis alligant coagmentis. Sed nostri celeritati studentes,
erecta conlocantes frontibus serviunt et in medio farciunt fractis separatim
cum materia caementis. Ita tres suscitantur in ea structura crustae, duae
frontium et una media farturae”.194
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fosse il sistema di messa in opera, era una concrezione dall’aspetto di un
calcestruzzo,195 in cui si distinguono tre elementi:
195 Infrancese béton, da bitumen, cioè il miscuglio di malta e ciottoli, divenuto poi sinonimo di malta o di
legante per indicare il bitume, utilizzato come colla per i mattoni e rivestimento impermeabile
nell‟architettura orientale.
196 ADAM 2003, pp. 79-82.
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questo sistema di costruire a grandi blocchi poligonali di pietra dura sovrap-
posti senza malta.
Le mura in opera poligonale non si trovano in tutta l’Italia; sono più fre-
quenti nell’Etruria Marittima, nella Sabina, nella Marsica, nei paesi degli
Ernici, dei Volsci e dei Sanniti; sono rare sui colli Albani e Tusculani, in
Umbria e nel Piceno; sono quasi del tutto sconosciute nell’Italia Settentrio-
nale, a Roma, in Campania, nella Magna Grecia; si ritrovano saltuariamen-
te, e in forma un po’ diversa, in Lucania e in Sicilia.197
Il taglio sommario dei blocchi messi in opera nelle mura in opus sili-
ceum è indice della loro antichità e della rozzezza delle metodologie co-
struttive; tale tecnica continuerà ad essere usata nelle città dell‟interno
quando sulla costa e nelle zone di influenza etrusca e greca si va già affer-
mando una bella architettura a blocchi parallelepipedi di etrusca disciplina
o isodomum (come la cinta di Perugia, per esempio).
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