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L’ARCHITETTURA

DELL’UTILITAS
04/06/2022

Sonia Tagliaferro
Ricerca di storia dell’arte
Professore Francesco Paolo Fastuca
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I ROMANI E L’ARTE

I Romani ebbero con l’arte sempre un rapporto molto problematico:


essi erano infatti molto più interessati alle cose concrete e reputavano
l’arte una perdita di tempo.

Si circondavano di oggetti utili realizzati con materiali poveri e di


fattura modesta. Quando oro e oggetti preziosi iniziarono ad arrivare
dalle Province, Roma entra in contatto con l’arte classica, ma sempre
con un certo disagio.

Questo atteggiamento si avrà anche durante il periodo imperiale,


quando ormai esisteva una vera arte romana che si esprimeva
soprattutto nei ritratti degli antenati, nelle grandi opere pubbliche nelle
architetture onorarie per celebrare un evento o un personaggio.

Non si ricordano nomi di artisti: l’arte romana è anonima proprio


perché l’interesse dello Stato prevale sul singolo.
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TECNICHE COSTRUTTIVE DEI ROMANI


Confrontando l'architettura greca con quella romana, un fatto ci
colpisce in modo particolare: le forme stesse delle architetture e la
conseguente differenza della concezione dello spazio.

Infatti, l'architettura greca, nelle sue espressioni più note e più


importanti, basa le proprie tecniche costruttive su un principio che
è il più semplice e il più intuitivo: quello dell'architrave appoggiato
sui piedritti. Tale sistema che, per essere composto di tre soli
elementi, architrave (elemento orizzontale) e due sostegni
(elementi verticali) le colonne, ad esempio viene detto trilitico (dal
greco tri, tre e lithos, pietra).
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L'architettura romana, invece, basa propri schemi costruttivi sul


principio dell'arco e della volta, già sperimentato dagli Etruschi. In
tal modo i sostegni si fondono con la copertura creando un
insieme uniforme, continuo e solido. Poiché le volte e gli archi, a
causa di ben precise leggi fisiche, spingono i propri sostegni
verticali verso l'esterno, con il rischio di farli crollare, è necessario
opporre una forte resistenza a questa grande spinta.
A tale esigenza la tecnica romana fa fronte grazie al grande
spessore delle murature. L'uso sistematico dell'arco e della volta
permise ai Romani di coprire spazi immensi. D'altra parte
l'originalità del pensiero architettonico romano consiste proprio
nella capacità di immaginare, in un crescendo di variazioni e come
mai nessuno prima aveva fatto, i volumi e le forme che
racchiudono e plasmano i volumi stessi.
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L'ARCO E LA VOLTA
I Romani usavano solo l’arco a tutto sesto in cui i conci sono
indirizzati verso il centro del cerchio. A tale scopo veniva data una
forma a cuneo alle pietre e ai mattoni usati. Se invece si usavano
mattoni rettangolari, i più comuni, allora si ovviava usando più o
meno malta tra i mattoni.
Per sostenere l’arco durante la costruzione, che termina solo con
la posa della chiave, si ricorre ad una struttura in legno che lo
sostiene e gli dà forma, la centina, l’insieme delle centine è detta
armatura, questa viene smontata al termine.
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La volta si basa sul principio dell’arco, i tipi più usati dai Romani
erano a botte, anulare e a crociera, essi usavano inoltre molto le
cupole per coprire spazi a pianta circolare o inscrivibile in un
cerchio.

● Volta a botte: la più semplice delle coperture, si impiega


soprattutto per coprire spazi rettangolari. Geometricamente
appare generata da un arco a tutto sesto che scorre su due
linee parallele che possono essere anche inclinate per coprire
ad esempio le scalinate.

● Volta anulare: è un tipo particolare di volta a botte che ha i


muri su cui si imposta costituiti da due cerchi concentrici.
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● Volta a crociera: ottenuta dall’intersezione di due volte a


botte.

● La cupola è una superficie di rotazione prodotta dalla


rotazione di un semicerchio su di un asse, è un’invenzione
romana utilizzata per coprire ambienti circolari o quadrati.
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L’ARCHITETTURA
Per i Romani l’interesse dello Stato era prioritario, pertanto grande
importanza rivestivano le opere pubbliche come strade, ponti,
fognature, acquedotti, o gli edifici di uso comune: mercati,
terme, basiliche.
Per ognuno di questi, i Romani crearono una specifica forma
architettonica uguale nel tempo. La disposizione degli
accampamenti militari a pianta quadrata divisi in sezioni da strade
ortogonali, ad esempio servì per la fondazione delle colonie e per
l’organizzazione del paesaggio agrario in appezzamenti regolari
detti centuriae.

ARCHITETTURA DELL'UTILE
Fra le opere ancora oggi visibili possiamo annoverare le strade. Di
grande importanza per i commerci e lo spostamento delle truppe,
erano larghe tre metri e composte da tre strati: ciottoli, per il
drenaggio dell’acqua; sabbia e ghiaia; lastre di pietra a forma
convessa per permettere all’acqua di defluire.
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Tra le meglio conservate è da ricordare la Via Appia che univa


Roma alla Campania e ai porti della Puglia.

Inoltre costruire ponti era, per i Romani, sacro a cui presiedeva il


collegio sacerdotale. Addirittura i Romani pensavano che la parola
pontifex derivasse da pòns fàcere. D’altra parte l’economia della
prima Roma si basava proprio sull’esistenza di un ponte, il Pòns
Sublìcius, sul Tevere, su cui era richiesto un remunerativo
pedaggio. Il ponte, edificato forse da Anco Marzio, era tutto in
legno e smontabile in caso di necessità. I ponti in muratura si
compongono delle seguenti parti: pile, arcate, spalle e
carreggiata.
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● Le pile sono strutture verticali con fondazioni entro l’alveo del


fiume, protette da rostri triangolari.
● Le arcate sono in pietra a tutto sesto con archivolti decorati,
la superfice tra due archi vicini è detta timpano.
● Le spalle sono le strutture di appoggio sulle sponde.
● La carreggiata è infine la parte percorribile.
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A Roma due erano i ponti in pietra, entrambi del I sec. a. C. , il


ponte Fabrìcio e il ponte Cèstio che collegavano le sponde del
Tevere con l’isola Tibèrina.

Uno dei ponti più integri dell’antichità e il ponte di Rimini, in pietra


bianca e struttura in calcestruzzo, presenta cinque arcate che
poggiano su quattro pile oblique rispetto alla carreggiata.
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Il ponte serviva anche per scopi militari, pertanto andava


all’occorrenza smontato, come possiamo vedere sulla famosa
Colonna Traiana.
Il più famoso tra questi ponti era quello che attraversava il
Danubio nell’attuale Romania, non più esistente, esso presentava
venti pile in muratura e ventuno arcate in legno facilmente
abbattibili.
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Importantissimo per i Romani era l’approvvigionamento idrico


che avveniva tramite gli acquedotti.

Il più spettacolare era l’Acquedotto Claudio di circa 70 kilometri, un


quarto dei quali su arcate.

Due di queste furono inglobate nelle Mura Aureliane fungendo


da porta per la città. La porta detta Predestina, ora conosciuta
come Maggiore perché portava alla Basilica di Santa Maria
Maggiore, ha due grandi arcate con tre edicole con timpano e
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colonne corinzie, sotto l’edicola centrale vi è il passaggio per i


pedoni, quattro cornici dividono l’attico in tre parti: la fascia
superiore corrisponde alla canalizzazione entro cui scorreva
l’Aniene Nuovo; nella centrale l’acqua Claudia; nell’inferiore infine
ci sono le iscrizioni che ricordano i restauri avvenuti in antichità.

Le acque a Roma venivano usate anche per le Terme.


La loro tipologia fu definita in età imperiale da quelle di Traiano.
Costruite da Apollodoro di Damasco, sorgono sui resti della
Domus Aurea di Nerone. Occupano 9 ettari: Sono ben esposte, il
blocco centrale comprende la Natàtio (piscina all’aperto), il
Frigidàrium, il Tepidàrum e il Calidàrium, ad essi erano annessi
spogliatoi, palestre e sale massaggi il tutto era rivestito da mosaici
e marmi. Nelle mura esterne trovavano posto biblioteche, portici,
giardini.
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Non possiamo dimenticare in ultimo la Cloaca massima,


fognatura della città da cui le acque di scolo confluivano nel Tevere
tramite un sistema di archi e volte sotterranee.
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Di epoca regia restano solo pochi resti delle Mura Serviane che,
composte da grandi blocchi di tufo e precedute da un fossato,
circondavano Roma.

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