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Per l'etimologia di Torino esistono due ipotesi. Una legata al termine celtico taur
(o thor) che significa monte. Un'altra legata a una leggenda per cui, nei pressi di
un villaggio neolitico, un temibile drago sarebbe stato sconfitto da
un toro (taurus) che un contadino avrebbe fatto inebriare con un otre di vino.
La lotta tra i due animali sarebbe stata così sanguinosa che il toro, dopo aver
sconfitto il mostro, morì per le ferite, e il popolo, in onore della vittima,
decisero di chiamarsi Taurini.
Visto che così a lungo si è tramandata dovrebbe trattarsi del duello di due capi
tribù, che un tempo si sfidavano anzichè fare la guerra, (un po' come Orazi e
Curiazzi) di cui il vincitore non sarebbe sopravvissuto e come accade, avrebbe
ricevuto molti onori e una specie di divinizzazione.
La definitiva fondazione di Torino avvenne poi per opera di Augusto, che intorno
al 28 a.c.. trasferendovi una seconda colonia, il cui impianto è ancora rilevabile
nel centro di Torino, con il nome di Julia Augusta Taurinorum. La colonia,
inscritta nella tribù Stellatina, ebbe la sua strutturazione definitiva nel I
sec. con l'edificazione delle mura.
CESARE
Lo schema più usuale fu quello dell’ager centuriatus. L’agrimensore, dopo aver
scelto il centro della città (umbilicus) tracciava da questo due assi stradali
perpendicolari tra loro: il primo in direzione est-ovest, chiamato decumano
massimo, il secondo di direzione nord-sud, detto cardo massimo. Queste due strade
venivano prolungate per tutto il territorio agricolo passando per le quattro porte
delle mura della città.
L'agrimensore si poneva nell’umbilicus con lo sguardo a ovest e definiva il
territorio: col nome ultra ciò che vedeva davanti, citra quanto aveva alle spalle,
dextra quello che vedeva alla sua destra e sinistra quello che vedeva alla sua
sinistra.
La strada principale era il decumanus maximus che collegava Porta Prætoria con
Porta Decumana lungo l'attuale via Garibaldi; incrociata dal cardo maximus che
collegava le porte Principalis Dextera e Principalis Sinistra, lungo l'attuale
tracciato di via San Tommaso e via Porta Palatina. L'incrocio tra le due strade e
stradine derivate dettero luogo a 72 insule, edificate a un solo piano,
eccezionalmente a due, che costituirono il centro della città.
Tranne che per il teatro, le cui fondazioni sono state rinvenute all'inizio del XX
sec. nei pressi della Porta Principalis Dextera, i resti più importanti della
Torino romana consistono nella porta stessa (ora Porta Palatina) affiancata da
tratti di mura e dalle fondamenta delle sue strutture interne; nella Porta Decumana
inglobata nel castello di piazza Castello (torri verso Palazzo Madama); nelle
fondamenta di una torre angolare in via della Consolata ed in un tratto di muro
visibile nelle sale sotterranee del Museo Egizio.
Il recinto delle mura separava il tessuto urbano dai rioni suburbani, ma questo non
divideva in due categorie i cittadini anche perché molti avevano proprietà sia
all’esterno delle mura che all’interno. Dell’impianto viario originario, in gran
parte coincidente ancora oggi con la griglia del nucleo storico centrale, esistono
varie ricostruzioni storiche; tra le più note citiamo quella ottocentesca di Carlo
Promis e quella di Alfredo d’Andrade del primo '900.
PORTA PALATINA
PORTA PALATINA
La Porta Palatina (nota anche al plurale, come Porte Palatine o Tor Romane, cioè
Torre romana), era la Porta Principalis Dextera che consentiva l'accesso da nord
alla Julia Augusta Taurinorum. Straordinariamente ben conservata rappresenta la
principale testimonianza archeologica dell'epoca romana della città, nonché una
delle porte urbiche del I secolo a.c. meglio conservate al mondo.Insieme all'antico
teatro, posto a poca distanza, è compresa nell'area del Parco Archeologico
torinese.
Già Porta Doranea, con allusione al borgo Dora, il suo nome attuale è sicuramente
successivo all'epoca romana e deriva dal latino Porta Palatii. Questo nome
deriverebbe o alla sua prossimità col Palatium, l'edificio che fu sede imperiale
dei sovrani Longobardi, oppure dalla probabile presenza di un anfiteatro che
sorgeva presso il Borgo Dora e che sarebbe stato interamente demolito.
Trattavasi di una porta ad cavædium, cioè una struttura a doppia porta con statio,
un cortile quadrangolare sul lato interno, di cui permangono alcuni resti davanti
ai varchi. Alte più di trenta m, le due torri angolari hanno la base quadrata e il
corpo sfaccettato a sedici lati.
Solo la torre destra e l'interturrio centrale risalgono però all'epoca romana. Il
prospetto dell'interturrio è lungo circa venti m con finestre ad arco nel primo
ordine e finestre con piattabanda piana nel registro superiore.
In basso si aprono i due fornici carrai e due più piccoli varchi pedonali posti ai
lati; le scalanature lungo le pareti interne dei varchi rivelano un sistema di
saracinesche, o grate, manovrate dal piano superiore. Accanto alla porta si nota
parte del basolato di epoca romana, caratterizzate dai solchi del carri.
La coppia di statue bronzee raffiguranti Cesare Augusto e Giulio Cesare non sono
originali ma copie risalenti all'intervento di restauro del 1934. Esse, tuttavia,
sono oggetto di contestazione, in quanto poste erroneamente nell'area interna
occupata dalla statio e non esternamente dove si presuppone sarebbero state
collocate.
IL TEATRO

Il teatro sorgeva nel quadrante nord-orientale della città, nel quartiere patrizio
non lontano dal forum. Venne edificato su un declivio per sfruttarne la pendenza e
a ridosso delle mura che racchiudevano il centro abitato. Dagli scavi si può
infatti notare l'intervallum, il camminamento ricavato tra il perimetro delle mura
e gli edifici in prossimità di esse.
Inoltre, la vicinanza con la Porta Principalis Dextera potrebbe suggerire che fosse
abitualmente frequentato anche dagli abitanti delle campagne vicine.
Il I Teatro

La sua edificazione fu probabilmente finanziata con il contributo di Marcus Julius
Cottius (Cozio), nemico ma in seguito alleato
e præfectus civitatis dell'imperatore Augusto.
Dopo circa mezzo secolo il teatro venne restaurato e ampliato per l'aumento della
popolazione. Le strutture mobili in legno, di cui non c'è traccia, furono
sostituite da elementi in muratura e fu ricostruita anche la scena con dispositivi
per la scenografia. Lo spazio retrostante la scena fu ampliato fino alla cinta
muraria, edificando un portico quadrangolare che inglobò quello precedente. Questo
primo ampliamento si potrebbe attribuire a Cozio II o a suo figlio Donno,
rispettivamente figlio e nipote del prefetto Marcus Julius Cottius.
Potè così accogliere fino a tremila persone e probabilmente ospitò delle naumachìe,
visti i canali di scolo rinvenuti nelle vicinanze e sotto il tracciato
dell'attuale via Roma.
Il teatro fu utilizzato per più di due secoli fino al cristianesimo che vietò le
rappresentazioni teatrali.

Fuori mura si notano i sobborghi. In riva al Po, fra magazzini, lavorano attività
commerciali e produttive. A fianco delle strade che escono dalla città, a debita
distanza dalla mura, si allineano necropoli. Una delle più importanti è fra Stura e
Dora. Nella zona di Porta Marmorea un secolo fa vennero alla luce resti di un
sepolcro monumentale, di un personaggio importante. Ma è la mole ellittica
dell’Anfiteatro la prima che incontra il viandante che giunge da Mezzogiorno. Per
ricostruirla con il sobborgo, che probabilmente la cinse, i ricercatori hanno
lavorato con le immagini di altri anfiteatri simili. Perché di questa presenza ben
poco si conosce. L’unico indizio archeologico è un grande collettore fognario fra
le odierne vie Roma, Arcivescovado e Venti Settembre, in grado di soddisfare lo
scarico di acque di un edificio pubblico monumentale."
L’occupazione francese durò circa venticinque anni, fino al 1562, e Torino dovette
assistere alla distruzione delle fortificazioni della città, della chiesa di San
Cristoforo degli Umiliati sede degli Agostiniani, e alla distruzione totale
dell’anfiteatro romano. Il nuovo governatore francese di Torino, Martino Du Bellay,
ordinò di cancellare del tutto le insegne sabaude, modificare le istituzioni,
sostituirle con il modello francese.

Nel 2006, in occasione di XX Giochi Olimpici Invernali, l'area è stata
completamente ridisegnata. Il progetto è stato commissionato dalla Città di
Torino e realizzato dagli architetti Aimaro Isola, Giovanni Durbiano e Luca
Reinero. Il nuovo Parco Archeologico intende in primo luogo riportare la Porta
Palatina alla sua funzione primaria, consentendo al visitatore un "ingresso ideale"
nella zona della città più antica e ricca di storia.
Gli scavi
I resti attuali furono riportati alla luce soltanto tra il 1899 e il 1906, per la
costruzione della nuova ala di Palazzo Reale, commissionata da re Umberto I.
L'architetto e studioso Alfredo D'Andrade si oppose fermamente alla demolizione dei
resti, facendo modificare l'ampliamento della manica di Palazzo Reale,
consentendone il restauro e la conservazione dei resti.
Il Forum, a ridosso dei due assi viari principali, giaceva nell'area attualmente
occupata da piazza Palazzo di Città, piazza Corpus Domini e relativi caseggiati
circostanti, come si è rilevato negli scavi degli anni Novanta con tracce di una
pavimentazione differente rispetto al normale basolato delle vie adiacenti.
Tracce di un edificio pubblico di età romana sono venute alla luce tra il '993 e il
'995 durante i lavori di scavi preventivi per autorimesse interrate nei cortili
interni all'isolato.

All’interno di un isolato che si affacciava a sud sul decumano massimo (via
Garibaldi) sono emersi i resti delle poderose fondazioni di un edificio monumentale
del I sec. d.c.. Si tratta di un vano di ampie dimensioni all’interno del quale
sono stati rinvenuti circa 300 frammenti di decorazioni e di lastrine di
rivestimenti in marmo per pareti e pavimenti.
Probabile che l’edificio sorgesse in un’area aperta che confinava con un terreno di
proprietà privata. Il limite di separazione tra spazio pubblico e privato era posto
circa a metà dell’isolato. Lo scavo è stato effettuato in un cortile destinato alla
costruzione di autorimesse interrate solo parzialmente realizzate per risparmiare i
resti dell’edificio.