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R.

XV ESQUILINO | 1

Il rione XV Esquilino è il primo dei rioni creati dopo


l'unità d'Italia, ricavato dal rione Monti (1874). Corrisponde alla
parte orientale del colle da cui prende nome: quella zona, esterna
alle mura Serviane, che costituì la V regione augustea
(Esquiliae) e confina a nord con il rione R. XVIII Castro
Pretorio, a est con i quartieri Q. XII Tiburtino e Q. VII
Prenestino-Labicano, a sud-est con il quartiere Q. X Tuscolano e
a ovest con il rione R. I Monti.
Presenta una superficie di 1580 metri quadrati, e al
censimento del 2013 la popolazione residente comprendeva
23.694 persone. Nello stemma, spaccato, presenta nel primo
d'argento all'albero al naturale; nel secondo d'argento al monte di
tre cime di verde.
L'etimologia da ex-colere (abitare fuori) indicò un
sobborgo rispetto al primo nucleo della città sul Palatino: dalla
fine del IX secolo a.C. e per tutto il VII, l'area fu infatti adibita a
sepolture, di cui cospicue testimonianze emersero all'epoca della
costruzione del quartiere umbertino.
Le cime occidentali del colle (Oppius, Fagutal e Cispius)
fecero parte, nella fase protourbana, del primitivo Septimontium,
venendo poi incluse nelle mura Serviane, mentre il settore
orientale dell' Esquilino continuò a restare esterno alla cinta
difensiva e per tutto il periodo repubblicano ne proseguì la
destinazione cimiteriale; solo con Augusto tale area fu annessa
alla città e trasformata in ville sontuose: gli horti Maecenatiani,
Lamiani, Liciniani, etc.). La V regione venne dotata di strutture
pubbliche (macellum Liviae, le caserme degli equites singulares)
e di una fitta viabilità, ancora in gran parte esistente, incentrata
sulle porte Esquilina e Maggiore.
Le mura Aureliane tagliarono fuori gran parte dei giardini
delle ville, divenute nell'Impero proprietà demaniale,
includendone e spesso incorporandone però le costruzioni, su
una delle quali (Sessorium) sorse la basilica di S. Croce in
Gerusalemme; dentro e accanto al triangolo ideale formato da
questa chiesa e da quelle di S. Giovanni in Laterano e di S.
Maria Maggiore sorsero nel IV-V secolo alcuni tra i più antichi
tituli, (S. Eusebio, S. Prassede, S. Bibiana, Ss. Marcellino e
Pietro), cui si affiancarono nel Medioevo istituzioni assistenziali
(Ospedali di S. Giovanni y e di Sant’Antonio Abate).
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La seconda metà del Cinquecento segnò la rinascita del


colle: Gregorio XIII iniziò la nuova via Merulana, mentre Sisto
V avviò il recupero della zona in senso classico con la propria
villa e con il programma viario incentrato sulla basilica di S.
Maria Maggiore (ultimazione di via Merulana e apertura della
strada Felice).
Nei secoli successivi si svilupparono le ville patrizie che
fino al 1870 costituirono l'ininterrotta cintura verde dell'arco
orientale di Roma e che vennero sacrificate per la costruzione
del quartiere, sorto in rapporto alla stazione di Termini;
l'insediamento, sviluppatosi secondo il piano regolatore del
1873, fu destinato alla classe borghese prevalentemente
impiegatizia del nuovo Stato, come ricorda la toponomastica
(intitolata ai suoi maggiori statisti e letterati nonché ai
personaggi della casa regnante) e come evidenzia l'impianto
urbanistico a scacchiera (recuperato dall'età classica attraverso il
modello torinese), che si sovrappose alla precedente rete stradale
rilevandone i principali percorsi.
Dopo il 1883 l'urbanizzazione si estese a sud di viale
Manzoni con la scomparsa delle ultime ville (si salvarono la
Wolkonsky e i casini della Massimo Lancellotti e della Altieri),
mentre agli inizi del Novecento, oltre ai primi esempi di edilizia
popolare estensiva, sorsero i blocchi della Cooperativa
Ferrovieri lungo via di S. Croce in Gerusalemme ed, entro il
1925, i villini attorno a via Statilia.
La decadenza del quartiere ottocentesco ha favorito, nel
secondo dopoguerra, l'edilizia di sostituzione, con forti
incrementi della densità (viale Manzoni, via di S. Croce in
Gerusalemme); negli anni ottanta è stato avviato un vasto
programma di riqualificazione del quartiere, a partire dalla
sistemazione, di piazza Vittorio Emanuele II e delle adiacenze
piazza Fante e Dante. Per questa sua banalità, e per la prossimità
ad una grande area di infrastrutture industriali come è la stazione
Terminio e i suoi vasti impianti di servizio, il rione è quasi
completamente fuori dai percorsi turistici, che generalmente
toccano solo le basiliche nei suoi confini esterni.
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ITINERARIO

Piazza S. Maria Maggiore – S. Antonio Abate – S. Vito –


Porta Esquilina – S. Alfonso – palazzo Brancaccio – Auditorio
Mecenate –
piazza Vittorio Enamuela – S Eusebio – S Bibiana –
Minerva medica
– Porta Maggiore – via Statilia – S. Croce – S. Giovanni
– S. Marcelino (...).
Si ridiscendono le pendici dell'Esquilino per via Carlo Alberto,
dedicata al re di Sardegna (1798-1849) che dette ai Piamontesi lo
Statuto, divenuto poi la costituzione del Regno d’Italia. Secondo tratto
della strada Felice, lunghissima via rettilinea aperta dal Sisto V (1585)
che collega Trinità dei Monti a S. Croce in Gerusalemme. Allargata e
livellata divenne l'asse coordinatore dell'urbanizzazione tardo-
ottocentesca.
S. ANTONIO ABATE ALL'ESQUILINO
Costruita ai tempi di Clemente V (1308) accanto
all'omonimo ospedale (1263-66) per la cura degli ammalati del
cosiddetto “fuoco di sant'Antonio” e riedificata sotto Sisto IV
(1481) per volere di Costantius Guillelmi. Agli inizi del
Settecento la chiesa ebbe un ulteriore restauro che volle l’abate
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Danthon, condotto da un architetto che operava nell’ambiente di


Alessandro Galilei.
La facciata, rifatta da A. Munoz insieme al vicino
RUSSICUM (1932), conserva il magnifico portale romanico
dell'antico ospedale, probabile opera di Nicola Vassalletto (c.
1265). Un'iscrizione ricorda la fondazione dell'ospedale voluta
dal cardinal Pietro Capocci con i nomi degli esecutori
testamentari, il vescovo Ottone di Tuscolo ed il cardinale
Giovanni Caetani: futuro papa Niccolò III. La scala a due rampe
fu aggiunta dopo il 1870 quando enormi sbancamenti di terreno
portarono all'abbassamento del livello della via Carlo Alberto.
L'interno a tre navate, frutto del rifacimento del 1730, si
presenta adattato alle esigenze del culto di rito bizantino slavo
(la chiesa è officiata dai Russi cattolici). Nella navata destra è la
cappella di S. Teresa di Gesù Bambino, già di S. Antonio
Abate (Domenico Fontana, c. 1583), con stucchi settecenteschi e
iconostasi: gli affreschi del tamburo della cupola, in parte
perduti, sono di Niccolò Circignani, il Pomarancio (c. 1585).
Nell'abside della nave centrale Crocifissione, affresco di
Giovanni Odazzi (1724). Nella navata sinistra, oltre ad affreschi
di G.B. Lombardelli con episodi della vita del Santo titolare
(1585), vediamo murati frammenti di bassorilievi con ornati ad
intreccio e pavoni che dovevano far parte di un piccolo ciborio
od ambone del sec. IX rinvenuti nel 1930 e pertinenti alla
distrutta S. Andrea cata Barbara (vid. infra).
A sinistra, il PONTIFICIO ISTITUTO ORIENTALE (PIO),
fondato da Benedetto XV (1917) per lo studio dell'Oriente
cristiano, sorge sull'area della basilica di Giunio Basso (c. 331),
trasformata nella chiesa di S. Andrea cata Barbara nel
successivo secolo, cui cospicui resti furono cancellati nel 1929.
A destra, il PONTIFICIO COLLEGIO RUSSICUM (Antonio
Munoz, 1929) fu eretto dal papa Pio XI, che intendeva creare un
istituto di formazione per i molti seminaristi immigrati dalla
URSS a causa della persecuzione del regime sovietico.
La via Cattaneo, che costeggia il fianco destro del
Russicum, conduce in piazza Fanti, nel cui giardino, insieme ai
resti dell'agger, un tratto in tufo di Grotta Oscura delle mura
Serviane lungo 23 metri e muri in opera reticolata riferibili ad una
costruzione del I secolo a.C., si trova il singolare edificio dell'ex
Acquario romano, eretto da Ettore Bernich (1884) come scuola
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di piscicoltura con una sala interna che ospitava 20 vasche con
acqua dolce e marina, nelle quali furono sistemati pesci di ogni
genere. La struttura, che era in concessione alla Società
dell'Acquario Romano, passò nel 1891 al Comune di Roma e fu
così adibito agli usi più diversi, come sede per fiere ed anche
come deposito del Teatro dell'Opera. Dal 2002 il Comune di
Roma e l'Ordine degli Architetti di Roma lo hanno adibito a sede
della Casa dell'Architettura.
L'interessante tipologia accosta alla monumentalità
archeologizzante le novità dell'"architettura del ferro". L'esterno
tra un ninfeo e un anfiteatro, mentre lo spazio interno si presenta
come una scenografia 'pompeiana', con ossatura a colonne di
ghisa su due ordini, copertura a lucernario, decorazione pittorica
e ricco pavimento musivo.
Superati altri resti dell'agger serviano accanto a la
eclettica facciatina della chiesa dei SS. VITO E MODESTO, la via
di S. Vito ricalca tratto terminale del clivus Suburanus,
costeggia il fianco sin. di S. ALFONSO DE'LIGUORI e collega via
Carlo Alberto con la via Merulana. A sin., è la fontanella del
rione Monti (Pietro Lombardi, 1926), realizata in travertino, è
formata da tre monti stellati.
ARCO DI GALLIENO.
Si tratta della ricostruzione a tre fornici della porta
Esquilina delle mura Serviane (resta traccia del fornice sin.),
monumentalizzata da Augusto.
Presenta paraste corinzie angolari sorreggenti l'attico ed è
in blocchi di travertino e marmo. Nella cornice sotto l'attico è
visibile l'iscrizione dedicata dal prefetto Marco Aurelio Vittore
(262) all'imperatore Gallieno e a sua moglie Cornelia Salonina,
in occasione di un restauro:
GALLIENO CLEMENTISSIMO PRINCIPI CVIVS INVICTA
VIRTVS SOLA PIETATE SVPERATA EST ET SALONINAE
SANCTISSIMAE AVG / AVRELIVS VICTOR V(ir) E(gregius)
DICATISSIMVS NVMINI MAIESTATIQVE EORVM.
Forse si trattava solo di una forma di adulazione per un
sovrano dalla personalità molto discussa e contraddittoria, nei
confronti del quale anche i giudizi dei contemporanei erano
tutt'altro che unanimi, ma l'imperatore doveva passare sotto la
Porta Esquilina per raggiungere la sua villa di famiglia, gli
Horti Liciniani, e la posizione e il tono dell'iscrizione dovevano
sembrare a Vittore quanto mai opportuni.
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SS. VITO E MODESTO.


Detta anticamente in Macello dal macellum Liviae,
localizzato nell'area di piazza Vittorio. Ricordata alla fine del
sec. VIII nella biografia di papa Leone III e ricostruita da Sisto
IV (1477). I recenti restauri hanno restituito alla chiesa l'aspetto
quattrocentesco, cancellato in occasione del giubileo del 1900,
quando ne venne addirittura invertito l'orientamento creando una
nuova facciata su via Carlo Alberto, in diretto rapporto col
quartiere umbertino.
La semplice facciata a capanna accoglie il portate
marmoreo con l'iscrizione: SIXTVS IIII PONT MAX
FUNDAVIT 1477; sui fianchi sono state ripristinate le bifore
goticheggianti tipiche dell'epoca.
L'interno è a pianta rettangolare ad un'unica navata, con
abside semicircolare. A destra un altare ad edicola costituito da
due alti piedritti sui quali poggiano due grandi mensole, recanti
quella di sinistra, lo stemma della famiglia Peruzzi, e quella di
destra lo stemma partito con le armi della famiglia Machiavelli
(a d.) e Federighi (a sin.). La pala dell’altare è un affresco
abbastanza ben conservato attribuito ad Antoniazzo Romano
(1483). Nel registro inferiore sono rappresentati, da destra, i
santi Vito, Margherita e Sebastiano; nel registro superiore la
Madonna col Bambino benedicente tra i santi Modesto e
Crescenzia; e nel sottarco: Cristo fra testine di angeli. Accanto è
la pietra scellerata, che si riteneva usata per il martirio dei
Cristiani e che in realtà è un cippo romano con iscrizione
funeraria. L’incavo che si nota al centro è dovuto all’attrito delle
mani dei fedeli che la sfioravano per devozione. In alcune
antiche guide si dice che questo cippo stava sopra due pezzi di
colonna e coloro che erano stati morsi da cani idrofobi venivano
in questa chiesa, ove, mangiato del pane benedetto dai monaci, e
intriso con l’olio delle lampade accese davanti all’immagine di
S. Vito, vi passavano sotto almeno tre volte invocando dal santo
la grazia della guarigione.
Aeternae animae / L(uci) Aeli Terti causidici, / quae in
ḥ[o]spiṭio
̣ fuit con/dicion[e ---] ạnnis / X̣XX [---]i / cuiu[s ---]i /
perv[---] / aram [---] dul/cissimo fili[o
̣ Sex(tus)] Ạelius / Tertius
pater. Hunc Placen/tia habet patria, quem Roma / creavit,
marmoreo posi/tum solio aramque sacra/vit in hortis Alli
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Filetiani, / carissimi amici, curante / L(ucio) Aelio Coma


patruo, filio / innocentissimo. / ⸢ἀνθρώπινα
Nella parete a sin., un'altare architettonicamente identico
all’altro già descritto che lo fronteggia e che aveva antichi
affreschi oggi completamente perduti, è stata posta ora la pala
d’altare raffigurante la Madonna che offre il rosario ai santi
Domenico e Caterina da Siena. Si ignora l’autore del dipinto che
non ha grande valore artistico.
Di interesse storico-archeologico è la cripta della chiesa:
gli scavi hanno permesso ridefinire la topografia antica: un tratto
dell' acquedotto Anius Vetus, un tratto di strada, le fondazioni
della porta Esquilina, oltre ad altre murature di varie epoche.
S. ALFONSO DE'LIGUORI, è il primo esempio di "gothic
revival" nell'architettura religiosa romana, eretta su progetto
dell’architetto scozese George Wigley (1855) e notevolmente
modificata da Maximilian Sehmalzl (1898). Sorge nella
seicentesca villa Caetani, arretrata rispetto al filo stradale e
sopraelevata.
La facciata, in mattoni e travertino, si caratterizza per il
grande arco ogivale che include il rosone ed è preceduta da un
protiro a tre ingressi.
L'interno, con endonartece, è a navata unica con sei
cappelle per lato intercomunicanti; i soprastanti matronei
risalgono, al pari della ricca decorazione in marmi policromi,
stucchi e pitture (queste ultime di Eugenio Cisterna), ai restauri
di fine '800.
All'altare maggiore è conservata una veneratissima icona
raffigurante la Madonna del Perpetuo Soccorso, tavola di
scuola cretese del sec. XIV. donata ai Redentoristi da Pio IX
(1866).
L'icona è dipinta su una tavola di legno di 54 x 41'5 cm.
Lo stile è quello delle icone dette della "Madonna della
Passione". L'immagine oltre ai due personaggi principale Maria
e Gesù Bambino vede ai lati due arcangeli Gabriele a destra e
Michele a sinistra che hanno nelle mani gli strumenti della
passione. Il bambino guarda la croce e con le mani si aggrappa a
quelle della madre, indicando un gesto quasi di paura,
sottolineato pure dal calzare del piede che slacciatosi ne mostra
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la pianta. La mano di Maria invece indica il figlio, come il


soggetto principale del quadro, questo semplice gesto, spesso
presente in icone mariane e detto odigitria dal greco, colei che ci
guida verso il Redentore.
VIA MERULANA è una strada storica di Roma che collega
la basilica di Santa Maria Maggiore alla basilica di San
Giovanni in Laterano che sostituì un omonimo tracciato di
origine classica.
La via moderna, che intersecava l'antica presso via
Galilei, segue il tracciato della via Gregoriana, realizzata dal
papa Gregorio XIII per offrire un adeguato scenario a
processioni e cortei pontifici tra Santa Maria Maggiore e San
Giovanni in Laterano durante il giubileo del 1575 e prolungata
da papa Sisto V, anche se nell'ultimo tratto verso S. Maria
Maggiore venne sistemata solo nel 1932. Attorno sorsero dal
XVII secolo le ville patrizie suburbane dei Caetani, Palombara,
Giustiniani, etc. Via Merulana divenne nel piano del 1873 uno
degli assi del nuovo quartiere dell'Esquilino e nonostante i
massicci livellamenti è ancora percepibile l'andamento che
discende una delle sommità dell'Esquilino risalendo poi verso le
propaggini del Celio.
PALAZZO BRANCACCIO. Sul lato opposto della via è
l'ultimo monumentale edificio patrizio romano e anche l'ultima e
più imponente opera di Luca Carimini, che qui forzò il proprio
quattrocentismo minuto verso accenti più grandiosi e severi.
Commissionato da Mary Elisabeth Field, principessa Brancaccio
(1886), nel mezzo di un bellissimo parco tra i ruderi (SETTE
SALE), fontane e piante secolari.
Il prospetto principale, con due ali in leggero risalto, è
tripartito orizzontalmente, con alto basamento a forte bugnato in
cui si apre il triplice portale con balcone su colonne; analoghe le
testate su largo Brancaccio e via Mecenate. In angolo è il teatro
Brancaccio, realizzato su progetto dell'ingegner Carlo Sacconi
(1916). Una leggenda popolare vuole che la torre di Mecenate;
la stessa torre ove Nerone vedette estasiato l'incendio di Roma
che secondo la tradizione storica romana egli stesso appiccò è
stata inglobata nel palazzo stesso.
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Dall'ingresso si accede all'atrio a colonne, che ha per


fondale un ninfeo neobarocco progettato da Francesco Gai, cui
si debbono molti particolari architettonici, decorativi e di arredo
degli sfarzosi interni. Lo scalone monumentale sulla sin. sale al
MUSEO NAZIONALE D'ARTE ORIENTALE 'GIUSEPPE TUCCI'.
Ancora avanti la via Merulana forma a d. largo Leopardi: nel
giardinetto si trova il cosiddetto auditorium di Mecenate.
Auditorium di Mecenate. L’identificazione dell’edificio
semisotterraneo come un Auditorium, proposta dagli archeologi
al momento della scoperta (1874), a causa de la presenza della
gradinata semicircolare dell’abside, è stata ormai abbandonata,
data l’esiguità dello spazio della presunta cavea. Sembra invece
più probabile il riconoscimento del complesso come un
monumentale ninfeo, sulla base del rinvenimento di una
conduttura plumbea e sopratutto dei fori visibili nel gradino
superiore dell’essedra, dai quali doveva defluire l’acqua che
scorreva lungo la gradinata marmorea, per essere poi
convogliata in un canale situato sotto il pavimento della sala.
La sala, riccamente decorata e allietata da giochi d’acqua
che accrescevano la frescura dell’ambiente già seminterrato, era
probabilmente utilizzata come triclinio estivo, vista la forma a T
che trova puntuali confronti con simili triclini coevi di lussose
residenze presenti a Pompei e a Stabia. In questa situazione
un’ulteriore prova dell’utilizzo della sala come un cenacolo
d’intellettuali è senza dubbio il rivenimento di alcuni versi di un
epigramma del poeta greco Callimaco, dipinti sull’intonaco
esterno dell’abside, che alludono agli effetti del vino e
dell’amore.
Il triclinio-ninfeo venne costruito a cavallo delle mura
Serviane, all’interno del terrapieno retrostante alla fortificazione:
un tratto della cinta repubblicana è visibile lungo il lato
prospicente la via G. Leopardi, inglobate nell’angolo Sud
dell’edificio, che non era isolato, anzi era collegato a un sistema
di stanze e corridoi, sui quali emergeva in parte.
La tecnica edilizia impiegata per la costruzione
dell’edificio è l’opus reticulatum, che utilizza in questo caso
unicamente piccoli cubilia e blocchetti di tufo di Grotta Oscura e
dell’Aniene senza l’uso di laterizi, e che riconduce il
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monumento all’epoca tardorepubblicana. Il ritrovamento di una


conduttura di piombo, recante, iscritto il nome del retore M.
Cornelius Fronto, proprietario degli horti Maecenatis in età
adrianea, ha confermato il riconoscimento dell’edificio come
una parte del più vasto e lussoso complesso residenziale, fatto
costruire da Mecenate, il celebre statista collaboratore di
Augusto.
L’attuale ingresso all’Auditorium, sul lato opposto alla
gradinata, avveniva lateralmente mediante una doppia rampa a
gomito in discesa, di cui si conserva oggi solo l’ultimo tratto,
pavimentata in opus spicatum con pareti in opera reticolata
coperte da intonaco bianco applicato in due strati; questa rampa
riproduce in parte la stessa situazione antica, poiché il nomuneto
era concepito parzialmente interrato già all’epoca della
costruzione.
Tramite la rampa che termina in un pianerottolo
pavimentato a mosaico con tessere bianche, s i accede
all’interno del vestibolo, largo 13'20 m. e lungo 5'70 m.
originariamente dotato di altre due aperture, succesivamente
tamponate, disposte rispettivamente sul lato corto oposto e su
quello lungo; sulle pareti sono stati murati numerosi frammenti
di decorazione architettonica in marmo e in stucco riportati alla
luce nella zona alla fine del secolo XIX.
Il vestibolo si apre sulla vasta sala a pianta rettangolare,
larga 13'20 m. e lunga 10'5 m., originariamente coperta a volta e
attualmente da un tetto moderno a doppio spiovente,
pavimentata con un mosaico risalente all’epoca della
costruzione, formato da piccole tessere bianche incorniciato da
una doppia fascia rossa con encausto. Sopra di esso venne poi
steso un pavimento marmoreo.
La sala termina con un’ampia abside semicircolare
disposta sul lato corto opposto al vestibolo il cui raggio è di 5'30
m.; l’abside è occupata, per circa 4/7 dell’altezza complessiva,
da una scalinata costituita da sette gradini concentrici,
originariamente coperti di marmo cipollino, disposti quasi a
formare una piccola cavea teatrale, forse decorati da vasi di fiori,
attorno ai quali scorreva scenograficamente dell'acqua che
riversavano di alcuni tubi (poi otturati). Un muro di mattoni
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appoggiato alla parte bassa della cavea, allora spogiato dal


rivestimento marmoreo, è stato ricondotto all’epoca di nerone.
Lungo i lati lunghi della sala si aprono due serie di nicchie
rettangolari, sei per parete, mentre altre cincque nicchie simili
scandiscono la parete curva dell’abside.
La decorazione pittorica parietale policroma eseguita ad
affresco è di grande interese. Le pitture, oggi conservate solo in
maniera molto frammentaria, sono purtroppo deducibili soltanto
grazie a disegni ricostruttivi pubblicati dopo lo scavo (1874)
dato che non esiste documentazione fotografica dell'epoca del
ritrovamento.
Gli affreschi sono presenti nella sala al di sopra di un alto
zoccolo marmoreo; di colore rosso cinabrio, sul quale erano
dipinti candelabri con pavoni in posizione araldica, interrotto
solamente da un fregio su fondo nero, alto 27 centimetri,
raffigurante scene dionisiache e giardini miniaturistici. La
decorazione delle pareti era completata in alto da una cornice
modanata in stucco con ovoi e palmette (due frammenti della
cornice sono visibili murati lungo la parete Nord del vestibolo).
Le nicchie furono affrescate internamente come se fossero
delle finestre, aperte su lussureggianti giardini ricchi di vasche e
fontane e animati da piccoli uccelli in volo. Ciascuna nicchia era
decorata secondo uno schema con un albero al centro, posto
oltre una balaustra marmorea con una rientranza centrale dove si
trova una fontana o un vaso. Gli alberi di contorno, mossi dal
vento, sono popolati da un vasto numero di uccelli in volo e
posati. La presenza delle nicchie reali obbligò gli artisti a
inventare un modo di occupare gli spessori superiori, che furono
decorati con un'artificiosa pioggia di fiori. Le nicchie si
configurarono quindi come elementi indipendenti rispetto
all'architettura della stanza, quali bow window a vetri affacciate
su un giardino, in corrispondenza delle quali si disponevano,
come d'incanto, vedute studiate di verzure ed elementi
decorativi. Anche qui, come negli esempi precedenti, mancano
notazioni atmosferiche e allusioni a uno spazio "infinito".
La decorazione pittorica è riconducibile al Terzo stile
pompeiano, ed è stata confrontata con le pitture di giardino della
villa di Livia a Prima Porta e messa in relazione con la notizia
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tramandata da Suetonio a proposito del soggiorno di Tiberio


nella villa di Mecenate, al ritorno dall’esilio volontario da Rodi
(2 d.C.) In questo periodo venne anche ricoperto il più antico
mosaico della sala con un pavimento in opus sectile, costituito
da lastrine marmoree policromi, così come i gradini dell’abside
e i davanzali delle nicchie furono rivestiti da lastre di marmo.
Gli Horti Maecenatis erano i giardini proprietà del ricco
Gaio Cilnio Mecenate (c. 68 a.C.–8 a.C.), potente consigliere ed
amico dell'imperatore Augusto, situati sul colle Esquilino
grossomodo tra l'attuale Parco del Colle Oppio e piazza Vittorio
Emanuele II, a cavaliere delle Mura serviane.
Mecenate realizzò i giardini e la sua villa tra il 42 ed il 35
a.C. bonificando con uno spesso strato di terra l'area
dell'antichissima necropoli di epoca arcaica e repubblicana che
lo occupava, venendo per questo ricordato dal poeta Orazio (Sat.
I.8):
Huc prius angustis eiecta cadavera cellis / conservus vili
portanda locabat in arca; / hoc miserae plebi stabat commune
sepulcrum; / Pantolabo scurrae Nomentanoque nepoti / mille
pedes in fronte, trecentos cippus in agrum / hic dabat, heredes
monumentum ne sequeretur. / Nunc licet Esquiliis habitare
salubribus atque / aggere in aprico spatiari, quo modo tristes /
albis informem spectabant ossibus agrum, / cum mihi non
tantum furesque feraeque suetae / hunc vexare locum curae sunt
atque labori / quantum carminibus quae versant atque venenis /
humanos animos.

Gli horti divennero di proprietà imperiale dopo la morte di


Mecenate ed il futuro imperatore Tiberio (14-37) vi soggiornò
lungamente dopo il suo ritorno a Roma (2 d.C.).
Nerone li incorporò alla residenza del Palatino attraverso
la Domus Transitoria e dall'alto di una torre situata al loro
interno osservò probabilmente l'incendio di Roma del 64.
Nel II secolo gli Horti Maecenatis divennero proprietà di
Marco Cornelio Frontone(100 - 166), maestro di retorica e
precettore di Marco Aurelio e Lucio Vero. Menzionati dal retore
stesso in una sua epistola, una fistula aquaria con il nome di
Frontone fu trovata anche presso il cd. Auditorium.
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L'unica testimonianza archeologica monumentale


conservata della villa di Mecenate è costituita dal cosiddetto
Auditorium, un triclinio estivo semi ipogeo decorato con pitture
di giardino. Un altro notevole nucleo edilizio, comprendente sia
strutture in reticolato sia muri in laterizio, fu rinvenuto durante i
lavori per la ricostruzione del Teatro Politeama Brancaccio
(1914). Le notizie sono scarse, ma rimane una pianta dei
ritrovamenti che illustra l'impianto originale di un settore degli
horti.
PIAZZA VITTORIO EMANUELE II (m 316 x 174) è la più
vasta di Roma (con quasi 10.000 metri quadrati in più di piazza
San Pietro) e la più rappresentativa di quelle realizzate
dall'urbanistica umbertina da Gaetano Koch secondo il modello
delle "square" inglesi (forma rettangolare, giardino centrale e, ai
lati, edifici residenziali di tono monumentale). L'unicità di
questa piazza è data pure dai portici colonnati che la circondano,
estranei allo spirito della città; una tipologia architettonico-
urbanistica riproposta in questo 'quartiere piemontese' anche a
ricordo di Torino prima capitale del regno, che deve dare un'idea
di monumentalità e, allo stesso tempo, favorire la mobilità dei
cittadini. Sulla piazza convergono 13 strade, di cui quelle del
lato SE riecheggiano il Tridente della tradizione urbana romana
rinascimentale.
Al di sopra dei portici si innalzano palazzi progettati per
essere "grandiosi": alti almeno 24 metri, costituiti solo da tre
piani, con facciate che si ispirano all'architettura del tardo
rinascimento. I palazzi al centro dei lati lunghi sono i più
maestosi, e vengono affidati a Gaetano Koch: gli appartamenti
sono lussuosi, molti con soffitti affrescati.
Al centro della piazza Carlo Tenerari crea un giardino
bellissimo, con viali di ghiaia sinuosi, piante di vario tipo:
magnolie, palme, cedri del Libano, platani; e un laghetto con al
centro un gruppo scultoreo opera di Mario Rutelli e
proveniente dalla "FONTANA DELLE NAIADI" di Piazza della
Repubblica, che rappresenta un tritone con gli aminali marini
(delfino e piovra), è chiamata con un po' di ironia "fritto misto")
Il trasferimento (1902) del più grande mercato della città,
che rimase in attività fino agli anni novanta, molto frequentato
dai romani per la convenienza dei prezzi praticati, e anche da
14 | R. XV ESQUILINO

turisti a caccia di folclore, ne avviò la decadenza, accentuatasi


nel dopoguerra e culminata con la demolizione (1971) di uno dei
palazzi porticati costruiti tra il 1882 e il 1887.
I TROFEI DI MARIO (Nymphaeum divi Alexandri nelle
fonti letterarie) è una fontana monumentale con funzione di
mostra terminale (munus) e di castello di distribuzione
dell'acqua (castellum aquae) realizzato nel tratto finale d'una
diramazione d'acquedotto Claudio o l'Anio Novus che proveniva
dalla Porta Tiburtina (Porta San Lorenzo), tuttora visibile tra
piazza Pepe e via Turati. ). Il monumento si trovava in origine
alla confluenza della via Tiburtina o della via Collatina con la
via Labicana. Tale posizione ne condizionò la planimetria, di
forma trapezoidale.
La monumentale struttura (volume 4000 m³ circa;
larghezza alla base 25 m) occupa la parte più alta dell'Esquilino
ed è tutta in opera laterizia originariamente rivestita in marmo,
come indicano i numerosi fori per grappe distribuiti sull'intero
alzato. Si articola su tre livelli, con diversi ambienti e
canalizzazioni ancora visibili. L'acqua veniva immessa al terzo
piano sul lato posteriore destro della struttura a considerevole
altezza da terra (9,85 m); dopo aver aggirato un massiccio
centrale semicircolare, si divideva in due parti ed era quindi
convogliata da cinque canali rivestiti di cocciopesto in una vasca
oggi non più esistente posta sul lato anteriore della fontana. Da
qui, attraverso tubi sistemati all'interno delle pareti, l'acqua si
raccoglieva in una seconda vasca rivestita di cocciopesto e
articolata in nicchie alternativamente rettangolari e arcuate. Una
terza vasca di attingimento, parzialmente conservata,
raccoglieva nuovamente l'acqua al piano inferiore per
l'approvvigionamento delle zone altimetricamente più basse
della città.
La struttura in laterizio attualmente visibile è raffigurata
sul retro di monete emesse nel 226 dall'imperatore Alessandro
Severo. Proprio le raffigurazioni monetali ci consentono di
integrare l'aspetto originario del monumento, che si presentava
decorato con diverse statue. Al piano superiore si trovava una
nicchia centrale con due statue (forse di Alessandro Severo e di
sua madre Giulia Mamea), mentre due archi laterali ospitavano
le due sculture di trofei militari collocate sulla balaustra in cima
R. XV ESQUILINO | 15

alla Cordonata che sale al Campidoglio (1590) che a partire dal


Medioevo hanno dato alla struttura il nome tradizionale di
"Trofei di Mario". Le sculture, erroneamente attribuite a Gaio
Mario per le vittorie sui Cimbri ed i Teutoni, sono invece
databili all'epoca domizianea e furono erette dopo le vittoriose
campagne contro Catti e Daci nell'89. Il tutto era coronato da un
attico sormontato da una quadriga centrale e da due statue
laterali, secondo un modello ben attestato negli archi trionfali
romani. Inoltre, ai piedi della nicchia posta al piano inferiore si
trovava una grande statua del dio Oceano sdraiato.
Unico sopravvissuto delle quindici fontane-mostra
dell'antica Roma, il Ninfeo di Alessandro, per la mole e gli
effetti scenografici di grandiosa spazialità, si può considerare
l'antesignano e il modello ispiratore delle grandi fontane "a
facciata" del tardo Rinascimento e del Barocco (es. Fontana di
Trevi, Fontana dell'Acqua Paola al Gianicolo).
A sinistra dei ruderi è stata ricomposta la PORTA
MAGICA, o Porta Alchemica (1680), unica sopravvissuta delle
cinque porte di villa Palombara, residenza di Massimiliano
Palombara marchese di Pietraforte (1614-1680) sul colle
Esquilino, tra le antiche Strada Felice e Strada Gregoriana
(l'attuale via Merulana). La Porta Magica fu smontata (1873) e
ricostruita (1888) su un vecchio muro perimetrale della chiesa di
Sant'Eusebio, e accanto furono aggiunte due statue del dio Bes,
che si trovavano in origine nei giardini del Palazzo del
Quirinale.
Secondo la leggenda, uno stibeum pellegrino fu ospitato
nella villa per una notte. Il "pellegrino" dimorò per una notte nei
giardini della villa alla ricerca di una misteriosa erba capace di
produrre l'oro, il mattino seguente fu visto scomparire per
sempre attraverso la porta, ma lasciò dietro alcune pagliuzze
d'oro frutto di una riuscita trasmutazione alchemica, e una
misteriosa carta piena di enigmi e simboli magici che doveva
contenere il segreto della pietra filosofale. Il marchese fece
incidere, sulle cinque porte di villa Palombara e sui muri della
magione, il contenuto del manoscritto coi simboli e gli enigmi,
nella speranza che un giorno qualcuno sarebbe riuscito a
decifrarli.
16 | R. XV ESQUILINO

I simboli incisi sulla porta possono essere rintracciati tra


le illustrazioni dei libri di alchimia e filosofia esoterica che
circolavano verso la seconda metà del Seicento, e che
presumibilmente erano in possesso del marchese Palombara. In
particolare il disegno sul frontone, con i due triangoli
sovrapposti e le iscrizioni in latino, compare quasi esattamente
uguale sul frontespizio del libro allegorico/alchemico Aureum
Seculum Redivivum di Henricus Madatanus (pseudonimo di
Adrian von Mynsicht, 1677).
S. EUSEBIO è una delle più antiche chiese di Roma. Si
ritiene tradizionalmente che la costruzione insista sulla domus
del prete romano Eusebio (circa 319-357?), strenuo oppositore
dell'arianesimo, condannato dall'imperatore Costanzo II a morire
di fame rinchiuso in una stanza della propria abitazione.
Del primitivo impianto paleocristiano non sembrano
conservarsi tracce archeologiche; l'epitaffio di un clericus
trovato nelle catacombe dei Santi Marcellino e Pietro ad duas
Lauros dell'anno 474 è il documento più antico menzionante il
titulus di Eusebio.. Sotto la chiesa, a sud del transetto e dietro
l'abside, sono presenti alcuni resti di una domus romana, il cui
stile indica una datazione di fine II secolo, i quali presentano
interventi effettuati tra tardo antico e Alto Medioevo. La fase di
IV-V secolo è attribuita da Krautheimer al momento in cui, in
accordo con la testimonianza delle fonti, potrebbe essersi
insediato nella domus il primo luogo di culto cristiano,
successivamente azzerato per costruire la chiesa medievale.
Il titolo divenne chiesa ampiamente restaurato per opera
di papa Zaccaria (741-752) a seguito del crollo del tetto e, dopo
una ricostruzione a fundamentis, la chiesa fu consacrata da papa
Gregorio IX (1227-1241) e dedicata in honore beatorum Eusebii
et Vincentii, come ricorda un'epigrafe ora nel portico della
chiesa (1238).
La facciata, rimasta sopraelevata in seguito agli
sbancamenti per l'apertura della piazza, presenta la forma
moderatamente 'borrominiana' conferitagli da Carlo Stefano
Fontana (1711), che si attenne nella progettazione a principi di
notevole sobrietà stilistica, al punto che l'edificio, privo di ogni
enfasi di carattere ieratico, sembra assomigliare più a un palazzo
R. XV ESQUILINO | 17

che a una chiesa. Il nascosto campanile romanico a tre ordini di


trifore risale invece al tempo di Onorio III (1216-1227).
L'interno conserva l'impianto della chiesa romanica
costruita da Gregorio IX (1238), sebbene completamente
trasfigurato dai rifacimenti del 1600 (Onorio Longhi) e del 1759
(Nicolò Picconi). Le navate laterali sono state pesantemente
ridecorate, con l'aggiunta di altari, tra fine '800 e inizi '900.
Nella volta lunettata della nave centrale, Gloria di S. Eusebio,
affresco di Anton Raphael Mengs (1759). All'altare maggiore, su
disegno del Longhi, Madonna col Bambino attribuita a Pompeo
Batoni. Il coro (1600) presenta pregevoli stalli e un leggio in
noce riccamente scolpiti: alla parete d., Madonna e santi di
Baldassarre Croce. Dalla sagrestia si può vedere, dell'antico
convento ora caserma di Pubblica Sicurezza, l'elegantissimo
chiostro in laterizio, a due ordini di arcate e con fontana
centrale, attribuito all'architetto Domenico Fontana (1588).
Presso la chiesa furono trovati sul finire del XIX secolo
due cippi di confine (terminatio) in situ menzionanti gli Horti
Tauriani ed i Calyclani e uno dei nuclei di tombe più consistenti
della necropoli dell'Esquilino.
18 | R. XV ESQUILINO

Dal fondo della piazza si imbocca a sin. via Lamarmora,


che, costeggiato a d. un fianco del palazzo dell'Istituto
Poligrafico e Zecca (1911); oggi Scuola dell’Artte della
Medagli, termina in piazza Pepe, qualificata dalle sei maestose
arcate in laterizio (c. 226) dell'acquedotto che alimentava i trofei
di Mario (v. sopra); a d. è la facciata del teatro Jovinelli, eretto
nel 1909 in vistose forme liberty e oggi in abbandono.
Si piega a d. in via Giolitti, incontrando a sin., in un
contesto sconvolto dal terrapieno ferroviario e dagli edifici della
stazione di Termini
S. BIBIANA. Un'antica tradizione vuole che la chiesa sia
stata costruita dalla matrona romana Olimpina sulla casa dove
avrebbero subito il martirio, durante la presunta persecuzione
dell'imperatore Giuliano (361-363), Bibiana martire assieme alla
madre Dafrosa e alla sorella Demetria. Secondo il Liber
Pontificalis invece, la chiesa fu costruita sotto il pontificato di
papa Simplicio (467). Papa Leone II (682-683) vi trasferì le
reliquie dei martiri Simplicio, Faustino e Viatrice dalle
catacombe di Generosa.
L'edificio fu restaurato da papa Onorio III (1224): in
questa occasione il papa fece erigere accanto alla chiesa un
monastero femminile, occupato fino alla metà del XV secolo, e
poi distrutto da Urbano VIII, che ordinò il rifacimento completo
R. XV ESQUILINO | 19

della chiesa in occasione del Giubileo del 1625 (come ricordano


le iscrizioni sulle porte d'ingresso) sotto la direzione di Gian
Lorenzo Bernini. I suoi interventi consistettero nel rifacimento
della facciata, nella costruzione di due cappelle, nella chiusura
delle finestre della navata centrale e nella costruzione del nuovo
presbiterio in luogo dell'antica abside; al Bernini si deve anche
la statua della santa.
Sul portico a tre arcate tra paraste ioniche (triplicate al
centro) della facciata si imposta la loggia centrale, inquadrata
dal nicchione rettangolare - a sua volta sormontato da timpano -
e fiancheggiata da due ali, a coronamento orizzontale con
balaustra, ognuna aperta da una finestra; le recenti modifiche
(soppressione della breve scalinata alla base, eliminazione dello
stemma papale nel timpano e tamponamento della loggia) ne
hanno alterato l'immagine.
Dall'atrio, con portali di tipo tardo-manieristico, si accede
all'interno, a tre navate divise da otto colonne di spoglio, con
capitelli corinzi e compositi tardo-antichi sui quali corre la
trabeazione - che conserva l'impianto della costruzione di
Onorio III (1224).
A sin. del portale centrale è la colonna tradizionalmente
ritenuta del martirio della santa; gli angeli musicanti in
controfacciata sono di Agostino Ciampelli. Alle pareti della nave
centrale (1624), episodi della vita di S. Bibiana di A. Ciampelli
(d.) e di Pietro da Cortona (sin.). L'altare maggiore, su disegno
di Bernini, racchiude una preziosa vasca di alabastro di età
costantiniana che accoglierebbe i resti delle tre martiri:
nell'edicola, statua di S. Bibiana di Bernini (1624-26) che
raffigura la santa appoggiata alla colonna del supplizio e
reggente la palma, simbolo del martirio. La pala della cappella a
destra dell'abside: S. Dafrosa, è del da Cortona e quella della
cappella a sinistra è del Ciampelli: S. Demetria.
Le cappelle che si aprono nelle navatelle furono costruite
a fine '600 (sin.) da Vincenzo Pacetti: all'altare una pala di
Giacomo Verona con Santa Geltrude in estasie e nel 1702 (d.),
per la famiglia Petroni: la pala dell'altare raffigura Santi in
venerazione dell'immagine della Madonna col Bambino,
attribuita a Girolamo Stroppa (1637-1705), discepolo di Pietro
da Cortona.
20 | R. XV ESQUILINO

VIA TIBURTINA: ->

TEMPIO DI MINERVA MEDICA. L'edificio non è un


tempio, come fu erroneamente creduto per lungo tempo, ma un
ninfeo, oppure una sala triclinare entro il recinto d'una lussuosa
residenza extraurbana che occupava in antico la zona
corrispondente probabilmente al complesso degli Horti
Liciniani.
Il padiglione consiste in una vasta sala a pianta
decagonale coperta da una cupola sostanzialmente emisferica ma
con centro ribassato, che - con il suo diametro di 25 metri - è la
terza a Roma per dimensioni, dopo il Pantheon e le Terme di
Caracalla. Su nove lati del perimetro si aprono delle nicchie
semicircolari, non tutte conservate, che sporgono esternamente e
che forse ospitavano statue, mentre sul decimo lato, a nord, si
trova l'ingresso sovrastato da un arco a tutto sesto. In tal modo la
cupola appoggia sostanzialmente su dieci pilastri posti ai vertici
del decagono.
I muri perimetrali sono in opus latericium e risalgono, da
un'analisi dei bolli dei mattoni, all'epoca di Massenzio e di
Costantino. Alcune strutture accessorie in opus vittatum con
alternanza di mattoni e tufelli, conservate per un'altezza di circa
un metro, risalgono probabilmente ad una fase costruttiva poco
posteriore e costituiscono le testimonianze materiali superstiti di
un nucleo edilizio annesso alla grande sala (vano biabsidato a
nord, grande esedra a est), oltre che d'un intervento di
consolidamento strutturale della cupola di poco successivo alla
sua costruzione (due contrafforti esterni a sud). I collegamenti
con il resto del complesso dovevano avvenire tramite alcune
delle nicchie che in origine erano aperte da colonnati.
Sopra gli arconi delle nicchie si trova il tamburo decagono
con contrafforti negli angoli e dieci finestroni. La forma
decagonale passa in modo impercettibile, tramite una piccola
cornice, al perimetro circolare della cupola, solo in parte
conservata, che è realizzata con l'impiego di calcestruzzo ad alta
specializzazione disposto con stratificazione orizzontale e
progressivamente alleggerito con caementa di pomice in
R. XV ESQUILINO | 21

corrispondenza del cervello della volta. La struttura presenta,


inoltre, nervature radiali in laterizio a scopo di generale
irrobustimento e ripartizione dei carichi, mentre l'esistenza di un
occhialone (oculus) al cervello della cupola è solo ipotetica.
La cupola era originariamente rivestita da mosaici in pasta
vitrea, poi ricoperti da un sottile strato d'intonaco; sui pavimenti
erano mosaici e opus sectile realizzato con porfido ed altri vivaci
marmi colorati, mentre le pareti, movimentate da elementi di
decorazione architettonica quali trabeazioni, lesene e colonne
forse d'ordine corinzio, erano rivestite con lastre di marmo
(crustae) allettate nella classica preparazione di malta e
frammenti di coccio (cocciopesto). L'esterno della cupola è
costituito da cinque gradoni in pietra e tufo.
Le statue e altri reperti archeologici rinvenuti nell'area
dell'edificio costituiscono oggi un importante nucleo scultoreo
all'interno dei MUSEI CAPITOLINI nella sede della CENTRALE
MONTEMARTINI: un Dionisio con pantera, un satiro danzante,
una fanciulla seduta e i due magistrati rappresentati nell'atto di
dar inizio alle gare, nei quali un'ipotesi molto suggestiva
riconosce Quinto Aurelio Simmaco e suo figlio Memmio.
Nel corso del Rinascimento il monumento fu oggetto
d'interesse da parte di diversi architetti (Giuliano da Sangallo,
Baldassarre Peruzzi, Sallustio Peruzzi e Palladio), che lo
disegnarono indicandolo come modello per alcuni progetti
fiorentini, in particolare quelli della rotonda della basilica della
Santissima Annunziata e della Rotonda di Santa Maria degli
Angeli di Filippo Brunelleschi, che avesse studiato l'edificio
durante i suoi viaggi a Roma proprio per escogitare il modo di
costruire la cupola di Santa Maria del Fiore.

Gli Horti Liciniani erano dei giardini situati sul colle


Esquilino, tra la via Labicana e la via Prenestina, a ridosso delle
Mura aureliane. Confinavano a nord con gli Horti Tauriani e ad
ovest con gli Horti Pallantiani e gli Epaphroditiani. Le fonti
letterarie antiche non consentono di definire con esattezza i
confini topografici di questi horti e gli edifici che ne facevano
parte.
22 | R. XV ESQUILINO

Essi presero il nome dalla gens Licinia che li possedeva.


Nel III secolo furono di proprietà dell'imperatore Licinio
Gallieno (253-268), che li mise in comunicazione con i vicini
Horti Tauriani e vi realizzò una lussuosa residenza imperiale
extraurbana, ricordata come Palatium Licinianum in documenti
del IV e V secolo, da localizzarsi presso la chiesa di Santa
Bibiana. Doveva trattarsi di un complesso di edifici che
permetteva all'imperatore di ospitare l'intera corte e che
comprendeva sale per banchetti e piscine.
I giardini dovettero mantenere a lungo la proprietà
imperiale e la loro destinazione d'uso, se nel primo ventennio del
IV secolo vi sorse il cosiddetto tempio di Minerva Medica che,
con i suoi annessi solo in minima parte conservati, doveva essere
utilizzato per funzioni di rappresentanza e di svago all'interno
del complesso (specus aestivus).
Allo stesso periodo e al complesso di questi horti è
generalmente attribuito un grande mosaico pavimentale con
scene di caccia, rinvenuto presso la chiesa di Santa Bibiana.
Esso apparteneva ad una struttura porticata, la cui datazione
confermerebbe per gli Horti Liciniani una grandiosa fase
costruttiva successiva a quella del periodo di Gallieno.
Nell'area sono stati rinvenuti vari reperti artistici e a
conferma del vasto corredo decorativo che doveva caratterizzare
gli Horti Liciniani. La tumultuosa espansione edilizia per la
realizzazione del nuovo quartiere Esquilino, che ha consentito
qualche notevole ritrovamento, ha in seguito reso impossibili
ulteriori indagini archeologiche estensive. Tra i reperti
recuperati in tale frangente vanno ricordati due splendide statue
di magistrati nell'atto di lanciare la mappa per dare inizio alle
gare nel Circo, ora ai Musei Capitolini nella sede della Centrale Montemartini.
Percorrendo la via Pietro Micca, che si stacca a d. di via
Giolitti in corrispondenza del tempio (i palazzi che vi affacciano
sono un esempio di edilizia popolare estensiva di inizi '900), e
voltando a d. in via di Porta Maggiore, che riprende il tratto
urbano dell'antica via Labicana, si raggiunge viale Manzoni,
concepito con il piano regolatore del 1873, che ricalca parte del
percorso di origine classica dal Colosseo a porta Maggiore.
Lungo di esso si prosegue, incrociando a sin. via Luzzatti; al N.
213 di questa è l'accesso all'ipogeo degli Aureli (visite limitate
R. XV ESQUILINO | 23

agli studiosi, con permesso speciale della Pontificia


Commissione di Archeologia Sacra), scoperto nel 1919: le
pitture, databili alla prima metà del sec. III, che decorano
l'interno sono ispirate al sincretismo pagano-cristiano
(medaglioni col Buon Pastore, Ritorno di Ulisse a Itaca,
Gerusalemme celeste ecc.).
Poco oltre il viale Manzoni incrocia il rettifilo della strada
Felice (all'angolo d. è l'Istituto tecnico industriale "Galileo
Galilei", su progetto di Marcello Piacentini): il tratto di sin.,
lungo il quale si prosegue, ha il nome di via di S. Croce in
Gerusalemme, dalla basilica cui conduce (ne è visibile, al fondo,
il portale), ed è fiancheggiato a d. dagli anonimi intensivi che
negli anni '60 hanno sostituito le casette a schiera degli inizi del
sec. XX e a sin. da villini dei primi anni '20.
PORTA MAGGIORE. La porta erano in realtà due da cui
uscivano le Vie Prenestina e Labicana (poi Casilina), ricavate da
altrettanti archi degli acquedotti Claudio e dell'"Anio Novus"
entrambi iniziati da Caligola nel 38 e terminati da Claudio nel
52, il primo alimentato dalle sorgenti Cerutea e Curzia lungo
l'antica via Sublacense, il secondo captato dell'Aniene poco più a
monte.
Di poderosa architettura in opus quadratum di travertino
con i blocchi in bugnato rustico (non finito) secondo lo stile
dell'epoca, la porta ha due fornici che sono fiancheggiati da
edicole con semicolonne corinzie aperte da archi minori e sono
sormontati da un imponente attico, contrastante per la superficie
liscia, dove - sul fronte prospiciente piazzale Labicano - sono
scolpite le iscrizioni ancora leggibili (ripetute su entrambi i lati
della porta) di Claudio, quella più in alto, sul condotto dell’Anio
Novus (52) e dei restauratori degli acquedotti, gli imperatori
Vespasiano, quella centrale (71), e Tito, quella inferiore (81).
TI. CLAVDIVS DRVSI F. CAISAR AVGVSTVS
GERMANICVS PONTIF. MAXIM.
TRIBVNICIA POTESTATE XII COS. V IMPERATOR XXVII
PATER PATRIAE
AQVAs CLAVDIAM EX FONTIBVS QVI VOCABANTVR
CAERVLEVS ET CVRTIVS A MILLIARIO XXXXV
ITEM ANIENEM NOVAM A MILLIARIO LXII SVA
IMPENSA IN VRBEM PERDVCENDAS CVRAVIT
24 | R. XV ESQUILINO

IMP. CAESAR VESPASIANVS AVGVST. PONTIF.


MAX. TRIB. POT. II IMP. VI COS. III DESIG. IIII P. P.
AQVAS CVRTIAM ET CAERVLEAM PERDVCTAS A.
DIVO CLAVDIO ET POSTEA INTERMISSAS
DILAPSASQVE
PER ANNOS NOVEM SVA IMPENSA VRBI RESTITVIT

IMP. T. CAESAR DIVI F. VESPASIANVS AVGVSTVS


PONTIFEX MAXIMVS TRIBVNIC.
POTESTATE X IMPERATOR XVII PATER PATRIAE
CENSOR COS. VIII
AQVAS CVRTIAM ET CAERVLEAM PERDVCTAS A.
DIVO CLAVDIO ET POSTEA
A, DIVO VESPASIANO PATRE SVO VRBI RESTITVTAS
CVM A. CAPITE QVARVM A. SOLO VETVSTATE
DILAPSAE ESSENT NOVA FORMA REDVCENDAS SVA
IMPENSA CVRAVIT
Desta una certa perplessità notare che nell'arco di soli
trent'anni dalla sua costruzione la struttura richiese ben due
interventi di ristrutturazione e che, per di più, il restauro di
Vespasiano (19 anni dopo) pose fine a ben 9 anni di inattività
dell'acquedotto a causa di guasti. E solo altri 11 anni furono
sufficienti perché si rendesse necessario un altro intervento da
parte di Tito.
Successivamente quello che era un semplice arco
monumentale divenne una vera porta, venendo inglobata nel
tracciato delle Mura aureliane costruite intorno alla città
dall'imperatore Aureliano nella seconda metà del III secolo ed
assunse il nome di Porta Praenestina o Labicana. Fu fortificata ai
tempi dell'imperatore Onorio, il quale, nel 402, avanzò le due
aperture verso l'esterno e fece costruire un bastione davanti alla
porta vera e propria, suddividendola in due porte distinte, la
Praenestina a destra e la Labicana a sinistra (che sarà chiusa
subito dopo), che erano rinforzate, a scopo soprattutto difensivo,
da torri quadrate poste ai lati e da un bastione cilindrico al
centro, costruito sui resti del "Panarium" (tomba di Eurisiace),
ed erano sormontate da finestrelle ad arco, quattro sulla
R. XV ESQUILINO | 25

Praenestina e cinque sulla Labicana. Si trattava però di una


struttura decisamente asimmetrica e priva di equilibrio
architettonico, difetti quasi certamente dovuti ai diversi livelli
delle due strade (la Labicana era più in basso), per cui le torri
erano disallineate e le finestre, con le relative camere di
manovra, fuori piano. La datazione dei lavori onoriani sulla
porta è comunque certificata da un'iscrizione (visibile anche su
Porta Tiburtina) posta all'estrema sinistra del piazzale Labicano
(quindi sul lato esterno della porta), dove è rimasta una delle
cortine onoriane. L'iscrizione, oltre alle consuete lodi per gli
imperatori Arcadio ed Onorio, riporta, come curatore dell'opera,
il nome di Flavio Macrobio Longiniano, prefetto di Roma nel
402
« S. P. Q. R.
IMPP. CAESS. DD. NN. INVICTISSIMIS PRINCIPIBVS
ARCADIO ET HONORIO VICTORIBVS AC
TRIVMPHATORIBVS
SEMPER AVGG. OB INSTAVRATOS VRBI AETERNAE
MVROS
PORTAS AC TVRRES EGESTIS IMMENSIS RVDERIBVS
EX
SVGGESTIONE V[iri] C[larissimi] ET INLUSTRIS MILITIS
ET MAGISTRI VTRIVSQ[ue] MILITIAE FL[avii]
STILICONIS
AD PERPETVITATEM NOMINIS EORVM SIMVLACRA
CONSTITVIT
CVRANTE FL[avio] MACROBIO LONGINIANO V[iro]
C[larissimo]
PRAEF[ecto] VRBIS D[evoto] N[umini] M[aiestati]Q[ue]
EORVM 
« Il Senato e il Popolo di Roma appose per gli Imperatori
Cesari Nostri Signori e principi invittissimi Arcadio e Onorio,
vittoriosi e trionfanti, sempre augusti, per celebrare la
restaurazione delle mura, porte e torri della Città Eterna, dopo la
rimozioni di grandi quantità di detriti. Dietro suggerimento del
distinto e illustre soldato e comandante di entrambe le forze
armate, Flavio Stilicone, le loro statue vennero erette a perpetuo
ricordo del loro nome. Flavio Macrobio Longiniano, distinto
26 | R. XV ESQUILINO

prefetto dell'Urbe, devoto alle loro maestà e ai divini numi curò


il lavoro »
L'iscrizione risulta di un certo interesse storico anche
perché contiene il nome di Stilicone, il generale romano
giustiziato nel 408 perché accusato di tradimento e connivenza
con il visigoto Alarico I. Il suo nome subì una damnatio
memoriae e venne abraso da tutte le iscrizioni e cancellato da
tutte le fonti ufficiali. Si trattò però di una damnatio parziale,
perché, mentre sull'iscrizione della Porta Tiburtina il nome di
Stilicone risulta essere stato eliminato, non altrettanto è accaduto
su quella, identica, di Porta Maggiore.

A ridosso dell'edicola centrale è il sepolcro tardo-


repubblicano del fornaio Eurisace e di sua moglie Atinia,
databile intorno al 30 a.C. è rimesso in luce nel corso della
demolizione, disposta nel 1838 da papa Gregorio XVI, delle
torri difensive costruite da Onorio su Porta Maggiore a Roma, al
fine di ripristinare l'antico assetto risalente all'epoca aureliana,
come ci tiene a precisare in un'iscrizione all'estrema sinistra.
Il sepolcro è realizzato in travertino e decorato con
elementi caratteristici di un forno, come sacchi e bocche di doli,
consiste di un piccolo edificio a pianta trapezoidale, ha l'aspetto
dei recipienti in cui veniva impastata la farina e reca, ripetuta
quasi uguale sui tre lati ancora esistenti, l'epigrafe «Est hoc
monimentum Marcei Vergilei Eurysacis pistoris, redemptoris,
apparet[oris]» ("Questo sepolcro appartiene a Marco Virgilio
Eurisace, fornaio, appaltatore, apparitore"), dalla quale si scopre
che il fornaio lavorava per lo Stato, al quale forniva i suoi
prodotti, e che era anche ufficiale subalterno (apparitore) di
qualche personaggio di alto rango (un magistrato o forse un
sacerdote).
Ad ulteriori conferme della professione di Eurisace, l'urna
che conteneva le ceneri della moglie (ora conservata al MUSEO
DELLE TERME) ha la forma di una madia da pane e inoltre nel
fregio intorno al monumento sono rappresentate tutte le fasi del
procedimento di panificazione: pesatura e molitura del grano,
setacciatura della farina, preparazione dell'impasto, pezzatura e
infornata del pane. Sul lato orientale del piccolo edificio
R. XV ESQUILINO | 27

funebre, ora perduto, trovava probabilmente posto il rilievo con i


due coniugi, che attualmente è visibile ai MUSEI CAPITOLINI.
Sul basamento si trova l'iscrizione commemorativa dei lavori di
restauro.
Contermine a piazza di porta Maggiore è il piazzale
Labicano, dal quale si imbocca la Via Casilina, seguendo le
mura che, dirigendosi verso SE, riutilizzano, fino all'altezza
della sopraelevata di viale Castrense, gli archi dell'"Aqua
Claudia". Per un raccordo a d. si sale nel viale Castrense, che
sottopassa le arcate dell'acquedotto. La cerchia forma un angolo
in cui era incluso il "Sessorium" e procede, dopo un tratto
munito di belle torri quadrate, verso SO, per innestarsi nella
curva dell'Anfiteatro Castrense, presso S. Croce in
Gerusalemme.
Si interseca via Statilia, il cui tratto di sinistra
corrisponde al segmento finale dell'antico percorso dal Colosseo
a porta Maggiore: le superbe arcate che si innalzano nell'area
verde appartengono all'acquedotto Neroniano, costruito
dall'imperatore come diramazione dell'acquedotto Claudio per
alimentare la DOMUS AUREA e il NINFEO DEL TEMPIO DEL
DIVO CLAUDIO, prolungato da Domiziano fino al Palatino e
restaurato da Settimio Severo; altri resti sono racchiusi nel
giardino di villa Wolkonsky, oggi residenza dell'ambasciatore
della Gran Bretagna presso il Quirinale, creata dal gusto
romantico della principessa russa Zenaide che vi abitò nel 1829-
62; nel parco è anche il colombario di Tiberio Claudio Vitale
della seconda metà del sec. I.
28 | R. XV ESQUILINO

Lasciato a d., entro un recinto e sotto una tettoia moderna


in angolo con via Statilia.
SEPOLCRI TARDO-REPUBBLICANI Si tratta in un
complesso di quattro sepolcri allineati scoperti (1916) lungo
l'antica via Celimontana, e che nella versione attuale si presenta
notevolmente restaurato
Questi sepolcri furono, dunque, costruiti l'uno dopo l'altro,
con le facciate allineate sulla strada e le celle interne incassate
nel banco di tufo alle loro spalle, cosi da risultare
semisotterranee; per queste caratteristiche essi possono
avvicinarsi alle tombe rupestri. Il primo ad essere costruito
(metà Il sec. a.C.), deve essere stato il Sepolcro Gemino (B),
seguito da quello dei Quinzi (A), dal Colombario Anonimo (C) e
da quello dei Cesonii (D). Alla fine dell'età repubblicana, i primi
tre monumenti citati, subirono vari interventi di ricostruzione,
che resero possibile un loro ulteriore utilizzo, almeno fino al I
sec. d.C., come testimoniano i bolli impressi sui mattoni
rinvenuti nel colombario. Tra la fine del I sec. d.C. e ’inizio del
seguente, il graduale innalzamento del terreno del piano di
calpestio seppellì i sepolcri, assicurandone, in tal modo. la
conservazione nel tempo.
R. XV ESQUILINO | 29

https://issuu.com/romaarcheomagazine/docs/rivista_n1

Il primo in ordine topografico è il sepolcro del liberto


Publio Quinzio (A), della moglie Quintia (entrambi liberti di un
Tito Quinzio) e d’Agatea, liberta e concubina del propietario del
sepulcro; segue la prescrizione che il sepolcro non dovesse
passare agli eredi; databile intorno al 100 a .C.
P. QVINTIVS.T.L LIBR / QVINCTLkT.L.VXSOR / /
VINCTIA.P.L.AGATEA.LIBERTA / CONCVBNA /
SEPVLCR. HEREDES / NE SEQtJATVR
Il monumento, di forma parallelepipeda, è costituito da un
prospetto in blocchi tufacei, alto basamento e cornice terminale
(ora perduta), nel quale si apre una piccola porta inquadrata da
due scudi scolpiti,di forma rotonda, che immette in un piccolo
vano in parte scavato nella roccia con una piccola cella, con
pareti intonacate, ed un bancone di fondo. Si sono rinvenute otto
sepolture, delle quali quattro ad incinerazione, inserite in loculi,
ricavati in un secondo rcn~ro nella parete di fando, al di sopra
del bancone, e quattro ad inumazione, scavate direttamente nel
tufo del pavimento. Delle deposizioni attribuibili agli antichi
proprietari della tomba, citati nell'epigrafe, resta solamente la
prima a sinistra, mentre le altre sono posteriori.
Il seguente viene detto Sepolcro Gemino (B), in quanto è
composto da due vani, con celle ed ingressi distinti, ma con
prospetto e parete divisoria in comune. Sulla facciata, in blocchi
di tufo, ai lati degli ingressi, sono inseriti lastroni di peperino e
di travertino, nei quali sono ricavati i ritratti dei defunti, sotto
archetti distinti, mentre le iscrizioni sono scolpite direttamente
sui blocchi di tufo; un listello verticale, che riproduce una lunga
lancia, divide anche otticamente le due parti del sepolcro.
Sul sepolcro di sinistra sono i ritratti, rozzamente scolpiti,
di tre personaggi: uno femminile velato e due virili. L'iscrizione
sottostante in parte erase, appare alquanto rimaneggiata:
CLODIAE.N.L.STACTE.N.CLODIVS.N.L / L
NIARCR'S.L.F.PAL.ARMITRVPHO /
M.ANNIVS.M.L.HILARVS / HOC MONIMENTVM
HEREDES / NE SEQUATUR C.ANNAE.C.L. / PAL
QVINCTIONIS
30 | R. XV ESQUILINO

I nomi appartengono a cinque liberti e discendenti di


liberti delle famiglie Clodia, Marcia ed Annia, di questi solo
l'ultimo nome, Anneo Quinzione, appartiene all'iscrizione
primitiva, mentre gli altri quattro furono iscritti in un secondo
momento, dopo aver eraso le iscrizioni precedenti, come sembra
confermato dal rapporto numerico fra i nomi ed i personaggi
ritratti. Il primo nome, Clodia Stacre, corrisponde alla donna
raffigurata a sinistra, mentre l'ultimo, Anneo Quinzione, alla
figura virile a destra; il ritratto centrale dovrebbe, invece,
identificarsi come quello di Nevio Clodio.
Sul sepolcro di destra è il ritratto di due figure femminili,
delle quali la seconda con il capo velato; sottostante è
l'iscrizione, mutila, con i loro nomi:
— ~CAE'~ lA. PLOTL~ [AJL / APOLLONIA .S. /
LI.
I vani del Sepolcro Gemino, che mostrano ulteriori
divisioni, si presentano piuttosto devastati ed interessati da vari
rimaneggiamenti successivi. Le pareti di fondo, di epoca
originale, sono in opera quadrata di tufo, mentre le pareti in
opera reticolata, compresa quella divisoria fra le due celle,
vanno attribuite a restauri. Lungo le pareti laterali del primo
sepolcro a sinistra (delle famiglie Clodia, Marcia ed Annia), si
trovano tre loculi per parte con due vasi cinerari ciascuno,
mentre nel vano del sepolcro di destra, senza loculi, furono
rinvenuti ben quattordici vasi cinerari di terracotta, posati sulla
fondazione di un muro divisorio in calcestruzzo, nel quale è stata
scavata anche una tomba a fossa.
Il sepolcro successivo, detto Colombario Anonimo (C),
ha la facciata completamente distrutta, eccetto scarsi blocchi del
basamento. Si presenta completamente rimaneggiato e, in alcuni
punti, interamente ricostruito.
Era diviso in due ambienti da un muro parallelo alla
facciata, del quale resta solo qualche traccia, e, nell'assetto
originario, non aveva sepolture lungo le pareti. Sulla parete di
destra, in opera reticolata, sono tre nicchie di età posteriore,
delle quali quella centrale è decorata con una conchiglia dipinta
di verde-azzurro e, sottostanti a queste, si intravedono quattro
R. XV ESQUILINO | 31

loculi, anch'essi di età successiva, con due vasi cinerari


ciascuno.
Nella parete di sinistra, entro un muro in laterizi, si aprono
altri loculi, con cinque vasi cinerari incassati, che, tuttavia, si
pensa appartengano al Sepolcro Geminio adiacente. Nel
pavimento era scavata, infine, una piccola sepoltura ad
inumazione per bambino, coperta di tegole e con corredo
costituito da un balsamario di terracotta e due sonagli di bronzo.
Adiacente al colombario segue, alla sua destra, il piccolo
ed elegante Sepolcro dei Cesonii (D), appartenente alla
tipologia dei monumenti funebri in forma di ara, costruito in
blocchi di peperino e di tufo.
Del sepolcro è stata scoperta solo la facciata, che presenta,
al centro, un riquadro rettangolare che conteneva un rilievo,
fiancheggiato da due elementi decorativi, ora interamente
perduti, e, soprastante a questo, un blocco di travertino (m. 1,37
x 0,60), nel quale è una tabella con il nome del proprietario:
A. CAESONIVS A·F COL PAETVS, e dei suoi liberti, A
CAESONIVS A·L PHILEMO TELGENNIA P L·PHILVMNIA,
quest'ultima ancora vivente quando l'iscrizione venne incisa,
conio indica la lettera V che segue il suo nome.
Venne successivamente affiancato, sul lato sinistro, da un
altro nucleo, che presenta, un pilastro in peperino ed un riquadro
in opera reticolata che appare attraversato, all'estremità
dell'architrave, da tre condutture in terracotta. Su questo quinto
sepolcro, si nota la presenza di una lettera dell'alfabeto greco
(theta), che si usava nell'epigrafia sepolcrale per indicare che un
personagoio nominato come vivente, è, nel frattempo, morto.
Alla destra si è scoperto un sesto sepolcro, del quale è
visibile solo l'angolo del basamento.
Si costeggiano sul lato opposto i blocchi uniformi delle
case della Cooperativa Ferrovieri (realizzati fra il 1905 e il
1908), sboccando nella piazza di S. Croce in Gerusalemme.
S. CROCE IN GERUSALEMME
L'area dove sorse la chiesa fu occupata nella prima metà
del sec. III da una villa imperiale, iniziata da Settimio Severo e
compiuta da Elagabalo, che comprendeva, oltre al palazzo
32 | R. XV ESQUILINO

imperiale ("Sessorium", da "sedeo", risiedere), un piccolo


anfiteatro e un circo; agli inizi del secolo successivo il "palatium
Sessorianum" fu residenza privata dell'imperatrice Elena, madre
di Costantino, che probabilmente dedicò al culto cristiano un
ambiente dell'edificio: qualche decennio più tardi un atrio di
questo fu trasformato in basilica cristiana (da qui i nomi di
Basilica Eleniana o Sessoriana).
L'aula rettangolare (c. m 36.50 x 22), in origine aperta sui
lati maggiori da archi su pilastri che furono murati per isolarla
dal complesso, fu suddivisa in tre navate longitudinali e dotata
di nartece, del campanile e di un chiostro da Lucio II (1144), e
modificata nel '400 e nel '500; il complesso ebbe l'aspetto
definitivo sotto Benedetto XIV (1743), quando Domenico
Gregorini e Pietro Passalacqua trasformarono la navata centrale
e sostituirono il nartece con un atrio ellittico sul quale fu apposto
il nuovo prospetto di travertino.
La facciata, uno dei capolavori del barocchetto romano,
esplode, tra le ali 'neutre' del convento, col suo impianto
concavo-convesso di ascendenza borrominiana, a ordine unico
di paraste corinzie, e culmina, oltre il timpano curvilineo,
nell'aereo fastigio tra le statue degli evangelisti, Elena e
Costantino. L'atrio ellittico, composto da un vano centrale con
cupoletta, delimitato da pilastri affiancati dalle colonne del
precedente nartece, e da un ambulacro anulare. Sulla d. si leva il
campanile romanico in laterizio, con quattro piani di bifore
accoppiate, del tempo di Lucio II.
L'interno è suddiviso in tre navate da 12 antiche e
colossali colonne di granito, quattro delle quali furono inglobate
nei pilastri della trasformazione settecentesca; a questo
intervento si debbono le paraste che interrompono il ritmo della
trabeazione, la ricca decorazione a stucchi e il soffitto ligneo
voltato a botte, nel quale si aprono i sei lunettoni in sostituzione
delle finestre originali (al centro, la Vergine presenta S. Elena e
Costantino alla Trinità, tela di Corrado Giaquinto, 1744). Il
pavimento cosmatesco è stato restaurato nel 1933. Ai lati
dell'ingresso principale, due acquasantiere marmoree di fine sec.
XV.
R. XV ESQUILINO | 33

NAVATA DESTRA. 2a altare (4): S. Bernardo umilia


l'antipapa Vittore IV a Innocenzo II di Carlo Maratta (1660-65).
3a (5): Visione della madre di S. Roberto di Raffaello Vanni.
Per una cordonata di fine '400 si scende alla CAPPELLA
DI S. ELENA (6), di fondazione costantiniana: nella volta,
mirabile *mosaico (al centro Gesù benedicente con attorno gli
evangelisti; negli spazi tra gli ovali, quattro storie della Croce;
nei sottarchi, santi e simboli della Passione), rifacimento
rinascimentale, attribuito a Melozzo da Forlì (c. 1484) o a
Baldassarre Peruzzi (c. 1510), dell'originale di Valentiniano III.
All'altare, statua romana trasformata in S. Elena con l'aggiunta
della croce e il rifacimento della testa e delle braccia. Sotto il
pavimento sarebbe sparsa la terra del Calvario, che la santa
avrebbe portato con le reliquie della passione di Gesù (da qui
l'appellativo in Gerusalemme).
L'adiacente CAPPELLA GREGORIANA (7) fu costruita
dal cardinale Carvajal nel 1520: all'altare, rilievi con Pietà (inizi
sec. XVII).
Per un'altra cordonata si sale nuovamente al presbiterio,
dov'è l'ingresso alla CAPPELLA DELLE RELIQUIE (per la
visita rivolgersi in sagrestia), inaugurata nel 1930 e completata
nel 1952: vi sono custodite le reliquie della Santa Croce (tre
pezzi del legno in un reliquiario di Giuseppe Valadier, un chiodo
e parte del titolo); in un vano adiacente (rivolgersi al sagrestano)
sono gli *affreschi (metà sec. XII) che ornavano la parte
superiore delle pareti della navata centrale, scoperti nel 1913,
staccati e restaurati nel 1968, nonché una Crocifissione di scuola
giottesca e due statuette dei Ss. Pietro e Paolo di scuola francese
del '300.
PRESBITERIO. Ciborio settecentesco (2), con fastigio
marmoreo e angeli in bronzo dorato, posto sulle colonne di
quello del 1148. Sotto l'altare maggiore, urna di basalto, con
protomi leonine, racchiudente i corpi dei Ss. Cesarco e
Anastasio. Nella volta, Apparizione della Croce del Giaquinto
(c. 1744).
ABSIDE. *Sepolcro del cardinale Francesco Quinones
(1536; 3) di Jacopo Sansovino; al di sopra, tabernacolo in
marmo e bronzo dorato su disegno di Carlo Maderno (a d. statua
34 | R. XV ESQUILINO

di David, a sin. Salomone); ai lati, affreschi del Giaquinto


(1749-51) raffiguranti Il serpente di bronzo e Mosè fa scaturire
l'acqua dalla rupe; tra quest'ultimo e A tabernacolo, sepolcro del
cardinale Bernardino Carvajal, del 1523 ma di forme
quattrocentesche.
Nel semicatino, *Invenzione della Santa Croce per opera
di S. Elena e suo recupero per opera di Eraclio e, nell'alto, Cristo
benedicente tra cherubini, affresco attribuito ad Antoniazzo
Romano (c. 1492).
NAVATA SINISTRA. 3° altare (8): S. Silvestro e
Costantino di Luigi Garzi (1675). 1° (9): Incredulità di S.
Tommaso di Giuseppe Passeri (c. 1675).
Del vasto convento, fondato da Benedetto VII (c. 980) in
parte sull'Anfiteatro Castrense (v. pag. 655) e ampliato nel '500
dal cardinale Carvajal e nel 1743 da Benedetto XIV, restano il
bellissimo SALONE DELLA BIBLIOTECA SESSORIANA
(Sebastiano Cipriani, 1724), con volta affrescata da Giovanni
Paolo Pannini (1724-27), e il monumento a Benedetto XIV di
Carlo Marchionni (1743).
L'area a sin. della basilica, espropriata dopo il 1870 e
occupata dalla caserma "Principe di Piemonte", accoglie tre
istituzioni: H Museo storico della Fanteria (ingresso al N. 9;
visita: feriali ore 9-13), sistemato nel 1959, con rassegna
documentaria dall'epoca preromana al Risorgimento e alle due
guerre mondiali
Il museo è suddiviso in tre settori: armi, bandiere ed
uniformi e si compone in biblioteca ed archivio storico, sacrario,
35 sale con 5 gallerie ed androni. I vari reparti spaziano in vari
settori, tra cui: in varie specializzazioni militari (specialità
dell'arma e specialità coloniali), guerre prima e seconda guerra
mondiale ed armeria. Inoltre il museo consta di varie donazioni
ed acquisti, pitture, disegni e sculture tra cui la statua del
"Partente" di B. Poidimani sita al pianoterra ed il "Redentore
sulla croce" di Edmondo Furlan sita nel sacrario.[1]
(nel retrostante giardino sono i grandiosi resti del
cosiddetto tempio di Venere e Cupido dell'età di Massenzio e
quelli, rinvenuti nel 1959, del Circo Variano, eretto da
Elagabalo);
R. XV ESQUILINO | 35

il *Museo degli Strumenti Musicali (ingresso al N. 9A;


la visita, guidata, è effettuabile nei giorni feriali dalle ore 9 alle
14), istituito nel 1974, che raccoglie c. 3000 pezzi dall'antichità
a tutto il sec. XIX in gran parte provenienti dalla collezione di
Evan Gorga (spiccano una tromba del 1461, "cornamuti torti"
del 1524, il clavicembalo costruito a Lipsia da Hans Múller nel
1537, l'arpa Barberini e il *pianoforte di Bartolomeo Cristofori
costruito nel 1722);
il Museo storico dei Granatieri di Sardegna (ingresso al
N. 8; visita: martedì, giovedì e sabato ore 10-12), che espone
cimeli, ricordi e documenti storici, dipinti, sculture e armi della
brigata dal 1659 al 1945.
Il museo si suddivide in 15 sale che contengono armi di
varia provenienza, sia italiana sia straniera, nonché materiale
fotografico relativo alla Grande Guerra, le motivazioni delle
assegnazioni delle medaglie d'oro al valor militare conferite ai
granatieri, planimetrie dei luoghi ove essi combatterono,
bandiere e oggetti personali donati dai granatieri stessi o dalle
loro famiglie. Inoltre sulle pareti sono incisi a lettere d'oro i
nomi di 8.500 granatieri caduti in tutte le guerre.
L'itinerario si sviluppa illustrando i periodi più
significativi della storia del corpo militare, partendo dalla sua
fondazione avvenuta nel 1659 fino al 1870. Esso prosegue nei
ricordi storici delle guerre coloniali di Eritrea (1896) e Libia
(1911-1912), mentre la sala d'armi conserva esemplari di armi
strappate al nemico durante la Prima guerra mondiale e cimeli
delle campagne di Albania, Grecia e Jugoslavia.
L'itinerario prosegue nella sala riservata alla guerra di
Spagna (1936-1939) e Jugoslavia (1941-1943) ed in quella che
conserva la memoria della partecipazione dei granatieri alla
Resistenza.
Al primo piano è il salone d'onore dedicato ai regnanti
della Casa Savoia, sostenitori del corpo dei granatieri sin dalla
sua istituzione. Due sale dedicate alla guerra italo-etiopica, una
sala dedicata al tenente Guido Zanetti ed una riservata alle
bandiere di guerra del corpo completano il museo.
36 | R. XV ESQUILINO

A destra, L'ANFITEATRO CASTRENSE. Viene citato con


questo nome (in latino amphitheatrum castrense) nei Cataloghi
regionari dove ci si riferisce probabilmente a castrum come
residenza imperiale: il nome sarebbe quindi da tradurre come
"anfiteatro di corte", legato al Palazzo Sessoriano (o Sessorium),
di cui faceva parte anche l'edificio su cui oggi sorge la Basilica
di Santa Croce in Gerusalemme. Fu costruito probabilmente
insieme al resto del complesso residenziale imperiale all'epoca
di Eliogabalo e restò in uso fino alla costruzione delle Mura
aureliane, che lo tagliarono a metà e lo trasformarono in bastione
avanzato, tramite la tamponatura degli archi della facciata, fatto
cui deve la sua parziale conservazione (nel sec. XVI, per ordine
di papa Paolo IV, per ragioni difensive venne ridotto al solo
primo piano, dai tre conservatisi fino allora).
Di forma ellittica (asse maggiore di 88 m e asse minore di
75,80 m), presenta attualmente in vista parte delle fondazioni (in
cementizio con caementa in basalto), a causa dell'abbassamento
del piano di campagna circostante, mentre l'elevato è in opera
laterizia.
La facciata esterna aveva tre ordini: il primo presentava
arcate, inquadrate da semicolonne, il secondo arcate, chiuse da
bassi parapetti, inquadrate da lesene e il terzo un attico con
finestre ripartito da lesene. Superiormente vi si trovavano
probabilmente mensole in travertino per sostenere i pali del
velarium. Sui tre ordini semicolonne e lesene avevano capitelli
corinzi ed erano realizzate interamente in mattoni, come il resto
della struttura, fatto piuttosto raro per edifici di questo tipo,
costruiti solitamente in pietra.
All'interno, i gradini della cavea dovevano essere sorretti
da ambulacri con volte a botte, sovrapposti come gli ordini della
facciata. Ambienti sotterranei erano ricavati sotto l'arena, i cui
resti furono visti in scavi settecenteschi.
A ridosso dell'Anfiteatro Castrense e presso i fornici
aperti nelle mura Aureliane è l'oratorio di S, Maria del Buon
Aiuto (nel 1992 in restauro), eretto da Sisto IV nel 1476, nel cui
interno è un affresco riportato con Madonna col Bambino
attribuito ad Antoniazzo Romano.
R. XV ESQUILINO | 37

La chiusura al traffico del secondo tratto di viale


Castrense, lungo il quale la cortina originaria presenta
consistenti integrazioni moderne (tra le quali quelle dovute
all'incongruente utilizzo come deposito dell'ATAC), obbliga a
un percorso segnalato per via S. Severo e via La Spezia fino a
piazzale Appio, dove si apre la porta S. Giovanni, sullo sfondo
dell'omonima basilica.
Punto di partenza della Via Appia Nuova, fu eretta da
Jacopo Del Duca per volere di Gregorio XIII nel 1574 e ha un
aspetto poderoso sottolineato dalle paraste a bugnatura dentata,
con una testa di moro nella chiave dell'arco; il restauro degli
anni '70 ha ripristinato i balaustri ai lati dell'iscrizione.
Essa sostituì la più antica porta Asinaria, che si scorge a
sin. a un livello sensibilmente più basso, segnata da due torrioni
semicilindrici; in origine era un ingresso secondario, privo di
torri, da cui usciva la romana via Asinaria, cui Onorio aggiunse
la controporta e le due torri, a due piani di monofore. Chiusa e
parzialmente interrata nel 1409, è stata liberata e restaurata nel
1954.
Contermine a piazza di S. Giovanni in Laterano è piazza
di Porta S. Giovanni, così detta dall'apertura nelle mura
Aureliane (v. pag. 655), su cui domina l'imponente facciata di *
S. Gìovanni in Laterano. Sulla piazza, a d. dell'imbocco di viale
Carlo Felice (in fondo è la basilica di S. Croce in Gerusalemme:
v. pag. 501) e in rapporto simbolico con la basilica di S.
Giovanni, è l'arioso monumento a S. Francesco d'Assisi con
figure bronzee del santo e dei primi seguaci (Giuseppe Tormini,
l927).
S. Gìovanni in Laterano (propriamente del SS. Salvatore
e dei Ss. Giovanni Battista e Giovanni Evangelista), la cattedrale
di Roma.
Gli scavi del 1877-78 e del 1934-38 hanno riportato in
luce, sotto la basilica, resti di una domus del sec. III e di un'altra,
del sec. I, che nel successivo fu sostituita dalla seconda caserma
della guardia a cavallo dell'imperatore ("Castra Nova Equitum
Singularium"); tale edificio venne tagliato da Costantino per la
costruzione (c. 313-318) della basilica, il cui schema era simile a
quello dell'antica S. Pietro. Danneggiata e restaurata più volte,
38 | R. XV ESQUILINO

nel '400 ebbe l'interno affrescato da Gentile da Fabriano e dal


Pisanello; Sisto V aggiunse la loggia delle Benedizioni e
Clemente VIII fece ridecorare il transetto; Francesco Borromini
rimodellò, per incarico di Innocenzo X, le cinque navate. La
facciata in laterizio, rifatta da Alessandro III nella seconda metà
del sec. XII, sopravvisse fino al 1732 quando, in seguito a
concorso, venne sostituita dall'attuale, opera di Alessandro
Galilei; a Leone XIII risale invece la barbara ricostruzione
dell'abside costantiniana, unico elemento antico rimasto intatto.
La grandiosa, solenne facciata del Galilei (1732-35) è a
un ordine colossale di paraste e semicolonne corinzie
sorreggente la trabeazione con timpano centrale e balaustra
coronata da 15 statue di Cristo, dei Ss. Giovanni Battista ed
evangelista e dei dottori della Chiesa. All'interno dell'ordine la
facciata è svuotata in basso dal portico architravato e in alto
dalla loggia ad arcate, in una trascrizione neopalladiana
dell'invenzione cortonesca di S. Maria in via Lata.
Per uno dei cinque varchi si entra nel portico del Galilei
(pianta, 1), con volta a botte ribassata ornata di lacunari e, al
centro, dallo stemma di Clemente XII. La porta mediana ha
preziosi *battenti in bronzo provenienti dalla Curia ma
trasformati attorno al 1660 con l'aggiunta delle fasce di contorno
(sterrani di Alessandro VII) per adattarli alle dimensioni
dell'apertura attuale; l'ultima a d. è la Porta Santa, aperta solo
negli anni giubilari. A sin. statua di Costantino dalle terme erette
dall'imperatore sul Quirinale; sopra di questa e sulle porte
(quella sul lato d. del portico dà accesso al Museo Storico
Vaticano: v. pag. 273), altorilievi marmorei (storie della vita del
Battista) di Filippo Della Valle, Bernardino Ludovisi, G.B.
Maini e Pietro Bracci. Lungo in 130, l'interno, basilicale a
cinque navate già divise da colonne, con transetto Poco
sporgente e abside, si presenta ora nel rifacimento di Borromini
(1646-50 e 1656-57; inattuato restò il progetto di copertura a
volta nervata), cui si debbono le sistemazioni dei più antichi
monumenti funebri e le cappelle laterali (la 1a e l'ultima
dell'estrema navata d.; la 2a e la 5a di quella sin.).
Il sontuoso soffitto della NAVATA MEDIANA,
disegnato forse da Pirro Ligorio (gli ornati sono di Daniele da
Volterra), fu iniziato nel 1562, ultimato nel 1567 sotto Pio V, cui
R. XV ESQUILINO | 39

si deve la doratura, e restaurato da Pio VI (stemma). Il


pavimento, di tipo cosmatesco, presenta il motivo della colonna
gentilizia di Martino V. Contro i pilastri della navata spiccano
12 edicole, su disegno di Borromini, con colonne di verde antico
e timpano fregiato dalla colomba pamphilia, dentro le quali
furono collocate prima del 1718 colossali *statue di apostoli; al
di sopra delle edicole, scene M Vecchio (sin.) e del Nuovo
Testamento (d.), altorilievi in stucco (1650) disegnati da
Alessandro Algardi ed eseguiti in parte dallo stesso (Cacciata dal
Paradiso terrestre, Battesimo, Crocifissione e Risurrezione di
Gesù) in parte da Antonio Raggi e Giovanni Francesco Rossi;
più in alto, entro cornici ovali, profeti (c. 1718): lungo il lato d.
della navata, S. Taddeo di Lorenzo Ottoni (sopra, Nahum di
Domenico Maria Muratori), S. Matteo di Camillo Rusconi
(sopra, Giona di Marco Benefial), S. Filippo di Giuseppe
Mazzuoli (sopra, Amos di Giuseppe Nasini), S. Tommaso di
Pierre Legros (sopra, Osea di Giovanni Odazzi), S. Giacomo
maggiore del Rusconi (sopra, Ezechiele di Giovanni Paolo
Melchiorri), S. Paolo di Pierre Etienne Monnot (sopra, Geremia
di Sebastiano Conca); lungo quello sin., S. Pietro del Monnot
(sopra, Isaia di Benedetto Luti), S. Andrea del Rusconi (sopra,
Baruch di Francesco Trevisani), S. Giovanni evangelista del
Rusconi (sopra, Daniele di Andrea Procaccini), S. Giacomo
minore di Angelo de Rossi (sopra, Gioele di Luigi Garzi), S.
Bartolomeo del Legros (sopra, Abdia di Giuseppe Chiari), S.
Simone di Francesco Moratti (sopra, Michea di Pier Leone
Ghezzi). In fondo alla navata, sotto il grande arco, pregevole
tabernacolo ogivale (2), di tarda derivazione da Arnolfo di
Cambio, eretto da Giovanni di Stefano per Urbano V nel 1367: è
ornato all'esterno da 12 riquadri in affresco attribuiti a Barna da
Siena (1367-68) e ritoccati da Antoniazzo Romano e da
Fiorenzo di Lorenzo; in alto, custodie d'argento racchiudono le
reliquie delle teste degli apostoli Pietro e Paolo. Sotto il
tabernacolo, l'altare papale (solo D pontefice può dirvi messa),
restaurato nel 1851; nella parte superiore, dietro le roste di legno
dorato, è conservato l'altare ligneo dove si dice officiassero i
primi papi; alla base dell'altare, entro il recinto della
confessione, *sepolcro di Martino V, con lastra tombale
bronzea, finissimo lavoro di Simone Ghini (1443).
40 | R. XV ESQUILINO

NAVATA ESTREMA DESTRA. All'inizio, a d. (3),


monumento del cardinale Paolo Mellini (m. 1527) sormontato
da un affresco frammentario (Madonna con Bambino) di ambito
melozzesco. 1a cappella (Orsini; 4): Immacolata, affresco di
Placido Costanzi (1729). Tra la 1a e la 2a cappella, monumento
del cardinale Giulio Acquaviva (m. 1574; 5): le statue della
Prudenza e della Temperanza appartenevano al monumento De
Chaves (v. sotto). 2a (Torlonia; 6), ultima cappella gentilizia
romana, opera di tardo gusto neoclassico (Quinfiliano Raimondi,
1830-50): sopra l'altare, con paliotto di malachite e lapislazzuli,
Deposizione, altorilievo di Pietro Tenerani (1844); alle pareti,
monumenti funebri del duca Giovanni (d.) e di Anna Torlonia
(sin.), e statue di Virtù di Filippo Gnaccarini, Achille Stocchi,
Vincenzo Gaiassi e Bartolomeo Bezzi. Tra la 2a e la 3a cappella,
sopra una finestra a grata (7), statuetta di S. Giacomo, resto
dell'altare De Pereriis attribuito ad Andrea Bregno (1492). 3a
(Massimo; 8), di Giacomo Della Porta (1564-70): Crocifissione,
tavola del Sermoneta. (1575). Seguono la tomba cosmatesca del
cardinale Casati da Milano (1287; 9) e il sepolcro del cardinale
Antonio Martino De Chaves detto il cardinal di Portogallo
(1447; 10), con sculture di Isaia da Pisa.
NAVATA INTERMEDIA DESTRA. 5° pilastro (11):
tomba del cardinale Ranuccio Farnese (m. 1565) su disegno del
Vignola. 4° (12): sepolcro di Sergio IV (1012). 3° (13): sepolcro
di Alessandro III (m. 1181). 2° (14): cenotafio di Silvestro II (m.
1003) eretto nel 1909 (l'iscrizione è antica). 1° (15): Bonifacio
VIII proclama il Giubileo del 1300, frammento di affresco di
Giotto.
NAVATA ESTREMA SINISTRA. All'inizio in alto, su
sarcofago, statua giacente di Riccardo degli Annibaldi (m. 1274;
16) , opera di Arnolfo di Cambio (1276). 1a cappella (*Corsini;
17), elegante opera del Galilei (1732-35) a croce greca, ripartita
da lesene corinzie e con volte e cupola a lacunari: S. Andrea
Corsini, copia in mosaico da Guido Reni; a sin. monumento di
Clemente XII, con urna e colonne in porfido provenienti
dall'atrio del Pantheon, e statua bronzea del pontefice del Maini
(le figure allegoriche sono di Carlo Monaldi); nelle nicchie alle
pareti Fortezza di Giuseppe Rusconi, Giustizia di Giuseppe
Lironi, Prudenza di Agostino Cornacchini, Temperanza del
R. XV ESQUILINO | 41

Della Valle; nella cripta, Pietà, gruppo marmoreo di Antonio


Montauti (c. 1732). 2a (Antonelli; 18): Volto della Vergine,
frammento di tavola del sec. XV inserito in un affresco (Assunta
tra i Ss. Domenica e Filippo Neri) dell' Odazzi. Tra la 2a e la 3a
cappella, sepolcro del cardinale Bernardino Caracciolo (m.
1255; 19). 3a (Onorio Longhi, 1600-10; 20): sull'altare,
composto da un sarcofago strigilato su due leoni, Crocifisso
attribuito a Stefano Maderno e, sotto, Madonna con Bambino tra
i Ss. Lorenzo e Sebastiano (sec. XVI); alla parete sin.
monumento del cardinale Giuliano Antonio Santori (m. 1637)
con busto di Giuliano Finelli. 4a (21), eretta c. nel 1675 da
Giovanni Antonio de Rossi a pianta centrale con cupola: nella
volta, stucchi di Filippo Carcani. All'ultimo pilastro (22),
monumento del cardinale Girolamo Casanate (m. 1700) del
Legros (1707). All'ultimo pilastro d. della NAVATA
INTERMEDIA SINISTRA, sepolcro di Elena Savelli con
architettura e bronzi di Jacopo Del Duca (1570; 23).
Il TRANSETTO, completamente rinnovato nel 1597-1601
dal Della Porta per la parte architettonica e dal Cavalier d'Arpino
per quella pittorica, costituisce uno dei più rappresentativi
complessi del manierismo romano di fine '500. PARTE
DESTRA. Alla parete d.: S. Barnaba di G.B. Ricci, S.
Bartatomeo di Paris Nogari S. Simone del Pomarancio e, nel
registro inferiore, S. Silvestro riceve i messi di Costantino del
Nogari e Battesimo di Costantino del Pomarancio; sulla quella
sin.: S. Taddeo di Orazio Gentileschi, S. Tommaso di Cesare
Nebbia, S. Filippo di Giovanni Baglione, Fondazione della
basilica del Nogari e Consacrazione del Ricci. PARTE
SINISTRA. Alla parete d. S. Giacomo del Nogari, S. Paolo e
due santi dottori del Nebbia, Apparizione del Santo Volto,
Costantino dona gli arredi alla basilica, del Baglione; nella
testata Trasfigurazione del d'Arpino; alla parete sin. S. Andrea
del Ricci, S. Pietro di Bernardino Cesari ' due Santi dottori e
Sogno di Costantino del Nebbia, Trionfo di Costantino del
Cesari. Alla testata del braccio d. del transetto (24), organo
(1598), sostenuto da due colonne di giallo antico, e due angeli
del Valsoldo. Alla testata di quello sin. (25), grandioso altare dei
Sacramento, con quattro colonne e coronamento a timpano in
bronzo dorato di Pietro Paolo Olivieri (c. 1600), e tabernacolo di
Pompeo Targone; ai lati statue di Elia, Mosè, Melchisedec e
42 | R. XV ESQUILINO

Aronne di Camillo Mariani, Gillis de la Rivière, Nicolò Pippi e


Giacomo Longhi Silla (c. 1599). Cappella del Crocifisso (26): a
d., Bonifacio IX inginocchiato su fondo cosmatesco (sec. XIV-
XV). Tomba di Innocenza 111 (27) eretta da Giuseppe Lucchetti
nel 1861. Da qui si' accede al museo (28), sistemato nel 1986,
che raccoglie quanto rimane dei tesori accumulati nella basilica
nel corso dei secoli; nel complesso di arredi liturgici, si notino
nel portico il prezioso reliquiario di S. Caterina da Siena e di S.
Maria Egiziaca (oreficeria veneta del sec. XV), il reliquiario del
cilicio di S. Maria Maddalena (seconda metà sec. XV), la croce
stazionale detta costantiniana (sec. XIII-XIV), la croce astile di
Nicola da Guardiagrele (1441; firma) e, nella sala sul lato sin.
del chiostro, i pregevoli arazzi e il piviale detto di S. Silvestro
(sec. XIII- XIV).
Il PRESBITERIO (29) e l'ABSIDE (30) sono un
rifacimento del tempo di Leone XIII eseguito, ripetendo le
forme antiche, da Francesco Vespignani su disegno del padre
Virginio (1884-86). Il mosaico (Jacopo Torriti e Jacopo da
Camerino, 1288-94) della semicalotta fu qui trasportato dalla
vecchia abside e restaurato: in alto, fra le nubi, Cristo a mezzo
busto circondato da angeli; in basso nel mezzo, Croce gemmata,
con la colomba posata sulla collina racchiudente la
Gerusalemme celeste e donde scendono a dissetare il gregge
(cervi e pecore) i quattro fiumi (i Vangeli); a d. i Ss. Giovanni e
Andrea (le figure minori di S. Antonio da Padova a d. e di S.
Francesco d'Assisi a sin. sono un'ìnclusione voluta da Niccolò
IV); a sin., Vergine con il donatore Niccolò IV in ginocchio e i
Ss. Pietro e Paolo; al di sotto, il Giordano; più in basso, tra le
finestre, nove apostoli e le figurette degli autori (fra' Jacopo da
Camerino a d. e Jacopo Torriti a sin.), Alle pareti del presbiterio,
Fatti di Innocenza III e Approvazione degli ordini francescano e
domenicano (d.) e L'architetto Vespignani presenta il progetto
del nuovo presbiterio e dell'abside a Leone XIII (sin.), affreschi
di Francesco Grandi. A lato del presbiterio (31), sepolcro di
Leone XIII di Giulio Tadolini (1907).
Passando sotto il sepolcro di Leone XIII si entra nel
CORRIDOIO (32; per la visita rivoigersi al Pontificio Consiglio
delle Relazioni Sociali) ove sono memorie della basilica del sec.
XIII, monumenti funebri (spiccano le tombe dei pittori Andrea
R. XV ESQUILINO | 43

Sacchi - 1661 - e del Cavalier d'Arpino, 1640), le statue dei Ss.


Pietro e Paolo di Deodato di Cosma. Dalla porta sin., fra due
iscrizioni a mosaico ("tabula magna lateranensis", ed elogio di
Nicola IV) si entra nella SAGRESTIA VECCHIA (dei
Beneficiati; 33): Maddalena di Scipione Pulzone; a sin.
*Annunciazione tavola di Marcello Venusti su disegno di
Michelangelo (1555); alle pareti busti di Clemente VIII di
Giacomo Laurenziano e di Paolo V di Nicolas Cordier; nella
volta affresco di Giovanni Alberti (1592). Dalla porta sulla d. si
passa nella SALA CLEMENTINA (sagrestia dei Canonici; 34),
con affreschi di Agostino Ciampelli e volta di Giovanni e
Cherubino Alberti (c. 1600). Più avanti, i cinque ambienti della
SAGRESTIA NUOVA (35), fatta costruire da Leone XIII: in
quello centrale, altare del sec. XV con coeva Annunciazione di
scuola toscana. In chiesa, cappella Colonna (del Coro; 36), opera
di Girolamo Rainaldi (1625): stalli lignei ornati di statue di santi
entro nicchie; monumento di Lucrezia Tomacelli (1625) di
Teodoro Della Porta e del Laurenziano.
Il *CHIOSTRO (37; vi si accede in fondo alla navata sin.:
se chiuso rivolgersi al custode), capolavoro d'arte cosmatesca, fu
costruito nel 1215-92 dai Vassalletto, come risulta dall'iscrizione
sul fregio del portico di fronte. Le arcatelle poggiano su
colonnine binate (alcune decorate a mosaico), di forma svariata
e con differenti capitelli; la trabeazione è ricca specialmente nel
fregio a mosaico e nella cornice intagliata con teste ferine sulla
gronda. Le volte degli ambu1acri, impostate su antiche colonne
con bei capitelli ionici e addossate ai pilastri verso l'interno,
furono costruite posteriormente, insieme con la semirustica
sopraelevazione ad arcate del loggiato. Ai lati dei passaggi al
cortile, leoni stilofori; in mezzo a questo, punteale (sec. XX).
Lungo le pareti, elementi architettonici, sculture e ornati
dall'antica basilica, iscrizioni lastre tombali, materiale di scavo
romano e paleocristiano. Iniziando da d.: entro nicchie, Il
Battista e S. Giovanni evangelista di Luigi Capponi provenienti
dallo smembrato altare De Pereriis (1492); all'inizio del 2°
ambulacro, battenti in bronzo, già appartenenti alla porta della
Scala Santa, di Pietro e Uberto da Piacenza 1196); dal 3°
ambulacro si vede, sul lato opposto, l'imponente testata in
laterizio del braccio sin. del transetto della basilica, ancora nella
struttura medievale; a metà del 4° ambulacro, cattedra
44 | R. XV ESQUILINO

cosmatesca con colonnine tortili e sedile di età classica;


all'angolo tra il 4° e il 1° ambulacro, frammenti della tomba del
cardinale Riccardo degli Annibaldi con bei rilievi di Arnolfo di
Cambio; all'inizio del l° ambulacro resti di un ciborio (timpani
con rosoni gotici e arme del cardinale Colonna) di Deodato di
Cosma (1297).
R. XV ESQUILINO | 45

Poco oltre il rettifilo sbocca nell'amplissima piazza di S.


Giovanni in Laterano, ingresso S della città storica, articolata
intorno al fulcro includente la basilica, il palazzo e il battistero;
peculiarità della piazza è quella di accostare testimonianze
monumentali che rappresentano quasi una sintesi della cultura
architettonica romana: dall'obelisco egizio e i vistosi resti di età
Imperiale al paleocristiano, dal romanico al tardo Rinascimento,
al barocco, fino allo storicismo ottocentesco e al "Novecento".
Corrispondente all'estremità E del Celio, il Laterano
ospitò sin dagli inizi dell'impero le residenze patrizie (ne sono
stati rinvenuti resti sotto la basilica, l'ospedale e la sede
dell'INPS in via dell'Amba Aradam), e qui venne eretto il
monumento equestre a Marco Aurelio ora nel Museo Capitolino.
La residenza dei Laterani, confiscata da Nerone, fu da Fausta,
moglie di Costantino, messa a disposizione del vescovo di Roma
papa Melchiade divenendo la residenza sua e dei successori,
mentre l'imperatore volle erigere accanto a essa (c. 313-318) la
prima basilica cristiana.
Il complesso del palazzo e della basilica (Patriarchìo)
decadde in seguito al trasferimento dei papi ad Avignone e, dopo
lo spostamento della residenza pontificia in Vaticano, sacrificato
alla radicale trasformazione della piazza voluta da Sisto V, che
fissò qui uno dei poli principali del suo piano urbanistico; sotto
la direzione di Domenico Fontana (1585-89) furono aperti i
rettifili di collegamento con S. Maria Maggiore, il Colosseo e
l'Appia Antica ed eretto alla loro confluenza l'obelisco-segnale,
nonché costruiti il nuovo Palazzo Lateranense, la loggia delle
Benedizioni e l'edificio della Scala Santa. La scenografia fissata
dall'intervento sistino fu arricchita nel corso del '600 (nuovo
ospedale del Salvatore e ospedale delle Donne), nel '700
(facciata della basilica e 'sistemazione' del Trielinio Leoniano) e
46 | R. XV ESQUILINO

fino agli ultimi anni del governo pontificio (convento annesso


alla Scala Santa). L'urbanizzazione dell'Esquilino decretò la
scomparsa delle ville e giardini tra il Laterano, S. Maria
Maggiore e S. Croce in Gerusalemme: Leone XIII ricostruì la
parte absidale della basilica creando il braccio di collegamento
col Battistero, sotto Pio XI venne aggiunto l'edificio
"novecentista" del Pontificio Ateneo Lateranense.
Teatro fino all'esilio avignonese della cerimonia della
presa di possesso, da parte del neoeletto papa, della residenza
vescovile e della basilica cattedrale, la piazza ospita ancora oggi
la festa della notte di S. Giovanni 123-24 giugno), di
antichissima origine pagana.
Al centro della piazza svetta, in asse con via Merulana,
l'Obelisco Lateranense, in granito rosso, il più antico e il
monolitico più alto (m 32’18: col basamento m 45’70) a Roma.
Innalzato dai faraoni Tutmes III e Tutmes IV nel sec. XV a. C.
davanti al tempio di Ammon a Tebe (Karnak, in Egitto), fu
trasportato a Roma da Costanzo II (357) e collocato dal
praefectus urbi Memmio Vitrasio Orfito sulla spina del Circo
Massimo; crollato e ritrovato nel 1587, fu qui trasferiti da
Domenico Fontana per volontà di papa Sisto V.
Si costeggia il prospetto N del palazzo avendo di fronte
l'edificio della Scala Santa, voluto da Sisto V per conservare la
cappella privata dei papi ("Sancta Sanctorum") al primo piano
del Patriarchìo; per accedervi fu riutilizzata la scala d'onore del
palazzo, che a partire da metà '400 fu fantasiosamente
identificata, con quella del Pretorio di Pilato percorsa da Gesù
durante il processo (da qui l'appellativo). La semplice
architettura del Fontana (1589), in laterizio intonacato, ripete lo
schema della loggia delle Benedizioni; le arcate furono chiuse
nel 1853 da Francesco Azzurri.
Al centro dell'atrio, ornato di gruppi marmorei (notevoli il
Bacio di Giuda e l'Ecce Homo di Ignazio Jacometti), si diparte la
SCALA SANTA, affiancata da quattro scale e composta di 28
gradini in marmo con rivestimento in legno: alle pareti e nelle
volte storie dellAntico Testamento e storie di Cristo, affreschi di
G.B. Ricci, Giacomo Stella, Paris Nogari, Andrea Lilio, Paul
Brill, Giovanni Baglione e altri.
R. XV ESQUILINO | 47

La Scala Santa, che si percorre in ginocchio, immette


nella cappella di S. Lorenzo, dov'è l'ingresso al "SANCTA
SANCTORUM" (l'interno è visibile solo attraverso le grate delle
finestrelle), cosiddetto per le reliquie che custodisce, il cui
aspetto attuale risale al rifacimento del 1278 a opera dei
Cosmati: gli affreschi sulla volta (evangelisti) e nelle lunette
sono del sec. XIII, i santi entro edicolette ogivali sono di
Giannicola di Paolo; nella volta del presbiterio, mosaico con
Cristo Pantocrator (fine sec. XIII); sull'altare, protetta da
sportelli, immagine acheropita (non dipinta a mano) del
Redentore, tavola del sec. V-VI, pesantemente ridipinta, cui è
sovrapposta l'immagine su seta (sec. XIII) riproducente
l'originale.

A ridosso del lato d. della Scala Santa si leva il singolare


prospetto (detto Nicchione del Laterano), a forma di abside
inquadrata da un ordine colossale di paraste, sormontata da
timpano e preceduta da scalinata, con il quale Ferdinando Fuga
(1743) dette sistemazione al mosaico del Triclinio Leoniano,
sala da pranzo dei papi all'interno del Patriarchio demolita nel
1733. Il mosaico qui ricomposto, ha importanza solo
iconografica: nel catino Cristo affida agli Apostoli la loro
missione; sull'arco, a d. san Pietro dà la stola a Leone III e le
insegne a Carlo Magno e a sin. Cristo consegna le chiavi a san
Silvestro ed il Gonfalone della Chiesa a Costantino.
A sin. della loggia delle Benedizioni avanza sulla piazza il
blocco del Palazzo Lateranense, fatto costruire da Sisto V a
opera di Domenico Fontana (1586-89) in sostituzione del
Patriarchìo; dell'antico complesso venne ripreso in parte
l'impianto nella nuova costruzione, concepita come residenza
estiva del papa. L'edificio, a pianta quadrata, si presenta con tre
prospetti equivalenti, a tre piani di finestre a timpani curvi e
triangolari e portale centrale con balcone, ed è coronato da
un'originale altana a colonne. Il modello di palazzo Farnese fu
reinterpretato con una severità in sintonia col rigore
controriformista; nel prospetto parallelo alla chiesa le aperture si
infittiscono verso sin. con un effetto 'prospettico' calcolato per la
veduta dallo "stradone".
48 | R. XV ESQUILINO

Trasformato in ospedale e poi in archivio, fu restaurato


sotto Gregorio XVI da Luigi Poletti e ospitò dal 1844 il Museo
Gregoriano Profano, cui si aggiunsero il Museo Pio Cristiano
(1854) e quello Missionario Etnologico 11926). In seguito ai
Patti Lateranensi, qui firmati l'l1 febbraio 1929, l'edificio gode
del privilegio dell'extraterritorialità e ospita dal 1967, dopo i
restauri radicali e il trasferimento dei musei in Vaticano, il
vicariato Roma.
Nel 1987, al piano nobile, è stato costituito il Museo
Storico Vaticano (vi si accede dal portico della basilica di S.
Giovanni; visita: la prima domenica del mese ore 8.45-13). Il
monumentale SCALONE conduce all'APPARTAMENTO
PAPALE, del quale si visitano dieci sale e la CAPPELLA,
affrescate, sotto la direzione di Giovanni Guerra, da pittori
tardo-manieristi (tra gli altri, Cesare Nebbia, G.B. Ricci, Ventura
Salimbeni, Andrea Lilio, Ferraú Fenzone, Paris Nogari, Paul e
Matthijs Brill); tre, soffitti lignei sono su disegno del Poletti. Le
sale sono arredate con mobili (secoli XVI-XIX), armi (secoli
XVI-XVII), sculture lignee (secoli XIII-XV), quadri e arazzi,
soprattutto delle manifatture Gobelins, Barberini e S. Michele; la
SALA DELLA CONCILIAZIONE mantiene l'orientamento e le
dimensioni dell'aula dei papi del Patriarchìo (il magnifico
soffitto ligneo a lacunari dipinti e dorati è del 1589). Il museo,
diviso in tre sezioni (Iconografia dei papi; Cerimoniale
pontificio; Corpi armati pontifici), è disposto su tre lati del
LOGGIATO, affrescato nelle volte dai medesimi tardo-
manieristi, che affaccia sul CORTILE quadrato, a tre ordini di
arcate (e superiori cieche).
Sul lato S della piazza, contigua al Palazzo Lateranense
(v. oltre), è la loggia delle Benedizioni, costruita da Domenico
Fontana nel 1586 in corrispondenza della testata del transetto d.
della basilica e affrescata all'interno da pittori tardo-manieristi
(al piano terra, statua bronzea di Enrico IV di Francia di Nicolas
Cordier, 1608); aperta da cinque arcate di travertino su due
ordini a paraste tuscaniche e corinzie e coronata da balaustra, vi
poggiano due campanili gemelli a trifore del sec. XIII (le cuspidi
furono aggiunte attorno al 1370).
R. XV ESQUILINO | 49

A d. della loggia, di cui ripete le linee col raddoppio delle


paraste, è il corpo, edificato da Virginio e Francesco Vespignani
nel 1884, che piegandosi ad angolo si raccorda col Battistero
Lateranense.
Battistero Lateranense (S. Giovanni in Fonte), eretto da
Costantino contemporaneamente alla basilica su una villa del
sec. I e su un edificio termale del II, e modificato da Sisto III,
che aggiunse l'atrio a forcipe, e dai papi Ilario e Giovanni IV,
che aggiunsero .,e cappelle; dopo la sostituzione (1540) della
cupola originaria con l'attuale tiburio, venne restaurato da
Domenico Castelli nel 1629-35 e da Francesco Borromini nel
1657 (fregio esterno con elementi araldici chigiani), mentre
all'intervento del 1967 risale l'eliminazione degli intonaci e delle
aggiunte ottocentesche.
Dal portale risalente ai restauri di Gregorio XIII (1575) si
accede all'interno ottagonale, modello per questa tipologia
architettonica: al centro, un anello di otto colonne di porfido
con capitelli corinzi sorregge un architrave, pure ottagono, su cui
corre un'iscrizione in distici di Sisto III esaltante il battesimo; al
di sopra è un secondo ordine di colonne più piccole, in marmo
bianco. Al centro di un recinto circolare, del tempo di Urbano
VIII, è un'urna di basalto verde, già usata per il battesimo a
immersione, con copertura in bronzo dei sec. XVII Nel tamburo,
storie del Battista, copie moderne degli originali di Andrea
Sacchi (1639-45) ora nel Palazzo Lateranense; alle pareti storie
di Costantino, affreschi di Andrea Camassei, Giacinto
Gimignani, Carlo Maratta (Distruzione degli idoli) e Carlo
Mannoni.
CAPPELLA DEL BATTISTA fondata da papa Ilario: la
porta conserva gli antichi battenti in bronzo; statua ènea del
Battista di Luigi Valadier.
CAPPELLA DI S. RUFINA o dei Ss. Cipriano e Giustina,
corrispondente al nartece di Sisto III trasformato da Anastasio
IV (1154): sopra la porta, Crocifisso della scuola di Andrea
Bregno (1492); nell'absidiola sin., *mosaico del sec. v; uscendo
all'esterno si vede l'antico ingresso del Battistero, con
frammento di architrave romano. Nell'abside d., Madonna
attribuita al Sassoferrato.
50 | R. XV ESQUILINO

CAPPELLA DI S, VENANZIO, eretta nel 640 da


Giovanni IV e decorata sotto papa Teodoro: soffitto ligneo
cinquecentesco; nell'abside e nell'arco trionfale, *mosaici (in
alto, busto del Salvatore fra due angeli e in basso la Vergine; a d.
S. Pietro, S. Giovanni Battista, il vescovo Donnione e Giovanni
IV; a sin. S. Paolo, S. Giovanni evangelista, S. Venanzio e papa
Teodoro) della metà del sec. VII restaurati nel 1826-28; l'altare è
di Carlo Rainaldi, la targa del cardinale Francesco Adriano Ceva
(a sin.) su disegno di Borromini (1650).
CAPPELLA DI S. GIOVANNI EVANGELISTA,
dedicata da papa Ilario (iscrizione): *battenti in bronzo di Uberto
e Pietro da Piacenza (1196); volta a mosaico della seconda metà
del sec. v; altare tra due colonne di alabastro, con statua ènea di
S. Giovanni attribuita a Taddeo Landini; pregevoli affreschi di
Antonio Tempesta e Ambrogio Buonvicino, autore anche degli
stucchi (1597-1601); a sin., rilievo funebre di Luigi Capponi.
La cancellata a d. del Battistero segna l'ingresso al
Pontificio Ateneo Lateranense, entro il cui recinto, all'inizio di
via dell'Amba Aradam, sussiste un'aula termale in laterizio
(prima metà sec. tu) aperta da tre archi a doppia ghiera e in
origine coperta da volta a crociera. Sulla destra, dopo l'ingresso
originario (1348) dell'ospedale di S. Giovanni (via di Santo
Stefano Rotondo N. 280), è il portico architravato, con otto
colonne antiche e reperti archeologici, dall'antico ospedale di S.
Michele.
L'itinerario muove da piazza di S. Giovanni in Laterano,
dove, in asse con l'Obelisco Lateranense, si stacca in direzione
NO la via Merulana, rettifilo tardo-cinquecentesco tra le
basiliche di S. Giovanni e di S. Maria Maggiore che sostituì un
omonimo tracciato di origine classica (il nome derivava dai
possedimenti dei Meruli); la nuova via, che intersecava l'antica
presso via Galilei e che, realizzata in gran parte da Gregorio XIII
per il giubileo del 1575, fu completata da Sisto V, divenne nel
piano del 1873 uno degli assi del nuovo quartiere dell'Esquilino,
anche se nell'ultimo tratto verso S. Maria Maggiore venne
sistemata solo nel 1932: nonostante i massicci livellamenti è
ancora percepibile l'andamento che discende le propaggini del
Celio risalendo poi verso una delle sommità dell'Esquilino.
R. XV ESQUILINO | 51

Allo sbocco dello "stradone" si trovano a d. l'ospedale del


Salvatore più noto come di S. Giovanni, fondato dalla
compagnia dei SS. Salvatore ad Sancta Sanctorum nel 1348 e
ampliato da Everso dell'Anguillara nel 1462 (il corpo sulla
piazza - nel 1992 in restauro - fu eretto nel 1634-40 da Giacomo
Mola coadiuvato da Carlo Rainaldi, con prospetto austeramente
spartito da un doppio ordine di lesene inquadranti le finestre e i
cinque ingressi e sormontato da un campanile a vela), e a sin.
l'ospedale delle Donne, oggi reparto maternità, costruito secondo
criteri di funzionalità da Giovanni Antonio De Rossi nel 1655-
56 utilizzando in parte strutture di un ospizio duecentesco.
L'isolato che su via Merulana segue via Aleardi è
occupato dal Collegio internazionale dei frati minori e dalla
basilica di S. Antonio di Padova, che costituisce con palazzo
Brancaccio l'opera più impegnativa di Luca Carimini (1884-87)
e la prima realizzazione monumentale nell'architettura sacra
romana dopo il 1870. La facciata, in laterizio a vista ed elementi
architettonici in travertino, si leva su una scalinata a doppia
rampa; l'eclettismo neorinascimentale dell'architetto accostò alle
forme quattrocentiste quelle sangallesche del portico a cinque
arcate. Ai piedi della scalinata è l'ingresso alla chiesa inferiore, a
tre navatelle con colonne binate di granito e deambulatorio.
Caratteristico il campanile a cella ottagona, con cuspide in
maioliche policrome e dorate.
L'interno, di un'eleganza raggelata, è a tre navate (quella
centrale con copertura a capriate lignee), suddivise da colonne di
granito rosa che si ripetono in proporzioni minori al secondo
ordine formando un matroneo che continua sulla retrofacciata. I
dieci altari laterali, su disegno del Carimini al pari di quello
maggiore, accolgono quadri che costituiscono un documento
eloquente dell'arte sacra di fine '800, oscillante tra tardo purismo
e verismo. In sagrestia, Madonna con Bambino e santi, copia dal
Parmigianino (inizi sec. XVII).
Al termine della discesa, sulla sinistra e leggermente
infossata in seguito alla sistemazione ottocentesca di via
Merulana, è la chiesa dei Ss. Marcellino e Pietro, il cui aspetto
attuale risale alla radicale ricostruzione, voluta da Benedetto
XIV e realizzata da Girolarno Theodoli (1750-51), del titulus di
età costantiniana. L'esterno, sintesi delle tendenze del
52 | R. XV ESQUILINO

barocchetto romano a metà '700, presenta un dado basamentale,


scandito in facciata da paraste ioniche e sormontato da timpano,
di nitore quasi neoclassico, mentre la singolare cupola a gradoni
è di chiara derivazione borrominiana; l'elegante interno, ritmato
da paraste ioniche, è a croce greca, con presbiterio absidato e
quattro cappelle angolari sormontate da coretti: all'altare
maggiore Martirio dei santi titolari di Gaetano Lapis, su quello
destro Messa di S. Gregorio di Filippo Evangelisti.
La si percorre fino all'incrocio a d. con via Aleardi, che
conduce al casino della scomparsa villa Giustiniani poi
Massimo Lancellotti, dal 1948 sede della delegazione dei
Francescani di Terra Santa, al cui interno è la più importante
testimonianza dell'attività romana dei Nazareni, i pittori
germanici che si ispirarono all'arte italiana del primo
Rinascimento.
L'edificio, dei primi del '600 e attribuito a Carlo Lambardi
(le due ali intorno al giardino residuo sono aggiunta del 1951), è
un tipico esempio del gusto antiquario tardo-manierista: i
prospetti, dalle semplici linee, furono arricchiti, verso la metà
del sec. XVII, da sculture antiche (negli ovali, busti e profili a
rilievo; nei riquadri, fronti di sarcofagi); le decorazioni in stucco
recano le aquile Giustiniani e le colombe Pamphilj.
La facciata su via Boiardo ha nicchie con statue antiche
di imperatori e divinità. I tre ambienti verso il giardino
accolgono affreschi, voluti del marchese Carlo Massimo e
restaurati nel 1979, con scene tratte dai maggiori poemi della
letteratura italiana: nella Stanza dell'Ariosto, episodi
dall'Orlando Furioso di Julius Schnorr von Carolsfeld (1822-27);
nella Stanza del Tasso, episodi della Gerusalemme Liberata di
Johann Friedrich Overbeck (1819-27) completati da Joseph von
Fúhrich (1827-29); nella Stanza di Dante, alle pareti scene
dell'Inferno e del Purgatorio di Joseph Anton Koch (1825-28), al
soffitto Allegoria del Paradiso di Philip Veit (1818-24).
Dietro il giardino della villa è il Museo storico della
Lotta di Liberazione di Roma (via Tasso N. 145), che fu
istituito nel 1957 nell'edificio già sede del comando delle SS, in
parte adibito nel 1944 a carcere per detenuti politici, per
rievocare i tragici avvenimenti del 1943-44.
R. XV ESQUILINO | 53

Villa Altieri è situata nell'area oggi delimitata da via


Emanuele Filiberto, via Statilia e viale Manzoni e fu costruita 
intorno al 1660 come casa di villeggiatura per il cardinale
Paluzzo Albertoni Altieri da Giovan Antonio De Rossi (autore
anche di palazzo Altieri) nella vigna sull'Esquilino posseduta
dalla nobile famiglia.
Il complesso aveva forma triangolare ed era tagliato dal
viale rettilineo che collegava il palazzo al piazzale semicircolare
d'ingresso situato sulla "via Felice", la lunga strada rettilinea
così denominata dal nome di battesimo di papa Sisto V (Felice
Perretti) che la fece aprire per collegare Trinità dei Monti a
S.Croce in Gerusalemme.
Dopo il 1870 la via fu frazionata nelle attuali via Sistina,
via delle Quattro Fontane, via Agostino Depretis, via Carlo
Alberto, via Conte Verde e via di S.Croce in Gerusalemme:
proprio quest'ultima corrisponde al tratto della "via Felice" sulla
quale si apriva l'ingresso della villa.
La struttura originale dell'edificio era caratterizzata nella
facciata anteriore da una grande scala a due rampe semicircolari,
tuttora esistenti, che racchiudevano una fontana addossata alla
parete, con due delfini e due tritoni zampillanti, e che si
congiungevano in una loggia con porta-finestra, sormontata dal
grande stemma degli Altieri, al centro della quale era posta una
fontanina, rubata nel 1990, della quale rimane soltanto la tazza
inferiore ovale ed il sostegno centrale scanalato; le rampe inoltre
erano arricchite da statue ora scomparse. Dietro la fontana dei
Delfini si può notare tuttora il portico determinato dall'aggetto
del terrazzino superiore, dal quale un tempo si poteva ammirare
il giardino retrostante nel quale era situata una fontana circolare,
oggi scomparsa.
La facciata posteriore dava su una terrazza dalla quale si
scendeva su una seconda che, attraverso scale laterali, portava ad
un vasto parco, abbellito da statue, giochi d'acqua e dal celebre e
suggestivo labirinto circolare di siepi di bosso con un pino al
centro, in seguito completamente soppiantato dagli edifici
circostanti. Anche la palazzina ha subito gravi manomissioni sia
all'esterno sia all'interno: la più evidente è la sopraelevazione
54 | R. XV ESQUILINO

dell'ultimo piano che ha alterato l'equilibrio e le proporzioni


della facciata; lo stesso cortile è stato alterato nel taglio, la
fontana al centro delle rampe è stata ridotta e quasi tutta
l'ornamentazione scultorea è stata asportata o danneggiata. Il
danno maggiore probabilmente è stata la scomparsa dei dipinti
provenienti dal "sepolcro dei Nasoni", scavato nel 1764 sulla via
Flaminia e risalente all'epoca di Marco Aurelio.
Sul lato destro della facciata restano due archi in finta
roccia con altrettante piccole vasche: ciascun lato degli archi era
ornato da statue delle quali rimangono soltanto miseri resti
mutili.
Oggi l'accesso alla villa avviene dal bel portale bugnato
situato in viale Manzoni 47, tuttora ornato dalla grande
iscrizione posta sull'architrave "VILLA ALTIERI". Numerosi
furono i passaggi di proprietà dall'epoca di Pio IX, quando la
villa appartenne a monsignor Francesco Saverio De Merode, poi
per un breve periodo fu adibita a reclusorio criminale femminile,
passò in seguito alle suore Dorotee e quindi all'Istituto Figlie di
Nostra Signora del Monte Calvario. Infine fu proprietà Scarano
e dei marchesi di Villefranche finché non fu adibita a sede
scolastica: oggi vi risiede l'Istituto Professionale di Stato "Teresa
Confalonieri" ed il Liceo Scientifico Statale "Isacco Newton".

La costruzione della villa risale agli anni Settanta del


Seicento per impulso del cardinale Paluzzo Altieri, nipote di
papa Clemente X (1670-1676), che affidò all’architetto di casa
Altieri Giovanni Antonio de Rossi, autore anche di Palazzo
Altieri al Gesù, l’incarico di trasformare il vecchio casale rustico
sull’Esquilino in un’elegante residenza suburbana. Il nobile
“Casino di delizie”, cui si accedeva da un portale monumentale
con lungo viale alberato sulla via Felice (oggi di S. Croce in
Gerusalemme), costituiva solo una piccola parte, la pars urbana,
R. XV ESQUILINO | 55

di un vasto comprensorio, in origine circondato da parchi e


giardini con fontane e giochi d’acqua, viali alberati, vigneti e
frutteti (pars rustica), e corredato di uno splendido Labirinto di
siepi di bosso, visibile ancora ai primi del Novecento.
Il peculiare impianto architettonico a “U”, ripreso dalla
tipologia delle ville rinascimentali, quali ad es. la Villa Chigi
alla Farnesina, è arricchito da una caratteristica doppia rampa di
scale semicircolari, concepite per mettere in diretta
comunicazione il piazzale antistante la Villa con il piano nobile,
il cui accesso è sormontato dallo stemma di casa Altieri,
superando i dislivelli di quota tra la fronte ed il retro della
struttura. Il portale di ingresso del pianterreno, anch’esso
sovrastato dallo stemma nobiliare e inquadrato dai due bracci
della scalinata, conduceva invece ad ambienti di servizio e alla
grande Loggia del pianterreno, originariamente aperta su tre lati,
dalla quale si raggiungeva il c.d. “giardino segreto” sul retro,
interamente circondato da mura e dotato di fontana centrale, e da
questo, ad una quota più bassa, il lungo viale a giardino
digradante verso i confini della proprietà presso la via Labicana.
La facciata venne ulteriormente impreziosita da una
fontana con ambientazione marina, la c.d. “Fontana dei Tritoni”,
racchiusa entro i due bracci semicircolari della scalinata, e in
origine, prima della sopraelevazione tardo-ottocentesca,
presentava un aspetto assai più armonico, con i tre piani
originari inquadrati da agili paraste e sormontati da una snella
altana a tre fornici, sormontata da statue antiche.
Il massimo splendore della Villa si ebbe tra la fine del
Seicento e la fine del Settecento, periodo in cui fu dotata di una
ricca collezione d’opere d’arte antica, e che corrisponde anche al
momento di maggiore fasto della famiglia Altieri. La splendida
dimora è ricordata infatti dagli autori delle principali guide di
Roma e dalle cronache del tempo, come assai ricca di opere
d’arte, “… e perciò degna d’esser veduta da’ forestieri eruditi,
vaghi delle belle arti” (Titi, 1763). I giardini della Villa, come
anche la Loggia e le stanze del piano nobile, l’Altana e la
balaustra di coronamento, erano ornati di statue, busti antichi e
moderni, bassorilievi, frammenti scultorei di varia origine e
provenienza e una cospicua collezione epigrafica, reperti oggi in
buona parte alienati o dispersi. Un’idea della consistenza e
56 | R. XV ESQUILINO

dell’importanza della collezione archeologica è data dal


settecentesco elenco “Topham”, custodito al College di Eton,
che cita molte delle opere oggi disperse, corredate in qualche
caso anche di disegni a sanguigna, opera di Bernardino Ciferri.
Nel piano nobile, dove le stanze presentavano “volta a schifo
dipinta con ornati e figure a fresco”, erano esposti alcuni
pannelli con gli affreschi rinvenuti nella tomba dei Nasoni sulla
via Flaminia (oggi in parte al British Museum), scoperti nel
1675 ed illustrate dottamente dal Bellori con le incisioni di Sante
Bartoli. Fra i reperti più importanti vi era poi un interessante
rilievo mitraico, proveniente da scavi condotti dagli Altieri nel
XVI sec. presso i possedimenti del Celio (Navicella), ed oggi in
proprietà privata.
La Villa, agli inizi dell’Ottocento ancora meta di studiosi
ed eruditi per il suo cospicuo patrimonio di antichità, fu alienata
dalla famiglia Altieri nel 1857, per poi passare, dopo alterne
vicende, nelle proprietà del card. Xavier De Merode (1862) e
quindi dei suoi eredi, ed essere destinata a subire numerosi
rimaneggiamenti che ne hanno stravolto l’impianto
architettonico originario (sopraelevazione di un piano,
giustapposizione di ulteriori corpi di fabbrica, ecc.). Nel periodo
post-unitario la struttura fu infatti dapprima concessa in
locazione allo Stato Italiano, che vi stabilì un istituto di pena
femminile (fino al 1897), poi alle Suore Dorotee, che vi
istituirono un collegio per signorine (fino al 1933); quindi,
divenne sede di istituti scolastici (tra i quali la sede provvisoria
del Pietro della Valle e in seguito l’ITIS Confalonieri), con la
destinazione ad uso scolastico che si protrasse anche dopo
l’acquisto della proprietà da parte della Provincia di Roma
(1975) e sino al 2010, quando è stato avviato il progetto di
recupero e riqualificazione funzionale dell’intera struttura.
Analogamente ai rimaneggiamenti operati sull’impianto
originario dai cambiamenti della proprietà e delle destinazioni
d’uso, la nascita del nuovo quartiere Esquilino, con il
conseguente sviluppo urbano, ne ha del tutto stravolto
l’ambiente circostante. Villa Altieri, come le ville nobiliari ad
essa confinanti (ad es. le ville Palombara, Giustiniani-Massimo,
Astalli, ecc.) e le altre non lontane, era infatti immersa in quella
fascia verde di Roma, compresa grosso modo nel tratto orientale
R. XV ESQUILINO | 57

delle Mura Aureliane, dalle proprietà dei Ludovisi sulla via


Salaria sino alla Porta Maggiore, già occupata dagli antichi Horti
di Roma antica, destinata a scomparire definitivamente con
l’urbanizzazione postunitaria.
58 | R. XV ESQUILINO

I rioni Castro Pretorio, Sallustiano e


Ludovisi.

L'arco del settore nord-orientale della città compreso tra le


mura Serviane e il recinto aureliano mantenne per più di due
millenni un carattere estensivo, contrassegnato da grandi
infrastrutture e vaste aree verdi: in età classica vi spiccavano gli
"horti Sallustiani" e i "Castra Praetoria", mentre la viabilità era
assai rada, con l'asse principale costituito dall'"Alta Semita" e
dal "vicus Portae Collinae" (le attuali vie del Quirinale e XX
Settembre) da cui si staccava la via "Salaria Nova".
Nel periodo medievale l'area fu scarsamente popolata in
quanto distante dal nucleo urbano attestatosi sulle sponde del
Tevere, e rari furono anche gli insediamenti religiosi. A partire
dal Cinquecento cominciarono a sorgere le ville del patriziato
(Valenti Gonzaga poi Bonaparte, Ludovisi), sviluppatesi
soprattutto nei due secoli successivi ma cancellate
dall'urbanizzazione tardo-ottoocentesca, cui si accompagnò, nel
primo trentennio del Seicento, la consacrazione delle chiese di S.
Paolo (poi S. Maria della Vittoria), di S. Isidoro e di S. Maria
della Concezione.
I tre rioni, che su questa area insistono, furono edificati
dopo il 1870 e distaccati nel 1921 rispettivamente dai rioni
Monti, Trevi e Colonna. Il primo fu realizzato - assieme alla
nuova sede del Ministero delle Finanze in via XX Settembre,
che Quintino Sella volle come 'asse direzionale' della capitale
favorendovi l'insediamento di numerosi altri ministeri - secondo
le previsioni del piano regolatore del 1873, con uno schema a
scacchiera con piazza centrale affine a quello che presiedette
all'urbanizzazione dell'Esquilino, anche se qui agli intensivi si
affiancarono i villini destinati alla medioalta borghesia e ai corpi
diplomatici; gli altri sorsero invece a partire dal 1885 fuori del
piano del 1883 e furono prevalentemente riservati all'alta
R. XV ESQUILINO | 59

borghesia, all'aristocrazia vecchia e nuova e, soprattutto lungo


via Veneto, al turismo di lusso, caratterizzandosi, oltre che per i
villini signorili, per i palazzi nobiliari (Boncompagni), per
l'edilizia alberghiera e, nei primi decenni del Novecento, per le
sedi di rappresentanza.
La costruzione dei rioni fu conclusa ai primi del XX
secolo (entro il 1930 furono riempite le ultime aree libere),
mentre a seguito del piano del 1931 furono aperti i collegamenti
da via Veneto e da piazza Barberini a piazza di S. Bernardo
(rispettivamente le odierne vie Bissolati e Barberini). Nel
secondo dopoguerra, e fino agli anni settanta, l'alto valore delle
aree ha favorito il maggior numero di sostituzioni edilizie della
Roma umbertina, a spese soprattutto dei villini, con risultati
tanto più estranei al contesto quanto più sono di alta qualità
(edificio polifunzionale in via Sardegna).
L'itinerario si presenta dunque come un 'excursus'
attraverso l'architettura romana dell'ultimo secolo, rappresentata
dai più affermati professionisti non solo locali, anche se non
mancano testimonianze notevoli di epoca classica ("Castra
Praetoria"; "horti Sallustiani") e barocca (casino dell'Aurora;
chiese di S. Isidoro e di S. Maria della Concezione).

La visita prende avvio dall'angolo N di piazza dei


Cinquecento in corrispondenza dell'inizio di via Marsala,
l'antica via di Porta S. Lorenzo o Angelica aperta da Sisto V, che
costeggiava un tempo il lato E della villa del papa e oggi il
fianco sin. della stazione di Termini.

piazza dei Cinquecento, così chiamata dal numero dei


caduti di Dogali. La configurazione del vasto spazio alberato fu
conseguenza dell'arretramento del fronte della nuova stazione (la
vecchia fu demolita nel 1948) ed è stata in seguito più volte
ritoccata in rapporto alle esigenze della circolazione; si trova qui
infatti il principale nodo di collegamenti pubblici della città,
dove transitano o fanno capo sia numerose linee di superficie sia
i due tracciati della metropolitana (la linea A, Ottaviano-
Anagnina, è stata inaugurata nel 1980; il tratto Termini-EUR
60 | R. XV ESQUILINO

della linea B è stato aperto nel 1955, il tronco Termini-Rebibbia


nel 1990).
Stazione Termini. Risale al 1860 la decisione di creare
una stazione centrale nella zona di Termini (il toponimo deriva
dalle terme di Diocleziano), allora quasi completamente
inedificata, in posizione elevata e ricca di acque necessarie per la
trazione a vapore. Il nuovo scalo riunì, a partire dal 1864, le
linee ferroviarie "Roma-Frascati", "Roma-Civitavecchia" e
"Roma-Ceprano" create sotto Pio IX. Scelto nel 1867 il progetto
di Salvatore Bianchi, i lavori, avviati nel 1869 e conclusi nel
1874, originarono un edificio che costituiva un significativo
compromesso tra tradizione e impiego di nuove tecnologie.
Nel 1937, in vista dell'Esposizione universale del 1942, se
ne decise la ricostruzione in dimensioni adeguate alle nuove
esigenze (il prospetto, in origine allineato con via D'Azeglio,
venne arretrato di m 200), contrariamente alle più lungimiranti
proposte che, a partire dal 1886 e fino al piano regolatore del
1931, avevano consigliato lo spostamento dello scalo fuori delle
mura Aureliane; sotto il piazzale fu prevista la stazione della
metropolitana di collegamento con l'Esposizione. Del progetto
definitivo di Angiolo Mazzoni del Grande (1938), che troppo
sacrificava la funzionalità al monumentalismo, furono realizzate
solo le fiancate, che si sviluppano complessivamente per più di 2
km, mentre il previsto gigantesco portico frontale a colonne
binate fu sostituito dall'edificio per uffici e altri servizi oggetto
del summenzionato concorso.
Il lato SE della piazza e definito dall'*edificio di testata,
inaugurato nell'Anno Santo 1950, della stazione centrale di
Termini, architettura emblematica del desiderio di rinnovamento
del secondo dopoguerra dovuta alla collaborazione dei due
gruppi vincitori del concorso del 1947 (Leo Calini ed Eugenio
Montuori; Massimo Castellazzi, Vasco Fadigati, Achille
Pintonello e Annibale Vitellozzi).
L'andamento orizzontale del lunghissimo PROSPETTO
FRONTALE (m 232), rivestito di travertino, e sottolineato dalle
finestre continue (due per piano, tranne l'ultimo). A esso si
contrappone l'impennata neoespressionista della PENSILINA in
cemento armato (il cosiddetto Dinosauro; nella "veletta", fregio
astratto in alluminio di Imre Tot, 1954); l'andamento sinuoso
R. XV ESQUILINO | 61

riecheggia il profilo delle adiacenti mura Serviane, oltre le quali


si articola autonomamente il corpo adibito a caffe-ristorante.
L'ATRIO-BIGLIETTERIA è aperto su tre lati da vetrate a
tutta altezza (la panoramica verso l'Esedra è stata nel 1989
occlusa da box di servizi complementari). La luminosa
GALLERIA DI TESTA retrostante dà, accesso ai binari e
collega le vie Marsala e Giolitti: lungo queste ultime si stendono
le FIANCATE del Mazzoni (1938-42), improntate al
classicismo di regime con geometrie elementari e volumi nitidi
rivestiti di marmi.
Sulla d., uscendo dalla stazione, si levano i resti più
imponenti e meglio conservati dell'"agger" (terrapieno) e delle
mura Serviane, che la tradizione attribuisce al regno di Servio
Tullio; ricostruite dopo l'invasione gallica e restaurate durante la
seconda guerra punica, poi nel corso delle lotte tra Mario e Silla
e infine da Augusto che rifece le porte, vennero demolite o
inglobate in costruzioni in età imperiale, avendo perso la loro
funzione difensiva.
La cinta della Roma repubblicana, che aveva uno sviluppo
di quasi 11 km, uno spessore medio di 4 m e un'altezza di 10, era
costruita in opus quadratum di tufo; nel tratto più debole perché
in piano, tra la porta Esquilina (v. pag. 491) e la porta Collina
posta presso l'angolo di via XX Settembre con via Goito, era
rinforzata da un terrapieno addossato al lato interno e sostenuto
da un muro di controscarpa, posto a c. 40 m di distanza, al cui
esterno correva un fossato.
Il tratto di mura in corrispondenza di piazza dei
Cinquecento, lungo 94 m e composto da 17 filari di blocchi per
un'altezza fino a 10 m, era sepolto sotto il cosiddetto Monte
della Giustizia di villa Peretti, che venne sbancato nel 1869-70
per la costruzione della prima stazione; il lato esterno verso via
Marsala conserva avanzi laterizi di costruzioni addossatevi in età
imperiale. Verso N l'"agger" si interrompe per 18 m in
corrispondenza della porta Viminalis - individuata dai due
muretti di sperone perpendicolari alle mura - oltre la quale è un
altro tratto lungo c. 30 m, con quattro contrafforti esterni
riferibili al restauro dell'87 a. Cristo.
62 | R. XV ESQUILINO

Percorrendola per breve tratto si raggiunge il tempio


votivo del Sacro Cuore di Gesù, la prima nuova
parrocchiale di Roma capitale, voluta da Pio IX ma
iniziata solo nel 1879 sotto Leone XIII, che ne affidò la
costruzione a don Giovanni Bosco, e giunta a
compimento nel 1887 (il più recente restauro data al
1987). Sulle indicazioni del prelato Francesco
Vespignani modificò il progetto iniziale prolungando la
chiesa di quasi 30 m: l'architettura neorinascimentale è
concepita in forme scolastiche, soprattutto nella facciata
- tripartita e in travertino - e nel campanile, sormontato
dalla caratteristica statua del Redentore in rame dorato
(1931).
L'interno, a tre navate con colonne di granito di Baveno e
transetto con cupola, è completamente rivestito di marmi,
stucchi, dorature e pitture: a Virginio Monti si debbono
quelle nei soffitti lignei riccamente intagliati, nella cupola
e nei cupolini delle navi laterali; a Cesare Caroselli
quelli dei pennacchi, degli arconi e delle pareti. All'inizio
della navata d., statua marmorea di Pio IX di Francesco
Confalonieri. I tre altari principali sono composti con
elementi seicenteschi provenienti da chiese demolite (su
quello maggiore è la pala col Sacro Cuore di Franz von
Rohden); nel catino dell'abside, creata nel 1968-69
isolando il coro (dove è conservato il S. Stefano
d'Ungheria di Antonio Concioli), affresco di Carlo
Mariani. In sagrestia sono un Angelo custode del
Borgognone e un'Assunta di Orazio Borgianni.
Dallo stesso angolo di piazza dei Cinquecento inizia via
Solferino, che, assieme al suo proseguimento (via S.
Martino della Battaglia), costituisce uno dei due assi
generatori della maglia pseudo-ortogonale del rione
Castro Pretorio. La strada si allarga in piazza
dell'Indipendenza, centro del quartiere umbertino, posta
all'intersezione del summenzionato rettifilo con quello
composto dalle vie dei Mille (d.) e Goito (sin.). Disegnata
dal piano del 1873, fu caratterizzata dalla tipologia a
villini nelle consuete forme dell'eclettismo; le sostituzioni,
effettuate soprattutto nel secondo dopoguerra, l'hanno
R. XV ESQUILINO | 63

pesantemente trasformata: nell'ambito di tali interventi si


colloca il palazzo della Federconsorzi (Aldo Della Rocca,
Ignazio Guidi, Enrico Lenti e Giulio Sterbini, 1952-57)
qualificato dal *fregio bronzeo (Lavoro dei campi) di
Pericle Fazzini, mentre della precedente edilizia resta il
villino Monteverde (numeri 8-10).
Si prosegue lungo via S. Martino della Battaglia, che
costeggia a d. un prospetto in tufo e travertino, di
accigliato stile littorio, del cosiddetto palazzo dei
Marescialli (c. 1930), oggi sede del Consiglio Superiore
della Magistratura, e, in angolo con via Palestro, il coevo
edificio razionalista dell'Istituto tecnico commerciale
"Duca degli Abruzzi". Al termine si sbocca in viale
Castro Pretorio, che ha tagliato la parte O del vasto
rettangolo (m 440 per 380) dei "Castra Praetoria", la
caserma costruita da Tiberio (21-23) tra le antiche Vie
Nomentana e Tiburtina per concentrarvi la guardia
permanente dell'imperatore.
All'interno dell'area, cui si accedeva da quattro aperture
(una su ciascun lato; tre di essi furono poi inglobati nelle
mura Aureliane), le differenti strutture erano disposte
secondo un impianto ortogonale intorno alla sede del
comando ("Praetorium"); alle esercitazioni militari era
destinato il "campus" tra il recinto e le mura Serviane,
oggi occupato dal moderno quartiere.
All'interno del recinto, coperto da vigne nel Medioevo e
nel '700 sede della villa del Noviziato dei Gesuiti, venne
eretta nel 1862-65 la caserma Macao, poi passata allo
Stato italiano. Sulla zona restante è stata costruita (1965-
75) la nuova sede della Biblioteca nazionale centrale
"Vittorio Emanuele II" concepita da Massimo Castellazzi,
Tullio Dell'Anese e Annibale Vitellozzi secondo un
rigoroso funzionalismo e nel linguaggio dell'
"international style"; l'istituzione, fondata nel 1875 con il
materiale della biblioteca del Collegio Romano e di
quelle di 69 congregazioni religiose, possiede il "diritto
di stampa" per tutto il territorio nazionale: da ciò
derivano i c. 4 500000 volumi (numerosi i fondi) e
64 | R. XV ESQUILINO

opuscoli, 6500 manoscritti, 1935 incunaboli, 27 000


periodici (8500 correnti e 2000 giornali).
Si percorre il segmento di sin. di viale Castro Pretorio, la
cui quinta edilizia è composta dal palazzo del Consorzio
nazionale per il Credito Agrario di Miglioramento di
Clemente Busiri Vici (N. 118; 1950) e, oltre via Gaeta,
dal monumentalistico palazzo già della società Pirelli
(1939- 46). Si imbocca ancora a sin. via Gaeta, una delle
strade del rione che meglio ne rappresenta il carattere
'misto' (il lato d. è a villini, quello sin. a intensivi).
All'incrocio con via Palestro, si prende quest'ultima in
direzione NO e, lasciata a sin. via Cernaia, su cui
affaccia in angolo con via Castelfidardo l'eclettica chiesa
del SS. Rosario di Pompei (Pio Piacentini, 1889-98) con
singolare trattamento 'decorativo' dei laterizi esterni, si
sbocca in via XX Settembre.

Al centro del lato SO della piazza, sull'allineamento della


porta Viminalis, inizia via Cavour: il carattere di 'ingresso' alla
città in alternativa a via Nazionale, è evidenziato,
all'imboccatura, dai due edifici gemelli, di moderato
monumentalismo (restauro 1988), che proponevano nella nuova
capitale la tipologia a portico d'importazione settentrionale.
Al N. 68 della piazza è il palazzo dell'ex Collegio
"Massimiliano e Massimo", costruito da Camillo Pistrucci nel
1883-87 sul modello di quelli nobiliari del primo barocco
romano; dopo un lungo abbandono successivo al trasferimento
nel 1960 del collegio all'EUR (v. pag. 792) è stato acquistato
dallo Stato nel 1983 e destinato, al termine di un completo
restauro (1983-92), a sede del Museo Nazionale Romano (v.
sotto).
L'edificio sostituì il Palazzo Sistino o di Termini
(Domenico Fontana, 1588-89) della villa Peretti Montalto poi
Negroni e, dal 1789, Massimo, il cui nucleo originario, formato
nel 1576-80 dal cardinale Felice Peretti, fu da questi, divenuto
papa, ampliato nel 1585-88. Del complesso, che costituì il
modello per le ville romane del periodo barocco e la cui sorte fu
segnata dall'alta di Termini quale zona per la stazione, si sono
R. XV ESQUILINO | 65

conservati solo la fontana del Prigione, ricostruita a Trastevere


(v. pag. 524), e alcuni affreschi ed elementi decorativi oggi nella
sede dell'EUR.
Il "Museo Nazionale Romano", raccolta archeologica tra
le più importanti del mondo, venne inaugurato nel 1889 con
reperti rinvenuti dopo il 1870, e da allora è stato accresciuto con
le antichità del Museo Kircheriano e della collezione Ludovisi,
acquistate nel 1901, nonché dai materiali rinvenuti nei successivi
scavi. Il palazzo dell'ex Collegio "Massimo" si affianca, come
nucleo principale, alla sede storica nelle terme di Diocleziano e
al palazzo Altemps, destinati rispettivamente al Dipartimento
epigrafico e alla collezione Ludovisi; le sezioni tematiche di cui
si compone l'allestimento illustrano gli aspetti più salienti della
cultura artistica a Roma tra l'epoca sillana e la fine dell'età
imperiale.
Il largo di Villa Peretti è delimitato sul lato di fondo da
via delle Terme di Diocleziano e dall'edificio già dei Granai
Clementini eretto nel 1705 da Clemente XI: l'originario,
modesto prospetto (restano i tre portali, di cui il centrale, di
elegante disegno e con iscrizione e stemma, è opera di Carlo
Fontana) è stato rifatto a fine '800 per adeguarlo al
monumentalismo del palazzo di Gaetano Koch che vi si è
innestato sulla destra.
In angolo con via del Viminale, a sin., è l'ornata facciatina
della casa del Passeggero (Oriolo Frezzotti, 1920), che
costituisce, con le decorazioni in marmo e in bronzo e la
pensilina in ferro battuto ora deturpata dalle insegne, uno dei più
simpatici esempi del déco romano; subito dopo emerge il muro
laterizio di una rotonda angolare delle terme.

le 'terme di Diocleziano, iniziate nel 298 e compiute tra


il 305 e il 306, le più grandiose di Roma (coprivano una
superficie di m 376per361) ed eccezionale esempio di riutilizzo
delle strutture.
La pianta del colossale stabilimento, che poteva ospitare
c. 3000 persone, riprendeva lo schema ideato da Apollodoro di
Damasco per le terme di Traiano: corpo di fabbrica centrale
66 | R. XV ESQUILINO

circondato da giardini con ninfei, esedre e gruppi di sale


all'intorno.
Del complesso, oltre ai vani trasformati nella chiesa di S.
Maria degli Angeli e a quelli adattati per ospitare il Museo
Nazionale Romano, restano due rotonde agli angoli SO e SE
della cinta esterna - una riutilizzata dalla chiesa di S. Bernardo
alle Terme e l'altra visibile in angolo con via del Viminale - un
ambiente rotondo-ottagono all'angolo O del corpo centrale delle
terme (la sala della Minerva), un'esedra della cinta esterna nei
giardini di piazza dei Cinquecento e, all'interno del complesso,
altri vani; l'esedra principale, che serviva da cavea per assistere
alle esercitazioni, è invece ricalcata nelle linee dagli edifici che
Gaetano Koch eresse in piazza della Repubblica.
Nelle aule del grandioso complesso dioclezianeo fu
inaugurato nel 1889 il *Museo Nazionale Romano
Tra le sale attualmente aperte al pubblico, le AULE XI e
X di particolare imponenza architettonica, è a doppia esedra ed
era forse uno spogliatoio ("apodyterium"). L'AULA VIII (non
accessibile) corrisponde al frigidarium scoperto. Da essa si vede
la metà di sin. dell'imponente prospetto del corpo centrale delle
terme, che aveva di fronte il frigidarium (piscina natatoria di
2500 metri quadri di superficie) e che era composto di cinque
nicchioni, alternativamente rettangolari e absidati, rivestiti di
marmi e adorni di statue entro tre ordini di edicole sovrapposte
(ne restano le mensole sorreggenti le colonnine dei timpani); dei
nicchioni ne sono riconoscibili solo due, in quanto quello
centrale divenne il presbiterio e l'abside di S. Maria degli Angeli
mentre gli altri due si vedono da via Cernaia. Contro i muri
dell'aula è una serie di elementi architettonici (si notino i due
acroteri a traforo) appartenenti a un monumento contiguo
all'ustrinum degli Antonini.
Da quest'ultima si accede a una serie di altre sette, che si
sviluppano attorno al braccio d. del transetto di S. Maria degli
Angeli formando una grandiosa fuga di volte e di pareti nude e
imponenti.
Dall'aula X si esce nel GIARDINO verso piazza dei
Cinquecento, corrispondente a una piccola parte dell'antico
giardino delle terme. Dal giardino, per un'arcata moderna aperta
R. XV ESQUILINO | 67

nel muro di fronte perimetrale, si sale all'AULA XII, antica


"forica" (latrina) delle terme, che conserva l'originale pavimento
musivo: con pianta a segmento di cerchio, era decorata da
colonne nella parete ricurva, ove erano disposti i sedili, e di
nicchie per statue nel muro opposto alla curva.
Da piazza dei Cinquecento si percorre viale Einaudi
lasciando nei giardini a sin. il monumento ai Caduti di Dògali,
eretto nel 1887 davanti alla facciata della stazione da Francesco
Azzurri e qui trasferito nel 1925: su una base di granito e bronzi
è collocato il minuscolo obelisco egizio 1280 a. C.) rinvenuto
nel 1883 nell'area dell'Iseo Campense.
Al termine del viale è *piazza della Repubblica già
Esedra, sistemata a fine '800 per costituire l'accesso 'importante'
dalla stazione alla città (molti dei partecipanti al concorso del
1882 proposero di erigere qui il monumento a Vittorio Emanuele
II): essa segue la curva della grande esedra gradinata delle vicine
terme. Nei due palazzi porticati, con testate a trattamento più
plastico, che vi prospettano (1887-98) Gaetano Koch ha dato
monumentali forme neoclassiche ma d'ascendenza barocca alle
esigenze del profitto.
Da piazza della Repubblica si stacca in direzione SO via
Nazionale, la prima strada di Roma moderna, che riprende il
percorso del "vicus Longus" tra le terme di Diocleziano e il foro
di Augusto. Il carattere celebrativo dell'Unità nazionale
riecheggia nella toponomastica: alla via, che punta al
monumento a Vittorio Emanuele II (v. pag. 189), convergono o
sono parallele strade intitolate alle capitali dell'Italia pre-
unitaria, mentre alcuni tratti furono in seguito ribattezzati a
ricordo di personaggi e momenti salienti della storia del paese.
l centro è la fontana delle Naiadi (o dell'Esedra), la più
monumentale di quelle create dopo l'Unità, che ha sostituito la
semplice mostra dell'Acqua Pia, inaugurata da Pio IX nel 1870
dov'è oggi il monumento ai Caduti di Dogali: sulla vasca (1888)
sono dal 1901 i quattro gruppi bronzei con ninfe su mostri
marini di Mario Rutelli, autore anche del Glauco che ha
sostituito nel 1912 il gruppo scultoreo ora in piazza Vittorio
Emanuele II.
68 | R. XV ESQUILINO

La parte di piazza tra la fontana e il lato NE corrisponde al


calidarium dell'adiacente impianto termale: ne resta solo il
nicchione, in cui è l'accesso alla basilica di *S. Maria degli
Angeli, ricavata negli ambienti più monumentali del corpo
centrale.
Le prime idee di una trasformazione del complesso in
chiesa risalgono a Giuliano da Sangallo e a Baldassarre Peruzzi
(c. 1515), ma solo nel 1561 il sacerdote Antonio Del Duca
ottenne da Pio IV la consacrazione degli ambienti agli angeli e ai
martiri cristiani impiegati, secondo le leggende, nella
costruzione delle terme. Michelangelo fu incaricato
dell'attuazione di quest'opera, condotta da Jacopo Del Duca fino
al 1566 e proseguita sotto Gregorio XIII, mentre in
contemporanea i Certosini, ai quali Pio IV aveva affidato il
complesso, costruirono il convento (il chiostro grande, detto "di
Michelangelo", è datato al 1565).
L'intervento dell'artista si limitò a un restauro quasi
esclusivamente conservativo, con la rinuncia a lasciare il proprio
'segno' che equivaleva a un "non finito" architettonico: il
tepidarium, i quattro ambienti che si aprivano ai suoi lati e quelli
sull'asse trasversale furono recuperati in un organismo quasi a
croce greca con tre ingressi, mentre il quarto braccio era
concluso dal presbiterio absidato.
La successiva trasformazione del complesso iniziò nel
1700, quando, per la creazione della cappella di S. Brunone, fu
chiuso l'ingresso verso la strada Pia e, nel 1746, quello opposto
(cappella del beato Albergati); contemporaneamente iniziò la
tamponatura degli arconi dei vani laterali. Il riassetto decorativo
di Luigi Vamitelli per l'Anno Santo 1750, che diede all'interno
l'aspetto attuale, rafforzò l'importanza del braccio secondario, in
asse con l'unico ingresso rimasto, con l'aggiunta di otto colonne
di muratura a imitazione di quelle del transetto, con la
decorazione del vestibolo e del presbiterio e con l'apertura di
quattro cappelle ricavate dai vani soppressi; il transetto fu invece
allestito (modifica delle finestre, creazione delle paraste che si
accoppiano alle colonne e della trabeazione continua che
raccorda l'ordine sui quattro bracci) come una pinacoteca per le
pale d'altare provenienti dalla basilica di S. Pietro, qui trasferite
a partire dal 1727.
R. XV ESQUILINO | 69

Dopo il 1870 gran parte della certosa fu indemaniata e nel


1889 adattata a sede del museo archeologico; nel 1901-11 la
chiesa, divenuta con l'apertura di via Nazionale e la sistemazione
di piazza Esedra luogo delle cerimonie ufficiali del nuovo Stato,
ebbe eliminata la facciata a semplici partiture geometriche per
rimettere in luce la muratura antica, nella quale fu creato un
ipotetico doppio ingresso ad arco.
Si entra nel VESTIBOLO (pianta, 1), rotonda a cupola
con due nicchie laterali a fondo piatto, già ambiente di passaggio
dal calidarium al tepidarium (secondo alcuni sarebbe il
tepidarium vero e proprio). Nelle edicole, quattro monumenti
funebri: a d. quelli di Carlo Maratta, eseguito su suo disegno e
con busto di Francesco Maratta (c. 1704), e del cardinale
Francesco Alciati (m. 1580) di G.B. Della Porta; a sin. quello di
Salvator Rosa (m. 1673), con sculture di Bernardino Fioriti.
Cappella d. (2; 1575): tavola attribuita alla scuola di Daniele da
Volterra; a sin. monumento di Pietro Tenerani (m. 1869) con
busto-autoritratto. Cappella sin., corrispondente al battistero (3;
1579): Noli me tangere, tavola di Hendrick van der Broek
PASSAGGIO (4). Nella nicchia di d., *statua di S.
Brunone da Colonia fondatore dei Certosini, opera di Jean-
Antoine Houdon (1766-68). In basso, due angeli
reggiacquasantiere. Seguono a d. la cappella Aldobrandini (5),
con S. Brunone del sec. XVII, e a sin. la cappella Aragonesi (6;
1635), con *Consegna delle chiavi di Girolamo Muziano. Sopra
l'arcata verso la navata trasversale, Cacciata dal Paradiso,
cartone di Francesco Trevisani.
La NAVATA TRASVERSALE (7) include il tepidarium,
in origine a forma pseudo-basilicale (gli ambienti laterali furono
murati nel 1746-49) e coperto da tre volte a crociera impostate
su otto colonne monolitiche di granito, e i due vestiboli alle
estremità, trasformati in enormi cappelle. E decorata con pale
d'altare provenienti dalla basilica di S. Pietro e da quattro cartoni
del Trevisani (c. 1638-45).
BRACCIO DESTRO (8). Sul pavimento, diagonalmente,
Linea Clementina, meridiana con costellazioni dello zodiaco e
variazioni millenarie della stella polare, così detta da Clemente
XI che la fece disegnare da Francesco Bianchini e Giacomo
Maraldi (1702); alla parete d., Crocifissione di S. Pietro di
70 | R. XV ESQUILINO

Nicolò Ricciolini e Caduta di Simon Mago di Pierre Charles


Tremollière (da Francesco Vanni); a quella sin., S. Pietro
risuscita Tabila di Francesco Mancini e Predica di S. Girolamo
del Muziano. Sul fondo, il beato Niccolò Albergati (c. 1746-50)
di Ercole Graziani; nella volta affreschi di Antonio Bicchierai.
Qui sono i monumenti funebri dei tre maggiori artefici della
vittoria nella prima guerra mondiale: di Vittorio Emanuele
Orlando (m. 1953) di Pietro Canonica, dell'ammiraglio Paolo
Thaon di Revel dello stesso Canonica (1950) e del maresciallo
Armando Diaz (m. 1928) su disegno di Antonio Munoz.
BRACCIO SINISTRO (9). Alla parete d., Immacolata e
santi *di Pietro Bianchi (1730-35) e Risurrezione di Tabita di
Placido Costanzi; su quella sin., *Caduta di Simon Mago di
Pompeo Batoni (1755) e *Messa di S. Basilio di Pierre
Subleyras (1743-47), nei quali l'impianto barocco si fonde con la
nuova sensibilità neoclassica per il colore. Cappella di S.
Brunone (10), su disegno di Carlo Maratta: Vergine e i Ss.
Bruno e Pietro di Giovanni Odazzi (c. 1700); nella volta,
affresco (evangelisti) di Andrea Procaccini (c. 1700).
Nell'ambiente di passaggio al presbiterio si aprono due
cappelline con cancellata vanvitelliana: quella d. (11) fu
completamente decorata da Giovanni Baglione; in quella sin.
(12; 1574), sulla volta affreschi del van der Broek, a d. Visione
dell'Inferno di Giulio Mazzoni.
PRESBITERIO (13). Alla parete d., Presentazione di
Maria al tempio di Giovanni Francesco Romanelli (c. 1640) e
*Martirio di S. Sebastiano, dipinto a olio su stucco del
Domenichino (1629). Alla parete sin. Castigo di Anania e Safira,
dipinto su lavagna del Pomarancio (c. 1605), e *Battesimo di
Gesù del Maratta (c. 1697). Nell'abside, monumenti funebri di
Pio IV (1565) e del cardinale Giovanni Antonio Serbelloni di
Alessandro Cioli (1583); sulla parete di fondo, S. Maria degli
Angeli, dipinto eseguito a Venezia nel 1543; nella volta,
affreschi di Daniele Seyter.
Sulla sin. del presbiterio si apre la cappella dell'Epifania
(14), già sagrestia della chiesa michelangiolesca, trasformata in
coro nel 1727: sopra gli stalli, storie di S. Brunone attribuite
come l'affresco della volta (Trionfo del santo) a Luigi Garzi;
sull'altare, Epifania, dipinto su lavagna dei sec. XVI.
R. XV ESQUILINO | 71

Sulla sin. della facciata della chiesa è il portale


monumentale degli ex Magazzini dell'olio (iscrizione e stemma
di Clemente XIII, che adattò i locali interni nel 1764). Gli edifici
termali proseguono lungo via Romita, qui trasformati in Granai
Camerali da Gregorio XIII nel 1575 (iscrizione con stemma) e
oggi in parte sede della facoltà di Magistero.
Oltre via Cernaia, la cui apertura (1878) ha coperto parte
della palestra delle terme, si costeggia la sala detta della
Minerva, posta all'angolo SO del complesso - di cui era forse un
ambiente di passaggio - e adattata nel 1928 a planetario da Italo
Gismondi; il pressoché intatto ambiente ottagonale, con quattro
nicchie semicircolari agli angoli e cupola a ombrello con occhio
centrale (diametro m 22), dopo gli ultimi restauri ospita dal 1991
le sculture del Museo Nazionale Romano di provenienza
termale. Una rampa sul fondo dell'aula scende al livello
originario della sala, sotto il quale sono state rimesse in luce le
strutture di edifici pubblici e privati preesistenti alla costruzione
delle terme e tagliate dalle fondazioni di queste.
Si incontra quindi via Parigi, intitolata alla capitale
francese in occasione del gemellaggio (1959); sul lato ~il. della
via voltano i muri delle terme, da cui spunta la gradevole
facciatina
dell'ex chiesa di S. Isidoro alle Terme, fu fatta costruire
da Benedetto XIV (1754): targa in facciata e realizzata
dall'architetto Giuseppe Pannini, utilizzando alcuni ambienti a
fianco dell'attuale “Sala ottagona” delle terme di Diocleziano;
Della chiesa, prima sconsacrata e poi demolita per il recupero
delle precedenti strutture delle terme di Diocleziano, resta solo
la facciata.
, mentre il tratto successivo degli ambienti antichi fu
inglobato nei granai di Paolo V (1609; iscrizione con stemma)
e in quelli di Urbano VIII, che furono distrutti intorno al 1940
per l'apertura del moderno tracciato.

La via XX Settembre si dirige verso il centro e, oltre


l'incrocio a d. con via Piave, che ricalca l'antica via di Porta
Salaria (su questa, sulla d., è la neogotica chiesa del Sacro
72 | R. XV ESQUILINO

Cuore di Gesù, che Aristide Leonori realizzò nel 1914-16 con


anomala facciata-portico e interno a tre navate con matronei
sontuosamente decorato), è segnata sul lato opposto dal
vastissimo palazzo dei Ministeri del Tesoro e del Bilancio, il
primo di Roma capitale costruito ex novo (Raffaele Canevari,
1872-78) come sede del Ministero delle Finanze, che si articola
in un corpo principale e in due lunghe ali, arretrate rispetto al
fronte e concluse da quattro 'torri' angolari sormontate da altane;
all'imponenza delle dimensioni si unisce una programmatica
austerità di forme e di materiali, con un limitato impiego di
travertino.
Il frontone sulla via reca un gruppo allegorico di Pietro
Costa, mentre quello ,gemello' sulla retrostante via Cernaia (v.
pag. 169) è decorato da un gruppo (Agricoltura e Industria) di
Ercole Rosa; su questo lato sono anche i monumenti a Quintino
Sella (Ettore Ferrari, 1893) e a Silvio Spaventa (Giulio Tadolini,
1898).
Le sale furono decorate da alcuni dei migliori pittori
dell'epoca (la Sala gialla ha affreschi di Cesare Mariani). Al
piano terra è stato allestito nel 1961 il Museo numismatico della
Zecca Italiana (ingresso al N. 97 di via XX Settembre; visita:
feriali ore 9-11): nel VESTIBOLO sono illustrate le tecniche di
coniazione antiche e moderne (in un ambiente a d. è una
selezione di medaglie dei più noti artisti dei secoli XIX e XX), il
SALONE è suddiviso in due gallerie che accolgono le medaglie
annuali pontificie da Martino V a oggi e la collezione di monete
italiane dal 1861 all'epoca contemporanea, cui si accompagnano
c. 400 cere di Camillo Pistrucci.

Si sbocca in via XX Settembre (per l'inquadramento storico v.


pag. 315), avendo di fronte villa Bonaparte, più nota come Paolina
dalla sorella di Napoleone che l'acquistò nel 1816. Di origine
cinquecentesca, fu trasformata a metà '700 dal cardinale Silvio
Valenti Gonzaga (venne allora eretto il CASINO, attribuito a
Paolo Posi e decorato da Giovanni Paolo Pannini) e mutilata di
buona parte del parco dalle lottizzazioni otto- novecentesche;
ospita dal 1951 l'ambasciata di Francia presso la Santa Sede.
Sul breve tratto della via verso porta Pia (v. pag. 653),
nell'area dell'ex villa Torlonia già Costaguti, si dispone, arretrato e
preceduto da due ampi bacini-fontane, il palazzo dell'Ambasciata di
R. XV ESQUILINO | 73

Gran Bretagna (Basil Spence, 1968-71). La forte presenza


dell'architettura michelangiolesca della porta e la peculiarità
del tema hanno spinto verso una soluzione . monumentale', del
tutto inusuale per quegli anni, che intende reinterpretare in
chiave moderna i canoni del manierismo: il blocco
stereometrico sospeso su pilastri, con scalone esterno a due
rampe e cortile centrale, si qualifica per il progressivo aggetto
dei piani e del coronamento, cui corrisponde un intensificarsi
dei ritmi dei pieni (rivestiti di travertino) e dei vuoti delle
aperture arretrate.

In asse con l'ingresso al ministero su via XX Settembre si


stacca via Sella, che, tra tipici edifici otto-novecenteschi, giunge
a intersecare via Sallustiana. Il tratto di d. di quest'ultima porta
in piazza Sallustio, al centro della quale, dalla profondità di 14
m che dà l'idea dell'innalzamento di livello della zona dopo l'età
classica, sorgono i grandiosi resti, molto ben conservati, degli
"horti Sallustiani" (per la visita rivolgersi alla Soprintendenza
archeologica di Roma), appartenuti a Cesare e a Caio Sallustio
Crispo e passati con Tiberio al demanio imperiale. Le
costruzioni, in gran parte rifatte sotto Adriano e restaurate da
Aureliano, furono gravemente danneggiate dall'invasione di
Alarico: se ne riconosce la *SALA CIRCOLARE, forse una
"coenatio" estiva (la singolare cupola interna è a spicchi piani e
concavi alternati) circondata da ambienti con tracce di pitture e
mosaici (c. 130).
Proseguendo invece per via Sella oltre via Sallustiana, si
possono osservare, uno opposto all'altro, due significativi
esempi contemporanei (1903) dell'edilizia signorile che
contraddistingue la zona: ai numeri 63- 65 il villino Bencini di
Giulio Podesti; al N. 60 il villino di Rudinì, oggi ambasciata del
Giappone, opera di Ernesto Basile dalla raffinata decorazione
liberty.
Si prosegue per via XX Settembre sino all'incrocio a sin.
con via Pastrengo, dove, in restauro da vari anni, è il palazzo già
dei Magazzini CIM più noto come "Palazzo di vetro", versione
razionalista (1939-42) della tipologia del palazzo della
Rinascente in via del Corso. Sul lato opposto di via XX
Settembre (il cui tratto successivo è descritto da pag. 315) è il
74 | R. XV ESQUILINO

palazzo del Ministero dell'Agricoltura e Foreste (1908-14), a


d. del quale scende via Salandra. Oltre lo sbocco di questa in via
Carducci (all'epoca dell'apertura della strada risale il
rinvenimento e il taglio del tratto di mura Serviane - v. pag. 149
-riferibile alla fase più antica della costruzione, oggi inglobato
negli edifici), si continua in via Piemonte, una delle più
rappresentative del signorile "quartiere delle Regioni", che offre
un campionario completo degli stili architettonici adottati
dall'eclettismo. Si lascia a d. la neoromanica chiesa di S.
Camillo de Lellis (Tullio Passarelli, 1906-10) e tra lussuosi
villini risalenti agli anni tra '800 e '900 si sale a intersecare via
Boncompagni, uno degli assi del rione Ludovisi che venne
lottizzato a scacchiera irregolare sull'area dell'omonima villa (v.
pag. 510) a partire dal 1885.
Caratterizzata da un'edilizia mista (palazzi e villini),
prevalentemente di gusto sei-settecentesco, opera dei
professionisti più in voga a cavallo dei due secoli, si qualifica
nel tratto di sin. per la chiesa di S. Patrizio (Aristide Leonori,
1908-11), con facciata che vuole rievocare un romanico 'nordico'
(nell'interno, Madonna delle Grazie, affresco staccato del sec.
XIII); nel tratto di d. spiccano il villino Boncompagni (N. 18),
raffinata rievocazione del barocchetto romano di G.B. Giovenale
(1901-03; rivolgendosi alla Soprintendenza per i Beni ambientali
e architettonici di Roma si può visitare il piano terra, dove si
conservano preziosi arredi antichi), e il palazzo già
dell'Italcasse, concepito da Maurizio Vitale e collaboratori
(1971-78) in aperta polemica col circostante eclettismo. Si sale
ancora per via Piemonte fino a via Sicilia, dove si volta a sin.
incontrando (numeri 57-59) il razionalista palazzo del Consiglio
nazionale degli Ordini e Collegi professionali (Carlo Broggi,
1935-36), che include il teatro delle Arti opera dello stesso. Sul
lato opposto è la chiesa Evangelica Luterana (Franz
Schwechten, 1910-22), con facciata a capanna tra due torri-
campanile e grande fornice d'ingresso, che si distingue per
l'asciutto rigore formale e l'integrale rivestimento di travertino.
Costeggiandone il fianco sin. lungo via Toscana si è in via
Sardegna, dove, al N. 79, è la Biblioteca dell'Istituto
Archeologico Germanico, la più importante del settore a Roma.
R. XV ESQUILINO | 75

Percorrendo il tratto di d. di via Sardegna si possono


raggiungere, oltre via Abruzzi (al N. 4 è il *villino Florio, la
migliore delle opere romane di Ernesto Basile - 1902 -nella
quale l'impianto tradizionale del palazzetto turrito è riscattato
dalla raffinatissima decorazione liberty), la chiesetta
neoromanica di S. Maria Regina dei Cuori (Tullio Passarelli,
1903-13) e l'edificio polifunzionale di Vincenzo, Fausto, Lucio
Passarelli e collaboratori (1963-65), una delle più interessanti
architetture italiane del secondo dopoguerra: sul piano terra,
arretrato e destinato a negozi, si imposta il prisma trapezoidale
degli uffici, a superfici interamente specchianti, che segue i
contorni del lotto e al di sopra del quale si articola la
'neoplastica' struttura a pilastri e piastre dei quattro piani di
appartamenti terrazzati.
Il tratto di sin. di via Sardegna sbocca in via Vittorio
Veneto, nota in tutto il mondo come *via Veneto, la strada più
celebre della Roma moderna (venne aperta nel 1886-89) per gli
alberghi, i caffè e i negozi di lusso; ma anche quella
urbanisticamente più felice per l'ampiezza e l'arredo verde del
tracciato, e soprattutto per lo snodarsi in discesa, da porta
Pinciana a piazza Barberini, con due ampie curve in
corrispondenza delle quali si collocano gli episodi architettonici
più significativi. Avendo alle spalle porta Pinciana (v. pag. 652),
si scende fino all'incrocio a d. con via Lombardia.
Seguendola si raggiunge, oltre il palazzo oggi della Banca
Nazionale del Lavoro (Vincenzo, Fausto, Lucio Passarelli e
Maurizio Vitale, 1957-60), il muraglione che racchiude il
*casino dell'Aurora, l'edificio artisticamente più rilevante e,
assieme al Palazzo grande incorporato nell'ambasciata degli
Stati Uniti d'America (v. sotto), unico resto della villa Ludovisi
creata dal cardinale Ludovico nel 1621-23 sugli "horti
Sallustiani" (v. pag. 508) e ampliata dai Boncompagni Ludovisi
nel 1825 e 1851. Il casino (per la visita richiedere
l'autorizzazione all'amministrazione Boncompagni al N. 44 della
via) è una palazzina cinquecentesca, a pianta cruciforme, cui
venne aggiunto nel 1858 un avancorpo su ognuno dei bracci. La
SALA D'INGRESSO ha la volta decorata a grottesche (metà
sec. XVI), mentre quella della *SALA DELL'AURORA è
dipinta a tempera con il Carro dell'Aurora, capolavoro del
76 | R. XV ESQUILINO

Guercino (sue l'Allegoria del Giorno nella lunetta sin. e


l'Allegoria della Notte in quella d.; le decorazioni architettoniche
ad affresco sono di Agostino Tassi, 1621); nella SALA DEL
CAMINO O DEI PAESI, Paesaggi del Guercino (d.), di Paul
Brill (sulla parete opposta all'ingresso), di G.B. Viola (sin.) e del
Domenichino (sull'ingresso), mentre al centro del soffitto è una
Danza di putti attribuita ad Antonio Circignani. Al piano nobile,
sul soffitto della saletta dopo l'ingresso è un dipinto a olio su
muro (*Gli Elementi e l'Universo con segni zodiacali) ormai
riferito a Caravaggio (c. 1597); l'adiacente sala prende nome
dalla Fama realizzata sul soffitto dal Guercino e dal Tassi. La
famosa collezione di sculture antiche, acquistata in gran parte
dallo Stato nel 1901, è oggi nel novero dei materiali del Museo
Nazionale Romano (v. pag. 359).
Ancora su via Veneto, oltre l'incrocio a sin. con via
Boncompagni (v. pag. 508), dove spicca l'appariscente soluzione
d'angolo in curva sormontata da cupola dell'albergo Excelsior
(Otto Maraini, 1905-08; allo stesso si deve, al N. 48 di via
Ludovisi, la coeva neobarocca villa Maraini oggi sede
dell'Istituto svizzero di Roma, la cui biblioteca, specializzata in
scienze umanistiche classiche, annovera c. 30000 volumi e c.
10000 riviste), si individua a sin. il nuovo palazzo Boncompagni
o Piombino, noto anche come palazzo Margherita in quanto fu
residenza della regina madre, che oggi ospita l'ambasciata degli
Stati Uniti d'America: Gaetano Koch, del cui cinquecentismo è
l'opera più emblematica, lo eresse (1886-90) per il principe
Rodolfo Boncompagni Ludovisi in sostituzione del palazzo
Piombino in piazza Colonna, di cui riprese, in forme più auliche
e 'corrette', l'impostazione e lo stile, con la principale variante
dell'ingresso unico, a triplice arcata e balcone su colonne (il
fregio con gli elementi araldici della famiglia è stato manomesso
con l'apertura delle finestrelle).
Addossato posteriormente all'edificio resta, alquanto
alterato, il Palazzo grande di villa Ludovisi (lo si vede dalla
retrostante via Friuli), attribuito a Carlo Maderno o al
Domenichino (inizi sec. XVII).
La curva di via Veneto è qui assecondata dal prospetto,
che annuncia il passaggio dal déco al "Novecento"
monumentale, dell'albergo Ambasciatori (Marcello Piacentini
R. XV ESQUILINO | 77

1924-26), opposto al quale si stacca via Bissolati, arteria di


collegamento con piazza di S. Bernardo e la stazione di Termini
realizzata nel 1933 su progetto di Piacentini (fu nominata via
XXIII Marzo).
Oggi sede di uffici di rappresentanza di compagnie aeree
e marittime, si caratterizza per due edifici di Piacentini:
all'angolo con via Veneto (N. 199) il palazzo della Banca
Nazionale del Lavoro (1936), solido e severo secondo l'ultimo
stile littorio, e il palazzo dell'INA (N. 23; 1936-44), a sin. del
quale, con facciata su via Sallustiana, è il palazzo della sede
centrale dell'Istituto Nazionale delle Assicurazioni, eretto da
Ugo Giovannozzi nel 1923-27 in un fastoso neobarocco con
richiami classicisti.
Si prosegue lungo l'alberata via Veneto, qualificata dall'ex
albergo Palace (N. 62; Carlo Busiri Vici, 1900-02),
classicheggiante ma con sentori liberty nel loggiato centrale, e
dal neobarocco, ma stilizzato, palazzo dell'INA di Carlo Broggi
(N. 89; 1925 28), cui segue il palazzo del Ministero
dell'Industria, Commercio e Artigianato, già delle Corporazioni,
che Marcello Piacentini e Giuseppe Vaccaro realizzarono nel
1928-32 in tufo e travertino con un massiccio aspetto
militaresco: il grande portale bronzeo (Giovanni Prini) in angolo
con via Molise è sormontato da un balcone scolpito da Antonio
Maraini; l'interno è ricco di opere d'arte e di artigianato di Mario
Sironi, Ferruccio Ferrazzi, Romano Romanelli, Pio e Silvio
Eroli, Gio Ponti, Attilio Selva, Fortunato Depero, Francesco
Messina, Enrico Prampolini, Roberto Melli, Francesco
Trombadori, Luciano Minguzzi, Piero Marussig, Fausto
Pirandello.
Alla fine dell'isolato occupato dall'albergo Majestic (N.
50; Gaetano Koch, 1896), risale le pendici S del Pincio la
scalinata di via di S. Isidoro.
Percorrendola si arriva in via degli Artisti, su cui
prospetta, oltre un giardino cinto da una cancellata, la chiesa di
S. Isidoro, iniziata su progetto di Antonio Casoni nel 1622 dai
Francescani spagnoli, continuata dal 1625 per i Francescani
irlandesi con interventi di Domenico Castelli (cappelle laterali,
portico, scalinata) e terminata nel 1672; una nuova decorazione
pittorica venne realizzata in corrispondenza dei restauri del 1856
78 | R. XV ESQUILINO

e 1947-49. Sopra una scalinata a doppia rampa si leva la


facciata-portico a due ordini di paraste, su disegno di Francesco
Carlo Bizzaccheri (1704-05; restauro 1991-92): condizionata
dalla struttura del Castelli, si qualifica per la decorazione di
gusto borrominiano. L'interno è a navata unica con volta a botte
e due cappelle per lato, transetto con cupola schiacciata e due
cappelle ai lati del presbiterio; nel soffitto Gloria di S. Isidoro di
Charles André Van Loo (1729), in controfacciata coro ligneo su
disegno del Castelli (1641). La 1a cappella d. (Alaleona) fu
interamente dipinta (scene della vita di S. Giuseppe) da Carlo
Maratta (1650-52), la 2a da Pier Paolo Naldini (c. 1657) con
scene della vita di S. Anna. *Cappella Da Sylva su disegno di
Gian Lorenzo Bernini (1663): Immacolata Concezione e tre
affreschi del Maratta; alle pareti, monumenti funebri Da Sylva e
quattro Virtù attribuiti a Bernini o al figlio Paolo. Altare
maggiore, su disegno di Mario Arconio (1630): S. Isidoro e la
Vergine di Andrea Sacchi (1622). 2a cappella sin.: S. Antonio di
Giovanni Domenico Cerrini (1680) e lunette di Gilles Hallet. 1a:
cupola e lunette affrescate dal Maratta (1657). Adiacenti alla
chiesa sono il CHIOSTRO SPAGNOLO, eretto nel 1622-26 su
disegno del Casoni e coperto nel 1948, e il CHIOSTRO DI
WADDING (1630), con affreschi del 1701-06 (l'Aula maxima
conserva interessanti affreschi di fra' Emanuele da Como del
1672).
Quasi al termine di via Veneto, a sin., è la chiesa di S.
Maria della Concezione detta dei Cappuccini, che venne eretta
nel 1626-30 su progetto di Antonio Casoni e che in seguito
all'apertura della strada ha perduto il suo contesto di carattere
suburbano. Una moderna scalinata a doppia rampa sale alla
modestissima facciata, in laterizio a due ordini di lesene con
raccordi a quarto di cerchio, che nel 1925-26 è stata 'arricchita'
col parziale rivestimento di travertino e l'apertura del finestrone.
L'interno è a navata unica, con cinque cappelle intercomunicanti
per lato, presbiterio e profondo coro. Nella volta, Assunta di
Liborio Coccetti (1796). 1a cappella d.: S. Michele arcangelo di
Guido Reni (c. 1635); alla parete sin., Cristo deriso di Gherardo
Delle Notti. 2a: Trasfigurazione di Mario Balassi; alla parete
sin., Natività di Giovanni Lanfranco (c. 1632). 3a: S. Francesco
stigmatizzato del Domenichino (sua la Morte del santo alla
parete sin.). 4a: Orazione nell'orto di Baccio Ciarpi (c. 1632). 5a:
R. XV ESQUILINO | 79

S. Antonio di Andrea Sacchi (1635). Davanti all'altare maggiore


(nel retrostante coro, Assunta, opera di Terenzio Terenzi da
Urbino del 1578), tomba del cardinale Antonio Barberini (m.
1646; a sue spese venne eretta la chiesa) con la famosa
iscrizione "hie iacet pulvis, cinis et nihil" (qui è deposta polvere,
cenere e niente altro); a sin. dell'altare maggiore, monumento di
Alessandro Sobieski (m. 1714) di Camillo Rusconi. 5a cappella
sin.: Apparizione della Vergine a S. Bonaventura del Sacchi
(1645). 3a: Deposizione di Andrea Camassei; alla parete sin., S.
Francesco stigmatizzato di Girolamo Muziano (c. 1570). 2a: S.
Felice da Cantalice di Alessandro Turchi (il sottostante
sarcofago del sec. III contiene le spoglie del santo). la: Anania
ridà la vista a S. Paolo di Pietro da Cortona (c. 1631). Nel
convento, S. Francesco di Caravaggio (1603) e Nazareno di
Jacopo Palma il Giovane. Contiguo alla chiesa è il cimitero dei
Cappuccini, le cui cinque cappelle sono interamente decorate e
'arredate' con i resti di c. 4000 frati morti tra il 1528 e il 1870.
Lasciato al N. 7 il palazzo che è l'ultima opera di Gino
Coppedè (1925-27; lo ornano iscrizioni latine e un'altana a
colonne), la via Veneto termina in piazza Barberini (v. pag.
307).
80 | R. XV ESQUILINO

1.13 Il rione Celio.

Il rione, il cui nome è legato alla leggenda della conquista


del colle da parte dell'etrusco Celio Vibenna, corrisponde alla Il
regione augustea, formata dalle alture del "Caelius"
propriamente detto (l'area del parco del Celio e di villa
Celimontana), del "Caeliolus" (la zona della chiesa dei Ss.
Quattro Coronati) e della "Succusa" tra i due. Nelle mura
Serviane, delle quali si ignora il tracciato nella zona, si aprivano
le porte Celimontana (da cui partiva l'omonima via),
Querquetulana (punto d'avvio dell'antica Via Tuscolana) e
Capena, che segnava l'inizio della romana Via Appia. Il colle,
alimentato da numerosi acquedotti, fu occupato da poche ma
ricche abitazioni (casa dei Simmaci), da templi - del Divo
Claudio, di Ercole Vincitore, di Minerva Capta - ed edifici
pubblici - "Macellum Magnum", "Castra, Peregrina",
"Lupanaria" - alcuni con funzioni ausiliarie ai giochi che si
svolgevano nel Colosseo - i "Ludi" (caserme dei gladiatori),
1'"Armamentarium" (arsenale), il "Samarium" (ospedale) e lo
"Spoliarium" (obitorio); la zona compresa tra le antiche Vie
Appia e Latina, inizialmente esterna al pomerio e ricca di
sepolture, fu inclusa nella città solo con l'erezione delle mura
Aureliane.
Con la fine dell'Impero, e per tutto il Medioevo e il
Rinascimento, il colle si spopolò (le uniche presenze furono
alcuni tra i più antichi luoghi di culto cristiani, le ville e le
cosiddette vigne, cioè piccole tenute agricole), mantenendo fino
al 1870 un aspetto quasi rurale, mentre la fascia lungo via di S.
Giovanni in Laterano, percorsa dai cortei papali, era l'unica con
aspetto 'urbano'. Dopo tale data il Celio, istituito come rione nel
1921, fu oggetto di mire speculative favorite dalla disponibilità
di aree relativamente vicine al centro cittadino: il primo
intervento fu la costruzione del quartiere di abitazioni lungo via
di S. Giovanni in Laterano, e la decisione (1885) di far sorgere
sul colle l'Ospedale militare pose fine alla possibilità di
conservare uno degli ambienti più suggestivi di Roma; la
destinazione a parchi pubblici permise la salvaguardia di villa
Celimontana (1928) e dell'ex vigna Cornovaglia (1929), anche
R. XV ESQUILINO | 81

se pesanti furono le manomissioni per l'allargamento di via della


Navicella (1931) e della medievale via della Ferratella in
Laterano (creazione dell'asse via Druso-via dell'Amba Aradam,
1932), e per l'apertura della via dei Trionfi (ora di S. Gregorio,
1933).
L'itinerario, che si sviluppa in una parte di città non
ancora totalmente snaturata dagli interventi edilizi e
compromessa dall'onnipresente e incessante traffico
automobilistico, è scandito dalle chiese che nel tempo si sono
concentrate sul colle (tra le altre, quelle di S. Stefano Rotondo e
dei Ss. Giovanni e Paolo) e da quelle dei Ss. Nereo e Achilleo e
di S. Giovanni a Porta Latina; ma annovera anche alcune
testimonianze di età romana, tra le quali spicca il sepolcro degli
Scipioni.
Dall'angolo SE di piazza del Colosseo (v. pag. 262) si
salgono le pendici del Celio lungo via Claudia, lasciando subito
a d. l'ingresso al parco del Celio, sorto sulla cinquecentesca
vigna Cornovaglia prima del 1829 e ampliato da Gregorio XVI;
opposto al casino (Gaspare Salvi, 1835), che poggia sulle
sostruzioni della scala del tempio del Divo Claudio (vsotto), è
l'ex Antiquarium comunale, eretto come Magazzino
Archeologico nel 1890 dal comune e chiuso nel 1939 perché
lesionato dai lavori per la metropolitana (i materiali sono tuttora
nei depositi dei Musei Capitolini).
Nel tratto successivo la via costeggia, sempre a d., le
sostruzioni della platea (c. m 180 x 200) del tempio prostilo
ottastilo M Divo Claudio o "Claudium", eretto nel 54 dalla
moglie Agrippina ma trasformato da Nerone in ninfeo annesso
alla Domus Aurea (v. pag. 288) e ripristinato da Vespasiano, e a
sin., in un'area oggi in abbandono, un complesso di edifici di età
flavia, poi rimaneggiati, che affacciavano sul "vicus Capitis
Africae" e che sono stati rinvenuti nel 1984-88.
Al termine della salita si è in largo della Sanità Militare,
chiuso a sin. dall'Ospedale militare del Celio, formato da
fabbricati distribuiti su una superficie di 53 420 M2 e collegati
da caratteristiche passerelle metalliche; la sua costruzione (1885-
91) comportò la distruzione della seicentesca villa Casali, ma
permise l'individuazione della "basilica Hilariana". Nuovi scavi,
condotti nel 1987, hanno evidenziato anche una sede di culto di
82 | R. XV ESQUILINO

Cibele e Attis di età antonina, una domus tardo-antica e un


edificio commerciale di età neroniana; benché non ancora
identificata, nel- l'area doveva trovarsi la casa dei Simmaci,
appartenente a Quinto Aurelio Simmaco, uno degli ultimi
difensori del paganesimo.
Costeggiando il fianco sin. dell'ospedale lungo via Annia
e, al termine di questa, piegando a sin. in via dei Querceti e poi a
d. in via dei Ss. Quattro (che ricalca l'antica Via Tuscolana), si
raggiunge uno slargo su cui si apre l'ingresso all'omonimo
monastero; in fondo al secondo cortile (nelle pareti, colonne
separanti le navate del primitivo edificio di culto) è la chiesa dei
Ss. Quattro Coronati, dedicata ai soldati Severo, Severiano,
Carpoforo e Vittorino martirizzati perché si erano rifiutati di
adorare la statua di Esculapio (un'altra versione attesta cinque
scultori dalmati uccisi da Diocleziano perché non avevano
voluto scolpirla).
Eretta nel sec. IV utilizzando un'aula absidata pagana ma
nota dal 595, venne ampliata nel VII, trasformata in basilica da
Leone IV (a tale periodo risale la cappella di S. Barbara, la
cripta semianulare, il quadriportico e la torre campanaria) e
ricostruita in dimensioni molto minori (vennero escluse le
navate laterali e la parte anteriore di quella centrale; da
quest'ultima si ricavarono le attuali navatelle) nel 1111, in
seguito all'incendio dei Normanni, da Pasquale II; dopo
l'aggiunta del monastero, del chiostro e dell'oratorio di S.
Silvestro (fine sec. XII-XIII), interventi conservativi furono
effettuati nel 1912-14 (Antonio Munoz), nel 1957 e nel 1991.
L'interno basilicale, diviso in tre navate da colonne
antiche di granito di vario spessore con capitelli corinzi e
compositi, presenta in alto matronei con colonne e capitelli
ionici sormontati da pulvino e nella nave mediana un pavimento
cosmatesco; il soffitto ligneo a cassettoni (sec. XVI) venne fatto
eseguire dal cardinale Enrico del Portogallo. Sulle pareti delle
navi laterali, resti di dipinti del sec. XIV. Sull'altare della
NAVATA DESTRA (del SS. Sacramento), Adorazione dei
pastori di scuola fiamminga del sec. XVI. Nell'ABSIDE,
pregevoli affreschi (nel registro superiore storie dei Ss. Quattro
Coronati, in quello inferiore storia dei martiri di Pannonia, nel
catino Gloria di tutti i santi) di Giovanni da S. Giovanni (1630).
R. XV ESQUILINO | 83

Il presbiterio fu rialzato nel sec. IX per ricavare la CRIPTA, con


quattro arche contenenti reliquie di santi martiri; sopra l'ingresso
di d., iscrizione damasiana del sec. IV relativa ai martiri Proto e
Giacinto. Al termine del colonnato di sin., addossato al pilastro,
*ciborio attribuito ad Andrea Bregno o a Luigi Capponi.
Sull'altare della NAVATA SINISTRA, S. Sebastiano curato da
Lucina e Irene di Giovanni Baglione.
Dalla navata sin. (suonare il campanello) si passa nel
*CHIOSTRO (inizi sec. XIII), ad archetti su colonnine binate
con capitelli a foglie! acquatiche: al centro è il "labrum"
(fontana per abluzioni) di Pasquale II; sulle pareti iscrizioni
romane e paleocristiane e frammenti architettonici; a sin., in
corrispondenza dell'antica navata sin., resti di una cappella dei
sec. IX. La coeva CAPPELLA DI S. BARBARA, quadrata e
triabsidata, presenta mensole trabeate sorreggenti la volta a
crociera dove sono tracce di affreschi del sec. XII.
Dal secondo cortile esterno della chiesa si entra nella
PORTINERIA DELLE MONACHE, che conserva sulla pareti
resti di un raro calendario liturgico del sec. XIII. L'adiacente
*ORATORIO DI S. SILVESTRO (chiedere la chiave alla
finestrella della "ruota"), a pianta rettangolare e pavimento
cosmatesco, fu nel 1246 decorato (alla parete d'ingresso, Cristo
in trono tra la Vergine, il Battista, gli apostoli e due angeli, uno
dei quali ripiega il firmamento e l'altro suona la tuba simbolo del
Giudizio; nella fascia sottostante, storie di Costantino, articolate
da sin. in Costantino lebbroso conforta le donne, Sogno di
Costantino e invio dei messi a papa Silvestro sul Soratte, Il papa
fa venerare all'imperatore le immagini dei Ss. Pietro e Paolo e,
col battesimo, lo guarisce dalla lebbra e Costantino, ricevuti i
doni, è condotto trionfalmente in Roma dall'imperatore) da uno
o più maestri bizantineggianti, probabilmente veneti. Sopra il
fregio a foglie, la volta ha una decorazione a stelle e croci con in
mezzo cinque maioliche in croce, unico esempio a Roma di
ornamentazione di soffitto di questo tipo; gli affreschi in fondo
alla cappella sono di Raffaellino da Reggio (sec. XVI).
Dal largo della Sanità Militare si stacca in direzione SE la
via della Navicella, che prende nome da un modello di nave
romana in marmo, ritenuta copia di un ex voto proveniente dai
vicini "Castra Peregrina" (v. pag. 478), posto su un basamento
84 | R. XV ESQUILINO

con insegne di Leone X (1513) e adattato a fontana in occasione


dell'allargamento della via (1931). Al N. 4 è un duecentesco
portale marmoreo, sormontato da edicola con mosaico (Gesù tra
due schiavi liberati), opera di Jacopo e Cosma dei Cosmati; la
facciata laterizia con finestrelle in marmo e la porta a sesto acuto
in peperino sono i resti del complesso monastico e dell'ospedale
di S. Tommaso in Formis, fondato nel 1209 e distrutto nel 1925
per la costruzione della sede dell'Istituto sperimentale per la
nutrizione delle piante (per la chiesa v. pag. 479).
Percorrendo la strada per breve tratto si può visitare la
chiesa di S. Maria in Domnica, così detta dal nome
"dominicum" dato ai primi luoghi di culto cristiani; sorta forse
nel sec. VII sui resti della caserma della V coorte dei "vigiles",
venne ricostruita sotto Pasquale I e restaurata nel 1513-14 dal
futuro Leone X su disegno di Andrea Sansovino, cui si deve
l'elegante portico a cinque arcate, su pilastri e lesene d'ordine
tuscanico.
L'interno basilicale (se chiuso, suonare al portone a d. del
portico) è diviso in tre navate da 18 colonne antiche di granito
grigio con capitelli corinzi; quella centrale, coperta da un soffitto
ligneo a cassettoni decorati (simboli delle Litanie della
Madonna, 1566) sotto il quale corre un fregio con motivi araldici
medicei affrescato da Perin del Vaga su disegno di Giulio
Romano, è conclusa dall'arco trionfale, sostenuto da *colonne in
porfido con capitelli ionici, e dall'abside, entrambi decorati da
*mosaici (sopra l'arcata dell'abside, Cristo tra due angeli e gli
apostoli; sotto, Mosè ed Elia; nel catino dell'abside, Maria con il
Bambino in trono tra due schiere di angeli e Pasquale I in
ginocchio) del tempo di Pasquale I (restauro 1985). Nel giro
dell'abside, affreschi di Lazzaro Baldi (sec. XVII). Sotto l'altare
si apre la CONFESSIONE (Ildo Avetta, 1958), recintata da una
balaustra in bronzo (presso la scala di sin., parti di decorazione
riferitile a un edificio del sec. vi a. C. rinvenuto durante gli scavi
del 1958): alle pareti, frammenti di plutei medievali. In fondo
alle navi laterali, *sarcofagi romani.
A sin. della chiesa, un portale (1615), proveniente dalla
distrutta villa Massimo Lancellotti e qui rimontato con qualche
licenza nel 1931, immette nella villa Celimontana, acquistata
nel 1553 dalla famiglia Mattei e sistemata dopo il 1581, che dal
R. XV ESQUILINO | 85

1928 è stata adibita a parco pubblico impreziosito da marmi


antichi (su viale Cardinale Spellman è l'obelisco egizio di
Ramsses II, un tempo presso il convento di S. Maria in Aracoeli,
donato nel 1584 dal Senato romano a Ciriaco Mattei, che riunì
nella villa una ricca collezione di antichità, e qui innalzato nel
1817). lo fondo al viale d'ingresso si erge il CASINO, su
progetto di Jacopo Del Duca (1581- 86) ma molto rimaneggiato,
che ospita dal 1926 la Società Geografica Italiana. fondata a
Firenze nel 1867 (la biblioteca, la più grande nel settore in Italia,
è ricca di oltre 250000 volumi); l'annesso mu8eo (nel 1992 in
ristrutturazione) riunisce cimeli di esploratori e viaggiatori,
cartografia antica e materiali etnografici.
Poco oltre l'imbocco di via della Navicella converge da E
la via di S. Stefano Rotondo (la romana via Celimontana),
fiancheggiata nel primo tratto dall'acquedotto Neroniano (v. pag.
501). Sotto una delle arcate (N. 7) è l'accesso alla chiesa di *S.
Stefano Rotondo, la più antica (sec. v) a pianta circolare di
Roma. Due ambulacri a colonne concentrici, di cui l'esterno
intersecato dai bracci di una croce greca, circondavano in
origine un ambiente cilindrico; Innocenzo Il aggiunse il portico,
a cinque arcate su colonne antiche con capitelli tuscanici, e la
triplice arcata interna, mentre Bernardo Rossellino (1453)
consolidò le coperture ma eliminò l'ambulacro esterno e tre dei
quattro bracci della pianta; un restauro è stato effettuato nel
1980-88, uno è attualmente in corso.
Dal VESTIBOLO, che occupa una parte del braccio
superstite della croce greca, si accede al vasto interno, formato
da Un AMBULACRO CIRCOLARE (in origine il più interno)
chiuso da un muro in cui sono inserite le 34 colonne antiche di
marmo e granito dell'ambulacro esterno, e da una PARTF
CENTRALE, separata da 22 colonne in granito con capitelli
marmorei ionici di diversa età e fattura; su di esse grava un
architrave continuo da cui si innalza la muratura cilindrica del
tiburio (in alto, finestre centinate, alcune murate altre
racchiudenti bifore marmoree rinascimentali, risalenti al restauro
del Rossellino). Due pilastri e altrettante colonne con capitelli
corinzi sono disposti diametralmente nel circolo interno a
sostenere le tre arcate (quella mediana più ampia) e il muro di
appoggio per le travi dei tetto. Sulle pareti del muro perimetrale,
86 | R. XV ESQUILINO

Martirologio, 34 riquadri affrescati dal Pomarancio, da Antonio


Tempesta e da aiuti (alcuni ridipinti nell'800). Subito a sin.,
contro un pilastro, seggio episcopale detto di . Gregorio Magno,
sedia marmorea del periodo imperiale alla quale vennero
scalpellati i braccioli e il dossale. Seguono la cappella dei Ss.
Primo e Feliciano, ricavata in una parte del braccio superstite
della croce greca (in un'abside in fondo, mosaico del sec. VII,
restaurato nel 1990, raffigurante Cristo su Croce gemmata, non
crocifisso, secondo un antico schema iconografico, tra i Ss.
Primo e Feliciano) e la coppella di S. Stefano ~d1Tnaheria. con
sepolcro dell'inizio del sec. XVI.
Scavi archeologici hanno rivelato la presenza, sotto la
chiesa, di un mitreo (secoli II-III), che conserva parte della ricca
decorazione a finte tarsie in marmo, e dei "Castra Peregrina",
caserma degli ausiliari provinciali.
Da largo della Sanità Militare la visita continua verso NO
nella solitaria via di S. Paolo della Croce, passando sotto l'arco
di Dolabella, forse ricostruzione -in blocchi di travertino - della
primitiva porta Celimontana delle mura Serviane che venne poi
riuti1izzato per sostenere il condotto dell'acquedotto Neroniano.
Lasciato a sin., subito oltre il fornice romano, l'ingresso
alla chiesa di S. Tommaso in Formis (N. 10), ex abbazia
benedettina, di cui era parte il summenzionato omonimo
ospedale, sopraelevata nel tardo '500 e restaurata nel 1663 e nel
1787,
Ss. Giovanni e Paolo.
Su un antico "titulus" formatosi nella casa di due ufficiali
di Costantino martirizzati nel 362, il senatore Bizante e il figlio
Pammachio eressero nel 398 il nucleo della chiesa, che venne
danneggiata da Alarico nel 410 e dal terremoto del 442, e
saccheggiata dai Normanni nel 1084; sotto Pasquale Il fu
riedificato il convento e iniziato il campanile, che venne
ultimato a fine sec. XII insieme al portico che sostituì
l'originario nartece.
Restauri, alterazioni (nel 1715-18 venne trasformato
l'interno) e aggiunte si susseguirono fino al 1950-52, quando,
per volere del cardinale Francis Spellman, venne ripristinata la
facciata paleocristiana dalla rara tipologia 'aperta'.
R. XV ESQUILINO | 87

Il prospetto, aperto su due ordini da pentafore su snelle


colonne età in marmo del sec. III, è preceduto dal portico
(pianta, l; metà sec. XII) con architrave (iscrizione dedicatoria)
poggiante su colonne antiche: la soprastante galleria è aggiunta
del 1216. All'adiacente facciata del convento, anch'essa
ripristinata nel tipico aspetto medievale, si addossa lo slanciato
campanile romanico (c. 1150; restauro 1950-52), decorato da
bacini in ceramica (gli originali sono nel picco1o, antiquarium,
non visitabile, attiguo all'ingresso alle case dei martiri) e intarsi
di marmi colorati e aperto negli ultimi quattro piani da doppie
bifore, che si imposta su arcate in opus quadratum di travertino
delle sostruzioni del tempio del Divo Claudio.
Dal portico (nello spessore del muro, due colonne
dell'antica pentafora), un bel portale cosmatesco
(nell'architrave, aquila; nell'intradosso, fascia di stelle a
mosaico; sotto i piedritti, leoni accucciati)
l'interno, diviso in tre navate da pilastri affiancati alle
antiche colonne, che ha perso l'aspetto di basilica paleocristiana
a seguito della trasformazione operata nel 1715-18, per il
cardinale Fabrizio Paolucci, da Antonio Canevari e Andrea
Garagni; a tale periodo datano i busti nel vestibolo ottagonale
subito all'inizio della nave d. (2; quelli del cardinale Paolucci e
di Innocenzo XII sono di Pietro Bracci, 1725) e le tele (al l'altare
d., S. Saturnino distrugge l'idolo di Marco Benefial), mentre il
soffitto risale al cardinale Agostino Cusani (1598) e la cappella
di S. Paolo della Croce (3) alla seconda metà dell'800.
A metà c. della navata centrale, nel pavimento, lapide
ricordante il luogo in cui i Ss. Giovanni e Paolo subirono il
martirio.
Nell'abside (4), Cristo in gloria, affresco del Pomarancio
(1588); sotto, Martirio di S. Giovanni, di S. Paolo e Conversione
di Terenziano di Domenico Piastrini, Giacomo Triga e Pietro
Andrea Barbieri (1726; i coevi angeli in stucco sull'arcone sono
del Bracci); l'altare maggiore accoglie un'antica vasca in porfido
con le reliquie dei santi titolari.
In fondo alla navata sin. (5), per una porticina simulata a
d. dell'altare (rivolgersi ai padri), si passa in un piccolo
ambiente, che accoglie alla parete d. un dipinto (Cristo in trono
88 | R. XV ESQUILINO

fra sei apostoli) del sec. XIII. In sagrestia, Madonna con


Bambino e i Ss. Giovanni evangelista (titolare della chiesa) e
Giovanni Battista e i Ss. Girolamo e Paolo, tavola di Antoniazzo
Romano.
In fondo alla navata d. è l'accesso ai SOTTERRANEI (per
la visita rivolgersi alla Soprintendenza archeologica di Roma),
dove, nel corso degli scavi del 1887, furono individuati ì resti di
ambienti pertinenti ad almeno cinque edifici databili tra il sec. I
e il IV, uno dei quali, risalente al II, venne dapprima utilizzato
da una comunità cristiana, accogliendo poi la sepoltura dei
martiri all'origine della basilica.
Dal NINFEO (A), decorato da un *affresco del sec. III
con figure di incerta identificazione (Peitho e Proserpina;
Dioniso e Teti in ambiente marino), si passa agli ambienti B e C,
decorati a finto marmo; il vano D conserva resti di pitture nelle
pareti (efebi, festoni, uccelli) e nella volta (scene di
vendemmia), mentre in quello E, pertinente a uno degli edifici
esterni al perimetro della chiesa, ritorna il motivo a finto marmo.
Dall'ambiente C, attraverso due stanze e la fondazione del
colonnato della chiesa, si accede all'*ORATORIO
MEDIEVALE (F): sulle pareti della scaletta scene della
Passione (sec. IX), nella parete di fondo dipinto dell'antico altare
(sec. XII).
Usciti dalla sala G - decorata a finti marmi, maschere
sceniche e figure varie - una scala conduce alla "CONFESSIO"
(H), angusto ambiente con pitture del sec. IV: sulla parete di
fondo, sotto la "fenestella confessionis" che si apriva su un
pozzo in collegamento con il sito delle sepolture dei titolari,
figura di orante con due persone prostrate ai piedi; su quelle
laterali, scena di arresto di tre persone (sin.; le figure sono
generalmente identificate con Crispo, Crispiniano e Benedetta,
fedeli dei santi) e loro esecuzione (d.).
Dalla piazza si scende a sin. della chiesa per il clivo di
Scauro, pittoresca strada, coincidente con l'omonimo percorso
romano, sormontata da sette arcate (secoli XIII - XIV tranne
l'ultima, più alta, che risale al V) a sostegno del fianco della
basilica; subito oltre si intravede l'abside della chiesa, con
galleria ad archetti su colonnine, unico esempio di questo tipo
R. XV ESQUILINO | 89

romanico-lombardo a Roma. Superato a sin. (N. 3) il portale


(Flaminio Ponzio, 1607) antico ingresso agli oratori annessi alla
chiesa di S. Gregorio Magno (v. sotto; i resti di muro laterizio e
di un'aula absidata al di là dell'inferriata sono noti come
biblioteca di Agapito e risalgono ai secoli IV-VI), si vede,
ancora a sin., la chiesa di S. Gregorio Magno, sorta nel
Medioevo sul luogo della casa dove il santo aveva istituito nel
575 un monastero dedicato a S. Andrea e rinnovata all'esterno da
G.B. Soria (1629-33) e nell'interno da Francesco Ferrari (1725-
34). In cima alla scalinata (*panorama sul Palatino) si erge la
facciata, che ripropone anche nel materiale (travertino) lo
schema del prospetto della chiesa di S. Luigi dei Francesi;
l'atrio, realizzato a partire dal 1642 su disegno del Soria, è
circondato da un portico che riutilizza pilastri e colonne binate
provenienti dal portico della chiesa precedente (fine sec. III) e
accoglie alcune sepolture: spicca in fondo a d. quella dei fratelli
Bonsi (Luigi Capponi, fine sec. XV-inizi XVI), con ritratti entro
nicchie circolari, fronteggiata dalla tomba del canonico Lelio
Guidiccioni (m. 1643), inserita in un monumento funebre
rinascimentale. L'interno, a tre navate divise da 16 colonne
antiche fiancheggianti pilastri, è decorato da stucchi del Ferrari
(c. 1725) e, nella volta, dall'affresco (Trionfo della Fede, 1727)
di Placido Costanzi; il pavimento cosmatesco è stato restaurato
nel 1745.
In fondo alla navata d., *ALTARE DI S. GREGORIO
MAGNO: paliotto con tre fini bassorilievi raffiguranti le
cosiddette 30 Messe di S. Gregorio Magno, opera del Capponi
(fine sec. XV); nella predella, *S. Michele arcangelo sottomette
Lucifero, apostoli e i Ss. Antonio abate e Sebastiano, coeve
pitture di scuola umbra; pala (S. Gregorio Magno) di Sisto
Badalocchio (ante 1626). A d. della cappella è la STANZA Di S.
GREGORIO MAGNO, con sedile marmoreo del sec. I a.
Cristo. ALTARE MAGGIORE: Madonna con i Ss. Andrea e
Gregorio di Antonio Balestra (1734); davanti, Ss. Andrea e
Gregorio Magno, statuette in pietra del sec. XV. Dalla navata
sin. si accede alla *CAPPELLA SALVIATI (rivolgersi al
monastero), su disegno di Francesco da Volterra e completata da
Carlo Maderno (1600): alla parete d. Madonna con Bambino,
antico affresco ridipinto nei secoli XIV-XV, che secondo la
tradizione avrebbe parlato a S. Gregorio Magno; alla parete sin.,
90 | R. XV ESQUILINO

*altare marmoreo di Andrea Bregno e aiuti (1469). Al 2° altare


sin. della chiesa, Madonna e santi di Pompeo Batoni (1739).
Per una cancellata a sin. della scalinata della chiesa si
accede a un pittoresco slargo con cipressi (già cimitero dei
Benedettini), in fondo al quale sono tre oratori, sistemati a inizio
'600 dal cardinale Cesare Baronio (quelli di S. Andrea e S.
Barbara appartennero già al complesso fondato da S. Gregorio
Magno) e nel 1992 in restauro (per la visita rivolgersi al
Capitolo della basilica di S. Maria Maggiore). Al centro,
preceduto da un portichetto su quattro colonne antiche, è
l'ORATORIO DI S. ANDREA (secoli IV-XII), restaurato nel
1602-06 dal Baronio e ultimato dal cardinale Scipione Borghese
(1607-08) con la direzione di Flaminio Ponzio. Nell'interno:
*Flagellazione di S. Andrea, affresco del Domenichino (1608); a
sin., *S. Andrea condotto al supplizio, affresco di Guido Reni
(1608); all'altare Madonna e i Ss. Andrea e Gregorio del
Pomarancio (1602-03); ai lati S. Pietro e S. Paolo, affreschi del
Reni; sulla controfacciata, i Ss. Silvia e Gregorio di Giovanni
Lanfranco (1608).
A d. è l'ORATORIO DI S. SILVIA, madre di S, Gregorio
Magno, eretto dal Baronio nel 1602-06 (al 1608 risale il soffitto
ligneo intagliato): nella calotta dell'abside, *Concerto d'angeli,
affresco del Reni e di Sisto Badalocchio (1608-09); all'altare,
statua di S. Silvia di Nicolas Cordìer (1603-04); ai lati Davide e
Isaia, affreschi del Badalocchio (1608-09). A sin. è
l'ORATORIO DI S. BARBARA o del Triclinium, restaurato dal
Baronio (1602-06) e poggiante su resti di un'insula romana con
tabernae (secoli II- III): sulla parete di fondo statua di S.
Gregorio Magno del Cordier (1602); al centro mensa marmorea
del sec. ~III; alle pareti, affreschi (Apparizione della Vergine a
S. Gregorio Magno, S. Agostino davanti a re Edelberto, Partenza
di S. Agostino e degli altri monaci dal monastero del Celio,
Apparizione dell'angelo alla mensa dei poveri, Elezione di Probo
ad abate, S. Gregorio Magno dispensa le elemosine ai pellegrini
e ai poveri) di Antonio Viviani (1602); alla parete di fondo,
monocromi (Ss. Nereo, Achìlleo, Barbara e Flavia Domitilla)
ancora del Viviani.
A d. della chiesa inizia la salita di S. Gregorio, che scende
verso piazza di Porta Capena costeggiando il retro della
R. XV ESQUILINO | 91

"Vignola" (per entrambe v. pag. 440); si piega a sin. in via Valle


delle Camene, che corre tra le alberate propaggini meridionali
del Celio e le terme di Caracalla (v. pag., 472) e che, lasciato a
sin. il cancello neoclassico ex accesso a villa Celimontana (v.
pag. 478), sbocca in viale delle Terme di Caracalla (v. pag. 472).
Sul lato opposto della strada, dietro gli alberi, si riconosce
la chiesa dei Ss. Nereo e Achìlleo (aperta solo in estate ore 10-
12 e 16-18), sorta nei pressi del "titulus fasciolae" (dalla benda
caduta dal piede di S. Pietro mentre era condotto al martirio)
noto dal 377 e ricordata come "titulus Sanctorum Nerei et
Achillei" dal 595. Nell'814 Leone III spostò la chiesa nel sito
attuale e la ornò con mosaici di cui sono tracce nell'arco
trionfale; per il giubileo del 1475 Sisto IV ne ridusse le
dimensioni e sostituì le colonne fra le navate con pilastri
ottagoni, mentre alla vigilia del giubileo del 1600 il cardinale
Cesare Baronio fece rialzare l'altare maggiore e affrescare
l'abside e le navate, conferendo all'edificio l'aspetto attuale.
La facciata a salienti e le finestre tamponate distinguibili
sotto l'intonaco risalgono al restauro di Sisto IV, mentre la
decorazione a motivi architettonici, quasi svanita, è pertinente al
restauro del 1600, come pure il portale fra colonne in granito
sorreggenti un timpano triangolare e la finestra sovrastante. Sui
fianchi della chiesa, dove si aprono finestre tardo-
cinquecentesche, si individuano quelle sistine tamponate e tracce
della muratura della chiesa di Leone III, cui vanno riferite anche
le basse torri ai lati dell'abside.
L'interno, a tre navate con abside semicircolare, è
caratterizzato dai quattrocenteschi pilastri in muratura (insoliti in
un interno), dalla copertura a capriate a vista e dall'esuberante
decorazione, risalente alla sistemazione voluta dal cardinale
Baronio. Interessanti gli affreschi (storie dei martiri) delle
navate, tradizionalmente attribuiti a Nicolò Circignani;
nell'altare a edicola della navata d. Madonna adorata dagli angeli
di Durante Alberti, in quello della nave sin. i Ss. Nereo, Achìlleo
e Domitilla (1600). PRESBITERIO. A d. candelabro marmoreo
del sec. XV, con finissime decorazioni, proveniente da S. Paolo
fuori le Mura; a sin. ambone, con base di porfido proveniente
dalle terme di Caracalla. Il recinto del coro è ricomposto con
pezzi cosmateschi (sec. XII); il ciborio cinquecentesco poggia su
92 | R. XV ESQUILINO

pregevoli colonne; l'altare maggiore è formato da un trittico


cosmatesco. La cattedra episcopale con due leoni stilofori è della
bottega dei Vassalletto (nella nicchia del dossale è, inciso un
brano della XXVIII omelia che Gregorio Magno pronunciò sulla
tomba dei martiri). Il giro dell'abside, affrescata con santi ai lati
della Croce, termina in alto con una bella cornice ricavata da
trabeazione dentellata romana. All'esterno dell'arco absidale,
mosaico con l'Annunciazione, la Trasfigurazione e la Theotokos
(restauro sec. XIX), unico resto della decorazione del tempo di
Leone III.
Poco oltre il viale si allarga nel caotico piazzale Numa
Pompilio, dal quale si dipartono verso S il tratto di viale delle
Terme di Caracalla alla volta della nuova porta Ardeatina (v.
pag. 657) e in direzione NE via Druso, sistemazione di epoca
fascista della medievale via della Ferratella in Laterano.
In angolo con tale strada è la chiesa di S. Sisto Vecchio,
nota già dal sec. IV-V, ricostruita al tempo di Innocenzo III e
donata nel 1219 a S. Domenico, che qui ebbe il suo primo
convento romano (al 1222 risale il monastero); fu in seguito
restaurata più volte (radicale fu l'intervento del 1725-27 di
Filippo Raguzzini), l'ultima nel 1989.
La facciata rettangolare, opera del Raguzzini, presenta
lesene e fasce con oculi polilobati; il campanile romanico, a tre
ordini di trifore, risale all'epoca di Innocenzo III; sul fianco sin.,
portale marmoreo del 1478.
L'interno (suonare al N. 8) a navata unica, anch'esso
restaurato dal Raguzzini, accoglie nella calotta dell'abside (Ss.
Sisto e Lorenzo) e nell'ovale al centro (SS. Trinità) dipinti del
sec. XVI. Resti di un cielo di affreschi (scene del Nuovo
Testamento e dei Vangeli apocrifi; scene delta vita di S.
Caterina; Pentecoste) del sec. XIII-XIV sono sul lato sin. del
presbiterio, nella stretta intercapedine tra l'abside di Innocenzo
III e quella quattrocentesca. Da una porta sul lato il. del
presbiterio si accede a un piccolo ambiente, su una parete del
quale sono una Presentazione al tempio e, probabilmente, un
Cristo fra i dottori (sec. XIV). Lungo una stretta scala che segue
a d. la curvatura dell'abside, santi e martiri a mezzo busto e i Ss.
Domenico e Pietro martire (sec. III; restauro 1990).
R. XV ESQUILINO | 93

Dal lato SE del piazzale, alle spalle di un'edicola circolare


(secoli XII- XIII) eretta forse su un "compitum" che segnava il
punto in cui l'antica Via Latina (v. pag. 757) divergeva
dall'Appia (v. pag. 761), si può proseguire nella visita lungo la
via di Porta S. Sebastiano, pittoresco tracciato suburbano - già
parte della romana Via Appia - fiancheggiato da muri coperti di
verde (si ha qui l'idea di come era Roma prima di divenire
capitale) e oggi ridotto a rapido collegamento con la periferia.
Poco oltre la biforcazione dalla quale si diparte a sin. la
via di Porta Latina (v, pag. 486), si incontra a d., arretrata, la
chiesa di S. Cesareo de Appia, eretta nel sec. vili su un edificio
del li e ricostruita alla fine del XVI, con semplice facciata
preceduta da protiro e divisa da lesene e riquadri in stucco.
Il severo interno ad aula rettangolare (chiuso per restauri)
ha un elegante soffitto a riquadrature dorate su fondo azzurro e
insegne di Clemente VIII. Il recinto presbiteriale, il pergamo, il
paliotto d'altare e la cattedra furono ricomposti con elementi
cosmateschi di finissima fattura al tempo di Clemente VIII,
epoca cui risale il baldacchino. Sopra la cattedra, Madonna con
Bambino, affresco del sec. XV; i mosaici nel catino absidale
(Padre Eterno in gloria) e all'esterno dell'arco trionfale
(Annunciazione) sono su cartoni del Cavalier d'Arpino, cui sono
riferiti i riquadri affrescati sull'attico (storie dei Ss. Cesareo e
Ippolito).
Nel sotterraneo (vi si accede da una scaletta sul lato sin.),
*pavimento musivo in bianco e nero (scene marine; sec. II) che
si stende per tutta l'ampiezza della chiesa.
Lasciata al N. 8 la casina del cardinale Bessarione (metà
sec. XV; chiusa per restauri), che, pur se alterata, conserva
finestre a croce, fregio affrescato e scala con loggia (negli
ambienti interni, arredati con mobili e opere d'arte
rinascimentali, resta parte dell'originaria decorazione ad
affresco), si raggiunge al N. 9 il *sepolcro degli Scipioni
(chiuso per restauri), monumento di eccezionale interesse storico
in quanto vi furono deposti molti esponenti di una delle più
famose famiglie dell'antica Roma, che fu scoperto già nel 1616
ma sistemato nel 1926-29. La fronte principale, su cui si apre
l'ingresso, affacciava su una strada perpendicolare all'Appia ed
era costituta da un prospetto monumentale (quasi del tutto
94 | R. XV ESQUILINO

scomparso) poggiante su un alto basamento, che conserva resti


di più strati di pitture; la facciata si addossava al banco di tufo
nel cui interno vennero scavate sei gallerie (quattro ai lati e due,
in corrispondenza degli assi, incrociantisi ad angolo retto),
mentre lungo le pareti o entro nicchie vennero posti i sarcofagi,
ricavati da un blocco di tufo o formati da lastroni. Le iscrizioni
sul fronte delle tombe hanno consentito l'identificazione dei
defunti e permesso di stabilire che le deposizioni iniziarono ai
primi del sec. ~III a. C. con il sarcofago di Lucio Cornelio
Scipione Barbato (pianta, ~l; l'originale è ai Musei Vaticani),
console nel 298 a. C., con ricco fregio dorico sulla cassa e
pulvini alle estremità del coperchio; lo precedono,
fronteggiandosi, i sarcofagi di Lucio Cornelio Scipione (2),
figlio di Barbato e console nel 259 a. C., e di un figlio di
Scipione Ispallo (3). All'estremità della galleria sin. è una
calcara medievale dove venivano calcinati i marmi. Per
consentire altre deposizioni venne aperta, poco dopo il 150 a. C.
e con accesso indipendente a d. di quello principale, un'altra
galleria, che accoglie, tra gli altri, il sarcofago per due salme di
Scipione Ispano (4), pretore nel 139 a. C. (iscrizione in distici
elegiaci). Su parte di questo secondo ipogeo venne fondata nel
sec. III una casa in laterizio a tre piani, visibile dall'esterno, con
resti di pavimento a mosaico e di decorazione pittorica; a d. di
essa è un breve braccio pertinente a una catacomba cristiana,
mentre opposto a questa, per una scaletta, si accede invece a un
colombario rettangolare (sec. I a. C.- I d. C.), le cui pareti e la
cui copertura erano traforate da piccoli loculi per le urne dei
defunti.
Dall'adiacente parco degli Scipioni, ricavato da Raffaele
De Vico (1929) nella vigna Stantelli, si accede al colombario di
Pomponio Hylas (per la visita rivolgersi alla X ripartizione del
comune), scoperto nel 1831 e così, chiamato da uno dei
fondatori ricordati nella decorazione a mosaico di un'elegante
edicola opposta all'antica scaletta di accesso alla tomba; nella
cella, con volta dipinta a motivi vegetali, sono numerosi epitaffi
di età giulio claudia e flavia.
Oltre la villa Appia delle Sirene (N. 12), eretta nel '500
sui resti di un ipogeo romano e del supposto tempio delle
Tempeste (sec. III a. C.?), e la ex vigna Codini già Savelli (N.
R. XV ESQUILINO | 95

13), nella quale a metà '800 vennero scoperti alcuni colombari


risalenti all'età di Augusto e Tiberio (per la visita rivolgersi alla
Soprintendenza archeologica di Roma), che si caratterizzano per
il massimo sfruttamento dello spazio e conservano tracce della
decorazione pittorica, un pavimento a mosaico e numerose
epigrafi, si apre, preceduta dall'arco di Druso, la porta S.
Sebastiano (v. pag. 656), da cui inizia la Via Appia Antica (v.
pag. 761).
Percorrendo invece la via di Porta Latina, che si stacca da
via di Porta S. Sebastiano poco prima della chiesa di S. Cesareo
de Appia e che ricalcando i) segmento iniziale dell'antica Via
Latina (v. pag. 757) corre anch'essa tra muri di recinzione di
ville, si può visitare la chiesa di *S. Giovanni a Porta Latina,
sorta nel sec. v ma più volte trasformata fino ai restauri che
hanno ripristinato le forme medievali. Fu fondata nel V secolo o
alla fine del IV, ricostruita certamente nel 720 e restaurata nel
1191, con l'aggiunta di un nuovo bel campanile a sei ordini di
trifore
La facciata, aperta in alto da tre finestre centinate, è
preceduta da un portico, a cinque arcate su colonne in marmo e
granito con capitelli ionici, che ospita frammenti romani e
paleocristiani e resti di affreschi medievali; a sin. si leva lo
slanciato campanile romanico.
L'interno, basilicale, è a tre navate divise da antiche
colonne di marmi diversi con capitelli ionici.
La navata mediana è decorata da un cielo di dipinti
(scene dell'Antico e del Nuovo Testamento) risalente c. al 1190;
nuovo ciclo di affreschi con ben 46 scene bibliche sia vetero che
neotestamentarie. L'importante ciclo, recentemente restaurato,
rappresenta, insieme al salone gotico nel Monastero dei Santi
Quattro Coronati, uno degli esempi maggiori di pittura
medioevale nella Capitale realizzati precedentemente
all'importante periodo del Cavallini e della sua Scuola Romana.

il pavimento del presbiterio, affrescato (simboli degli


evangelisti e, in duplice teoria, i 24 Seniori dell'Apocalisse) nel
sec. XII, è in opus sectile con marini colorati (ante sec. XII). e il
96 | R. XV ESQUILINO

XVII secolo fu arricchita da un nuovo affresco absidale su


cartone del Cavalier d'Arpino.
Un ulteriore rifacimento, che la riportò alle antiche
caratteristiche medievali, si ebbe nel 1940-41, quando la basilica
fu assegnata ai Rosminiani, che oggi nel plesso conventuale
adiacente hanno la curia generalizia dove risiede il moderatore
generale della congregazione e lo studentato internazionale.

Secondo una notizia raccolta da Tertulliano sulla fine del


II secolo dopo Cristo, l'evangelista Giovanni avrebbe subito a
Roma il martirio con l'immersione in una caldaia di olio bollente
e, uscitone illeso, sarebbe stato relegato a Patmos.
 
   Il luogo del martirio viene localizzato nei pressi della
Porta Latina. Questa notizia è riferita dai martirologi, a
cominciare dal secolo VII, quando già nella vicina basilica si
celebrava la festa in onore del Martire.
  La tradizione che la costruzione della basilica risalga al
pontificato di Gelasio (492-496) trova conferma nelle tegole del
vecchio tetto, di cui una è conservata come leggìo, che portano
stampigli dell'epoca di Teodorico (495-526).   Nell'ambone si
trova una tegola del vecchio tetto che porta uno stampiglio
dell'epoca di Teodorico
La basilica, restaurata nel secolo VIII ad opera di Adriano
I, subì un parziale rifacimento sulla fine del secolo XII, e fu
riconsacrata da Celestino III nel 1190.
 
   Un ulteriore ammodernamento "baroccheggiante" si
ebbe nei secolo XVI-XVII, ma la basilica fu riportata alla
primitiva semplicità nel 1940-41, ad opera dei Padri Rosminiani,
che ivi si stabilirono e apersero nel 1938 il Collegio Missionario
Antonio Rosmini, nell'edificio adiacente alla chiesa.
La chiesa è preceduta da un portico con quattro
colonne sulle quali posano cinque arcate; la porta
d'ingresso è semplice, senza sguincio, con una cornice a
mosaico in porfido rosso e verde.
 
R. XV ESQUILINO | 97

   Questo portico ha conservato, nel succedersi delle


vicende, il livello primitivo.
Del tempo di Adriano I è la margella del pozzo,
ornata di una rozza decorazione formata da due serie
sovrapposte di racemi che corrono orizzontalmente per
tutto il corpo del pozzo.
 
   Sull'orlo, tutto intorno, un'iscrizione latina,
certamente di epoca posteriore, che riproduce quasi per
intero la formula battesimale:
   + IN NOMINE PAT[RIS] ET FILII ET
      SPI [RITUS SANT] I
     "In nome del Padre, del Figlio
        e dello Spirito Santo";
e le parole del profeta Isaia:
   + OMN[E]S SITIE [NTES VENITE AD AQUAS]
     "O voi tutti che avete sete venite alle acque"; 
e contrassegnata dal nome dell'incisore:
    + EGO STEFANUS
      "Io Stefano".

L'interno è diviso in tre La navata centrale è decorata


navate da due file di cinque da una serie di circa 50 figurazioni
colonne ciascuna di marmo che rappresentano fatti dell' Antico e
diverso, sulle quali poggiano archi del Nuovo Testamento, gli uni
semicircolari. Le due colonne sovrastanti gli altri: dalla creazione
prossime al presbiterio sono di del mondo alla gloria apocalittica
pavonazzetto con profonde della nuova Gerusalemme.
scanalature; la terza coppia di  
cipollino, e le altre di granito Gli affreschi sono opera di più
grigio e rosso, tutte con capitelli di autori che avrebbero lavorato
ordine ionico. insieme sotto un unico maestro.

  Il vano centrale termina in una abside semicircolare che


all'esterno ha la forma di mezzo esagono, su ogni lato del quale
98 | R. XV ESQUILINO

si apre una vasta finestra a tutto sesto chiusa da lastre di onice


giallo-miele che diffondono nella chiesa una luce dorata.
Crocifisso ligneo con Madonna e S. Giovanni di scuola artigiana
della Val Gardena.
  Avanti e sui lati dell'altare sono conservati avanzi di un
pavimento "cosmatesco", a disegno geometrico. Il gradino del
presbiterio, ha decorazione a testine e racemi. Inserito poi nella
predella dell'altare spicca in lettere capitali romane l'antico
"titolo" della basilica, ritrovato durante gli ultimi restauri: TIT.
S. IOANNIS ANTE PORIAM LA [TINAM].
 
   La semplicità geometrica dell'ornato, ove al marmo
bianco si alterna porfido rosso e verde, fa pensare ad un'opera
anteriore al dodicesimo secolo.

Poco prima della porta Latina è l'oratorio di S. Giovanni


in Oleo, forse un "martyrium" sorto nel sec. v nel luogo dove a
san Giovanni Evangelista sarebbe stato immerso in una caldaia
di olio bollente per ordine dell'imperatore romano Domiziano
(92), uscendone illeso. L'anziano apostolo avrebbe resistito così
a lungo senza essere bruciato, che gli astanti, convinti di avere di
fronte un potente mago, lo avrebbero liberato, per poi inviarlo in
esilio a Patmos, dove avrebbe scritto l'Apocalisse di Giovanni.
Sul luogo in cui secondo un'antica tradizione avvenne tale
episodio furono erette in epoca paleocristiana, intorno al V
secolo, la basilica di San Giovanni a Porta Latina ed un
martiryum di forma circolare conosciuto con il nome di San
Giovanni in Oleo cioè "nell'olio" con riferimento al supplizio del
santo.
La struttura attuale è una cappella rinascimentale
realizzata su commissione del prelato francese Benoît Adam,
ricordato in una iscrizione sul portale occidentale (1509). Il
progetto è genericamente attribuito a Donato Bramante o ad
Antonio da Sangallo il Giovane senza elementi documentali. La
piccola costruzione ha una pianta ottagonale con lesene doriche
piegate sugli angoli che sorreggono una trabeazione molto
semplice.
R. XV ESQUILINO | 99

Fu poi restaurata da Francesco Borromini (1657), su


commissione del cardinale Francesco Paolucci che intendeva
trasformarlo in cappella di famiglia. Borromini riedificò o
modificò la copertura, costituita da una cupola a padiglione con
costoloni, sovrapponendovi un tamburo con un alto fregio a
stucco, una copertura conica ed un fastigio terminale in stucco
con foglie di palma e gigli, globo di rose (emblema del
committente) e croce ed aggiungendo alla trabeazione esistente
un'alta fascia decorata con festoni di rose e palme.
Contemporaneamente al restauro di Borromini, le pareti del
piccolo sacello furono adornate da stucchi e affrescate da
Lazzaro Baldi con la raffigurazione di storie dell'evangelista tra
cui la Visione di San Giovanni ed il tentato martirio.
http://www.bollettinodiarcheologiaonline.beniculturali.it/
bollettino.php

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DETALLE Y CON ORDEN ALFABETICO
100 | R. XV ESQUILINO

1.12 L'Aventino e il Testaccio.

Il colle Aventino ebbe nella prima antichità carattere


popolare, come testimoniano le secessioni della plebe, la lex
Icilia (456 a.C.) che permise ai plebei di costruirvi case da
trasmettere in proprietà e il fatto che le popolazioni laziali
avessero nel tempio di Diana, qui eretto da Servio Tullio, la sede
della propria confederazione. Tale sorta di extraterritorialità lo
escluse fino all'imperatore Claudio dal pomerio, benché il
recinto serviano lo includesse già dal IV secolo a. C. e vi
sorgessero i templi dedicati a Minerva, Mercurio, Giunone
Regina, Cerere, Libertas, Vertumno
Inglobato con Augusto nella XIII regione, in età
imperiale, con l'allontanamento del porto e l'inclusione nel
pomerio, vide sostituirsi al popolo le famiglie patrizie - fra cui
Traiano prima di diventare imperatore - che vi ebbero terme e
sontuose dimore: questo spiega perché più accanite che altrove
furono qui le distruzioni dei Goti di Alarico nel 410.
La valletta in cui correva il vicus Piscinae Publicae lo
separava dal "piccolo Aventino", cinto in parte dalle mura
Serviane che si aprivano a est nella porta Nevia; posto dalla
suddivisione augustea nella XII regione col nome di Piscina
Publica (da un bacino artificiale usato come bagno pubblico,
funzione poi mutuata dalle terme di Caracalla), il "piccolo
Aventino" ospitava sulle pendici il santuario della Bona Dea
Subsaxana, mentre nei pressi di S, Saba era la caserma della IV
coorte dei "vigiles" e, nelle vicinanze, l'abitazione privata di
Adriano.
Nel Medioevo tutta la zona, sede di ordini monastici e di
insediamenti fortificati, fu destinata per lo più a usi agricoli, e le
successive vicende edilizie, fra cui, assai significativo,
l'intervento di Piranesi al complesso dei Cavalieri di Malta,
riguardarono modifiche e rifacimenti dell'esistente.
L'edificazione, iniziò ai primi del Novecento con l'isolato
quartiere dell'Istituto Case Popolari a San Saba, ma solo dopo il
R. XV ESQUILINO | 101

1931 la zona si andò trasformando nell'attuale quartiere


residenziale, sovente a spese del patrimonio archeologico che
solo sporadicamente ha potuto salvarsi; ne restano tracce sotto le
sedi ecclesiastiche e le abitazioni, e nella toponomastica, spesso
basata però su imprecise identificazioni.
L'itinerario, che si snoda in una zona di Roma ormai
centrale ma silenziosa e poco trafficata, comprende la parte del
rione Ripa includente 1'Aventino maggiore" e il rione S. Saba
(l'"Aventino minore"), e tocca alcuni tra i più importanti "tituli"
cristiani (S. Sabina, S. Prisca, S. Saba e S. Balbina), culminando
nel grandioso complesso romano delle terme di Caracalla; una
deviazione permette invece di addentrarsi nel 'romanesco' rione
Testaccio.
La visita prende avvio da piazzale Ugo La Malfa, che
offre un superbo colpo d'occhio sulle rovine del Palatino (la
Domus Augustana) e il Circo Massimo. Vi si leva il
monumento a Giuseppe Mazzini (Ettore Ferrari, 1929), qui
collocato nel 1949 nel centenario della Repubblica romana,
mentre l'area circostante, sistemata nel 1935 da Antonio Munoz,
è occupata dal Roseto comunale (ingresso ai numeri 6-7 di via
di Valle Murcia). Dal piazzale si diparte verso O via di Valle
Murcia che, oltre il olivo dei Publicii (il clivus Publicii, prima
strada lastricata di Roma; 289 a. C.), continua in via di S.
Sabina, sul tracciato del vicus Armilustri (nell'Armilustrium
l'esercito romano purificava le armi al ritorno dalle campagne
militari); l'alto muro in laterizio a d. chiude il parco Savello, più
noto come "giardino degli aranci", trasformazione (Raffaele De
Vico, 1932) della fortezza eretta da Alberico II nel sec. X,
ereditata da Ottone III Savelli dopo il 1000 e appartenuta poi ai
Domenicani di S. Sabina: panorama.
Al termine della salita la via si apre a d. in piazza Pietro
d'Illiria, creata nel 1614 aprendo un varco nella fortezza dei
Savelli (sul muro a d., fontana con vasca termale antica in
granito sormontata da un mascherone, su disegno di Giacomo
Della Porta): su essa prospetta il quattrocentesco portico laterale,
a tre arcate su colonne antiche dai bei capitelli corinzi, di *S.
Sabina, il tipo più perfetto di basilica cristiana del sec. V.
S. Sabina. Fondata nel 425 da Pietro d'Illiria su un titulus
Sabinae sorto probabilmente nella casa di un'omonima matrona
102 | R. XV ESQUILINO

identificata con la santa umbra, fu ultimata da Sisto III,


restaurata da Leone III, arricchita da Eugenio II (824), inglobata
nel sec. X nei bastioni imperiali presidiati dai Crescenzi e nel
1222 ceduta a S. Domenico da Onorio III (dell'epoca sono il
campanile, mozzato nel '600, e il chiostro).
Dopo i restauri del 1441 e del 1481, nel 1587 Domenico
Fontana, per incarico di Sisto V, e nel 1643 Francesco
Borromini alterarono profondamente l'interno; in due riprese
(1914-19 e 1936-37) Antonio Munoz, con la sistematica
eliminazione delle sovrapposizioni del Fontana, riportò la chiesa
alle forme originarie.
Dal portico su pilastri si passa a sin. nell'ATRIO, ad
arcate sostenute da colonne antiche (quattro in marmo giallo
scanalate a spirale e altrettante in granito), dove sono raccolti
materiali di spoglio della chiesa provenienti dagli scavi effettuati
durante i lavori di ripristino della stessa: transenne originali
delle finestre, sarcofagi di età imperiale e cristiani e, sul fondo,
monumentale statua di S. Rosa da Lima (1668). Il PORTALE
MAGGIORE, dalla bella cornice classica in marmo, è dotato di
preziosi battenti in cipresso della seconda metà del sec. V: una
splendida cornice traforata a racemi e animali lo spartisce in 28
riquadri a rilievo (10 perduti), disposti secondo un restauro del
1836, con scene del Vecchio e del Nuovo Testamento illustranti
il parallelismo tra Mosè (la Legge) e Cristo (il Vangelo).
Procedendo dall'alto in basso e da sin.: 1a fila: Crocifissione,
con occhi aperti e senza nimbo (una delle più antiche
rappresentazioni del genere), Moltiplicazione dei pani e dei
pesci, Guarigione del cieco nato. Nozze di Cana, Cristo
rimprovera Tommaso, vita di Mosè (tre episodi), Cristo
condannato da Pilato 2a fila: L'angelo e le donne al sepolcro,
Mosè e gli Ebrei nel deserto (quattro episodi), Cristo risorto
appare alle due Marie, Scena d'acclamazione, Epifania; 3a fila:
Ascensione, Cristo preannuncia la negazione di Pietro, Mosè e
l'esodo dall'Egitto (tre episodi); 4a fila: Cristo sulla via di
Emmaus, Trionfo di Cristo e della Chiesa, Abacuc vota verso
Daniele, Ascensione di Elia, Cristo dinnanzi a Caifa.
L’interno, solenne e luminosissimo, a tre navate di
classiche proporzioni divise da 24 colonne corinzie sorreggenti
archi - forse per la prima volta tra le basiliche romane - richiama
R. XV ESQUILINO | 103

i prototipi ravennati. Dei ricchissimi mosaici che decoravano la


chiesa rimane, sopra la porta, un frammento con *iscrizione
metrica a lettere d'oro in capitale monumentale filocaliano,
attribuita a Paolino da Nola, con il ricordo di Pietro d'Illiria,
costruttore della chiesa, di Celestino I, sotto il cui pontificato fu
edificata, e del concilio di Efeso (431); due figure femminili
simboleggiano a d. l'Ecclesia ex gentibus (dì origine pagana) e a
sin. l'Ecclesia ex circumcisione (di origine ebraica).
NAVATA CENTRALE (soffitto ligneo del 1936). Sopra
e ai lati delle arcate, *fregio pregevolissimo in opus sectile (sec.
V-VI), a specchi rossi e verdi. Nel pavimento, lastra tombale di
fra' Munoz di Zamora (m. 1300; 3), generale dei Domenicani.
La schola cantorum venne ricomposta nel 1936 con pezzi dal
sec. V al IX, come pure, nell'abside, la cattedra episcopale; nel
catino, Cristo assiso sul monte, circondato dagli apostoli,
affresco di Taddeo Zuccari (1560), restaurato da Vincenzo
Camuccini nel 1836, che ripete il tema dell'antico mosaico.
NAVATA DESTRA. Lungo le pareti, tracce di pitture dei
secoli V e IX e, incassata nel muro, colonna del preesistente
edificio. Cappella di S. Giacinto, affrescata da Federico Zuccari
nella volta (Trionfo) e nelle pareti (episodi della vita del santo);
all'altare, tela di Lavinia Fontana (Vergine e S. Giacinto, 1600),
prototipo per l'iconografia del santo. Monumento funebre del
cardinale Auxia (1484; 8) di scuola di Andrea Bregno. In fondo
alla navata, una scala (normalmente chiusa) scende a un edificio
in laterizio (sec. III) e agli avanzi di un altro a colonne di età
repubblicana.
NAVATA SINISTRA. Cappella d'Elci o di S. Caterina, su
architettura di G.B. Contini (1671; 9): Madonna del Rosario,
capolavoro del Sassoferrato (1643); nei pennacchi, affreschi con
episodi delta vita di S. Caterina; nella volta, Trionfo della santa
di Giovanni Odazzi.
Annesso alla chiesa è il CONVENTO (non visitabile),
fondato da S. Domenico, dove insegnò S. Tommaso d'Aquino;
ricostruito nel 1936-39, conserva la sala capitolare, il chiostro
del sec. XIII (puteale moderno), la cella dei santo e la camera di
S. Pio V, trasformata in cappella. Nell'area occupata dalla chiesa
sono stati scoperti altri cospicui resti antichi, tra cui un tratto,
parallelo al Tevere e con due fasi sovrapposte, delle mura
104 | R. XV ESQUILINO

Serviane. Nel sec. I a. C. si addossarono all'interno del recinto


murario abitazioni estesesi nel sec. I d. C. anche all'esterno; nel
II alcuni ambienti furono adattati a luogo di culto di Iside (tracce
di affreschi e graffiti degli adepti), trasformati successivamente
in cisterne e nel x inglobati nelle fondazioni della fortezza dei
Savelli.
Di nuovo in via di S. Sabina, la si percorre tra villini
immersi nel verde fino alla chiesa dei Ss. Bonifacio e Alessio,
più nota come S. Alessio.
S. Alessio, testimoniata dal sec. VIII sul luogo di un
precedente edificio intitolato a S. Bonifacio; ricostruita nel 1217
da Onorio III e restaurata nel 1582, fu rinnovata nel 1750 da
Tommaso De Marchis, che occultò i resti antichi manomettendo
i mosaici pavimentali, e restaurata nel 1852-60 dai Somaschi,
che l'officiano dal 1846.
Il portone al N. 23 dà accesso a un quadriportico, che
ricalca l'impianto medievale (a d., frammento di guglia gotica
con i Ss. Bonifacio e Alessio) sul quale si apre la
neocinquecentesca facciata del De Marchis (nel portico a d.,
statua in gesso di Benedetto XIII, 1750); a d. di questa si leva la
duecentesca torre campanaria a cinque ordini.
Un portale cosmatesco del tempo di Onorio III immette
nell'interno, a tre navate divise da paraste binate corinzie e con
volta a botte. Nella NAVATA DESTRA, Monumento funebre di
Eleonora Boncompagni Borghese (m. 1693) su disegno di G.B.
Contini. Nel TRANSETTO DESTRO, cappella di Carlo IV di
Spagna, con Madonna duecentesca che si ritiene portata
dall'Oriente da S. Alessio; nel pavimento antistante alla cappella,
lastra tombale di Pietro Savelli (m. 1288).
Sull' ALTARE MAGGIORE, ciborio a cupola del De
Marchis. L'ABSIDE ospita due colonnine del tempo di Onorio
III (quella d. è di Jacopo di Lorenzo di Cosma, che ne scolpì 19
in tutto). La sottostante CRIPTA romanica (normalmente
chiusa), unica a Roma, con altare a baldacchino che racchiude le
reliquie di S. Tommaso di Canterbury, conserva pareti decorate
da affreschi con Agnus Dei e simboli degli evangelisti (secoli
XII-XIII); la colonna sottostante è ritenuta quella del martirio di
S. Sebastiano.
R. XV ESQUILINO | 105

Nella NAVATA SINISTRA, al 2° altare è S. Girolamo


Emiliani che presenta orfani alla Vergine di Jean Francois De
Troy; opposto a questo è un pozzo ottagono ritenuto della casa
di S. Alessio, mentre in fondo alla navata è la scenografica
macchina barocca, raffigurante la Scala Santa e il titolare S.
Alessio, in stucco e legno, di Andrea Bergondi.
Subito oltre l'ingresso al convento (N. 2; non visitabile),
esistente dal sec. X ma ricostruito nel '700 e nel 1813 acquistato
da Carlo IV di Spagna come residenza estiva (è sede dal 1941
dell'Istituto di Studi romani, la cui biblioteca specializzata
riunisce c. 21000 volumi), la via di S. Sabina sbocca nella piazza
che prende nome dal *complesso dell'ordine dei Cavalieri di
Malta, sorto nel 939 come monastero benedettino (lo resse
Oddone di Cluny) e passato a metà sec. XII ai Templari e quindi
nel 1312 ai Gerosolimitani, che alla fine del '300 vi posero il
priorato; il complesso quattrocentesco, restaurato dopo il 1568 e
alla fine del '600 (il cardinale Benedetto Pamphilj fece allora
erigere la Coffee House), deve l'aspetto attuale all'intervento di
G.B. Piranesi, che qui realizzò nel 1764-66, su incarico del
cardinale G.B. Rezzonico (lapide), un capolavoro di
'microurbanistica' neoclassica in quella che costituisce, con la
chiesa dell'ordine, la sua unica opera 'costruita': l'appartato
invaso è cinto da un muro a specchiature scandite da obelischi,
edicole e stele con emblemi navali e religiosi dell'ordine e
araldici dei Rezzonico; motivi analoghi sono nei fregi del portale
al N. 3, in un prospetto con quattro finestre cieche (il foro nel
portale inquadra la celeberrima *veduta della cupola di S.
Pietro).
Il complesso, cui si accede dal N. 4 (per la visita, non
effettuabile in agosto, chiedere il permesso al Sovrano Ordine di
Malta, via dei Condotti N. 68), accoglie la chiesa di *S. Maria
del Priorato, sulla cui facciata cinquecentista (a ordine unico
spartito da lesene scanalate con ricchi capitelli, portale
sormontato da un oculo e timpano triangolare) Piranesi pose una
ricca decorazione in stucco di emblemi dell'ordine e armi dei
Rezzonico (il fastigio sopra il timpano fu distrutto dai
cannoneggiamenti francesi del 1849).
Nell'interno, a navata unica con cappelle laterali, il
linguaggio settecentesco fonde la matrice borrominiana con
106 | R. XV ESQUILINO

l'articolazione piranesiana soprattutto nell'abside, intercapedine


di luce contro cui si staglia in penombra l'altare maggiore,
bifronte manifesto della transizione al neoclassicismo. La volta è
decorata da stucchi, con al centro la croce dell'ordine di Malta.
Alle pareti, sopra la trabeazione, busti di apostoli; a d., sepolcro
di Baldassare Spinelli, che utilizza in parte un sarcofago
romano; cenotafio di G. B. Piranesi di Giuseppe Angelini
(1780). All'altare maggiore, Gloria di S. Basilio, gruppo
realizzato da Tommaso Righi su disegno di Piranesi; nella volta
del lanternino, medaglioni in stucco con scene della vita del
Battista. Trono conventuale del Gran Maestro dell'ordine;
sarcofago scanalato utilizzato come sepolcro del Gran Maestro
Riccardo Caracciolo; altarolo del sec. IX (collocato nel 1765);
monumento funerario del cardinale Gioacchino Ferdinando
Portocarrero (m. 1760) su disegno di Luigi Salimei.
Piranesi ristrutturò anche il giardino, che conserva
materiali archeologici e una vera da pozzo con la data 1244, e la
villa, dove, al secondo piano, sono la sala con i ritratti dei Gran
Maestri e, in altro ambiente, una Vergine col Bambino e S.
Basilio di Andrea Sacchi, già sull'altare della chiesa prima del
rinnovamento settecentesco.
Dal lato SE della piazza si scende per via di Porta
Lavernale, séguito del "vicus Armilustri" (v. pag. 462),
incontrando subito a d. il viale di accesso alla chiesa, in 'stile'
romanico-lombardo, di S. Anselmo (Ildebrando di Hemptinne e
Francesco Vespignani, 1893-1900), con facciata a finta galleria
sormontata da tre monofore e interno, di sobria imitazione
romanico-paleocristiana, con soffitto a capriate e bella
decorazione a mosaico delle absidi; nel monastero, *mosaico
con scene del mito di Orfeo (sec II-III) dalla casa di Lucilia
Pactumeia (resti nei sotterranei). Nei retrostanti giardini (non
visitabili) si trova il bastione della Colonnella, eretto da
Giovanni Battista e Antonio da Sangallo il Giovane su incarico
di Paolo III.
Si giunge in piazza di S. Anselmo, dalla quale, per le vie
di S. Domenico, Latino Malabranca e del Tempio di Diana - che
insistono su resti romani (gli unici visibili sono sotto il villino al
N. 4 di largo Arrigo VII, dove si conservano, affacciati su un
criptoportico, tre ambienti di una domus del sec. I a. C., con
R. XV ESQUILINO | 107

decorazioni in stucco e pitture del IV stile pompeiano,


attraversati da fondazioni riferibili alle Terme Deciane; per la
visita rivolgersi alla Soprintendenza archeologica di Roma) e
che attraversano una zona a villini realizzati dopo che il piano
regolatore del 1931 decretò l'edificabilità del colle - si raggiunge
la piazza di S. Prisca, dove, appartata nell'angolo NE, si pone la
chiesa di S. Prisca, tradizionalmente casa di Aquila e Priscilla,
genitori della martire Prisca decapitata sotto l'imperatore
Claudio. Primo documento di culto è un oratorio del sec. III
assorbito dalla chiesa nel v, epoca cui risale anche la prima
menzione di un "titulus Priscae"; dopo i restauri di Adriano I nel
772 (decorazioni nei sottarchi della sagrestia e cornice
dell'abside a mensole con rilievi) e di Pasquale II, fu accorciata
da Calisto III nel 1456 in seguito al crollo delle prime tre
campate. Nel sec. XVII Carlo Lambardi rifece la facciata e
allargò la piazza, nel 1728 Clemente XIII rimaneggiò l'interno,
mentre i restauri degli Agostiniani titolari del 1935 rimisero in
luce le tre arcate, oggi finestroni della sagrestia. La facciata
tardo-manieristica, larga quanto la navata centrale, ha quattro
lesene su alto stilobate e un portale adorno di colonne romane in
granito. L'interno basilicale (se chiuso, suonare al N. 11) è
scandito da sette colonne ioniche per parte inglobate nei pilastri
seicenteschi. Alle pareti della NAVATA CENTRALE, santi e
angeli con gli strumenti della Passione di Anastasio Fontebuoni
(sec. XVII). Sull'altare maggiore, *Battesimo di S. Prisca,
capolavoro del Passignano (c. 1600); alle pareti, storie del
martirio della santa, affreschi del Fontebuoni. NAVATA
DESTRA. Nel battistero (1948), il fonte è costituito da un
capitello di età degli Antonini; la copertura in bronzo (Battesimo
di Cristo, 1947) è di Antonio Biggi. Sulla parete, Estasi di S.
Rita, tela del sec. XVII. NAVATA SINISTRA. Sopra la porta
del campanile, Annunciazione, affresco del sec.
XV. In SAGRESTIA, Immacolata e angeli attribuita a
Giovanni Odazzi. All'inizio della navata d. è l'accesso al mitreo
di S. Prisca (per la visita rivolgersi alla Soprintendenza
archeologica di Roma), parte di un complesso scavato negli anni
1934-66 e costituito da una casa del sec. I con quadriportico, da
un ninfeo absidato di età traianea, da un edificio a due navate del
sec. II entro cui era il "titulus" originario e da alcuni ambienti
adattati verso la fine del sec. II al culto di Mitra. Dal ninfeo, già
108 | R. XV ESQUILINO

allestito ad antiquarium (ora in riordinamento), si perviene alla


cripta della chiesa (secoli IX-X), con pianta a "T" e affreschi
(scene della vita di S. Pietro, c. 1600) del Fontebuoni; nell'altare,
reliquie di S. Prisca.
Dal vestibolo del mitreo, dov'è ben conservato l'angolo
per l'uccisione delle vittime, si passa alla cella del santuario, con
le nicchie per le statue rituali: in fondo è l'edicola con il gruppo
di Mitra che uccide il Toro e Saturno sdraiato; gli affreschi sulle
pareti raffigurano a d. i Sette gradi d'iniziazione e a sin. la
Processione in onore del dio Mitra e del Sole. Sulla sin. sono
1'"Apparatorium" con resti di anfore, il "Caelus", con la vasca
per l'acqua lustrale, e la stanza delle iniziazioni.
Da piazza di S. Prisca l'omonima via scende nell'allungata
piazza Albania, intitolata in precedenza alla porta Raudusculana
che qui si apriva nelle mura Serviane; della cinta resta,
all'angolo con via di S. Anselmo, un *tratto, lungo m 42, che
conserva 12 assise di blocchi di tufo e l'arco di una camera per
artiglierie, mentre poco oltre è un secondo tratto, lungo m 43 e
conservato per 12 filari) e da cui usciva il vicus Piscinae
Publicae (l'odierno, viale Aventino): sul fondo a d. si individua
il monumento a Giorgio Castriota Scanderbeg (Romano
Romanelli, 1940). Dalla piazza, scendendo a d. dei monumento
lungo l'alberato viale Gelsomini, si può visitare il popolare rione
Testaccio, istituito nel 1921 scorporandolo dal rione Ripa.

Il quartiere, cui la continuità d'uso come zona mercantile


in virtù della presenza del Tevere ha conservato una fisionomia
peculiare, è racchiuso da tre elementi (l'Aventino, le mura
Aureliane e l'ansa del fiume) che formano un quadrilatero quasi
regolare e pianeggiante, salvo la collina artificiale, sorta
dall'accumulo degli scarti dei vasi di coccio (textae), da cui
deriva il nome. Il porto, anticamente collocato nell'ansa a E
dell'Isola Tiberina, fu trasferito qui nel sec. II a. C. e in relazione
con esso sorsero l'Emporium, grande banchina sul fiume, la
retrostante Porticus Aemilia e numerosi magazzini (gli horrea
Sulpicia, Galliana, Lolliana ecc.); i cocci, il cui accumulo
R. XV ESQUILINO | 109

obbedì a regole precise, coprono un arco di tempo che i


frammenti stessi hanno fatto datare fra il 140 a.C. e il 251 d.C.,
quando lo sviluppo degli horrea nel porto di Ostia esaurì il ruolo
annonario dello scalo tiberino e le attrezzature divennero
depositi di marmi (da cui il nome Marmorata di uno degli assi
del quartiere). La mancanza di abitazioni e le invasioni
barbariche conferirono alla piana un aspetto desolato: fino al
'700 essa fu teatro di spettacoli popolari (l'area era nota anche
come "prati del popolo romano") e di commerci, grazie alla
vicinanza dello scalo di Ripa Grande e alle cantine, ricavate ai
piedi del Monte dei Cocci e presto convertite in osterie a
conferma della vocazione ludica del luogo (numerose vedute
testimoniano un paesaggio a vigne e orti punteggiati di ruderi).
Il piano regolatore del 1873 destinò il quartiere ad "arti
clamorose, fabbricati per abitazioni di operai e grandi officine",
modificandone l'aspetto rimasto immutato per 1500 anni; anche
se gli insediamenti industriali si limitarono al Mattatoio, che
sostituì quello presso porta del Popolo, il Testaccio divenne quel
'quartiere operaio' che nella sua omogeneità ha conservato un
raro equilibrio e la cui vivibilità ha attirato di recente nuovi
abitanti. L'edificazione per ceti popolari, poco remunerativa, fu
presto abbandonata dai privati, che a fine '800 realizzarono un
nucleo di abitazioni intorno a piazza Mastro Giorgio (oggi
piazza Testaccio), e a essi si sostituì l'ICP, che fra il 1905 e il
1930 completò l'assetto edilizio della zona; l'attuale tessuto a
scacchiera ricalca in parte l'orientamento di quello antico e i
numerosi rinvenimenti archeologici, quando non cancellati dai
nuovi fabbricati, sono inglobati nelle corti e negli spazi di
risulta.
Il viale Gelsomini costeggia a sin. il parco della
Resistenza dell'8 settembre (Raffaele De Vico, 1939), all'interno
del quale si intravede l'Ufficio postale (Adalberto Libera e
Mario De Renzi 1933-35), una delle più incisive testimonianze
dell'architettura razionalista a Roma, con pianta a "U" occupata
al centro dal salone per il pubblico coperto da tamburo vetrato. Il
fronte del palazzo affaccia su via Marmorata, dove si riconosce
la curva d'angolo della caserma dei Vigili del Fuoco (Vincenzo
Fasolo, 1928-30), in cui il rivestimento a bugnato rustico di tufo
110 | R. XV ESQUILINO

dell'esterno sottolinea l'eclettica combinazione di stili e di


funzioni, culminante nell'alta torre.
Percorrendo il segmento di sin. della via e, prima della
cinta muraria, girando a d. in via Caio Cestio, si raggiunge il
Cimitero acattolico, istituito per gli stranieri cui era vietata, per
la diversa fede religiosa, la sepoltura nei cimiteri cattolici; il
luogo, la cui origine è datata dalla tomba più antica (1738), è di
indubbio fascino per la presenza dei ruderi e per la vegetazione,
che lo rese particolarmente caro agli artisti romantici (vi
riposano John Keats e Percy Shelley).
Il tratto di d. di via Marmorata annovera invece: al N. 149
un intensivo XP (Innocenzo Sabbatini, 1928), unica parte
realizzata, assieme a quello che lo precede, del previsto
complesso di quattro blocchi attorno a un piazza circolare, dove
influenze mitteleuropee traspaiono sull'interpretazione del
repertorio classico in chiave costruttivista; sull'altro lato l'arco
di S. Lazzaro, avanzo laterizio del sec. II degli antichi
magazzini, il cui nome richiama la cappellina medievale ivi
esistente fino all'800; al termine, già in piazza dell'Emporio
(dall'Emporium, attrezzatura portuale che fu addossata in età
traianea alla Porticus Aemilia, enorme magazzino annonario
eretto nel 193 a. C. dai censori Lucio Emilio Lepido e Lucio
Emilio Paolo), è la fontana delle Anfore (Pietro Lombardi,
1926), che allude all'origine del rione.
Da viale Gelsomini si prosegue in via Galvani, che
interseca l'altro asse del rione, la via Zabaglia. Il tratto di d. di
quest'ultima conduce nella piazza che prende nome dalla chiesa
di S. Maria Liberatrice, iniziata sotto Leone XIII in forme
neoromaniche da Mario Ceradini e inaugurata nel 1908 (nel
reboante interno, immagine venerata di S. Maria Liberatrice,
dalla demolita chiesa del Foro Romano); il profilo in mattoni
con inserti in travertino distingue l'isolato ICP (Quadrio Pirani,
1917) che, con le corti aperte e gli spazi verdi interni, costituisce
un notevole miglioramento rispetto alla prima edilizia del
quartiere.
La via Galvani costeggia a sin. la prominenza del Monte
Testaccio, collina artificiale (altezza m 50) formata dagli scarti
dal vicino insediamento annonario di età romana. Dopo il
periodo classico fu adibita a coltivazioni e pascolo, oltre che a
R. XV ESQUILINO | 111

luogo di scarico, e vi furono scavate nei fianchi alcune grotte,


utilizzate come cantine grazie alla circolazione dell'aria fra i
cocci; fu sede di manifestazioni popolari (ricordato dal sec. XIII
come "Mons de Palio", vi terminava il "gioco della Passione",
sorta di sacra rappresentazione e Via Crucis, di cui è traccia
nella croce sulla sommità; fino al 1466 vi si festeggiò il
Carnevale, poi spostato in via del Corso), ma anche di un
poligono di tiro dei bombardieri di Castel S. Angelo. Con alcuni
editti Benedetto XIV ne assicurò la salvaguardia archeologica,
ma indagini sistematiche si fecero solo nell'800 in vista
dell'urbanizzazione; nel 1931 Raffaele De Vico ne attuò una
sistemazione a parco pubblico, presto caduto in disuso ' mentre
le ultime alterazioni si ebbero in seguito all'accumulo delle terre
di scavo del Circo Massimo e all'installazione di una batteria
antiaerea.
Al fondo di via Galvani sono gli archi, sorretti da colonne
tuscaniche, dello stabilimento di Mattazione, l'ex Mattatoio
(Gioacchino Ersoch, 1888- 91), sormontato da una scultura
raffigurante un genio che atterra un bue. Il complesso, che
rappresenta una felice sintesi tra funzionalità delle strutture e
dignità estetica ispirata ai criteri ottocenteschi di decoro urbano,
sviluppa, con l'annesso foro boario, un fronte di oltre 500 m per
una superficie complessiva di circa 10 ettari, articolata su due
ampie corti frammentate da strutture trasversali e, sul perimetro,
da corpi minori per attività accessorie; sostituito dal Centro
Carni sulla Via Prenestina, è stato destinato a sede della futura
"città della scienza".
Da piazza Albania, in prosecuzione di via di S. Prisca,
risale il "piccolo Aventino" la via cui dà nome la chiesa di *S.
Saba, dalla quale deriva anche l'appellativo del rione istituito al
pari di Testaccio nel 1921.
S.Saba. La tradizione vuole che S. Silvia, madre di
Gregorio Magno, abbia qui avuto una casa con un oratorio e che
fosse qui il primitivo monastero dedicato a S. Saba, capo del
monachesimo orientale; il primo dato certo riguardante
l'insediamento paleocristiano è il 768, quando vi venne
imprigionato il falso papa Costantino (un resto di affresco del
sec. X raffigurante monaci benedettini, rinvenuto sotto la chiesa,
induce a ritenere il complesso dipendente da Montecassino).
112 | R. XV ESQUILINO

Il monastero, assegnato ai Cluniacensi nel sec. XIII, passò


poi ai canonici regolari, quindi ai Cistercensi e infine fu da
Gregorio XIII affidato al Collegio Germanico Ungarico, retto
dai Gesuiti; seguirono anni di decadenza, fino ai restauri del
1932-33.
Per un protiro (rimaneggiato) del sec. XIII si entra in una
corte, su cui prospetta la facciata: il portico e la galleria con
loggiato che a essa si sovrappongono celando quella originaria
vennero realizzati, come l'affresco dell'arco trionfale e il restauro
del tetto, nel 1463 dal cardinale Francesco Piccolomini. Pio VI
sostituì gli attuali rozzi pilastri laterizi alle primitive colonne in
porfido e giallo antico del portico (il corpo a sin., esterno al
recinto e che forma l'undicesima arcata della loggia, è anch'esso
aggiunta successiva); le quattro finestre primitive sopra il
portico, due monofore e due bifore, furono murate e sostituite da
altre cinque per l'abbassamento del pavimento della loggia.
Nel portico, dove si scorgono i resti della polifora
d'ingresso dell'antico oratorio, sono reperti archeologici e
medievali, fra cui un piccolo sarcofago strigliato con la
"dextrarum iunctio" e un rilievo con Cavaliere con falcone (sec.
VIII). Il portale ha una bella cornice marmorea con decorazione
musiva e iscrizione recante data e firma dell'autore (Jacopo di
Lorenzo di Cosma, 1205); le deperite pitture superiori
appartengono all'intervento di Gregorio XIII per il giubileo del
1575.
L'interno, di rude semplicità, è a tre navate, spartite da 14
colonne di spoglio e terminanti in altrettante absidi; il pavimento
cosmatesco (sec. XIII) fu ricollocato dopo il restauro del 1907.
Il ciborio, l'altare maggiore e la cattedra episcopale
vennero ricostruiti secondo la descrizione di Pompeo Ugonio
con pezzi antichi reperiti agli inizi del '900. Nel catino
dell'abside, gli affreschi (Cristo tra i Ss. Andrea e Saba; nella
fascia sottostante, Agnello mistico e teorie di agnelli; sotto, al
centro, Vergine in trono con il Bambino e i dodici apostoli e, più
in basso, Gregorio XIII e santi), fatti eseguire per il giubileo del
1575, ripetono il soggetto della precedente decorazione, forse
musiva. Sopra la cattedra episcopale, Crocifissione, molto
ridipinta, del sec. XIV.
R. XV ESQUILINO | 113

L'Annunciazione sulla parte alta a spiovente dell'arco del


presbiterio e la fascia lungo le pareti sotto il tetto a capriate
furono fatte eseguire dal cardinale Piccolomini (iscrizione
1463). Addossati alla parete della navata d., resti dell'ambone e
della schola cantorum, rimossa dalla navata centrale nel 1943,
con l'iscrizione Magister Bassalectus (Vassalletto) me fecit qui
sit benedictus.
La cosiddetta IV navata (a sin.), originariamente forse un
portico, è coperta a crociera; alle pareti, Leggenda di S. Nicola
di Bari e delle tre zitelle, Pontefice in trono fra due santi,
Vergine in trono tra i Ss. Andrea e Saba, affreschi del Maestro di
S. Saba (fine XIII-inizi sec. XIV). Nel corridoio antistante alla
sagrestia, frammenti (notevole quello con volti di tre monaci)
dei pannelli votivi aggiunti nell'oratorio nel periodo benedettino
(sec. XII).
Dell'antico monastero sabaitico sul fianco sin. della chiesa
restano scarse tracce, come pure del tozzo campanile, mozzato
dai crolli e inserito nella navata sinistra.
La retrostante piazza Bernini costituisce il centro del
complesso ICP S. Saba (Quadrio Pirani, 1907-23), di alta
qualità abitativa e di livello formale insolito in edifici popolari
grazie alla bassa densità insediativa e all'adozione di tipologie
contenute. La finitura laterizia, che rimanda alle vicine mura
Aureliane e alla chiesa, unita ad altri materiali della tradizione
(travertino, tufo, intonaco grezzo, stucco), concorre alla varietà
delle soluzioni di facciata, i cui motivi decorativi sono coerenti
con la struttura; il pendio SE verso viale Giotto riduce inoltre
l'incidenza volumetrica delle costruzioni, che hanno altezze
variabili e corti interne articolate, dove rampe e scale raccordano
le diverse quote.
La via Salvator Rosa, che inizia dal lato NE della piazza,
si apre a sin. in piazza Remuria, nome che ricorda l'origine
leggendaria di Roma, dalla quale discende il "piccolo Aventino"
la via Aventina, dove, tra il 1930 e il 1940, si concentrarono
alcune riuscite realizzazioni di architettura razionalista.
Al termine di viale Giotto, dal quale, presso largo Fioritto,
si tiene ancora a sin. per la via cui dà nome la chiesa di S.
Balbina.
114 | R. XV ESQUILINO

S. Balbina. La prima menzione di un titulus Sanctae


Balbinae figlia del martire Quirino e martire anch'essa, risale al
595, benché si possa riferire alla chiesa, eretta dopo le invasioni
barbariche su un'aula appartenente probabilmente alla casa di
Lucio Fabio Cilone che fu console nel 204, il titulus Tigridae
menzionato nel 499.
Il tempio, restaurato nel sec. VIII e poi da Marco Barbo,
nipote di Paolo II, nel 1489 (iscrizione sulla capriata centrale),
ebbe sostituite sotto Sisto V con pilastri le colonne del portico e
affrescata nel 1599 l'abside, il cui catino a mosaico era caduto
nel XII; dopo i saccheggi del '600, fu di nuovo officiata dal 1698
e restaurata nel 1813, nel 1825 e infine nel 1927-30, quando
Antonio Munoz diresse il radicale ripristino cui deve l'odierno
tetto, con semplice facciata laterizia a salienti, portico a pilastri
tuscanici (reperti classici e paleocristiani) e finestre centinate.
L'interno (vi si accede dal cortile del contermine
convento, costruito nel Medioevo su strutture di età adrianea di
cui restano tracce in opus mixtum nel muro di d. entrando)
consiste in una fredda aula absidata con nicchie quadrate e
semicircolari nei lati; le finestre transennate, il pavimento (i
mosaici bianchi e neri provengono dalla necropoli scavata nel
1939 per l'apertura della via Imperiale) e la schola cantorum
sono ripristini del Munoz, mentre le capriate sono
quattrocentesche.
Sulla parete d'ingresso a d., monumento funebre di
Stefano de Surdis (m. 1303) firmato Johs filius, magis Cosmati
fecit hoc opus, proveniente dall'antica S. Pietro (il prospetto del
giaciglio funebre è moderno). 4a nicchia d.: Crocifissione,
rilievo marmoreo attribuito a Mino da Fiesole e Giovanni
Dalmata (sec. XV).
Nell'altare maggiore (1742), urna di diaspro contenente le
reliquie dei Ss. Balbina, Felicissimo e altri; nel catino,
Redentore in gloria tra i Ss. Balbina, Felicissimo e Quirino con
un pontefice, affreschi di Anastasio Fontebuoni fatti eseguire nel
1599 da Clemente VIII, il cui stemma è sull'arco trionfale (nel
lato d., restauro 1932); dietro l'altare, cathedra episcopale
cosmatesca (sec. XIII). 6a nicchia sin.: nel pavimento, antico
altare con pozzetto per le reliquie; alla parete, affresco
(Crocifissione di Pietro) assai rovinato. 3a: cippo con croce
R. XV ESQUILINO | 115

musiva (sec. XIV); alle pareti, affrescate su due strati, Madonna,


Bambino e apostoli e, nel catino, medaglione ad affresco con
immagine di Cristo (fine sec. XIII) di ambito di Pietro Cavallini;
nello strato più antico, Madonna e il Bambino con i Ss. Pietro e
Paolo.
Dal piazzale antistante alla chiesa si scende in viale Guido
Baccelli avendo di fronte un'esedra delle terme di Caracalla, che
si costeggiano lungo via Antonina (a sin. sono gli impianti dello
stadio delle Terme, realizzato nel 1938-39 e riservato all'atletica
leggera) fino a sboccare in viale delle Terme di Caracalla,
segmento urbano della romana Via Appia e asse portante del
parco di Porta Capena: questo sorge sull'area della Passeggiata
Archeologica, creata tra il 1887 e il 1914, per iniziativa
dell'allora ministro dell'Istruzione Guido Baccelli, con lo scopo
di collegare in un unico parco i monumenti archeologici da
piazza Venezia all'Appia Antica e impedirne la manomissione; i
viali, recintati e riservati al pubblico passeggio, furono
trasformati nel 1940 in arterie di traffico per l'apertura della via
Imperiale (attuale Cristoforo Colombo), compromettendo il
carattere di parco archeologico della zona.
Terme di Caracalla. Uno dei più grandiosi e suggestivi
complessi monumentali dell'antica Roma (potevano ospitare
1600 persone), di cui impressiona ancora oggi l'audacia delle
possenti strutture murarie, spesso conservate fino a notevole
altezza.
Iniziate nel 212 da Caracalla e inaugurate nel 217, furono
terminate da Elagabalo e Severo Alessandro; dopo il restauro di
Aureliano furono in funzione sino al 537, quando i Goti di
Vitige tagliarono l'acquedotto Antoniniano, che alimentava le
cisterne, capaci di 80000 litri.
La planimetria segue i canoni stabiliti nel sec. II, con un
grande corpo di fabbrica centrale (m 220 x 114) circondato da
spazi verdi chiusi da un recinto (m 330x830), che sulla "via
Nova", parallela all'Appia, dove si apriva l'ingresso presentava
un portico preceduto da ambienti con funzione sostruttiva: sui
lati ortogonali erano due ampie esedre che includevano vari
ambienti, mentre sul fondo era lo STADIO, fiancheggiato dalle
BIBLIOTECHE GRECA e LATINA, con le gradinate addossate
alle cisterne.
116 | R. XV ESQUILINO

Al corpo centrale si accedeva da quattro porte: lungo


l'asse d'ingresso si incontrava il FRIGIDARIUM, quindi, al
centro, la BASILICA (m 58 x 24), coperta da tre volte a
crociera, il TEPIDARIUM e infine il CALIDARIUM, circolare
(diametro m 34) e con cupola; ai lati di questi erano
simmetricamente disposti palestre, vestiboli, spogliatoi ecc.
Notevole interesse presentano i vastissimi ambienti
sotterranei, destinati ai servizi: in uno di essi, presso l'esedra
NO, fu adattato un mitreo, il più grande fra quelli noti a Roma;
della ricchissima decorazione architettonica non rimane che
qualche frammento e alcuni mosaici pavimentali, anche se gli
scavi, eseguiti soprattutto nel '500, hanno restituito opere
famosissime, come il Toro e l'Ercole Farnese (ora al Museo
nazionale di Napoli), le due vasche di granito di piazza Farnese
e il mosaico con atleti (ora ai Musei Vaticani).

Añadir las vias consulares que salen desde todas las


puertas con sus enlaces correspondites

Añadir un listado de horarios mediante cuadrante de todos


los monumentos y teléfono de contacto si hay que reservar
S ANTONIO ABATE
S VITO
S. ALFONSO
AUDITORIUM MECENAS TF 060608
S EUSEBIO

Añadir una descripción de los museos con salas, mapas,


etc.

Añadir índice de artistas, con breve biografia, edificios,


luagres etc.
R. XV ESQUILINO | 117

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