Il rione XV Esquilino è il primo dei rioni creati dopo
l'unità d'Italia, ricavato dal rione Monti (1874). Corrisponde alla parte orientale del colle da cui prende nome: quella zona, esterna alle mura Serviane, che costituì la V regione augustea (Esquiliae) e confina a nord con il rione R. XVIII Castro Pretorio, a est con i quartieri Q. XII Tiburtino e Q. VII Prenestino-Labicano, a sud-est con il quartiere Q. X Tuscolano e a ovest con il rione R. I Monti. Presenta una superficie di 1580 metri quadrati, e al censimento del 2013 la popolazione residente comprendeva 23.694 persone. Nello stemma, spaccato, presenta nel primo d'argento all'albero al naturale; nel secondo d'argento al monte di tre cime di verde. L'etimologia da ex-colere (abitare fuori) indicò un sobborgo rispetto al primo nucleo della città sul Palatino: dalla fine del IX secolo a.C. e per tutto il VII, l'area fu infatti adibita a sepolture, di cui cospicue testimonianze emersero all'epoca della costruzione del quartiere umbertino. Le cime occidentali del colle (Oppius, Fagutal e Cispius) fecero parte, nella fase protourbana, del primitivo Septimontium, venendo poi incluse nelle mura Serviane, mentre il settore orientale dell' Esquilino continuò a restare esterno alla cinta difensiva e per tutto il periodo repubblicano ne proseguì la destinazione cimiteriale; solo con Augusto tale area fu annessa alla città e trasformata in ville sontuose: gli horti Maecenatiani, Lamiani, Liciniani, etc.). La V regione venne dotata di strutture pubbliche (macellum Liviae, le caserme degli equites singulares) e di una fitta viabilità, ancora in gran parte esistente, incentrata sulle porte Esquilina e Maggiore. Le mura Aureliane tagliarono fuori gran parte dei giardini delle ville, divenute nell'Impero proprietà demaniale, includendone e spesso incorporandone però le costruzioni, su una delle quali (Sessorium) sorse la basilica di S. Croce in Gerusalemme; dentro e accanto al triangolo ideale formato da questa chiesa e da quelle di S. Giovanni in Laterano e di S. Maria Maggiore sorsero nel IV-V secolo alcuni tra i più antichi tituli, (S. Eusebio, S. Prassede, S. Bibiana, Ss. Marcellino e Pietro), cui si affiancarono nel Medioevo istituzioni assistenziali (Ospedali di S. Giovanni y e di Sant’Antonio Abate). 2 | R. XV ESQUILINO
La seconda metà del Cinquecento segnò la rinascita del
colle: Gregorio XIII iniziò la nuova via Merulana, mentre Sisto V avviò il recupero della zona in senso classico con la propria villa e con il programma viario incentrato sulla basilica di S. Maria Maggiore (ultimazione di via Merulana e apertura della strada Felice). Nei secoli successivi si svilupparono le ville patrizie che fino al 1870 costituirono l'ininterrotta cintura verde dell'arco orientale di Roma e che vennero sacrificate per la costruzione del quartiere, sorto in rapporto alla stazione di Termini; l'insediamento, sviluppatosi secondo il piano regolatore del 1873, fu destinato alla classe borghese prevalentemente impiegatizia del nuovo Stato, come ricorda la toponomastica (intitolata ai suoi maggiori statisti e letterati nonché ai personaggi della casa regnante) e come evidenzia l'impianto urbanistico a scacchiera (recuperato dall'età classica attraverso il modello torinese), che si sovrappose alla precedente rete stradale rilevandone i principali percorsi. Dopo il 1883 l'urbanizzazione si estese a sud di viale Manzoni con la scomparsa delle ultime ville (si salvarono la Wolkonsky e i casini della Massimo Lancellotti e della Altieri), mentre agli inizi del Novecento, oltre ai primi esempi di edilizia popolare estensiva, sorsero i blocchi della Cooperativa Ferrovieri lungo via di S. Croce in Gerusalemme ed, entro il 1925, i villini attorno a via Statilia. La decadenza del quartiere ottocentesco ha favorito, nel secondo dopoguerra, l'edilizia di sostituzione, con forti incrementi della densità (viale Manzoni, via di S. Croce in Gerusalemme); negli anni ottanta è stato avviato un vasto programma di riqualificazione del quartiere, a partire dalla sistemazione, di piazza Vittorio Emanuele II e delle adiacenze piazza Fante e Dante. Per questa sua banalità, e per la prossimità ad una grande area di infrastrutture industriali come è la stazione Terminio e i suoi vasti impianti di servizio, il rione è quasi completamente fuori dai percorsi turistici, che generalmente toccano solo le basiliche nei suoi confini esterni. R. XV ESQUILINO | 3
ITINERARIO
Piazza S. Maria Maggiore – S. Antonio Abate – S. Vito –
Porta Esquilina – S. Alfonso – palazzo Brancaccio – Auditorio Mecenate – piazza Vittorio Enamuela – S Eusebio – S Bibiana – Minerva medica – Porta Maggiore – via Statilia – S. Croce – S. Giovanni – S. Marcelino (...). Si ridiscendono le pendici dell'Esquilino per via Carlo Alberto, dedicata al re di Sardegna (1798-1849) che dette ai Piamontesi lo Statuto, divenuto poi la costituzione del Regno d’Italia. Secondo tratto della strada Felice, lunghissima via rettilinea aperta dal Sisto V (1585) che collega Trinità dei Monti a S. Croce in Gerusalemme. Allargata e livellata divenne l'asse coordinatore dell'urbanizzazione tardo- ottocentesca. S. ANTONIO ABATE ALL'ESQUILINO Costruita ai tempi di Clemente V (1308) accanto all'omonimo ospedale (1263-66) per la cura degli ammalati del cosiddetto “fuoco di sant'Antonio” e riedificata sotto Sisto IV (1481) per volere di Costantius Guillelmi. Agli inizi del Settecento la chiesa ebbe un ulteriore restauro che volle l’abate 4 | R. XV ESQUILINO
Danthon, condotto da un architetto che operava nell’ambiente di
Alessandro Galilei. La facciata, rifatta da A. Munoz insieme al vicino RUSSICUM (1932), conserva il magnifico portale romanico dell'antico ospedale, probabile opera di Nicola Vassalletto (c. 1265). Un'iscrizione ricorda la fondazione dell'ospedale voluta dal cardinal Pietro Capocci con i nomi degli esecutori testamentari, il vescovo Ottone di Tuscolo ed il cardinale Giovanni Caetani: futuro papa Niccolò III. La scala a due rampe fu aggiunta dopo il 1870 quando enormi sbancamenti di terreno portarono all'abbassamento del livello della via Carlo Alberto. L'interno a tre navate, frutto del rifacimento del 1730, si presenta adattato alle esigenze del culto di rito bizantino slavo (la chiesa è officiata dai Russi cattolici). Nella navata destra è la cappella di S. Teresa di Gesù Bambino, già di S. Antonio Abate (Domenico Fontana, c. 1583), con stucchi settecenteschi e iconostasi: gli affreschi del tamburo della cupola, in parte perduti, sono di Niccolò Circignani, il Pomarancio (c. 1585). Nell'abside della nave centrale Crocifissione, affresco di Giovanni Odazzi (1724). Nella navata sinistra, oltre ad affreschi di G.B. Lombardelli con episodi della vita del Santo titolare (1585), vediamo murati frammenti di bassorilievi con ornati ad intreccio e pavoni che dovevano far parte di un piccolo ciborio od ambone del sec. IX rinvenuti nel 1930 e pertinenti alla distrutta S. Andrea cata Barbara (vid. infra). A sinistra, il PONTIFICIO ISTITUTO ORIENTALE (PIO), fondato da Benedetto XV (1917) per lo studio dell'Oriente cristiano, sorge sull'area della basilica di Giunio Basso (c. 331), trasformata nella chiesa di S. Andrea cata Barbara nel successivo secolo, cui cospicui resti furono cancellati nel 1929. A destra, il PONTIFICIO COLLEGIO RUSSICUM (Antonio Munoz, 1929) fu eretto dal papa Pio XI, che intendeva creare un istituto di formazione per i molti seminaristi immigrati dalla URSS a causa della persecuzione del regime sovietico. La via Cattaneo, che costeggia il fianco destro del Russicum, conduce in piazza Fanti, nel cui giardino, insieme ai resti dell'agger, un tratto in tufo di Grotta Oscura delle mura Serviane lungo 23 metri e muri in opera reticolata riferibili ad una costruzione del I secolo a.C., si trova il singolare edificio dell'ex Acquario romano, eretto da Ettore Bernich (1884) come scuola R. XV ESQUILINO | 5 di piscicoltura con una sala interna che ospitava 20 vasche con acqua dolce e marina, nelle quali furono sistemati pesci di ogni genere. La struttura, che era in concessione alla Società dell'Acquario Romano, passò nel 1891 al Comune di Roma e fu così adibito agli usi più diversi, come sede per fiere ed anche come deposito del Teatro dell'Opera. Dal 2002 il Comune di Roma e l'Ordine degli Architetti di Roma lo hanno adibito a sede della Casa dell'Architettura. L'interessante tipologia accosta alla monumentalità archeologizzante le novità dell'"architettura del ferro". L'esterno tra un ninfeo e un anfiteatro, mentre lo spazio interno si presenta come una scenografia 'pompeiana', con ossatura a colonne di ghisa su due ordini, copertura a lucernario, decorazione pittorica e ricco pavimento musivo. Superati altri resti dell'agger serviano accanto a la eclettica facciatina della chiesa dei SS. VITO E MODESTO, la via di S. Vito ricalca tratto terminale del clivus Suburanus, costeggia il fianco sin. di S. ALFONSO DE'LIGUORI e collega via Carlo Alberto con la via Merulana. A sin., è la fontanella del rione Monti (Pietro Lombardi, 1926), realizata in travertino, è formata da tre monti stellati. ARCO DI GALLIENO. Si tratta della ricostruzione a tre fornici della porta Esquilina delle mura Serviane (resta traccia del fornice sin.), monumentalizzata da Augusto. Presenta paraste corinzie angolari sorreggenti l'attico ed è in blocchi di travertino e marmo. Nella cornice sotto l'attico è visibile l'iscrizione dedicata dal prefetto Marco Aurelio Vittore (262) all'imperatore Gallieno e a sua moglie Cornelia Salonina, in occasione di un restauro: GALLIENO CLEMENTISSIMO PRINCIPI CVIVS INVICTA VIRTVS SOLA PIETATE SVPERATA EST ET SALONINAE SANCTISSIMAE AVG / AVRELIVS VICTOR V(ir) E(gregius) DICATISSIMVS NVMINI MAIESTATIQVE EORVM. Forse si trattava solo di una forma di adulazione per un sovrano dalla personalità molto discussa e contraddittoria, nei confronti del quale anche i giudizi dei contemporanei erano tutt'altro che unanimi, ma l'imperatore doveva passare sotto la Porta Esquilina per raggiungere la sua villa di famiglia, gli Horti Liciniani, e la posizione e il tono dell'iscrizione dovevano sembrare a Vittore quanto mai opportuni. 6 | R. XV ESQUILINO
SS. VITO E MODESTO.
Detta anticamente in Macello dal macellum Liviae, localizzato nell'area di piazza Vittorio. Ricordata alla fine del sec. VIII nella biografia di papa Leone III e ricostruita da Sisto IV (1477). I recenti restauri hanno restituito alla chiesa l'aspetto quattrocentesco, cancellato in occasione del giubileo del 1900, quando ne venne addirittura invertito l'orientamento creando una nuova facciata su via Carlo Alberto, in diretto rapporto col quartiere umbertino. La semplice facciata a capanna accoglie il portate marmoreo con l'iscrizione: SIXTVS IIII PONT MAX FUNDAVIT 1477; sui fianchi sono state ripristinate le bifore goticheggianti tipiche dell'epoca. L'interno è a pianta rettangolare ad un'unica navata, con abside semicircolare. A destra un altare ad edicola costituito da due alti piedritti sui quali poggiano due grandi mensole, recanti quella di sinistra, lo stemma della famiglia Peruzzi, e quella di destra lo stemma partito con le armi della famiglia Machiavelli (a d.) e Federighi (a sin.). La pala dell’altare è un affresco abbastanza ben conservato attribuito ad Antoniazzo Romano (1483). Nel registro inferiore sono rappresentati, da destra, i santi Vito, Margherita e Sebastiano; nel registro superiore la Madonna col Bambino benedicente tra i santi Modesto e Crescenzia; e nel sottarco: Cristo fra testine di angeli. Accanto è la pietra scellerata, che si riteneva usata per il martirio dei Cristiani e che in realtà è un cippo romano con iscrizione funeraria. L’incavo che si nota al centro è dovuto all’attrito delle mani dei fedeli che la sfioravano per devozione. In alcune antiche guide si dice che questo cippo stava sopra due pezzi di colonna e coloro che erano stati morsi da cani idrofobi venivano in questa chiesa, ove, mangiato del pane benedetto dai monaci, e intriso con l’olio delle lampade accese davanti all’immagine di S. Vito, vi passavano sotto almeno tre volte invocando dal santo la grazia della guarigione. Aeternae animae / L(uci) Aeli Terti causidici, / quae in ḥ[o]spiṭio ̣ fuit con/dicion[e ---] ạnnis / X̣XX [---]i / cuiu[s ---]i / perv[---] / aram [---] dul/cissimo fili[o ̣ Sex(tus)] Ạelius / Tertius pater. Hunc Placen/tia habet patria, quem Roma / creavit, marmoreo posi/tum solio aramque sacra/vit in hortis Alli R. XV ESQUILINO | 7
Filetiani, / carissimi amici, curante / L(ucio) Aelio Coma
patruo, filio / innocentissimo. / ⸢ἀνθρώπινα Nella parete a sin., un'altare architettonicamente identico all’altro già descritto che lo fronteggia e che aveva antichi affreschi oggi completamente perduti, è stata posta ora la pala d’altare raffigurante la Madonna che offre il rosario ai santi Domenico e Caterina da Siena. Si ignora l’autore del dipinto che non ha grande valore artistico. Di interesse storico-archeologico è la cripta della chiesa: gli scavi hanno permesso ridefinire la topografia antica: un tratto dell' acquedotto Anius Vetus, un tratto di strada, le fondazioni della porta Esquilina, oltre ad altre murature di varie epoche. S. ALFONSO DE'LIGUORI, è il primo esempio di "gothic revival" nell'architettura religiosa romana, eretta su progetto dell’architetto scozese George Wigley (1855) e notevolmente modificata da Maximilian Sehmalzl (1898). Sorge nella seicentesca villa Caetani, arretrata rispetto al filo stradale e sopraelevata. La facciata, in mattoni e travertino, si caratterizza per il grande arco ogivale che include il rosone ed è preceduta da un protiro a tre ingressi. L'interno, con endonartece, è a navata unica con sei cappelle per lato intercomunicanti; i soprastanti matronei risalgono, al pari della ricca decorazione in marmi policromi, stucchi e pitture (queste ultime di Eugenio Cisterna), ai restauri di fine '800. All'altare maggiore è conservata una veneratissima icona raffigurante la Madonna del Perpetuo Soccorso, tavola di scuola cretese del sec. XIV. donata ai Redentoristi da Pio IX (1866). L'icona è dipinta su una tavola di legno di 54 x 41'5 cm. Lo stile è quello delle icone dette della "Madonna della Passione". L'immagine oltre ai due personaggi principale Maria e Gesù Bambino vede ai lati due arcangeli Gabriele a destra e Michele a sinistra che hanno nelle mani gli strumenti della passione. Il bambino guarda la croce e con le mani si aggrappa a quelle della madre, indicando un gesto quasi di paura, sottolineato pure dal calzare del piede che slacciatosi ne mostra 8 | R. XV ESQUILINO
la pianta. La mano di Maria invece indica il figlio, come il
soggetto principale del quadro, questo semplice gesto, spesso presente in icone mariane e detto odigitria dal greco, colei che ci guida verso il Redentore. VIA MERULANA è una strada storica di Roma che collega la basilica di Santa Maria Maggiore alla basilica di San Giovanni in Laterano che sostituì un omonimo tracciato di origine classica. La via moderna, che intersecava l'antica presso via Galilei, segue il tracciato della via Gregoriana, realizzata dal papa Gregorio XIII per offrire un adeguato scenario a processioni e cortei pontifici tra Santa Maria Maggiore e San Giovanni in Laterano durante il giubileo del 1575 e prolungata da papa Sisto V, anche se nell'ultimo tratto verso S. Maria Maggiore venne sistemata solo nel 1932. Attorno sorsero dal XVII secolo le ville patrizie suburbane dei Caetani, Palombara, Giustiniani, etc. Via Merulana divenne nel piano del 1873 uno degli assi del nuovo quartiere dell'Esquilino e nonostante i massicci livellamenti è ancora percepibile l'andamento che discende una delle sommità dell'Esquilino risalendo poi verso le propaggini del Celio. PALAZZO BRANCACCIO. Sul lato opposto della via è l'ultimo monumentale edificio patrizio romano e anche l'ultima e più imponente opera di Luca Carimini, che qui forzò il proprio quattrocentismo minuto verso accenti più grandiosi e severi. Commissionato da Mary Elisabeth Field, principessa Brancaccio (1886), nel mezzo di un bellissimo parco tra i ruderi (SETTE SALE), fontane e piante secolari. Il prospetto principale, con due ali in leggero risalto, è tripartito orizzontalmente, con alto basamento a forte bugnato in cui si apre il triplice portale con balcone su colonne; analoghe le testate su largo Brancaccio e via Mecenate. In angolo è il teatro Brancaccio, realizzato su progetto dell'ingegner Carlo Sacconi (1916). Una leggenda popolare vuole che la torre di Mecenate; la stessa torre ove Nerone vedette estasiato l'incendio di Roma che secondo la tradizione storica romana egli stesso appiccò è stata inglobata nel palazzo stesso. R. XV ESQUILINO | 9
Dall'ingresso si accede all'atrio a colonne, che ha per
fondale un ninfeo neobarocco progettato da Francesco Gai, cui si debbono molti particolari architettonici, decorativi e di arredo degli sfarzosi interni. Lo scalone monumentale sulla sin. sale al MUSEO NAZIONALE D'ARTE ORIENTALE 'GIUSEPPE TUCCI'. Ancora avanti la via Merulana forma a d. largo Leopardi: nel giardinetto si trova il cosiddetto auditorium di Mecenate. Auditorium di Mecenate. L’identificazione dell’edificio semisotterraneo come un Auditorium, proposta dagli archeologi al momento della scoperta (1874), a causa de la presenza della gradinata semicircolare dell’abside, è stata ormai abbandonata, data l’esiguità dello spazio della presunta cavea. Sembra invece più probabile il riconoscimento del complesso come un monumentale ninfeo, sulla base del rinvenimento di una conduttura plumbea e sopratutto dei fori visibili nel gradino superiore dell’essedra, dai quali doveva defluire l’acqua che scorreva lungo la gradinata marmorea, per essere poi convogliata in un canale situato sotto il pavimento della sala. La sala, riccamente decorata e allietata da giochi d’acqua che accrescevano la frescura dell’ambiente già seminterrato, era probabilmente utilizzata come triclinio estivo, vista la forma a T che trova puntuali confronti con simili triclini coevi di lussose residenze presenti a Pompei e a Stabia. In questa situazione un’ulteriore prova dell’utilizzo della sala come un cenacolo d’intellettuali è senza dubbio il rivenimento di alcuni versi di un epigramma del poeta greco Callimaco, dipinti sull’intonaco esterno dell’abside, che alludono agli effetti del vino e dell’amore. Il triclinio-ninfeo venne costruito a cavallo delle mura Serviane, all’interno del terrapieno retrostante alla fortificazione: un tratto della cinta repubblicana è visibile lungo il lato prospicente la via G. Leopardi, inglobate nell’angolo Sud dell’edificio, che non era isolato, anzi era collegato a un sistema di stanze e corridoi, sui quali emergeva in parte. La tecnica edilizia impiegata per la costruzione dell’edificio è l’opus reticulatum, che utilizza in questo caso unicamente piccoli cubilia e blocchetti di tufo di Grotta Oscura e dell’Aniene senza l’uso di laterizi, e che riconduce il 10 | R. XV ESQUILINO
monumento all’epoca tardorepubblicana. Il ritrovamento di una
conduttura di piombo, recante, iscritto il nome del retore M. Cornelius Fronto, proprietario degli horti Maecenatis in età adrianea, ha confermato il riconoscimento dell’edificio come una parte del più vasto e lussoso complesso residenziale, fatto costruire da Mecenate, il celebre statista collaboratore di Augusto. L’attuale ingresso all’Auditorium, sul lato opposto alla gradinata, avveniva lateralmente mediante una doppia rampa a gomito in discesa, di cui si conserva oggi solo l’ultimo tratto, pavimentata in opus spicatum con pareti in opera reticolata coperte da intonaco bianco applicato in due strati; questa rampa riproduce in parte la stessa situazione antica, poiché il nomuneto era concepito parzialmente interrato già all’epoca della costruzione. Tramite la rampa che termina in un pianerottolo pavimentato a mosaico con tessere bianche, s i accede all’interno del vestibolo, largo 13'20 m. e lungo 5'70 m. originariamente dotato di altre due aperture, succesivamente tamponate, disposte rispettivamente sul lato corto oposto e su quello lungo; sulle pareti sono stati murati numerosi frammenti di decorazione architettonica in marmo e in stucco riportati alla luce nella zona alla fine del secolo XIX. Il vestibolo si apre sulla vasta sala a pianta rettangolare, larga 13'20 m. e lunga 10'5 m., originariamente coperta a volta e attualmente da un tetto moderno a doppio spiovente, pavimentata con un mosaico risalente all’epoca della costruzione, formato da piccole tessere bianche incorniciato da una doppia fascia rossa con encausto. Sopra di esso venne poi steso un pavimento marmoreo. La sala termina con un’ampia abside semicircolare disposta sul lato corto opposto al vestibolo il cui raggio è di 5'30 m.; l’abside è occupata, per circa 4/7 dell’altezza complessiva, da una scalinata costituita da sette gradini concentrici, originariamente coperti di marmo cipollino, disposti quasi a formare una piccola cavea teatrale, forse decorati da vasi di fiori, attorno ai quali scorreva scenograficamente dell'acqua che riversavano di alcuni tubi (poi otturati). Un muro di mattoni R. XV ESQUILINO | 11
appoggiato alla parte bassa della cavea, allora spogiato dal
rivestimento marmoreo, è stato ricondotto all’epoca di nerone. Lungo i lati lunghi della sala si aprono due serie di nicchie rettangolari, sei per parete, mentre altre cincque nicchie simili scandiscono la parete curva dell’abside. La decorazione pittorica parietale policroma eseguita ad affresco è di grande interese. Le pitture, oggi conservate solo in maniera molto frammentaria, sono purtroppo deducibili soltanto grazie a disegni ricostruttivi pubblicati dopo lo scavo (1874) dato che non esiste documentazione fotografica dell'epoca del ritrovamento. Gli affreschi sono presenti nella sala al di sopra di un alto zoccolo marmoreo; di colore rosso cinabrio, sul quale erano dipinti candelabri con pavoni in posizione araldica, interrotto solamente da un fregio su fondo nero, alto 27 centimetri, raffigurante scene dionisiache e giardini miniaturistici. La decorazione delle pareti era completata in alto da una cornice modanata in stucco con ovoi e palmette (due frammenti della cornice sono visibili murati lungo la parete Nord del vestibolo). Le nicchie furono affrescate internamente come se fossero delle finestre, aperte su lussureggianti giardini ricchi di vasche e fontane e animati da piccoli uccelli in volo. Ciascuna nicchia era decorata secondo uno schema con un albero al centro, posto oltre una balaustra marmorea con una rientranza centrale dove si trova una fontana o un vaso. Gli alberi di contorno, mossi dal vento, sono popolati da un vasto numero di uccelli in volo e posati. La presenza delle nicchie reali obbligò gli artisti a inventare un modo di occupare gli spessori superiori, che furono decorati con un'artificiosa pioggia di fiori. Le nicchie si configurarono quindi come elementi indipendenti rispetto all'architettura della stanza, quali bow window a vetri affacciate su un giardino, in corrispondenza delle quali si disponevano, come d'incanto, vedute studiate di verzure ed elementi decorativi. Anche qui, come negli esempi precedenti, mancano notazioni atmosferiche e allusioni a uno spazio "infinito". La decorazione pittorica è riconducibile al Terzo stile pompeiano, ed è stata confrontata con le pitture di giardino della villa di Livia a Prima Porta e messa in relazione con la notizia 12 | R. XV ESQUILINO
tramandata da Suetonio a proposito del soggiorno di Tiberio
nella villa di Mecenate, al ritorno dall’esilio volontario da Rodi (2 d.C.) In questo periodo venne anche ricoperto il più antico mosaico della sala con un pavimento in opus sectile, costituito da lastrine marmoree policromi, così come i gradini dell’abside e i davanzali delle nicchie furono rivestiti da lastre di marmo. Gli Horti Maecenatis erano i giardini proprietà del ricco Gaio Cilnio Mecenate (c. 68 a.C.–8 a.C.), potente consigliere ed amico dell'imperatore Augusto, situati sul colle Esquilino grossomodo tra l'attuale Parco del Colle Oppio e piazza Vittorio Emanuele II, a cavaliere delle Mura serviane. Mecenate realizzò i giardini e la sua villa tra il 42 ed il 35 a.C. bonificando con uno spesso strato di terra l'area dell'antichissima necropoli di epoca arcaica e repubblicana che lo occupava, venendo per questo ricordato dal poeta Orazio (Sat. I.8): Huc prius angustis eiecta cadavera cellis / conservus vili portanda locabat in arca; / hoc miserae plebi stabat commune sepulcrum; / Pantolabo scurrae Nomentanoque nepoti / mille pedes in fronte, trecentos cippus in agrum / hic dabat, heredes monumentum ne sequeretur. / Nunc licet Esquiliis habitare salubribus atque / aggere in aprico spatiari, quo modo tristes / albis informem spectabant ossibus agrum, / cum mihi non tantum furesque feraeque suetae / hunc vexare locum curae sunt atque labori / quantum carminibus quae versant atque venenis / humanos animos.
Gli horti divennero di proprietà imperiale dopo la morte di
Mecenate ed il futuro imperatore Tiberio (14-37) vi soggiornò lungamente dopo il suo ritorno a Roma (2 d.C.). Nerone li incorporò alla residenza del Palatino attraverso la Domus Transitoria e dall'alto di una torre situata al loro interno osservò probabilmente l'incendio di Roma del 64. Nel II secolo gli Horti Maecenatis divennero proprietà di Marco Cornelio Frontone(100 - 166), maestro di retorica e precettore di Marco Aurelio e Lucio Vero. Menzionati dal retore stesso in una sua epistola, una fistula aquaria con il nome di Frontone fu trovata anche presso il cd. Auditorium. R. XV ESQUILINO | 13
L'unica testimonianza archeologica monumentale
conservata della villa di Mecenate è costituita dal cosiddetto Auditorium, un triclinio estivo semi ipogeo decorato con pitture di giardino. Un altro notevole nucleo edilizio, comprendente sia strutture in reticolato sia muri in laterizio, fu rinvenuto durante i lavori per la ricostruzione del Teatro Politeama Brancaccio (1914). Le notizie sono scarse, ma rimane una pianta dei ritrovamenti che illustra l'impianto originale di un settore degli horti. PIAZZA VITTORIO EMANUELE II (m 316 x 174) è la più vasta di Roma (con quasi 10.000 metri quadrati in più di piazza San Pietro) e la più rappresentativa di quelle realizzate dall'urbanistica umbertina da Gaetano Koch secondo il modello delle "square" inglesi (forma rettangolare, giardino centrale e, ai lati, edifici residenziali di tono monumentale). L'unicità di questa piazza è data pure dai portici colonnati che la circondano, estranei allo spirito della città; una tipologia architettonico- urbanistica riproposta in questo 'quartiere piemontese' anche a ricordo di Torino prima capitale del regno, che deve dare un'idea di monumentalità e, allo stesso tempo, favorire la mobilità dei cittadini. Sulla piazza convergono 13 strade, di cui quelle del lato SE riecheggiano il Tridente della tradizione urbana romana rinascimentale. Al di sopra dei portici si innalzano palazzi progettati per essere "grandiosi": alti almeno 24 metri, costituiti solo da tre piani, con facciate che si ispirano all'architettura del tardo rinascimento. I palazzi al centro dei lati lunghi sono i più maestosi, e vengono affidati a Gaetano Koch: gli appartamenti sono lussuosi, molti con soffitti affrescati. Al centro della piazza Carlo Tenerari crea un giardino bellissimo, con viali di ghiaia sinuosi, piante di vario tipo: magnolie, palme, cedri del Libano, platani; e un laghetto con al centro un gruppo scultoreo opera di Mario Rutelli e proveniente dalla "FONTANA DELLE NAIADI" di Piazza della Repubblica, che rappresenta un tritone con gli aminali marini (delfino e piovra), è chiamata con un po' di ironia "fritto misto") Il trasferimento (1902) del più grande mercato della città, che rimase in attività fino agli anni novanta, molto frequentato dai romani per la convenienza dei prezzi praticati, e anche da 14 | R. XV ESQUILINO
turisti a caccia di folclore, ne avviò la decadenza, accentuatasi
nel dopoguerra e culminata con la demolizione (1971) di uno dei palazzi porticati costruiti tra il 1882 e il 1887. I TROFEI DI MARIO (Nymphaeum divi Alexandri nelle fonti letterarie) è una fontana monumentale con funzione di mostra terminale (munus) e di castello di distribuzione dell'acqua (castellum aquae) realizzato nel tratto finale d'una diramazione d'acquedotto Claudio o l'Anio Novus che proveniva dalla Porta Tiburtina (Porta San Lorenzo), tuttora visibile tra piazza Pepe e via Turati. ). Il monumento si trovava in origine alla confluenza della via Tiburtina o della via Collatina con la via Labicana. Tale posizione ne condizionò la planimetria, di forma trapezoidale. La monumentale struttura (volume 4000 m³ circa; larghezza alla base 25 m) occupa la parte più alta dell'Esquilino ed è tutta in opera laterizia originariamente rivestita in marmo, come indicano i numerosi fori per grappe distribuiti sull'intero alzato. Si articola su tre livelli, con diversi ambienti e canalizzazioni ancora visibili. L'acqua veniva immessa al terzo piano sul lato posteriore destro della struttura a considerevole altezza da terra (9,85 m); dopo aver aggirato un massiccio centrale semicircolare, si divideva in due parti ed era quindi convogliata da cinque canali rivestiti di cocciopesto in una vasca oggi non più esistente posta sul lato anteriore della fontana. Da qui, attraverso tubi sistemati all'interno delle pareti, l'acqua si raccoglieva in una seconda vasca rivestita di cocciopesto e articolata in nicchie alternativamente rettangolari e arcuate. Una terza vasca di attingimento, parzialmente conservata, raccoglieva nuovamente l'acqua al piano inferiore per l'approvvigionamento delle zone altimetricamente più basse della città. La struttura in laterizio attualmente visibile è raffigurata sul retro di monete emesse nel 226 dall'imperatore Alessandro Severo. Proprio le raffigurazioni monetali ci consentono di integrare l'aspetto originario del monumento, che si presentava decorato con diverse statue. Al piano superiore si trovava una nicchia centrale con due statue (forse di Alessandro Severo e di sua madre Giulia Mamea), mentre due archi laterali ospitavano le due sculture di trofei militari collocate sulla balaustra in cima R. XV ESQUILINO | 15
alla Cordonata che sale al Campidoglio (1590) che a partire dal
Medioevo hanno dato alla struttura il nome tradizionale di "Trofei di Mario". Le sculture, erroneamente attribuite a Gaio Mario per le vittorie sui Cimbri ed i Teutoni, sono invece databili all'epoca domizianea e furono erette dopo le vittoriose campagne contro Catti e Daci nell'89. Il tutto era coronato da un attico sormontato da una quadriga centrale e da due statue laterali, secondo un modello ben attestato negli archi trionfali romani. Inoltre, ai piedi della nicchia posta al piano inferiore si trovava una grande statua del dio Oceano sdraiato. Unico sopravvissuto delle quindici fontane-mostra dell'antica Roma, il Ninfeo di Alessandro, per la mole e gli effetti scenografici di grandiosa spazialità, si può considerare l'antesignano e il modello ispiratore delle grandi fontane "a facciata" del tardo Rinascimento e del Barocco (es. Fontana di Trevi, Fontana dell'Acqua Paola al Gianicolo). A sinistra dei ruderi è stata ricomposta la PORTA MAGICA, o Porta Alchemica (1680), unica sopravvissuta delle cinque porte di villa Palombara, residenza di Massimiliano Palombara marchese di Pietraforte (1614-1680) sul colle Esquilino, tra le antiche Strada Felice e Strada Gregoriana (l'attuale via Merulana). La Porta Magica fu smontata (1873) e ricostruita (1888) su un vecchio muro perimetrale della chiesa di Sant'Eusebio, e accanto furono aggiunte due statue del dio Bes, che si trovavano in origine nei giardini del Palazzo del Quirinale. Secondo la leggenda, uno stibeum pellegrino fu ospitato nella villa per una notte. Il "pellegrino" dimorò per una notte nei giardini della villa alla ricerca di una misteriosa erba capace di produrre l'oro, il mattino seguente fu visto scomparire per sempre attraverso la porta, ma lasciò dietro alcune pagliuzze d'oro frutto di una riuscita trasmutazione alchemica, e una misteriosa carta piena di enigmi e simboli magici che doveva contenere il segreto della pietra filosofale. Il marchese fece incidere, sulle cinque porte di villa Palombara e sui muri della magione, il contenuto del manoscritto coi simboli e gli enigmi, nella speranza che un giorno qualcuno sarebbe riuscito a decifrarli. 16 | R. XV ESQUILINO
I simboli incisi sulla porta possono essere rintracciati tra
le illustrazioni dei libri di alchimia e filosofia esoterica che circolavano verso la seconda metà del Seicento, e che presumibilmente erano in possesso del marchese Palombara. In particolare il disegno sul frontone, con i due triangoli sovrapposti e le iscrizioni in latino, compare quasi esattamente uguale sul frontespizio del libro allegorico/alchemico Aureum Seculum Redivivum di Henricus Madatanus (pseudonimo di Adrian von Mynsicht, 1677). S. EUSEBIO è una delle più antiche chiese di Roma. Si ritiene tradizionalmente che la costruzione insista sulla domus del prete romano Eusebio (circa 319-357?), strenuo oppositore dell'arianesimo, condannato dall'imperatore Costanzo II a morire di fame rinchiuso in una stanza della propria abitazione. Del primitivo impianto paleocristiano non sembrano conservarsi tracce archeologiche; l'epitaffio di un clericus trovato nelle catacombe dei Santi Marcellino e Pietro ad duas Lauros dell'anno 474 è il documento più antico menzionante il titulus di Eusebio.. Sotto la chiesa, a sud del transetto e dietro l'abside, sono presenti alcuni resti di una domus romana, il cui stile indica una datazione di fine II secolo, i quali presentano interventi effettuati tra tardo antico e Alto Medioevo. La fase di IV-V secolo è attribuita da Krautheimer al momento in cui, in accordo con la testimonianza delle fonti, potrebbe essersi insediato nella domus il primo luogo di culto cristiano, successivamente azzerato per costruire la chiesa medievale. Il titolo divenne chiesa ampiamente restaurato per opera di papa Zaccaria (741-752) a seguito del crollo del tetto e, dopo una ricostruzione a fundamentis, la chiesa fu consacrata da papa Gregorio IX (1227-1241) e dedicata in honore beatorum Eusebii et Vincentii, come ricorda un'epigrafe ora nel portico della chiesa (1238). La facciata, rimasta sopraelevata in seguito agli sbancamenti per l'apertura della piazza, presenta la forma moderatamente 'borrominiana' conferitagli da Carlo Stefano Fontana (1711), che si attenne nella progettazione a principi di notevole sobrietà stilistica, al punto che l'edificio, privo di ogni enfasi di carattere ieratico, sembra assomigliare più a un palazzo R. XV ESQUILINO | 17
che a una chiesa. Il nascosto campanile romanico a tre ordini di
trifore risale invece al tempo di Onorio III (1216-1227). L'interno conserva l'impianto della chiesa romanica costruita da Gregorio IX (1238), sebbene completamente trasfigurato dai rifacimenti del 1600 (Onorio Longhi) e del 1759 (Nicolò Picconi). Le navate laterali sono state pesantemente ridecorate, con l'aggiunta di altari, tra fine '800 e inizi '900. Nella volta lunettata della nave centrale, Gloria di S. Eusebio, affresco di Anton Raphael Mengs (1759). All'altare maggiore, su disegno del Longhi, Madonna col Bambino attribuita a Pompeo Batoni. Il coro (1600) presenta pregevoli stalli e un leggio in noce riccamente scolpiti: alla parete d., Madonna e santi di Baldassarre Croce. Dalla sagrestia si può vedere, dell'antico convento ora caserma di Pubblica Sicurezza, l'elegantissimo chiostro in laterizio, a due ordini di arcate e con fontana centrale, attribuito all'architetto Domenico Fontana (1588). Presso la chiesa furono trovati sul finire del XIX secolo due cippi di confine (terminatio) in situ menzionanti gli Horti Tauriani ed i Calyclani e uno dei nuclei di tombe più consistenti della necropoli dell'Esquilino. 18 | R. XV ESQUILINO
Dal fondo della piazza si imbocca a sin. via Lamarmora,
che, costeggiato a d. un fianco del palazzo dell'Istituto Poligrafico e Zecca (1911); oggi Scuola dell’Artte della Medagli, termina in piazza Pepe, qualificata dalle sei maestose arcate in laterizio (c. 226) dell'acquedotto che alimentava i trofei di Mario (v. sopra); a d. è la facciata del teatro Jovinelli, eretto nel 1909 in vistose forme liberty e oggi in abbandono. Si piega a d. in via Giolitti, incontrando a sin., in un contesto sconvolto dal terrapieno ferroviario e dagli edifici della stazione di Termini S. BIBIANA. Un'antica tradizione vuole che la chiesa sia stata costruita dalla matrona romana Olimpina sulla casa dove avrebbero subito il martirio, durante la presunta persecuzione dell'imperatore Giuliano (361-363), Bibiana martire assieme alla madre Dafrosa e alla sorella Demetria. Secondo il Liber Pontificalis invece, la chiesa fu costruita sotto il pontificato di papa Simplicio (467). Papa Leone II (682-683) vi trasferì le reliquie dei martiri Simplicio, Faustino e Viatrice dalle catacombe di Generosa. L'edificio fu restaurato da papa Onorio III (1224): in questa occasione il papa fece erigere accanto alla chiesa un monastero femminile, occupato fino alla metà del XV secolo, e poi distrutto da Urbano VIII, che ordinò il rifacimento completo R. XV ESQUILINO | 19
della chiesa in occasione del Giubileo del 1625 (come ricordano
le iscrizioni sulle porte d'ingresso) sotto la direzione di Gian Lorenzo Bernini. I suoi interventi consistettero nel rifacimento della facciata, nella costruzione di due cappelle, nella chiusura delle finestre della navata centrale e nella costruzione del nuovo presbiterio in luogo dell'antica abside; al Bernini si deve anche la statua della santa. Sul portico a tre arcate tra paraste ioniche (triplicate al centro) della facciata si imposta la loggia centrale, inquadrata dal nicchione rettangolare - a sua volta sormontato da timpano - e fiancheggiata da due ali, a coronamento orizzontale con balaustra, ognuna aperta da una finestra; le recenti modifiche (soppressione della breve scalinata alla base, eliminazione dello stemma papale nel timpano e tamponamento della loggia) ne hanno alterato l'immagine. Dall'atrio, con portali di tipo tardo-manieristico, si accede all'interno, a tre navate divise da otto colonne di spoglio, con capitelli corinzi e compositi tardo-antichi sui quali corre la trabeazione - che conserva l'impianto della costruzione di Onorio III (1224). A sin. del portale centrale è la colonna tradizionalmente ritenuta del martirio della santa; gli angeli musicanti in controfacciata sono di Agostino Ciampelli. Alle pareti della nave centrale (1624), episodi della vita di S. Bibiana di A. Ciampelli (d.) e di Pietro da Cortona (sin.). L'altare maggiore, su disegno di Bernini, racchiude una preziosa vasca di alabastro di età costantiniana che accoglierebbe i resti delle tre martiri: nell'edicola, statua di S. Bibiana di Bernini (1624-26) che raffigura la santa appoggiata alla colonna del supplizio e reggente la palma, simbolo del martirio. La pala della cappella a destra dell'abside: S. Dafrosa, è del da Cortona e quella della cappella a sinistra è del Ciampelli: S. Demetria. Le cappelle che si aprono nelle navatelle furono costruite a fine '600 (sin.) da Vincenzo Pacetti: all'altare una pala di Giacomo Verona con Santa Geltrude in estasie e nel 1702 (d.), per la famiglia Petroni: la pala dell'altare raffigura Santi in venerazione dell'immagine della Madonna col Bambino, attribuita a Girolamo Stroppa (1637-1705), discepolo di Pietro da Cortona. 20 | R. XV ESQUILINO
VIA TIBURTINA: ->
TEMPIO DI MINERVA MEDICA. L'edificio non è un
tempio, come fu erroneamente creduto per lungo tempo, ma un ninfeo, oppure una sala triclinare entro il recinto d'una lussuosa residenza extraurbana che occupava in antico la zona corrispondente probabilmente al complesso degli Horti Liciniani. Il padiglione consiste in una vasta sala a pianta decagonale coperta da una cupola sostanzialmente emisferica ma con centro ribassato, che - con il suo diametro di 25 metri - è la terza a Roma per dimensioni, dopo il Pantheon e le Terme di Caracalla. Su nove lati del perimetro si aprono delle nicchie semicircolari, non tutte conservate, che sporgono esternamente e che forse ospitavano statue, mentre sul decimo lato, a nord, si trova l'ingresso sovrastato da un arco a tutto sesto. In tal modo la cupola appoggia sostanzialmente su dieci pilastri posti ai vertici del decagono. I muri perimetrali sono in opus latericium e risalgono, da un'analisi dei bolli dei mattoni, all'epoca di Massenzio e di Costantino. Alcune strutture accessorie in opus vittatum con alternanza di mattoni e tufelli, conservate per un'altezza di circa un metro, risalgono probabilmente ad una fase costruttiva poco posteriore e costituiscono le testimonianze materiali superstiti di un nucleo edilizio annesso alla grande sala (vano biabsidato a nord, grande esedra a est), oltre che d'un intervento di consolidamento strutturale della cupola di poco successivo alla sua costruzione (due contrafforti esterni a sud). I collegamenti con il resto del complesso dovevano avvenire tramite alcune delle nicchie che in origine erano aperte da colonnati. Sopra gli arconi delle nicchie si trova il tamburo decagono con contrafforti negli angoli e dieci finestroni. La forma decagonale passa in modo impercettibile, tramite una piccola cornice, al perimetro circolare della cupola, solo in parte conservata, che è realizzata con l'impiego di calcestruzzo ad alta specializzazione disposto con stratificazione orizzontale e progressivamente alleggerito con caementa di pomice in R. XV ESQUILINO | 21
corrispondenza del cervello della volta. La struttura presenta,
inoltre, nervature radiali in laterizio a scopo di generale irrobustimento e ripartizione dei carichi, mentre l'esistenza di un occhialone (oculus) al cervello della cupola è solo ipotetica. La cupola era originariamente rivestita da mosaici in pasta vitrea, poi ricoperti da un sottile strato d'intonaco; sui pavimenti erano mosaici e opus sectile realizzato con porfido ed altri vivaci marmi colorati, mentre le pareti, movimentate da elementi di decorazione architettonica quali trabeazioni, lesene e colonne forse d'ordine corinzio, erano rivestite con lastre di marmo (crustae) allettate nella classica preparazione di malta e frammenti di coccio (cocciopesto). L'esterno della cupola è costituito da cinque gradoni in pietra e tufo. Le statue e altri reperti archeologici rinvenuti nell'area dell'edificio costituiscono oggi un importante nucleo scultoreo all'interno dei MUSEI CAPITOLINI nella sede della CENTRALE MONTEMARTINI: un Dionisio con pantera, un satiro danzante, una fanciulla seduta e i due magistrati rappresentati nell'atto di dar inizio alle gare, nei quali un'ipotesi molto suggestiva riconosce Quinto Aurelio Simmaco e suo figlio Memmio. Nel corso del Rinascimento il monumento fu oggetto d'interesse da parte di diversi architetti (Giuliano da Sangallo, Baldassarre Peruzzi, Sallustio Peruzzi e Palladio), che lo disegnarono indicandolo come modello per alcuni progetti fiorentini, in particolare quelli della rotonda della basilica della Santissima Annunziata e della Rotonda di Santa Maria degli Angeli di Filippo Brunelleschi, che avesse studiato l'edificio durante i suoi viaggi a Roma proprio per escogitare il modo di costruire la cupola di Santa Maria del Fiore.
Gli Horti Liciniani erano dei giardini situati sul colle
Esquilino, tra la via Labicana e la via Prenestina, a ridosso delle Mura aureliane. Confinavano a nord con gli Horti Tauriani e ad ovest con gli Horti Pallantiani e gli Epaphroditiani. Le fonti letterarie antiche non consentono di definire con esattezza i confini topografici di questi horti e gli edifici che ne facevano parte. 22 | R. XV ESQUILINO
Essi presero il nome dalla gens Licinia che li possedeva.
Nel III secolo furono di proprietà dell'imperatore Licinio Gallieno (253-268), che li mise in comunicazione con i vicini Horti Tauriani e vi realizzò una lussuosa residenza imperiale extraurbana, ricordata come Palatium Licinianum in documenti del IV e V secolo, da localizzarsi presso la chiesa di Santa Bibiana. Doveva trattarsi di un complesso di edifici che permetteva all'imperatore di ospitare l'intera corte e che comprendeva sale per banchetti e piscine. I giardini dovettero mantenere a lungo la proprietà imperiale e la loro destinazione d'uso, se nel primo ventennio del IV secolo vi sorse il cosiddetto tempio di Minerva Medica che, con i suoi annessi solo in minima parte conservati, doveva essere utilizzato per funzioni di rappresentanza e di svago all'interno del complesso (specus aestivus). Allo stesso periodo e al complesso di questi horti è generalmente attribuito un grande mosaico pavimentale con scene di caccia, rinvenuto presso la chiesa di Santa Bibiana. Esso apparteneva ad una struttura porticata, la cui datazione confermerebbe per gli Horti Liciniani una grandiosa fase costruttiva successiva a quella del periodo di Gallieno. Nell'area sono stati rinvenuti vari reperti artistici e a conferma del vasto corredo decorativo che doveva caratterizzare gli Horti Liciniani. La tumultuosa espansione edilizia per la realizzazione del nuovo quartiere Esquilino, che ha consentito qualche notevole ritrovamento, ha in seguito reso impossibili ulteriori indagini archeologiche estensive. Tra i reperti recuperati in tale frangente vanno ricordati due splendide statue di magistrati nell'atto di lanciare la mappa per dare inizio alle gare nel Circo, ora ai Musei Capitolini nella sede della Centrale Montemartini. Percorrendo la via Pietro Micca, che si stacca a d. di via Giolitti in corrispondenza del tempio (i palazzi che vi affacciano sono un esempio di edilizia popolare estensiva di inizi '900), e voltando a d. in via di Porta Maggiore, che riprende il tratto urbano dell'antica via Labicana, si raggiunge viale Manzoni, concepito con il piano regolatore del 1873, che ricalca parte del percorso di origine classica dal Colosseo a porta Maggiore. Lungo di esso si prosegue, incrociando a sin. via Luzzatti; al N. 213 di questa è l'accesso all'ipogeo degli Aureli (visite limitate R. XV ESQUILINO | 23
agli studiosi, con permesso speciale della Pontificia
Commissione di Archeologia Sacra), scoperto nel 1919: le pitture, databili alla prima metà del sec. III, che decorano l'interno sono ispirate al sincretismo pagano-cristiano (medaglioni col Buon Pastore, Ritorno di Ulisse a Itaca, Gerusalemme celeste ecc.). Poco oltre il viale Manzoni incrocia il rettifilo della strada Felice (all'angolo d. è l'Istituto tecnico industriale "Galileo Galilei", su progetto di Marcello Piacentini): il tratto di sin., lungo il quale si prosegue, ha il nome di via di S. Croce in Gerusalemme, dalla basilica cui conduce (ne è visibile, al fondo, il portale), ed è fiancheggiato a d. dagli anonimi intensivi che negli anni '60 hanno sostituito le casette a schiera degli inizi del sec. XX e a sin. da villini dei primi anni '20. PORTA MAGGIORE. La porta erano in realtà due da cui uscivano le Vie Prenestina e Labicana (poi Casilina), ricavate da altrettanti archi degli acquedotti Claudio e dell'"Anio Novus" entrambi iniziati da Caligola nel 38 e terminati da Claudio nel 52, il primo alimentato dalle sorgenti Cerutea e Curzia lungo l'antica via Sublacense, il secondo captato dell'Aniene poco più a monte. Di poderosa architettura in opus quadratum di travertino con i blocchi in bugnato rustico (non finito) secondo lo stile dell'epoca, la porta ha due fornici che sono fiancheggiati da edicole con semicolonne corinzie aperte da archi minori e sono sormontati da un imponente attico, contrastante per la superficie liscia, dove - sul fronte prospiciente piazzale Labicano - sono scolpite le iscrizioni ancora leggibili (ripetute su entrambi i lati della porta) di Claudio, quella più in alto, sul condotto dell’Anio Novus (52) e dei restauratori degli acquedotti, gli imperatori Vespasiano, quella centrale (71), e Tito, quella inferiore (81). TI. CLAVDIVS DRVSI F. CAISAR AVGVSTVS GERMANICVS PONTIF. MAXIM. TRIBVNICIA POTESTATE XII COS. V IMPERATOR XXVII PATER PATRIAE AQVAs CLAVDIAM EX FONTIBVS QVI VOCABANTVR CAERVLEVS ET CVRTIVS A MILLIARIO XXXXV ITEM ANIENEM NOVAM A MILLIARIO LXII SVA IMPENSA IN VRBEM PERDVCENDAS CVRAVIT 24 | R. XV ESQUILINO
IMP. CAESAR VESPASIANVS AVGVST. PONTIF.
MAX. TRIB. POT. II IMP. VI COS. III DESIG. IIII P. P. AQVAS CVRTIAM ET CAERVLEAM PERDVCTAS A. DIVO CLAVDIO ET POSTEA INTERMISSAS DILAPSASQVE PER ANNOS NOVEM SVA IMPENSA VRBI RESTITVIT
IMP. T. CAESAR DIVI F. VESPASIANVS AVGVSTVS
PONTIFEX MAXIMVS TRIBVNIC. POTESTATE X IMPERATOR XVII PATER PATRIAE CENSOR COS. VIII AQVAS CVRTIAM ET CAERVLEAM PERDVCTAS A. DIVO CLAVDIO ET POSTEA A, DIVO VESPASIANO PATRE SVO VRBI RESTITVTAS CVM A. CAPITE QVARVM A. SOLO VETVSTATE DILAPSAE ESSENT NOVA FORMA REDVCENDAS SVA IMPENSA CVRAVIT Desta una certa perplessità notare che nell'arco di soli trent'anni dalla sua costruzione la struttura richiese ben due interventi di ristrutturazione e che, per di più, il restauro di Vespasiano (19 anni dopo) pose fine a ben 9 anni di inattività dell'acquedotto a causa di guasti. E solo altri 11 anni furono sufficienti perché si rendesse necessario un altro intervento da parte di Tito. Successivamente quello che era un semplice arco monumentale divenne una vera porta, venendo inglobata nel tracciato delle Mura aureliane costruite intorno alla città dall'imperatore Aureliano nella seconda metà del III secolo ed assunse il nome di Porta Praenestina o Labicana. Fu fortificata ai tempi dell'imperatore Onorio, il quale, nel 402, avanzò le due aperture verso l'esterno e fece costruire un bastione davanti alla porta vera e propria, suddividendola in due porte distinte, la Praenestina a destra e la Labicana a sinistra (che sarà chiusa subito dopo), che erano rinforzate, a scopo soprattutto difensivo, da torri quadrate poste ai lati e da un bastione cilindrico al centro, costruito sui resti del "Panarium" (tomba di Eurisiace), ed erano sormontate da finestrelle ad arco, quattro sulla R. XV ESQUILINO | 25
Praenestina e cinque sulla Labicana. Si trattava però di una
struttura decisamente asimmetrica e priva di equilibrio architettonico, difetti quasi certamente dovuti ai diversi livelli delle due strade (la Labicana era più in basso), per cui le torri erano disallineate e le finestre, con le relative camere di manovra, fuori piano. La datazione dei lavori onoriani sulla porta è comunque certificata da un'iscrizione (visibile anche su Porta Tiburtina) posta all'estrema sinistra del piazzale Labicano (quindi sul lato esterno della porta), dove è rimasta una delle cortine onoriane. L'iscrizione, oltre alle consuete lodi per gli imperatori Arcadio ed Onorio, riporta, come curatore dell'opera, il nome di Flavio Macrobio Longiniano, prefetto di Roma nel 402 « S. P. Q. R. IMPP. CAESS. DD. NN. INVICTISSIMIS PRINCIPIBVS ARCADIO ET HONORIO VICTORIBVS AC TRIVMPHATORIBVS SEMPER AVGG. OB INSTAVRATOS VRBI AETERNAE MVROS PORTAS AC TVRRES EGESTIS IMMENSIS RVDERIBVS EX SVGGESTIONE V[iri] C[larissimi] ET INLUSTRIS MILITIS ET MAGISTRI VTRIVSQ[ue] MILITIAE FL[avii] STILICONIS AD PERPETVITATEM NOMINIS EORVM SIMVLACRA CONSTITVIT CVRANTE FL[avio] MACROBIO LONGINIANO V[iro] C[larissimo] PRAEF[ecto] VRBIS D[evoto] N[umini] M[aiestati]Q[ue] EORVM « Il Senato e il Popolo di Roma appose per gli Imperatori Cesari Nostri Signori e principi invittissimi Arcadio e Onorio, vittoriosi e trionfanti, sempre augusti, per celebrare la restaurazione delle mura, porte e torri della Città Eterna, dopo la rimozioni di grandi quantità di detriti. Dietro suggerimento del distinto e illustre soldato e comandante di entrambe le forze armate, Flavio Stilicone, le loro statue vennero erette a perpetuo ricordo del loro nome. Flavio Macrobio Longiniano, distinto 26 | R. XV ESQUILINO
prefetto dell'Urbe, devoto alle loro maestà e ai divini numi curò
il lavoro » L'iscrizione risulta di un certo interesse storico anche perché contiene il nome di Stilicone, il generale romano giustiziato nel 408 perché accusato di tradimento e connivenza con il visigoto Alarico I. Il suo nome subì una damnatio memoriae e venne abraso da tutte le iscrizioni e cancellato da tutte le fonti ufficiali. Si trattò però di una damnatio parziale, perché, mentre sull'iscrizione della Porta Tiburtina il nome di Stilicone risulta essere stato eliminato, non altrettanto è accaduto su quella, identica, di Porta Maggiore.
A ridosso dell'edicola centrale è il sepolcro tardo-
repubblicano del fornaio Eurisace e di sua moglie Atinia, databile intorno al 30 a.C. è rimesso in luce nel corso della demolizione, disposta nel 1838 da papa Gregorio XVI, delle torri difensive costruite da Onorio su Porta Maggiore a Roma, al fine di ripristinare l'antico assetto risalente all'epoca aureliana, come ci tiene a precisare in un'iscrizione all'estrema sinistra. Il sepolcro è realizzato in travertino e decorato con elementi caratteristici di un forno, come sacchi e bocche di doli, consiste di un piccolo edificio a pianta trapezoidale, ha l'aspetto dei recipienti in cui veniva impastata la farina e reca, ripetuta quasi uguale sui tre lati ancora esistenti, l'epigrafe «Est hoc monimentum Marcei Vergilei Eurysacis pistoris, redemptoris, apparet[oris]» ("Questo sepolcro appartiene a Marco Virgilio Eurisace, fornaio, appaltatore, apparitore"), dalla quale si scopre che il fornaio lavorava per lo Stato, al quale forniva i suoi prodotti, e che era anche ufficiale subalterno (apparitore) di qualche personaggio di alto rango (un magistrato o forse un sacerdote). Ad ulteriori conferme della professione di Eurisace, l'urna che conteneva le ceneri della moglie (ora conservata al MUSEO DELLE TERME) ha la forma di una madia da pane e inoltre nel fregio intorno al monumento sono rappresentate tutte le fasi del procedimento di panificazione: pesatura e molitura del grano, setacciatura della farina, preparazione dell'impasto, pezzatura e infornata del pane. Sul lato orientale del piccolo edificio R. XV ESQUILINO | 27
funebre, ora perduto, trovava probabilmente posto il rilievo con i
due coniugi, che attualmente è visibile ai MUSEI CAPITOLINI. Sul basamento si trova l'iscrizione commemorativa dei lavori di restauro. Contermine a piazza di porta Maggiore è il piazzale Labicano, dal quale si imbocca la Via Casilina, seguendo le mura che, dirigendosi verso SE, riutilizzano, fino all'altezza della sopraelevata di viale Castrense, gli archi dell'"Aqua Claudia". Per un raccordo a d. si sale nel viale Castrense, che sottopassa le arcate dell'acquedotto. La cerchia forma un angolo in cui era incluso il "Sessorium" e procede, dopo un tratto munito di belle torri quadrate, verso SO, per innestarsi nella curva dell'Anfiteatro Castrense, presso S. Croce in Gerusalemme. Si interseca via Statilia, il cui tratto di sinistra corrisponde al segmento finale dell'antico percorso dal Colosseo a porta Maggiore: le superbe arcate che si innalzano nell'area verde appartengono all'acquedotto Neroniano, costruito dall'imperatore come diramazione dell'acquedotto Claudio per alimentare la DOMUS AUREA e il NINFEO DEL TEMPIO DEL DIVO CLAUDIO, prolungato da Domiziano fino al Palatino e restaurato da Settimio Severo; altri resti sono racchiusi nel giardino di villa Wolkonsky, oggi residenza dell'ambasciatore della Gran Bretagna presso il Quirinale, creata dal gusto romantico della principessa russa Zenaide che vi abitò nel 1829- 62; nel parco è anche il colombario di Tiberio Claudio Vitale della seconda metà del sec. I. 28 | R. XV ESQUILINO
Lasciato a d., entro un recinto e sotto una tettoia moderna
in angolo con via Statilia. SEPOLCRI TARDO-REPUBBLICANI Si tratta in un complesso di quattro sepolcri allineati scoperti (1916) lungo l'antica via Celimontana, e che nella versione attuale si presenta notevolmente restaurato Questi sepolcri furono, dunque, costruiti l'uno dopo l'altro, con le facciate allineate sulla strada e le celle interne incassate nel banco di tufo alle loro spalle, cosi da risultare semisotterranee; per queste caratteristiche essi possono avvicinarsi alle tombe rupestri. Il primo ad essere costruito (metà Il sec. a.C.), deve essere stato il Sepolcro Gemino (B), seguito da quello dei Quinzi (A), dal Colombario Anonimo (C) e da quello dei Cesonii (D). Alla fine dell'età repubblicana, i primi tre monumenti citati, subirono vari interventi di ricostruzione, che resero possibile un loro ulteriore utilizzo, almeno fino al I sec. d.C., come testimoniano i bolli impressi sui mattoni rinvenuti nel colombario. Tra la fine del I sec. d.C. e ’inizio del seguente, il graduale innalzamento del terreno del piano di calpestio seppellì i sepolcri, assicurandone, in tal modo. la conservazione nel tempo. R. XV ESQUILINO | 29
Il primo in ordine topografico è il sepolcro del liberto
Publio Quinzio (A), della moglie Quintia (entrambi liberti di un Tito Quinzio) e d’Agatea, liberta e concubina del propietario del sepulcro; segue la prescrizione che il sepolcro non dovesse passare agli eredi; databile intorno al 100 a .C. P. QVINTIVS.T.L LIBR / QVINCTLkT.L.VXSOR / / VINCTIA.P.L.AGATEA.LIBERTA / CONCVBNA / SEPVLCR. HEREDES / NE SEQtJATVR Il monumento, di forma parallelepipeda, è costituito da un prospetto in blocchi tufacei, alto basamento e cornice terminale (ora perduta), nel quale si apre una piccola porta inquadrata da due scudi scolpiti,di forma rotonda, che immette in un piccolo vano in parte scavato nella roccia con una piccola cella, con pareti intonacate, ed un bancone di fondo. Si sono rinvenute otto sepolture, delle quali quattro ad incinerazione, inserite in loculi, ricavati in un secondo rcn~ro nella parete di fando, al di sopra del bancone, e quattro ad inumazione, scavate direttamente nel tufo del pavimento. Delle deposizioni attribuibili agli antichi proprietari della tomba, citati nell'epigrafe, resta solamente la prima a sinistra, mentre le altre sono posteriori. Il seguente viene detto Sepolcro Gemino (B), in quanto è composto da due vani, con celle ed ingressi distinti, ma con prospetto e parete divisoria in comune. Sulla facciata, in blocchi di tufo, ai lati degli ingressi, sono inseriti lastroni di peperino e di travertino, nei quali sono ricavati i ritratti dei defunti, sotto archetti distinti, mentre le iscrizioni sono scolpite direttamente sui blocchi di tufo; un listello verticale, che riproduce una lunga lancia, divide anche otticamente le due parti del sepolcro. Sul sepolcro di sinistra sono i ritratti, rozzamente scolpiti, di tre personaggi: uno femminile velato e due virili. L'iscrizione sottostante in parte erase, appare alquanto rimaneggiata: CLODIAE.N.L.STACTE.N.CLODIVS.N.L / L NIARCR'S.L.F.PAL.ARMITRVPHO / M.ANNIVS.M.L.HILARVS / HOC MONIMENTVM HEREDES / NE SEQUATUR C.ANNAE.C.L. / PAL QVINCTIONIS 30 | R. XV ESQUILINO
I nomi appartengono a cinque liberti e discendenti di
liberti delle famiglie Clodia, Marcia ed Annia, di questi solo l'ultimo nome, Anneo Quinzione, appartiene all'iscrizione primitiva, mentre gli altri quattro furono iscritti in un secondo momento, dopo aver eraso le iscrizioni precedenti, come sembra confermato dal rapporto numerico fra i nomi ed i personaggi ritratti. Il primo nome, Clodia Stacre, corrisponde alla donna raffigurata a sinistra, mentre l'ultimo, Anneo Quinzione, alla figura virile a destra; il ritratto centrale dovrebbe, invece, identificarsi come quello di Nevio Clodio. Sul sepolcro di destra è il ritratto di due figure femminili, delle quali la seconda con il capo velato; sottostante è l'iscrizione, mutila, con i loro nomi: — ~CAE'~ lA. PLOTL~ [AJL / APOLLONIA .S. / LI. I vani del Sepolcro Gemino, che mostrano ulteriori divisioni, si presentano piuttosto devastati ed interessati da vari rimaneggiamenti successivi. Le pareti di fondo, di epoca originale, sono in opera quadrata di tufo, mentre le pareti in opera reticolata, compresa quella divisoria fra le due celle, vanno attribuite a restauri. Lungo le pareti laterali del primo sepolcro a sinistra (delle famiglie Clodia, Marcia ed Annia), si trovano tre loculi per parte con due vasi cinerari ciascuno, mentre nel vano del sepolcro di destra, senza loculi, furono rinvenuti ben quattordici vasi cinerari di terracotta, posati sulla fondazione di un muro divisorio in calcestruzzo, nel quale è stata scavata anche una tomba a fossa. Il sepolcro successivo, detto Colombario Anonimo (C), ha la facciata completamente distrutta, eccetto scarsi blocchi del basamento. Si presenta completamente rimaneggiato e, in alcuni punti, interamente ricostruito. Era diviso in due ambienti da un muro parallelo alla facciata, del quale resta solo qualche traccia, e, nell'assetto originario, non aveva sepolture lungo le pareti. Sulla parete di destra, in opera reticolata, sono tre nicchie di età posteriore, delle quali quella centrale è decorata con una conchiglia dipinta di verde-azzurro e, sottostanti a queste, si intravedono quattro R. XV ESQUILINO | 31
loculi, anch'essi di età successiva, con due vasi cinerari
ciascuno. Nella parete di sinistra, entro un muro in laterizi, si aprono altri loculi, con cinque vasi cinerari incassati, che, tuttavia, si pensa appartengano al Sepolcro Geminio adiacente. Nel pavimento era scavata, infine, una piccola sepoltura ad inumazione per bambino, coperta di tegole e con corredo costituito da un balsamario di terracotta e due sonagli di bronzo. Adiacente al colombario segue, alla sua destra, il piccolo ed elegante Sepolcro dei Cesonii (D), appartenente alla tipologia dei monumenti funebri in forma di ara, costruito in blocchi di peperino e di tufo. Del sepolcro è stata scoperta solo la facciata, che presenta, al centro, un riquadro rettangolare che conteneva un rilievo, fiancheggiato da due elementi decorativi, ora interamente perduti, e, soprastante a questo, un blocco di travertino (m. 1,37 x 0,60), nel quale è una tabella con il nome del proprietario: A. CAESONIVS A·F COL PAETVS, e dei suoi liberti, A CAESONIVS A·L PHILEMO TELGENNIA P L·PHILVMNIA, quest'ultima ancora vivente quando l'iscrizione venne incisa, conio indica la lettera V che segue il suo nome. Venne successivamente affiancato, sul lato sinistro, da un altro nucleo, che presenta, un pilastro in peperino ed un riquadro in opera reticolata che appare attraversato, all'estremità dell'architrave, da tre condutture in terracotta. Su questo quinto sepolcro, si nota la presenza di una lettera dell'alfabeto greco (theta), che si usava nell'epigrafia sepolcrale per indicare che un personagoio nominato come vivente, è, nel frattempo, morto. Alla destra si è scoperto un sesto sepolcro, del quale è visibile solo l'angolo del basamento. Si costeggiano sul lato opposto i blocchi uniformi delle case della Cooperativa Ferrovieri (realizzati fra il 1905 e il 1908), sboccando nella piazza di S. Croce in Gerusalemme. S. CROCE IN GERUSALEMME L'area dove sorse la chiesa fu occupata nella prima metà del sec. III da una villa imperiale, iniziata da Settimio Severo e compiuta da Elagabalo, che comprendeva, oltre al palazzo 32 | R. XV ESQUILINO
imperiale ("Sessorium", da "sedeo", risiedere), un piccolo
anfiteatro e un circo; agli inizi del secolo successivo il "palatium Sessorianum" fu residenza privata dell'imperatrice Elena, madre di Costantino, che probabilmente dedicò al culto cristiano un ambiente dell'edificio: qualche decennio più tardi un atrio di questo fu trasformato in basilica cristiana (da qui i nomi di Basilica Eleniana o Sessoriana). L'aula rettangolare (c. m 36.50 x 22), in origine aperta sui lati maggiori da archi su pilastri che furono murati per isolarla dal complesso, fu suddivisa in tre navate longitudinali e dotata di nartece, del campanile e di un chiostro da Lucio II (1144), e modificata nel '400 e nel '500; il complesso ebbe l'aspetto definitivo sotto Benedetto XIV (1743), quando Domenico Gregorini e Pietro Passalacqua trasformarono la navata centrale e sostituirono il nartece con un atrio ellittico sul quale fu apposto il nuovo prospetto di travertino. La facciata, uno dei capolavori del barocchetto romano, esplode, tra le ali 'neutre' del convento, col suo impianto concavo-convesso di ascendenza borrominiana, a ordine unico di paraste corinzie, e culmina, oltre il timpano curvilineo, nell'aereo fastigio tra le statue degli evangelisti, Elena e Costantino. L'atrio ellittico, composto da un vano centrale con cupoletta, delimitato da pilastri affiancati dalle colonne del precedente nartece, e da un ambulacro anulare. Sulla d. si leva il campanile romanico in laterizio, con quattro piani di bifore accoppiate, del tempo di Lucio II. L'interno è suddiviso in tre navate da 12 antiche e colossali colonne di granito, quattro delle quali furono inglobate nei pilastri della trasformazione settecentesca; a questo intervento si debbono le paraste che interrompono il ritmo della trabeazione, la ricca decorazione a stucchi e il soffitto ligneo voltato a botte, nel quale si aprono i sei lunettoni in sostituzione delle finestre originali (al centro, la Vergine presenta S. Elena e Costantino alla Trinità, tela di Corrado Giaquinto, 1744). Il pavimento cosmatesco è stato restaurato nel 1933. Ai lati dell'ingresso principale, due acquasantiere marmoree di fine sec. XV. R. XV ESQUILINO | 33
NAVATA DESTRA. 2a altare (4): S. Bernardo umilia
l'antipapa Vittore IV a Innocenzo II di Carlo Maratta (1660-65). 3a (5): Visione della madre di S. Roberto di Raffaello Vanni. Per una cordonata di fine '400 si scende alla CAPPELLA DI S. ELENA (6), di fondazione costantiniana: nella volta, mirabile *mosaico (al centro Gesù benedicente con attorno gli evangelisti; negli spazi tra gli ovali, quattro storie della Croce; nei sottarchi, santi e simboli della Passione), rifacimento rinascimentale, attribuito a Melozzo da Forlì (c. 1484) o a Baldassarre Peruzzi (c. 1510), dell'originale di Valentiniano III. All'altare, statua romana trasformata in S. Elena con l'aggiunta della croce e il rifacimento della testa e delle braccia. Sotto il pavimento sarebbe sparsa la terra del Calvario, che la santa avrebbe portato con le reliquie della passione di Gesù (da qui l'appellativo in Gerusalemme). L'adiacente CAPPELLA GREGORIANA (7) fu costruita dal cardinale Carvajal nel 1520: all'altare, rilievi con Pietà (inizi sec. XVII). Per un'altra cordonata si sale nuovamente al presbiterio, dov'è l'ingresso alla CAPPELLA DELLE RELIQUIE (per la visita rivolgersi in sagrestia), inaugurata nel 1930 e completata nel 1952: vi sono custodite le reliquie della Santa Croce (tre pezzi del legno in un reliquiario di Giuseppe Valadier, un chiodo e parte del titolo); in un vano adiacente (rivolgersi al sagrestano) sono gli *affreschi (metà sec. XII) che ornavano la parte superiore delle pareti della navata centrale, scoperti nel 1913, staccati e restaurati nel 1968, nonché una Crocifissione di scuola giottesca e due statuette dei Ss. Pietro e Paolo di scuola francese del '300. PRESBITERIO. Ciborio settecentesco (2), con fastigio marmoreo e angeli in bronzo dorato, posto sulle colonne di quello del 1148. Sotto l'altare maggiore, urna di basalto, con protomi leonine, racchiudente i corpi dei Ss. Cesarco e Anastasio. Nella volta, Apparizione della Croce del Giaquinto (c. 1744). ABSIDE. *Sepolcro del cardinale Francesco Quinones (1536; 3) di Jacopo Sansovino; al di sopra, tabernacolo in marmo e bronzo dorato su disegno di Carlo Maderno (a d. statua 34 | R. XV ESQUILINO
di David, a sin. Salomone); ai lati, affreschi del Giaquinto
(1749-51) raffiguranti Il serpente di bronzo e Mosè fa scaturire l'acqua dalla rupe; tra quest'ultimo e A tabernacolo, sepolcro del cardinale Bernardino Carvajal, del 1523 ma di forme quattrocentesche. Nel semicatino, *Invenzione della Santa Croce per opera di S. Elena e suo recupero per opera di Eraclio e, nell'alto, Cristo benedicente tra cherubini, affresco attribuito ad Antoniazzo Romano (c. 1492). NAVATA SINISTRA. 3° altare (8): S. Silvestro e Costantino di Luigi Garzi (1675). 1° (9): Incredulità di S. Tommaso di Giuseppe Passeri (c. 1675). Del vasto convento, fondato da Benedetto VII (c. 980) in parte sull'Anfiteatro Castrense (v. pag. 655) e ampliato nel '500 dal cardinale Carvajal e nel 1743 da Benedetto XIV, restano il bellissimo SALONE DELLA BIBLIOTECA SESSORIANA (Sebastiano Cipriani, 1724), con volta affrescata da Giovanni Paolo Pannini (1724-27), e il monumento a Benedetto XIV di Carlo Marchionni (1743). L'area a sin. della basilica, espropriata dopo il 1870 e occupata dalla caserma "Principe di Piemonte", accoglie tre istituzioni: H Museo storico della Fanteria (ingresso al N. 9; visita: feriali ore 9-13), sistemato nel 1959, con rassegna documentaria dall'epoca preromana al Risorgimento e alle due guerre mondiali Il museo è suddiviso in tre settori: armi, bandiere ed uniformi e si compone in biblioteca ed archivio storico, sacrario, 35 sale con 5 gallerie ed androni. I vari reparti spaziano in vari settori, tra cui: in varie specializzazioni militari (specialità dell'arma e specialità coloniali), guerre prima e seconda guerra mondiale ed armeria. Inoltre il museo consta di varie donazioni ed acquisti, pitture, disegni e sculture tra cui la statua del "Partente" di B. Poidimani sita al pianoterra ed il "Redentore sulla croce" di Edmondo Furlan sita nel sacrario.[1] (nel retrostante giardino sono i grandiosi resti del cosiddetto tempio di Venere e Cupido dell'età di Massenzio e quelli, rinvenuti nel 1959, del Circo Variano, eretto da Elagabalo); R. XV ESQUILINO | 35
il *Museo degli Strumenti Musicali (ingresso al N. 9A;
la visita, guidata, è effettuabile nei giorni feriali dalle ore 9 alle 14), istituito nel 1974, che raccoglie c. 3000 pezzi dall'antichità a tutto il sec. XIX in gran parte provenienti dalla collezione di Evan Gorga (spiccano una tromba del 1461, "cornamuti torti" del 1524, il clavicembalo costruito a Lipsia da Hans Múller nel 1537, l'arpa Barberini e il *pianoforte di Bartolomeo Cristofori costruito nel 1722); il Museo storico dei Granatieri di Sardegna (ingresso al N. 8; visita: martedì, giovedì e sabato ore 10-12), che espone cimeli, ricordi e documenti storici, dipinti, sculture e armi della brigata dal 1659 al 1945. Il museo si suddivide in 15 sale che contengono armi di varia provenienza, sia italiana sia straniera, nonché materiale fotografico relativo alla Grande Guerra, le motivazioni delle assegnazioni delle medaglie d'oro al valor militare conferite ai granatieri, planimetrie dei luoghi ove essi combatterono, bandiere e oggetti personali donati dai granatieri stessi o dalle loro famiglie. Inoltre sulle pareti sono incisi a lettere d'oro i nomi di 8.500 granatieri caduti in tutte le guerre. L'itinerario si sviluppa illustrando i periodi più significativi della storia del corpo militare, partendo dalla sua fondazione avvenuta nel 1659 fino al 1870. Esso prosegue nei ricordi storici delle guerre coloniali di Eritrea (1896) e Libia (1911-1912), mentre la sala d'armi conserva esemplari di armi strappate al nemico durante la Prima guerra mondiale e cimeli delle campagne di Albania, Grecia e Jugoslavia. L'itinerario prosegue nella sala riservata alla guerra di Spagna (1936-1939) e Jugoslavia (1941-1943) ed in quella che conserva la memoria della partecipazione dei granatieri alla Resistenza. Al primo piano è il salone d'onore dedicato ai regnanti della Casa Savoia, sostenitori del corpo dei granatieri sin dalla sua istituzione. Due sale dedicate alla guerra italo-etiopica, una sala dedicata al tenente Guido Zanetti ed una riservata alle bandiere di guerra del corpo completano il museo. 36 | R. XV ESQUILINO
A destra, L'ANFITEATRO CASTRENSE. Viene citato con
questo nome (in latino amphitheatrum castrense) nei Cataloghi regionari dove ci si riferisce probabilmente a castrum come residenza imperiale: il nome sarebbe quindi da tradurre come "anfiteatro di corte", legato al Palazzo Sessoriano (o Sessorium), di cui faceva parte anche l'edificio su cui oggi sorge la Basilica di Santa Croce in Gerusalemme. Fu costruito probabilmente insieme al resto del complesso residenziale imperiale all'epoca di Eliogabalo e restò in uso fino alla costruzione delle Mura aureliane, che lo tagliarono a metà e lo trasformarono in bastione avanzato, tramite la tamponatura degli archi della facciata, fatto cui deve la sua parziale conservazione (nel sec. XVI, per ordine di papa Paolo IV, per ragioni difensive venne ridotto al solo primo piano, dai tre conservatisi fino allora). Di forma ellittica (asse maggiore di 88 m e asse minore di 75,80 m), presenta attualmente in vista parte delle fondazioni (in cementizio con caementa in basalto), a causa dell'abbassamento del piano di campagna circostante, mentre l'elevato è in opera laterizia. La facciata esterna aveva tre ordini: il primo presentava arcate, inquadrate da semicolonne, il secondo arcate, chiuse da bassi parapetti, inquadrate da lesene e il terzo un attico con finestre ripartito da lesene. Superiormente vi si trovavano probabilmente mensole in travertino per sostenere i pali del velarium. Sui tre ordini semicolonne e lesene avevano capitelli corinzi ed erano realizzate interamente in mattoni, come il resto della struttura, fatto piuttosto raro per edifici di questo tipo, costruiti solitamente in pietra. All'interno, i gradini della cavea dovevano essere sorretti da ambulacri con volte a botte, sovrapposti come gli ordini della facciata. Ambienti sotterranei erano ricavati sotto l'arena, i cui resti furono visti in scavi settecenteschi. A ridosso dell'Anfiteatro Castrense e presso i fornici aperti nelle mura Aureliane è l'oratorio di S, Maria del Buon Aiuto (nel 1992 in restauro), eretto da Sisto IV nel 1476, nel cui interno è un affresco riportato con Madonna col Bambino attribuito ad Antoniazzo Romano. R. XV ESQUILINO | 37
La chiusura al traffico del secondo tratto di viale
Castrense, lungo il quale la cortina originaria presenta consistenti integrazioni moderne (tra le quali quelle dovute all'incongruente utilizzo come deposito dell'ATAC), obbliga a un percorso segnalato per via S. Severo e via La Spezia fino a piazzale Appio, dove si apre la porta S. Giovanni, sullo sfondo dell'omonima basilica. Punto di partenza della Via Appia Nuova, fu eretta da Jacopo Del Duca per volere di Gregorio XIII nel 1574 e ha un aspetto poderoso sottolineato dalle paraste a bugnatura dentata, con una testa di moro nella chiave dell'arco; il restauro degli anni '70 ha ripristinato i balaustri ai lati dell'iscrizione. Essa sostituì la più antica porta Asinaria, che si scorge a sin. a un livello sensibilmente più basso, segnata da due torrioni semicilindrici; in origine era un ingresso secondario, privo di torri, da cui usciva la romana via Asinaria, cui Onorio aggiunse la controporta e le due torri, a due piani di monofore. Chiusa e parzialmente interrata nel 1409, è stata liberata e restaurata nel 1954. Contermine a piazza di S. Giovanni in Laterano è piazza di Porta S. Giovanni, così detta dall'apertura nelle mura Aureliane (v. pag. 655), su cui domina l'imponente facciata di * S. Gìovanni in Laterano. Sulla piazza, a d. dell'imbocco di viale Carlo Felice (in fondo è la basilica di S. Croce in Gerusalemme: v. pag. 501) e in rapporto simbolico con la basilica di S. Giovanni, è l'arioso monumento a S. Francesco d'Assisi con figure bronzee del santo e dei primi seguaci (Giuseppe Tormini, l927). S. Gìovanni in Laterano (propriamente del SS. Salvatore e dei Ss. Giovanni Battista e Giovanni Evangelista), la cattedrale di Roma. Gli scavi del 1877-78 e del 1934-38 hanno riportato in luce, sotto la basilica, resti di una domus del sec. III e di un'altra, del sec. I, che nel successivo fu sostituita dalla seconda caserma della guardia a cavallo dell'imperatore ("Castra Nova Equitum Singularium"); tale edificio venne tagliato da Costantino per la costruzione (c. 313-318) della basilica, il cui schema era simile a quello dell'antica S. Pietro. Danneggiata e restaurata più volte, 38 | R. XV ESQUILINO
nel '400 ebbe l'interno affrescato da Gentile da Fabriano e dal
Pisanello; Sisto V aggiunse la loggia delle Benedizioni e Clemente VIII fece ridecorare il transetto; Francesco Borromini rimodellò, per incarico di Innocenzo X, le cinque navate. La facciata in laterizio, rifatta da Alessandro III nella seconda metà del sec. XII, sopravvisse fino al 1732 quando, in seguito a concorso, venne sostituita dall'attuale, opera di Alessandro Galilei; a Leone XIII risale invece la barbara ricostruzione dell'abside costantiniana, unico elemento antico rimasto intatto. La grandiosa, solenne facciata del Galilei (1732-35) è a un ordine colossale di paraste e semicolonne corinzie sorreggente la trabeazione con timpano centrale e balaustra coronata da 15 statue di Cristo, dei Ss. Giovanni Battista ed evangelista e dei dottori della Chiesa. All'interno dell'ordine la facciata è svuotata in basso dal portico architravato e in alto dalla loggia ad arcate, in una trascrizione neopalladiana dell'invenzione cortonesca di S. Maria in via Lata. Per uno dei cinque varchi si entra nel portico del Galilei (pianta, 1), con volta a botte ribassata ornata di lacunari e, al centro, dallo stemma di Clemente XII. La porta mediana ha preziosi *battenti in bronzo provenienti dalla Curia ma trasformati attorno al 1660 con l'aggiunta delle fasce di contorno (sterrani di Alessandro VII) per adattarli alle dimensioni dell'apertura attuale; l'ultima a d. è la Porta Santa, aperta solo negli anni giubilari. A sin. statua di Costantino dalle terme erette dall'imperatore sul Quirinale; sopra di questa e sulle porte (quella sul lato d. del portico dà accesso al Museo Storico Vaticano: v. pag. 273), altorilievi marmorei (storie della vita del Battista) di Filippo Della Valle, Bernardino Ludovisi, G.B. Maini e Pietro Bracci. Lungo in 130, l'interno, basilicale a cinque navate già divise da colonne, con transetto Poco sporgente e abside, si presenta ora nel rifacimento di Borromini (1646-50 e 1656-57; inattuato restò il progetto di copertura a volta nervata), cui si debbono le sistemazioni dei più antichi monumenti funebri e le cappelle laterali (la 1a e l'ultima dell'estrema navata d.; la 2a e la 5a di quella sin.). Il sontuoso soffitto della NAVATA MEDIANA, disegnato forse da Pirro Ligorio (gli ornati sono di Daniele da Volterra), fu iniziato nel 1562, ultimato nel 1567 sotto Pio V, cui R. XV ESQUILINO | 39
si deve la doratura, e restaurato da Pio VI (stemma). Il
pavimento, di tipo cosmatesco, presenta il motivo della colonna gentilizia di Martino V. Contro i pilastri della navata spiccano 12 edicole, su disegno di Borromini, con colonne di verde antico e timpano fregiato dalla colomba pamphilia, dentro le quali furono collocate prima del 1718 colossali *statue di apostoli; al di sopra delle edicole, scene M Vecchio (sin.) e del Nuovo Testamento (d.), altorilievi in stucco (1650) disegnati da Alessandro Algardi ed eseguiti in parte dallo stesso (Cacciata dal Paradiso terrestre, Battesimo, Crocifissione e Risurrezione di Gesù) in parte da Antonio Raggi e Giovanni Francesco Rossi; più in alto, entro cornici ovali, profeti (c. 1718): lungo il lato d. della navata, S. Taddeo di Lorenzo Ottoni (sopra, Nahum di Domenico Maria Muratori), S. Matteo di Camillo Rusconi (sopra, Giona di Marco Benefial), S. Filippo di Giuseppe Mazzuoli (sopra, Amos di Giuseppe Nasini), S. Tommaso di Pierre Legros (sopra, Osea di Giovanni Odazzi), S. Giacomo maggiore del Rusconi (sopra, Ezechiele di Giovanni Paolo Melchiorri), S. Paolo di Pierre Etienne Monnot (sopra, Geremia di Sebastiano Conca); lungo quello sin., S. Pietro del Monnot (sopra, Isaia di Benedetto Luti), S. Andrea del Rusconi (sopra, Baruch di Francesco Trevisani), S. Giovanni evangelista del Rusconi (sopra, Daniele di Andrea Procaccini), S. Giacomo minore di Angelo de Rossi (sopra, Gioele di Luigi Garzi), S. Bartolomeo del Legros (sopra, Abdia di Giuseppe Chiari), S. Simone di Francesco Moratti (sopra, Michea di Pier Leone Ghezzi). In fondo alla navata, sotto il grande arco, pregevole tabernacolo ogivale (2), di tarda derivazione da Arnolfo di Cambio, eretto da Giovanni di Stefano per Urbano V nel 1367: è ornato all'esterno da 12 riquadri in affresco attribuiti a Barna da Siena (1367-68) e ritoccati da Antoniazzo Romano e da Fiorenzo di Lorenzo; in alto, custodie d'argento racchiudono le reliquie delle teste degli apostoli Pietro e Paolo. Sotto il tabernacolo, l'altare papale (solo D pontefice può dirvi messa), restaurato nel 1851; nella parte superiore, dietro le roste di legno dorato, è conservato l'altare ligneo dove si dice officiassero i primi papi; alla base dell'altare, entro il recinto della confessione, *sepolcro di Martino V, con lastra tombale bronzea, finissimo lavoro di Simone Ghini (1443). 40 | R. XV ESQUILINO
NAVATA ESTREMA DESTRA. All'inizio, a d. (3),
monumento del cardinale Paolo Mellini (m. 1527) sormontato da un affresco frammentario (Madonna con Bambino) di ambito melozzesco. 1a cappella (Orsini; 4): Immacolata, affresco di Placido Costanzi (1729). Tra la 1a e la 2a cappella, monumento del cardinale Giulio Acquaviva (m. 1574; 5): le statue della Prudenza e della Temperanza appartenevano al monumento De Chaves (v. sotto). 2a (Torlonia; 6), ultima cappella gentilizia romana, opera di tardo gusto neoclassico (Quinfiliano Raimondi, 1830-50): sopra l'altare, con paliotto di malachite e lapislazzuli, Deposizione, altorilievo di Pietro Tenerani (1844); alle pareti, monumenti funebri del duca Giovanni (d.) e di Anna Torlonia (sin.), e statue di Virtù di Filippo Gnaccarini, Achille Stocchi, Vincenzo Gaiassi e Bartolomeo Bezzi. Tra la 2a e la 3a cappella, sopra una finestra a grata (7), statuetta di S. Giacomo, resto dell'altare De Pereriis attribuito ad Andrea Bregno (1492). 3a (Massimo; 8), di Giacomo Della Porta (1564-70): Crocifissione, tavola del Sermoneta. (1575). Seguono la tomba cosmatesca del cardinale Casati da Milano (1287; 9) e il sepolcro del cardinale Antonio Martino De Chaves detto il cardinal di Portogallo (1447; 10), con sculture di Isaia da Pisa. NAVATA INTERMEDIA DESTRA. 5° pilastro (11): tomba del cardinale Ranuccio Farnese (m. 1565) su disegno del Vignola. 4° (12): sepolcro di Sergio IV (1012). 3° (13): sepolcro di Alessandro III (m. 1181). 2° (14): cenotafio di Silvestro II (m. 1003) eretto nel 1909 (l'iscrizione è antica). 1° (15): Bonifacio VIII proclama il Giubileo del 1300, frammento di affresco di Giotto. NAVATA ESTREMA SINISTRA. All'inizio in alto, su sarcofago, statua giacente di Riccardo degli Annibaldi (m. 1274; 16) , opera di Arnolfo di Cambio (1276). 1a cappella (*Corsini; 17), elegante opera del Galilei (1732-35) a croce greca, ripartita da lesene corinzie e con volte e cupola a lacunari: S. Andrea Corsini, copia in mosaico da Guido Reni; a sin. monumento di Clemente XII, con urna e colonne in porfido provenienti dall'atrio del Pantheon, e statua bronzea del pontefice del Maini (le figure allegoriche sono di Carlo Monaldi); nelle nicchie alle pareti Fortezza di Giuseppe Rusconi, Giustizia di Giuseppe Lironi, Prudenza di Agostino Cornacchini, Temperanza del R. XV ESQUILINO | 41
Della Valle; nella cripta, Pietà, gruppo marmoreo di Antonio
Montauti (c. 1732). 2a (Antonelli; 18): Volto della Vergine, frammento di tavola del sec. XV inserito in un affresco (Assunta tra i Ss. Domenica e Filippo Neri) dell' Odazzi. Tra la 2a e la 3a cappella, sepolcro del cardinale Bernardino Caracciolo (m. 1255; 19). 3a (Onorio Longhi, 1600-10; 20): sull'altare, composto da un sarcofago strigilato su due leoni, Crocifisso attribuito a Stefano Maderno e, sotto, Madonna con Bambino tra i Ss. Lorenzo e Sebastiano (sec. XVI); alla parete sin. monumento del cardinale Giuliano Antonio Santori (m. 1637) con busto di Giuliano Finelli. 4a (21), eretta c. nel 1675 da Giovanni Antonio de Rossi a pianta centrale con cupola: nella volta, stucchi di Filippo Carcani. All'ultimo pilastro (22), monumento del cardinale Girolamo Casanate (m. 1700) del Legros (1707). All'ultimo pilastro d. della NAVATA INTERMEDIA SINISTRA, sepolcro di Elena Savelli con architettura e bronzi di Jacopo Del Duca (1570; 23). Il TRANSETTO, completamente rinnovato nel 1597-1601 dal Della Porta per la parte architettonica e dal Cavalier d'Arpino per quella pittorica, costituisce uno dei più rappresentativi complessi del manierismo romano di fine '500. PARTE DESTRA. Alla parete d.: S. Barnaba di G.B. Ricci, S. Bartatomeo di Paris Nogari S. Simone del Pomarancio e, nel registro inferiore, S. Silvestro riceve i messi di Costantino del Nogari e Battesimo di Costantino del Pomarancio; sulla quella sin.: S. Taddeo di Orazio Gentileschi, S. Tommaso di Cesare Nebbia, S. Filippo di Giovanni Baglione, Fondazione della basilica del Nogari e Consacrazione del Ricci. PARTE SINISTRA. Alla parete d. S. Giacomo del Nogari, S. Paolo e due santi dottori del Nebbia, Apparizione del Santo Volto, Costantino dona gli arredi alla basilica, del Baglione; nella testata Trasfigurazione del d'Arpino; alla parete sin. S. Andrea del Ricci, S. Pietro di Bernardino Cesari ' due Santi dottori e Sogno di Costantino del Nebbia, Trionfo di Costantino del Cesari. Alla testata del braccio d. del transetto (24), organo (1598), sostenuto da due colonne di giallo antico, e due angeli del Valsoldo. Alla testata di quello sin. (25), grandioso altare dei Sacramento, con quattro colonne e coronamento a timpano in bronzo dorato di Pietro Paolo Olivieri (c. 1600), e tabernacolo di Pompeo Targone; ai lati statue di Elia, Mosè, Melchisedec e 42 | R. XV ESQUILINO
Aronne di Camillo Mariani, Gillis de la Rivière, Nicolò Pippi e
Giacomo Longhi Silla (c. 1599). Cappella del Crocifisso (26): a d., Bonifacio IX inginocchiato su fondo cosmatesco (sec. XIV- XV). Tomba di Innocenza 111 (27) eretta da Giuseppe Lucchetti nel 1861. Da qui si' accede al museo (28), sistemato nel 1986, che raccoglie quanto rimane dei tesori accumulati nella basilica nel corso dei secoli; nel complesso di arredi liturgici, si notino nel portico il prezioso reliquiario di S. Caterina da Siena e di S. Maria Egiziaca (oreficeria veneta del sec. XV), il reliquiario del cilicio di S. Maria Maddalena (seconda metà sec. XV), la croce stazionale detta costantiniana (sec. XIII-XIV), la croce astile di Nicola da Guardiagrele (1441; firma) e, nella sala sul lato sin. del chiostro, i pregevoli arazzi e il piviale detto di S. Silvestro (sec. XIII- XIV). Il PRESBITERIO (29) e l'ABSIDE (30) sono un rifacimento del tempo di Leone XIII eseguito, ripetendo le forme antiche, da Francesco Vespignani su disegno del padre Virginio (1884-86). Il mosaico (Jacopo Torriti e Jacopo da Camerino, 1288-94) della semicalotta fu qui trasportato dalla vecchia abside e restaurato: in alto, fra le nubi, Cristo a mezzo busto circondato da angeli; in basso nel mezzo, Croce gemmata, con la colomba posata sulla collina racchiudente la Gerusalemme celeste e donde scendono a dissetare il gregge (cervi e pecore) i quattro fiumi (i Vangeli); a d. i Ss. Giovanni e Andrea (le figure minori di S. Antonio da Padova a d. e di S. Francesco d'Assisi a sin. sono un'ìnclusione voluta da Niccolò IV); a sin., Vergine con il donatore Niccolò IV in ginocchio e i Ss. Pietro e Paolo; al di sotto, il Giordano; più in basso, tra le finestre, nove apostoli e le figurette degli autori (fra' Jacopo da Camerino a d. e Jacopo Torriti a sin.), Alle pareti del presbiterio, Fatti di Innocenza III e Approvazione degli ordini francescano e domenicano (d.) e L'architetto Vespignani presenta il progetto del nuovo presbiterio e dell'abside a Leone XIII (sin.), affreschi di Francesco Grandi. A lato del presbiterio (31), sepolcro di Leone XIII di Giulio Tadolini (1907). Passando sotto il sepolcro di Leone XIII si entra nel CORRIDOIO (32; per la visita rivoigersi al Pontificio Consiglio delle Relazioni Sociali) ove sono memorie della basilica del sec. XIII, monumenti funebri (spiccano le tombe dei pittori Andrea R. XV ESQUILINO | 43
Sacchi - 1661 - e del Cavalier d'Arpino, 1640), le statue dei Ss.
Pietro e Paolo di Deodato di Cosma. Dalla porta sin., fra due iscrizioni a mosaico ("tabula magna lateranensis", ed elogio di Nicola IV) si entra nella SAGRESTIA VECCHIA (dei Beneficiati; 33): Maddalena di Scipione Pulzone; a sin. *Annunciazione tavola di Marcello Venusti su disegno di Michelangelo (1555); alle pareti busti di Clemente VIII di Giacomo Laurenziano e di Paolo V di Nicolas Cordier; nella volta affresco di Giovanni Alberti (1592). Dalla porta sulla d. si passa nella SALA CLEMENTINA (sagrestia dei Canonici; 34), con affreschi di Agostino Ciampelli e volta di Giovanni e Cherubino Alberti (c. 1600). Più avanti, i cinque ambienti della SAGRESTIA NUOVA (35), fatta costruire da Leone XIII: in quello centrale, altare del sec. XV con coeva Annunciazione di scuola toscana. In chiesa, cappella Colonna (del Coro; 36), opera di Girolamo Rainaldi (1625): stalli lignei ornati di statue di santi entro nicchie; monumento di Lucrezia Tomacelli (1625) di Teodoro Della Porta e del Laurenziano. Il *CHIOSTRO (37; vi si accede in fondo alla navata sin.: se chiuso rivolgersi al custode), capolavoro d'arte cosmatesca, fu costruito nel 1215-92 dai Vassalletto, come risulta dall'iscrizione sul fregio del portico di fronte. Le arcatelle poggiano su colonnine binate (alcune decorate a mosaico), di forma svariata e con differenti capitelli; la trabeazione è ricca specialmente nel fregio a mosaico e nella cornice intagliata con teste ferine sulla gronda. Le volte degli ambu1acri, impostate su antiche colonne con bei capitelli ionici e addossate ai pilastri verso l'interno, furono costruite posteriormente, insieme con la semirustica sopraelevazione ad arcate del loggiato. Ai lati dei passaggi al cortile, leoni stilofori; in mezzo a questo, punteale (sec. XX). Lungo le pareti, elementi architettonici, sculture e ornati dall'antica basilica, iscrizioni lastre tombali, materiale di scavo romano e paleocristiano. Iniziando da d.: entro nicchie, Il Battista e S. Giovanni evangelista di Luigi Capponi provenienti dallo smembrato altare De Pereriis (1492); all'inizio del 2° ambulacro, battenti in bronzo, già appartenenti alla porta della Scala Santa, di Pietro e Uberto da Piacenza 1196); dal 3° ambulacro si vede, sul lato opposto, l'imponente testata in laterizio del braccio sin. del transetto della basilica, ancora nella struttura medievale; a metà del 4° ambulacro, cattedra 44 | R. XV ESQUILINO
cosmatesca con colonnine tortili e sedile di età classica;
all'angolo tra il 4° e il 1° ambulacro, frammenti della tomba del cardinale Riccardo degli Annibaldi con bei rilievi di Arnolfo di Cambio; all'inizio del l° ambulacro resti di un ciborio (timpani con rosoni gotici e arme del cardinale Colonna) di Deodato di Cosma (1297). R. XV ESQUILINO | 45
Poco oltre il rettifilo sbocca nell'amplissima piazza di S.
Giovanni in Laterano, ingresso S della città storica, articolata intorno al fulcro includente la basilica, il palazzo e il battistero; peculiarità della piazza è quella di accostare testimonianze monumentali che rappresentano quasi una sintesi della cultura architettonica romana: dall'obelisco egizio e i vistosi resti di età Imperiale al paleocristiano, dal romanico al tardo Rinascimento, al barocco, fino allo storicismo ottocentesco e al "Novecento". Corrispondente all'estremità E del Celio, il Laterano ospitò sin dagli inizi dell'impero le residenze patrizie (ne sono stati rinvenuti resti sotto la basilica, l'ospedale e la sede dell'INPS in via dell'Amba Aradam), e qui venne eretto il monumento equestre a Marco Aurelio ora nel Museo Capitolino. La residenza dei Laterani, confiscata da Nerone, fu da Fausta, moglie di Costantino, messa a disposizione del vescovo di Roma papa Melchiade divenendo la residenza sua e dei successori, mentre l'imperatore volle erigere accanto a essa (c. 313-318) la prima basilica cristiana. Il complesso del palazzo e della basilica (Patriarchìo) decadde in seguito al trasferimento dei papi ad Avignone e, dopo lo spostamento della residenza pontificia in Vaticano, sacrificato alla radicale trasformazione della piazza voluta da Sisto V, che fissò qui uno dei poli principali del suo piano urbanistico; sotto la direzione di Domenico Fontana (1585-89) furono aperti i rettifili di collegamento con S. Maria Maggiore, il Colosseo e l'Appia Antica ed eretto alla loro confluenza l'obelisco-segnale, nonché costruiti il nuovo Palazzo Lateranense, la loggia delle Benedizioni e l'edificio della Scala Santa. La scenografia fissata dall'intervento sistino fu arricchita nel corso del '600 (nuovo ospedale del Salvatore e ospedale delle Donne), nel '700 (facciata della basilica e 'sistemazione' del Trielinio Leoniano) e 46 | R. XV ESQUILINO
fino agli ultimi anni del governo pontificio (convento annesso
alla Scala Santa). L'urbanizzazione dell'Esquilino decretò la scomparsa delle ville e giardini tra il Laterano, S. Maria Maggiore e S. Croce in Gerusalemme: Leone XIII ricostruì la parte absidale della basilica creando il braccio di collegamento col Battistero, sotto Pio XI venne aggiunto l'edificio "novecentista" del Pontificio Ateneo Lateranense. Teatro fino all'esilio avignonese della cerimonia della presa di possesso, da parte del neoeletto papa, della residenza vescovile e della basilica cattedrale, la piazza ospita ancora oggi la festa della notte di S. Giovanni 123-24 giugno), di antichissima origine pagana. Al centro della piazza svetta, in asse con via Merulana, l'Obelisco Lateranense, in granito rosso, il più antico e il monolitico più alto (m 32’18: col basamento m 45’70) a Roma. Innalzato dai faraoni Tutmes III e Tutmes IV nel sec. XV a. C. davanti al tempio di Ammon a Tebe (Karnak, in Egitto), fu trasportato a Roma da Costanzo II (357) e collocato dal praefectus urbi Memmio Vitrasio Orfito sulla spina del Circo Massimo; crollato e ritrovato nel 1587, fu qui trasferiti da Domenico Fontana per volontà di papa Sisto V. Si costeggia il prospetto N del palazzo avendo di fronte l'edificio della Scala Santa, voluto da Sisto V per conservare la cappella privata dei papi ("Sancta Sanctorum") al primo piano del Patriarchìo; per accedervi fu riutilizzata la scala d'onore del palazzo, che a partire da metà '400 fu fantasiosamente identificata, con quella del Pretorio di Pilato percorsa da Gesù durante il processo (da qui l'appellativo). La semplice architettura del Fontana (1589), in laterizio intonacato, ripete lo schema della loggia delle Benedizioni; le arcate furono chiuse nel 1853 da Francesco Azzurri. Al centro dell'atrio, ornato di gruppi marmorei (notevoli il Bacio di Giuda e l'Ecce Homo di Ignazio Jacometti), si diparte la SCALA SANTA, affiancata da quattro scale e composta di 28 gradini in marmo con rivestimento in legno: alle pareti e nelle volte storie dellAntico Testamento e storie di Cristo, affreschi di G.B. Ricci, Giacomo Stella, Paris Nogari, Andrea Lilio, Paul Brill, Giovanni Baglione e altri. R. XV ESQUILINO | 47
La Scala Santa, che si percorre in ginocchio, immette
nella cappella di S. Lorenzo, dov'è l'ingresso al "SANCTA SANCTORUM" (l'interno è visibile solo attraverso le grate delle finestrelle), cosiddetto per le reliquie che custodisce, il cui aspetto attuale risale al rifacimento del 1278 a opera dei Cosmati: gli affreschi sulla volta (evangelisti) e nelle lunette sono del sec. XIII, i santi entro edicolette ogivali sono di Giannicola di Paolo; nella volta del presbiterio, mosaico con Cristo Pantocrator (fine sec. XIII); sull'altare, protetta da sportelli, immagine acheropita (non dipinta a mano) del Redentore, tavola del sec. V-VI, pesantemente ridipinta, cui è sovrapposta l'immagine su seta (sec. XIII) riproducente l'originale.
A ridosso del lato d. della Scala Santa si leva il singolare
prospetto (detto Nicchione del Laterano), a forma di abside inquadrata da un ordine colossale di paraste, sormontata da timpano e preceduta da scalinata, con il quale Ferdinando Fuga (1743) dette sistemazione al mosaico del Triclinio Leoniano, sala da pranzo dei papi all'interno del Patriarchio demolita nel 1733. Il mosaico qui ricomposto, ha importanza solo iconografica: nel catino Cristo affida agli Apostoli la loro missione; sull'arco, a d. san Pietro dà la stola a Leone III e le insegne a Carlo Magno e a sin. Cristo consegna le chiavi a san Silvestro ed il Gonfalone della Chiesa a Costantino. A sin. della loggia delle Benedizioni avanza sulla piazza il blocco del Palazzo Lateranense, fatto costruire da Sisto V a opera di Domenico Fontana (1586-89) in sostituzione del Patriarchìo; dell'antico complesso venne ripreso in parte l'impianto nella nuova costruzione, concepita come residenza estiva del papa. L'edificio, a pianta quadrata, si presenta con tre prospetti equivalenti, a tre piani di finestre a timpani curvi e triangolari e portale centrale con balcone, ed è coronato da un'originale altana a colonne. Il modello di palazzo Farnese fu reinterpretato con una severità in sintonia col rigore controriformista; nel prospetto parallelo alla chiesa le aperture si infittiscono verso sin. con un effetto 'prospettico' calcolato per la veduta dallo "stradone". 48 | R. XV ESQUILINO
Trasformato in ospedale e poi in archivio, fu restaurato
sotto Gregorio XVI da Luigi Poletti e ospitò dal 1844 il Museo Gregoriano Profano, cui si aggiunsero il Museo Pio Cristiano (1854) e quello Missionario Etnologico 11926). In seguito ai Patti Lateranensi, qui firmati l'l1 febbraio 1929, l'edificio gode del privilegio dell'extraterritorialità e ospita dal 1967, dopo i restauri radicali e il trasferimento dei musei in Vaticano, il vicariato Roma. Nel 1987, al piano nobile, è stato costituito il Museo Storico Vaticano (vi si accede dal portico della basilica di S. Giovanni; visita: la prima domenica del mese ore 8.45-13). Il monumentale SCALONE conduce all'APPARTAMENTO PAPALE, del quale si visitano dieci sale e la CAPPELLA, affrescate, sotto la direzione di Giovanni Guerra, da pittori tardo-manieristi (tra gli altri, Cesare Nebbia, G.B. Ricci, Ventura Salimbeni, Andrea Lilio, Ferraú Fenzone, Paris Nogari, Paul e Matthijs Brill); tre, soffitti lignei sono su disegno del Poletti. Le sale sono arredate con mobili (secoli XVI-XIX), armi (secoli XVI-XVII), sculture lignee (secoli XIII-XV), quadri e arazzi, soprattutto delle manifatture Gobelins, Barberini e S. Michele; la SALA DELLA CONCILIAZIONE mantiene l'orientamento e le dimensioni dell'aula dei papi del Patriarchìo (il magnifico soffitto ligneo a lacunari dipinti e dorati è del 1589). Il museo, diviso in tre sezioni (Iconografia dei papi; Cerimoniale pontificio; Corpi armati pontifici), è disposto su tre lati del LOGGIATO, affrescato nelle volte dai medesimi tardo- manieristi, che affaccia sul CORTILE quadrato, a tre ordini di arcate (e superiori cieche). Sul lato S della piazza, contigua al Palazzo Lateranense (v. oltre), è la loggia delle Benedizioni, costruita da Domenico Fontana nel 1586 in corrispondenza della testata del transetto d. della basilica e affrescata all'interno da pittori tardo-manieristi (al piano terra, statua bronzea di Enrico IV di Francia di Nicolas Cordier, 1608); aperta da cinque arcate di travertino su due ordini a paraste tuscaniche e corinzie e coronata da balaustra, vi poggiano due campanili gemelli a trifore del sec. XIII (le cuspidi furono aggiunte attorno al 1370). R. XV ESQUILINO | 49
A d. della loggia, di cui ripete le linee col raddoppio delle
paraste, è il corpo, edificato da Virginio e Francesco Vespignani nel 1884, che piegandosi ad angolo si raccorda col Battistero Lateranense. Battistero Lateranense (S. Giovanni in Fonte), eretto da Costantino contemporaneamente alla basilica su una villa del sec. I e su un edificio termale del II, e modificato da Sisto III, che aggiunse l'atrio a forcipe, e dai papi Ilario e Giovanni IV, che aggiunsero .,e cappelle; dopo la sostituzione (1540) della cupola originaria con l'attuale tiburio, venne restaurato da Domenico Castelli nel 1629-35 e da Francesco Borromini nel 1657 (fregio esterno con elementi araldici chigiani), mentre all'intervento del 1967 risale l'eliminazione degli intonaci e delle aggiunte ottocentesche. Dal portale risalente ai restauri di Gregorio XIII (1575) si accede all'interno ottagonale, modello per questa tipologia architettonica: al centro, un anello di otto colonne di porfido con capitelli corinzi sorregge un architrave, pure ottagono, su cui corre un'iscrizione in distici di Sisto III esaltante il battesimo; al di sopra è un secondo ordine di colonne più piccole, in marmo bianco. Al centro di un recinto circolare, del tempo di Urbano VIII, è un'urna di basalto verde, già usata per il battesimo a immersione, con copertura in bronzo dei sec. XVII Nel tamburo, storie del Battista, copie moderne degli originali di Andrea Sacchi (1639-45) ora nel Palazzo Lateranense; alle pareti storie di Costantino, affreschi di Andrea Camassei, Giacinto Gimignani, Carlo Maratta (Distruzione degli idoli) e Carlo Mannoni. CAPPELLA DEL BATTISTA fondata da papa Ilario: la porta conserva gli antichi battenti in bronzo; statua ènea del Battista di Luigi Valadier. CAPPELLA DI S. RUFINA o dei Ss. Cipriano e Giustina, corrispondente al nartece di Sisto III trasformato da Anastasio IV (1154): sopra la porta, Crocifisso della scuola di Andrea Bregno (1492); nell'absidiola sin., *mosaico del sec. v; uscendo all'esterno si vede l'antico ingresso del Battistero, con frammento di architrave romano. Nell'abside d., Madonna attribuita al Sassoferrato. 50 | R. XV ESQUILINO
CAPPELLA DI S, VENANZIO, eretta nel 640 da
Giovanni IV e decorata sotto papa Teodoro: soffitto ligneo cinquecentesco; nell'abside e nell'arco trionfale, *mosaici (in alto, busto del Salvatore fra due angeli e in basso la Vergine; a d. S. Pietro, S. Giovanni Battista, il vescovo Donnione e Giovanni IV; a sin. S. Paolo, S. Giovanni evangelista, S. Venanzio e papa Teodoro) della metà del sec. VII restaurati nel 1826-28; l'altare è di Carlo Rainaldi, la targa del cardinale Francesco Adriano Ceva (a sin.) su disegno di Borromini (1650). CAPPELLA DI S. GIOVANNI EVANGELISTA, dedicata da papa Ilario (iscrizione): *battenti in bronzo di Uberto e Pietro da Piacenza (1196); volta a mosaico della seconda metà del sec. v; altare tra due colonne di alabastro, con statua ènea di S. Giovanni attribuita a Taddeo Landini; pregevoli affreschi di Antonio Tempesta e Ambrogio Buonvicino, autore anche degli stucchi (1597-1601); a sin., rilievo funebre di Luigi Capponi. La cancellata a d. del Battistero segna l'ingresso al Pontificio Ateneo Lateranense, entro il cui recinto, all'inizio di via dell'Amba Aradam, sussiste un'aula termale in laterizio (prima metà sec. tu) aperta da tre archi a doppia ghiera e in origine coperta da volta a crociera. Sulla destra, dopo l'ingresso originario (1348) dell'ospedale di S. Giovanni (via di Santo Stefano Rotondo N. 280), è il portico architravato, con otto colonne antiche e reperti archeologici, dall'antico ospedale di S. Michele. L'itinerario muove da piazza di S. Giovanni in Laterano, dove, in asse con l'Obelisco Lateranense, si stacca in direzione NO la via Merulana, rettifilo tardo-cinquecentesco tra le basiliche di S. Giovanni e di S. Maria Maggiore che sostituì un omonimo tracciato di origine classica (il nome derivava dai possedimenti dei Meruli); la nuova via, che intersecava l'antica presso via Galilei e che, realizzata in gran parte da Gregorio XIII per il giubileo del 1575, fu completata da Sisto V, divenne nel piano del 1873 uno degli assi del nuovo quartiere dell'Esquilino, anche se nell'ultimo tratto verso S. Maria Maggiore venne sistemata solo nel 1932: nonostante i massicci livellamenti è ancora percepibile l'andamento che discende le propaggini del Celio risalendo poi verso una delle sommità dell'Esquilino. R. XV ESQUILINO | 51
Allo sbocco dello "stradone" si trovano a d. l'ospedale del
Salvatore più noto come di S. Giovanni, fondato dalla compagnia dei SS. Salvatore ad Sancta Sanctorum nel 1348 e ampliato da Everso dell'Anguillara nel 1462 (il corpo sulla piazza - nel 1992 in restauro - fu eretto nel 1634-40 da Giacomo Mola coadiuvato da Carlo Rainaldi, con prospetto austeramente spartito da un doppio ordine di lesene inquadranti le finestre e i cinque ingressi e sormontato da un campanile a vela), e a sin. l'ospedale delle Donne, oggi reparto maternità, costruito secondo criteri di funzionalità da Giovanni Antonio De Rossi nel 1655- 56 utilizzando in parte strutture di un ospizio duecentesco. L'isolato che su via Merulana segue via Aleardi è occupato dal Collegio internazionale dei frati minori e dalla basilica di S. Antonio di Padova, che costituisce con palazzo Brancaccio l'opera più impegnativa di Luca Carimini (1884-87) e la prima realizzazione monumentale nell'architettura sacra romana dopo il 1870. La facciata, in laterizio a vista ed elementi architettonici in travertino, si leva su una scalinata a doppia rampa; l'eclettismo neorinascimentale dell'architetto accostò alle forme quattrocentiste quelle sangallesche del portico a cinque arcate. Ai piedi della scalinata è l'ingresso alla chiesa inferiore, a tre navatelle con colonne binate di granito e deambulatorio. Caratteristico il campanile a cella ottagona, con cuspide in maioliche policrome e dorate. L'interno, di un'eleganza raggelata, è a tre navate (quella centrale con copertura a capriate lignee), suddivise da colonne di granito rosa che si ripetono in proporzioni minori al secondo ordine formando un matroneo che continua sulla retrofacciata. I dieci altari laterali, su disegno del Carimini al pari di quello maggiore, accolgono quadri che costituiscono un documento eloquente dell'arte sacra di fine '800, oscillante tra tardo purismo e verismo. In sagrestia, Madonna con Bambino e santi, copia dal Parmigianino (inizi sec. XVII). Al termine della discesa, sulla sinistra e leggermente infossata in seguito alla sistemazione ottocentesca di via Merulana, è la chiesa dei Ss. Marcellino e Pietro, il cui aspetto attuale risale alla radicale ricostruzione, voluta da Benedetto XIV e realizzata da Girolarno Theodoli (1750-51), del titulus di età costantiniana. L'esterno, sintesi delle tendenze del 52 | R. XV ESQUILINO
barocchetto romano a metà '700, presenta un dado basamentale,
scandito in facciata da paraste ioniche e sormontato da timpano, di nitore quasi neoclassico, mentre la singolare cupola a gradoni è di chiara derivazione borrominiana; l'elegante interno, ritmato da paraste ioniche, è a croce greca, con presbiterio absidato e quattro cappelle angolari sormontate da coretti: all'altare maggiore Martirio dei santi titolari di Gaetano Lapis, su quello destro Messa di S. Gregorio di Filippo Evangelisti. La si percorre fino all'incrocio a d. con via Aleardi, che conduce al casino della scomparsa villa Giustiniani poi Massimo Lancellotti, dal 1948 sede della delegazione dei Francescani di Terra Santa, al cui interno è la più importante testimonianza dell'attività romana dei Nazareni, i pittori germanici che si ispirarono all'arte italiana del primo Rinascimento. L'edificio, dei primi del '600 e attribuito a Carlo Lambardi (le due ali intorno al giardino residuo sono aggiunta del 1951), è un tipico esempio del gusto antiquario tardo-manierista: i prospetti, dalle semplici linee, furono arricchiti, verso la metà del sec. XVII, da sculture antiche (negli ovali, busti e profili a rilievo; nei riquadri, fronti di sarcofagi); le decorazioni in stucco recano le aquile Giustiniani e le colombe Pamphilj. La facciata su via Boiardo ha nicchie con statue antiche di imperatori e divinità. I tre ambienti verso il giardino accolgono affreschi, voluti del marchese Carlo Massimo e restaurati nel 1979, con scene tratte dai maggiori poemi della letteratura italiana: nella Stanza dell'Ariosto, episodi dall'Orlando Furioso di Julius Schnorr von Carolsfeld (1822-27); nella Stanza del Tasso, episodi della Gerusalemme Liberata di Johann Friedrich Overbeck (1819-27) completati da Joseph von Fúhrich (1827-29); nella Stanza di Dante, alle pareti scene dell'Inferno e del Purgatorio di Joseph Anton Koch (1825-28), al soffitto Allegoria del Paradiso di Philip Veit (1818-24). Dietro il giardino della villa è il Museo storico della Lotta di Liberazione di Roma (via Tasso N. 145), che fu istituito nel 1957 nell'edificio già sede del comando delle SS, in parte adibito nel 1944 a carcere per detenuti politici, per rievocare i tragici avvenimenti del 1943-44. R. XV ESQUILINO | 53
Villa Altieri è situata nell'area oggi delimitata da via
Emanuele Filiberto, via Statilia e viale Manzoni e fu costruita intorno al 1660 come casa di villeggiatura per il cardinale Paluzzo Albertoni Altieri da Giovan Antonio De Rossi (autore anche di palazzo Altieri) nella vigna sull'Esquilino posseduta dalla nobile famiglia. Il complesso aveva forma triangolare ed era tagliato dal viale rettilineo che collegava il palazzo al piazzale semicircolare d'ingresso situato sulla "via Felice", la lunga strada rettilinea così denominata dal nome di battesimo di papa Sisto V (Felice Perretti) che la fece aprire per collegare Trinità dei Monti a S.Croce in Gerusalemme. Dopo il 1870 la via fu frazionata nelle attuali via Sistina, via delle Quattro Fontane, via Agostino Depretis, via Carlo Alberto, via Conte Verde e via di S.Croce in Gerusalemme: proprio quest'ultima corrisponde al tratto della "via Felice" sulla quale si apriva l'ingresso della villa. La struttura originale dell'edificio era caratterizzata nella facciata anteriore da una grande scala a due rampe semicircolari, tuttora esistenti, che racchiudevano una fontana addossata alla parete, con due delfini e due tritoni zampillanti, e che si congiungevano in una loggia con porta-finestra, sormontata dal grande stemma degli Altieri, al centro della quale era posta una fontanina, rubata nel 1990, della quale rimane soltanto la tazza inferiore ovale ed il sostegno centrale scanalato; le rampe inoltre erano arricchite da statue ora scomparse. Dietro la fontana dei Delfini si può notare tuttora il portico determinato dall'aggetto del terrazzino superiore, dal quale un tempo si poteva ammirare il giardino retrostante nel quale era situata una fontana circolare, oggi scomparsa. La facciata posteriore dava su una terrazza dalla quale si scendeva su una seconda che, attraverso scale laterali, portava ad un vasto parco, abbellito da statue, giochi d'acqua e dal celebre e suggestivo labirinto circolare di siepi di bosso con un pino al centro, in seguito completamente soppiantato dagli edifici circostanti. Anche la palazzina ha subito gravi manomissioni sia all'esterno sia all'interno: la più evidente è la sopraelevazione 54 | R. XV ESQUILINO
dell'ultimo piano che ha alterato l'equilibrio e le proporzioni
della facciata; lo stesso cortile è stato alterato nel taglio, la fontana al centro delle rampe è stata ridotta e quasi tutta l'ornamentazione scultorea è stata asportata o danneggiata. Il danno maggiore probabilmente è stata la scomparsa dei dipinti provenienti dal "sepolcro dei Nasoni", scavato nel 1764 sulla via Flaminia e risalente all'epoca di Marco Aurelio. Sul lato destro della facciata restano due archi in finta roccia con altrettante piccole vasche: ciascun lato degli archi era ornato da statue delle quali rimangono soltanto miseri resti mutili. Oggi l'accesso alla villa avviene dal bel portale bugnato situato in viale Manzoni 47, tuttora ornato dalla grande iscrizione posta sull'architrave "VILLA ALTIERI". Numerosi furono i passaggi di proprietà dall'epoca di Pio IX, quando la villa appartenne a monsignor Francesco Saverio De Merode, poi per un breve periodo fu adibita a reclusorio criminale femminile, passò in seguito alle suore Dorotee e quindi all'Istituto Figlie di Nostra Signora del Monte Calvario. Infine fu proprietà Scarano e dei marchesi di Villefranche finché non fu adibita a sede scolastica: oggi vi risiede l'Istituto Professionale di Stato "Teresa Confalonieri" ed il Liceo Scientifico Statale "Isacco Newton".
La costruzione della villa risale agli anni Settanta del
Seicento per impulso del cardinale Paluzzo Altieri, nipote di papa Clemente X (1670-1676), che affidò all’architetto di casa Altieri Giovanni Antonio de Rossi, autore anche di Palazzo Altieri al Gesù, l’incarico di trasformare il vecchio casale rustico sull’Esquilino in un’elegante residenza suburbana. Il nobile “Casino di delizie”, cui si accedeva da un portale monumentale con lungo viale alberato sulla via Felice (oggi di S. Croce in Gerusalemme), costituiva solo una piccola parte, la pars urbana, R. XV ESQUILINO | 55
di un vasto comprensorio, in origine circondato da parchi e
giardini con fontane e giochi d’acqua, viali alberati, vigneti e frutteti (pars rustica), e corredato di uno splendido Labirinto di siepi di bosso, visibile ancora ai primi del Novecento. Il peculiare impianto architettonico a “U”, ripreso dalla tipologia delle ville rinascimentali, quali ad es. la Villa Chigi alla Farnesina, è arricchito da una caratteristica doppia rampa di scale semicircolari, concepite per mettere in diretta comunicazione il piazzale antistante la Villa con il piano nobile, il cui accesso è sormontato dallo stemma di casa Altieri, superando i dislivelli di quota tra la fronte ed il retro della struttura. Il portale di ingresso del pianterreno, anch’esso sovrastato dallo stemma nobiliare e inquadrato dai due bracci della scalinata, conduceva invece ad ambienti di servizio e alla grande Loggia del pianterreno, originariamente aperta su tre lati, dalla quale si raggiungeva il c.d. “giardino segreto” sul retro, interamente circondato da mura e dotato di fontana centrale, e da questo, ad una quota più bassa, il lungo viale a giardino digradante verso i confini della proprietà presso la via Labicana. La facciata venne ulteriormente impreziosita da una fontana con ambientazione marina, la c.d. “Fontana dei Tritoni”, racchiusa entro i due bracci semicircolari della scalinata, e in origine, prima della sopraelevazione tardo-ottocentesca, presentava un aspetto assai più armonico, con i tre piani originari inquadrati da agili paraste e sormontati da una snella altana a tre fornici, sormontata da statue antiche. Il massimo splendore della Villa si ebbe tra la fine del Seicento e la fine del Settecento, periodo in cui fu dotata di una ricca collezione d’opere d’arte antica, e che corrisponde anche al momento di maggiore fasto della famiglia Altieri. La splendida dimora è ricordata infatti dagli autori delle principali guide di Roma e dalle cronache del tempo, come assai ricca di opere d’arte, “… e perciò degna d’esser veduta da’ forestieri eruditi, vaghi delle belle arti” (Titi, 1763). I giardini della Villa, come anche la Loggia e le stanze del piano nobile, l’Altana e la balaustra di coronamento, erano ornati di statue, busti antichi e moderni, bassorilievi, frammenti scultorei di varia origine e provenienza e una cospicua collezione epigrafica, reperti oggi in buona parte alienati o dispersi. Un’idea della consistenza e 56 | R. XV ESQUILINO
dell’importanza della collezione archeologica è data dal
settecentesco elenco “Topham”, custodito al College di Eton, che cita molte delle opere oggi disperse, corredate in qualche caso anche di disegni a sanguigna, opera di Bernardino Ciferri. Nel piano nobile, dove le stanze presentavano “volta a schifo dipinta con ornati e figure a fresco”, erano esposti alcuni pannelli con gli affreschi rinvenuti nella tomba dei Nasoni sulla via Flaminia (oggi in parte al British Museum), scoperti nel 1675 ed illustrate dottamente dal Bellori con le incisioni di Sante Bartoli. Fra i reperti più importanti vi era poi un interessante rilievo mitraico, proveniente da scavi condotti dagli Altieri nel XVI sec. presso i possedimenti del Celio (Navicella), ed oggi in proprietà privata. La Villa, agli inizi dell’Ottocento ancora meta di studiosi ed eruditi per il suo cospicuo patrimonio di antichità, fu alienata dalla famiglia Altieri nel 1857, per poi passare, dopo alterne vicende, nelle proprietà del card. Xavier De Merode (1862) e quindi dei suoi eredi, ed essere destinata a subire numerosi rimaneggiamenti che ne hanno stravolto l’impianto architettonico originario (sopraelevazione di un piano, giustapposizione di ulteriori corpi di fabbrica, ecc.). Nel periodo post-unitario la struttura fu infatti dapprima concessa in locazione allo Stato Italiano, che vi stabilì un istituto di pena femminile (fino al 1897), poi alle Suore Dorotee, che vi istituirono un collegio per signorine (fino al 1933); quindi, divenne sede di istituti scolastici (tra i quali la sede provvisoria del Pietro della Valle e in seguito l’ITIS Confalonieri), con la destinazione ad uso scolastico che si protrasse anche dopo l’acquisto della proprietà da parte della Provincia di Roma (1975) e sino al 2010, quando è stato avviato il progetto di recupero e riqualificazione funzionale dell’intera struttura. Analogamente ai rimaneggiamenti operati sull’impianto originario dai cambiamenti della proprietà e delle destinazioni d’uso, la nascita del nuovo quartiere Esquilino, con il conseguente sviluppo urbano, ne ha del tutto stravolto l’ambiente circostante. Villa Altieri, come le ville nobiliari ad essa confinanti (ad es. le ville Palombara, Giustiniani-Massimo, Astalli, ecc.) e le altre non lontane, era infatti immersa in quella fascia verde di Roma, compresa grosso modo nel tratto orientale R. XV ESQUILINO | 57
delle Mura Aureliane, dalle proprietà dei Ludovisi sulla via
Salaria sino alla Porta Maggiore, già occupata dagli antichi Horti di Roma antica, destinata a scomparire definitivamente con l’urbanizzazione postunitaria. 58 | R. XV ESQUILINO
I rioni Castro Pretorio, Sallustiano e
Ludovisi.
L'arco del settore nord-orientale della città compreso tra le
mura Serviane e il recinto aureliano mantenne per più di due millenni un carattere estensivo, contrassegnato da grandi infrastrutture e vaste aree verdi: in età classica vi spiccavano gli "horti Sallustiani" e i "Castra Praetoria", mentre la viabilità era assai rada, con l'asse principale costituito dall'"Alta Semita" e dal "vicus Portae Collinae" (le attuali vie del Quirinale e XX Settembre) da cui si staccava la via "Salaria Nova". Nel periodo medievale l'area fu scarsamente popolata in quanto distante dal nucleo urbano attestatosi sulle sponde del Tevere, e rari furono anche gli insediamenti religiosi. A partire dal Cinquecento cominciarono a sorgere le ville del patriziato (Valenti Gonzaga poi Bonaparte, Ludovisi), sviluppatesi soprattutto nei due secoli successivi ma cancellate dall'urbanizzazione tardo-ottoocentesca, cui si accompagnò, nel primo trentennio del Seicento, la consacrazione delle chiese di S. Paolo (poi S. Maria della Vittoria), di S. Isidoro e di S. Maria della Concezione. I tre rioni, che su questa area insistono, furono edificati dopo il 1870 e distaccati nel 1921 rispettivamente dai rioni Monti, Trevi e Colonna. Il primo fu realizzato - assieme alla nuova sede del Ministero delle Finanze in via XX Settembre, che Quintino Sella volle come 'asse direzionale' della capitale favorendovi l'insediamento di numerosi altri ministeri - secondo le previsioni del piano regolatore del 1873, con uno schema a scacchiera con piazza centrale affine a quello che presiedette all'urbanizzazione dell'Esquilino, anche se qui agli intensivi si affiancarono i villini destinati alla medioalta borghesia e ai corpi diplomatici; gli altri sorsero invece a partire dal 1885 fuori del piano del 1883 e furono prevalentemente riservati all'alta R. XV ESQUILINO | 59
borghesia, all'aristocrazia vecchia e nuova e, soprattutto lungo
via Veneto, al turismo di lusso, caratterizzandosi, oltre che per i villini signorili, per i palazzi nobiliari (Boncompagni), per l'edilizia alberghiera e, nei primi decenni del Novecento, per le sedi di rappresentanza. La costruzione dei rioni fu conclusa ai primi del XX secolo (entro il 1930 furono riempite le ultime aree libere), mentre a seguito del piano del 1931 furono aperti i collegamenti da via Veneto e da piazza Barberini a piazza di S. Bernardo (rispettivamente le odierne vie Bissolati e Barberini). Nel secondo dopoguerra, e fino agli anni settanta, l'alto valore delle aree ha favorito il maggior numero di sostituzioni edilizie della Roma umbertina, a spese soprattutto dei villini, con risultati tanto più estranei al contesto quanto più sono di alta qualità (edificio polifunzionale in via Sardegna). L'itinerario si presenta dunque come un 'excursus' attraverso l'architettura romana dell'ultimo secolo, rappresentata dai più affermati professionisti non solo locali, anche se non mancano testimonianze notevoli di epoca classica ("Castra Praetoria"; "horti Sallustiani") e barocca (casino dell'Aurora; chiese di S. Isidoro e di S. Maria della Concezione).
La visita prende avvio dall'angolo N di piazza dei
Cinquecento in corrispondenza dell'inizio di via Marsala, l'antica via di Porta S. Lorenzo o Angelica aperta da Sisto V, che costeggiava un tempo il lato E della villa del papa e oggi il fianco sin. della stazione di Termini.
piazza dei Cinquecento, così chiamata dal numero dei
caduti di Dogali. La configurazione del vasto spazio alberato fu conseguenza dell'arretramento del fronte della nuova stazione (la vecchia fu demolita nel 1948) ed è stata in seguito più volte ritoccata in rapporto alle esigenze della circolazione; si trova qui infatti il principale nodo di collegamenti pubblici della città, dove transitano o fanno capo sia numerose linee di superficie sia i due tracciati della metropolitana (la linea A, Ottaviano- Anagnina, è stata inaugurata nel 1980; il tratto Termini-EUR 60 | R. XV ESQUILINO
della linea B è stato aperto nel 1955, il tronco Termini-Rebibbia
nel 1990). Stazione Termini. Risale al 1860 la decisione di creare una stazione centrale nella zona di Termini (il toponimo deriva dalle terme di Diocleziano), allora quasi completamente inedificata, in posizione elevata e ricca di acque necessarie per la trazione a vapore. Il nuovo scalo riunì, a partire dal 1864, le linee ferroviarie "Roma-Frascati", "Roma-Civitavecchia" e "Roma-Ceprano" create sotto Pio IX. Scelto nel 1867 il progetto di Salvatore Bianchi, i lavori, avviati nel 1869 e conclusi nel 1874, originarono un edificio che costituiva un significativo compromesso tra tradizione e impiego di nuove tecnologie. Nel 1937, in vista dell'Esposizione universale del 1942, se ne decise la ricostruzione in dimensioni adeguate alle nuove esigenze (il prospetto, in origine allineato con via D'Azeglio, venne arretrato di m 200), contrariamente alle più lungimiranti proposte che, a partire dal 1886 e fino al piano regolatore del 1931, avevano consigliato lo spostamento dello scalo fuori delle mura Aureliane; sotto il piazzale fu prevista la stazione della metropolitana di collegamento con l'Esposizione. Del progetto definitivo di Angiolo Mazzoni del Grande (1938), che troppo sacrificava la funzionalità al monumentalismo, furono realizzate solo le fiancate, che si sviluppano complessivamente per più di 2 km, mentre il previsto gigantesco portico frontale a colonne binate fu sostituito dall'edificio per uffici e altri servizi oggetto del summenzionato concorso. Il lato SE della piazza e definito dall'*edificio di testata, inaugurato nell'Anno Santo 1950, della stazione centrale di Termini, architettura emblematica del desiderio di rinnovamento del secondo dopoguerra dovuta alla collaborazione dei due gruppi vincitori del concorso del 1947 (Leo Calini ed Eugenio Montuori; Massimo Castellazzi, Vasco Fadigati, Achille Pintonello e Annibale Vitellozzi). L'andamento orizzontale del lunghissimo PROSPETTO FRONTALE (m 232), rivestito di travertino, e sottolineato dalle finestre continue (due per piano, tranne l'ultimo). A esso si contrappone l'impennata neoespressionista della PENSILINA in cemento armato (il cosiddetto Dinosauro; nella "veletta", fregio astratto in alluminio di Imre Tot, 1954); l'andamento sinuoso R. XV ESQUILINO | 61
riecheggia il profilo delle adiacenti mura Serviane, oltre le quali
si articola autonomamente il corpo adibito a caffe-ristorante. L'ATRIO-BIGLIETTERIA è aperto su tre lati da vetrate a tutta altezza (la panoramica verso l'Esedra è stata nel 1989 occlusa da box di servizi complementari). La luminosa GALLERIA DI TESTA retrostante dà, accesso ai binari e collega le vie Marsala e Giolitti: lungo queste ultime si stendono le FIANCATE del Mazzoni (1938-42), improntate al classicismo di regime con geometrie elementari e volumi nitidi rivestiti di marmi. Sulla d., uscendo dalla stazione, si levano i resti più imponenti e meglio conservati dell'"agger" (terrapieno) e delle mura Serviane, che la tradizione attribuisce al regno di Servio Tullio; ricostruite dopo l'invasione gallica e restaurate durante la seconda guerra punica, poi nel corso delle lotte tra Mario e Silla e infine da Augusto che rifece le porte, vennero demolite o inglobate in costruzioni in età imperiale, avendo perso la loro funzione difensiva. La cinta della Roma repubblicana, che aveva uno sviluppo di quasi 11 km, uno spessore medio di 4 m e un'altezza di 10, era costruita in opus quadratum di tufo; nel tratto più debole perché in piano, tra la porta Esquilina (v. pag. 491) e la porta Collina posta presso l'angolo di via XX Settembre con via Goito, era rinforzata da un terrapieno addossato al lato interno e sostenuto da un muro di controscarpa, posto a c. 40 m di distanza, al cui esterno correva un fossato. Il tratto di mura in corrispondenza di piazza dei Cinquecento, lungo 94 m e composto da 17 filari di blocchi per un'altezza fino a 10 m, era sepolto sotto il cosiddetto Monte della Giustizia di villa Peretti, che venne sbancato nel 1869-70 per la costruzione della prima stazione; il lato esterno verso via Marsala conserva avanzi laterizi di costruzioni addossatevi in età imperiale. Verso N l'"agger" si interrompe per 18 m in corrispondenza della porta Viminalis - individuata dai due muretti di sperone perpendicolari alle mura - oltre la quale è un altro tratto lungo c. 30 m, con quattro contrafforti esterni riferibili al restauro dell'87 a. Cristo. 62 | R. XV ESQUILINO
Percorrendola per breve tratto si raggiunge il tempio
votivo del Sacro Cuore di Gesù, la prima nuova parrocchiale di Roma capitale, voluta da Pio IX ma iniziata solo nel 1879 sotto Leone XIII, che ne affidò la costruzione a don Giovanni Bosco, e giunta a compimento nel 1887 (il più recente restauro data al 1987). Sulle indicazioni del prelato Francesco Vespignani modificò il progetto iniziale prolungando la chiesa di quasi 30 m: l'architettura neorinascimentale è concepita in forme scolastiche, soprattutto nella facciata - tripartita e in travertino - e nel campanile, sormontato dalla caratteristica statua del Redentore in rame dorato (1931). L'interno, a tre navate con colonne di granito di Baveno e transetto con cupola, è completamente rivestito di marmi, stucchi, dorature e pitture: a Virginio Monti si debbono quelle nei soffitti lignei riccamente intagliati, nella cupola e nei cupolini delle navi laterali; a Cesare Caroselli quelli dei pennacchi, degli arconi e delle pareti. All'inizio della navata d., statua marmorea di Pio IX di Francesco Confalonieri. I tre altari principali sono composti con elementi seicenteschi provenienti da chiese demolite (su quello maggiore è la pala col Sacro Cuore di Franz von Rohden); nel catino dell'abside, creata nel 1968-69 isolando il coro (dove è conservato il S. Stefano d'Ungheria di Antonio Concioli), affresco di Carlo Mariani. In sagrestia sono un Angelo custode del Borgognone e un'Assunta di Orazio Borgianni. Dallo stesso angolo di piazza dei Cinquecento inizia via Solferino, che, assieme al suo proseguimento (via S. Martino della Battaglia), costituisce uno dei due assi generatori della maglia pseudo-ortogonale del rione Castro Pretorio. La strada si allarga in piazza dell'Indipendenza, centro del quartiere umbertino, posta all'intersezione del summenzionato rettifilo con quello composto dalle vie dei Mille (d.) e Goito (sin.). Disegnata dal piano del 1873, fu caratterizzata dalla tipologia a villini nelle consuete forme dell'eclettismo; le sostituzioni, effettuate soprattutto nel secondo dopoguerra, l'hanno R. XV ESQUILINO | 63
pesantemente trasformata: nell'ambito di tali interventi si
colloca il palazzo della Federconsorzi (Aldo Della Rocca, Ignazio Guidi, Enrico Lenti e Giulio Sterbini, 1952-57) qualificato dal *fregio bronzeo (Lavoro dei campi) di Pericle Fazzini, mentre della precedente edilizia resta il villino Monteverde (numeri 8-10). Si prosegue lungo via S. Martino della Battaglia, che costeggia a d. un prospetto in tufo e travertino, di accigliato stile littorio, del cosiddetto palazzo dei Marescialli (c. 1930), oggi sede del Consiglio Superiore della Magistratura, e, in angolo con via Palestro, il coevo edificio razionalista dell'Istituto tecnico commerciale "Duca degli Abruzzi". Al termine si sbocca in viale Castro Pretorio, che ha tagliato la parte O del vasto rettangolo (m 440 per 380) dei "Castra Praetoria", la caserma costruita da Tiberio (21-23) tra le antiche Vie Nomentana e Tiburtina per concentrarvi la guardia permanente dell'imperatore. All'interno dell'area, cui si accedeva da quattro aperture (una su ciascun lato; tre di essi furono poi inglobati nelle mura Aureliane), le differenti strutture erano disposte secondo un impianto ortogonale intorno alla sede del comando ("Praetorium"); alle esercitazioni militari era destinato il "campus" tra il recinto e le mura Serviane, oggi occupato dal moderno quartiere. All'interno del recinto, coperto da vigne nel Medioevo e nel '700 sede della villa del Noviziato dei Gesuiti, venne eretta nel 1862-65 la caserma Macao, poi passata allo Stato italiano. Sulla zona restante è stata costruita (1965- 75) la nuova sede della Biblioteca nazionale centrale "Vittorio Emanuele II" concepita da Massimo Castellazzi, Tullio Dell'Anese e Annibale Vitellozzi secondo un rigoroso funzionalismo e nel linguaggio dell' "international style"; l'istituzione, fondata nel 1875 con il materiale della biblioteca del Collegio Romano e di quelle di 69 congregazioni religiose, possiede il "diritto di stampa" per tutto il territorio nazionale: da ciò derivano i c. 4 500000 volumi (numerosi i fondi) e 64 | R. XV ESQUILINO
periodici (8500 correnti e 2000 giornali). Si percorre il segmento di sin. di viale Castro Pretorio, la cui quinta edilizia è composta dal palazzo del Consorzio nazionale per il Credito Agrario di Miglioramento di Clemente Busiri Vici (N. 118; 1950) e, oltre via Gaeta, dal monumentalistico palazzo già della società Pirelli (1939- 46). Si imbocca ancora a sin. via Gaeta, una delle strade del rione che meglio ne rappresenta il carattere 'misto' (il lato d. è a villini, quello sin. a intensivi). All'incrocio con via Palestro, si prende quest'ultima in direzione NO e, lasciata a sin. via Cernaia, su cui affaccia in angolo con via Castelfidardo l'eclettica chiesa del SS. Rosario di Pompei (Pio Piacentini, 1889-98) con singolare trattamento 'decorativo' dei laterizi esterni, si sbocca in via XX Settembre.
Al centro del lato SO della piazza, sull'allineamento della
porta Viminalis, inizia via Cavour: il carattere di 'ingresso' alla città in alternativa a via Nazionale, è evidenziato, all'imboccatura, dai due edifici gemelli, di moderato monumentalismo (restauro 1988), che proponevano nella nuova capitale la tipologia a portico d'importazione settentrionale. Al N. 68 della piazza è il palazzo dell'ex Collegio "Massimiliano e Massimo", costruito da Camillo Pistrucci nel 1883-87 sul modello di quelli nobiliari del primo barocco romano; dopo un lungo abbandono successivo al trasferimento nel 1960 del collegio all'EUR (v. pag. 792) è stato acquistato dallo Stato nel 1983 e destinato, al termine di un completo restauro (1983-92), a sede del Museo Nazionale Romano (v. sotto). L'edificio sostituì il Palazzo Sistino o di Termini (Domenico Fontana, 1588-89) della villa Peretti Montalto poi Negroni e, dal 1789, Massimo, il cui nucleo originario, formato nel 1576-80 dal cardinale Felice Peretti, fu da questi, divenuto papa, ampliato nel 1585-88. Del complesso, che costituì il modello per le ville romane del periodo barocco e la cui sorte fu segnata dall'alta di Termini quale zona per la stazione, si sono R. XV ESQUILINO | 65
conservati solo la fontana del Prigione, ricostruita a Trastevere
(v. pag. 524), e alcuni affreschi ed elementi decorativi oggi nella sede dell'EUR. Il "Museo Nazionale Romano", raccolta archeologica tra le più importanti del mondo, venne inaugurato nel 1889 con reperti rinvenuti dopo il 1870, e da allora è stato accresciuto con le antichità del Museo Kircheriano e della collezione Ludovisi, acquistate nel 1901, nonché dai materiali rinvenuti nei successivi scavi. Il palazzo dell'ex Collegio "Massimo" si affianca, come nucleo principale, alla sede storica nelle terme di Diocleziano e al palazzo Altemps, destinati rispettivamente al Dipartimento epigrafico e alla collezione Ludovisi; le sezioni tematiche di cui si compone l'allestimento illustrano gli aspetti più salienti della cultura artistica a Roma tra l'epoca sillana e la fine dell'età imperiale. Il largo di Villa Peretti è delimitato sul lato di fondo da via delle Terme di Diocleziano e dall'edificio già dei Granai Clementini eretto nel 1705 da Clemente XI: l'originario, modesto prospetto (restano i tre portali, di cui il centrale, di elegante disegno e con iscrizione e stemma, è opera di Carlo Fontana) è stato rifatto a fine '800 per adeguarlo al monumentalismo del palazzo di Gaetano Koch che vi si è innestato sulla destra. In angolo con via del Viminale, a sin., è l'ornata facciatina della casa del Passeggero (Oriolo Frezzotti, 1920), che costituisce, con le decorazioni in marmo e in bronzo e la pensilina in ferro battuto ora deturpata dalle insegne, uno dei più simpatici esempi del déco romano; subito dopo emerge il muro laterizio di una rotonda angolare delle terme.
le 'terme di Diocleziano, iniziate nel 298 e compiute tra
il 305 e il 306, le più grandiose di Roma (coprivano una superficie di m 376per361) ed eccezionale esempio di riutilizzo delle strutture. La pianta del colossale stabilimento, che poteva ospitare c. 3000 persone, riprendeva lo schema ideato da Apollodoro di Damasco per le terme di Traiano: corpo di fabbrica centrale 66 | R. XV ESQUILINO
circondato da giardini con ninfei, esedre e gruppi di sale
all'intorno. Del complesso, oltre ai vani trasformati nella chiesa di S. Maria degli Angeli e a quelli adattati per ospitare il Museo Nazionale Romano, restano due rotonde agli angoli SO e SE della cinta esterna - una riutilizzata dalla chiesa di S. Bernardo alle Terme e l'altra visibile in angolo con via del Viminale - un ambiente rotondo-ottagono all'angolo O del corpo centrale delle terme (la sala della Minerva), un'esedra della cinta esterna nei giardini di piazza dei Cinquecento e, all'interno del complesso, altri vani; l'esedra principale, che serviva da cavea per assistere alle esercitazioni, è invece ricalcata nelle linee dagli edifici che Gaetano Koch eresse in piazza della Repubblica. Nelle aule del grandioso complesso dioclezianeo fu inaugurato nel 1889 il *Museo Nazionale Romano Tra le sale attualmente aperte al pubblico, le AULE XI e X di particolare imponenza architettonica, è a doppia esedra ed era forse uno spogliatoio ("apodyterium"). L'AULA VIII (non accessibile) corrisponde al frigidarium scoperto. Da essa si vede la metà di sin. dell'imponente prospetto del corpo centrale delle terme, che aveva di fronte il frigidarium (piscina natatoria di 2500 metri quadri di superficie) e che era composto di cinque nicchioni, alternativamente rettangolari e absidati, rivestiti di marmi e adorni di statue entro tre ordini di edicole sovrapposte (ne restano le mensole sorreggenti le colonnine dei timpani); dei nicchioni ne sono riconoscibili solo due, in quanto quello centrale divenne il presbiterio e l'abside di S. Maria degli Angeli mentre gli altri due si vedono da via Cernaia. Contro i muri dell'aula è una serie di elementi architettonici (si notino i due acroteri a traforo) appartenenti a un monumento contiguo all'ustrinum degli Antonini. Da quest'ultima si accede a una serie di altre sette, che si sviluppano attorno al braccio d. del transetto di S. Maria degli Angeli formando una grandiosa fuga di volte e di pareti nude e imponenti. Dall'aula X si esce nel GIARDINO verso piazza dei Cinquecento, corrispondente a una piccola parte dell'antico giardino delle terme. Dal giardino, per un'arcata moderna aperta R. XV ESQUILINO | 67
nel muro di fronte perimetrale, si sale all'AULA XII, antica
"forica" (latrina) delle terme, che conserva l'originale pavimento musivo: con pianta a segmento di cerchio, era decorata da colonne nella parete ricurva, ove erano disposti i sedili, e di nicchie per statue nel muro opposto alla curva. Da piazza dei Cinquecento si percorre viale Einaudi lasciando nei giardini a sin. il monumento ai Caduti di Dògali, eretto nel 1887 davanti alla facciata della stazione da Francesco Azzurri e qui trasferito nel 1925: su una base di granito e bronzi è collocato il minuscolo obelisco egizio 1280 a. C.) rinvenuto nel 1883 nell'area dell'Iseo Campense. Al termine del viale è *piazza della Repubblica già Esedra, sistemata a fine '800 per costituire l'accesso 'importante' dalla stazione alla città (molti dei partecipanti al concorso del 1882 proposero di erigere qui il monumento a Vittorio Emanuele II): essa segue la curva della grande esedra gradinata delle vicine terme. Nei due palazzi porticati, con testate a trattamento più plastico, che vi prospettano (1887-98) Gaetano Koch ha dato monumentali forme neoclassiche ma d'ascendenza barocca alle esigenze del profitto. Da piazza della Repubblica si stacca in direzione SO via Nazionale, la prima strada di Roma moderna, che riprende il percorso del "vicus Longus" tra le terme di Diocleziano e il foro di Augusto. Il carattere celebrativo dell'Unità nazionale riecheggia nella toponomastica: alla via, che punta al monumento a Vittorio Emanuele II (v. pag. 189), convergono o sono parallele strade intitolate alle capitali dell'Italia pre- unitaria, mentre alcuni tratti furono in seguito ribattezzati a ricordo di personaggi e momenti salienti della storia del paese. l centro è la fontana delle Naiadi (o dell'Esedra), la più monumentale di quelle create dopo l'Unità, che ha sostituito la semplice mostra dell'Acqua Pia, inaugurata da Pio IX nel 1870 dov'è oggi il monumento ai Caduti di Dogali: sulla vasca (1888) sono dal 1901 i quattro gruppi bronzei con ninfe su mostri marini di Mario Rutelli, autore anche del Glauco che ha sostituito nel 1912 il gruppo scultoreo ora in piazza Vittorio Emanuele II. 68 | R. XV ESQUILINO
La parte di piazza tra la fontana e il lato NE corrisponde al
calidarium dell'adiacente impianto termale: ne resta solo il nicchione, in cui è l'accesso alla basilica di *S. Maria degli Angeli, ricavata negli ambienti più monumentali del corpo centrale. Le prime idee di una trasformazione del complesso in chiesa risalgono a Giuliano da Sangallo e a Baldassarre Peruzzi (c. 1515), ma solo nel 1561 il sacerdote Antonio Del Duca ottenne da Pio IV la consacrazione degli ambienti agli angeli e ai martiri cristiani impiegati, secondo le leggende, nella costruzione delle terme. Michelangelo fu incaricato dell'attuazione di quest'opera, condotta da Jacopo Del Duca fino al 1566 e proseguita sotto Gregorio XIII, mentre in contemporanea i Certosini, ai quali Pio IV aveva affidato il complesso, costruirono il convento (il chiostro grande, detto "di Michelangelo", è datato al 1565). L'intervento dell'artista si limitò a un restauro quasi esclusivamente conservativo, con la rinuncia a lasciare il proprio 'segno' che equivaleva a un "non finito" architettonico: il tepidarium, i quattro ambienti che si aprivano ai suoi lati e quelli sull'asse trasversale furono recuperati in un organismo quasi a croce greca con tre ingressi, mentre il quarto braccio era concluso dal presbiterio absidato. La successiva trasformazione del complesso iniziò nel 1700, quando, per la creazione della cappella di S. Brunone, fu chiuso l'ingresso verso la strada Pia e, nel 1746, quello opposto (cappella del beato Albergati); contemporaneamente iniziò la tamponatura degli arconi dei vani laterali. Il riassetto decorativo di Luigi Vamitelli per l'Anno Santo 1750, che diede all'interno l'aspetto attuale, rafforzò l'importanza del braccio secondario, in asse con l'unico ingresso rimasto, con l'aggiunta di otto colonne di muratura a imitazione di quelle del transetto, con la decorazione del vestibolo e del presbiterio e con l'apertura di quattro cappelle ricavate dai vani soppressi; il transetto fu invece allestito (modifica delle finestre, creazione delle paraste che si accoppiano alle colonne e della trabeazione continua che raccorda l'ordine sui quattro bracci) come una pinacoteca per le pale d'altare provenienti dalla basilica di S. Pietro, qui trasferite a partire dal 1727. R. XV ESQUILINO | 69
Dopo il 1870 gran parte della certosa fu indemaniata e nel
1889 adattata a sede del museo archeologico; nel 1901-11 la chiesa, divenuta con l'apertura di via Nazionale e la sistemazione di piazza Esedra luogo delle cerimonie ufficiali del nuovo Stato, ebbe eliminata la facciata a semplici partiture geometriche per rimettere in luce la muratura antica, nella quale fu creato un ipotetico doppio ingresso ad arco. Si entra nel VESTIBOLO (pianta, 1), rotonda a cupola con due nicchie laterali a fondo piatto, già ambiente di passaggio dal calidarium al tepidarium (secondo alcuni sarebbe il tepidarium vero e proprio). Nelle edicole, quattro monumenti funebri: a d. quelli di Carlo Maratta, eseguito su suo disegno e con busto di Francesco Maratta (c. 1704), e del cardinale Francesco Alciati (m. 1580) di G.B. Della Porta; a sin. quello di Salvator Rosa (m. 1673), con sculture di Bernardino Fioriti. Cappella d. (2; 1575): tavola attribuita alla scuola di Daniele da Volterra; a sin. monumento di Pietro Tenerani (m. 1869) con busto-autoritratto. Cappella sin., corrispondente al battistero (3; 1579): Noli me tangere, tavola di Hendrick van der Broek PASSAGGIO (4). Nella nicchia di d., *statua di S. Brunone da Colonia fondatore dei Certosini, opera di Jean- Antoine Houdon (1766-68). In basso, due angeli reggiacquasantiere. Seguono a d. la cappella Aldobrandini (5), con S. Brunone del sec. XVII, e a sin. la cappella Aragonesi (6; 1635), con *Consegna delle chiavi di Girolamo Muziano. Sopra l'arcata verso la navata trasversale, Cacciata dal Paradiso, cartone di Francesco Trevisani. La NAVATA TRASVERSALE (7) include il tepidarium, in origine a forma pseudo-basilicale (gli ambienti laterali furono murati nel 1746-49) e coperto da tre volte a crociera impostate su otto colonne monolitiche di granito, e i due vestiboli alle estremità, trasformati in enormi cappelle. E decorata con pale d'altare provenienti dalla basilica di S. Pietro e da quattro cartoni del Trevisani (c. 1638-45). BRACCIO DESTRO (8). Sul pavimento, diagonalmente, Linea Clementina, meridiana con costellazioni dello zodiaco e variazioni millenarie della stella polare, così detta da Clemente XI che la fece disegnare da Francesco Bianchini e Giacomo Maraldi (1702); alla parete d., Crocifissione di S. Pietro di 70 | R. XV ESQUILINO
Nicolò Ricciolini e Caduta di Simon Mago di Pierre Charles
Tremollière (da Francesco Vanni); a quella sin., S. Pietro risuscita Tabila di Francesco Mancini e Predica di S. Girolamo del Muziano. Sul fondo, il beato Niccolò Albergati (c. 1746-50) di Ercole Graziani; nella volta affreschi di Antonio Bicchierai. Qui sono i monumenti funebri dei tre maggiori artefici della vittoria nella prima guerra mondiale: di Vittorio Emanuele Orlando (m. 1953) di Pietro Canonica, dell'ammiraglio Paolo Thaon di Revel dello stesso Canonica (1950) e del maresciallo Armando Diaz (m. 1928) su disegno di Antonio Munoz. BRACCIO SINISTRO (9). Alla parete d., Immacolata e santi *di Pietro Bianchi (1730-35) e Risurrezione di Tabita di Placido Costanzi; su quella sin., *Caduta di Simon Mago di Pompeo Batoni (1755) e *Messa di S. Basilio di Pierre Subleyras (1743-47), nei quali l'impianto barocco si fonde con la nuova sensibilità neoclassica per il colore. Cappella di S. Brunone (10), su disegno di Carlo Maratta: Vergine e i Ss. Bruno e Pietro di Giovanni Odazzi (c. 1700); nella volta, affresco (evangelisti) di Andrea Procaccini (c. 1700). Nell'ambiente di passaggio al presbiterio si aprono due cappelline con cancellata vanvitelliana: quella d. (11) fu completamente decorata da Giovanni Baglione; in quella sin. (12; 1574), sulla volta affreschi del van der Broek, a d. Visione dell'Inferno di Giulio Mazzoni. PRESBITERIO (13). Alla parete d., Presentazione di Maria al tempio di Giovanni Francesco Romanelli (c. 1640) e *Martirio di S. Sebastiano, dipinto a olio su stucco del Domenichino (1629). Alla parete sin. Castigo di Anania e Safira, dipinto su lavagna del Pomarancio (c. 1605), e *Battesimo di Gesù del Maratta (c. 1697). Nell'abside, monumenti funebri di Pio IV (1565) e del cardinale Giovanni Antonio Serbelloni di Alessandro Cioli (1583); sulla parete di fondo, S. Maria degli Angeli, dipinto eseguito a Venezia nel 1543; nella volta, affreschi di Daniele Seyter. Sulla sin. del presbiterio si apre la cappella dell'Epifania (14), già sagrestia della chiesa michelangiolesca, trasformata in coro nel 1727: sopra gli stalli, storie di S. Brunone attribuite come l'affresco della volta (Trionfo del santo) a Luigi Garzi; sull'altare, Epifania, dipinto su lavagna dei sec. XVI. R. XV ESQUILINO | 71
Sulla sin. della facciata della chiesa è il portale
monumentale degli ex Magazzini dell'olio (iscrizione e stemma di Clemente XIII, che adattò i locali interni nel 1764). Gli edifici termali proseguono lungo via Romita, qui trasformati in Granai Camerali da Gregorio XIII nel 1575 (iscrizione con stemma) e oggi in parte sede della facoltà di Magistero. Oltre via Cernaia, la cui apertura (1878) ha coperto parte della palestra delle terme, si costeggia la sala detta della Minerva, posta all'angolo SO del complesso - di cui era forse un ambiente di passaggio - e adattata nel 1928 a planetario da Italo Gismondi; il pressoché intatto ambiente ottagonale, con quattro nicchie semicircolari agli angoli e cupola a ombrello con occhio centrale (diametro m 22), dopo gli ultimi restauri ospita dal 1991 le sculture del Museo Nazionale Romano di provenienza termale. Una rampa sul fondo dell'aula scende al livello originario della sala, sotto il quale sono state rimesse in luce le strutture di edifici pubblici e privati preesistenti alla costruzione delle terme e tagliate dalle fondazioni di queste. Si incontra quindi via Parigi, intitolata alla capitale francese in occasione del gemellaggio (1959); sul lato ~il. della via voltano i muri delle terme, da cui spunta la gradevole facciatina dell'ex chiesa di S. Isidoro alle Terme, fu fatta costruire da Benedetto XIV (1754): targa in facciata e realizzata dall'architetto Giuseppe Pannini, utilizzando alcuni ambienti a fianco dell'attuale “Sala ottagona” delle terme di Diocleziano; Della chiesa, prima sconsacrata e poi demolita per il recupero delle precedenti strutture delle terme di Diocleziano, resta solo la facciata. , mentre il tratto successivo degli ambienti antichi fu inglobato nei granai di Paolo V (1609; iscrizione con stemma) e in quelli di Urbano VIII, che furono distrutti intorno al 1940 per l'apertura del moderno tracciato.
La via XX Settembre si dirige verso il centro e, oltre
l'incrocio a d. con via Piave, che ricalca l'antica via di Porta Salaria (su questa, sulla d., è la neogotica chiesa del Sacro 72 | R. XV ESQUILINO
Cuore di Gesù, che Aristide Leonori realizzò nel 1914-16 con
anomala facciata-portico e interno a tre navate con matronei sontuosamente decorato), è segnata sul lato opposto dal vastissimo palazzo dei Ministeri del Tesoro e del Bilancio, il primo di Roma capitale costruito ex novo (Raffaele Canevari, 1872-78) come sede del Ministero delle Finanze, che si articola in un corpo principale e in due lunghe ali, arretrate rispetto al fronte e concluse da quattro 'torri' angolari sormontate da altane; all'imponenza delle dimensioni si unisce una programmatica austerità di forme e di materiali, con un limitato impiego di travertino. Il frontone sulla via reca un gruppo allegorico di Pietro Costa, mentre quello ,gemello' sulla retrostante via Cernaia (v. pag. 169) è decorato da un gruppo (Agricoltura e Industria) di Ercole Rosa; su questo lato sono anche i monumenti a Quintino Sella (Ettore Ferrari, 1893) e a Silvio Spaventa (Giulio Tadolini, 1898). Le sale furono decorate da alcuni dei migliori pittori dell'epoca (la Sala gialla ha affreschi di Cesare Mariani). Al piano terra è stato allestito nel 1961 il Museo numismatico della Zecca Italiana (ingresso al N. 97 di via XX Settembre; visita: feriali ore 9-11): nel VESTIBOLO sono illustrate le tecniche di coniazione antiche e moderne (in un ambiente a d. è una selezione di medaglie dei più noti artisti dei secoli XIX e XX), il SALONE è suddiviso in due gallerie che accolgono le medaglie annuali pontificie da Martino V a oggi e la collezione di monete italiane dal 1861 all'epoca contemporanea, cui si accompagnano c. 400 cere di Camillo Pistrucci.
Si sbocca in via XX Settembre (per l'inquadramento storico v.
pag. 315), avendo di fronte villa Bonaparte, più nota come Paolina dalla sorella di Napoleone che l'acquistò nel 1816. Di origine cinquecentesca, fu trasformata a metà '700 dal cardinale Silvio Valenti Gonzaga (venne allora eretto il CASINO, attribuito a Paolo Posi e decorato da Giovanni Paolo Pannini) e mutilata di buona parte del parco dalle lottizzazioni otto- novecentesche; ospita dal 1951 l'ambasciata di Francia presso la Santa Sede. Sul breve tratto della via verso porta Pia (v. pag. 653), nell'area dell'ex villa Torlonia già Costaguti, si dispone, arretrato e preceduto da due ampi bacini-fontane, il palazzo dell'Ambasciata di R. XV ESQUILINO | 73
Gran Bretagna (Basil Spence, 1968-71). La forte presenza
dell'architettura michelangiolesca della porta e la peculiarità del tema hanno spinto verso una soluzione . monumentale', del tutto inusuale per quegli anni, che intende reinterpretare in chiave moderna i canoni del manierismo: il blocco stereometrico sospeso su pilastri, con scalone esterno a due rampe e cortile centrale, si qualifica per il progressivo aggetto dei piani e del coronamento, cui corrisponde un intensificarsi dei ritmi dei pieni (rivestiti di travertino) e dei vuoti delle aperture arretrate.
In asse con l'ingresso al ministero su via XX Settembre si
stacca via Sella, che, tra tipici edifici otto-novecenteschi, giunge a intersecare via Sallustiana. Il tratto di d. di quest'ultima porta in piazza Sallustio, al centro della quale, dalla profondità di 14 m che dà l'idea dell'innalzamento di livello della zona dopo l'età classica, sorgono i grandiosi resti, molto ben conservati, degli "horti Sallustiani" (per la visita rivolgersi alla Soprintendenza archeologica di Roma), appartenuti a Cesare e a Caio Sallustio Crispo e passati con Tiberio al demanio imperiale. Le costruzioni, in gran parte rifatte sotto Adriano e restaurate da Aureliano, furono gravemente danneggiate dall'invasione di Alarico: se ne riconosce la *SALA CIRCOLARE, forse una "coenatio" estiva (la singolare cupola interna è a spicchi piani e concavi alternati) circondata da ambienti con tracce di pitture e mosaici (c. 130). Proseguendo invece per via Sella oltre via Sallustiana, si possono osservare, uno opposto all'altro, due significativi esempi contemporanei (1903) dell'edilizia signorile che contraddistingue la zona: ai numeri 63- 65 il villino Bencini di Giulio Podesti; al N. 60 il villino di Rudinì, oggi ambasciata del Giappone, opera di Ernesto Basile dalla raffinata decorazione liberty. Si prosegue per via XX Settembre sino all'incrocio a sin. con via Pastrengo, dove, in restauro da vari anni, è il palazzo già dei Magazzini CIM più noto come "Palazzo di vetro", versione razionalista (1939-42) della tipologia del palazzo della Rinascente in via del Corso. Sul lato opposto di via XX Settembre (il cui tratto successivo è descritto da pag. 315) è il 74 | R. XV ESQUILINO
palazzo del Ministero dell'Agricoltura e Foreste (1908-14), a
d. del quale scende via Salandra. Oltre lo sbocco di questa in via Carducci (all'epoca dell'apertura della strada risale il rinvenimento e il taglio del tratto di mura Serviane - v. pag. 149 -riferibile alla fase più antica della costruzione, oggi inglobato negli edifici), si continua in via Piemonte, una delle più rappresentative del signorile "quartiere delle Regioni", che offre un campionario completo degli stili architettonici adottati dall'eclettismo. Si lascia a d. la neoromanica chiesa di S. Camillo de Lellis (Tullio Passarelli, 1906-10) e tra lussuosi villini risalenti agli anni tra '800 e '900 si sale a intersecare via Boncompagni, uno degli assi del rione Ludovisi che venne lottizzato a scacchiera irregolare sull'area dell'omonima villa (v. pag. 510) a partire dal 1885. Caratterizzata da un'edilizia mista (palazzi e villini), prevalentemente di gusto sei-settecentesco, opera dei professionisti più in voga a cavallo dei due secoli, si qualifica nel tratto di sin. per la chiesa di S. Patrizio (Aristide Leonori, 1908-11), con facciata che vuole rievocare un romanico 'nordico' (nell'interno, Madonna delle Grazie, affresco staccato del sec. XIII); nel tratto di d. spiccano il villino Boncompagni (N. 18), raffinata rievocazione del barocchetto romano di G.B. Giovenale (1901-03; rivolgendosi alla Soprintendenza per i Beni ambientali e architettonici di Roma si può visitare il piano terra, dove si conservano preziosi arredi antichi), e il palazzo già dell'Italcasse, concepito da Maurizio Vitale e collaboratori (1971-78) in aperta polemica col circostante eclettismo. Si sale ancora per via Piemonte fino a via Sicilia, dove si volta a sin. incontrando (numeri 57-59) il razionalista palazzo del Consiglio nazionale degli Ordini e Collegi professionali (Carlo Broggi, 1935-36), che include il teatro delle Arti opera dello stesso. Sul lato opposto è la chiesa Evangelica Luterana (Franz Schwechten, 1910-22), con facciata a capanna tra due torri- campanile e grande fornice d'ingresso, che si distingue per l'asciutto rigore formale e l'integrale rivestimento di travertino. Costeggiandone il fianco sin. lungo via Toscana si è in via Sardegna, dove, al N. 79, è la Biblioteca dell'Istituto Archeologico Germanico, la più importante del settore a Roma. R. XV ESQUILINO | 75
Percorrendo il tratto di d. di via Sardegna si possono
raggiungere, oltre via Abruzzi (al N. 4 è il *villino Florio, la migliore delle opere romane di Ernesto Basile - 1902 -nella quale l'impianto tradizionale del palazzetto turrito è riscattato dalla raffinatissima decorazione liberty), la chiesetta neoromanica di S. Maria Regina dei Cuori (Tullio Passarelli, 1903-13) e l'edificio polifunzionale di Vincenzo, Fausto, Lucio Passarelli e collaboratori (1963-65), una delle più interessanti architetture italiane del secondo dopoguerra: sul piano terra, arretrato e destinato a negozi, si imposta il prisma trapezoidale degli uffici, a superfici interamente specchianti, che segue i contorni del lotto e al di sopra del quale si articola la 'neoplastica' struttura a pilastri e piastre dei quattro piani di appartamenti terrazzati. Il tratto di sin. di via Sardegna sbocca in via Vittorio Veneto, nota in tutto il mondo come *via Veneto, la strada più celebre della Roma moderna (venne aperta nel 1886-89) per gli alberghi, i caffè e i negozi di lusso; ma anche quella urbanisticamente più felice per l'ampiezza e l'arredo verde del tracciato, e soprattutto per lo snodarsi in discesa, da porta Pinciana a piazza Barberini, con due ampie curve in corrispondenza delle quali si collocano gli episodi architettonici più significativi. Avendo alle spalle porta Pinciana (v. pag. 652), si scende fino all'incrocio a d. con via Lombardia. Seguendola si raggiunge, oltre il palazzo oggi della Banca Nazionale del Lavoro (Vincenzo, Fausto, Lucio Passarelli e Maurizio Vitale, 1957-60), il muraglione che racchiude il *casino dell'Aurora, l'edificio artisticamente più rilevante e, assieme al Palazzo grande incorporato nell'ambasciata degli Stati Uniti d'America (v. sotto), unico resto della villa Ludovisi creata dal cardinale Ludovico nel 1621-23 sugli "horti Sallustiani" (v. pag. 508) e ampliata dai Boncompagni Ludovisi nel 1825 e 1851. Il casino (per la visita richiedere l'autorizzazione all'amministrazione Boncompagni al N. 44 della via) è una palazzina cinquecentesca, a pianta cruciforme, cui venne aggiunto nel 1858 un avancorpo su ognuno dei bracci. La SALA D'INGRESSO ha la volta decorata a grottesche (metà sec. XVI), mentre quella della *SALA DELL'AURORA è dipinta a tempera con il Carro dell'Aurora, capolavoro del 76 | R. XV ESQUILINO
Guercino (sue l'Allegoria del Giorno nella lunetta sin. e
l'Allegoria della Notte in quella d.; le decorazioni architettoniche ad affresco sono di Agostino Tassi, 1621); nella SALA DEL CAMINO O DEI PAESI, Paesaggi del Guercino (d.), di Paul Brill (sulla parete opposta all'ingresso), di G.B. Viola (sin.) e del Domenichino (sull'ingresso), mentre al centro del soffitto è una Danza di putti attribuita ad Antonio Circignani. Al piano nobile, sul soffitto della saletta dopo l'ingresso è un dipinto a olio su muro (*Gli Elementi e l'Universo con segni zodiacali) ormai riferito a Caravaggio (c. 1597); l'adiacente sala prende nome dalla Fama realizzata sul soffitto dal Guercino e dal Tassi. La famosa collezione di sculture antiche, acquistata in gran parte dallo Stato nel 1901, è oggi nel novero dei materiali del Museo Nazionale Romano (v. pag. 359). Ancora su via Veneto, oltre l'incrocio a sin. con via Boncompagni (v. pag. 508), dove spicca l'appariscente soluzione d'angolo in curva sormontata da cupola dell'albergo Excelsior (Otto Maraini, 1905-08; allo stesso si deve, al N. 48 di via Ludovisi, la coeva neobarocca villa Maraini oggi sede dell'Istituto svizzero di Roma, la cui biblioteca, specializzata in scienze umanistiche classiche, annovera c. 30000 volumi e c. 10000 riviste), si individua a sin. il nuovo palazzo Boncompagni o Piombino, noto anche come palazzo Margherita in quanto fu residenza della regina madre, che oggi ospita l'ambasciata degli Stati Uniti d'America: Gaetano Koch, del cui cinquecentismo è l'opera più emblematica, lo eresse (1886-90) per il principe Rodolfo Boncompagni Ludovisi in sostituzione del palazzo Piombino in piazza Colonna, di cui riprese, in forme più auliche e 'corrette', l'impostazione e lo stile, con la principale variante dell'ingresso unico, a triplice arcata e balcone su colonne (il fregio con gli elementi araldici della famiglia è stato manomesso con l'apertura delle finestrelle). Addossato posteriormente all'edificio resta, alquanto alterato, il Palazzo grande di villa Ludovisi (lo si vede dalla retrostante via Friuli), attribuito a Carlo Maderno o al Domenichino (inizi sec. XVII). La curva di via Veneto è qui assecondata dal prospetto, che annuncia il passaggio dal déco al "Novecento" monumentale, dell'albergo Ambasciatori (Marcello Piacentini R. XV ESQUILINO | 77
1924-26), opposto al quale si stacca via Bissolati, arteria di
collegamento con piazza di S. Bernardo e la stazione di Termini realizzata nel 1933 su progetto di Piacentini (fu nominata via XXIII Marzo). Oggi sede di uffici di rappresentanza di compagnie aeree e marittime, si caratterizza per due edifici di Piacentini: all'angolo con via Veneto (N. 199) il palazzo della Banca Nazionale del Lavoro (1936), solido e severo secondo l'ultimo stile littorio, e il palazzo dell'INA (N. 23; 1936-44), a sin. del quale, con facciata su via Sallustiana, è il palazzo della sede centrale dell'Istituto Nazionale delle Assicurazioni, eretto da Ugo Giovannozzi nel 1923-27 in un fastoso neobarocco con richiami classicisti. Si prosegue lungo l'alberata via Veneto, qualificata dall'ex albergo Palace (N. 62; Carlo Busiri Vici, 1900-02), classicheggiante ma con sentori liberty nel loggiato centrale, e dal neobarocco, ma stilizzato, palazzo dell'INA di Carlo Broggi (N. 89; 1925 28), cui segue il palazzo del Ministero dell'Industria, Commercio e Artigianato, già delle Corporazioni, che Marcello Piacentini e Giuseppe Vaccaro realizzarono nel 1928-32 in tufo e travertino con un massiccio aspetto militaresco: il grande portale bronzeo (Giovanni Prini) in angolo con via Molise è sormontato da un balcone scolpito da Antonio Maraini; l'interno è ricco di opere d'arte e di artigianato di Mario Sironi, Ferruccio Ferrazzi, Romano Romanelli, Pio e Silvio Eroli, Gio Ponti, Attilio Selva, Fortunato Depero, Francesco Messina, Enrico Prampolini, Roberto Melli, Francesco Trombadori, Luciano Minguzzi, Piero Marussig, Fausto Pirandello. Alla fine dell'isolato occupato dall'albergo Majestic (N. 50; Gaetano Koch, 1896), risale le pendici S del Pincio la scalinata di via di S. Isidoro. Percorrendola si arriva in via degli Artisti, su cui prospetta, oltre un giardino cinto da una cancellata, la chiesa di S. Isidoro, iniziata su progetto di Antonio Casoni nel 1622 dai Francescani spagnoli, continuata dal 1625 per i Francescani irlandesi con interventi di Domenico Castelli (cappelle laterali, portico, scalinata) e terminata nel 1672; una nuova decorazione pittorica venne realizzata in corrispondenza dei restauri del 1856 78 | R. XV ESQUILINO
e 1947-49. Sopra una scalinata a doppia rampa si leva la
facciata-portico a due ordini di paraste, su disegno di Francesco Carlo Bizzaccheri (1704-05; restauro 1991-92): condizionata dalla struttura del Castelli, si qualifica per la decorazione di gusto borrominiano. L'interno è a navata unica con volta a botte e due cappelle per lato, transetto con cupola schiacciata e due cappelle ai lati del presbiterio; nel soffitto Gloria di S. Isidoro di Charles André Van Loo (1729), in controfacciata coro ligneo su disegno del Castelli (1641). La 1a cappella d. (Alaleona) fu interamente dipinta (scene della vita di S. Giuseppe) da Carlo Maratta (1650-52), la 2a da Pier Paolo Naldini (c. 1657) con scene della vita di S. Anna. *Cappella Da Sylva su disegno di Gian Lorenzo Bernini (1663): Immacolata Concezione e tre affreschi del Maratta; alle pareti, monumenti funebri Da Sylva e quattro Virtù attribuiti a Bernini o al figlio Paolo. Altare maggiore, su disegno di Mario Arconio (1630): S. Isidoro e la Vergine di Andrea Sacchi (1622). 2a cappella sin.: S. Antonio di Giovanni Domenico Cerrini (1680) e lunette di Gilles Hallet. 1a: cupola e lunette affrescate dal Maratta (1657). Adiacenti alla chiesa sono il CHIOSTRO SPAGNOLO, eretto nel 1622-26 su disegno del Casoni e coperto nel 1948, e il CHIOSTRO DI WADDING (1630), con affreschi del 1701-06 (l'Aula maxima conserva interessanti affreschi di fra' Emanuele da Como del 1672). Quasi al termine di via Veneto, a sin., è la chiesa di S. Maria della Concezione detta dei Cappuccini, che venne eretta nel 1626-30 su progetto di Antonio Casoni e che in seguito all'apertura della strada ha perduto il suo contesto di carattere suburbano. Una moderna scalinata a doppia rampa sale alla modestissima facciata, in laterizio a due ordini di lesene con raccordi a quarto di cerchio, che nel 1925-26 è stata 'arricchita' col parziale rivestimento di travertino e l'apertura del finestrone. L'interno è a navata unica, con cinque cappelle intercomunicanti per lato, presbiterio e profondo coro. Nella volta, Assunta di Liborio Coccetti (1796). 1a cappella d.: S. Michele arcangelo di Guido Reni (c. 1635); alla parete sin., Cristo deriso di Gherardo Delle Notti. 2a: Trasfigurazione di Mario Balassi; alla parete sin., Natività di Giovanni Lanfranco (c. 1632). 3a: S. Francesco stigmatizzato del Domenichino (sua la Morte del santo alla parete sin.). 4a: Orazione nell'orto di Baccio Ciarpi (c. 1632). 5a: R. XV ESQUILINO | 79
S. Antonio di Andrea Sacchi (1635). Davanti all'altare maggiore
(nel retrostante coro, Assunta, opera di Terenzio Terenzi da Urbino del 1578), tomba del cardinale Antonio Barberini (m. 1646; a sue spese venne eretta la chiesa) con la famosa iscrizione "hie iacet pulvis, cinis et nihil" (qui è deposta polvere, cenere e niente altro); a sin. dell'altare maggiore, monumento di Alessandro Sobieski (m. 1714) di Camillo Rusconi. 5a cappella sin.: Apparizione della Vergine a S. Bonaventura del Sacchi (1645). 3a: Deposizione di Andrea Camassei; alla parete sin., S. Francesco stigmatizzato di Girolamo Muziano (c. 1570). 2a: S. Felice da Cantalice di Alessandro Turchi (il sottostante sarcofago del sec. III contiene le spoglie del santo). la: Anania ridà la vista a S. Paolo di Pietro da Cortona (c. 1631). Nel convento, S. Francesco di Caravaggio (1603) e Nazareno di Jacopo Palma il Giovane. Contiguo alla chiesa è il cimitero dei Cappuccini, le cui cinque cappelle sono interamente decorate e 'arredate' con i resti di c. 4000 frati morti tra il 1528 e il 1870. Lasciato al N. 7 il palazzo che è l'ultima opera di Gino Coppedè (1925-27; lo ornano iscrizioni latine e un'altana a colonne), la via Veneto termina in piazza Barberini (v. pag. 307). 80 | R. XV ESQUILINO
1.13 Il rione Celio.
Il rione, il cui nome è legato alla leggenda della conquista
del colle da parte dell'etrusco Celio Vibenna, corrisponde alla Il regione augustea, formata dalle alture del "Caelius" propriamente detto (l'area del parco del Celio e di villa Celimontana), del "Caeliolus" (la zona della chiesa dei Ss. Quattro Coronati) e della "Succusa" tra i due. Nelle mura Serviane, delle quali si ignora il tracciato nella zona, si aprivano le porte Celimontana (da cui partiva l'omonima via), Querquetulana (punto d'avvio dell'antica Via Tuscolana) e Capena, che segnava l'inizio della romana Via Appia. Il colle, alimentato da numerosi acquedotti, fu occupato da poche ma ricche abitazioni (casa dei Simmaci), da templi - del Divo Claudio, di Ercole Vincitore, di Minerva Capta - ed edifici pubblici - "Macellum Magnum", "Castra, Peregrina", "Lupanaria" - alcuni con funzioni ausiliarie ai giochi che si svolgevano nel Colosseo - i "Ludi" (caserme dei gladiatori), 1'"Armamentarium" (arsenale), il "Samarium" (ospedale) e lo "Spoliarium" (obitorio); la zona compresa tra le antiche Vie Appia e Latina, inizialmente esterna al pomerio e ricca di sepolture, fu inclusa nella città solo con l'erezione delle mura Aureliane. Con la fine dell'Impero, e per tutto il Medioevo e il Rinascimento, il colle si spopolò (le uniche presenze furono alcuni tra i più antichi luoghi di culto cristiani, le ville e le cosiddette vigne, cioè piccole tenute agricole), mantenendo fino al 1870 un aspetto quasi rurale, mentre la fascia lungo via di S. Giovanni in Laterano, percorsa dai cortei papali, era l'unica con aspetto 'urbano'. Dopo tale data il Celio, istituito come rione nel 1921, fu oggetto di mire speculative favorite dalla disponibilità di aree relativamente vicine al centro cittadino: il primo intervento fu la costruzione del quartiere di abitazioni lungo via di S. Giovanni in Laterano, e la decisione (1885) di far sorgere sul colle l'Ospedale militare pose fine alla possibilità di conservare uno degli ambienti più suggestivi di Roma; la destinazione a parchi pubblici permise la salvaguardia di villa Celimontana (1928) e dell'ex vigna Cornovaglia (1929), anche R. XV ESQUILINO | 81
se pesanti furono le manomissioni per l'allargamento di via della
Navicella (1931) e della medievale via della Ferratella in Laterano (creazione dell'asse via Druso-via dell'Amba Aradam, 1932), e per l'apertura della via dei Trionfi (ora di S. Gregorio, 1933). L'itinerario, che si sviluppa in una parte di città non ancora totalmente snaturata dagli interventi edilizi e compromessa dall'onnipresente e incessante traffico automobilistico, è scandito dalle chiese che nel tempo si sono concentrate sul colle (tra le altre, quelle di S. Stefano Rotondo e dei Ss. Giovanni e Paolo) e da quelle dei Ss. Nereo e Achilleo e di S. Giovanni a Porta Latina; ma annovera anche alcune testimonianze di età romana, tra le quali spicca il sepolcro degli Scipioni. Dall'angolo SE di piazza del Colosseo (v. pag. 262) si salgono le pendici del Celio lungo via Claudia, lasciando subito a d. l'ingresso al parco del Celio, sorto sulla cinquecentesca vigna Cornovaglia prima del 1829 e ampliato da Gregorio XVI; opposto al casino (Gaspare Salvi, 1835), che poggia sulle sostruzioni della scala del tempio del Divo Claudio (vsotto), è l'ex Antiquarium comunale, eretto come Magazzino Archeologico nel 1890 dal comune e chiuso nel 1939 perché lesionato dai lavori per la metropolitana (i materiali sono tuttora nei depositi dei Musei Capitolini). Nel tratto successivo la via costeggia, sempre a d., le sostruzioni della platea (c. m 180 x 200) del tempio prostilo ottastilo M Divo Claudio o "Claudium", eretto nel 54 dalla moglie Agrippina ma trasformato da Nerone in ninfeo annesso alla Domus Aurea (v. pag. 288) e ripristinato da Vespasiano, e a sin., in un'area oggi in abbandono, un complesso di edifici di età flavia, poi rimaneggiati, che affacciavano sul "vicus Capitis Africae" e che sono stati rinvenuti nel 1984-88. Al termine della salita si è in largo della Sanità Militare, chiuso a sin. dall'Ospedale militare del Celio, formato da fabbricati distribuiti su una superficie di 53 420 M2 e collegati da caratteristiche passerelle metalliche; la sua costruzione (1885- 91) comportò la distruzione della seicentesca villa Casali, ma permise l'individuazione della "basilica Hilariana". Nuovi scavi, condotti nel 1987, hanno evidenziato anche una sede di culto di 82 | R. XV ESQUILINO
Cibele e Attis di età antonina, una domus tardo-antica e un
edificio commerciale di età neroniana; benché non ancora identificata, nel- l'area doveva trovarsi la casa dei Simmaci, appartenente a Quinto Aurelio Simmaco, uno degli ultimi difensori del paganesimo. Costeggiando il fianco sin. dell'ospedale lungo via Annia e, al termine di questa, piegando a sin. in via dei Querceti e poi a d. in via dei Ss. Quattro (che ricalca l'antica Via Tuscolana), si raggiunge uno slargo su cui si apre l'ingresso all'omonimo monastero; in fondo al secondo cortile (nelle pareti, colonne separanti le navate del primitivo edificio di culto) è la chiesa dei Ss. Quattro Coronati, dedicata ai soldati Severo, Severiano, Carpoforo e Vittorino martirizzati perché si erano rifiutati di adorare la statua di Esculapio (un'altra versione attesta cinque scultori dalmati uccisi da Diocleziano perché non avevano voluto scolpirla). Eretta nel sec. IV utilizzando un'aula absidata pagana ma nota dal 595, venne ampliata nel VII, trasformata in basilica da Leone IV (a tale periodo risale la cappella di S. Barbara, la cripta semianulare, il quadriportico e la torre campanaria) e ricostruita in dimensioni molto minori (vennero escluse le navate laterali e la parte anteriore di quella centrale; da quest'ultima si ricavarono le attuali navatelle) nel 1111, in seguito all'incendio dei Normanni, da Pasquale II; dopo l'aggiunta del monastero, del chiostro e dell'oratorio di S. Silvestro (fine sec. XII-XIII), interventi conservativi furono effettuati nel 1912-14 (Antonio Munoz), nel 1957 e nel 1991. L'interno basilicale, diviso in tre navate da colonne antiche di granito di vario spessore con capitelli corinzi e compositi, presenta in alto matronei con colonne e capitelli ionici sormontati da pulvino e nella nave mediana un pavimento cosmatesco; il soffitto ligneo a cassettoni (sec. XVI) venne fatto eseguire dal cardinale Enrico del Portogallo. Sulle pareti delle navi laterali, resti di dipinti del sec. XIV. Sull'altare della NAVATA DESTRA (del SS. Sacramento), Adorazione dei pastori di scuola fiamminga del sec. XVI. Nell'ABSIDE, pregevoli affreschi (nel registro superiore storie dei Ss. Quattro Coronati, in quello inferiore storia dei martiri di Pannonia, nel catino Gloria di tutti i santi) di Giovanni da S. Giovanni (1630). R. XV ESQUILINO | 83
Il presbiterio fu rialzato nel sec. IX per ricavare la CRIPTA, con
quattro arche contenenti reliquie di santi martiri; sopra l'ingresso di d., iscrizione damasiana del sec. IV relativa ai martiri Proto e Giacinto. Al termine del colonnato di sin., addossato al pilastro, *ciborio attribuito ad Andrea Bregno o a Luigi Capponi. Sull'altare della NAVATA SINISTRA, S. Sebastiano curato da Lucina e Irene di Giovanni Baglione. Dalla navata sin. (suonare il campanello) si passa nel *CHIOSTRO (inizi sec. XIII), ad archetti su colonnine binate con capitelli a foglie! acquatiche: al centro è il "labrum" (fontana per abluzioni) di Pasquale II; sulle pareti iscrizioni romane e paleocristiane e frammenti architettonici; a sin., in corrispondenza dell'antica navata sin., resti di una cappella dei sec. IX. La coeva CAPPELLA DI S. BARBARA, quadrata e triabsidata, presenta mensole trabeate sorreggenti la volta a crociera dove sono tracce di affreschi del sec. XII. Dal secondo cortile esterno della chiesa si entra nella PORTINERIA DELLE MONACHE, che conserva sulla pareti resti di un raro calendario liturgico del sec. XIII. L'adiacente *ORATORIO DI S. SILVESTRO (chiedere la chiave alla finestrella della "ruota"), a pianta rettangolare e pavimento cosmatesco, fu nel 1246 decorato (alla parete d'ingresso, Cristo in trono tra la Vergine, il Battista, gli apostoli e due angeli, uno dei quali ripiega il firmamento e l'altro suona la tuba simbolo del Giudizio; nella fascia sottostante, storie di Costantino, articolate da sin. in Costantino lebbroso conforta le donne, Sogno di Costantino e invio dei messi a papa Silvestro sul Soratte, Il papa fa venerare all'imperatore le immagini dei Ss. Pietro e Paolo e, col battesimo, lo guarisce dalla lebbra e Costantino, ricevuti i doni, è condotto trionfalmente in Roma dall'imperatore) da uno o più maestri bizantineggianti, probabilmente veneti. Sopra il fregio a foglie, la volta ha una decorazione a stelle e croci con in mezzo cinque maioliche in croce, unico esempio a Roma di ornamentazione di soffitto di questo tipo; gli affreschi in fondo alla cappella sono di Raffaellino da Reggio (sec. XVI). Dal largo della Sanità Militare si stacca in direzione SE la via della Navicella, che prende nome da un modello di nave romana in marmo, ritenuta copia di un ex voto proveniente dai vicini "Castra Peregrina" (v. pag. 478), posto su un basamento 84 | R. XV ESQUILINO
con insegne di Leone X (1513) e adattato a fontana in occasione
dell'allargamento della via (1931). Al N. 4 è un duecentesco portale marmoreo, sormontato da edicola con mosaico (Gesù tra due schiavi liberati), opera di Jacopo e Cosma dei Cosmati; la facciata laterizia con finestrelle in marmo e la porta a sesto acuto in peperino sono i resti del complesso monastico e dell'ospedale di S. Tommaso in Formis, fondato nel 1209 e distrutto nel 1925 per la costruzione della sede dell'Istituto sperimentale per la nutrizione delle piante (per la chiesa v. pag. 479). Percorrendo la strada per breve tratto si può visitare la chiesa di S. Maria in Domnica, così detta dal nome "dominicum" dato ai primi luoghi di culto cristiani; sorta forse nel sec. VII sui resti della caserma della V coorte dei "vigiles", venne ricostruita sotto Pasquale I e restaurata nel 1513-14 dal futuro Leone X su disegno di Andrea Sansovino, cui si deve l'elegante portico a cinque arcate, su pilastri e lesene d'ordine tuscanico. L'interno basilicale (se chiuso, suonare al portone a d. del portico) è diviso in tre navate da 18 colonne antiche di granito grigio con capitelli corinzi; quella centrale, coperta da un soffitto ligneo a cassettoni decorati (simboli delle Litanie della Madonna, 1566) sotto il quale corre un fregio con motivi araldici medicei affrescato da Perin del Vaga su disegno di Giulio Romano, è conclusa dall'arco trionfale, sostenuto da *colonne in porfido con capitelli ionici, e dall'abside, entrambi decorati da *mosaici (sopra l'arcata dell'abside, Cristo tra due angeli e gli apostoli; sotto, Mosè ed Elia; nel catino dell'abside, Maria con il Bambino in trono tra due schiere di angeli e Pasquale I in ginocchio) del tempo di Pasquale I (restauro 1985). Nel giro dell'abside, affreschi di Lazzaro Baldi (sec. XVII). Sotto l'altare si apre la CONFESSIONE (Ildo Avetta, 1958), recintata da una balaustra in bronzo (presso la scala di sin., parti di decorazione riferitile a un edificio del sec. vi a. C. rinvenuto durante gli scavi del 1958): alle pareti, frammenti di plutei medievali. In fondo alle navi laterali, *sarcofagi romani. A sin. della chiesa, un portale (1615), proveniente dalla distrutta villa Massimo Lancellotti e qui rimontato con qualche licenza nel 1931, immette nella villa Celimontana, acquistata nel 1553 dalla famiglia Mattei e sistemata dopo il 1581, che dal R. XV ESQUILINO | 85
1928 è stata adibita a parco pubblico impreziosito da marmi
antichi (su viale Cardinale Spellman è l'obelisco egizio di Ramsses II, un tempo presso il convento di S. Maria in Aracoeli, donato nel 1584 dal Senato romano a Ciriaco Mattei, che riunì nella villa una ricca collezione di antichità, e qui innalzato nel 1817). lo fondo al viale d'ingresso si erge il CASINO, su progetto di Jacopo Del Duca (1581- 86) ma molto rimaneggiato, che ospita dal 1926 la Società Geografica Italiana. fondata a Firenze nel 1867 (la biblioteca, la più grande nel settore in Italia, è ricca di oltre 250000 volumi); l'annesso mu8eo (nel 1992 in ristrutturazione) riunisce cimeli di esploratori e viaggiatori, cartografia antica e materiali etnografici. Poco oltre l'imbocco di via della Navicella converge da E la via di S. Stefano Rotondo (la romana via Celimontana), fiancheggiata nel primo tratto dall'acquedotto Neroniano (v. pag. 501). Sotto una delle arcate (N. 7) è l'accesso alla chiesa di *S. Stefano Rotondo, la più antica (sec. v) a pianta circolare di Roma. Due ambulacri a colonne concentrici, di cui l'esterno intersecato dai bracci di una croce greca, circondavano in origine un ambiente cilindrico; Innocenzo Il aggiunse il portico, a cinque arcate su colonne antiche con capitelli tuscanici, e la triplice arcata interna, mentre Bernardo Rossellino (1453) consolidò le coperture ma eliminò l'ambulacro esterno e tre dei quattro bracci della pianta; un restauro è stato effettuato nel 1980-88, uno è attualmente in corso. Dal VESTIBOLO, che occupa una parte del braccio superstite della croce greca, si accede al vasto interno, formato da Un AMBULACRO CIRCOLARE (in origine il più interno) chiuso da un muro in cui sono inserite le 34 colonne antiche di marmo e granito dell'ambulacro esterno, e da una PARTF CENTRALE, separata da 22 colonne in granito con capitelli marmorei ionici di diversa età e fattura; su di esse grava un architrave continuo da cui si innalza la muratura cilindrica del tiburio (in alto, finestre centinate, alcune murate altre racchiudenti bifore marmoree rinascimentali, risalenti al restauro del Rossellino). Due pilastri e altrettante colonne con capitelli corinzi sono disposti diametralmente nel circolo interno a sostenere le tre arcate (quella mediana più ampia) e il muro di appoggio per le travi dei tetto. Sulle pareti del muro perimetrale, 86 | R. XV ESQUILINO
Martirologio, 34 riquadri affrescati dal Pomarancio, da Antonio
Tempesta e da aiuti (alcuni ridipinti nell'800). Subito a sin., contro un pilastro, seggio episcopale detto di . Gregorio Magno, sedia marmorea del periodo imperiale alla quale vennero scalpellati i braccioli e il dossale. Seguono la cappella dei Ss. Primo e Feliciano, ricavata in una parte del braccio superstite della croce greca (in un'abside in fondo, mosaico del sec. VII, restaurato nel 1990, raffigurante Cristo su Croce gemmata, non crocifisso, secondo un antico schema iconografico, tra i Ss. Primo e Feliciano) e la coppella di S. Stefano ~d1Tnaheria. con sepolcro dell'inizio del sec. XVI. Scavi archeologici hanno rivelato la presenza, sotto la chiesa, di un mitreo (secoli II-III), che conserva parte della ricca decorazione a finte tarsie in marmo, e dei "Castra Peregrina", caserma degli ausiliari provinciali. Da largo della Sanità Militare la visita continua verso NO nella solitaria via di S. Paolo della Croce, passando sotto l'arco di Dolabella, forse ricostruzione -in blocchi di travertino - della primitiva porta Celimontana delle mura Serviane che venne poi riuti1izzato per sostenere il condotto dell'acquedotto Neroniano. Lasciato a sin., subito oltre il fornice romano, l'ingresso alla chiesa di S. Tommaso in Formis (N. 10), ex abbazia benedettina, di cui era parte il summenzionato omonimo ospedale, sopraelevata nel tardo '500 e restaurata nel 1663 e nel 1787, Ss. Giovanni e Paolo. Su un antico "titulus" formatosi nella casa di due ufficiali di Costantino martirizzati nel 362, il senatore Bizante e il figlio Pammachio eressero nel 398 il nucleo della chiesa, che venne danneggiata da Alarico nel 410 e dal terremoto del 442, e saccheggiata dai Normanni nel 1084; sotto Pasquale Il fu riedificato il convento e iniziato il campanile, che venne ultimato a fine sec. XII insieme al portico che sostituì l'originario nartece. Restauri, alterazioni (nel 1715-18 venne trasformato l'interno) e aggiunte si susseguirono fino al 1950-52, quando, per volere del cardinale Francis Spellman, venne ripristinata la facciata paleocristiana dalla rara tipologia 'aperta'. R. XV ESQUILINO | 87
Il prospetto, aperto su due ordini da pentafore su snelle
colonne età in marmo del sec. III, è preceduto dal portico (pianta, l; metà sec. XII) con architrave (iscrizione dedicatoria) poggiante su colonne antiche: la soprastante galleria è aggiunta del 1216. All'adiacente facciata del convento, anch'essa ripristinata nel tipico aspetto medievale, si addossa lo slanciato campanile romanico (c. 1150; restauro 1950-52), decorato da bacini in ceramica (gli originali sono nel picco1o, antiquarium, non visitabile, attiguo all'ingresso alle case dei martiri) e intarsi di marmi colorati e aperto negli ultimi quattro piani da doppie bifore, che si imposta su arcate in opus quadratum di travertino delle sostruzioni del tempio del Divo Claudio. Dal portico (nello spessore del muro, due colonne dell'antica pentafora), un bel portale cosmatesco (nell'architrave, aquila; nell'intradosso, fascia di stelle a mosaico; sotto i piedritti, leoni accucciati) l'interno, diviso in tre navate da pilastri affiancati alle antiche colonne, che ha perso l'aspetto di basilica paleocristiana a seguito della trasformazione operata nel 1715-18, per il cardinale Fabrizio Paolucci, da Antonio Canevari e Andrea Garagni; a tale periodo datano i busti nel vestibolo ottagonale subito all'inizio della nave d. (2; quelli del cardinale Paolucci e di Innocenzo XII sono di Pietro Bracci, 1725) e le tele (al l'altare d., S. Saturnino distrugge l'idolo di Marco Benefial), mentre il soffitto risale al cardinale Agostino Cusani (1598) e la cappella di S. Paolo della Croce (3) alla seconda metà dell'800. A metà c. della navata centrale, nel pavimento, lapide ricordante il luogo in cui i Ss. Giovanni e Paolo subirono il martirio. Nell'abside (4), Cristo in gloria, affresco del Pomarancio (1588); sotto, Martirio di S. Giovanni, di S. Paolo e Conversione di Terenziano di Domenico Piastrini, Giacomo Triga e Pietro Andrea Barbieri (1726; i coevi angeli in stucco sull'arcone sono del Bracci); l'altare maggiore accoglie un'antica vasca in porfido con le reliquie dei santi titolari. In fondo alla navata sin. (5), per una porticina simulata a d. dell'altare (rivolgersi ai padri), si passa in un piccolo ambiente, che accoglie alla parete d. un dipinto (Cristo in trono 88 | R. XV ESQUILINO
fra sei apostoli) del sec. XIII. In sagrestia, Madonna con
Bambino e i Ss. Giovanni evangelista (titolare della chiesa) e Giovanni Battista e i Ss. Girolamo e Paolo, tavola di Antoniazzo Romano. In fondo alla navata d. è l'accesso ai SOTTERRANEI (per la visita rivolgersi alla Soprintendenza archeologica di Roma), dove, nel corso degli scavi del 1887, furono individuati ì resti di ambienti pertinenti ad almeno cinque edifici databili tra il sec. I e il IV, uno dei quali, risalente al II, venne dapprima utilizzato da una comunità cristiana, accogliendo poi la sepoltura dei martiri all'origine della basilica. Dal NINFEO (A), decorato da un *affresco del sec. III con figure di incerta identificazione (Peitho e Proserpina; Dioniso e Teti in ambiente marino), si passa agli ambienti B e C, decorati a finto marmo; il vano D conserva resti di pitture nelle pareti (efebi, festoni, uccelli) e nella volta (scene di vendemmia), mentre in quello E, pertinente a uno degli edifici esterni al perimetro della chiesa, ritorna il motivo a finto marmo. Dall'ambiente C, attraverso due stanze e la fondazione del colonnato della chiesa, si accede all'*ORATORIO MEDIEVALE (F): sulle pareti della scaletta scene della Passione (sec. IX), nella parete di fondo dipinto dell'antico altare (sec. XII). Usciti dalla sala G - decorata a finti marmi, maschere sceniche e figure varie - una scala conduce alla "CONFESSIO" (H), angusto ambiente con pitture del sec. IV: sulla parete di fondo, sotto la "fenestella confessionis" che si apriva su un pozzo in collegamento con il sito delle sepolture dei titolari, figura di orante con due persone prostrate ai piedi; su quelle laterali, scena di arresto di tre persone (sin.; le figure sono generalmente identificate con Crispo, Crispiniano e Benedetta, fedeli dei santi) e loro esecuzione (d.). Dalla piazza si scende a sin. della chiesa per il clivo di Scauro, pittoresca strada, coincidente con l'omonimo percorso romano, sormontata da sette arcate (secoli XIII - XIV tranne l'ultima, più alta, che risale al V) a sostegno del fianco della basilica; subito oltre si intravede l'abside della chiesa, con galleria ad archetti su colonnine, unico esempio di questo tipo R. XV ESQUILINO | 89
romanico-lombardo a Roma. Superato a sin. (N. 3) il portale
(Flaminio Ponzio, 1607) antico ingresso agli oratori annessi alla chiesa di S. Gregorio Magno (v. sotto; i resti di muro laterizio e di un'aula absidata al di là dell'inferriata sono noti come biblioteca di Agapito e risalgono ai secoli IV-VI), si vede, ancora a sin., la chiesa di S. Gregorio Magno, sorta nel Medioevo sul luogo della casa dove il santo aveva istituito nel 575 un monastero dedicato a S. Andrea e rinnovata all'esterno da G.B. Soria (1629-33) e nell'interno da Francesco Ferrari (1725- 34). In cima alla scalinata (*panorama sul Palatino) si erge la facciata, che ripropone anche nel materiale (travertino) lo schema del prospetto della chiesa di S. Luigi dei Francesi; l'atrio, realizzato a partire dal 1642 su disegno del Soria, è circondato da un portico che riutilizza pilastri e colonne binate provenienti dal portico della chiesa precedente (fine sec. III) e accoglie alcune sepolture: spicca in fondo a d. quella dei fratelli Bonsi (Luigi Capponi, fine sec. XV-inizi XVI), con ritratti entro nicchie circolari, fronteggiata dalla tomba del canonico Lelio Guidiccioni (m. 1643), inserita in un monumento funebre rinascimentale. L'interno, a tre navate divise da 16 colonne antiche fiancheggianti pilastri, è decorato da stucchi del Ferrari (c. 1725) e, nella volta, dall'affresco (Trionfo della Fede, 1727) di Placido Costanzi; il pavimento cosmatesco è stato restaurato nel 1745. In fondo alla navata d., *ALTARE DI S. GREGORIO MAGNO: paliotto con tre fini bassorilievi raffiguranti le cosiddette 30 Messe di S. Gregorio Magno, opera del Capponi (fine sec. XV); nella predella, *S. Michele arcangelo sottomette Lucifero, apostoli e i Ss. Antonio abate e Sebastiano, coeve pitture di scuola umbra; pala (S. Gregorio Magno) di Sisto Badalocchio (ante 1626). A d. della cappella è la STANZA Di S. GREGORIO MAGNO, con sedile marmoreo del sec. I a. Cristo. ALTARE MAGGIORE: Madonna con i Ss. Andrea e Gregorio di Antonio Balestra (1734); davanti, Ss. Andrea e Gregorio Magno, statuette in pietra del sec. XV. Dalla navata sin. si accede alla *CAPPELLA SALVIATI (rivolgersi al monastero), su disegno di Francesco da Volterra e completata da Carlo Maderno (1600): alla parete d. Madonna con Bambino, antico affresco ridipinto nei secoli XIV-XV, che secondo la tradizione avrebbe parlato a S. Gregorio Magno; alla parete sin., 90 | R. XV ESQUILINO
*altare marmoreo di Andrea Bregno e aiuti (1469). Al 2° altare
sin. della chiesa, Madonna e santi di Pompeo Batoni (1739). Per una cancellata a sin. della scalinata della chiesa si accede a un pittoresco slargo con cipressi (già cimitero dei Benedettini), in fondo al quale sono tre oratori, sistemati a inizio '600 dal cardinale Cesare Baronio (quelli di S. Andrea e S. Barbara appartennero già al complesso fondato da S. Gregorio Magno) e nel 1992 in restauro (per la visita rivolgersi al Capitolo della basilica di S. Maria Maggiore). Al centro, preceduto da un portichetto su quattro colonne antiche, è l'ORATORIO DI S. ANDREA (secoli IV-XII), restaurato nel 1602-06 dal Baronio e ultimato dal cardinale Scipione Borghese (1607-08) con la direzione di Flaminio Ponzio. Nell'interno: *Flagellazione di S. Andrea, affresco del Domenichino (1608); a sin., *S. Andrea condotto al supplizio, affresco di Guido Reni (1608); all'altare Madonna e i Ss. Andrea e Gregorio del Pomarancio (1602-03); ai lati S. Pietro e S. Paolo, affreschi del Reni; sulla controfacciata, i Ss. Silvia e Gregorio di Giovanni Lanfranco (1608). A d. è l'ORATORIO DI S. SILVIA, madre di S, Gregorio Magno, eretto dal Baronio nel 1602-06 (al 1608 risale il soffitto ligneo intagliato): nella calotta dell'abside, *Concerto d'angeli, affresco del Reni e di Sisto Badalocchio (1608-09); all'altare, statua di S. Silvia di Nicolas Cordìer (1603-04); ai lati Davide e Isaia, affreschi del Badalocchio (1608-09). A sin. è l'ORATORIO DI S. BARBARA o del Triclinium, restaurato dal Baronio (1602-06) e poggiante su resti di un'insula romana con tabernae (secoli II- III): sulla parete di fondo statua di S. Gregorio Magno del Cordier (1602); al centro mensa marmorea del sec. ~III; alle pareti, affreschi (Apparizione della Vergine a S. Gregorio Magno, S. Agostino davanti a re Edelberto, Partenza di S. Agostino e degli altri monaci dal monastero del Celio, Apparizione dell'angelo alla mensa dei poveri, Elezione di Probo ad abate, S. Gregorio Magno dispensa le elemosine ai pellegrini e ai poveri) di Antonio Viviani (1602); alla parete di fondo, monocromi (Ss. Nereo, Achìlleo, Barbara e Flavia Domitilla) ancora del Viviani. A d. della chiesa inizia la salita di S. Gregorio, che scende verso piazza di Porta Capena costeggiando il retro della R. XV ESQUILINO | 91
"Vignola" (per entrambe v. pag. 440); si piega a sin. in via Valle
delle Camene, che corre tra le alberate propaggini meridionali del Celio e le terme di Caracalla (v. pag., 472) e che, lasciato a sin. il cancello neoclassico ex accesso a villa Celimontana (v. pag. 478), sbocca in viale delle Terme di Caracalla (v. pag. 472). Sul lato opposto della strada, dietro gli alberi, si riconosce la chiesa dei Ss. Nereo e Achìlleo (aperta solo in estate ore 10- 12 e 16-18), sorta nei pressi del "titulus fasciolae" (dalla benda caduta dal piede di S. Pietro mentre era condotto al martirio) noto dal 377 e ricordata come "titulus Sanctorum Nerei et Achillei" dal 595. Nell'814 Leone III spostò la chiesa nel sito attuale e la ornò con mosaici di cui sono tracce nell'arco trionfale; per il giubileo del 1475 Sisto IV ne ridusse le dimensioni e sostituì le colonne fra le navate con pilastri ottagoni, mentre alla vigilia del giubileo del 1600 il cardinale Cesare Baronio fece rialzare l'altare maggiore e affrescare l'abside e le navate, conferendo all'edificio l'aspetto attuale. La facciata a salienti e le finestre tamponate distinguibili sotto l'intonaco risalgono al restauro di Sisto IV, mentre la decorazione a motivi architettonici, quasi svanita, è pertinente al restauro del 1600, come pure il portale fra colonne in granito sorreggenti un timpano triangolare e la finestra sovrastante. Sui fianchi della chiesa, dove si aprono finestre tardo- cinquecentesche, si individuano quelle sistine tamponate e tracce della muratura della chiesa di Leone III, cui vanno riferite anche le basse torri ai lati dell'abside. L'interno, a tre navate con abside semicircolare, è caratterizzato dai quattrocenteschi pilastri in muratura (insoliti in un interno), dalla copertura a capriate a vista e dall'esuberante decorazione, risalente alla sistemazione voluta dal cardinale Baronio. Interessanti gli affreschi (storie dei martiri) delle navate, tradizionalmente attribuiti a Nicolò Circignani; nell'altare a edicola della navata d. Madonna adorata dagli angeli di Durante Alberti, in quello della nave sin. i Ss. Nereo, Achìlleo e Domitilla (1600). PRESBITERIO. A d. candelabro marmoreo del sec. XV, con finissime decorazioni, proveniente da S. Paolo fuori le Mura; a sin. ambone, con base di porfido proveniente dalle terme di Caracalla. Il recinto del coro è ricomposto con pezzi cosmateschi (sec. XII); il ciborio cinquecentesco poggia su 92 | R. XV ESQUILINO
pregevoli colonne; l'altare maggiore è formato da un trittico
cosmatesco. La cattedra episcopale con due leoni stilofori è della bottega dei Vassalletto (nella nicchia del dossale è, inciso un brano della XXVIII omelia che Gregorio Magno pronunciò sulla tomba dei martiri). Il giro dell'abside, affrescata con santi ai lati della Croce, termina in alto con una bella cornice ricavata da trabeazione dentellata romana. All'esterno dell'arco absidale, mosaico con l'Annunciazione, la Trasfigurazione e la Theotokos (restauro sec. XIX), unico resto della decorazione del tempo di Leone III. Poco oltre il viale si allarga nel caotico piazzale Numa Pompilio, dal quale si dipartono verso S il tratto di viale delle Terme di Caracalla alla volta della nuova porta Ardeatina (v. pag. 657) e in direzione NE via Druso, sistemazione di epoca fascista della medievale via della Ferratella in Laterano. In angolo con tale strada è la chiesa di S. Sisto Vecchio, nota già dal sec. IV-V, ricostruita al tempo di Innocenzo III e donata nel 1219 a S. Domenico, che qui ebbe il suo primo convento romano (al 1222 risale il monastero); fu in seguito restaurata più volte (radicale fu l'intervento del 1725-27 di Filippo Raguzzini), l'ultima nel 1989. La facciata rettangolare, opera del Raguzzini, presenta lesene e fasce con oculi polilobati; il campanile romanico, a tre ordini di trifore, risale all'epoca di Innocenzo III; sul fianco sin., portale marmoreo del 1478. L'interno (suonare al N. 8) a navata unica, anch'esso restaurato dal Raguzzini, accoglie nella calotta dell'abside (Ss. Sisto e Lorenzo) e nell'ovale al centro (SS. Trinità) dipinti del sec. XVI. Resti di un cielo di affreschi (scene del Nuovo Testamento e dei Vangeli apocrifi; scene delta vita di S. Caterina; Pentecoste) del sec. XIII-XIV sono sul lato sin. del presbiterio, nella stretta intercapedine tra l'abside di Innocenzo III e quella quattrocentesca. Da una porta sul lato il. del presbiterio si accede a un piccolo ambiente, su una parete del quale sono una Presentazione al tempio e, probabilmente, un Cristo fra i dottori (sec. XIV). Lungo una stretta scala che segue a d. la curvatura dell'abside, santi e martiri a mezzo busto e i Ss. Domenico e Pietro martire (sec. III; restauro 1990). R. XV ESQUILINO | 93
Dal lato SE del piazzale, alle spalle di un'edicola circolare
(secoli XII- XIII) eretta forse su un "compitum" che segnava il punto in cui l'antica Via Latina (v. pag. 757) divergeva dall'Appia (v. pag. 761), si può proseguire nella visita lungo la via di Porta S. Sebastiano, pittoresco tracciato suburbano - già parte della romana Via Appia - fiancheggiato da muri coperti di verde (si ha qui l'idea di come era Roma prima di divenire capitale) e oggi ridotto a rapido collegamento con la periferia. Poco oltre la biforcazione dalla quale si diparte a sin. la via di Porta Latina (v, pag. 486), si incontra a d., arretrata, la chiesa di S. Cesareo de Appia, eretta nel sec. vili su un edificio del li e ricostruita alla fine del XVI, con semplice facciata preceduta da protiro e divisa da lesene e riquadri in stucco. Il severo interno ad aula rettangolare (chiuso per restauri) ha un elegante soffitto a riquadrature dorate su fondo azzurro e insegne di Clemente VIII. Il recinto presbiteriale, il pergamo, il paliotto d'altare e la cattedra furono ricomposti con elementi cosmateschi di finissima fattura al tempo di Clemente VIII, epoca cui risale il baldacchino. Sopra la cattedra, Madonna con Bambino, affresco del sec. XV; i mosaici nel catino absidale (Padre Eterno in gloria) e all'esterno dell'arco trionfale (Annunciazione) sono su cartoni del Cavalier d'Arpino, cui sono riferiti i riquadri affrescati sull'attico (storie dei Ss. Cesareo e Ippolito). Nel sotterraneo (vi si accede da una scaletta sul lato sin.), *pavimento musivo in bianco e nero (scene marine; sec. II) che si stende per tutta l'ampiezza della chiesa. Lasciata al N. 8 la casina del cardinale Bessarione (metà sec. XV; chiusa per restauri), che, pur se alterata, conserva finestre a croce, fregio affrescato e scala con loggia (negli ambienti interni, arredati con mobili e opere d'arte rinascimentali, resta parte dell'originaria decorazione ad affresco), si raggiunge al N. 9 il *sepolcro degli Scipioni (chiuso per restauri), monumento di eccezionale interesse storico in quanto vi furono deposti molti esponenti di una delle più famose famiglie dell'antica Roma, che fu scoperto già nel 1616 ma sistemato nel 1926-29. La fronte principale, su cui si apre l'ingresso, affacciava su una strada perpendicolare all'Appia ed era costituta da un prospetto monumentale (quasi del tutto 94 | R. XV ESQUILINO
scomparso) poggiante su un alto basamento, che conserva resti
di più strati di pitture; la facciata si addossava al banco di tufo nel cui interno vennero scavate sei gallerie (quattro ai lati e due, in corrispondenza degli assi, incrociantisi ad angolo retto), mentre lungo le pareti o entro nicchie vennero posti i sarcofagi, ricavati da un blocco di tufo o formati da lastroni. Le iscrizioni sul fronte delle tombe hanno consentito l'identificazione dei defunti e permesso di stabilire che le deposizioni iniziarono ai primi del sec. ~III a. C. con il sarcofago di Lucio Cornelio Scipione Barbato (pianta, ~l; l'originale è ai Musei Vaticani), console nel 298 a. C., con ricco fregio dorico sulla cassa e pulvini alle estremità del coperchio; lo precedono, fronteggiandosi, i sarcofagi di Lucio Cornelio Scipione (2), figlio di Barbato e console nel 259 a. C., e di un figlio di Scipione Ispallo (3). All'estremità della galleria sin. è una calcara medievale dove venivano calcinati i marmi. Per consentire altre deposizioni venne aperta, poco dopo il 150 a. C. e con accesso indipendente a d. di quello principale, un'altra galleria, che accoglie, tra gli altri, il sarcofago per due salme di Scipione Ispano (4), pretore nel 139 a. C. (iscrizione in distici elegiaci). Su parte di questo secondo ipogeo venne fondata nel sec. III una casa in laterizio a tre piani, visibile dall'esterno, con resti di pavimento a mosaico e di decorazione pittorica; a d. di essa è un breve braccio pertinente a una catacomba cristiana, mentre opposto a questa, per una scaletta, si accede invece a un colombario rettangolare (sec. I a. C.- I d. C.), le cui pareti e la cui copertura erano traforate da piccoli loculi per le urne dei defunti. Dall'adiacente parco degli Scipioni, ricavato da Raffaele De Vico (1929) nella vigna Stantelli, si accede al colombario di Pomponio Hylas (per la visita rivolgersi alla X ripartizione del comune), scoperto nel 1831 e così, chiamato da uno dei fondatori ricordati nella decorazione a mosaico di un'elegante edicola opposta all'antica scaletta di accesso alla tomba; nella cella, con volta dipinta a motivi vegetali, sono numerosi epitaffi di età giulio claudia e flavia. Oltre la villa Appia delle Sirene (N. 12), eretta nel '500 sui resti di un ipogeo romano e del supposto tempio delle Tempeste (sec. III a. C.?), e la ex vigna Codini già Savelli (N. R. XV ESQUILINO | 95
13), nella quale a metà '800 vennero scoperti alcuni colombari
risalenti all'età di Augusto e Tiberio (per la visita rivolgersi alla Soprintendenza archeologica di Roma), che si caratterizzano per il massimo sfruttamento dello spazio e conservano tracce della decorazione pittorica, un pavimento a mosaico e numerose epigrafi, si apre, preceduta dall'arco di Druso, la porta S. Sebastiano (v. pag. 656), da cui inizia la Via Appia Antica (v. pag. 761). Percorrendo invece la via di Porta Latina, che si stacca da via di Porta S. Sebastiano poco prima della chiesa di S. Cesareo de Appia e che ricalcando i) segmento iniziale dell'antica Via Latina (v. pag. 757) corre anch'essa tra muri di recinzione di ville, si può visitare la chiesa di *S. Giovanni a Porta Latina, sorta nel sec. v ma più volte trasformata fino ai restauri che hanno ripristinato le forme medievali. Fu fondata nel V secolo o alla fine del IV, ricostruita certamente nel 720 e restaurata nel 1191, con l'aggiunta di un nuovo bel campanile a sei ordini di trifore La facciata, aperta in alto da tre finestre centinate, è preceduta da un portico, a cinque arcate su colonne in marmo e granito con capitelli ionici, che ospita frammenti romani e paleocristiani e resti di affreschi medievali; a sin. si leva lo slanciato campanile romanico. L'interno, basilicale, è a tre navate divise da antiche colonne di marmi diversi con capitelli ionici. La navata mediana è decorata da un cielo di dipinti (scene dell'Antico e del Nuovo Testamento) risalente c. al 1190; nuovo ciclo di affreschi con ben 46 scene bibliche sia vetero che neotestamentarie. L'importante ciclo, recentemente restaurato, rappresenta, insieme al salone gotico nel Monastero dei Santi Quattro Coronati, uno degli esempi maggiori di pittura medioevale nella Capitale realizzati precedentemente all'importante periodo del Cavallini e della sua Scuola Romana.
il pavimento del presbiterio, affrescato (simboli degli
evangelisti e, in duplice teoria, i 24 Seniori dell'Apocalisse) nel sec. XII, è in opus sectile con marini colorati (ante sec. XII). e il 96 | R. XV ESQUILINO
XVII secolo fu arricchita da un nuovo affresco absidale su
cartone del Cavalier d'Arpino. Un ulteriore rifacimento, che la riportò alle antiche caratteristiche medievali, si ebbe nel 1940-41, quando la basilica fu assegnata ai Rosminiani, che oggi nel plesso conventuale adiacente hanno la curia generalizia dove risiede il moderatore generale della congregazione e lo studentato internazionale.
Secondo una notizia raccolta da Tertulliano sulla fine del
II secolo dopo Cristo, l'evangelista Giovanni avrebbe subito a Roma il martirio con l'immersione in una caldaia di olio bollente e, uscitone illeso, sarebbe stato relegato a Patmos.
Il luogo del martirio viene localizzato nei pressi della Porta Latina. Questa notizia è riferita dai martirologi, a cominciare dal secolo VII, quando già nella vicina basilica si celebrava la festa in onore del Martire. La tradizione che la costruzione della basilica risalga al pontificato di Gelasio (492-496) trova conferma nelle tegole del vecchio tetto, di cui una è conservata come leggìo, che portano stampigli dell'epoca di Teodorico (495-526). Nell'ambone si trova una tegola del vecchio tetto che porta uno stampiglio dell'epoca di Teodorico La basilica, restaurata nel secolo VIII ad opera di Adriano I, subì un parziale rifacimento sulla fine del secolo XII, e fu riconsacrata da Celestino III nel 1190.
Un ulteriore ammodernamento "baroccheggiante" si ebbe nei secolo XVI-XVII, ma la basilica fu riportata alla primitiva semplicità nel 1940-41, ad opera dei Padri Rosminiani, che ivi si stabilirono e apersero nel 1938 il Collegio Missionario Antonio Rosmini, nell'edificio adiacente alla chiesa. La chiesa è preceduta da un portico con quattro colonne sulle quali posano cinque arcate; la porta d'ingresso è semplice, senza sguincio, con una cornice a mosaico in porfido rosso e verde.
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Questo portico ha conservato, nel succedersi delle
vicende, il livello primitivo. Del tempo di Adriano I è la margella del pozzo, ornata di una rozza decorazione formata da due serie sovrapposte di racemi che corrono orizzontalmente per tutto il corpo del pozzo.
Sull'orlo, tutto intorno, un'iscrizione latina, certamente di epoca posteriore, che riproduce quasi per intero la formula battesimale: + IN NOMINE PAT[RIS] ET FILII ET SPI [RITUS SANT] I "In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo"; e le parole del profeta Isaia: + OMN[E]S SITIE [NTES VENITE AD AQUAS] "O voi tutti che avete sete venite alle acque"; e contrassegnata dal nome dell'incisore: + EGO STEFANUS "Io Stefano".
L'interno è diviso in tre La navata centrale è decorata
navate da due file di cinque da una serie di circa 50 figurazioni colonne ciascuna di marmo che rappresentano fatti dell' Antico e diverso, sulle quali poggiano archi del Nuovo Testamento, gli uni semicircolari. Le due colonne sovrastanti gli altri: dalla creazione prossime al presbiterio sono di del mondo alla gloria apocalittica pavonazzetto con profonde della nuova Gerusalemme. scanalature; la terza coppia di cipollino, e le altre di granito Gli affreschi sono opera di più grigio e rosso, tutte con capitelli di autori che avrebbero lavorato ordine ionico. insieme sotto un unico maestro.
Il vano centrale termina in una abside semicircolare che
all'esterno ha la forma di mezzo esagono, su ogni lato del quale 98 | R. XV ESQUILINO
si apre una vasta finestra a tutto sesto chiusa da lastre di onice
giallo-miele che diffondono nella chiesa una luce dorata. Crocifisso ligneo con Madonna e S. Giovanni di scuola artigiana della Val Gardena. Avanti e sui lati dell'altare sono conservati avanzi di un pavimento "cosmatesco", a disegno geometrico. Il gradino del presbiterio, ha decorazione a testine e racemi. Inserito poi nella predella dell'altare spicca in lettere capitali romane l'antico "titolo" della basilica, ritrovato durante gli ultimi restauri: TIT. S. IOANNIS ANTE PORIAM LA [TINAM].
La semplicità geometrica dell'ornato, ove al marmo bianco si alterna porfido rosso e verde, fa pensare ad un'opera anteriore al dodicesimo secolo.
Poco prima della porta Latina è l'oratorio di S. Giovanni
in Oleo, forse un "martyrium" sorto nel sec. v nel luogo dove a san Giovanni Evangelista sarebbe stato immerso in una caldaia di olio bollente per ordine dell'imperatore romano Domiziano (92), uscendone illeso. L'anziano apostolo avrebbe resistito così a lungo senza essere bruciato, che gli astanti, convinti di avere di fronte un potente mago, lo avrebbero liberato, per poi inviarlo in esilio a Patmos, dove avrebbe scritto l'Apocalisse di Giovanni. Sul luogo in cui secondo un'antica tradizione avvenne tale episodio furono erette in epoca paleocristiana, intorno al V secolo, la basilica di San Giovanni a Porta Latina ed un martiryum di forma circolare conosciuto con il nome di San Giovanni in Oleo cioè "nell'olio" con riferimento al supplizio del santo. La struttura attuale è una cappella rinascimentale realizzata su commissione del prelato francese Benoît Adam, ricordato in una iscrizione sul portale occidentale (1509). Il progetto è genericamente attribuito a Donato Bramante o ad Antonio da Sangallo il Giovane senza elementi documentali. La piccola costruzione ha una pianta ottagonale con lesene doriche piegate sugli angoli che sorreggono una trabeazione molto semplice. R. XV ESQUILINO | 99
Fu poi restaurata da Francesco Borromini (1657), su
commissione del cardinale Francesco Paolucci che intendeva trasformarlo in cappella di famiglia. Borromini riedificò o modificò la copertura, costituita da una cupola a padiglione con costoloni, sovrapponendovi un tamburo con un alto fregio a stucco, una copertura conica ed un fastigio terminale in stucco con foglie di palma e gigli, globo di rose (emblema del committente) e croce ed aggiungendo alla trabeazione esistente un'alta fascia decorata con festoni di rose e palme. Contemporaneamente al restauro di Borromini, le pareti del piccolo sacello furono adornate da stucchi e affrescate da Lazzaro Baldi con la raffigurazione di storie dell'evangelista tra cui la Visione di San Giovanni ed il tentato martirio. http://www.bollettinodiarcheologiaonline.beniculturali.it/ bollettino.php
MUSEOS DE LOS RIONE AQU EXPUESTOS CON
DETALLE Y CON ORDEN ALFABETICO 100 | R. XV ESQUILINO
1.12 L'Aventino e il Testaccio.
Il colle Aventino ebbe nella prima antichità carattere
popolare, come testimoniano le secessioni della plebe, la lex Icilia (456 a.C.) che permise ai plebei di costruirvi case da trasmettere in proprietà e il fatto che le popolazioni laziali avessero nel tempio di Diana, qui eretto da Servio Tullio, la sede della propria confederazione. Tale sorta di extraterritorialità lo escluse fino all'imperatore Claudio dal pomerio, benché il recinto serviano lo includesse già dal IV secolo a. C. e vi sorgessero i templi dedicati a Minerva, Mercurio, Giunone Regina, Cerere, Libertas, Vertumno Inglobato con Augusto nella XIII regione, in età imperiale, con l'allontanamento del porto e l'inclusione nel pomerio, vide sostituirsi al popolo le famiglie patrizie - fra cui Traiano prima di diventare imperatore - che vi ebbero terme e sontuose dimore: questo spiega perché più accanite che altrove furono qui le distruzioni dei Goti di Alarico nel 410. La valletta in cui correva il vicus Piscinae Publicae lo separava dal "piccolo Aventino", cinto in parte dalle mura Serviane che si aprivano a est nella porta Nevia; posto dalla suddivisione augustea nella XII regione col nome di Piscina Publica (da un bacino artificiale usato come bagno pubblico, funzione poi mutuata dalle terme di Caracalla), il "piccolo Aventino" ospitava sulle pendici il santuario della Bona Dea Subsaxana, mentre nei pressi di S, Saba era la caserma della IV coorte dei "vigiles" e, nelle vicinanze, l'abitazione privata di Adriano. Nel Medioevo tutta la zona, sede di ordini monastici e di insediamenti fortificati, fu destinata per lo più a usi agricoli, e le successive vicende edilizie, fra cui, assai significativo, l'intervento di Piranesi al complesso dei Cavalieri di Malta, riguardarono modifiche e rifacimenti dell'esistente. L'edificazione, iniziò ai primi del Novecento con l'isolato quartiere dell'Istituto Case Popolari a San Saba, ma solo dopo il R. XV ESQUILINO | 101
1931 la zona si andò trasformando nell'attuale quartiere
residenziale, sovente a spese del patrimonio archeologico che solo sporadicamente ha potuto salvarsi; ne restano tracce sotto le sedi ecclesiastiche e le abitazioni, e nella toponomastica, spesso basata però su imprecise identificazioni. L'itinerario, che si snoda in una zona di Roma ormai centrale ma silenziosa e poco trafficata, comprende la parte del rione Ripa includente 1'Aventino maggiore" e il rione S. Saba (l'"Aventino minore"), e tocca alcuni tra i più importanti "tituli" cristiani (S. Sabina, S. Prisca, S. Saba e S. Balbina), culminando nel grandioso complesso romano delle terme di Caracalla; una deviazione permette invece di addentrarsi nel 'romanesco' rione Testaccio. La visita prende avvio da piazzale Ugo La Malfa, che offre un superbo colpo d'occhio sulle rovine del Palatino (la Domus Augustana) e il Circo Massimo. Vi si leva il monumento a Giuseppe Mazzini (Ettore Ferrari, 1929), qui collocato nel 1949 nel centenario della Repubblica romana, mentre l'area circostante, sistemata nel 1935 da Antonio Munoz, è occupata dal Roseto comunale (ingresso ai numeri 6-7 di via di Valle Murcia). Dal piazzale si diparte verso O via di Valle Murcia che, oltre il olivo dei Publicii (il clivus Publicii, prima strada lastricata di Roma; 289 a. C.), continua in via di S. Sabina, sul tracciato del vicus Armilustri (nell'Armilustrium l'esercito romano purificava le armi al ritorno dalle campagne militari); l'alto muro in laterizio a d. chiude il parco Savello, più noto come "giardino degli aranci", trasformazione (Raffaele De Vico, 1932) della fortezza eretta da Alberico II nel sec. X, ereditata da Ottone III Savelli dopo il 1000 e appartenuta poi ai Domenicani di S. Sabina: panorama. Al termine della salita la via si apre a d. in piazza Pietro d'Illiria, creata nel 1614 aprendo un varco nella fortezza dei Savelli (sul muro a d., fontana con vasca termale antica in granito sormontata da un mascherone, su disegno di Giacomo Della Porta): su essa prospetta il quattrocentesco portico laterale, a tre arcate su colonne antiche dai bei capitelli corinzi, di *S. Sabina, il tipo più perfetto di basilica cristiana del sec. V. S. Sabina. Fondata nel 425 da Pietro d'Illiria su un titulus Sabinae sorto probabilmente nella casa di un'omonima matrona 102 | R. XV ESQUILINO
identificata con la santa umbra, fu ultimata da Sisto III,
restaurata da Leone III, arricchita da Eugenio II (824), inglobata nel sec. X nei bastioni imperiali presidiati dai Crescenzi e nel 1222 ceduta a S. Domenico da Onorio III (dell'epoca sono il campanile, mozzato nel '600, e il chiostro). Dopo i restauri del 1441 e del 1481, nel 1587 Domenico Fontana, per incarico di Sisto V, e nel 1643 Francesco Borromini alterarono profondamente l'interno; in due riprese (1914-19 e 1936-37) Antonio Munoz, con la sistematica eliminazione delle sovrapposizioni del Fontana, riportò la chiesa alle forme originarie. Dal portico su pilastri si passa a sin. nell'ATRIO, ad arcate sostenute da colonne antiche (quattro in marmo giallo scanalate a spirale e altrettante in granito), dove sono raccolti materiali di spoglio della chiesa provenienti dagli scavi effettuati durante i lavori di ripristino della stessa: transenne originali delle finestre, sarcofagi di età imperiale e cristiani e, sul fondo, monumentale statua di S. Rosa da Lima (1668). Il PORTALE MAGGIORE, dalla bella cornice classica in marmo, è dotato di preziosi battenti in cipresso della seconda metà del sec. V: una splendida cornice traforata a racemi e animali lo spartisce in 28 riquadri a rilievo (10 perduti), disposti secondo un restauro del 1836, con scene del Vecchio e del Nuovo Testamento illustranti il parallelismo tra Mosè (la Legge) e Cristo (il Vangelo). Procedendo dall'alto in basso e da sin.: 1a fila: Crocifissione, con occhi aperti e senza nimbo (una delle più antiche rappresentazioni del genere), Moltiplicazione dei pani e dei pesci, Guarigione del cieco nato. Nozze di Cana, Cristo rimprovera Tommaso, vita di Mosè (tre episodi), Cristo condannato da Pilato 2a fila: L'angelo e le donne al sepolcro, Mosè e gli Ebrei nel deserto (quattro episodi), Cristo risorto appare alle due Marie, Scena d'acclamazione, Epifania; 3a fila: Ascensione, Cristo preannuncia la negazione di Pietro, Mosè e l'esodo dall'Egitto (tre episodi); 4a fila: Cristo sulla via di Emmaus, Trionfo di Cristo e della Chiesa, Abacuc vota verso Daniele, Ascensione di Elia, Cristo dinnanzi a Caifa. L’interno, solenne e luminosissimo, a tre navate di classiche proporzioni divise da 24 colonne corinzie sorreggenti archi - forse per la prima volta tra le basiliche romane - richiama R. XV ESQUILINO | 103
i prototipi ravennati. Dei ricchissimi mosaici che decoravano la
chiesa rimane, sopra la porta, un frammento con *iscrizione metrica a lettere d'oro in capitale monumentale filocaliano, attribuita a Paolino da Nola, con il ricordo di Pietro d'Illiria, costruttore della chiesa, di Celestino I, sotto il cui pontificato fu edificata, e del concilio di Efeso (431); due figure femminili simboleggiano a d. l'Ecclesia ex gentibus (dì origine pagana) e a sin. l'Ecclesia ex circumcisione (di origine ebraica). NAVATA CENTRALE (soffitto ligneo del 1936). Sopra e ai lati delle arcate, *fregio pregevolissimo in opus sectile (sec. V-VI), a specchi rossi e verdi. Nel pavimento, lastra tombale di fra' Munoz di Zamora (m. 1300; 3), generale dei Domenicani. La schola cantorum venne ricomposta nel 1936 con pezzi dal sec. V al IX, come pure, nell'abside, la cattedra episcopale; nel catino, Cristo assiso sul monte, circondato dagli apostoli, affresco di Taddeo Zuccari (1560), restaurato da Vincenzo Camuccini nel 1836, che ripete il tema dell'antico mosaico. NAVATA DESTRA. Lungo le pareti, tracce di pitture dei secoli V e IX e, incassata nel muro, colonna del preesistente edificio. Cappella di S. Giacinto, affrescata da Federico Zuccari nella volta (Trionfo) e nelle pareti (episodi della vita del santo); all'altare, tela di Lavinia Fontana (Vergine e S. Giacinto, 1600), prototipo per l'iconografia del santo. Monumento funebre del cardinale Auxia (1484; 8) di scuola di Andrea Bregno. In fondo alla navata, una scala (normalmente chiusa) scende a un edificio in laterizio (sec. III) e agli avanzi di un altro a colonne di età repubblicana. NAVATA SINISTRA. Cappella d'Elci o di S. Caterina, su architettura di G.B. Contini (1671; 9): Madonna del Rosario, capolavoro del Sassoferrato (1643); nei pennacchi, affreschi con episodi delta vita di S. Caterina; nella volta, Trionfo della santa di Giovanni Odazzi. Annesso alla chiesa è il CONVENTO (non visitabile), fondato da S. Domenico, dove insegnò S. Tommaso d'Aquino; ricostruito nel 1936-39, conserva la sala capitolare, il chiostro del sec. XIII (puteale moderno), la cella dei santo e la camera di S. Pio V, trasformata in cappella. Nell'area occupata dalla chiesa sono stati scoperti altri cospicui resti antichi, tra cui un tratto, parallelo al Tevere e con due fasi sovrapposte, delle mura 104 | R. XV ESQUILINO
Serviane. Nel sec. I a. C. si addossarono all'interno del recinto
murario abitazioni estesesi nel sec. I d. C. anche all'esterno; nel II alcuni ambienti furono adattati a luogo di culto di Iside (tracce di affreschi e graffiti degli adepti), trasformati successivamente in cisterne e nel x inglobati nelle fondazioni della fortezza dei Savelli. Di nuovo in via di S. Sabina, la si percorre tra villini immersi nel verde fino alla chiesa dei Ss. Bonifacio e Alessio, più nota come S. Alessio. S. Alessio, testimoniata dal sec. VIII sul luogo di un precedente edificio intitolato a S. Bonifacio; ricostruita nel 1217 da Onorio III e restaurata nel 1582, fu rinnovata nel 1750 da Tommaso De Marchis, che occultò i resti antichi manomettendo i mosaici pavimentali, e restaurata nel 1852-60 dai Somaschi, che l'officiano dal 1846. Il portone al N. 23 dà accesso a un quadriportico, che ricalca l'impianto medievale (a d., frammento di guglia gotica con i Ss. Bonifacio e Alessio) sul quale si apre la neocinquecentesca facciata del De Marchis (nel portico a d., statua in gesso di Benedetto XIII, 1750); a d. di questa si leva la duecentesca torre campanaria a cinque ordini. Un portale cosmatesco del tempo di Onorio III immette nell'interno, a tre navate divise da paraste binate corinzie e con volta a botte. Nella NAVATA DESTRA, Monumento funebre di Eleonora Boncompagni Borghese (m. 1693) su disegno di G.B. Contini. Nel TRANSETTO DESTRO, cappella di Carlo IV di Spagna, con Madonna duecentesca che si ritiene portata dall'Oriente da S. Alessio; nel pavimento antistante alla cappella, lastra tombale di Pietro Savelli (m. 1288). Sull' ALTARE MAGGIORE, ciborio a cupola del De Marchis. L'ABSIDE ospita due colonnine del tempo di Onorio III (quella d. è di Jacopo di Lorenzo di Cosma, che ne scolpì 19 in tutto). La sottostante CRIPTA romanica (normalmente chiusa), unica a Roma, con altare a baldacchino che racchiude le reliquie di S. Tommaso di Canterbury, conserva pareti decorate da affreschi con Agnus Dei e simboli degli evangelisti (secoli XII-XIII); la colonna sottostante è ritenuta quella del martirio di S. Sebastiano. R. XV ESQUILINO | 105
Nella NAVATA SINISTRA, al 2° altare è S. Girolamo
Emiliani che presenta orfani alla Vergine di Jean Francois De Troy; opposto a questo è un pozzo ottagono ritenuto della casa di S. Alessio, mentre in fondo alla navata è la scenografica macchina barocca, raffigurante la Scala Santa e il titolare S. Alessio, in stucco e legno, di Andrea Bergondi. Subito oltre l'ingresso al convento (N. 2; non visitabile), esistente dal sec. X ma ricostruito nel '700 e nel 1813 acquistato da Carlo IV di Spagna come residenza estiva (è sede dal 1941 dell'Istituto di Studi romani, la cui biblioteca specializzata riunisce c. 21000 volumi), la via di S. Sabina sbocca nella piazza che prende nome dal *complesso dell'ordine dei Cavalieri di Malta, sorto nel 939 come monastero benedettino (lo resse Oddone di Cluny) e passato a metà sec. XII ai Templari e quindi nel 1312 ai Gerosolimitani, che alla fine del '300 vi posero il priorato; il complesso quattrocentesco, restaurato dopo il 1568 e alla fine del '600 (il cardinale Benedetto Pamphilj fece allora erigere la Coffee House), deve l'aspetto attuale all'intervento di G.B. Piranesi, che qui realizzò nel 1764-66, su incarico del cardinale G.B. Rezzonico (lapide), un capolavoro di 'microurbanistica' neoclassica in quella che costituisce, con la chiesa dell'ordine, la sua unica opera 'costruita': l'appartato invaso è cinto da un muro a specchiature scandite da obelischi, edicole e stele con emblemi navali e religiosi dell'ordine e araldici dei Rezzonico; motivi analoghi sono nei fregi del portale al N. 3, in un prospetto con quattro finestre cieche (il foro nel portale inquadra la celeberrima *veduta della cupola di S. Pietro). Il complesso, cui si accede dal N. 4 (per la visita, non effettuabile in agosto, chiedere il permesso al Sovrano Ordine di Malta, via dei Condotti N. 68), accoglie la chiesa di *S. Maria del Priorato, sulla cui facciata cinquecentista (a ordine unico spartito da lesene scanalate con ricchi capitelli, portale sormontato da un oculo e timpano triangolare) Piranesi pose una ricca decorazione in stucco di emblemi dell'ordine e armi dei Rezzonico (il fastigio sopra il timpano fu distrutto dai cannoneggiamenti francesi del 1849). Nell'interno, a navata unica con cappelle laterali, il linguaggio settecentesco fonde la matrice borrominiana con 106 | R. XV ESQUILINO
l'articolazione piranesiana soprattutto nell'abside, intercapedine
di luce contro cui si staglia in penombra l'altare maggiore, bifronte manifesto della transizione al neoclassicismo. La volta è decorata da stucchi, con al centro la croce dell'ordine di Malta. Alle pareti, sopra la trabeazione, busti di apostoli; a d., sepolcro di Baldassare Spinelli, che utilizza in parte un sarcofago romano; cenotafio di G. B. Piranesi di Giuseppe Angelini (1780). All'altare maggiore, Gloria di S. Basilio, gruppo realizzato da Tommaso Righi su disegno di Piranesi; nella volta del lanternino, medaglioni in stucco con scene della vita del Battista. Trono conventuale del Gran Maestro dell'ordine; sarcofago scanalato utilizzato come sepolcro del Gran Maestro Riccardo Caracciolo; altarolo del sec. IX (collocato nel 1765); monumento funerario del cardinale Gioacchino Ferdinando Portocarrero (m. 1760) su disegno di Luigi Salimei. Piranesi ristrutturò anche il giardino, che conserva materiali archeologici e una vera da pozzo con la data 1244, e la villa, dove, al secondo piano, sono la sala con i ritratti dei Gran Maestri e, in altro ambiente, una Vergine col Bambino e S. Basilio di Andrea Sacchi, già sull'altare della chiesa prima del rinnovamento settecentesco. Dal lato SE della piazza si scende per via di Porta Lavernale, séguito del "vicus Armilustri" (v. pag. 462), incontrando subito a d. il viale di accesso alla chiesa, in 'stile' romanico-lombardo, di S. Anselmo (Ildebrando di Hemptinne e Francesco Vespignani, 1893-1900), con facciata a finta galleria sormontata da tre monofore e interno, di sobria imitazione romanico-paleocristiana, con soffitto a capriate e bella decorazione a mosaico delle absidi; nel monastero, *mosaico con scene del mito di Orfeo (sec II-III) dalla casa di Lucilia Pactumeia (resti nei sotterranei). Nei retrostanti giardini (non visitabili) si trova il bastione della Colonnella, eretto da Giovanni Battista e Antonio da Sangallo il Giovane su incarico di Paolo III. Si giunge in piazza di S. Anselmo, dalla quale, per le vie di S. Domenico, Latino Malabranca e del Tempio di Diana - che insistono su resti romani (gli unici visibili sono sotto il villino al N. 4 di largo Arrigo VII, dove si conservano, affacciati su un criptoportico, tre ambienti di una domus del sec. I a. C., con R. XV ESQUILINO | 107
decorazioni in stucco e pitture del IV stile pompeiano,
attraversati da fondazioni riferibili alle Terme Deciane; per la visita rivolgersi alla Soprintendenza archeologica di Roma) e che attraversano una zona a villini realizzati dopo che il piano regolatore del 1931 decretò l'edificabilità del colle - si raggiunge la piazza di S. Prisca, dove, appartata nell'angolo NE, si pone la chiesa di S. Prisca, tradizionalmente casa di Aquila e Priscilla, genitori della martire Prisca decapitata sotto l'imperatore Claudio. Primo documento di culto è un oratorio del sec. III assorbito dalla chiesa nel v, epoca cui risale anche la prima menzione di un "titulus Priscae"; dopo i restauri di Adriano I nel 772 (decorazioni nei sottarchi della sagrestia e cornice dell'abside a mensole con rilievi) e di Pasquale II, fu accorciata da Calisto III nel 1456 in seguito al crollo delle prime tre campate. Nel sec. XVII Carlo Lambardi rifece la facciata e allargò la piazza, nel 1728 Clemente XIII rimaneggiò l'interno, mentre i restauri degli Agostiniani titolari del 1935 rimisero in luce le tre arcate, oggi finestroni della sagrestia. La facciata tardo-manieristica, larga quanto la navata centrale, ha quattro lesene su alto stilobate e un portale adorno di colonne romane in granito. L'interno basilicale (se chiuso, suonare al N. 11) è scandito da sette colonne ioniche per parte inglobate nei pilastri seicenteschi. Alle pareti della NAVATA CENTRALE, santi e angeli con gli strumenti della Passione di Anastasio Fontebuoni (sec. XVII). Sull'altare maggiore, *Battesimo di S. Prisca, capolavoro del Passignano (c. 1600); alle pareti, storie del martirio della santa, affreschi del Fontebuoni. NAVATA DESTRA. Nel battistero (1948), il fonte è costituito da un capitello di età degli Antonini; la copertura in bronzo (Battesimo di Cristo, 1947) è di Antonio Biggi. Sulla parete, Estasi di S. Rita, tela del sec. XVII. NAVATA SINISTRA. Sopra la porta del campanile, Annunciazione, affresco del sec. XV. In SAGRESTIA, Immacolata e angeli attribuita a Giovanni Odazzi. All'inizio della navata d. è l'accesso al mitreo di S. Prisca (per la visita rivolgersi alla Soprintendenza archeologica di Roma), parte di un complesso scavato negli anni 1934-66 e costituito da una casa del sec. I con quadriportico, da un ninfeo absidato di età traianea, da un edificio a due navate del sec. II entro cui era il "titulus" originario e da alcuni ambienti adattati verso la fine del sec. II al culto di Mitra. Dal ninfeo, già 108 | R. XV ESQUILINO
allestito ad antiquarium (ora in riordinamento), si perviene alla
cripta della chiesa (secoli IX-X), con pianta a "T" e affreschi (scene della vita di S. Pietro, c. 1600) del Fontebuoni; nell'altare, reliquie di S. Prisca. Dal vestibolo del mitreo, dov'è ben conservato l'angolo per l'uccisione delle vittime, si passa alla cella del santuario, con le nicchie per le statue rituali: in fondo è l'edicola con il gruppo di Mitra che uccide il Toro e Saturno sdraiato; gli affreschi sulle pareti raffigurano a d. i Sette gradi d'iniziazione e a sin. la Processione in onore del dio Mitra e del Sole. Sulla sin. sono 1'"Apparatorium" con resti di anfore, il "Caelus", con la vasca per l'acqua lustrale, e la stanza delle iniziazioni. Da piazza di S. Prisca l'omonima via scende nell'allungata piazza Albania, intitolata in precedenza alla porta Raudusculana che qui si apriva nelle mura Serviane; della cinta resta, all'angolo con via di S. Anselmo, un *tratto, lungo m 42, che conserva 12 assise di blocchi di tufo e l'arco di una camera per artiglierie, mentre poco oltre è un secondo tratto, lungo m 43 e conservato per 12 filari) e da cui usciva il vicus Piscinae Publicae (l'odierno, viale Aventino): sul fondo a d. si individua il monumento a Giorgio Castriota Scanderbeg (Romano Romanelli, 1940). Dalla piazza, scendendo a d. dei monumento lungo l'alberato viale Gelsomini, si può visitare il popolare rione Testaccio, istituito nel 1921 scorporandolo dal rione Ripa.
Il quartiere, cui la continuità d'uso come zona mercantile
in virtù della presenza del Tevere ha conservato una fisionomia peculiare, è racchiuso da tre elementi (l'Aventino, le mura Aureliane e l'ansa del fiume) che formano un quadrilatero quasi regolare e pianeggiante, salvo la collina artificiale, sorta dall'accumulo degli scarti dei vasi di coccio (textae), da cui deriva il nome. Il porto, anticamente collocato nell'ansa a E dell'Isola Tiberina, fu trasferito qui nel sec. II a. C. e in relazione con esso sorsero l'Emporium, grande banchina sul fiume, la retrostante Porticus Aemilia e numerosi magazzini (gli horrea Sulpicia, Galliana, Lolliana ecc.); i cocci, il cui accumulo R. XV ESQUILINO | 109
obbedì a regole precise, coprono un arco di tempo che i
frammenti stessi hanno fatto datare fra il 140 a.C. e il 251 d.C., quando lo sviluppo degli horrea nel porto di Ostia esaurì il ruolo annonario dello scalo tiberino e le attrezzature divennero depositi di marmi (da cui il nome Marmorata di uno degli assi del quartiere). La mancanza di abitazioni e le invasioni barbariche conferirono alla piana un aspetto desolato: fino al '700 essa fu teatro di spettacoli popolari (l'area era nota anche come "prati del popolo romano") e di commerci, grazie alla vicinanza dello scalo di Ripa Grande e alle cantine, ricavate ai piedi del Monte dei Cocci e presto convertite in osterie a conferma della vocazione ludica del luogo (numerose vedute testimoniano un paesaggio a vigne e orti punteggiati di ruderi). Il piano regolatore del 1873 destinò il quartiere ad "arti clamorose, fabbricati per abitazioni di operai e grandi officine", modificandone l'aspetto rimasto immutato per 1500 anni; anche se gli insediamenti industriali si limitarono al Mattatoio, che sostituì quello presso porta del Popolo, il Testaccio divenne quel 'quartiere operaio' che nella sua omogeneità ha conservato un raro equilibrio e la cui vivibilità ha attirato di recente nuovi abitanti. L'edificazione per ceti popolari, poco remunerativa, fu presto abbandonata dai privati, che a fine '800 realizzarono un nucleo di abitazioni intorno a piazza Mastro Giorgio (oggi piazza Testaccio), e a essi si sostituì l'ICP, che fra il 1905 e il 1930 completò l'assetto edilizio della zona; l'attuale tessuto a scacchiera ricalca in parte l'orientamento di quello antico e i numerosi rinvenimenti archeologici, quando non cancellati dai nuovi fabbricati, sono inglobati nelle corti e negli spazi di risulta. Il viale Gelsomini costeggia a sin. il parco della Resistenza dell'8 settembre (Raffaele De Vico, 1939), all'interno del quale si intravede l'Ufficio postale (Adalberto Libera e Mario De Renzi 1933-35), una delle più incisive testimonianze dell'architettura razionalista a Roma, con pianta a "U" occupata al centro dal salone per il pubblico coperto da tamburo vetrato. Il fronte del palazzo affaccia su via Marmorata, dove si riconosce la curva d'angolo della caserma dei Vigili del Fuoco (Vincenzo Fasolo, 1928-30), in cui il rivestimento a bugnato rustico di tufo 110 | R. XV ESQUILINO
dell'esterno sottolinea l'eclettica combinazione di stili e di
funzioni, culminante nell'alta torre. Percorrendo il segmento di sin. della via e, prima della cinta muraria, girando a d. in via Caio Cestio, si raggiunge il Cimitero acattolico, istituito per gli stranieri cui era vietata, per la diversa fede religiosa, la sepoltura nei cimiteri cattolici; il luogo, la cui origine è datata dalla tomba più antica (1738), è di indubbio fascino per la presenza dei ruderi e per la vegetazione, che lo rese particolarmente caro agli artisti romantici (vi riposano John Keats e Percy Shelley). Il tratto di d. di via Marmorata annovera invece: al N. 149 un intensivo XP (Innocenzo Sabbatini, 1928), unica parte realizzata, assieme a quello che lo precede, del previsto complesso di quattro blocchi attorno a un piazza circolare, dove influenze mitteleuropee traspaiono sull'interpretazione del repertorio classico in chiave costruttivista; sull'altro lato l'arco di S. Lazzaro, avanzo laterizio del sec. II degli antichi magazzini, il cui nome richiama la cappellina medievale ivi esistente fino all'800; al termine, già in piazza dell'Emporio (dall'Emporium, attrezzatura portuale che fu addossata in età traianea alla Porticus Aemilia, enorme magazzino annonario eretto nel 193 a. C. dai censori Lucio Emilio Lepido e Lucio Emilio Paolo), è la fontana delle Anfore (Pietro Lombardi, 1926), che allude all'origine del rione. Da viale Gelsomini si prosegue in via Galvani, che interseca l'altro asse del rione, la via Zabaglia. Il tratto di d. di quest'ultima conduce nella piazza che prende nome dalla chiesa di S. Maria Liberatrice, iniziata sotto Leone XIII in forme neoromaniche da Mario Ceradini e inaugurata nel 1908 (nel reboante interno, immagine venerata di S. Maria Liberatrice, dalla demolita chiesa del Foro Romano); il profilo in mattoni con inserti in travertino distingue l'isolato ICP (Quadrio Pirani, 1917) che, con le corti aperte e gli spazi verdi interni, costituisce un notevole miglioramento rispetto alla prima edilizia del quartiere. La via Galvani costeggia a sin. la prominenza del Monte Testaccio, collina artificiale (altezza m 50) formata dagli scarti dal vicino insediamento annonario di età romana. Dopo il periodo classico fu adibita a coltivazioni e pascolo, oltre che a R. XV ESQUILINO | 111
luogo di scarico, e vi furono scavate nei fianchi alcune grotte,
utilizzate come cantine grazie alla circolazione dell'aria fra i cocci; fu sede di manifestazioni popolari (ricordato dal sec. XIII come "Mons de Palio", vi terminava il "gioco della Passione", sorta di sacra rappresentazione e Via Crucis, di cui è traccia nella croce sulla sommità; fino al 1466 vi si festeggiò il Carnevale, poi spostato in via del Corso), ma anche di un poligono di tiro dei bombardieri di Castel S. Angelo. Con alcuni editti Benedetto XIV ne assicurò la salvaguardia archeologica, ma indagini sistematiche si fecero solo nell'800 in vista dell'urbanizzazione; nel 1931 Raffaele De Vico ne attuò una sistemazione a parco pubblico, presto caduto in disuso ' mentre le ultime alterazioni si ebbero in seguito all'accumulo delle terre di scavo del Circo Massimo e all'installazione di una batteria antiaerea. Al fondo di via Galvani sono gli archi, sorretti da colonne tuscaniche, dello stabilimento di Mattazione, l'ex Mattatoio (Gioacchino Ersoch, 1888- 91), sormontato da una scultura raffigurante un genio che atterra un bue. Il complesso, che rappresenta una felice sintesi tra funzionalità delle strutture e dignità estetica ispirata ai criteri ottocenteschi di decoro urbano, sviluppa, con l'annesso foro boario, un fronte di oltre 500 m per una superficie complessiva di circa 10 ettari, articolata su due ampie corti frammentate da strutture trasversali e, sul perimetro, da corpi minori per attività accessorie; sostituito dal Centro Carni sulla Via Prenestina, è stato destinato a sede della futura "città della scienza". Da piazza Albania, in prosecuzione di via di S. Prisca, risale il "piccolo Aventino" la via cui dà nome la chiesa di *S. Saba, dalla quale deriva anche l'appellativo del rione istituito al pari di Testaccio nel 1921. S.Saba. La tradizione vuole che S. Silvia, madre di Gregorio Magno, abbia qui avuto una casa con un oratorio e che fosse qui il primitivo monastero dedicato a S. Saba, capo del monachesimo orientale; il primo dato certo riguardante l'insediamento paleocristiano è il 768, quando vi venne imprigionato il falso papa Costantino (un resto di affresco del sec. X raffigurante monaci benedettini, rinvenuto sotto la chiesa, induce a ritenere il complesso dipendente da Montecassino). 112 | R. XV ESQUILINO
Il monastero, assegnato ai Cluniacensi nel sec. XIII, passò
poi ai canonici regolari, quindi ai Cistercensi e infine fu da Gregorio XIII affidato al Collegio Germanico Ungarico, retto dai Gesuiti; seguirono anni di decadenza, fino ai restauri del 1932-33. Per un protiro (rimaneggiato) del sec. XIII si entra in una corte, su cui prospetta la facciata: il portico e la galleria con loggiato che a essa si sovrappongono celando quella originaria vennero realizzati, come l'affresco dell'arco trionfale e il restauro del tetto, nel 1463 dal cardinale Francesco Piccolomini. Pio VI sostituì gli attuali rozzi pilastri laterizi alle primitive colonne in porfido e giallo antico del portico (il corpo a sin., esterno al recinto e che forma l'undicesima arcata della loggia, è anch'esso aggiunta successiva); le quattro finestre primitive sopra il portico, due monofore e due bifore, furono murate e sostituite da altre cinque per l'abbassamento del pavimento della loggia. Nel portico, dove si scorgono i resti della polifora d'ingresso dell'antico oratorio, sono reperti archeologici e medievali, fra cui un piccolo sarcofago strigliato con la "dextrarum iunctio" e un rilievo con Cavaliere con falcone (sec. VIII). Il portale ha una bella cornice marmorea con decorazione musiva e iscrizione recante data e firma dell'autore (Jacopo di Lorenzo di Cosma, 1205); le deperite pitture superiori appartengono all'intervento di Gregorio XIII per il giubileo del 1575. L'interno, di rude semplicità, è a tre navate, spartite da 14 colonne di spoglio e terminanti in altrettante absidi; il pavimento cosmatesco (sec. XIII) fu ricollocato dopo il restauro del 1907. Il ciborio, l'altare maggiore e la cattedra episcopale vennero ricostruiti secondo la descrizione di Pompeo Ugonio con pezzi antichi reperiti agli inizi del '900. Nel catino dell'abside, gli affreschi (Cristo tra i Ss. Andrea e Saba; nella fascia sottostante, Agnello mistico e teorie di agnelli; sotto, al centro, Vergine in trono con il Bambino e i dodici apostoli e, più in basso, Gregorio XIII e santi), fatti eseguire per il giubileo del 1575, ripetono il soggetto della precedente decorazione, forse musiva. Sopra la cattedra episcopale, Crocifissione, molto ridipinta, del sec. XIV. R. XV ESQUILINO | 113
L'Annunciazione sulla parte alta a spiovente dell'arco del
presbiterio e la fascia lungo le pareti sotto il tetto a capriate furono fatte eseguire dal cardinale Piccolomini (iscrizione 1463). Addossati alla parete della navata d., resti dell'ambone e della schola cantorum, rimossa dalla navata centrale nel 1943, con l'iscrizione Magister Bassalectus (Vassalletto) me fecit qui sit benedictus. La cosiddetta IV navata (a sin.), originariamente forse un portico, è coperta a crociera; alle pareti, Leggenda di S. Nicola di Bari e delle tre zitelle, Pontefice in trono fra due santi, Vergine in trono tra i Ss. Andrea e Saba, affreschi del Maestro di S. Saba (fine XIII-inizi sec. XIV). Nel corridoio antistante alla sagrestia, frammenti (notevole quello con volti di tre monaci) dei pannelli votivi aggiunti nell'oratorio nel periodo benedettino (sec. XII). Dell'antico monastero sabaitico sul fianco sin. della chiesa restano scarse tracce, come pure del tozzo campanile, mozzato dai crolli e inserito nella navata sinistra. La retrostante piazza Bernini costituisce il centro del complesso ICP S. Saba (Quadrio Pirani, 1907-23), di alta qualità abitativa e di livello formale insolito in edifici popolari grazie alla bassa densità insediativa e all'adozione di tipologie contenute. La finitura laterizia, che rimanda alle vicine mura Aureliane e alla chiesa, unita ad altri materiali della tradizione (travertino, tufo, intonaco grezzo, stucco), concorre alla varietà delle soluzioni di facciata, i cui motivi decorativi sono coerenti con la struttura; il pendio SE verso viale Giotto riduce inoltre l'incidenza volumetrica delle costruzioni, che hanno altezze variabili e corti interne articolate, dove rampe e scale raccordano le diverse quote. La via Salvator Rosa, che inizia dal lato NE della piazza, si apre a sin. in piazza Remuria, nome che ricorda l'origine leggendaria di Roma, dalla quale discende il "piccolo Aventino" la via Aventina, dove, tra il 1930 e il 1940, si concentrarono alcune riuscite realizzazioni di architettura razionalista. Al termine di viale Giotto, dal quale, presso largo Fioritto, si tiene ancora a sin. per la via cui dà nome la chiesa di S. Balbina. 114 | R. XV ESQUILINO
S. Balbina. La prima menzione di un titulus Sanctae
Balbinae figlia del martire Quirino e martire anch'essa, risale al 595, benché si possa riferire alla chiesa, eretta dopo le invasioni barbariche su un'aula appartenente probabilmente alla casa di Lucio Fabio Cilone che fu console nel 204, il titulus Tigridae menzionato nel 499. Il tempio, restaurato nel sec. VIII e poi da Marco Barbo, nipote di Paolo II, nel 1489 (iscrizione sulla capriata centrale), ebbe sostituite sotto Sisto V con pilastri le colonne del portico e affrescata nel 1599 l'abside, il cui catino a mosaico era caduto nel XII; dopo i saccheggi del '600, fu di nuovo officiata dal 1698 e restaurata nel 1813, nel 1825 e infine nel 1927-30, quando Antonio Munoz diresse il radicale ripristino cui deve l'odierno tetto, con semplice facciata laterizia a salienti, portico a pilastri tuscanici (reperti classici e paleocristiani) e finestre centinate. L'interno (vi si accede dal cortile del contermine convento, costruito nel Medioevo su strutture di età adrianea di cui restano tracce in opus mixtum nel muro di d. entrando) consiste in una fredda aula absidata con nicchie quadrate e semicircolari nei lati; le finestre transennate, il pavimento (i mosaici bianchi e neri provengono dalla necropoli scavata nel 1939 per l'apertura della via Imperiale) e la schola cantorum sono ripristini del Munoz, mentre le capriate sono quattrocentesche. Sulla parete d'ingresso a d., monumento funebre di Stefano de Surdis (m. 1303) firmato Johs filius, magis Cosmati fecit hoc opus, proveniente dall'antica S. Pietro (il prospetto del giaciglio funebre è moderno). 4a nicchia d.: Crocifissione, rilievo marmoreo attribuito a Mino da Fiesole e Giovanni Dalmata (sec. XV). Nell'altare maggiore (1742), urna di diaspro contenente le reliquie dei Ss. Balbina, Felicissimo e altri; nel catino, Redentore in gloria tra i Ss. Balbina, Felicissimo e Quirino con un pontefice, affreschi di Anastasio Fontebuoni fatti eseguire nel 1599 da Clemente VIII, il cui stemma è sull'arco trionfale (nel lato d., restauro 1932); dietro l'altare, cathedra episcopale cosmatesca (sec. XIII). 6a nicchia sin.: nel pavimento, antico altare con pozzetto per le reliquie; alla parete, affresco (Crocifissione di Pietro) assai rovinato. 3a: cippo con croce R. XV ESQUILINO | 115
musiva (sec. XIV); alle pareti, affrescate su due strati, Madonna,
Bambino e apostoli e, nel catino, medaglione ad affresco con immagine di Cristo (fine sec. XIII) di ambito di Pietro Cavallini; nello strato più antico, Madonna e il Bambino con i Ss. Pietro e Paolo. Dal piazzale antistante alla chiesa si scende in viale Guido Baccelli avendo di fronte un'esedra delle terme di Caracalla, che si costeggiano lungo via Antonina (a sin. sono gli impianti dello stadio delle Terme, realizzato nel 1938-39 e riservato all'atletica leggera) fino a sboccare in viale delle Terme di Caracalla, segmento urbano della romana Via Appia e asse portante del parco di Porta Capena: questo sorge sull'area della Passeggiata Archeologica, creata tra il 1887 e il 1914, per iniziativa dell'allora ministro dell'Istruzione Guido Baccelli, con lo scopo di collegare in un unico parco i monumenti archeologici da piazza Venezia all'Appia Antica e impedirne la manomissione; i viali, recintati e riservati al pubblico passeggio, furono trasformati nel 1940 in arterie di traffico per l'apertura della via Imperiale (attuale Cristoforo Colombo), compromettendo il carattere di parco archeologico della zona. Terme di Caracalla. Uno dei più grandiosi e suggestivi complessi monumentali dell'antica Roma (potevano ospitare 1600 persone), di cui impressiona ancora oggi l'audacia delle possenti strutture murarie, spesso conservate fino a notevole altezza. Iniziate nel 212 da Caracalla e inaugurate nel 217, furono terminate da Elagabalo e Severo Alessandro; dopo il restauro di Aureliano furono in funzione sino al 537, quando i Goti di Vitige tagliarono l'acquedotto Antoniniano, che alimentava le cisterne, capaci di 80000 litri. La planimetria segue i canoni stabiliti nel sec. II, con un grande corpo di fabbrica centrale (m 220 x 114) circondato da spazi verdi chiusi da un recinto (m 330x830), che sulla "via Nova", parallela all'Appia, dove si apriva l'ingresso presentava un portico preceduto da ambienti con funzione sostruttiva: sui lati ortogonali erano due ampie esedre che includevano vari ambienti, mentre sul fondo era lo STADIO, fiancheggiato dalle BIBLIOTECHE GRECA e LATINA, con le gradinate addossate alle cisterne. 116 | R. XV ESQUILINO
Al corpo centrale si accedeva da quattro porte: lungo
l'asse d'ingresso si incontrava il FRIGIDARIUM, quindi, al centro, la BASILICA (m 58 x 24), coperta da tre volte a crociera, il TEPIDARIUM e infine il CALIDARIUM, circolare (diametro m 34) e con cupola; ai lati di questi erano simmetricamente disposti palestre, vestiboli, spogliatoi ecc. Notevole interesse presentano i vastissimi ambienti sotterranei, destinati ai servizi: in uno di essi, presso l'esedra NO, fu adattato un mitreo, il più grande fra quelli noti a Roma; della ricchissima decorazione architettonica non rimane che qualche frammento e alcuni mosaici pavimentali, anche se gli scavi, eseguiti soprattutto nel '500, hanno restituito opere famosissime, come il Toro e l'Ercole Farnese (ora al Museo nazionale di Napoli), le due vasche di granito di piazza Farnese e il mosaico con atleti (ora ai Musei Vaticani).
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