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curate di Roma e porta in largo del Pallaro, cosi detto dal gioco
con estrazione di bussolotti che vi si svolgeva. Si tiene a d. per la
via di Grottapinta, curva come i prospetti degli edifici che a
fiancheggiano, fondati sulle strutture della cavea del teatro di
Pompeo.
Costruito fra il 61 e il 55 a. C. (fu il primo in muratura a
Roma) e restaurato da Augusto nel 32 a. C., da Domiziano dopo
l'incendio dell'80 e da Diocleziano, aveva un diametro di 150 m
e poteva contenere 18 000 spettatori; il portico dietro la scena (m
180 x 135), ornato di colonne in granito e di sculture e pitture,
era chiuso da un'esedra (la Curia Pompeia) di cui sono visibili
tracce nell'area sacra dell'Argentina (v. pag. 200); sulla sommità
della cavea si disponeva invece il tempio di Venere Vincitrice, la
cui platea è oggi coperta da Campo de' Fiori (v. pag. 376).
Sulla via affaccia la chiesa di S. Maria in Grottapinta,
nota dal 1291 e oggi sconsacrata, a d. della quale è il passetto del
Biscione, passaggio coperto che conduce in Campo de' Fiori e
che accoglie l'ARCO DI GROTTAPINTA, cosi detto dai resti
di pitture raffiguranti colonne, festoni e putti.
La via di Grottapinta ritorna in via dei Chiavari, lungo la
quale si continua per girare poi in vicolo dei Chiodaroli e uscire
in via del Monte della Farina (nel Medioevo vi si facevano le
riserve di frumento), che corre sulla romana Curia Pompeia. Se
ne percorre il tratto sin., lasciando a d. via dei Barbieri (la chiesa
di Gesù Nazareno, ricostruita nel 1722 e visitabile rivolgendosi
alla vicina arciconfraternita, accoglie sull'altare sin. una S. Elena
attribuita al Pomarancio, mentre nell'attiguo convento è una S.
Caterina d'Alessandria del Cavalier d'Arpino).
All'incrocio con via del Sudario si segue quest'ultima a d.,
costeggiando a sin. l'originaria facciata principale di palazzo
Vidoni (v. pag. 201) e incontrando sul lato opposto la chiesa del
SS. Sudario (chiusa), eretta da Carlo di Castellamonte nel 1604-
05 e ampliata tra il 1660 e il 1690 da Carlo Rainaldi, cui si
attribuisce la dimessa facciata a due ordini sormontata dallo
stemma sabaudo (l'edificio fu dopo il 1870 chiesa particolare di
casa Savoia); all'altare Maggiore Pietà e santi di Antonio
Gherardi, all'altare sin. il beato Amedeo IX di Giovanni
Domenico Cerrini, in sagrestia scene della passione di Lazzaro
Baldi.
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scuola viterbese (sec. XV); alla 5a (6), S. Luca, affresco del sec.
XIV, e, nel pavimento sottostante, lastra tombale assai
consumata di Aldus magister et murator; alla 7a (7), pulpito
ligneo, di disegno berniniano, con stemma Barberini.
NAVATA DESTRA. la cappella d. (Bufalini; 8): *storie
di S. Bernardino (alla parete di fondo S. Bernardino tra i Ss.
Ludovico di Tolosa e Antonio da Padova e, in alto, Redentore
tra angeli; alla parete d. S. Francesco riceve le stimmate e
Vestizione di S. Bernardino; alla parete sin. S. Bernardino fa
penitenza e Morte del santo; nella volta evangelisti), affreschi
del Pinturicchio (1486; restauro 1981). 2a (9; restauro 1991-92):
Pietà, tavola di Marco Pino da Siena (1568-70); gli affreschi
(storie della Passione) sono del Pomarancio (1582). Statua di
Gregorio XIII (10) di Pietro Paolo Olivieri. 3a (11): S.
Girolamo, dipinto su lavagna di Giovanni De Vecchi (restauro
1986); i dipinti delle pareti e della volta sono di Ludovico (sigla;
1875) e Alessandro Massimiliano Seitz (restauro 1987). 41 (12):
alla parete d., Trasfigurazione del Sermoneta (c. 1573). 5a (13):
sull'altare e alle pareti, storie di S. Matteo di Girolamo Muziano
(1586- 89). 6a (di S. Pietro d'Alcantara; 14), su disegno di G.B.
Contini: l'Estasi del santo e gli altorilievi marmorei ovali sono di
Michel Maille (sec. XVII), gli stucchi di Francesco Cavanini. 7a
(15): S. Diego guarisce un cieco del De Vecchi (c. 1610); alle
pareti, Miracoli del santo di Vespasiano Strada; volta e lunette
(vita di S. Diego) affrescate da Avanzino Nucci. Monumento di
Michele Antonio di Saluzzo di Giovanni Antonio Dosio (1575;
16). Vano della porta laterale, già cappella della Madonna (17):
resti di affreschi del sec. XIV rinvenuti nel 1974; a d., tomba di
Cecchino Bracci, realizzata da Francesco Amadori su disegno di
Michelangelo; a sin., tomba di Pietro Manzi attribuita ad Andrea
Sansovino. 8a (18): S. Pasquale Baylon adora il calice di
Vicente Vittoria; ai lati, Miracoli di S. Pasquale, tele di Daniele
Seyter (sec. XVII); ricca decorazione in stucco del Cavallini.
TRANSETTO DESTRO. Cappella Savelli, di origine
duecentesca ma rinnovata nel 1727: all'altare (19), su disegno di
Filippo Raguzzini, Estasi di S. Francesco di Francesco
Trevisani; intorno, entro cornici, tele di Mariano Rossi; le
Stimmate e il Perdono di Assisi sono del 1774; i pannelli in
stucco settecenteschi raffigurano quattro Virtù. Alla parete d.
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uno dei locali del vestibolo dei Palazzi imperiali sul Palatino, il
più importante e il più antico luogo di culto cristiano del Foro
(venne consacrato a Maria nel sec. VI) e straordinario palinsesto
di pitture parietali. Restaurata da Giovanni VI] e abbellita da
Zaccaria, Paolo I e Adriano I, fu abbandonata a seguito dei danni
causati dai terremoti al tempo di Leone IV, che spostò la
diaconia a S. Maria Nova; sui ruderi sorse nel sec. XIII la chiesa
di S. Maria Liberatrice, rifatta da Onorio Longhi nel 16117 e
demolita nel 1900 per riportare alla luce le strutture dell'edificio
più antico, che fu ampiamente integrato dai restauri.
Un VESTIBOLO (pianta, 1), comunicante a sin. con la
RAMPA (2) che sale al Palatino, dà accesso all'ATRIO (3): al
centro è l'"impluvium" del precedente edificio, sulle pareti tracce
di pitture. Un breve NARTECE (4) immette nell'aula, divisa in
tre navate da altrettante arcate longitudinali per lato poggianti su
due colonne in granito con capitello corinzio.
La NAVATA MEDIANA (5) era quasi completamente
occupata dalla schola cantorum, di cui si vede ancora la parte
inferiore della balaustrata.
NAVATA DESTRA (6): affresco staccato dall'atrio
raffigurante Maria regina in trono tra angeli e santi (Adriano I,
committente dell'opera, vi è rappresentato col nimbo quadrato).
NAVATA SINISTRA (7): sarcofagi pagani e cristiani
(notevole quello con storie di Giona); alle pareti affreschi su tre
fasce (nelle superiori, storie dei Vecchio Testamento; in quella
inferiore, Il Salvatore e santi della Chiesa greca e latina),
All'ingresso del PRESBITERIO (8), su un muro che
forma il prolungamento della schola cantorum, Il profeta Isaia
predice a Ezechiele la fine prossima e Davide e Golia.
Nell'abside, pavimentata in opus alexandrinum a disegni
geometrici, Cristo benedicente e la Vergine che presenta Paolo I
(col nimbo quadrato); a d. dell'abside, tre strati di pitture
comprese tra il sec. VI e I'VIII: nel primo Maria regina con
angeli, nel secondo Annunciazione. nel terzo Padri della Chiesa.
CAPPELLA A SINISTRA DELL'ABSIDE (9), la più
importante per gli affreschi del tempo di papa Zaccaria: nella
nicchia rettangolare di fondo *Crocifissione (Cristo veste il
"colobium"; ai lati della croce, il sole e la luna; a d. S. Giovanni;
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arcaica dei "Lapis Niger"; materiali dai pozzi votivi della "via
Sacra" e dalle gallerie sotterranee del Foro fatte scavare da
Cesare.
SALA VI: antefisse arcaiche forse appartenenti all'antico
tempio di Castore e Polluce; frammento di lastra marmorea con
Vulcano e i ciclopi nella fucina, forse dal santuario di Vulcano;
nelle vetrine, testa marmorea di provenienza italiota (Taranto?;
sec. V a. C.) e frammenti di ceramica greca dei secoli VI-V a.
Cristo.
SALA VII: ritratti imperiali; frammento di fregio con
divinità femminili e maschere gorgoniche dal tempio di Cesare.
SALA VIII: frammenti di fregio con mito di Enea e delle
origini di Roma e base neoattica con danzatrici dalla "basilica
Aemilia"; torso di Vittoria dalla "basilica Iulia".
SALA IX (già refettorio del monastero; gli affreschi alle
pareti sono quattrocenteschi): gruppo dei Dioscuri e statua
arcaistica di Apollo dalla fonte di Giuturna, statua del re Numa
(?) dalla casa delle Vestali; pitture medievali staccate dalle
chiese di S. Adriano e di S. Maria Antiqua.
L'*arco di Tito (restauro 1985-92) fu eretto al tempo di
Domiziano per ricordare le vittorie riportate da Vespasiano e
Tito sugli Ebrei e culminate nella distruzione di Gerusalemme;
incorporato durante il Medioevo nelle fortezze dei Frangipane e
isolato in parte sotto Sisto IV, venne liberato totalmente nel
1821 da Giuseppe Valadier, che ne completò in travertino le
parti mancanti.
A fornice unico con colonne scanalate di ordine
composito e rivestito di marmo pentelico, è decorato nel fregio
esterno, a figure tozze in altissimo rilievo, dalla pompa trionfale,
nell'arcata da due rilievi. (nel pannello d., il corteo trionfale che
precede l'imperatore portando come bottino di guerra le spoglie
del tempio di Salomone; in quello sin. la quadriga imperiale,
guidata da una Virtus, che porta Tito accompagnato da una
Vittoria in atto di coronarlo) e nel mezzo della volta a cassettoni
dall'Apoteosi di Tito. Mentre il piccolo fregio riprende la
tradizione dell'altare dell'Ara Pacis Augustae, nei due pannelli si
realizza una spazialità che dà risalto al rilievo (non vi si
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su via Monte de' Cenci che sale a sin. del prospetto sulla piazza,
rivela ad angolo l'esistenza di fabbriche diverse, unificate nel
'500 da un bugnato piatto a stucco; opposta al palazzo è la
cappella gentilizia di S. Tommaso ai Cenci, ricordata dal sec.
XII e detta "in capite molarum" per la vicinanza dei mulini sul
Tevere, della quale nel 1559 Cristoforo Cenci iniziò il totale
rinnovamento, terminato nel 1575 dal figlio Francesco (la
singolare facciata bipartita conserva fra i due portali l'ara
funeraria romana di un Marcus Cincius Theophilus, posta qui
dai Cenci per la somiglianza col loro nome; nell'interno
rettangolare, la mensa dell'altare maggiore è su due trapezofori
in marmo con leoni alati del sec. I, la pala con l'Incredulità di S.
Tommaso è firmata da Giuseppe Vermiglio e datata al 1612, le
storie della Vergine nella la cappella sin. sono opera del
Sermoneta del 1585).
La facciata posteriore del palazzo, che prospetta su
piazza Cenci (la si raggiunge, al termine di via Monte de' Cenci,
prendendo a d. via Beatrice Cenci), è costituita da un primo
corpo (N. 7A) con androne sormontato da una loggia e da una
finestra con cornice barocca (in alto, fregio dorico con le
mezzelune dei Cenci alternate alle aquile coronate dei Lante, cui
si imparentarono nel 157l) e da un secondo (N. 7), con bugnato
piatto, del '700.
Su piazza Cenci prospetta anche (N. 56) il palazzetto
Cenci, eretto da Martino Longhi il Vecchio nel 1579-84; la
facciata, con bugnato piatto a stucco, ha finestre irregolarmente
spaziate (cieche nel finto mezzanino, con architrave a cuscino al
piano nobile) ed è conclusa da un bel cornicione con mezzelune
araldiche. Lo spoglio portale, non del tutto armonicamente
inserito, immette nel cortile, che presenta su due lati un elegante
portico (c. 1587) con serliane e sovrapposto loggiato ionico, e
sui restanti due una preesistente costruzione della famiglia. Al
piano nobile, affreschi (scene dell'Esodo, 1583-87) di Giovanni
Guerra e aiuti. A d. del palazzetto è l'arco dei Cenci, d'impianto
medievale.
Sul lato NE di piazza delle Cinque Scole, e in angolo con
via di S. Maria de' Calderari (le due malconce semicolonne in
travertino con capitello dorico, l'architrave e l'arco in laterizio al
N. 23B sono la parte attualmente meglio visibile di un
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