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1.8 Il rione Sant'Eustachio.

Il rione, un quadrilatero limitato a ovest da corso del


Rinascimento, a est da via di Torre Argentina, a nord dalle vie
dei Portoghesi e della Stelletta, e a sud dal tratto finale di via de'
Giubbonari, era parte della IX regione augustea, al cui interno si
annoveravano il teatro di Pompeo con l'annessa Curia, l'
"Hecatostilon", le Terme Neroniano-Alessandrine e lo "stagnum
Agrippae".
Lo spopolamento seguito alla decadenza dell'Impero, e
protrattosi nel Medioevo, interessò marginalmente la zona; i
percorsi principali erano un tratto della "via Papalis" e una parte
della "via Recta", mentre l'asse portante in senso nord-sud era
via della Dogana, detta Vecchia dopo che Innocenzo XII la
trasferì in piazza di Pietra.
Fra Quattrocento e Cinquecento sorsero il complesso di S.
Agostino e, sovente con ristrutturazione di case preesistenti, i
palazzi Madama, Maccarani, Lante e Caffarelli (il palazzo
Baldassini è una delle poche testimonianze di edificio
'borghese'), mentre l'unico progetto di respiro urbanistico (Leone
X voleva fare della zona fra la Dogana e piazza Navona una
cittadella medicea, con fulcro nel palazzo della Sapienza sede
dell'Università) rimase sulla carta dei progettisti Antonio e
Giuliano da Sangallo; in epoca barocca vi furono rifacimenti,
talora ampliamenti e restauri dell'esistente, ma sempre all'interno
della scala dell'architettura, senza investire la dimensione
urbana.
Questa continuità di insediamento - di cui resta traccia
nella toponomastica (sono ancora oggi numerosi i nomi delle vie
che rimandano alle attività artigiane che anticamente vi si
svolgevano), nella struttura urbana Ce preesistenze romane
furono ampiamente riutilizzate come fondazioni e anche in
alzato) e nelle torri medievali inglobate in edifici successivi - è
stata pesantemente menomata dalle trasformazioni che ebbero
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luogo fra la fine dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento,


con gli sventramenti per l'apertura di corso Vittorio Emanuele II
e di corso del Rinascimento (1936-38), e per gli ampliamenti di
palazzo Madama (1926-31).

L'itinerario - che ha nelle chiese di S. Luigi dei Francesi,


di S. Agostino e di S. Ivo i momenti di maggiore interesse -
presenta nella prima parte un tono più elevato, complice anche la
presenza di una delle massime istituzioni della Repubblica (il
Senato si riunisce a, palazzo Madama);
la zona a sud di corso Vittorio conserva invece uno
spiccato carattere 'romanesco', cui si accompagna però l'usuale
degrado edilizio.

La visita prende avvio, a E di piazza Navona (v. pag.


364), da piazza di S. Eustachio, il cui nome, al pari di quello del
rione, deriva dalla
chiesa di S. Eustachio, fondata secondo la leggenda da
Costantino sul luogo del martirio del santo; restaurata nel 1196,
vide ricostruiti nel 1701-06 la navata fra portico e crociera
(Cesare Crovara e G.B. Contini) e nel 1724-26 il transetto e
l'abside (Antonio Canevari, Nicola Salvi e Giovanni Domenico
Navone).
La facciata (nel 1992 in restauro), preceduta da un portico
a colonne con possenti capitelli ionici, è coronata da una testa di
cervo con croce nel trofeo, allusiva all'apparizione di Gesù al
santo; a sin. è il campanile (sec. XII), con bifore in parte murate.
Nell'interno a navata unica con cappelle laterali, decorato
di architetture e tele settecentesche l'*altare maggiore in bronzo
e marmi policromi del Salvi (1739) è sormontato da un
baldacchino di Ferdinando Fuga (1746).
In via di S. Eustachio, che costeggia il fianco d. della
chiesa, sono state rialzate (1951) due colonne di granito trovate
in piazza di S. Luigi de' Francesi, riferibili alle Terme
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Neroniano-Alessandrine, erette da Nerone attorno al 62 e


ricostruite da Severo Alessandro nel 227, che si stendevano su
un'area di c. m 190 x 120.
Opposti alla chiesa sono: in angolo con via della
Palombella il grazioso palazzo di Tizio di Spoleto (restauro
1991-92), la cui facciata accoglie raffinate decorazioni a stucco
e affreschi (scene della vita di S. Eustachio, ante 1575) di
Federico Zuccari; al N. 83 il rinascimentale palazzo Maccarani
(Giulio Romano, c. 1523), oggi sede di uffici del Senato
(nell'interno, fregi ad affresco del sec. XVI), con facciata a
doppie lesene doriche al primo piano che si riducono a fasce nel
secondo e cortile in parte aperto da loggiati ripristinati nel
restauro del 1979-81 (in tale occasione è stata rimessa in luce
anche la decorazione a grottesche del '500 verso via del Teatro
Valle).
Sull'attigua piazza dei Caprettari così detta dai
commercianti che vi convenivano dalla campagna, prospetta (N.
70) il palazzo Lante, già attribuito a Jacopo o Andrea
Sansovino ma eretto forse da Nanni di Baccio Bigio, su progetto
di Giuliano da Sangallo, per Leone X; passato ai Lante nel 1558,
fu restaurato da Carlo Murena nel 1760. Il prospetto si segnala
per il marcato sviluppo orizzontale, segnato dalle cornici sotto le
finestre; il cortile, in origine con ampi loggiati di colonne
tuscaniche e ioniche sovrapposte, è alterato dalla chiusura di
gran parte dei lati.
Dalla piazza si diparte verso S via Monterone, lungo la
quale si incontra la facciata, a due ordini tripartiti da paraste
doppie e coronata da timpano con candelabri, della chiesa di S.
Maria in Monterone, nota dal 1186 (le tre navate sono divise
da colonne ioniche antiche) ma ricostruita nel 1682; sull'altare
maggiore, Madonna tra S, Pietro Nolasco e S. Pietro Pascasio
attribuita a Pompeo Batoni. Sulla d. della chiesa è la garbata
facciata del convento, esemplare del barocchetto settecentesco.
Dal lato O di piazza di S. Eustachio, chiusa dal retro del
palazzo della Sapienza su cui sovrasta il tiburio della chiesa di
S. Ivo (per entrambi v. pag. 383), si imbocca verso N via della
Dogana Vecchia, lasciando subito a sin., nello slargo formato
da via degli Staderari, una fontana con vasca di granito rosso
proveniente dalle Terme Neroniano-Alessandrine e qui sistemata
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nel 1987, e costeggiando, ancora a sin., il moderno prospetto


posteriore di palazzo Madama (v. pag. 382).
Sul lato opposto è (N. 29) palazzo Giustiniani, iniziato
da Giovanni e Domenico Fontana (1585-87), proseguito da
Carlo Maderno, Girolamo e Carlo Rainaldi e terminato nel 1678
forse su progetto di Francesco Borromini; nella biblioteca
dell'edificio, oggi destinato ad abitazione dei presidente del
Senato, venne firmata nel 1947 la Costituzione della Repubblica.
La severa facciata presenta un elegante portale fra colonne
sorreggenti il balcone su alti pulvini, il vestibolo accoglie rilievi
e busti antichi, mentre l'atrio è ad archi ribassati su colonne
doriche; nell'interno (per la visita rivolgersi all'ufficio della
Questura del Senato), notevole la sala delle Colonne, decorata da
Borromini e affrescata (storie di Salomone) da Giovanni
Baglione, Ventura Salimbeni e G.B. Ricci.
Si esce nella piazza che prende nome dalla chiesa di *S.
Luigi dei Francesi, iniziata nel 1518 per il futuro Clemente VII
e completata nel 1589 da Domenico Fontana su disegno di
Giacomo Della Porta. L'ampia facciata in travertino, a due
ordini di uguale larghezza, è divisa da paraste tuscaniche e
corinzie in cinque campi sia nell'ordine inferiore (con tre portali
e due nicchie con statue di Carta Magno e di S. Luigi di Pierre
l'Estache, 1746) sia in quello superiore (con balcone centrale,
nicchie con statue di S. Ctotilde e di S. Giovanna di Valois
sempre del l'Estache, e finestre).
Nell'interno, a tre navate con cappelle laterali scandite da
pilastri, la ricca decorazione in marmi e stucchi è su progetto di
Antoine Dérizet (175664); al centro della volta, Morte e apoteosi
di S. Luigi di Charles- Joseph Natoire (1756).
la cappella d.: S. Dionigi di Renard Levieux. 2a: Ss.
Cecilia, Paolo, Giovanni evangelista, Agostino e la Maddalena,
copia di Guido Reni dall'originale di Raffaello alla Pinacoteca
nazionale di Bologna; la decorazione ad affresco (*storie di S.
Cecilia) è un capolavoro del Domenichino (1616-17). 3a: S.
Giovanna di Valois portata in cielo dagli angeli di Etienne
Parrocel (1743). 4a: Giuramento di Clodoveo di Jacopino del
Conte; a d., Clodoveo si prepara ad attaccare la battaglia di
Tobliae del 496 di Pellegrino Tibaldi (suoi gli episodi della vita
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di Clodoveo nella volta); a sin., S. Remigio riceve la sacra


ampolla per ungere Clodoveo del Sermoneta.
Altare maggiore: Assunzione di Francesco Bassano;
sopra, SS. Trinità di Jean.Jacques Caffieri; nei pennacchi della
cupola, Dottori della Chiesa, gruppi di G.B. Maini, Filippo Della
Valle, Simon Challe e Nicolas Francois Gillet.
5a cappella sin. (Contarelli): all'altare *S. Matteo e
l'angelo, alla parete d. *Martirio di S. Matteo, a quella sin.
*Vocazione di S. Matteo, capolavori di Caravaggio (1597-
1602); nella volta, affreschi del Cavalier d'Arpino.
4a: Natività di Charles Mellin (sua l'Annunciazione sulla
d.); a sin., Adorazione dei Magi di Giovanni Baglione.
3a: S. Luigi IX di Plautilla Bricci (1664); alle pareti, storie
del santo di Ludovico Gimignani (d.) e di Nicolas Pinson (sin.).
2a: S. Nicola di Bari di Girolamo Muziano; ai lati, Ss.
Barbara e Caterina di Girolamo Massei; alle pareti, episodi della
vita del santo di Baldassarre Croce. 1a: S. Sebastiano del
Massei.
Accanto alla chiesa è il palazzo di S. Luigi, che sulla
perpendicolare via di S. Giovanna d'Arco prospetta con una
facciata (Carlo Francesco Bizzaccheri 1709-16) dallo
scenografico portale sormontato da balcone e finestra. fronteggia
la chiesa (N. 37) il palazzo Patrizi già Aldobrandini, opera di
Carlo Maderno del 1603-11.
Contermine alla piazza di S. Luigi de' Francesi è il
moderno largo Toniolo, dal quale si prosegue verso N lungo via
della Scrofa (v. pag. 338): la facciata in mattoni (Pietro
Camporese il Vecchio, seconda metà sec. XVIII) al N. 70
appartiene al palazzo del Collegio Germanico Ungarico,
iniziato nel 1634-63 su progetto di Paolo Marticelli e
sopraelevato nell'800 (al piano terra, la libreria del collegio,
trasformata in cappella e non visitabile, accoglie sull'altare
un'Immacolata di Andrea Pozzo, autore dei laterali Ss.
Francesco Saverio e Ignazio di Loyola).
Subito oltre si incrociano a d. la via delle Coppelle, così
detta dai fabbricanti di recipienti in legno, e a sin. la via di S.
Agostino, già parte della "via Recta" (v. pag. 348).
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Lungo la prima si dispone il palazzo Baldassini poi


Palma (Antonio da Sangallo il Giovane , 1514-20), cui i restauri
del 1956 hanno restituito l'originaria chiarezza d'impianto; nella
facciata, il portale dorico spicca con risalto plastico sulla nuda
superficie muraria, severamente proporzionata. L'edificio, oggi
sede dell'Istituto Luigi Sturzo al quale ci si deve rivolgere per la
visita degli ambienti interni' si articola attorno a un cortile
quadrato a portico e loggia, e accoglie al piano terra una volta
dipinta a grottesche da Giovanni da Udine (1517-19); al primo
piano sono resti di affreschi (filosofi e figure allegoriche) e un
fregio (episodi di storia antica e animali fantastici e putti) di
Perin del Vaga e aiuti, e scene mitologiche di Giovanni da
Udine.
Addentrandosi nel rione lungo via delle Coppelle si
raggiunge l'omonima, appartata piazza dove è la chiesa di S.
Salvatore alle Cappelle, anteriore al 1195 (nell'interno, una
lapide a d. ricorda il restauro di Celestino III, che innalzò il
campanile romanico) e riedificata nel sec. XVIII.
Si piega a sin. per via di S. Agostino, lungo il cui lato d. si
stende un fianco dell'ex convento degli Agostiniani, oggi sede
dell'Avvocatura generale dello Stato, sorto a fine '400 insieme
alla chiesa di S. Agostino (v. sotto) per volere del cardinale
Guglielmo d'Estouteville, ampliato nel sec. XVII e ristrutturato
nel 1746 da Carlo Murena e Luigi Vanvitelli; di quest'ultimo è la
facciata, con basamento bugnato e corpo centrale prominente,
sulla parallela via dei Portoghesi, al N. 12 della quale, attraverso
una nicchia con conchiglia nel catino, si accede al cortile, che
accoglie la tomba del cardinale Giacomo Ammannati
Piccolomini, m. nel 1479, e una fontana ellittica pure del
Vanvitelli; forse opera di Filippo Juvarra è invece l'elegante,
scenografico atrio, con coppie di colonne e nicchie, al N. 82 di
via della Scrofa.
Si sbocca nella piazza cui dà nome la chiesa di *S.
Agostino, che, eretta nel 1420, venne ingrandita (1479-83) da
Giacomo da Pietrasanta e Sebastiano Fiorentino, trasformata
nell'interno da Luigi Vanvitelli (1756-61) e decorata da Pietro
Gagliardi (1856). Una scalinata precede la facciata (nel 1992 in
restauro), tipica del primo Rinascimento romano, a due ordini di
paraste raccordati da poderose volute: tripartita e con tre portali
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in basso (il centrale a timpano e incorniciato da fini candelabre;


architravati i laterali, sormontati da oculi), a campata unica
coronata da timpano in alto. Arretrato sulla d. è il campanile,
'rimaneggiato' dal Vanvitelli.
L'interno, diviso in tre navate da pilastri in marmi
policromi cui si accostano semicolonne in porfido ogni due
arcate, presenta cinque cappelle absidate per lato; all'incrocio col
transetto il Vanvitelli sostituì, all'originaria cupola emisferica su
tamburo cilindrico, una a catino.
A d. del portale mediano, veneratissima *Madonna del
Parto di Jacopo Sansovino (1521). Al 3a pilastro sin. della
navata centrale, *Isaia profeta di Raffaello (1512; gli altri profeti
sono del Gagliardi); sotto, S. Anna e la Madonna col Bambino,
gruppo di Andrea Sansovino (1512).
NAVATA DESTRA. 1° cappella: S. Caterina
d'Alessandria, olio su lavagna di Marcello Venusti, autore anche
dei santi ai lati (restauro 1989). 2a: Madonna delle Rose, copia
da Raffaello di Avanzino Nucci (suoi gli affreschi del catino); le
tele laterali sono del Gagliardi (1860). 3a: Estasi di S. Rita di
Giacinto Brandi (1670); ai lati, storie della santa di Pietro
Locatelli (suoi gli affreschi della volta), 4a: Consegna delle
chiavi, gruppo marmoreo di G.B. Cotignola (1596); nel timpano,
*Dio Padre, tavola di scuola umbra del sec. XV. 5a: Crocifisso
ligneo (sec. XV).
TRANSETTO DESTRO. Ss. Agostino, Giovanni
evangelista e Girolamo del Guercino, cui sono attribuite anche le
due tele laterali; a sin., sepolcro del cardinale Renato Imperiali,
su disegno di Paolo Posi, con sculture di Pietro Bracci (1741).
Sull'ALTARE MAGGIORE, su disegno di Gian Lorenzo
Bernini (1627), Madonna bizantina. Cappella a sin. dell'altare
maggiore: sulla parete sin., tomba di S. Monica attribuita a Isaia
da Pisa; nella cappella adiacente (Bongiovanni), la cupola
(Assunzione), la lunetta (Apostoli al sepolcro), la pala d'altare e
le tele (storie dei Ss. Agostino e Guglielmo) sono di Giovanni
Lanfranco (1616).
TRANSETTO SINISTRO. Ricca decorazione marmorea
di Giovanni Maria Baratta; statua di S. Tommaso da Villanova,
iniziata da Melchiorre Caffà e ultimata da Ercole Ferrata;
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altorilievi in stucco (Miracoli del santo) di Andrea Bergondi;


sulla parete d., in alto, monumento funebre del cardinale
Lorenzo Imperiali di Domenico Guidi (1672).
NAVATA SINISTRA. 5a cappella: S. Giovanni da S.
Facondo, pala del Brandi (sue le tele laterali). 4a: S. Apollonia
di Girolamo Muziano. 3a: S. Chiara da Montefalco di Sebastiano
Conca. 2a: Crocifissione di Ventura Salimbeni. la.. *Madonna
dei Pellegrini, pala di Caravaggio (1605).
Nella SAGRESTIA (1746), S. Tommaso da Villanova di
Giovanni Francesco Romanelli; nel vestibolo laterale sin.,
quattro Dottori della Chiesa del da Pisa (sec. XV) e Crocifisso
marmoreo attribuito a Luigi Capponi (sec. XV).
A lato della chiesa (N. 8) è la Biblioteca Angelica, la
prima pubblica in Roma, fondata da Angelo Rocca nel 1614 e
specializzata in letteratura e filologia (oltre 150000 volumi, più
di 1000 incunaboli, 11000 cinquecentine, 2650 manoscritti e
3000 messali dal sec. IX in poi); una nuova ala dell'edificio,
iniziata da Francesco Borromini (1659), fu completata a metà
'700 da Carlo Murena e Luigi Vanvitelli (suo, al primo piano, il
VASO, ambiente a pianta rettangolare e volta a botte con
preziosi scaffali lignei settecenteschi).
Sottopassato l'arco di S. Agostino, che collega il Collegio
Germanico Ungarico (v. pag. 380) con il palazzo di S.
Apollinare (v. pag. 358), si sbocca in piazza delle Cinque
Lune, dal nome della via cancellata per l'apertura di corso del
Rinascimento (v. sotto): di fronte, in posizione leggermente
arretrata, è stato ricostruito il *palazzetto delle Cinque Lune,
attribuito ad Antonio da Sangallo il Giovane, con basamento a
bugnato in travertino, in cui si aprono le botteghe, e due piani in
cotto a vista ripartiti da lesene doriche abbinate.
Dallo slargo si diparte in direzione S corso del
Rinascimento, la cui apertura, realizzata da Arnaldo Foschini
nel 1936-38, comportò, oltre allo spostamento del
summenzionato palazzetto, la distruzione di una spina di edifici
tra le piazze delle Cinque Lune e Madama e l'arretramento delle
facciate di alcuni edifici. Lo si percorre, avendo sullo sfondo la
chiesa di S. Andrea della Valle (v. pag. 203), fino alla piazza che
prende nome dal palazzo Madama, dal 1871 sede del Senato
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della Repubblica, così chiamato da madama Margherita


d'Austria, vedova di Alessandro de' Medici; eretto nel 1503 da
Giovanni de' Medici su un nucleo quattrocentesco e ingrandito
nel 1512, deve l'aspetto attuale a Paolo Marucellì (1637-42) che
operò su disegno del Cigoli, sebbene annoveri profonde
trasformazioni sotto Benedetto XIV e Pio IX.
La sontuosa facciata (restauro 1991) presenta un portale
su colonne sovrastato da un balcone, finestre dalle ricche
cornici, un ornatissimo cornicione, con fregio di putti che
giocano, includente le aperture quadrate dell'ultimo piano, e
comignoli dal capriccioso disegno; l'ampliamento su via della
Dogana Vecchia (1926-31) presenta una greve facciata
neomanierista.
La sala d'Onore (per la visita rivolgersi all'ufficio della
Questura del Senato) è decorata da affreschi (nella volta, Italia
tricolore; sulle pareti, episodi del Senato di Roma antica) di
Cesare Maccari (1880). La biblioteca, fondata a Torino nel 1848
e ospitata in ambienti creati da Gaetano Koch (1888-98),
accoglie oltre 500000 volumi e opuscoli, 750 codici manoscritti,
80 incunaboli, 2000 documenti manoscritti e autografi, 8000
carte geografiche, 1000 cinquecentine, 2450 periodici italiani e
stranieri e una raccolta di statuti.
Un doppio loggiato collega il fianco d. dell'edificio a
palazzo Baldinotti Carpegna, opera tarda di Giovanni Antonio
de Rossi, la cui facciata venne tagliata e ricostruita più arretrata
nel 1935 in seguito all'apertura del corso; a esso segue il
palazzo della Sapienza, l'antica Università romana che,
fondata da Bonifacio VIII nel 1303, ebbe qui sede dal tempo di
Eugenio IV fino al 1935, quando venne inaugurata la Città
Universitaria (v. pag. 735); il complesso - oggi sede
dell'Archivio di Stato di Roma (documenti dello Stato pontificio
dal sec. IX al XIX) - fu iniziato, su progetto di Guidetto
Guidetti, da Pirro Ligorio, che vi attese fino al 1568, continuato
da Giacomo Della Porta, terminato ai primi del '600 e
modificato dal 1632 da Francesco Borromini, e eresse la chiesa
di S. Ivo (v. sotto).
L'austera facciata, intelaiata da angoli bugnati e
marcapiani, presenta al pianterreno muro pieno, con portale a
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timpano e a sin. il campanile (1588); il prospetto verso piazza di


S. Eustachio, opera di Borromini, ha un elegante portale
sormontato da balcone e finestra ad arco con timpano triangolare
ondulato, ed è coronato da un timpano a volute su cui incombe il
tiburio di S. Ivo.
L'elegante *CORTILE (nel 1992 in restauro), a due ordini
di arcate (nei tondi sopra le finestre, simboli dei Borghese, dei
Chigi e dei Barberini), accoglie, nel concavo lato di fondo,
l'accesso alla chiesa di *S. Ivo (Frano Borromini, 1642-50;
pianta), compiuta sintesi spaziale che traduce all'esterno - nel
plastico tiburio polilobato, su cui si leva la calotta a gradini
coronata dal lanternino con cuspide elicoidale - il compatto
involucro interno, basato sul rapporto concavo-convesso della
pianta mistilinea, ribadito, attraverso gli elementi dell'ordine, nel
ritmo ascensionale degli spicchi della cupola;
all'altare maggiore, su disegno di G.B. Contini (1684), Ss.
Ivo, Leone, Pantaleone, Luca e Caterina d'Alessandria in gloria
di angeli, tela di Pietro da Cortona (1661) terminata da Giovanni
Ventura Borghesi.
Il corso del Rinascimento si apre a sin. nel largo dei
Sediari, dal quale l'omonima via, dove sono ancora numerosi gli
artigiani del settore, conduce in via dei Teatro Valle. Lungo il
tratto di d. di quest'ultima si costeggia la facciata, con avancorpo
articolato da otto colonne ioniche assai prominenti, del teatro
Valle, costruito in legno da Tommaso Morelli nel 1726-27 e
restaurato nel 1820-22 da Giuseppe Valadier e Giuseppe
Camporese.
Il teatro dà nome al largo che la via forma poco avanti e
che si caratterizza per il cinquecentesco palazzo Capranica,
costruito dal Lorenzetto per il cardinale Andrea Della Valle e
passato ai Capranica nel 1539; rinnovato da Tommaso Morelli a
metà '700 e restaurato nel 1879 e Del 1991, ospita in alcuni
ambienti *soffitti a cassettoni con fregi affrescati (secoli XVI-
XVII).
Dalla contermine piazza di S. Andrea Della Valle
(l'omonima chiesa è a pag. 203), la visita prosegue, oltre corso
Vittorio Emanuele II, in via dei Chiavari, che a d. del tempio si
addentra in una delle zone popolari più caratteristiche ma meno
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curate di Roma e porta in largo del Pallaro, cosi detto dal gioco
con estrazione di bussolotti che vi si svolgeva. Si tiene a d. per la
via di Grottapinta, curva come i prospetti degli edifici che a
fiancheggiano, fondati sulle strutture della cavea del teatro di
Pompeo.
Costruito fra il 61 e il 55 a. C. (fu il primo in muratura a
Roma) e restaurato da Augusto nel 32 a. C., da Domiziano dopo
l'incendio dell'80 e da Diocleziano, aveva un diametro di 150 m
e poteva contenere 18 000 spettatori; il portico dietro la scena (m
180 x 135), ornato di colonne in granito e di sculture e pitture,
era chiuso da un'esedra (la Curia Pompeia) di cui sono visibili
tracce nell'area sacra dell'Argentina (v. pag. 200); sulla sommità
della cavea si disponeva invece il tempio di Venere Vincitrice, la
cui platea è oggi coperta da Campo de' Fiori (v. pag. 376).
Sulla via affaccia la chiesa di S. Maria in Grottapinta,
nota dal 1291 e oggi sconsacrata, a d. della quale è il passetto del
Biscione, passaggio coperto che conduce in Campo de' Fiori e
che accoglie l'ARCO DI GROTTAPINTA, cosi detto dai resti
di pitture raffiguranti colonne, festoni e putti.
La via di Grottapinta ritorna in via dei Chiavari, lungo la
quale si continua per girare poi in vicolo dei Chiodaroli e uscire
in via del Monte della Farina (nel Medioevo vi si facevano le
riserve di frumento), che corre sulla romana Curia Pompeia. Se
ne percorre il tratto sin., lasciando a d. via dei Barbieri (la chiesa
di Gesù Nazareno, ricostruita nel 1722 e visitabile rivolgendosi
alla vicina arciconfraternita, accoglie sull'altare sin. una S. Elena
attribuita al Pomarancio, mentre nell'attiguo convento è una S.
Caterina d'Alessandria del Cavalier d'Arpino).
All'incrocio con via del Sudario si segue quest'ultima a d.,
costeggiando a sin. l'originaria facciata principale di palazzo
Vidoni (v. pag. 201) e incontrando sul lato opposto la chiesa del
SS. Sudario (chiusa), eretta da Carlo di Castellamonte nel 1604-
05 e ampliata tra il 1660 e il 1690 da Carlo Rainaldi, cui si
attribuisce la dimessa facciata a due ordini sormontata dallo
stemma sabaudo (l'edificio fu dopo il 1870 chiesa particolare di
casa Savoia); all'altare Maggiore Pietà e santi di Antonio
Gherardi, all'altare sin. il beato Amedeo IX di Giovanni
Domenico Cerrini, in sagrestia scene della passione di Lazzaro
Baldi.
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Segue (N. 44) la casa del Burcardo, costruita nel 1503 da


Giovanni Burckhardt che, dal nome della sua città natale
("Argentoratum", la moderna Strasburgo), chiamò Argentina la
torre ila appoggiò (da qui il nome della vicina piazza); restaurata
nel 931, ha il severo aspetto di una tipica casa germanica del
tardo '400 (facciata liscia intonacata, semplice portale, finestre
centinate loggia a sei arcate), mitigato da asimmetrie nel
prospetto.
Un breve androne con volta a nervature gotiche porta nel
*CORTILE, con resti della cinquecentesca decorazione graffita
a bugne, nicchie e finti archi. La casa è oggi sede del Museo
teatrale del Burcardo (visita: ore 9- 13.30, chiuso sabato,
domenica e agosto), la cui biblioteca conserva più di 30000 tra
volumi e opuscoli riguardanti il teatro, stampe, busti, quadri,
bozzetti e fotografie di soggetto teatrale, una raccolta di
maschere del teatro antico e moderno, costumi, statuette antiche
e marionette dei secoli XVIII-XIX.
Oltrepassata la facciata, dal ricco portale con soprastante
nicchia con statua, della chiesa di S. Giuliano Ospitaliere,
trasformazione del 1680-82 di una cappella del sec. XI e dal
1844 tempio nazionale dei Belgi (da qui l'altro nome), si sbocca
in largo di Torre Argentina (v. pag. 197).
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1.9 Il rione Pigna.

La pigna bronzea posta in età romana presso le terme di


Agrippa, e ora nel cortile del Belvedere in Vaticano, dette il
nome al rione, che ricadeva quasi per intero nella VII regione
augustea e i cui limiti definitivi furono fissati nel 1743 da
Benedetto XIV.
La viabilità odierna, soprattutto nella parte centrale,
ricalca piuttosto fedelmente i tracciati antichi, favorendo la
comprensione della topografia classica. Per tutto il Medioevo
infatti, mentre il resto della città si spopolava, il rione rimase
abitato, e ciò ha permesso la conservazione dell'originario
impianto urbanistico, al quale le trasformazioni successive si
sono sovrapposte lasciando in gran parte inalterati gli assi viari e
i blocchi edilizi. Tale continuità è riconoscibile nei percorsi
paralleli di via di Torre Argentina e via de' Cestari, condizionati
dal complesso Pantheon-basilica di Nettuno-terme di Agrippa;
nel tracciato via del Seminario-via del Caravita, determinato dal
lato settentrionale dei "Saepta Iulia" e dalle arcuazioni
dell'Acqua Vergine; nella via del Gesù, disposta sull'asse della
"Porticus Meleagri" che chiudeva i "Saepta Iulia" a est.
Una continuità evidenziata anche dagli edifici: sotto la
chiesa di S. Marta era il tempio di Minerva Calcidica,
erroneamente individuato nei ruderi visti al momento della
costruzione della chiesa di S. Maria sopra Minerva che ne ha
derivato il nome; fra le attuali vie del Seminario e di S. Stefano
del Cacco era il tempio di Iside e Serapide o Iseo Campense,
eretto da Domiziano e distrutto alla fine del Cinquecento, cui si
accedeva mediante l'arco di Camilliano a est e il grandioso
"Giano alla Minerva" a ovest. Fra i due fornici, conservatisi fino
al Rinascimento, si delineò nel Medioevo la via del Pie' di
Marmo, il cui nome deriva da uno dei pezzi antichi
(particolarmente numerosi quelli nell'area dell'Iseo, tutti egizi
originali o egittizzanti) che, rinvenuti nella zona, ne hanno
spesso determinato la toponomastica.
Sostanziali trasformazioni ebbero luogo a partire dalla
venuta di Carlo V (allargamento e rettifica delle vie de' Cestari,
di Torre Argentina, del Seminario, del Gesù e di piazza del
14 | R. I MONTI

Collegio Romano a scapito di chiese e case dalle tipiche facciate


dipinte) e fra Sei e Settecento (piazze della Rotonda e di S.
Ignazio).
Le imponenti demolizioni di fine Ottocento e inizi
Novecento ebbero qui scarsa incidenza, limitandosi
all'isolamento del Pantheon - che comunque comportò
l'arretramento di palazzi e l'abbattimento delle casette
quattrocentesche sul luogo dell'odierno albergo Senato – e
all'allargamento del tratto terminale di via del Pie' di Marmo;
anche i rifacimenti e le sopraelevazioni non hanno turbato
gravemente i rapporti reciproci fra le costruzioni del rione, che
ha conservato in buona parte l'antico aspetto e che accoglie
alcuni tra i monumenti più famosi della città (Pantheon, chiese
di S. Maria sopra Minerva e di S. Ignazio, palazzo del Collegio
Romano).

La visita ha inizio da largo di Torre Argentina (v. pag.


197), da dove si diparte verso N la via di Torre Argentina (v.
pag. 200), lungo la quale si procede fino all'incrocio a d. con via
dell'Arco della Ciambella; questo tracciato venne aperto da
Gregorio XV nel 1621 demolendo parte delle terme di Agrippa,
le più antiche (25-19 a. C.) di Roma, la cui aula circolare (se ne
conservano resti sopra un'edicola sacra fra i numeri 9 e 10 e, più
avanti, fra il 14 e il 15) è probabilmente all'origine del toponimo.
La via di Torre Argentina, sulla quale prospettano
edifici del '5-'600 poi rimaneggiati, costeggia a d. il fianco della
chiesa di S. Chiara, di origine quattrocentesca ma riedificata
nel 1883-90 (la facciata è di Luca Carimini), e prosegue, con il
nome di via della Rotonda, allargandosi in corrispondenza del
fianco del Pantheon (v. sotto): le facciate degli edifici che si
allineano lungo il lato sin. della strada (interessante al N. 23 il
palazzo Crescenzi del sec. XVII, con grande portone,
sormontato da un'aquila, tra colonne sorreggenti un balcone)
vennero infatti arretrate nel quadro dei lavori per l'isolamento
del monumento romano.
Si esce in piazza della Rotonda, dominata dalla mole
cilindrica del Pantheon - da cui l'altro nome - e caratterizzata
dalle facciate settecentesche di edifici che in parte ricalcano lo
R. I MONTI | 15

spazio porticato posto nell'antichità davanti al tempio


(un'iscrizione nei pressi del N. 14 ricorda il mercato che qui si
teneva fino al 1847).
Al centro si trova la fontana, in marmo bigio africano,
disegnata da Giacomo Della Porta e scolpita da Leonardo
Sormani (1575; restauro 1992): a pianta mistilinea su
piattaforma a gradini adorna di maschere e delfini zampillanti
acqua (gli attuali sono del restauro del 1880), era in origine
sormontata da una tazza su balaustro; il piccolo obelisco di
Ramsses II che la corona, proveniente dall'Iseo Campense, vi fu
sovrapposto da Clemente XI nel 1711 trasferendolo dalla vicina
piazza di S. Macuto.
Il lato S della piazza è occupato dall'imponente mole del
*Pantheon, uno dei monumenti romani più celebri per stato di
conservazione, grandiosità e sapienza costruttiva, oltre che per la
singolare tipologia che contamina la cella rotonda a cupola di
tipo termale con il tradizionale pronao a timpano.
Il tempio primitivo, di cui si conservano tracce a 2 m sotto
il piano del portico, fu costruito nel 27 a. C. da Marco Vipsanio
Agrippa, genero di Augusto, restaurato da Domiziano dopo
l'incendio dell'80 e da Traiano; Adriano lo ricostruì nel 118-125
(l'edificio originario era rettangolare e rivolto a S), riproponendo
nella fronte l'iscrizione originaria che falsò la datazione
dell'edificio finché gli studi sui bolli laterizi e gli scavi dell'800
permisero di ricostruirne l'esatta cronologia. 1 lavori furono
terminati da Antonino Pio, mentre nel 202 Settimio Severo e
Caracalla eseguirono i restauri ricordati nella piccola iscrizione
sotto quella principale.
Il monumento restò in abbandono per quasi due secoli,
finché nel 608 fu ceduto dall'imperatore Foca a Bonifacio IV,
che lo dedicò alla Madonna e a tutti i martiri. Costante II lo
spogliò (663) del manto in bronzo dorato del tetto, che fu rifatto
in piombo da Gregorio 111 (735). Adoperato talora come
fortilizio, fu dotato di un palazzo destinato a sede pontificia
(1153-54) e di un campanile al centro del frontone (1270). Nel
1625 Urbano VIII Barberini asportò il rivestimento bronzeo
delle travi del portico per farne 80 cannoni per Castel S. Angelo
e le quattro colonne tortili del baldacchino di S. Pietro (da ciò la
celebre pasquinata "Quod non fecerunt barbari, fecerunt
16 | R. I MONTI

Barberini"), fece rimpiazzare la colonna d'angolo a sin. della


facciata e innalzare da Gian Lorenzo Bernini (1626-27) due
campanili ai lati dell'attico (le "orecchie d'asino") in luogo di
quello centrale.
Alessandro VII sostituì altre due colonne sul lato sin. e
fece abbassare il livello della piazza; Clemente IX nel 1668
circondò il pronao con una cancellata per impedire che nel
portico si estendesse il mercato che si svolgeva sulla piazza;
Benedetto XIV nel 1747 rifece l'attico interno. Il risanamento
della zona fu avviato da Pio VII e continuato da Pio IX, che
rinnovò in parte il pavimento interno; divenuto nel 1870 sacrario
dei re d'Italia, fu restaurato con l'eliminazione delle cancellate, il
completo isolamento dei fianchi, lo scavo delle adiacenze e la
demolizione dei campanili (1881-83).
La facciata era in origine elevata su scalinata e preceduta
da una piazza allungata, i cui portici celavano la rotonda
retrostante creando un effetto di totale separazione dalla
percezione spaziale dell'interno; il pronao (largo 33 m e
profondo 16), con 16 colonne monolitiche (otto sulla fronte e le
altre disposte in profondità a formare tre navate) in granito
grigio e rosa alte 13 m, è coronato da un frontone, ornato in
origine di un rilievo in bronzo e sormontato da un secondo
timpano più alto e arretrato. I battenti di bronzo della porta non
sono, come spesso ritenuto, quelli antichi, ma risalgono a un
pressoché totale rifacimento dell'età di Pio IV.
Ai lati del portale sono due nicchie, destinate
probabilmente alle statue di Augusto e di Agrippa; in due vani
retrostanti erano ricavate due scale (si conserva quella di sin.)
per il controllo delle parti alte dell'edificio e dell'esterno della
cupola. Un corpo parallelepipedo rivestito in marmo media
l'attacco fra il pronao e la rotonda; quest'ultima presenta muri
laterizi, dello spessore di m 6.20, scanditi da nicchie, volte e
archi di scarico che alleggeriscono la struttura. La cupola, del
diametro di m 43.30 pari all'altezza dal pavimento al suo colmo,
fu voltata su un'unica centina emisferica con un getto di
conglomerato, contenente lapillo vulcanico in modo da
alleggerirlo.
L'interno (pianta) è articolato da sette nicchioni
alternativamente semicircolari e rettangolari, con sulla fronte,
R. I MONTI | 17

delimitata da lesene angolari, due colonne scanalate monolitiche


in giallo antico e pavonazzetto alte m 8.90; il nicchione di fondo
è invece sormontato da un arco, simmetrico a quello sovrastante
l'ingresso.
Nello spazio tra i nicchioni sono otto edicole con
colonnine che sostengono timpani triangolari e arcuati. Al di
sopra corre la trabeazione, sovrastata da un attico rifatto da
Paolo Posi nel 1747, con finestre cieche timpanate alternate a
riquadri (un restauro del 1930 in corrispondenza dell'ultimo
nicchione a d. Ha riproposto la decorazione originaria, in marmi
policromi a lesene alternate a finestre con transenne). Al di sopra
la grande volta è decorata da cinque ordini di cassettoni (28 per
ordine) che vanno restringendosi verso l'alto, dove si apre
l'occhio (del diametro di c. 9 m e orlato di bronzo), che
costituisce l'unica apertura. Il pavimento a quadrati e cerchi
inscritti, che utilizza vari marmi, è in buona parte originario.
Cappella A: Annunciazione, affresco attribuito a Melozzo
da Forlì. Edicola B: Coronazione della Vergine, affresco del sec.
XIV. Cappella C: tomba di Vittorio Emanuele II (1878) su
disegno di Manfredo Manfredi. Edicola D: S. Anna e la Vergine
di Lorenzo Ottoni. Cappella E: Madonna e i Ss. Francesco e
Giovanni Battista di scuola umbro-laziale del sec. XV. Edicola
F: S. Rasio martire di Bernardino Cametti. Altare maggiore (G),
su progetto di Alessandro Specchi: in alto, Madonna col
Bambino romano-bizantina (sec. VII) su tavola, rivestita in
argento. Edicola H: S. Anastasio di Francesco Moderati (1717).
Cappella I: Crocifisso del sec. XVI. Edicola K: Madonna del
Sasso, scultura di Lorenzetto (1520) commissionata da Raffaello
per la propria sottostante tomba; a d., lapide in ricordo di Maria
Bibbiena, fidanzata di Raffaello; a sin,, busto di Raffaello di
Giuseppe Fabris (1833). Cappella L: tombe di Umberto I (1900;
Giuseppe Sacconi) e di Margherita di Savoia, (1926). Edicola
M: a sin., monumento funerario di Baldassarre Peruzzi (1921).
Cappella N (dei Virtuosi del Pantheon): S. Giuseppe e Gesù
fanciullo, gruppo di Vincenzo de Rossi (1550-60); ai lati,
Presepio e Adorazione dei Magi di Francesco Cozza (1660); alle
pareti, rilievi in stucco raffiguranti il Riposo della fuga in Egitto
(Carlo Monaldi, 1728) e il Sogno di S. Giuseppe (Paolo
Benaglia, 1728); in alto, Sibilla Cumana di Ludovico Gimignani
18 | R. I MONTI

(1674), Mosè di Francesco Rosa (1674), Eterno Padre di G.B.


Peruzzini (1674), David di Luigi Garzi (1674), Sibilla Eritrea di
Giovanni Andrea Carlone (1674); epigrafi funebri dei 'virtuosi'
Flaminio Vacca (1605), Taddeo Zuccari (1566), Perin del Vaga
(1547). Edicola O: Incredulità di S. Tommaso di Pietro Paolo
Bonzi.
Si segue, lungo il fianco sin. del Pantheon, via della
Minerva, che lascia in angolo con via del Seminario una casa del
'400 e incontra al N. 1 un coevo portale ad arco con bugne a
punta di diamante. In corrispondenza di via della Palombella,
che si stacca a d. e corre sull'asse della basilica di Nettuno -
eretta da Agrippa e restaurata in età adrianea (addossata al lato
posteriore del Pantheon è una delle pareti lunghe, in laterizio,
con nicchie e, al centro, un'abside inquadrata da colonne
corinzie; in alto, resti del fregio in marmo con tridenti e delfini)
– a via della Minerva si apre a sin. nell'omonima piazza,
al centro della quale è il grazioso monumento, noto come
"Pulcin della Minerva", composto da un obelisco egizio del
sec. VI a. C. trovato nel 1665 nell'area dell'Iseo Campense;
l'elefante marmoreo che lo sostiene fu concepito da Gian
Lorenzo Bernini e scolpito nel 1667 da Ercole Ferrata.
Sul lato E è la chiesa di *S. Maria sopra Minerva, così
chiamata dal tempio di Minerva Calcidica cui si credeva
appartenessero i ruderi su cui sorge.
Già delle monache greche di Campo Marzio e poi dei
Domenicani, che occupano il convento almeno dal 1266 e dal
1275 la chiesa, fu riedificata a partire dal 1280 e alla metà del
'300, compiuta nelle strutture essenziali, aperta al culto. Circa un
secolo dopo il cardinale Giovanni Torquemada fece coprire a
volta la navata centrale (prima a capriate) riducendone l'altezza,
quindi nel 1453 il conte Francesco Orsini fece terminare la
facciata e la navata d.; nel sec. XVI Giuliano da Sangallo
apportò cambiamenti alla zona del coro, mentre nel '600 Carlo
Maderno ingrandì l'abside, rese a sesto pieno l'arco trionfale,
rivestì l'interno con decorazioni barocche e modificò la facciata,
in origine a guscio come quella della chiesa di S. Maria in
Aracoeli. Tra il 1848 e il 1855 padre Girolamo Bianchedi eseguì
l'infelice ripristino delle forme gotiche dell'interno.
R. I MONTI | 19

Il prospetto (restauro 1992), diviso in tre campi da lesene


e coronato da un disadorno cornicione, è aperto da tre portali: i
laterali presentano lunette affrescate, il mediano (a timpano) è
opera raffinata attribuita a Meo del Caprino; sopra i portali sono
oculi circolari. Vi sono murate iscrizioni, stemmi (Orsini, di Pio
V) e, presso l'angolo d., targhe relative a piene del Tevere dal
1422 al 1870.
L'interno, alterato dalla minuziosa decorazione
ottocentesca, è a tre navate, con volte a crociera su pilastri a
sezione quadrilobata, transetto, profondo coro e due cappelle ai
lati del presbiterio, sopra le quali sono organi di Ennio Bonifazi
(1628); le acquasantiere con putti sono di Ottaviano Lazzeri
(firma; 1638). A d. del portale mediano (pianta, 1), monumento
funeraria di Diotisalvi Neroni (1482) di scuola di Andrea
Bregno; a d. di quello d. (2), monumento funeraria di Virginia
Pucci Ridolfi (m. 1568).
NAVATA DESTRA. Al pilastro dopo la 1a cappella (3),
monumento di Antonino Castalio (m. 1533). 2a cappella
(Caffarelli; 4): S. Luigi Bertrando del Baciccia; sopra, S.
Domenico attribuito al Cavalier d'Arpino; sulla volta, cene della
vita di S. Domenica di Gaspare Celio. Al pilastro tra la 2a e la 3a
cappella (5), monumento con busto di Uberto Strozzi (m. 1553)
di Vincenzo de Rossi.
3a (6): S. Rosa da Lima di Lazzaro Baldi; alle pareti e
sulla volta, episodi della vita della santa dello stesso. 4a (7;
restauro 1989): Morte di S. Pietro Martire di Ventura Lamberti
(1688); alle pareti affreschi di Battista Franco (sec. XVI); volta e
sottarco affrescati da Girolamo Muziano, 5a (8): Annunciazione
di Antoniazzo Romano (1485); ai lati, i Ss. Domenico e Giacinto
di Nicolò Stabia (sec. XVII); volta a lunette di Cesare Nebbia;
alla parete sin., tomba di Urbano VII di Ambrogio Buonvicino
(1613). 6a (Aldobrandini; 9), su disegno di Giacomo Della Porta
(1600), del Maderno e di Girolamo Rainaldi: sulla volta, Trionfo
della Croce, affresco di Cherubino Alberti; sull'altare Istituzione
dell'Eucarestia di Federico Barocci (1594); ai lati, i Ss. Pietro e
Paolo di Camillo Stariani; alle pareti, monumenti di Salvestro
Aldobrandini (m. 1558) e di Lesa Dati del Della Porta, con le
statue giacenti dei defunti di Nicolas Cordier, figure allegoriche
dello stesso (Carità), di Ippolito Buzio (Prudenza), del Mariani
20 | R. I MONTI

(Religione) e del Valsoldo (Giustizia), e angeli del Manani e di


Stefano Maderno; nella nicchia in fondo a d., S. Sebastiano del
Cordier, in quella a sin., statua di Clemente VIII del Buzio. 7a
(10): Ss. Raimondo di Penafort e Paolo di Nicolas Magriy; a d.,
sepolcro del vescovo Giovanni de Coca (1477) del Bregno, sul
fondo dei quale è un affresco (Cristo giudice fra due angeli)
attribuito a Melozzo da Fori! e Antoniazzo Romano; a sin.,
sepolcro del vescovo Benedetto Soranzo (1495) della bottega del
Bregno. All'esterno della cappella, sul pilastro sin. (11), affresco
(Ss. Agata e Lucia) del Sermoneta.
TRANSETTO DESTRO. Sepolcro di Amerigo Strozzi
(1592; 12) di Taddeo Landini. Cappella del Crocifisso (13):
Crocifisso ligneo del sec. XV.
Cappella Carafa (14; restauro 1989-91): arcata d'ingresso
attribuita a Mino da Fiesole, Verrocchio e Giuliano da Maiano;
le figure dei fanciulli sono attribuite a Luigi Capponi; la
decorazione ad affresco (sull'altare, Annunciazione con il
cardinale Oliviero Carafa presentato dalla Vergine a S.
Tommaso; alla parete di fondo, Assunzione; sulla parete d.,
Trionfo di S. Tommaso e Miracoli del Crocifisso; sulla volta,
sibille) è di Filippino Lippi (1488-93): sulla parete sin., sepolcro
di Paolo IV (1559) su disegno di Pirro Ligorio. Accanto è la
cappella funebre del cardinale, decorata anch'essa dal Lippi in
collaborazione con Raffaellino del Garbo.
A sin. della cappella Carafa, *sepolcro di Guglielmo
Durand (1296; 15) di Giovanni di Cosma (firma; suo il mosaico
raffigurante la Madonna in trono col Bambino, i Ss. Domenico e
Privato e il committente). Cappella Altieri (16): S. Pietro
presenta alla Vergine cinque beati di Carlo Maratta; nel
lunettone di fondo, Gloria della SS. Trinità, affresco del
Baciccia (167172); busti di Lorenzo e Giovanni Altieri di
Cosimo Fancelli. Cappella Capranica (17): Madonna col
Bambino e i Ss. Domenico e Caterina da Siena (sec. XVI); alle
pareti, affreschi (storie della vita della santa) di Giovanni De
Vecchi; nella volta, Misteri del Rosario di Marcello Venusti e
Coronazione di spine di Carlo Saraceni; a d. sepolcro del
cardinale Domenico Capranica (1470) di scuola del Bregno.
PRESBITERIO. Contro il pilastro d. (18), il Battista di
Giuseppe Obici (1858); contro quello sin. (19), *statua di Cristo
R. I MONTI | 21

risorto di Michelangelo (1519-20). Sotto l'altare maggiore (20),


sarcofago di S. Caterina da Siena attribuito a Isaia da Pisa.
Il CORO, gotico, fu trasformato nel 1536 per contenere i
monumenti funebri, a forma di arco trionfale, di Clemente VII
(21) e Leone X (22) di Antonio da Sangallo il Giovane: su un
basamento elegantemente decorato, quattro colonne scanalate di
ordine composito fiancheggiano tre fornici (il mediano più
ampio) con statue, mentre sopra la trabeazione è un alto attico
tripartito e decorato da rilievi (1536-41); la statua di Clemente
VII è di Nanni di Baccio Bigio quella di Leone X di Raffaello da
Montelupo, i profeti e gli altorilievi di Baccio Bandinelli.
TRANSETTO SINISTRO. Vestibolo (23): tomba del
cardinale Matteo Orsini (1340); tomba del cardinale Domenico
Pimentel, su disegno di Bernini, eseguita da Ercole Ferrata
(statua del cardinale) e Antonio Raggi (Carità; 1653); tomba di
Cinzio Rustici (m. 1488); sulla porta in fondo, tomba del
cardinale Carlo Bonelli (1657) su disegno di Girolamo Rainaldi;
tomba di Agapito Rustici (m. 1482); tomba del cardinale
Michele Bonelli (1611) su disegno di Giacomo Della Porta; sul
pavimento, *lastra tombale del Beato Angelico (1455) di Isaia
da Pisa (restauro 1975). Cappella Frangipane, già Maddaleni
Capiferro (24): Madonna col Bambino della bottega
dell'Angelico; a sin., sepolcro di Giovanni Alberini (sec. XV),
attribuito ad Agostino di Duccio o Mino da Fiesole, per il quale
fu usato un sarcofago romano con Ercole che atterra il leone.
Sagrestia (25): Vergine col Bambino e i Ss. Pietro e Paolo del
Venusti; alla parete d'ingresso, I conclavi tenuti alla Minerva nel
1431 e 1447 di G.B. Speranza; sulla volta, Gloria di S.
Domenica di Giuseppe Puglia; sull'altare, Crocifissione
attribuita ad Andrea Sacchi; nella vicina camera di S. Caterina
(1637), affreschi staccati di Antoniazzo Romano (1482-83).
Cappella di S. Domenico (26), di Filippo Raguzzini: Madonna e
S. Domenica di Paolo De Matteis; a d., monumento di Benedetto
XIII (1730) di Carlo Marchionni (le statue del pontefice e della
Purità sono di Pietro Bracci, l'Umiltà è di Bartolomeo
Pincellotti). Altare di S. Giacinto (27): la Vergine appare al
santo di Ottavio Leoni; accanto (28) è il monumento funebre di
Andrea Bregno attribuito a Luigi Capponi.
22 | R. I MONTI

NAVATA SINISTRA. Nella parete, Madonna col


Bambino e i due S. Giovanni fanciulli, singolare gruppo di
Francesco Grassia (1670; 29). Sul 2° pilastro (30), *monumento
funebre di Maria Raggi di Bernini (1643). 5° cappella (31): S.
Giacomo del Venusti; monumenti sepolcrali di Marta Colonna
Lante (1840) e di Carlotta e Livia Lante Della Rovere di Pietro
Tenerani (ante 1870). 4a (32): S. Vincenzo Ferreri al concilio di
Costanza di Bernardo Castello. Tra la 4a e la 3a cappella (33),
tomba di Giovanni Vigevano di Bernini (1630); sul pilastro
opposto (34), tomba De Amicis, su disegno di Pietro da Cortona.
3a (35): Redentore attribuito al Perugino; ai lati, S. Sebastiano di
Michele Marini e S. Giovanni Battista di Ambrogio Buonvicino;
sepolcri della famiglia Maffei di scuola del Capponi. 2a (Naro,
1588; 36): decorazione ad affresco di Francesco Nappi. la (37):
busto di Girolamo Bottigelli attribuito ad Andrea Sansovino.
Presso la porta di sin. (38), *tomba di Francesco Tornabuoni
(1480), tra le opere migliori di Mino da Fiesole; al di sopra,
tomba del cardinale Tebaldi del Bregno e di Giovanni Dalmata
(1466).
Il chiostro annesso alla chiesa, cui si accede dal N. 42 di
piazza della Minerva, è l'unica parte del complesso conventuale
- che in origine occupava l'intero isolato fra piazza della
Minerva e le vie del Seminario, di S. Ignazio e del Beato
Angelico, e che dopo il 1870 fu soppresso - ancora in possesso
dei Domenicani; rifatto nel 1559 con architettura di Guidetto
Guidetti, conserva affreschi del primo '600 e notevoli tombe
quattrocentesche, fra cui quella del cardinale Pietro Ferricci
attribuita a Mino da Fiesole (c. 1478). Dal chiostro si accede al
piccolo Museo d'Arte sacra, che accoglie un prezioso affresco
(Madonna col Bambino) dei primi del sec. XIV. Il braccio del
convento che affaccia su via di S. Ignazio è occupato dalla
Biblioteca Casanatense (ingresso al N. 52), aperta nel 1725 e
specializzata in storia della Chiesa (250000 volumi, 100000
opuscoli, 6000 manoscritti e 2000 incunaboli).
Da piazza della Minerva si costeggia il fianco d. della
chiesa lungo via S. Caterina da Siena, proseguendo poi in via del
Pie' di Marmo, uno dei tracciati più importanti del rione, che
attraversava l'intera arca dell'Iseo Campense (v. pag. 386) fra gli
R. I MONTI | 23

accessi dell'arco di Camilliano (v. pag. 395) e del "Giano della


Minerva".
Si svolta a d. in via del Gesù, antico tracciato allargato
verso il 1545 da Paolo III: nel largo che la via forma subito a sin.
è (N. 80) il bizzarro portale in travertino (fine sec. XVI), con
cariatidi ai lati e architrave poligonale al cui centro è lo stemma,
semiabraso, del palazzo dei Frangipane (nel 1992 in restauro),
insigne famiglia, nota fin dal sec. x, cui appartenne l'insula
retrostante.
Poco oltre si stacca a d. la via della Pigna, che si allarga
nell'omonima piazza, cuore del rione: l'impianto è originario
mentre gli edifici che vi prospettano hanno subito modifiche nel
sec. XIX. La chiude sul fondo (N. 24) un edificio ottocentesco
che ingloba i resti delle case dei Porcari, famiglia patrizia,
estintasi nel '600, cui appartenne Stefano, promotore della
congiura antipapale del 1453 e che fu proprietaria dell'insula
compresa fra via e piazza della Pigna, via de' Cestari e vicolo
delle Ceste (portale marmoreo quattrocentesco).
A d. dell'edificio è la chiesa di S. Giovanni della Pigna,
ricordata già nel sec. x e data nel 1577 da Gregorio XIII alla
compagnia della Pietà verso i Carcerati, che la fece riedificare
nel 1624; fu rinnovata nel '700, restaurata nel 1837 e ancora nel
1983. La semplice facciata a salienti è tripartita da lesene con
capitelli compositi e intonacata con finto paramento a mattoni.
Nell'interno, presso la porta, tombe di Nicola e Girolamo Porcari
con decorazione a mosaico (sec. XIV); all'altare maggiore, S.
Giovanni Battista di Baldassarre Croce; sul frontone, Pietà di
Luigi Garzi.
Costeggiando il fianco sin. dell'edificio ottocentesco
lungo via della Pigna si raggiunge, oltre il cinquecentesco
palazzo Gabrielli (N. 12; la facciata è del '700), il palazzo
Maffei Marescotti (N. 13A; 1580) di Giacomo Della Porta;
subito interrotto per la morte del committente (il cardinale
Marcantonio Maffei) e ancora incompiuto nel 1601, fu
trasformato nel '700, forse a opera di Ferdinando Fuga. Il fronte
principale, serrato fra angoli bugnati, presenta sui timpani delle
finestre del secondo piano le teste di cervo araldiche dei Maffei,
che ritornano sul ricco cornicione.
24 | R. I MONTI

Di nuovo su via del Gesù, si incontra (N. 62) il palazzo


Muti Berardi, realizzato nel 1565 da Giacomo Della Porta ma
modificato in seguito agli ampliamenti verso piazza della Pigna,
che conserva nel cortile un notevole orologio ad acqua ideato nel
1870 dal domenicano G.B. Embriaco,
Si volta a sin. in via di S. Stefano del Cacco e tenendo
sempre a sin. si perviene a uno slargo, dove, serrata tra gli
edifici, è la chiesa di S. Stefano del Cacco (da "macacco",
nome di una statua egizia di cinocefalo rinvenuta nell'Iseo
Campense e oggi ai Musei Vaticani), la cui prima notizia, con la
denominazione "in Bagauda" (in arabo, mercato), risale al tempo
di Adriano I; ebbe restauri con Pasquale I e nel sec. XII, epoca
cui appartengono il campanile a quattro piani (i superiori aperti
da trifore) e l'abside in mattoni.
L'aspetto attuale, con facciata a salienti e iscrizione sopra
l'ingresso, è quello del restauro eseguito nel 1607 dai monaci
silvestrini, ai quali venne data da Pio IV nel 1563 e che tuttora la
officiano.
L'interno, a tre navate spartite da 12 colonne di spoglio in
marmo cipollino, è stato restaurato nel 1725 (capitelli) e nel
1857 (altare maggiore e pavimento). Sulla parete d., Cristo in
pietà, affresco di Perin del Vaga. Nell'abside, Martirio di S.
Stefano e, ai lati, i Ss. Carlo e Francesca Romana di Cristofano
Casolani. Sul fondo della navata sin., Crocifisso e santi (sec.
XVI); Il cappella sin.: Volto Santo di Giovanni Baglione, autore
anche dei due laterali. In sagrestia, S. Nicola di Giovanni
Odazzi; nel monastero, S. Stefano di Giovanni De Vecchi.
Al termine di via di S, Stefano del Cacco, presso il "piè di
marmo" appartenente a una statua colossale femminile e posto
nel Medioevo all'imbocco della via da piazza del Collegio
Romano (fu qui spostato nel 1878, in occasione dei funerali di
Vittorio Emanuele II), si riprende a d. la via del Pie' di Marmo,
lasciando all'interno del N. 24A i resti, in parte liberati di
recente, del fornice N dell'arco di Camilliano, nome dato nel
Medioevo all'arco a tre fornici in blocchi di travertino, di età
adrianea, che permetteva l'accesso all'Iseo Campense (v. pag.
386).
R. I MONTI | 25

La successiva piazza del Collegio Romano, allargata nel


'600 con la demolizione di palazzo Salviati, è definita dai
prospetti monumentali, realizzati nell'arco di c. tre secoli a
partire dalla seconda metà del XVI, del palazzo Doria Pamphilj
(v. pag. 248) a d. e, a sin., del Collegio Romano, sorto per
iniziativa di S. Ignazio di Loyola, su modello dell'università di
Parigi, per coloro che aspiravano a militare nella compagnia di
Gesù.
La scuola, dal 1551, aveva avuto nella zona varie sedi,
rivelatesi tutte insufficienti; per questo Gregorio XIII intraprese
nel 1582 la costruzione di un apposito edificio, che venne
inaugurato il 28 ottobre 1584; a lungo ritenuto opera di
Bartolomeo Ammannati ma più probabilmente attribuibile a
Giuseppe Valeriano, il complesso, che occupa l'isolato tra questa
piazza e quella di S. Ignazio e le vie di S. Ignazio e del Collegio
Romano su una superficie di 13 400 ml inclusa la chiesa di S.
Ignazio, ospitò la biblioteca, ricca di 50000 volumi, che dopo
l'Unità formò il primo nucleo della Biblioteca nazionale centrale
"Vittorio Emanuele II" (v. pag. 506); vi ebbero altresì sede il
museo del Collegio (detto Kircheriano da Atanasio Kircher che
gli diede particolare impulso), la Spezieria e l'Osservatorio
astronomico.
Dopo l'indemaniazione, l'ateneo dei Gesuiti passò nel
vicino palazzo Gabrielli Borromeo e nel 1930 nella sede della
Pontificia Università Gregoriana (v. pag. 301); nei locali della
scuola venne istituito il primo Liceo-Ginnasio della capitale
("Ennio Quirino Visconti"), mentre il resto dell'edificio fu
occupato dapprima dal Museo preistorico-etnografico "Luigi
Pigorini" ora all'EUR (v. pag. 784), e dal 1975 dal Ministero per
i Beni Culturali e Ambientali.
L'imponente facciata in cotto è articolata in tre corpi:
quello centrale, più alto, è coronato da una balaustra sulla quale
si innalzano ai lati edicole per le meridiane e al centro un
campanile loggiato con cupolino; sull'asse centrale si
sovrappongono dal basso una nicchia, lo stemma (scalpellato) di
Gregorio XIII con la lapide della fondazione e un orologio su cui
erano regolati tutti quelli della città, mentre al pianterreno
costituiscono elementi plastici i due portali ad arco fra colonne
sorreggenti un timpano curvo con il drago Boncompagni e lo
26 | R. I MONTI

stemma del pontefice. I corpi laterali sono coronati da attico a


tetto con paraste e finestrelle ellittiche. A d. s'innalza la torre per
le osservazioni meteorologiche, costruita nel 1787.
All'interno, cortile ad arcate su due ordini (ionico e
corinzio) incompleto nel lato di fondo entrando. Utilizzando
quanto è rimasto al liceo dell'ex Museo Kircheriano e dei
laboratori scientifici dei Gesuiti è in via di allestimento nel 1992
un Museo della Didattica delle Scienze.
Appartato sul lato S della piazza è, il complesso della
chiesa e monastero di S. Marta, iniziato nel 1546 e rinnovato
negli anni 1668-96 dapprima a opera di Giovanni Antonio de
Rossi, poi, dal 1671, di Carlo Fontana, che configurò il sontuoso
interno; nel 1852 Luigi Poletti realizzò l'attuale rigido prospetto
su via del Pie' di Marmo, dopo la demolizione di una parte del
convento per allargare la strada. Con il passaggio al demanio nel
1872, il complesso venne destinato a usi impropri subendo gravi
manomissioni; nel 1966 la chiesa è stata oggetto di un restauro
integrativo per adibirla a sede di mostre e attualmente è in via di
ultimazione un nuovo intervento conservativo sulle pitture.
La facciata cinquecentesca, a due ordini, è spartita da
lesene e coronata da un timpano con resti di affresco.
Il ricco interno (non visitabile) è a navata unica, con
ornati a stucco nell'abside e nelle cappelle laterali; la volta fu
dipinta dal Baciccia con la collaborazione di Paolo Albertoni e
Girolamo Troppa, ai quali si devono gli affreschi nel presbiterio
(restauro 1989).
A d. del palazzo del Collegio Romano si segue l'omonima
via, costeggiando a sin. la facciata laterale opera di Paolo
Marucelli (il portale con il drago Boncompagni al N. 27 è
cinquecentesco); sul lato opposto, in angolo con via Specchi, è
la palazzina Calzone, opera in stile eclettico con
riecheggiamenti liberty di Vittorio Mascanzoni (1902-03).
Sottopassato un cavalcavia, si interseca via del Caravita: sul
breve tratto di d. Affaccia l'oratorio di S. Francesco Saverio
(1633) detto del Caravita; restaurato nella seconda metà
dell'800, presenta una semplice facciata laterizia a due ordini.
Dall'atrio (a sin., Crocifisso ligneo del sec. XVI; nella
volta, storie di S. Francesco Saverio di Lazzaro Baldi. restauro
R. I MONTI | 27

1980) si passa nell'interno, a navata unica e con volta affrescata


nel sec. XIX:
sull'altare maggiore, SS. Trinità e S. Francesco Saverio di
Sebastiano Conca; Madonna della Pietà attribuita a Baldassarre
Peruzzi.
Sopra l'atrio è il RISTRETTO DE:GLI ANGELI (1633;
non visitabile), con affreschi e decorazione plastica
settecentesca.
Si percorre il tratto di sin. della via fino a *piazza di S.
Ignazio, uno degli spazi più rappresentativi della città barocca,
racchiusa su un lato dalla vivace scenografia rococò dei tre
palazzetti detti "burrò". Già alla fine del '600 era stata ideata una
piazza per dare respiro alla chiesa, ma la sistemazione fu
realizzata da Filippo Raguzzini nel 1727-28 per i Gesuiti, ai
quali era stata imposta da Benedetto XIII; i tre edifici a foggia di
scena di teatro che la circondano sono tutti originali (si notino la
pianta articolata e i graziosi balconcini in ferro battuto), i due
arretrati, che completano le quinte, in parte di restauro.
Sul lato S la piazza è dominata dalla grandiosa facciata di
*S. Ignazio, uno dei più sontuosi esempi di architettura sacra
dell'età barocca.
Sul luogo della chiesa della SS. Annunziata, realizzata nel
1562-66 ma divenuta troppo piccola per gli studenti del collegio,
Gregorio XV decise di innalzare un nuovo tempio dedicandolo a
Ignazio di Loyola, canonizzato nel 1622. Il progetto venne
affidato a Orazio Grassi sotto la supervisione di Carlo Maderno,
Paolo Marucelli, Orazio Torriani; la costruzione, iniziata nel
1626, nel 1685 mancava ancora della cupola (in suo luogo il
gesuita Andrea Pozzo realizzò la famosa prospettiva
illusionistica che ne simula l'esistenza).
La facciata in travertino (nel 1992 in restauro), che
riprende il prototipo della chiesa del Gesù, è articolata con
grande rilievo plastico da semicolonne e paraste in due ordini, di
cui l'inferiore, più largo, si raccorda al superiore più stretto per
mezzo di volute laterali.
Il fastoso interno, a unica navata con tre cappelle per lato
intercomunicanti, rappresenta la compiuta evoluzione del
28 | R. I MONTI

modello di tempio richiesto dalla liturgia controriformistica


nella persuasiva monumentalità barocca.
Sulla parete di controfacciata, la Religione e la
Magnificenza, di Alessandro Algardi, sostengono l'iscrizione
commemorativa della consacrazione della chiesa (1650); dello
stesso sono i fregi sopra gli archi delle cappelle.
La volta della navata (*Gloria di S. Ignazio) è il
capolavoro d'illusionismo prospettico del Pozzo, autore anche
dell'Assedio di Pamplona del 1521 nella volta del presbiterio, di
S. Ignazio che guarisce gli appestati nel catino absidale, di
Giuditta, David, Sansone e Jaele nei pennacchi della finta cupola
(l'effetto prospettico della volta si coglie compiutamente dal
disco di giallo antico al centro della navata, presso la tomba del
cardinale Franconi).
NAVATA DESTRA. 1a cappella: Vergine e S. Stanislao
Kotska, pala della prima metà del sec. XVIII. 2a: Vergine e S.
Giuseppe di Francesco Trevisani, autore anche della lunetta d.
(Ultima comunione di S. Luigi Gonzaga); la lunetta di sin. è di
Giuseppe Chiari, la volta di Luigi Garzi, i peducci del Trevisani
3a: Presentazione di Maria al tempio di Stefano Pozzi.
TRANSETTO DESTRO. Al ricchissimo altare, disegnato
dal Pozzo e con quattro colonne di verde antico, Gloria di S.
Luigi Gonzaga, rilievo marmoreo di Pierre Legros (1697-99);
sotto la mensa, preziosa urna in lapislazzuli con le reliquie del
santo; nella volta, Gloria del santo del Pozzo. Cappella a d.
dell'abside: monumento di Gregorio XV e del cardinale
Ludovico Ludovisi del Legros; agli angoli, Virtù cardinali
Camillo Rusconi (1686).
CAPPELLA MAGGIORE, affrescata dal Pozzo: al centro
Visione di S. Ignazio a La Storta; a d. S. Ignazio invia S.
Francesco Saverio nelle Indie; a sin. S. Ignazio riceve S.
Francesco Borgia.
Cappella a sin. dell'abside: modello in stucco della statua
di S. Ignazio dall'originale (1728) conservato in S. Pietro.
SAGRESTIA: altare cinquecentesco con Madonna col
Bambino di Pierre Delattre (sue le storie di S. Ignazio nella volta
e nelle lunette, restauro 1989).
R. I MONTI | 29

TRANSETTO SINISTRO. Sull'altare, uguale a quello del


transetto d., *Annunziata, pala marmorea di Filippo Della Valle;
figure allegoriche (Castità e Umiltà) e angeli di Pietro Bracci
(1649); sulla volta, Assunzione del Pozzo; ai lati del finestrone,
affreschi di Ludovico Mazzanti.
NAVATA SINISTRA. 2a cappella: Ss. Francesco Saverio
e Francesco Borgia del Delattre. 1a: S. Gregorio Magno dello
stesso.
Annessa al complesso è la *CAPPELLA PRIMA
PRIMARIA (non visitabile), completamente affrescata dal
Borgognone.
Lo slargo a d. della facciata di S. Ignazio prende nome
dalla chiesa di S. Macuto, nota dal sec. XII e appartenuta
dapprima ai Domenicani, dal 1538-39 alla confraternita dei
Bergamaschi che la riedificarono su disegno di Francesco da
Volterra (1577' 79), quindi ai Gesuiti, del cui vicino collegio fu
cappella.
La facciata è spartita in due ordini da lesene in travertino
ed è coronata da un timpano ornato di obelischi: al portale,
coronato da timpano, corrisponde nell'ordine superiore una
serliana.
Il semplice interno a navata unica e coperto a botte (per
la visita rivolgersi al Collegio Bellarmino, via del Seminario N.
120) ospita sugli altari laterali due tele di Michelangelo Cerruti.
Da piazza di S. Macuto si prosegue verso O lungo via del
Seminario, segnata a sin. dal lungo prospetto (1903-05) dell'ex
Ministero delle Poste; sul lato opposto, oltre il cinquecentesco
palazzo Gabrielli Borromeo (N. 120), è il palazzo Serlupi
Crescenzi (N. 113), opera matura (1585) di Giacomo Della
Porta e ritenuto da alcuni il suo capolavoro; la facciata,
incompiuta, si caratterizza per il possente portale (non in asse)
architravato su mensole e per l'imponente cornicione, con
stemmi nei cassettoni; nel cortile interno è un portico con
soprastante loggia ad arcate.
Poco oltre si sbocca in piazza della Rotonda (v. pag. 387).
30 | R. I MONTI

1.10 Campitelli, il Foro Romano e il


Palatino.

La leggenda individua il primo nucleo della città nella


"Roma quadrata" romulea sul Palatino (VIII secolo a. C.), anche
se gli studi più recenti concordano nel collocarla nei ben più
anteriori (XIV secolo a. C.) insediamenti nel Foro e a sud del
Campidoglio: il sito dell'antica "arx" (la rocca cittadina) fu
sempre la sede del governo, degli istituti civili, del Tabularium
(l'archivio di Stato) e di alcuni dei culti più importanti (basti
ricordare il tempio di Giove Capitolino). Il vicino Palatino ebbe
invece spiccata vocazione abitativa, fino a diventare, con
l'edificazione della dimora di Ottaviano Augusto, la sede
imperiale propriamente detta,tanto che il nome antico del colle
("Palatium") è passato a indicare la tipica dimora nobile e
rappresentativa. Nel Foro, luogo pubblico per eccellenza, si
tenevano cerimonie religiose e si svolgevano la vita pubblica e
l'attività politica, mentre la zona in prossimità dell'ansa del
Tevere (il Velabro), mitico approdo della cesta con Romolo e
Remo, era, con i Fori Boario e Olitorio, luogo rispettivamente
dei mercati del bestiame e degli ortaggi.
Nel Medioevo sopravvenne la rovina: dei monumenti,
distrutti dai saccheggi, dall'incuria, dagli eventi sismici, rimasero
a testimoniare la passata grandezza resti colossali, svettanti da
piane divenute pascolo (Monte Caprino, Campo Vaccino) o
riusati nei rari edifici presenti: nel Foro e sul Palatino sorsero
chiese, conventi e fortezze, sul Campidoglio i palazzi delle
assemblee popolari (il Palazzo Senatorio s'insediò sui resti del
Tabularium), e restò abitata solo la zona ai piedi del colle, dove
ebbero casa alcuni dei maggiori artisti del Rinascimento
(Michelangelo, Giulio Romano, Giacomo Della Porta, Pietro da
Cortona).
Nel Cinquecento il Campidoglio fu completamente
rinnovato per volere di Paolo III, che incaricò Michelangelo di
creare una grandiosa cornice per la vita politica cittadina;
l'opera, eseguita da più architetti nell'arco di un secolo,
costituisce l'unico centro civico in Italia di età rinascimentale e
la prima piazza progettata, in età moderna, di Roma,
R. I MONTI | 31

Analogamente, il papa fece del Palatino il luogo simbolico della


grandezza della sua famiglia realizzandovi gli orti Farnesiani,
giardino di delizie a imitazione delle ville nobiliari sorte sui colli
vicini ed equivalente romano della villa di Caprarola; anche sul
Campidoglio volle una residenza di svago e vi fece edificare la
torre-belvedere che portava il suo nome.
Per tutto il Seicento il Foro Romano continuò a essere
luogo di pascolo e di commercio del bestiame, restando
pressoché inalterato se si eccettua la decadenza dei giardini
palatini in seguito all'estinzione dei Farnese.
Nell'Ottocento ebbero inizio le trasformazioni che
ridussero all'attuale aspetto la zona: gli scavi nel Foro Romano e
sul Palatino, iniziati già nel Cinquecento e proseguiti con scopi
antiquari nei secoli successivi, furono ampliati
dall'amministrazione francese e dal governo pontificio; dopo il
1870 si estesero ulteriormente per rimettere in vista i resti
dell'età classica, dando vita all'attuale complesso archeologico
frutto di un programma fermamente perseguito dai primi
ministeri post-unitari. Attorno al Campidoglio, dapprima per
l'erezione del monumento a Vittorio Emanuele II (1885-1911) e
poi con gli sventramenti fascisti (isolamento del teatro di
Marcello, 1926-32; demolizione di piazza d'Aracoeli e apertura
del primo tratto della via del Mare, oggi del Teatro di Marcello,
1928-30; scavo del foro di Cesare, 1932; demolizione della zona
intorno a piazza della Consolazione, 1933; apertura di via
dell'Impero, oggi dei Fori Imperiali, 1931- 33; demolizioni per
la costruzione degli edifici dell'Anagrafe, 1935-41), venne
completamente distrutto il pittoresco tessuto di strade anguste e
tortuose, di vetuste chiese, di case dimesse e di aristocratici
palazzi che lo circondava, sostituito da ampie strade e da una
fitta vegetazione mediterranea sulle falde; pur se a prezzo della
cancellazione di significative memorie medievali, tali lavori
hanno conferito al colle un'inedita suggestione e hanno
consentito importantissime scoperte archeologiche.
L'itinerario offre uno straordinario spaccato della storia di
Roma, che dall'età protostorica Ge capanne sul Palatino e l'arca
sacra di S. Omobono), attraverso l'epoca classica (il Foro
Romano), medievale (S. Maria in Aracoeli, S. Maria in
Cosmedin) e rinascimentale (la michelangiolesca piazza del
32 | R. I MONTI

Campidoglio), si conclude con le pesanti manomissioni del


ventennio.
La visita ha inizio, a O del monumento a Vittorio
Emanuele II (v. pag. 189), da piazza d'Aracoeli, un tempo
sede di mercato, che faceva da sfondo al Campidoglio
michelangiolesco; le demolizioni del 1928, che ne fecero
scomparire il lato E, cancellarono la settecentesca chiesa di S.
Venanzio dei Camerinesi e le torri del Mercato e del Cancelliere.
Sul lato NO prospetta il palazzo Muti Bussi, iniziato da
Giacomo Della Porta a fine '500 e terminato da Giovanni
Antonio de Rossi (1642-62), a pianta esagonale con doppio
ingresso passante e cortile a ferro di cavallo; davanti è la
fontana (Giacomo Della Porta, 1589), sormontata dai monti di
Sisto V (la vasca inferiore sostituì nell'800 l'originario
basamento a gradini).
Lasciata a d. via della Tribuna di Tor de' Specchi (al N. 3,
torre medievale, trasformata in casa, con elementi lapidei
antichi reimpiegati), si costeggia al N. 3 il palazzo Pecci Blunt
già Ruspoli (Giacomo Della Porta, fine '500), con ricco fregio a
girali e cornicione a mensole e rosoni, e al N. 1 il palazzo
Massimo di Rignano, oggi sede dell'ambasciata della
Repubblica Araba Siriana, ricostruito a fine '600 da Carlo
Fontana, con portale a motivi vegetali nelle membrature, attico
moderno e torretta-osservatorio merlata (nel cortile, fontana con
tritone, di imitazione berniniana, pure del Fontana). L'angolo
sin. del palazzo fu tagliato per l'apertura della via del Mare,
l'odierna via del Teatro di Marcello (l'edificio romano si
riconosce al termine della discesa: v. pag. 451), tracciata fra il
1926 e il 1941 per collegare piazza Venezia al Lido di Roma
(l'attuale Lido di Ostia) cancellando un brano di città di
formazione medie vale.
Al N. 40 della via è il monastero di Tor de' Specchi,
fondato nel 1433 da S. Francesca Romana, inizialmente in una
casa dei Clarelli, e poi esteso a includere la "torre degli specchi",
(il nome deriva dalla forma delle finestre); nel 1596, pur
disponendo il monastero della chiesa di S. Maria de Curte, fu
costruita la chiesa intitolata alla SS. Annunziata. Nel severo e
irregolare prospetto, accanto al N, 34 sono i resti di un portico
medievale, mentre l'ovale marmoreo (S. Francesca Romana e
R. I MONTI | 33

l'angelo), di scuola berniniana, proviene da una casa demolita


nelle vicinanze; sopra il N. 40 è un affresco del sec. XVIII.
Nell'interno (il complesso è visitabile solo il 9 marzo), all'inizio
della SCALA SANTA, Madonna e Bambino, S. Benedetto e S.
Francesca Romana, affresco di Antoniazzo Romano; alle pareti,
affreschi del sec. XVII. La CAPPELLA VECCHIA è un
suggestivo ambiente, completamente decorato da affreschi
(storie della vita della santa) del 1468 c. e con un bel soffitto
quattrocentesco. Un ambiente, forse l'antico refettorio, ha
decorazione a monocromo in terra verde (storie delle tentazioni
della santa) del 1485c. (restauro 1984).
La CHIESA monastica DELLA SS. ANNUNZIATA ha
atrio Settecentesco affrescato; nell'interno, con bel Soffitto
ligneo intagliato, l'altare accoglie la SS. Annunziata, copia
dell'opera di Firenze, eseguita da Alessandro Allori
(l'Adorazione dei Magi e l'Adorazione dei pastori sono dipinti
seicenteschi).
Dall'angolo E della piazza d'Aracoeli (il campaniletto
romanico bifora e l'arcosolio di tomba con affresco trecentesco
della Pietà sulla sin. appartengono alla chiesa di S. Biagio de
Mercato, sorta nel sec. XI sopra una delle rare testimonianze
conserte in Roma di insula di cui rimangono quattro piani e
tracce di un quinto e forse di un sesto, con murature in opus
reticulatum e laterizio del sec. I; per la visita rivolgersi alla X
ripartizione del comune).
Una scalinata sale alla chiesa di *S. Maria in Aracoeli.
Eretta sopra il tempio di Giunone Moneta e sul luogo di un
monastero (sec. VII) di monaci greci passato ai Benedettini col
nome di S. Maria in Capitolio, deve l'appellativo in Aracoeli,
affermatosi all'inizio del '300, alla leggenda dell'apparizione
della Vergine a Ottaviano.
La chiesa primitiva, orientata come l'attuale transetto, fu
ricostruita nel 1285-87 - forse su progetto di Arnolfo di Cambio
- dai Francescani, che la consacrarono incompleta nel 1291; i
lavori vennero conclusi dalla scalinata (Lorenzo di Simone
Andreozzi; iscrizione a sin. del portale), che fu inaugurata da
Cola di Rienzo nel 1348. li cardinale Oliviero Carafa vi
condusse lavori nel 1467-72; Pio IV (1564) demolì l'abside
affrescata da Pietro Cavallini, abolì la schola cantorum e spostò
34 | R. I MONTI

l'ingresso laterale; nell'ampio restauro del 1689 vennero chiuse


alcune finestre e ridecorata la navata centrale.
Durante 1'occupazione francese, quando la chiesa fu
sconsacrata e adibita a stalla, fu progettata una nuova facciata
(Pasquale Belli, 1824) fortunatamente non eseguita; quella
attuale, a guscio in mattoni, risale al sec. XIII e accoglie tre
portali, del sec. XIV ma rimaneggiati nel XV e XVI, sopra i
quali si aprono altrettante finestre Ce laterali sono rotonde e a
traforo): nella lunetta di quello centrale, resti di affresco
quattrocentesco (restauro 1989), sui laterali, S. Matteo (d.) e S.
Giovanni (sin.) di anonimo del sec. XVI. Nel sagrato, lastre
tombali fra cui quella dell'umanista Flavio Biondo.
Nell'interno, a tre navate divise da colonne antiche di
marmi diversi, il ricco soffitto ligneo a cassettoni (1572-75), con
al centro la Vergine e il Bambino, e stemmi di Gregorio XIII,
Pio V e del Senato romano, fu da quest'ultimo fatto eseguire, in
ringraziamento della vittoria di Lepanto, dal Sermoneta e da
Cesare Trapassi (1572-75); nel pavimento cosmatesco (secoli
XIII-XIV) sono numerose pietre tombali.
NAVATA CENTRALE. In controfacciata, sopra il
portale, iscrizione celebrativa del Senato romano per Urbano
VIII, in marmo e stucco, su disegno di Gian Lorenzo Bernini
(1636); a d. del portale, *monumento funerario del cardinale
Ludovico d'Albret (m. 1465; pianta, 1) di Andrea Bregno; sulla
parete, *pietra tombale di Giovanni Crivelli (m. 1432) di
Donatello; a sin. del portale (2), tomba di Lodovico Grato
Margani di seguace di Andrea Sansovino (sec. XVI). Alle pareti,
sopra il cornicione, affreschi (1686-91) di Giovanni Odazzi
(Adorazione dei Magi, Fuga in Egitto, profeta David), di
Giuseppe Passeri (Morte della Vergine, Assunzione), di fra'
Umile da Foligno (Immacolata Concezione, Nascita della
Vergine, Presentazione al tempio, Annunciazione, Visitazione,
Adorazione dei pastori, profeta Isaia); gli ultimi due verso
l'altare sono ottocenteschi. Alla 4a colonna d. (3), altare di S.
Giacomo della Marca, con dipinto raffigurante S. Giacomo in
adorazione del calice e del Crocefisso (c. 1687). Nella 3a
colonna sin. (4), iscrizione "a cubiculo Augustorum" e foro che
trapassa diagonalmente la colonna, forse per misurazioni
astronomiche; alla 4a (5), altare della Madonna del Rifugio di
R. I MONTI | 35

scuola viterbese (sec. XV); alla 5a (6), S. Luca, affresco del sec.
XIV, e, nel pavimento sottostante, lastra tombale assai
consumata di Aldus magister et murator; alla 7a (7), pulpito
ligneo, di disegno berniniano, con stemma Barberini.
NAVATA DESTRA. la cappella d. (Bufalini; 8): *storie
di S. Bernardino (alla parete di fondo S. Bernardino tra i Ss.
Ludovico di Tolosa e Antonio da Padova e, in alto, Redentore
tra angeli; alla parete d. S. Francesco riceve le stimmate e
Vestizione di S. Bernardino; alla parete sin. S. Bernardino fa
penitenza e Morte del santo; nella volta evangelisti), affreschi
del Pinturicchio (1486; restauro 1981). 2a (9; restauro 1991-92):
Pietà, tavola di Marco Pino da Siena (1568-70); gli affreschi
(storie della Passione) sono del Pomarancio (1582). Statua di
Gregorio XIII (10) di Pietro Paolo Olivieri. 3a (11): S.
Girolamo, dipinto su lavagna di Giovanni De Vecchi (restauro
1986); i dipinti delle pareti e della volta sono di Ludovico (sigla;
1875) e Alessandro Massimiliano Seitz (restauro 1987). 41 (12):
alla parete d., Trasfigurazione del Sermoneta (c. 1573). 5a (13):
sull'altare e alle pareti, storie di S. Matteo di Girolamo Muziano
(1586- 89). 6a (di S. Pietro d'Alcantara; 14), su disegno di G.B.
Contini: l'Estasi del santo e gli altorilievi marmorei ovali sono di
Michel Maille (sec. XVII), gli stucchi di Francesco Cavanini. 7a
(15): S. Diego guarisce un cieco del De Vecchi (c. 1610); alle
pareti, Miracoli del santo di Vespasiano Strada; volta e lunette
(vita di S. Diego) affrescate da Avanzino Nucci. Monumento di
Michele Antonio di Saluzzo di Giovanni Antonio Dosio (1575;
16). Vano della porta laterale, già cappella della Madonna (17):
resti di affreschi del sec. XIV rinvenuti nel 1974; a d., tomba di
Cecchino Bracci, realizzata da Francesco Amadori su disegno di
Michelangelo; a sin., tomba di Pietro Manzi attribuita ad Andrea
Sansovino. 8a (18): S. Pasquale Baylon adora il calice di
Vicente Vittoria; ai lati, Miracoli di S. Pasquale, tele di Daniele
Seyter (sec. XVII); ricca decorazione in stucco del Cavallini.
TRANSETTO DESTRO. Cappella Savelli, di origine
duecentesca ma rinnovata nel 1727: all'altare (19), su disegno di
Filippo Raguzzini, Estasi di S. Francesco di Francesco
Trevisani; intorno, entro cornici, tele di Mariano Rossi; le
Stimmate e il Perdono di Assisi sono del 1774; i pannelli in
stucco settecenteschi raffigurano quattro Virtù. Alla parete d.
36 | R. I MONTI

(20), sepolcro di Onorio IV e della madre Vanna


Aldobrandeschi, con statua giacente del pontefice proveniente
dall'antica S. Pietro; a quella sin. (21), *sepolcro di Luca Savelli
(c. 1287) attribuito ad Arnolfo di Cambio (cui spetta la statuina
della Madonna e Bambino); sotto la cassa funeraria, sarcofago
romano con figure di coniugi e festoni di fiori. Da una porticina
si passa nell'oratorio dell'Immacolata Concezione, decorato a
tempera nel 1750. Cappella del Sacramento (22): architettura e
pittura di Antonio Gherardi; all'altare, statua lignea
dell'Immacolata di artista napoletano (sec. XVIII): i dipinti della
volta dell'anticappella sono di Giuseppe Ghezzi. Cappella di S.
Rosa da Viterbo (23): a sin., Vergine in trono fra santi e
donatore (Giacomo Capocci?), mosaico attribuito a Jacopo
Torriti (fine sec. XIII); i dipinti della volta e delle pareti sono di
Pasqualino de Rossi (sec. XVII).
PRESBITERIO. Ai pilastri terminali della navata mediana
(24-25), due . pergami, rimaneggiati e ricomposti, di Lorenzo di
Cosma e del figlio Jacopo (firma; c. 1200). Sopra l'altare
maggiore (26), tavola con l'immagine venerata della Madonna
col Bambino (secoli X-XI), per la quale, in ringraziamento della
fine della peste nel 1348, venne edificata la monumentale
scalinata di accesso alla chiesa. Al centro della volta del
presbiterio, entro cornice ovale, *Vergine tra angeli musicanti,
capolavoro di Nicola Martinelli; nei riquadri, storie del sogno di
Angusto e le sibille; alla parete sin. (27), monumento di G.B.
Savelli di allievo del Bregno.
TRANSETTO SINISTRO. Cappella di S. Elena (28),
tempietto a colonne dei 1605, ma rifatto nel sec. XIX, cui fa da
altare un'urna in porfido con i resti della santa; sotto l'urna, più
in basso rispetto al pavimento attuale e visibile attraverso un
vetro, è un altare cosmatesco con, in alto, Augusto che si
inginocchia all'apparizione della Vergine (sec. XII). Sopra la
porta della sagrestia, dove si conserva una copia della Madonna
di Giulio Romano, S. Sebastiano, statua in terracotta del sec.
XV; nell'adiacente cappella del Bambino (la sistemazione è
ottocentesca), veneratissima statua del Santo Bambino del sec.
XV. Monumento del cardinale Matteo d'Acquasparta (29),
attribuito a Giovanni di Cosma ma rimaneggiato, in bella edicola
gotica con affresco (Madonna col Bambino in trono tra i Ss.
R. I MONTI | 37

Matteo e Giovanni e il cardinale) ascritto a Pietro Cavallini (fine


sec. XIII); a sin. monumento di Alessandro Crivelli (30), con
marmi pregevoli e rilievo (Trinità) di Jacopo Del Duca. Statua di
Leone X (31) di Domenico Aimo (c. 1520),
NAVATA SINISTRA. 9a cappella (32): Madonna di
Loreto (fine sec. XVII); alle pareti, storie della vita della
Vergine di Marzio Ganassini. 8a (33): alle pareti, S. Margherita
ritrova il corpo dell'amato e *Morte della santa di Marco
Benefial. 7a (34): altare di Carlo Rainaldi con colonne di breccia
corallina; a d., monumento del cardinale Luigi Marini (m. 1838)
di Alessandro Massimiliano Laboureur. 6a (35; restauro 1988):
Ascensione di Girolamo Muziano; alla parete sin., monumento
di Camillo Pardo Orsini (m. 1553) attribuito a Onorio Longhi; la
ricca decorazione con stucchi e affreschi è del Martinelli (1584).
5a (36): S. Paolo del Muziano; affreschi e stucchi del
Pomarancio (1584-86); a sin., *monumento funerario di Filippo
Della Valle (m, 1494) attribuito ad Andrea Briosco. 4a (37): La
Sacra famiglia appare alla beata Caterina Sforza del Trevisani
(1730). 3a (38): . S. Antonio da Padova e due donatori, unica
parte rimasta degli affreschi di Benozzo Gozzoli (1454-58) che
decoravano la cappella; alle pareti laterali, storie di S. Antonio
attribuite a Charles Mellin (c. 1626); a d., sepolcro
rinascimentale di Antonio Albertoni (m. 1509); nella volta,
Paradiso del Martinelli (1582). Statua cinquecentesca di Paolo
III (39; dal Campidoglio). 2a (del Presepio; 40): presepio
composto da statue a grandezza naturale dei secoli XVIII e XIX.
1a (41): complesso sistema iconografico illustrante il terna
dell'Immacolata Concezione; gli affreschi sono del 1555 circa .
Sul muro di fondo della navata (42), Martirio del beato Giovanni
da Prato di Paolo Mattei.
Uscendo dalla chiesa dalla navata d., per il portale laterale
ricavato nel 1564 alla base del CAMPANILE romanico di cui
restano due piani (nella lunetta esterna, Madonna col Bambino
di scuola cavalliniana), si scende al
PORTICO (Nanni di Baccio Bigio o Jacopo Meleghino,
1554), adorno dei gigli di Paolo III e rinnovato nel 1932, da
dove si accedeva al convento d'Aracoeli, che fu distrutto assieme
alla torre-belvedere, eretta da Paolo III in collegamento col
38 | R. I MONTI

palazzo di Venezia, per la costruzione dell'Altare della Patria (v.


pag. 189).
Da piazza d'Aracoeli si sale a piazza del Campidoglio
per la cordonata disegnata da Michelangelo, modificata nel 1578
da Giacomo Della Porta e accorciata nel 1929 per l'apertura
della via del Mare. In basso, su basi disegnate dal Della Porta
(1582), sono due leoni egizi in basalto, provenienti dall'Iseo
Campense e trasformati in fontane nel 1588 (le vasche sono
moderne); nel giardino a sin. si trova il monumento a Cola di
Rienzo (1887), che qui fu ucciso dal popolo nel 1354, in quello
di d. Alcuni filari di massi di mura repubblicane.
Si sbocca nella trapezoidale *piazza del Campidoglio, in
cui Michelangelo, traendo magistralmente partito dalle
preesistenze, organizzò in prospettiva rovesciata, mirata sul
Palazzo Senatorio, lo spazio definito dal palazzo dei
Conservatori (d.) e dal Palazzo Nuovo (sin.), eseguiti secondo il
progetto dell'artista rispettivamente nel 1568 e nel 1655. Sulla
balaustra, concepita dallo stesso quale complemento della
piazza affacciata sulla città e modificata dal Della Porta (1585),
sono collocati: i colossali dioscuri coi loro cavalli (tarda età
imperiale), provenienti dalla zona di Monte Cenci dove sorgeva
il tempio a loro dedicato e qui collocati nel 1585 in luogo di
quelli previsti inizialmente da Michelangelo (oggi in piazza del
Quirinale); i cosiddetti trofei di Mario, composti con armi
barbariche di età domizianea e qui spostati nel 1590 dal castello
dell'Acqua Giulia in piazza Vittorio Emanuele II; le statue di
Costantino e del figlio Costante 11, provenienti dalle terme di
Costantino e qui collocate nel 1653; due colonne miliarie con
iscrizioni di Nerva e di Vespasiano, dalla Via Appia Antica.
Al centro della piazza (la pavimentazione, dal dinamico
disegno centrifugo, fu realizzata nel 1940 da Antonio Munoz in
base a un'incisione del 1567), e fulcro compositivo dell'insieme,
è stata fino al 1981, sul piedistallo originale disegnato da
Michelangelo e ornato dei gigli farnesiani di Paolo III e di un
"elogium" cinquecentesco, la statua di Marco Aurelio,
trasferita nel 1538 dal Laterano per ordine di Paolo III e dopo il
restauro compiuto nel 1990 ricoverata al pianterreno del Museo
Capitolino (all'aperto andrà una copia).
R. I MONTI | 39

Il Campidoglio, alto sul Tevere e isolato tutt'intorno


tranne che verso i Quirinale (cui era unito da una sella
smantellata al tempo di Traiano) e in posizione dominante tra la
valle del Foro e l'ampia pianura del Campo Marzio, si prestò ad
assolvere egregiamente, fin dal primo definirsi della città, alle
funzioni di "rocca", dopo essere stato, tra la fine dell'età del
Bronzo e l'inizio dell'età del Ferro, anch'esso sede di uno dei più
antichi insediamenti dell'età romana. Distinto in due sommità –
il <Capitolium> propriamente detto a SE (dalla corruzione di
questo nome deriverebbe Campitelli) e l'"arx" a NO - divise da
un'insellatura ("asylum"), il colle, alto c. 50 m, era accessibile
per una sola strada ("cliviis Capitolinus"), che saliva dal Foro in
prosecuzione della "via Sacra", e con due scalinate: la "scalae
Gemoniae" dallo stesso Foro all'arce e la "Genturn gradus" dal
Campo Marzio al "Capitolium" per la rupe Tarpea, che
conservava il nome originario del colle ("Mons Tarpeius").
Circondato da un muro collegato alla cerchia urbana, il
Campidoglio ospitò assai presto piccoli santuari (di Giove
Feretrio, il primo fondato a Roma, secondo Tiro Livio dallo
stesso Romolo; di Terminus; di Fides; di Iuventas) e, a partire
dal sec. VI a. C., il grandioso tempio di Giove Capitolino (e di
Giunone e Minerva, riuniti nella triade detta capitolina), eretto
sulla cima del "Capitolium" dai re Tarquini (ma inaugurato nel
509 a. C., primo anno della Repubblica) e rimasto sempre il
tempio principale del culto ufficiale dello Stato.
Sulla cima dell'arce invece, accanto alla piattaforma per
l'assunzione degli auspici ("auguraculum"), sorgeva il tempio di
Giunone Moneta, presso il quale fu costruita la prima sede della
zecca ("Moneta").
Sulle estreme pendici meridionali, verso il Foro, era infine
il tempio della Concordia, al quale si aggiunsero, in età
imperiale, il tempio di Vespasiano e il portico degli Dei
Consenti.
Devastato nell'83 a. C. da un incendio che distrusse anche
il tempio di Giove Capitolino, il Campidoglio fu sottoposto a
notevoli interventi di ricostruzione da parte di Silla, durante ì
quali, nella depressione dell'"asylum", fu edificato il
Tabularium. Poi, dopo gli incendi del 69 e dell'80, fu
definitivamente sistemato da Domiziano.
40 | R. I MONTI

Alla fine del mondo antico, il Campidoglio fu


praticamente abbandonato e ridotto a pascolo (Monte Caprino),
e al posto del tempio di Giunone Moneta sorse la chiesa di S.
Maria in Aracoeli. Poi, sui ruderi del Tabularium s'andò
formando un composito insieme di edifici pubblici (Palazzo
Senatorio), che nel '500 cedettero il posto al grandioso
complesso realizzato da Michelangelo per Paolo III. Così,
mentre l'orientamento del colle cambiava direzione, volgendosi
(con le spalle al Foro) verso la città papale, nasceva l'unico
grande centro civico rinascimentale d'Italia e la prima piazza
monumentale di Roma moderna. Tutt'intorno si addensarono
case, chiese e conventi, sormontati da una parte dalla torre-
belvedere dello stesso Paolo III, fino a che non fu tutto demolito,
tra la fine del sec. XIX e il 1940, per la costruzione del
monumento a Vittorio Emanuele II e per l'isolamento del colle.
Nell'ambito di tali opere venne scavata nel 1939-40 sotto
la piazza una galleria, che oggi ospita una raccolta lapidaria in
fase di riordino. Durante i lavori fu rinvenuto, oltre a resti di
edifici privati di epoca imperiale e di un muro di tufo di età
repubblicana, il tempio di Veiove (nel 1992 in restauro),
dedicato nel 192 a. C. ma ricostruito nel sec. I a. C., di cui
rimangono il semplice podio, la cella con lesene in
corrispondenza degli angoli e del pronao e l'ara con il colossale
simulacro marmoreo acefalo del dio (visibile lungo la galleria),
interpretato dai Romani come Giove sotterraneo. Il fronte del
tempio, interessante per la mescolanza della tradizione italica
con forme tardo-ellenistiche, prospettava verso l'attuale via del
Campidoglio; a fianco si vede tuttora, perfettamente conservata,
una sca1a di epoca repubblicana che saliva al Campidoglio e il
cui imbocco dal Foro fu chiuso in occasione della costruzione
del tempio di Vespasiano.
Il fondale della piazza è costituito dal Palazzo Senatorio,
palinsesto di fabbricati civili sorti sulla fortezza dei Corsi che si
era a sua volta insediata sui resti del Tabularium (v. pag. 408);
rinnovato nel 1299, conservò fino al '500 l'aspetto tipico di
palazzo Pubblico medievale, circondato da torri celate da
avancorpi.
La solenne facciata è un adattamento di Giacomo Della
Porta e Girolamo Rainaldi (1582-1605) del progetto di
R. I MONTI | 41

Michelangelo (ne restano, unici elementi originali, la porta


d'accesso all'Aula consiliare e la *scalea a due rampe
convergenti realizzata nel 1754 senza il baldacchino su colonne
che avrebbe dovuto sormontarla); rivestita in stucco e poggiante
su base a scarpa adibita in passato a prigioni è spartita da un
ordine gigante di lesene corinzie ed è coronata da un cornicione
(simboli di Clemente VII) e da una balaustra con statue in parte
moderne. Nella nicchia è -una statua in porfido e marmo di
Minerva seduta (epoca domizianea), trasformata in dea Roma e
qui collocata da Matteo di Città di Castello nel 1588-89 quando
venne aggiunta la fontana; nelle specchiature triangolari ai lati
sono le colossali raffigurazioni distese del Tevere (in origine
Tigri, a d.) e del Nilo (a sin.), provenienti dalle terme di
Costantino e in Campidoglio dal 15l8.
La torre campanaria in laterizio e travertino, sulla cui
sommità sono un'antica croce con lamine dorate e una statua di
Minerva-dea Roma, fu eretta da Martino Longhi il Vecchio
(1578-82) in sostituzione di quella medievale; l'orologio,
collocatovi nel 1806, era sulla facciata della chiesa dell'Aracoeli.
Campane ottocentesche sono oggi al posto della storica
"patarina" sottratta ai Viterbesi nel 1200.
All'interno (non visitabile) si accede, dal fianco sin.,
dall'INGRESSO DI SISTO IV (1477), entrando in un suggestivo
PORTICO a due navate diviso da pilastri (sec. XIII): di qui si
possono osservare dall'alto i resti del tempio di Veiove (v. pag.
406). Nella SALA DEL CARROCCIO, iscrizione
commemorativa del dono, fatto da Federico II al Popolo romano,
del Carroccio tolto ai Milanesi nella battaglia di Cortenuova
(1237). La SALA DELLE BANDIERE O DELLA GIUNTA
prende nome dagli stendardi dei 14 quartieri della Guardia civica
(1847). L'AULA CONSILIARE, salone maggiore del palazzo
(1573-77), già sede del tribunale del Senatore e ora del
Consiglio comunale, conserva nel muro verso l'esterno resti
della loggia del tempo di Bonifacio VIII (1299); alle estremità
della sala, *statua di Giulio Cesare e statua di ammiraglio
romano di età traianea.
Dal palazzo si raggiunge la Protomoteca Capitolina,
raccolta di busti di uomini celebri iniziata nel Pantheon a opera
di Antonio Canova: notevoli i ritratti di Pio VII (1807) e di
42 | R. I MONTI

Domenico Cimarosa (1808) del Canova, e il ritratto di Angelica


Kauffmann (Paolo Adolfo Kauffmann, 1809); interessanti i busti
di Perin del Vaga (1547). di Taddeo Zuccari (Federico Zuccari,
1566) e di Flaminio Vucca (1599).
Nel fianco d. del Palazzo Senatorio, dove si apre
l'originario ingresso principale al Tabularium (v. sotto), sono
inglobate le merlate torri- contrafforti di Bonifacio IX (1389-
1404; il passaggio aereo risale al 1940); sul lato opposto della
via (N. 8) è l'estrosa facciata del palazzetto Altemps (Onorio
Longhi, c. 1600), qui rimontata dalla Via Flaminia nel 1927.
Scendendo alla terrazza affacciata sul Foro Romano
(*panorama) si vede il prospetto posteriore del palazzo, alla cui
base sono tre delle 11 arcate originarie del Tabularium,
tamponate all'epoca di Martino V.
Sul fianco sin. dell'edificio sono visibili avanzi delle
strutture medievali: la torre di Martino V (c. 1427) verso
l'Aracoeli, e, verso il Foro, quella merlata di Niccolò V (1453),
alla cui base affiorano i blocchi in tufo del *Tabularium (nel
1992 chiuso per restauri), l'archivio di Stato di Roma antica
eretto nel 78 a. C. dal console Quinto Lutazio Catulo (sulla
piattabanda presso la porta, resti dell'iscrizione dedicatoria) e
utilizzato nel Medioevo come deposito di sale e prigione. Il
grandioso portico, il cui monumentale fronte, di ordine dorico e
con Il grandi campate solo in parte riaperte, faceva da sfondo al
Foro (*panorama), ospita sulle pareti frammenti dei vicini
templi della Concordia e di Vespasiano (v. pag. 427); alle spalle
del portico sono stanze coperte con volta a padiglione, mentre
sotto quello corre una galleria assai più piccola, con finestre
rettangolari ricavate nel grande basamento in opus quadratum. Il
primo piano verso il Foro era, a causa del dislivello, il piano
terra verso il centro del colle; un sistema di scale provvedeva a
collegare i vari settori, mentre una grande scalinata in travertino,
poi chiusa dalla costruzione del tempio di Vespasiano,
congiungeva il livello del Foro con il primo piano del
Tabularium. Tutta la struttura fu concepita con un duplice scopo:
regolarizzare le pendici del colle capitolino e creare una quinta
architettonica di sfondo al Foro Romano, cui dava una nuova
dimensione e prospettiva. In un ambiente adiacente al portico
R. I MONTI | 43

sono visibili resti di edifici anteriori, ai quali appartengono


anche i mosaici pavimentali sistemati sulla parete di fondo.
Chiude a SE la piazza del Campidoglio il palazzo dei
Conservatori (magistratura elettiva della città), forse esistente
dal sec. XII e riedificato a metà '400. Il rifacimento avviato da
Michelangelo nel 1563 e proseguito da Guidetto Guidetti e
Giacomo Della Porta fino al 1568 riguardò la facciata, la scala e
il portico sul cortile; il palazzo fu arricchito della fontana nel
1619, di una campata da Alessandro VII (1665-67; stemma) e
dotato di un altro portico da Alessandro Specchi nel 1720.
La monumentale facciata, racchiusa da lesene giganti, ha
portico terreno, finestre timpanate e balaustra di coronamento
con statue; le due aperture mediane, più larghe e a timpano
triangolare, sono state sostituite a quelle originali da Jacopo Del
Duca o, secondo alcuni, dal Della Porta.
Dal portale mediano sotto il portico esterno del palazzo si
passa nel CORTILE, con resti di archi gotici su colonne della
costruzione quattrocentesca.
Nel lato d., colossale testa di Costantino, proveniente con
altri frammenti (braccio, gamba, mano e piedi) dall'acròlito, alto
12 m e un tempo nell'abside della basilica di Massenzio,
raffigurante l'imperatore seduto; l'immagine rappresenta l'ideale
tardo-antico del dominio celeste sulla terra e del contatto diretto
con il soprannaturale dell'imperatore, che governa ispirato dalla
divinità. Nel portico in fondo, statua colossale di Roma (età
traianea) tra due statue in bigio di re barbari prigionieri (sec. II),
celebre gruppo composto dal cardinale Federico Cesi nel suo
giardino in Borgo, e testa giovanile di Costanzo II, appartenente
ad altra statua colossale. A sin., rilievi con rappresentazioni delle
Province soggette a, Roma, che insieme a trofei ornavano la
cella del tempio di Adriano; al di sopra, parte dell'iscrizione
dedicatoria dell'arco di Claudio, eretto in suo onore sulla "via
Lata" per la conquista della Britannia (43).
Il progetto michelangiolesco fu ripetuto da Girolamo e
Carlo Rainaldi per l'edificazione, commissionata da Innocenzo
X sul lato opposto della piazza e avvenuta nel 1655, del Palazzo
Nuovo, previsto in origine come appendice della torre di Paolo
44 | R. I MONTI

III senza collegamenti fra portico, che accoglie una statua in


bronzo di Alessandro Algardi, e primo piano.
Nei due palazzi sono ospitate le collezioni dei *Musei
Capitolini, le più antiche raccolte pubbliche non solo di Roma
ma del mondo, ricche di sculture classiche, alcune delle quali di
gran pregio. Nel primo si possono visitare l'appartamento dei
Conservatori, il Museo del palazzo dei Conservatori e la
Pinacoteca Capitolina (il Braccio Nuovo e il Museo Nuovo sono
nel 1992 in ristrutturazione); nel secondo il Museo Capitolino,
che vi ha sede dal tempo di Clemente XII. Visita: ore 9-13.30,
martedì e sabato anche 17-20; in primavera- estate, sabato anche
21-23; festivi 9-13; lunedì chiuso).
La donazione di Sisto IV nel 1471 dei bronzi conservati in
Laterano (la Lupa, la testa colossale di Costantino e il globo da
lui tenuto in mano, lo Spinario e il Camillo), simboli del potere
di Roma antica, costituì l'originario nucleo del museo, cui si
aggiunsero i rilievi storici donati da Leone X (1515), l'Ercole dal
Foro Boario, l'acròlito di Costantino, il Bruto Capitolino, fino
alla raccolta degli idoli pagani, regalati (la Pio V nel 1566, che
segnarono la nascita di un grande museo di arte antica. Uno
straordinario momento di crescita delle. collezioni si ebbe con
l'acquisto (1733) della raccolta del cardinale Alessandro Albani,
testimonianza dei gusto collezionistico nei secoli XVI e XVII;
per accogliere le opere da poco acquisite, venne inaugurata da
Clemente XII (1734) nel Palazzo Nuovo la nuova sede
espositiva del Museo Capitolino. Sotto il pontificato di
Benedetto XIV giunsero in Campidoglio importanti opere dalla
villa Adriana e uno straordinario documento per lo studio della
topografia antica della città: la "Ferma Urbis Romae" dell'epoca
di Settimio Severo.
La donazione della collezione Castellani concluse il
capitolo delle raccolte storiche capitoline. Con Roma capitale e
con i lavori urbanistici a essa connessi cominciò un nuovo e
importante periodo di acquisizione delle opere che andavano
emergendo dagli scavi; in tale contesto sorsero nel 1876 il
Museo del palazzo dei Conservatori, nel 1925 il Museo Nuovo e
nel 1952 il Braccio Nuovo.
Dal cortile del palazzo dei Conservatori si passa a sin.
nell'ATRIO e nel VESTIBOLO, ove sono esposti alcuni
R. I MONTI | 45

documenti relativi alla storia del museo, tra cui un'iscrizione


relativa al dono dei bronzi lateranensi con cui ebbe origine il
museo.
Si sale a d. la SCALA, ornata nei ripiani con stucchi di
Luzio Luzi (1576). Alle pareti del I ripiano, tre rilievi storici del
sec. II (Marco Aurelio sacrifica davanti al tempio di Giove
Capitolino, Trionfo di Marco Aurelio e Marco Aurelio fa grazia
dei nemici vinti) appartengono a un monumento dell'imperatore;
il quarto, proveniente dall'arco di Portogallo, rappresenta il
Solenne ingresso di Adriano in Roma (sec. II).
Al II ripiano, Allocuzione di Adriano nel Foro Romano,
rilievo proveniente dall'arco sopra ricordato, e statua di Carlo
d'Angiò, re di Sicilia e per tre volte senatore di Roma, già
attribuita ad Arnolfo di Cambio (fine sec. XIII).
L'appartamento dei Conservatori, adibito a sede di
rappresentanza del comune, cui si accede attraverso una porta in
legno dai *battenti riccamente intagliati (1643), costituisce un
complesso di grande sontuosità.
La SALA DEGLI ORAZI E CURIAZI, ove si riuniva un
tempo il consiglio pubblico, è così detta dal soggetto di uno
degli affreschi del Cavalier d'Arpino (restauro 1980), imitanti
arazzi e rappresentanti episodi dei primordi di Roma. Vi sono
alloggiate la *statua di Urbano VIII benedicente in trono, marmo
di Gian Lorenzo Bernini e aiuti (1635-39), e la *statua di
Innocenzo X, in analogo atteggiamento, bronzo di Alessandro
Algardi (1645-50).
La SALA DEI CAPITANI, con belle porte intagliate del
1643 e alle pareti affreschi (episodi della storia di Roma
repubblicana) di Tommaso Laureti (1587-94), prende nome
dalle cinque statue marmoree di capitani della Chiesa:
Marcantonio Colonna (Nicolò Pippi; 1595); Alessandro Farnese
(1593; il torso è antico, la testa di Ippolito Buzio); Carlo
Barberini (1630; la testa è di Gian Lorenzo Bernini, il torso è
antico, le braccia e le gambe di Alessandro Algardi);
Gianfrancesco Aldobrandini (1602); Tommaso Rospigliosi
(Ercole Ferrata; 1669).
SALA DEI TRIONFI. Soffitto ligneo intagliato del 1569
e fregio (Trionfo di Paolo Emilio su Perseo) di Michele Alberti e
46 | R. I MONTI

Giacomo Rocca (1569). * Vaso bronzeo con iscrizione greca di


Mitridate, bottino della guerra mitridatica (63 a. C.); statuette di
scudieri, bronzi della maniera del Verrocchio; *ritratto virile in
bronzo, creduto di Giunio Bruto (solo la testa è antica; secoli III-
II a. C.); nel mezzo, il famoso *Spinario, di bronzo (già
chiamato il Fedele capitolino perché si identificava con Marzio
messaggero dei Romani, il quale non si arrestò nel cammino
quantunque tormentato da una spina al piede), elegante
creazione tardo-ellenistica del sec. I a. C.; *Camillo, statua di
giovane assistente al culto, opera di età augustea. Alle pareti:
Deposizione, su lavagna, di Paolo Piazza (firma; 1614); Vittoria
di Alessandro su Dario di Pietro da Cortona (1635); S. Francesca
Romana di Giovanni Francesco Romanelli (1638).
SALA DELLA LUPA, già loggia (gli archi sul lato delle
finestre riproducono quelli originari nascosti nel muro). Alle
pareti, fatti della Storia romana affreschi attribuiti a Jacopo
Ripanda (inizi sec. XVI); sulla parete di fondo, entro architettura
disegnata da Michelangelo, frammenti dei *Fasti Consolari e
Trionfali, che erano incisi nelle pareti interne dei fornici laterali
dell'arco di Augusto: contengono la lista dei consoli romani fino
al 13 e dei trionfi dei grandi capitani dal tempo di Romolo al 12
a. C.; sulle altre pareti, iscrizioni in onore di Marcantonio
Colonna, vincitore a Lepanto, e di Alessandro Farnese duca di
Parma (1588). Nel mezzo della sala, la celeberrima *Lupa
Capitolina, straordinaria opera in bronzo degli inizi del sec. V a.
C. riferita ad artisti magnogreci: già collocata sulla facciata del
palazzo dei Conservatori, è divenuta dal sec. XV simbolo di
Roma (i gemelli sono stati aggiunti nel '400 da artista fiorentino,
probabilmente il Pollaiolo).
SALA DELLE OCHE. Soffitto e fregio dipinto del sec.
XVI. 6, Testa di medusa di Gian Lorenzo Bernini (1630); 7,
busto in bronzo di Michelangelo, derivato da quello di Daniele
da Volterra al Museo nazionale di Firenze; 12, 13, due anatre e
vaso con testa d'Iside, bronzi di età romana. Nel centro, *cane,
scultura decorativa romana in serpentina moschinata.
SALA DELLE AQUILE. Soffitto e fregio attribuito ad
Antonio Gherardi (sec. XVII). 8, Amore dormiente di arte
ellenistica.
R. I MONTI | 47

La SALA DEGLI ARAZZI, già del Trono, con ricco


soffitto intagliato e bel fregio (storie di Scipione Africano) del
sec. XVI, prende nome dalle opere alle pareti, eseguite a Roma
dalla fabbrica dell'ospizio di S. Michele nel 1764-68 (l'arazzo
con Romolo e Remo si ispira al quadro di Peter Paul Rubens
nella Pinacoteca Capitolina).
CAPPELLA NUOVA (inaugurata nel 1960). Sull'altare,
Madonna col Bambino e i Ss. Pietro e Paolo di Avanzino Nucci;
alle pareti, Misteri del Rosario in porcellana di Sassonia.
Alla SALA DELLE GUERRE PUNICHE, con soffitto
cinquecentesco, danno nome gli affreschi di Jacopo Ripanda e
collaboratori (primi del '500; restauro 1987).
CAPPELLA VECCHIA. Nella volta, affreschi e stucchi
di Michele Alberti e Giacomo Rocca (1575-78). Alle pareti:
Madonna col Bambino e angeli, detta Madonna delle Scale,
affresco di Antonio da Viterbo (fine sec. XV); gli Evangelisti e i
Ss. Cecilia, Alessio, Eustachio e la beata Ludovica Albertoni
sono di Giovanni Francesco Romanelli (1645-48).
Nel passaggio verso il Museo del palazzo dei
Conservatori, Festa al Colosseo, arazzo fiammingo del sec. XVI,
e *Vedute di Roma, tempere di Gaspare Vanvitelli.
Museo del palazzo dei Conservatori. Le SALE DEI
FASTI MODERNI ospitano le liste dei magistrati della città dal
1640 in poi e una collezione di busti (interessanti quelli delle
mogli degli imperatori) ed erme.
La GALLERIA DEGLI ORTI LAMIANI raccoglie le
sculture trovate sull'Esquilino sul sito dei famosi "horti" del
console Lucio Elio Lamia. Iniziando da d.: 3, Vecchio pescatore,
copia da originale ellenistico del sec. I a. C., di particolare
realismo; 4, *Fanciulla seduta, fine creazione da opera di arte
ellenistica del sec. II a. C.; 5, Vecchia contadina (acefala), di
arte ellenistica; 7, *testa di centauro, forse originale della scuola
di Pergamo; 12, busto di Commodo, eccezionale testimonianza
della ritrattistica imperiale, raffigurato come Ercole con la
"leontè" sulla testa e nelle mani la clava e i pomi delle Esperidi,
tra due tritoni; 18, candelabro del primo periodo augusteo; 19,
statua di Genio, arte romana del sec. I. Nel mezzo della sala, 29,
la cosiddetta *Venere Esquilina, figura di giovinetta ignuda, con
48 | R. I MONTI

attributi isiaci, nell'atto di cingersi i capelli con una benda,


eccellente scultura eclettica dell'inizio dell'Impero.
La SALA DEI MAGISTRATI, cui danno nome le statue
di funzionari in atto di dare inizio ai giochi nel circo (fine sec.
IV), presenta alle pareti epigrafi in ricordo del conferimento
della cittadinanza romana a Francesco Petrarca, Michelangelo,
Tiziano e Gian Lorenzo Bernini, e lapidi onorarie con i ritratti di
Cristina di Svezia e Maria Casimira di Polonia; inoltre, 4,
colossale statua di Artemide, da originale del sec. II a. C. Già
collocata come dea Roma sulla torre capitolina.
SALA I DEI MONUMENTI ARCAICI. 2, statua acefala
di giovinetta col peplo, da originale greco della prima metà del
sec. v a. C.; 3, testa di atleta di arte mironiana; 4, frammento di
stele con defunta seduta e ancella, arte attica del principio del
sec. IV a. C.; 5, statuetta di Latono che fugge il serpente Pitone
portando in salvo Apollo e Artemide infanti, da originale del
sec. v a. C.; 7, 9, statue di giovinetti addetti al culto eleusino, da
originali greci del sec. V a. Cristo. Nel mezzo della sala, 10,
*torso di amazzone, originale greco (c. 510 a. C.) riferibile alla
decorazione frontonale del tempio di Apollo Daphnephoros a
Eretria.
SALA II DEI MONUMENTI ARCAICI. 12, *stele
funeraria di giovinetta con colomba, originale di arte ionica (fine
sec. vi a. C.) forse dell'Italia meridionale; 11, *testa di leone,
originale greco degli inizi del sec. V a. C.; 10, frammento di
stele funeraria attica, originale della prima metà del sec. v a. C.;
8, Nike acefala (prima metà sec. v a. C.).
Di nuovo nella GALLERIA: 16, colossale piede di statua
di Iside con sandalo adorno di motivi marini; 29, 30, statuette di
fanciulli che giocano alle noci (sec. II); 52, rilievo con veduta di
città (sec. I a. C.); 53, 54, statue di atleti da tipi del sec. IV a. C.;
56, rilievo con scena dionisiaca, di arte ellenistica; 67, Antinoo
(sec. II); 68, statua di giovane con balteo, da originale d'arte
policletea.
Tornati al principio della galleria, si passa a d. in una sala
che ospita temporaneamente opere egizie provenienti per la
maggior parte dall' Iseo Campense: due cinocefali di granito
grigio dal sepolcro di Nectanebo (358-341 a. C.); sfinge di
R. I MONTI | 49

basalto del faraone Amasis della XXVI dinastia; coccodrillo e


sfinge di granito rosa di età tolemaica o romana.
SALA DEI MONUMENTI CRISTIANI. 13, testa di
imperatrice bizantina, cosiddetta Amalasunta (fine V-inizi sec.
VI); 14, statuetta del Buon Pastore (sec. III). Al centro della sala,
su un capitello, mensa marmorea di epoca tardo-romana con
bordo adorno delle scene della vita di Achille, già decorazione di
uno degli amboni cosmateschi dell'Aracoeli.
SALA DEL CAMINO, cosi detta da quanto resta del
camino. composto di frammenti antichi, dell'originaria cucina
del palazzo dei Conservatori. 1, grandioso sarcofago col mito di
Meleagro (sec. III): 2, 3, sarcofagi in terracotta di tarda età
etrusca (sec. III a. C.). Nel mezzo della sala, entro vetrine,
piccola raccolta di *vasi greci e di *antefisse (secoli VI-V a. C.)
da Capua e dall'Italia meridionale.
SALA I CASTELLANI. Nelle vetrine lungo le pareti, vasi
etruschi d'impasto e di bucchero, vasi italici, vasi falisci e altri,
facenti parte della collezione Castellani donata al comune nel
1867; in mezzo alla sala. Tensa capitolina (sec. IV),
ricostruzione di un carro, destinato a portare in processione
immagini di divinità e rivestito di lamine di bronzo con
bassorilievi rappresentanti episodi del cielo troiano. In altra
vetrina, *statuetta in terracotta policroma di Etrusco seduto
vestito alla moda orientalizzante (da Cerveteri, fine sec. VII a.
C.).
SALA II CASTELLAINI. Anfore dette impropriamente
tirreniche (sec. vi a. C.), vasi corinzi, ionici, attici a figure nere e
a figure rosse (sec. VI a. C.); tre lastre di letto funebre etrusco
con figure di animali; in una delle vetrine al centro della sala,
*cratere di Aristonothos (Mito di Ulisse e Polifemo) firmato
dall'artista (inizi sec. VII a. C.); in altre vetrine, statuetta di Iside
di età tolemaica e fiaschette in terracotta smaltata di tarda età
saitica (sec. VI a. C.).
SALA DEI BRONZI. 2. *testo colossale dell'imperatore
Costantino II (sec IV), facente parte di una statua di cui si
conservano pure, 3, una mano e, 8, il globo che questa
sosteneva. Si notino: 4, *statuetta di Lare danzante con in mano
un corno potorio e una coppa (sec. I); 11, *letto funerario con
50 | R. I MONTI

spalliere adorne di finissimi bronzi ageminati in argento, opera


del sec. I a. C. proveniente da Amiterno; 12, lettiga ricomposta
con bronzi del sec. I trovati sull'Esquilino.
La SALA DEGLI ORTI MECENAZIANI accoglie
sculture provenienti dai giardini di Mecenate suil'Esquilino.
Spiccano: 2, *Ercole combattente, vigorosa scultura da originale
di arte lisippea; 6, *Marsia sospese, una delle migliori repliche
romane dell'originale della scuola di Rodi; 9, *rilievo con
Menade danzante, copia romana da originale di Callimaco; 10,
statua acefala di Venere, forse replica dell'originale di
Callimaco, utilizzato da Arcesilao per la Venere Genitrice del
foro di Cesare: 11, testa di amazzone, la più bella replica della
statua di Cresila o di Policleto; 18, decorazione di fontana a
forma di rhyton (corno potorio), di stile neoattico del sec. I a. C.,
firmata da Pontios.
Il Braccio Nuovo, che raccoglie sculture rinvenute per la
maggior parte durante i lavori d'isolamento del colle del
Campidoglio negli anni '30 e che ingloba alcuni resti della platea
e di murature del tempio di Giove Capitolino (v. pag. 420), e il
Museo Nuovo, dedicato alle sculture venute ala luce dopo il
1870, sono nel 1992 in corso di riordinamento. Nel nuovo
allestimento le collezioni saranno sistemate in modo da
evidenziare, cori la ricomposizione dei gruppi scultorei originali
ora dispersi in diverse sezioni del museo, le componenti sia
storiche sia artistiche delle opere esposte; sarà quindi possibile
illustrare, attraverso i reperti che li decoravano, i monumenti
pubblici, gli edifici religiosi, le ville e le case private, i
complessi funerari.
Nella nuova esposizione una parte importante sarà
riservata alle sculture frontali del tempio di Apollo Sosiano,
monumentale decorazione architettonica di un edificio religioso
greco (metà sec. V a. C.) riutilizzata a Roma per volere di
Augusto negli ultimi decenni del sec. I a. C., al gruppo di opere
bronzee (tra cui un cavallo, straordinario originale greco
riferibile a scuola lisippea) rinvenuto in Trastevere nel secolo
scorso, e sarà studiata una nuova sistemazione per le sculture
provenienti dagli "horti Lamiani", "Maecenatiani" e
"Sallustiani".
R. I MONTI | 51

La Pinacoteca Capitolina, fondata da Benedetto XIV nel


1748, è costituita in massima parte dai dipinti delle collezioni
Sacchetti e Pio di Savoia, e raccoglie dipinti italiani ed europei
dal Medioevo al '700.
SALA I. Ritratto di giovinetta di maestro ferrarese del
principio del '500, *Sacra famiglia di Dosso Dossi; Madonna col
Bambino, opera giovanile del Garofalo; Cristo tra i dottori del
Mazzolino; Madonna col Bambino e santi, tavola di scuola
emiliana (1513); S. Nicola e S. Sebastiano dell'Ortolano;
Annunciazione del Garofalo; Presentazione di Gesù al tempio di
Francesco Francia, concluso a fine sec. XVI da Bartolomeo
Passarotti; Fuga in Egitto e Adorazione dei Magi dello
Scarsellino; Madonna in gloria e Sacra famiglia (sul retro,
l'abbozzo di una Presentazione al tempio) del Garofalo.
SALA II. Fortezza e Temperanza, pannelli di soffitto di
Paolo Veronese (c. 1556); *Ritratto di dama con gli attributi di
S. Margherita di Giovanni Girolamo Savoldo; Ritratto di ignoto,
forse di Gentile Bellini; Ratto di Europa del Veronese e aiuti,
replica con varianti del noto dipinto nel Palazzo Ducale di
Venezia; Autoritratto del Marescalco (firma); *Cristo e
l'adultera, opera incompiuta di Palma il Vecchio; *Battesimo di
Gesù, opera giovanile (c. 1512) di Tiziano; *Ritratto di
balestriere di Lorenzo Lotto (1512); Flagellazione,
Incoronazione di spine e Battesimo di Gesù di Domenico
Tintoretto; Il Buon Samaritano di Jacopo Bassano (c. 1540-50);
Maddalena di Tintoretto (firma); Sacra conversazione attribuita
a Dosso Dossi.
SALA III. Ritratto di due ignoti di Bartolomeo Passarotti;
ritratti di Pietro de Jode il Vecchio e di Pietro de Jode il Giovane
di Antonio Van Dyck (1627-29): ritratto di Michelangelo, di
ignoto, derivato da quello di Jacopino del Conte; Autoritratto
giovanile di Guido Reni; Gentiluomo con cane del Passarotti;
*Romolo e Remo allattati dalla lupa di Peter Paul Rubens (1617-
18); Autoritratto di Federico Zuccari; *ritratti dei pittori Luca e
Cornelio de Wael del Van Dyck; *ritratto di Gian Lorenzo
Bernini di Diego Velázquez (1630); Un soldato e Una strega di
Salvatore Rosa; Allegoria di Simon Vouet (ante 1625);
Madonna col Bambino di Luca Cambiaso; Sposalizio di S.
52 | R. I MONTI

Caterina di Denjs Calvaert; Natura morto dello Spadino; Sacra


famiglia di Pierre Mignard.
SALA IV. Morte e Assunzione della Vergine di Cola
dell'Amatrice (1514); S. Biagio di Neri di Bieci; S. Bartolomeo
attribuito al Maestro della Dormitio di Terni (sec. XIV);
Madonna col Bambino di Macrino d'Alba (1496); Ascensione di
Barnaba da Modena; Madonna in trono e santi di scuola
sanseverinate (sec. XV); Incoronazione della Vergine di scuola
fiorentina dei primi anni dei sec. XV; Madonna col Bambino e
angeli di Giovanni Antonio Sogliani; Annunciazione, Natività,
Presentazione al tempio, Fuga in Egitto e Strage degli Innocenti,
laterali di un trittico di ignoto maestro dell'Italia centrale (1376);
Maddalena e S. Bartolomeo di seguace di Pietro Lorenzetti;
Trinità di Nicolò di Pietro Gerini.
GALLERIA CINI (V). Nelle vetrine, preziosa *collezione
di porcellane di Sassonia, Capodimonte (sec. XVIII), orologi e
tabacchiere legate al comune dal conte Francesco Cini; oggetti
d'arte orientale legati dal marchese Paolo Mereghi. Madonna col
Bambino di Pompeo Batoni; Bambocciata di Michelangelo
Cerquozzi; *S. Giovanni Battista di Caravaggio.
SALA DELL'ERCOLE (VI), costruita da Ferdinando
Fuga nel 1748. In alto, busto di Benedetto XIV di Pieter Antoon
Verschaffelt (1749); sui tavoli, preziosi stipi del sec. XVII
(lascito Cini); nella nicchia, *Ercole, colossale statua in bronzo
dorato, opera romana di derivazione lisippea, rinvenuta sotto
Sisto IV durante la demolizione del tempio di Ercole al Foro
Boario. Diana ed Endimione di Pier Francesco Mola; Ratto delle
Sabine di Pietro da Cortona (c. 1629); Sacrificio di Polissena (c.
1620), Trionfo di Bacco (c. 1620) e Veduta di Allumiere del da
Cortona.
SALA DI S. PETRONILLA (VII). Sibilla, del
Domenichino (c. 1620); Erminia tra i pastori di Giovanni
Lanfranco; Il Battista del Guercino; Lucrezia, Maddalena,
L'Anima beata, Cleopatra e Fanciulla con corona di Guido Reni
(c. 1640); S. Francesco di Ludovico Carracci (c. 1583);
*Seppellimento e gloria di S. Petronilla, tra le più famose opere
del Guercino (1623); Antonio e Cleopatra, opera tarda del
Guercino; S. Matteo e l'angelo del Guercino; Natività di Maria
di Francesco Albani; La Buona Ventura di Caravaggio (c. 1595);
R. I MONTI | 53

Convito del ricco Epulone di Carlo Saraceni; Sibilla Persica del


Guercino; S. Sebastiano del Reni. Al centro della sala, due tavoli
in bronzo (sec. XVIII), con piani formati da mosaici provenienti
dalla villa Adriana; Davide e Golia di Giovanni Francesco
Romanelli.
SALA NUOVA (VIII). Madonna col Bambino di Pietro
da Cortona; Ascensione di Paolo Veronese; Autoritratto di
Francesco Cairo; Adorazione del vitello d'oro di Francois
Perrier; Paesaggi attribuiti al Domenichino; Trionfo di Flora
ascritto a Nicolas Poussin.
PASSAGGIO (IX). S. Sebastiano attribuito al Garofalo;
Giuditta di ignoto pittore dell'Italia centrale (prima metà sec.
XV); bozzetto dell'Anima Beata del Reni; Diana del Cavalier
d'Arpino. Annesso alla Pinacoteca è il Medagliere (visibile agli
studiosi), che ospita una raccolta di monete repubblicane,
imperiali, bizantine, medievali e moderne, e una piccola
collezione di gemine e cammei.
Museo Capitolino. PIANTERRENO. Attraverso il
vestibolo e l'atrio si entra nel CORTILE, ove, nel fondo, è un
prospetto a esedra, opera di Filippo Barigioni, con l'arme di
Clemente XII al di sopra di una lapide celebrante l'istituzione del
museo (1734); in basso, preceduta da una vasca, la colossale
statua giacente di Oceano (sec. I), detta popolarmente Marforio e
facente parte delle 'statue parlanti' (v. pag. 189), che fu rinvenuta
nel Foro. Nelle nicchie laterali, statue di Pan (sec. II) dal teatro
di Pompeo.
Nella sala che si affaccia a d. sul cortile è stata sistemata,
dopo gli impegnativi interventi di analisi e restauro (1981-90), la
*statua equestre di Marco Aurelio, tra le rarissime statue
bronzee antiche che ci sono pervenute (si salvò dalla distruzione
durante il Medioevo perché ritenuta raffigurare Costantino) e
modello del monumento equestre moderno dal Rinascimento in
poi: l'imperatore, rappresentato in atto di parlare al popolo,
monta un cavallo che originariamente posava la zampa d., ora
sospesa in aria, sul capo di un Barbaro sconfitto. Tracce della
doratura, ulteriormente evidenziate dal restauro, sono visibili sul
viso e sul manto dell'imperatore, e sulla testa e sul dorso
dell'equino; un'antica leggenda afferma che quando la doratura
54 | R. I MONTI

sarà tutta ricomparsa, canterà la "civetta" (il ciuffo di peli tra le


orecchie dei cavallo) e annuncerà il giudizio universale.
ATRIO (restauro 1991-92). 1, statua di giovinetto con
cane, da originale attico della fine del sec. IV a. C. (la testa è
cinquecentesca); 2, statua colossale di Minerva, da originale
attico della metà del sec. V a. C.; 3, Stai -femminile, da originale
della fine del sec. IV a. C. (la testa è un ritratto del tempo di
Livia, moglie di Augusto); 4, statua di baccante, da prototipo
greco di fine sec. V a. Cristo.
Le STANZE TERRENE A SINISTRA accolgono statue,
rilievi, iscrizioni riferentisi ai culti Orientali (da qui l'altro nome
dei vani) largamente diffusi in Occidente nell'età imperiale.
SALA I. 9, rilievo con Mitra tauroctono (sec, III; dal
Campidoglio); 18, ara della vestale Claudia, (raffigura la
leggenda della vestale che trasse a riva con la sua cintura la nave
che recava a Roma l'idolo della Magna Mater nei 204 a. C.); 19,
rilievo con gli dei di Palmira (metà sec. III); 28, busto di
sacerdote di Atargatis (sec. III); 29, rilievo di un sacerdote della
Magra Mater (sec, II); 32, gruppo di Mitra tauroctono (sec. III);
33, ara del Sol Sanctissimus (seconda metà sec. I). SALA II. 15,
rilievo votivo con Serapide tra Demetra-Iside e Afrodite-Iside
(sec. II); al centro, 21, altare dedicato a Iside, su cui è, 22, una
grande testa di Serapide.
SALA III. Raccolta di sculture appartenenti al culto di
Giove Dolicheno, trovate nel santuario del dio scoperto nel 1935
sull'Aventino (plastico al centro della sala). 23, statua di Giove
Dolicheno sul toro (secoli II-III); 27, rilievo con Giunone
Regina sull'animale sacro (seconda metà sec. II); 45, statua di
Onfale danzante da originale ellenistico.
Di nuovo nell'ATRIO: 7, statua di divinità femminile
(Demetra?), tipo della fine del sec. V a. C.; 8, statua, iconica di
Faustina maggiore, esemplata su un modello fidiaco del sec. V a.
C.; sotto la statua, 8 a, frammento di rilievo cori la scrofa
Laurentina (rappresentava un fatto miracoloso avvenuto dopo lo
sbarco di Enea nel Lazio), del sec. I; A 3, gruppo di Polifemo e
un Greco di tarda epoca romana; 14, 17, Statue muliebri
panneggiate, derivanti dalla Sosandra di Calamide sull'Acropoli
di Atene, con teste-ritratto romane dei secoli II e IV.
R. I MONTI | 55

STANZE TERRENE A DESTRA. SALA I. Alle pareti,


frammenti di calendario (nel 5 è segnato il 21 aprile, Natale di
Roma); busti romani dalla fine della Repubblica all'età di
Costantino. Nel centro, 1, base con le dodici fatiche di Ercole,
opera romana dei principio dell'Impero ispirata a modelli greci
del sec. v a. Cristo. SALA II. 4, sarcofago Amendola con
combattimento tra Greci e Galati, lavoro romano del sec. II
molto affine all'arte della scuola di Pergamo; 13, statua di sileno
seduto, arte romana dei sec. II (la migliore delle repliche
pervenuteci di un tipo ellenistico).
SALA III: Sarcofago colossale già detto di Alessandro
Severo, coi due defunti distesi sopra il coperchio e rilievi della
leggenda di Achille, opera di officina attica del sec. III; 4, cippo
di Vettio Agorio Pretestato, prefetto di Roma nel sec. IV.
Di nuovo nell'ATRIO: 16, *statua colossale di Marte, che
riproduce probabilmente quella del tempio di Marte Ultore (la
parte inferiore è restauro moderno), opera romana di fine sec. I;
18, statua di Mercurio. da
un tipo attico del principio del sec. IV a. C.; 19, statua
colossale di
Diana, da originale greco del principio del sec. IV a. C.;
20, statua di
Diana cacciatrice da un tipo del sec. IV a. Cristo.
Lungo la scala di accesso al piano superiore si notino: 9,
statua di
sacerdotessa recante un vaso (arte ellenistica) e frammenti
di sarcofagi
romani a vasca con scene di caccia.
PRIMO PIANO. GALLERIA. 7, Leda col cigno da un
originale di Timoteo; 10,
Vecchia ubriaca, forse replica da un originale di Mirone il
Giovane
(seconda metà sec. III a. C.); 12, urna cineraria di Lucilio
Felice (sec.
II ); 22, Psiche alata da originale del sec. IV a. C.; 29, 39,
statue di
56 | R. I MONTI

giovani satiri che suonano il flauto da originali ellenistici;


30, busto
detto di Scipione Africano. ma piuttosto di un sacerdote
d'Iside; 31, *
Athena una delle più solenni rappresentazioni della dea,
copia, trovata a
Velletri, da originale bronzeo di fine sec. V a. C.; 34,
grande cratere
decorativo (sec. I) sopra un *puteale con corteo dei "Dii
Consentes" di
stile arcaizzante, proveniente dalla villa Adriana; 41,
statua di Dioniso
giovane di arte ellenistica; 42, testa della Venere di Cnido,
copia da
Prassitele; 44, erma di Eubuleus o Trittolemo da originale
di Prassitele;
45, Statua femminile funeraria (sec. I a. C.); 48, busto
virile barbato
(sec. II); 49, Giove Ammone con corna di ariete, da
originale del sec. IV
a. C. o di età ellenistica, 50, ,statua di Selene da tipo
ellenistico; 51,
busto di Giove, da originale ellenistico; 53, testa colossale
di dea alla
maniera di Damofonte da Messene; 56, busto di Faustina
minore, moglie di
Marco Aurelio (sec. II); 57, sarcofago con il Ratto di
Proserpina (sec.
111); 61, statua di dama romana ritratta come Venere (età
flavia); 65,
statua di combattente (ricomposta, nel '600 utilizzando un
torse> del
Discobolo di Mirone); 67, *Amore che tende l'arco da un
originale di
R. I MONTI | 57

Lisippo; 68, Ercole che uccide l'idra (secondo


l'interpretazione datagli
nel restauro da Alessandro Algardi, ma piuttosto Ercole e
la cerva) del
sec. II; 69, testa colossale di Vitellio (?; sec. I); 70,
sarcofago con
amazzonomachia (prima metà sec. II); 71, testa di Dioniso
da originale
attico del sec. IV a. C.; 72, testa di Dioniso di arte
prassitelica.
SALA DELLE COLOMBE. 8, *sarcofago di bimbo col
mito di Prometeo (arte
romana del sec. III); 9, *mosaico con quattro colombe che
bevono a un vaso,
replica di un'opera di Soso di Pergamo, proveniente dalla
villa Adriana;
12, 18, busti virili del sec. III; 27, sarcofago di Geronzia
col mito di
Endimione e Selene (sec. II). Sul banco: 43-46, 48-51,
ritratti della fine
della Repubblica o del principio dell'Impero. Nelle
bacheche: 53, *Tavola
iliaca, con rilievi del cielo troiano accompagnati da
iscrizioni greche,
opera di Theodoros (sec. 1); 56, frammento di uno scudo
di, Achille, dello
stesso Theodoros (dei 124 versi del libro XVIII deII'
"Iliade" che vi erano
incisi, ne restano 75); tavole in bronzo con iscrizioni, tra
cui notevoli,
74, il "senatus consultum de Aselepiade" (78 a. C.)
riguardante privilegi
nei confronti di tre navarchi greci, e, 73, il decreto di
Pompeo Strabone
58 | R. I MONTI

(90-82 a. C.), relativo a privilegi in favore di alcuni


cavalieri iberici.
Nel mezzo della sala, statuetta di bambina in atto di
difendere una
colomba, da originale ellenistico dei secoli III-II a. Cristo.
GABINETTO DELLA VENERE. *Venere Capitolina,
splendida copia romana in marmo
di Paro, da originale ellenistico derivato dalla Venere di
Cnido (sec. III
a. C.), scoperta nel sec. XVII.
SALA DEGLI IMPERATORI. Ospita, disposti in ordine
cronologico, 65 * busti
di imperatori romani, una delle più ricche collezioni del
genere,
interessante anche sotto il punto di vista iconografico, per
quanto
l'identificazione non sia sicura per tutti i busti; si notino:
10 (sulla
colonna), *Commodo giovinetto, 55, *Elagabalo e Probo
(unica sua
raffigurazione certa). A essi si accompagnano ritratti di
familiari degli
imperatori, tra i quali spicca, 15, la presunta *Giulio,
figlia di Tito, in
realtà dama dell'età dei Flavi con la caratteristica
acconciatura a
raggiera di riccioli. Tra i bassorilievi alle pareti: F, Perseo
libera
Andromeda (sec. II) e, H, Endimione dormiente (sec. i).
Al centro della
sala, 59, statua seduta di Elena, madre di Costantino (il
corpo deriva da
un tipo statuario fidiaco del sec. V a. C.).
R. I MONTI | 59

SALA DEI FILOSOFI. Accoglie 79 busti di filosofi,


poeti, medici, oratori e
storici, la cui identificazione solo in parte è sicura; assai
interessanti
quelli (39, 40, 41) di *Omero (arte ellenistica), 56,
*Cicerone e 73,
*Lisia oratore. Ai centro della sala, 75, statua di
personaggio greco
seduto, da un tipo del sec. IV a. Cristo.
SALONE. I, statua di Giove, in marmo bigio morato, da
un tipo del sec. IV
a. C.; 2, *statua di giovane centauro. detto Centauro
ridente (doveva avere
sul dorso un amorino ai cui ordini obbediva con gioia),
proveniente dalla
villa Adriana e firmato da Aristeas e Papias, che
riprodussero un originale
in bronzo del tardo ellenismo (le somiglianze col
Laocoonte fanno pensare
che l'originale fosse a esso contemporaneo e della stessa
scuola di Rodi);
3, colossale Ercole fanciullo in basalto (sec. II), la cui
base è un'*ara
con scene del mito di Giove; 4. *statua in marino bigio di
vecchio
centauro, detto Centauro piangente (doveva avere sul
dorso un amorino ai
cui ordini si rifiutava), firmata dai medesimi artisti del
giovane
centaure: 5, statua di Esculapio, di marmo bigio morato,
da un tipo del
sec. IV a. C.; 6, Giovane satiro di arte ellenistica; 7, statua
colossale
di Apollo, da originale di fine sec. IV a. C.; 8, Minerva, da
originale di
60 | R. I MONTI

scuola fidiaca; 10, Atleta, replica del Diadoumenos di


Policleto (la testa,
non pertinente, è un ritratto di Augusto); 11, Giunone, da
originale
fidiaco (la testa. non pertinente, è il ritratto di Faustina
minore, moglie
di Marco Aurelio); 12, Giovane atleta, da originale in
bronzo della prima
meta del sec. IV a. C.; 13, statua di Adriano come Marte,
da un tipo di
Ares del sec. v a. C.; 20, Apollo. replica del cosiddetto
Apollo
dell'Onfalo attribuito a Calamide; 21. Hermes oratore,
copia di epoca
adrianea da un originale di Scopas: 22, *statua di vecchia
in atteggiamento
di stupore, efficace opera di arte ellenistica; 23, Giunone,
restaurata
come musa, da tipo greco del sec. IV a. C.; 24. Hera o
Cerere, da originale
greco attribuito ad Agoracrito; 26. Diavo gradiente, da
originale greco
della prima metà dei sec. IV a. C.; 27, statua di cacciatore,
ritratto del
tempo di Gallieno su un corpo di tipo greco della metà del
sec. v a. C.;
28, Arpocrate, dio del silenzio, dell'epoca di Adriano; 30,
Apollo, da
originale greco della prima metà del sec. V a. C.: 31,
Pothos,
dall'originale di Scopas; 33, *Amazzone ferita. la migliore
replica
dell'originale di Cresila (partecipò a un concorso cori le
omonime statue
R. I MONTI | 61

di Fidia e di Policleto; il nome Sisikles è forse del


copista); 34, gruppo
di coniugi romani rappresentati come Marte e Venere
(fine sec. II); 35,
muso, da tipo greco del sec. IV a. C.; 36, Minerva
gradiente, da originale
del sec. IV a. Cristo.
SALA DEL FAUNO. I, *Satiro ridente che alza un
grappolo d'uva, statua in
marmo rosso antico, copia di epoca adrianea da originale
bronzeo
ellenistico; 2, busto di romano di singolare espressione
(seconda metà sec.
III); 5, sarcofago con mito di Meleagro (sec. II); 8,
fanciullo con
maschero scenica di sileno del principio dell'Impero; 11,
sarcofago con
Selene ed Endimione della prima metà del sec. il (nel
coperchio, non
pertinente, scene allusive alla morte di una sposa); 10, 15,
ritratti di
personaggi firmati da Zenas padre e figlio (età adrianea);
16, ernia di
Ercole, scultura decorativa del sec. II; 17, Fanciullo con
l'oca, replica
di un'opera di Boethos di Calcedonia; 19, sarcofago con
l'educazione di
Dioniso (sec. II); 31. tavola di bronzo contenente parte
della *"1ex de
imperio Vespusiani" con la quale il Senato nel 69
conferiva a Vespasiano
poteri sovrani (è l'epigrafe che Cola di Rienzo
commentava al popolo).
SALA DEI, GALATA MORENTE (alcune delle statue
attorno alla parete
62 | R. I MONTI

provengono dalla villa Adriana e furono qui riunite dopo


essere state
restituite nel 1816 dalla Francia). 1, Amazzone, da un
famoso originale di
Fidia (la testa, non pertinente, è del tipo di quella di
Cresila); 2, testa
colossale di Alessandro Magno, da originale del sec. IV a.
C.; 3, statua di
Antinoo o altro personaggio in sembianze di Hermes,
versione di età
adrianea di un tipo del sec. IV a. C.; 4, Apollo Liceo, da
originale della
cerchia prassitelica; 5, Divinità femminile, originale della
scuola di
Pergamo; 6, *busto di Romano, già identificato con Bruto
l'uccisore di
Cesare ma in realtà raffigurante un principe della gens
Iulia; 7, *satiro
in riposo, una delle statue più celebri dell'antichità (il
satiro
leggermente ebbro si appoggia a un tronco d'albero):
nell'abbandono della
persona, nell'armonia delle membra, nella delicata
trattazione
dell'epidermide si ritrovano i caratteri dell'originale
prassitelico; 8,
famosa testa di Dioniso, già creduta Arianna, da originale
prassitelico; 9,
statua di filosofo greco, probabile originale greco della
metà del sec. III
a. C.; 10, Testa barbato di tipo fidiaco; 11, statua di
sacerdotessa isiaca
di età adrianea; 12, *Amore e Psiche, da creazione
ellenistica dei secoli
R. I MONTI | 63

III-II a. C.; 13, Fanciulla coronata di fiori di derivazione


ellenistica.
Al centro della sala, il *Galata morente, già detto
Gladiatore morente per
errore di interpretazione, che rappresenta un guerriero
galata ferito, a
terra, in attesa della morte. Fu trovato negli "horti
Sallustiani" nel sec.
XVI insieme al Galata che uccide la moglie, ed è replica
di un bronzo della
scuola di Pergamo facente parte di un gruppo votivo
dedicato dal re Attalo
I a ricordo delle sue vittorie sui Galati invasori dell'Asia
Minore (sec.
III a. C.): il tipo gallico è caratterizzato dal "torques", al
collo, dai
baffi, dai capelli rappresi in ciocche. Il mirabile
modellato, la posa del
corpo interamente nudo prostrato sotto il colpo mortale, il
viso fiero e
rassegnato del morente fanno della scultura una delle più
belle creazioni
dell'arte antica.
Una deviazione a d. del palazzo dei Conservatori permette
di addentrarsi
nella zona più appartata del colle capitolino. Si imbocca
via delle Tre
Pile, aperta nel 1592 e a lungo unico accesso carrabile al
colle; fu resa
più agevole nel 1692 da Innocenzo X (le pile araldiche
ornano la sommità
del monumentino eretto a memoria dei lavori) e ancora
migliorata nel 1872-
74 con la demolizione della casa di Michelangelo (il
prospetto venne
64 | R. I MONTI

ricostruito nel 1941 alla passeggiata di Gianicolo: v. pag.


545). Passato
un portale di forme michelangiolesche (1584), con luci
laterali dell'800,
che immetteva alla villa Caffarelli, si trova a sin. (N. 1) il
palazzo
Clementino, che fu fatto costruire da Clemente X come
ampliamento del
palazzo dei Conservatori, appartenne alla Prussia e ritornò
al comune nel
1895.
Segue (N. 3) il palazzo Caffarelli, edificato nel 1576-83
per Gian Pietro
Caffarelli da Gregorio Canonico; passato nel 1854 alla
Prussia, dopo la
Prima guerra mondiale fu sequestrato alla Germania che
vi aveva
l'ambasciata, parzialmente demolito per gli scavi
archeologici e poi
restaurato per ospitare il Museo Nuovo. Attualmente è
sede provvisoria dei
depositi dell'ex Antiquarium comunale, qui trasferiti dal
museo fondato nel
1890 al parco del Celio per raccogliere parte del materiale
archeologico
ritrovato durante i lavori edilizi per Roma capitale; una
selezione di
reperti verrà esposta nelle sale appositamente ristrutturate.
Le collezioni
dell' Antiquarium comunale comprendono importanti
testimonianze sulla
storia della città: materiali rinvenuti nelle più antiche
necropoli urbane
secoli IX-VII a. C.) dell'Esquilino (ceramica d'impasto,
d'importazione
R. I MONTI | 65

greca, armi, ornamenti personali in bronzo e ambra), del


Viminale e del
Quirinale (sarcofagi in terracotta in forma di tronchi
d'albero); materiali
di un deposito votivo ("favissa") del Campidoglio;
decorazioni
architettoniche in terracotta e oggetti votivi molti dei quali
testimoniano
vivaci contatti con il mondo greco ed etrusco, provenienti
dall'area sacra
di S. Omobono dove era un santuario a diretto contatto
con l'antico porto
fluviale e attribuito dalla tradizione letteraria a Servio
Tullio; le
terrecotte arcaiche dall' Esquilino, tra cui un torso di
guerriero ferito
di arte greca del sec. v a. C.; una ciotola in bucchero con
iscrizione
etrusca dalle pendici del Campidoglio; statuine e oggetti
di metallo di uso
domestico; collezioni di anfore vinarie, di lucerne, di fittili
votivi, di
vetri, di avori; serie di lastre architettoniche in terracotta
dette
Campana (dal nome del collezionista ottocentesco), tra le
quali un
importante nucleo proveniente da un'antica officina in via
Gallia;
materiali della tecnica (laterizi, condutture in piombo,
rubinetti, pompe e
arnesi da lavoro); preziosi frammenti di pitture antiche;
mosaici;
decorazione architettonica in marmo di età imperiale,
ritratti, sarcofagi e
66 | R. I MONTI

piccole sculture; un complesso funerario trovato nel 1888


nell'arca del
palazzo di Giustizia, comprendente il sarcofago di
Crepereia Thryphaena
sepolta con i suoi gioielli e con una straordinaria bambola
d'avorio con
arti snodabili; la monumentale pianta marmorea della
città, risalente
all'epoca di Settimio Severo, fondamentale testimonianza
per lo studio
della topografia antica.
Il palazzo Caffarelli sorge sui resti dei tempio di Giove
Capitolino o
della triade capitolina (Giove, Giunone, Minerva),
massima testimonianza
della "Roma dei Tarquini" (fu fondato secondo la
tradizione da Tarquinio
Prisco, completato da Tarquinio il Superbo e inaugurato
nel 509 a. C.).
Orientato verso il Foro Romano su poderose sostruzioni,
era un periptero
"sine postico", con sei colonne sul fronte e tre celle, di cui
quella
centrale, dedicata a Giove, era di dimensioni maggiori. La
struttura lignea
del tetto, secondo il tipo comune a tutte le civiltà
dell'Italia centrale
nei secoli VI-V a. C., era rivestita da decorazioni in
terracotta
policroma, opera di Vulca e di altri artisti veienti; distrutto
più volte
da incendi, fu ricostruito da Silla, da Vespasiano e in
ultimo da
Domiziano. Nell'aiuola a sin. dell'ingresso a palazzo
Caffarelli se ne
R. I MONTI | 67

vedono i resti in blocchi di cappellaccio, mentre sul lato


opposto della
via la terrazza panoramica poggia in parte sulle antiche
sostruzioni.
Sì continua per via di Villa Caffarellì, incontrando a d. un
edificio (Paul
Laspeyres, 1872-77), già sede dell'Istituto Archeologico
Germanico, di
linee classicamente severe, in laterizio e peperino e con
medaglioni a
rilievo in parte rimossi per aprirvi finestre. Sulla
perpendicolare via del
Tempio di Giove si dispone (numeri 2-10) 1' ex Ospedale
Teutonico (1835),
con interessante prospetto posteriore loggiato; gli si
addossa al N. 12 la
piccola casa Tarpea in forma di tempietto (Johann
Michael Knapp, 1835; il
fronte in terracotta con Roma seduta in trono è di Emilio
Wolff). L'area a
verde che segue è il belvedere Tarpeo, così detto
dall'antico "Mons
Tarpeius", legato alla leggenda di Tarpea che per aver
tradito Roma venne
precipitata da questa rupe; spopolatosi e divenuto zona di
pascolo,
ritornò, fino alla metà del '500, luogo di esecuzioni
capitali.
Un passaggio a volta attraverso un edificio del 1752
conduce al portico a
tre arcate di peperino (stemmi di Giulio III),
comunemente attribuito al
Vignola (sue, all'interno, le porte d. e centrale). Una scala
rifatta
68 | R. I MONTI

nell'800 (le porte delle sedi delle antiche corporazioni


restano inglobate
nel muro) riconduce in piazza del Campidoglio.
Da piazza del Campidoglio si prende, a sin. del Palazzo
Senatorio, la via
di S. Pietro in Carcere, aperta sul tracciato della cordonata
che passava
sotto l'arco di Settimio Severo, e, lasciati a sin. la scalinata
che sale
al portico del convento dell'Aracoeli (v. pag. 405) e
nell'adiacente
giardino resti delle fortificazioni dell'"arx" (secoli VI-IV
a. C.), si
scende per una scala a uno slargo con ampia vista sul Foro
Romano (vi si
riconosce l'arco di Settimio Severo: v. pag. 426).
La chiesa dei *Sa. Luca e Martina, in origine dedicata da
Onorio 1 a S. Martina in una taberna del foro di Cesare e
restaurata da Alessandro IV nel 1256, fu concessa nel 1588 da
Sisto V all'Accademia del Disegno detta di S. Luca: la
ricostruzione, affidata a Ottaviano Mascherino e a Pietro da
Cortona (1623-24) ma concretamente intrapresa dopo la nomina
del cardinale Francesco Barberini a protettore dell'accademia
(1626), durò dal 1635 al 1664 sotto la direzione del da Cortona,
che ottenne di ricavare nella cripta la cappella di famiglia e che
creò uno dei suoi capolavori architettonici.
L'apertura di via dell'Impero (ora dei Fori Imperiali)
comportò la demolizione dell'edilizia circostante e della sede
storica dell'istituzione, la cui nuova sede, progettata sul retro da
Arnaldo Foschini, non venne realizzata (i prospetti laterale e
posteriore furono ridefiniti da Gustavo Giovannoni).
La facciata è di marcata verticalità, cui la zona centrale
convessa, serrata fra semicolonne e pilastri binati, conferisce un
senso di trattenuta compressione spaziale, quasi l'interno
premesse sul prospetto.
R. I MONTI | 69

La cupola e il lanternino sono solcati da costolature


terminanti su archi di scarico trattati come bizzarri timpani sopra
le finestre aperte nel tamburo.
Nel compatto equilibrio spaziale dell'interno, a croce
greca, gli effetti di luce esaltano l'articolazione delle pareti con
colonne e la ricca decorazione dell'ordine superiore e della
cupola, movimentata dal sovrapporsi di lacunari e costoloni: nei
pennacchi, simboli degli evangelisti di Filippo Della Valle,
Camillo Rusconi e G.B. Maini; sul pavimento della navata,
lastra tombale di Pietro da Cortona,
A d. dell'ingresso, monumenti funebri di Carlo Pio
Balestra (Tommaso Righi, 1776) e di Giovanna Garzoni (m.
1670) di Mattia de Rossi (il ritratto è di Carlo Maratta).
SAGRESTIA: Estasi di S, Francesco di Tommaso Salini.
BRACCIO DESTRO: Martirio di S. Lazzaro, pala di
Lazzaro Baldi; in alto a d., epigrafe dall'antica chiesa di S.
Martina (1256); a sin., tomba di Lazzaro Baldi.
ALTARE MAGGIORE: S. Luca in atto di dipingere la
Madonna, copia di Antiveduto Grammatica della tavola (ora
all'Accademia di S. Luca) attribuita a Raffaello; poco sopra la
mensa, *statua giacente di S. Martina, in marmo bianco, di
Niccolò Meneghini (1635).
BRACCIO SINISTRO: Assunta e S. Sebastiano di
Sebastiano Conca (1740); sotto la finestra, targa con i nomi degli
accademici sepolti nella chiesa.
A sin. dell'altare maggiore si scende alla CHIESA
INFERIORE. All'ingresso, monumento di G.B. Soria (m. 1651);
in fondo alla scala, epigrafe a Pietro da Cartana (il busto è di
Bernardino Fioriti). Al centro del vano ottagonale che
interrompe il corridoio, *altare di S. Martina, su disegno di
Pietro da Cortona realizzato da Giovanni Artusi detto il Pescina,
capolavoro di fusione del bronzo e di commesso marmoreo;
sull'altare, rilievo in alabastro di Cosimo Fancelli entro
bellissima cornice. Nelle nicchie, statue in peperino di S.
Dorotea, di S. Sabina, di S. Eufemia del Fancelli, e di S. Martina
di Pompeo Ferrucci (sec. XVII); Cristo morto, modello di un
bassorilievo di Alessandro Algardi. Più avanti nel corridoio,
busto di Pietro da Cortona dei Fioriti; nella cappella a sin. Del
70 | R. I MONTI

corridoio, i Ss. Concordio, Epifanio e Campagno martiri,


terracotta dell'Algardi.
Opposto alla chiesa, un portico dà accesso al Carcere
Mamertino (la denominazione è medievale), detto in antico
"Tullianum" forse per la presenza di una sorgente ("tullus");
visita: ore 9-12 e 14.30-17.
Quanto oggi rimane è probabilmente solo una parte
dell'antica prigione di Stato. L'attuale facciata di travertino,
risalente c. al 40 a. C. Come indicato dai nomi dei consoli Caio
Vibio Rufino e Marco Cocceio Nerva, ne nasconde una più
antica, in tufo. All'interno un ambiente trapezoidale in blocchi
di tufo (sec. II a. C.), al quale si accedeva da una porticina ora
murata sul lato d., comunicava attraverso un foro sul pavimento
con l'ambiente sottostante (oggi accessibile mediante una scala),
a pianta circolare in blocchi di peperino, nel quale venivano
gettati e quindi strangolati i prigionieri di Stato; sembra
infondata invece la leggenda medievale secondo cui vi sarebbe
stato rinchiuso anche S. Pietro, che avrebbe battezzato i
carcerieri con l'acqua di una sorgente che sgorga dal sottosuolo
(ciò ha fatto ritenere che l'ambiente circolare inferiore fosse in
origine una cisterna, trasformata successivamente in carcere). Il
luogo, già venerato nel sec. XV, fu consacrato nel 1726 a S.
Pietro in Carcere.
Sopra il carcere è la chiesa di S. Giuseppe dei
Falegnami, iniziata per l'omonima congregazione nel 1597,
compiuta in gran parte nel 1602 da G.B. Montano, proseguita
dopo il 1621 da G.B. Soria e ultimata nel 1663 da Antonio Del
Grande; fu restaurata da Antonio Parisi nel 1880 e nel 1932
isolata dall'edilizia circostante.
L'involuta facciata manieristica tende a effetti
ornamentali, accentuati dai riquadri a fresco (ormai svaniti) di
Avanzino Nucci.
L'interno, a navata unica con due cappelle per lato e
abside del 1880 (in sostituzione dell'originaria quadrangolare),
fu ridecorato nell'800. Ai centro del soffitto ligneo, rilievo
(Natività) del Montano (1612). La cantoria è settecentesca con
modifiche ottocentesche; coretti dipinti da G.B Speranza e
Giuseppe Puglia (1634). 1a cappella d.: Sacra famiglia con S.
R. I MONTI | 71

Anna di Giuseppe Ghezzi. Cappella maggiore: Sposalizio della


Vergine di Horace Le Blanc (1605) e lunetta (Eterno) di Antonio
Viviani detto il Sordo (1610); il Viaggio a Betlemme (d.) e la
Bottega di S. Giuseppe (sin.) sono di Cesare Maccari (firma;
1883); ai lati dell'arco, bei torcieri seicenteschi. 2a cappella sin.:
Natività di Carlo Maratta (1651).
A metà della parete d. è l'accesso all'ORATORIO
rettangolare (chiuso per restauri), ampliato nel 1569 (le finestre
sono del 1627), che conserva il soffitto ligneo scolpito (1628),
stalli in noce di pregevole fattura (1643) e un leggio intagliato
settecentesco: Concezione con i Ss. Gioacchino e Giuseppe di
Pier Leone Ghezzi (1716); alle pareti, storie della Sacra
famiglia, affreschi di Marco Tullio Montagna (1631-37). In un
vano ricavato fra la volta del carcere e il pavimento della chiesa
è la CAPPELLA DEL CROCIFISSO, che ospita il crocifisso
ligneo (sec. XVI) già venerato sopra la porta del Carcere
Mamertino.
Si prende, a d. della chiesa dei Ss. Luca e Martina, la via
della Curia (dall'omonimo edificio romano sulla d.: v. pag. 425)
e, voltato a d. in via della Salara Vecchia che corre parallela alla
via dei Fori Imperiali (v. pag. 252), si sbocca in largo Romolo e
Remo, dove è l'ingresso all'area archeologica del Foro
Romano e del Palatino, tra le più importanti del mondo (visita:
ore 9due ore prima del tramonto, festivi e martedì 9-13).
La tradizione indica il Palatino come la sede della
fondazione romulea della città, e certamente non v'è luogo più
adatto, nel comprensorio romano, per un insediamento stabile da
dove poter controllare, senza essere troppo esposti, i guadi del
Tevere all'altezza dell'Isola Tiberina e il punto di ritrovo e di
mercato sorto presso di essi sulla riva sin. Del fiume (Foro
Boario).
L'importanza strategica della posizione è adombrata dalla
leggenda, che parla di un'occupazione più antica del colle da
parte di Greci venuti dall'Arcadia col re Evandro e il figlio
Pallante e nella quale è forse il ricordo di una precoce
frequentazione commerciale greca della zona. La conferma della
tradizione è venuta dalla scoperta (1946) di pavimenti di
capanne della prima età del Ferro proprio nell'angolo del colle
che sovrasta il Foro Boario (dove una capanna, costantemente
72 | R. I MONTI

restaurata, veniva indicata. ancora nell'età imperiale, come


l'abitazione del fondatore o "casa Romuli") e (1989), alle
estreme pendici N del colle, di resti di apprestamenti difensivi
(seconda metà sec. VIII a. C.) che possono essere riferiti al muro
e al pomerio (lo spazio rituale all'interno della cinta muraria)
dagli antichi attribuiti a Romolo.
Legati alla tradizione delle origini erano i culti più vetusti
e tipici del Palatino: quello della dea Pales, celebrato nelle feste
delle "Palilia" (o "Parilia") il 21 aprile, giorno della fondazione,
e quello di Lupercus, celebrato nelle feste dei "Lupercalia"
presso una grotta ai piedi del colle "Lupercal") dove la lupa
avrebbe allattato i divini gemelli Romolo e Remo; a questi si
accompagnarono i culti della Vittoria e di Gibele (la Magna
Mater) e quelli di Apollo e Venere portativi da Augusto.
Tuttavia, sino alla fine dell'età repubblicana il colle fu
soprattutto il quartiere residenziale della nobiltà e della classe
dirigente, specie in prossimità del Foro dov'erano state le case
dei re e dove scavi tuttora in corso hanno rimesso in luce resti di
abitazioni signorili dal sec. vi a. C. in poi. Vi abitarono fra gli
altri Tito Sempronio Gracco, padre dei due tribuni, l'oratore
Licinio Crasso, Marco Livio Druso, Cicerone, Milone, Clodio,
l'altro grande oratore Ortensio, Marco Antonio e infine Augusto,
il quale, essendovisi intenzionalmente trasferito per ricollegarsi
alle memorie del fondatore, determinò il destino futuro del colle.
La scelta del primo imperatore, infatti. fu seguita dai
successori, sicché, con la costruzione di una serie di palazzi, a
opera di Tiberio, Caligola, Nerone ma soprattutto Domiziano e
Settimio Severo, il Palatino finì col trasformarsi in un grandioso
complesso che fu la 'reggia' degli imperatori, designata col nome
stesso del colle ("Palatium") diventato sinonimo di palazzo.
La fine del mondo antico segnò, salvo saltuarie
rioccupazioni e poi la costruzione, marginale, di qualche piccola
chiesa, convento e torre, l'abbandono del Palatino. Fino alla
metà del sec. XVI, quando il cardinale Alessandro Farnese lo
sistemò in una grandiosa villa (orti Farnesiani) che fu in gran
parte smantellata, dopo la decadenza conseguente all'estinzione
della famiglia, via via che, a partire dal '700, iniziarono gli scavi
sistematici. Questi, lungi dall'essere esauriti, sono ancora in
R. I MONTI | 73

corso, con risultati sempre di straordinario interesse (come fu,


nel 1961, la scoperta della casa di Augusto).
Ai piedi del Palatino, la valle compresa tra questo, il
Campidoglio e il Quirinale, marginalmente occupata da qualche
capanna e da un'estesa necropoli della prima età del Ferro, venne
presto interessata dall'estendersi delle attività commerciali del
Foro Boario (e dell'adiacente Foro Olitorio), fino a diventare,
verso la fine dei sec. VII a. C., il centro della vita cittadina, dopo
essere stata bonificata con opere di drenaggio e con la
costruzione di un canale ("Cloaca Maxima") diretto al Tevere.
Destinata la parte ai piedi dell'arce capitolina alle funzioni
politiche ("Comitium") e quella opposta a sede ufficiale prima
del re e poi del pontefice massimo (Regia) e al culto di Vesta, la
zona centrale e più estesa della valle divenne la "piazza" della
città: il Foro per eccellenza ("Forum").
Attraversato dalla "via Sacra" in direzione del
Campidoglio, oltre a essere luogo d'incontro e di mercato fu
anche sede di importanti santuari (di Saturno, dei Dioscuri, di
Giuturna); quindi, col progressivo allontanamento degli impianti
commerciali e la costruzione delle basiliche", nel corso del sec.
II a. C., per gli atti giudiziari e la trattazione degli affari assunse
un carattere prevalentemente amministrativo, mentre si definiva,
regolarizzandosi, dal punto di vista urbanistico.
La sistemazione definitiva del Foro si ebbe con gli
interventi di Cesare e di Augusto, che condussero, tra l'altro, alla
soppressione del "Cornitium", allo spostamento di alcuni edifici
(Curia, Rostri) e alla costruzione di nuovi ("basilica Iulia" al
posto della "Sempronia"; tempio di Cesare, presso la Regia
allora ricostruita; archi di Augusto e dei nipoti Gaio e Lucio),
Nello stesso tempo, con l'edificazione del nuovo foro di Cesare,
seguito subito dopo da quello di Augusto e poi dagli altri
"imperiali" esso s'avviò a trasformarsi in un monumentale luogo
di rappresentanza e di memorie storiche, mantenendo ormai
immutata la sua struttura.
Durante l'età imperiale, a parte i rifacimenti e i restauri e
la costruzione, in posizione marginale, del tempio di Antonino e
Faustina, ci fu soltanto qualche 'intrusione', in particolare di
monumenti onorari il più importante dei quali fu l'arco di
Settimio Severo.
74 | R. I MONTI

Quando, nel 608, fu elevata la colonna (di spoglio) in


onore dell'imperatore di Bisanzio Foca, la storia antica del Foro
Romano era già da tempo terminata. Trasformati in luoghi di
culto cristiani alcuni dei suoi monumenti (a cominciare dalla
Curia) e abbandonati gli altri, gran parte della zona, rimasta ai
margini della città, andò progressivamente interrandosi,
trasformandosi in terreno da pascolo (Campo Vaccino). Poi, con
la 'riscoperta' del Rinascimento, mentre cominciavano gli studi
dei dotti e degli artisti, diventò una gigantesca cava di materiali,
molti dei quali ridotti in calce sul posto.
Cosi fino al sec. XVII, quando tornò l'abbandono,
nuovamente interrotto sul finire del '700 dalle prime esplorazioni
archeologiche. L'inizio degli scavi sistematici si ebbe però solo
al principio dell'800 e da allora, con momenti di particolare
intensità (periodo napoleonico e dopo il 1870), essi sono
continuati fino ai giorni nostri, affiancati da interventi di
consolidamento e restauro delle strutture riportate alla luce.
Nell'atlantino in fondo al volume, una pianta generale
dell'area dei Fori e del Palatino (pagine 22-23) e due
particolareggiate, rispettivamente per il Foro Romano (pagine
24-25) e per il Palatino (pagine 26-27), aiutano
nell'individuazione delle singole strutture.
Dall'ingresso si scende per la rampa che rasenta a sin. il
fianco del tempio di Antonino e Faustina (v. pag. 432) e a d. i
resti della grandiosa "basilica Aemilia", fondata nel 179 a. C.
dai censori Marco Emilio Lepido e Marco Fulvio Nobiliore, il
cui nome deriva dalla gens che la abbellì nel sec. I a. C.;
distrutta da un incendio, venne ricostruita sotto Augusto e a tale
epoca appartengono le rovine dell'edificio, che fu nuovamente
devastato da un incendio forse durante il sacco di Alarico.
La basilica si stendeva da E a O per 100 m. circa. Il
fronte, rivolto verso il Foro, era costituito da un portico a due
piani (le tre colonne di granito rialzate all'angolo E
appartengono a un restauro moderno), dietro al quale si aprivano
le botteghe ancora in parte conservate ai lati dei tre ingressi
(quello ad arco è stato ricomposto)- l'aula (m 90 x 29), oggi rasa
al suolo (rimangono, ricomposti, resti della trabeazione), era
divisa in navate da colonne di marmo africano e cipollino.
All'estremità O, sotto una tettoia, resti della basilica di età
R. I MONTI | 75

repubblicana ' mentre all'Antiquarium forense sono conservati i


fregi storici riferibili alla ricostruzione dell'87-78 a. Cristo.
Al termine della discesa si volta a d., incontrando, sempre
a d. un'iscrizione ricomposta a Lucio Cesare, nipote di Augusto
appartenente probabilmente a un arco dedicato a lui e al fratello
Gaio dal Senato nel 2 a. Cristo.
Lasciati a sin. il tempio di Cesare (v. pag. 429) e la piazza
del Foro (v. pag. 428) e avendo sullo sfondo l'arco di Settimio
Severo (v. pag. 426), si raggiunge un avanzo del basamento di
marmo di un'edicola, o puteale circolare, dedicata a Venere
Cloacina, rifacimento di età imperiale di una costruzione più
antica eretta nel punto dove la "Cloaca Maxima" (v. pag. 445)
entrava nel Foro.
Oltre l'"Argiletum" (v. pag. 279), che si incrocia a d. e di
cui resta il lastricato in travertino, s'innalza la facciata
dioclezianea in cortina di laterizi, della *Curia (luogo di
riunione del Senato), fondata secondo la tradizione da Tullo
Ostilio (Curia Hostilia), riedificata attorno all'80 a. C. da Silla
(Curia Cornelia), poi da Cesare (Curia Iulia), che la fece
spostare dove è oggi, e, dopo l'incendio del 283, da Diocleziano.
L'esplorazione del complesso, identificato nel 1883 da
Rodolfo Lanciani, fu iniziata nel 1900 da Giacomo Boni e
ultimata nel 1937 da Alfonso Bartoli con la demolizione della
chiesa che Onorio I aveva dedicato a S Adriano (i battenti
bronzei della porta sono copia di quelli originari, messi in opera
da Francesco Borromini in S. Giovanni in Laterano).
L'interno è costituito da una sala rettangolare, con
pavimento (in gran parte rifatto) in opus sectile: sui due lati
corrono tre bassi ripiani, rivestiti di marmi, su cui poggiavano i
seggi dei c. 300 senatori (le votazioni avvenivano "per
secessionem": i favorevoli da una parte, i contrari dall'al tra); nel
fondo è il basso podio della presidenza, con un piedistallo un
tempo occupato dal simulacro della Vittoria (alla fine del sec. IV
la statua fu oggetto di contese tra senatori pagani e cristiani) e
oggi da una statua porfiretica di togato romano (Traiano?), una
delle più perfette pervenuteci dall'età imperiale.
Nella Curia sono stati provvisoriamente sistemati i
cosiddetti *plutei di Traiano ("anaglypha Traiani"), due
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marmorei parapetti che pare decorassero la tribuna dei Rostri o


che, piuttosto, costituissero una tarda sostituzione dell'antico
recinto bronzeo attorno alla cosiddetta aiuola di Marsia. Su (tue
facce sono raffigurate a rilievo le vittime del "suovetaurilia"
(verro, ariete, toro), sulle altre l'"institutio alimentaria" di Troia
no e la distruzione dei registri delle imposte, arretrate. La tecnica
narrativa insiste sulla definizione topografica dei luoghi e
nell'espediente della continuità della narrazione dei due
avvenimenti, verificatisi in realtà in momenti differenti; tipici
elementi stilistici traianei sono l'affollarsi delle figure e la
ricerca di spazialità nella composizione, sebbene lo sfondo abbia
solo valore illusionistico.
Dinnanzi alla Curia si stende il "Comitium", piazzale ove
si tennero le assemblee del popolo fino a che Cesare le spostò
nel Campo Marzio; sotto il pavimento sono resti del comizio
repubblicano e le fondamenta a pianta semicircolare dei
primitivi rostri.
Sotto il piano della piazza si trova anche un complesso di
monumenti antichissimi (la cosiddetta tomba di Romolo),
scoperto da Giacomo Beni nel 1899; studi basati sull'esegesi
delle fonti vi hanno invece riconosciuto il santuario di Vulcano
("Volcanal"). In superficie resta un'area quadrata pavimentata di
marmo nero: è il "Lapis Niger", probabilmente posto in
occasione della trasformazione del Foro al tempo di Cesare per
segnare il luogo venerato del sepolcro del mitico fondatore della
città. Scendendo una scaletta, si vedono due basi modanate in
tufo (altare?): a d. dietro un tronco di colonna conica in tufo, è
un cippo con iscrizione bustrofedica (la più antica in latino che
si conosca: sec. VI a. C.) di una "lex sacra": L'insieme reca
tracce di devastazione, probabilmente quella relativa
all'invasione gallica del 390 a. Cristo.
L'arco di Settimio Severo, a tre fornici intercomunicanti
e con quattro colonne scanalate di ordine composito su ciascuna
faccia, fu eretto nel 10' anniversario dell'ascesa al trono
dell'imperatore; il suo buono stato di conservazione dipende dal
fatto che nel Medioevo venne inglobato in altri edifici.
L'iscrizione sulle due facce dell'attico celebra le vittorie
sui Parti, sugli Arabi e sugli Adiabeni riportate dall'imperatore e
dai figli Caracalla e Geta; quando nel 211 Caracalla fece
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uccidere il fratello, il nome di questi fu sostituito da altri motti in


onore dei due principi.
I quattro pannelli sopra i fornici minori rappresentano
episodi delle due guerre di Settimio Severo contro i Parti, mentre
il fregio sotto gli stessi la processione trionfale; sui plinti delle
colonne, figure di Barbari condotti prigionieri. I pannelli
rientrano nella tradizione del rilievo storico e sono
stilisticamente influenzati da quelli delle colonne coclidi
(notevoli le affinità con la colonna di Marco Aurelio), sebbene la
tecnica narrativa sia qui più riassuntiva e schematica; la
decorazione accessoria è tesa a esaltare l'eternità e universalità
dell'Impero, aderendo più da vicino alla tradizione classicista.
Il selciato sotto il fornice mediano è il resto di una strada
risalente all'intervento dioclezianeo nella zona.
L'area archeologica retrostante all'arco e attualmente
(1992) oggetto di scavi accoglie alcune importanti strutture
romane. Le otto colonne in granito, a fusto liscio e capitello
ionico, con soprastante architrave appartengono al pronao del
*tempio di Saturno, uno dei più venerati monumenti di Roma
repubblicana, inaugurato nel 497 a. C., ricostruito da Lucio
Munazio Planco dopo il 42 a. C. (è di quell'epoca l'alto podio in
travertino) e restaurato dopo l'incendio di Carino (283); a c. 3.30
m sotto il piano delle colonne sono filari di blocchi in
cappellaccio pertinenti alla fase repubblicana. Nell'avancorpo
davanti al podio (in gran parte crollato) era la sede dell'
"Aerarium" il tesoro dello Stato. A sin. Dei pronao si trovava
l'arco di Tiberio, innalzato nel 16 per celebrare le vittorie di
Germanico.
Ai piedi della facciata del Tabularium (v. pag. 408), su
cui sovrasta il retro del Palazzo Senatorio (v. pag. 407), si
dispongono invece il tempio della Concordia, il tempio di
Vespasiano e il portico degli Dei Consenti.
Il tempio della Concordia è una ricostruzione di età
tiberiana (7 a. C.-10 d. C.) del santuario eretto da Furio Camillo
nel 367 a. C. per celebrare accordo raggiunto tra Patrizi e Plebei;
dagli scarsi resti visibili (i più antichi sono ascrivibili al tempio
dedicato da Lucio Opimio nel 121 a. C.) si desume la singolare
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planimetria, con cella sviluppata trasversalmente rispetto al


pronao esastilo.
Il vicino *tempio di Vespasiano fu innalzato da
Domiziano nell'81 in onore del padre e del fratello Tito,
restaurato da Settimio Severo e Caracalla (avanzo di iscrizione)
e scavato nel 1811 da Giuseppe Valadier; ne restano tre colonne
corinzie dell'angolo d. del pronao esastilo. Tra i templi recenti
scavi hanno rinvenuto un deposito votivo, risalente al sec. VI C.
E ricco di materiale ceramico etrusco misto a vasellame
miniaturistico di impasto e bucchero, relativo a un'area di culto
forse dedicata a una divinità ctonia.
Le due ali con1giungentisi ad angolo ottuso appartengono
al *portico degli Dei Consenti, forse l'ultimo grande
monumento dedicato in Roma al culto pagano, che fu riedificato
o restaurato da Vettio Agorio Pretestato nel 367, scavato nel
1834 e ricomposto in parte nel 1858; le celle biposto sotto il
portico - che ospitavano statue - l'architrave e i capitelli corinzi
appartengono a una ricostruzione forse di età flavia.
A d. dell'arco di Settimio Severo è la base della statua
equestre Costanzo II, innalzata nel 353; a sin. sono i Rostri (la
tribuna degli oratori, qui trasportata dal "Comitium" quando
Cesare sistemò il Foro), piattaforma (altezza c. 3 m, lunghezza
24, larghezza 12) sostenuta da un muro di blocchi di tufo.
Di antichissima origine, venne decorata nel 338 a. C. coi
rostri (speroni) delle navi catturate ad Anzio; sulla piattaforma e
dietro di essa si innalzavano monumenti e colonne onorarie
(sono raffigurate nel fregio scolpito dell'arco di Costantino con
scena dell'allocuzione dell'imperatore all'esercito), mentre il
parapetto era forse ornato con i cosiddetti plutei di Traiano. Sul
lato d. dei Rostri sono i cosiddetti "rostra Vandalica",
ampliamento voluto attorno al 470 dal prefetto Giunio Valentino
per celebrare una vittoria navale sui Vandali.
Dietro i Rostri, verso l'arco di Settimio Severo, è una base
circolare che sosteneva l'"Umbilicus Urbis", centro simbolico di
Roma e da qualche studioso identificato col "mundus"; vicino,
coperto da una tettoia, l'altare di Saturno, un tempo individuato
come "Volcanal", uno dei più antichi santuari della città (l'ara
marmorea, gli ornamenti e le epigrafi risalgono a età imperiale).
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A sin. dei Rostri era il "Miliarium aureum", colonna


marmorea rivestita in bronzo che Augusto innalzò per segnare il
punto di partenza di tutte le grandi vie imperiali (vi erano
segnate le distanze tra Roma e le principali città dell'Impero).
Avendo alle spalle i Rostri, si ha di fronte la *piazza del
Foro, di forma quasi rettangolare (m 120 x 50) e con lastricato
in travertino risalente a età augustea (iscrizione a lettere di
bronzo del pretore Lucio Nevio Sordino) ma restaurato.
A d., su alto basamento a gradini, si erge la colonna di
Foca, dedicata nel 608 da Smaragdo, esarca d'Italia,
all'imperatore d'Oriente Foca, che aveva donato alla Chiesa il
Pantheon; ultimo monumento onorario eretto nel Foro, la
colonna, proveniente da un edificio forse del sec. ~III, era
sormontata un tempo dalla statua in bronzo dell'imperatore.
Sul lato opposto della piazza, vicino ai Rostri, è una base,
resto di una colonna onoraria eretta dietro i "Rostra" in
occasione dei "Decennalia" dei cesari Costanzo e Galerio; i
rilievi che la ornano, nei quali il solco di contorno delle figure e
il disegno delle parti in secondo piano sono caratteristici dei
modi stereometrici e sintetici del gusto tetrarchico, raffigurano la
processione e il "suovetaurilia" per la cerimonia del 303.
Superata un'area non lastricata dove sono stati piantati il
fico sacro, l'ulivo e la vite simbolici, si incontra, al centro di uno
spazio irregolare, un puteale che indica il sito del "lacus
Curtius", ultimo avanzo dell'antica palude del Foro.
Incerta l'origine del nome: secondo una leggenda
deriverebbe da Marco Curzio, buttatosi nel 362 a. C. in una
voragine che l'oracolo aveva detto si sarebbe richiusa solo se vi
si fosse gettato quanto Roma aveva di più caro; secondo un'altra
tradizione dal console Caio Curzio, che recinse una voragine
aperta nel 445 a. C. da un fulmine.
Avanti, una fossa quadrangolare segnala il sito ritenuto,
fino a qualche anno fa, della colossale statua equestre di
Domiziano, eretta a seguito della vittoria sui Germani del 91 e
abbattuta dopo la morte dell'imperatore a causa della "damnatio
memoriae"; recenti studi sull'ordito del lastricato della piazza
posizionano il monumento più a N e nei tre blocchi di travertino
inseriti nella struttura cementizia, già ritenuti gli incastri per i
80 | R. I MONTI

perni delle zampe del cavallo, individuano i contenitori di


oggetti sacri (i cosiddetti "dolìola") caratterizzanti un antico
luogo di culto.
L'adiacente fondazione quadrangolare è probabilmente da
riferirsi alla statua equestre di Costantino.
Sul lato S della piazza del Foro, segnato dal lastricato a
selci poligonali della "via Sacra" - il nome deriva dai santuari
disposti lungo di essa e dalle processioni che la percorrevano - si
allineano sette basi in laterizio, già rivestite di marmi, risalenti al
tempo di Diocleziano e sostenenti colonne onorarie (due sono
state in parte ricomposte).
Oltre queste è il portico della "basilica Iulia" (vi si
riuniva il tribunale dei Centumviri), eretta da Cesare al posto
della "basilica Sempronia" e completata da Augusto; dopo
l'incendio durante l'impero di Carino venne restaurata da
Diocleziano.
Di forma rettangolare (m 49 x 101) e rivestita di marmi, si
componeva di un'aula centrale circondata da una galleria su
pilastri (resti in gran parte restaurati); sul pavimento in marmo
del portico e dell'aula sono incise alcune "tabulae lusoriae"
(tavole da gioco).
Sul lato E della "basilica" corre il "vicus Tuscus", la "via
degli Etruschi" che dal Foro portava al Velabro e al Tevere, così
chiamata per l'antica presenza in quel luogo di un 'quartiere'
etrusco.
Chiudono a E la Piazza del Foro i resti del tempio prostilo
esastilo corinzio di Cesare, che Ottaviano dedicò nel 29 a. C. al
Divo Giulio nel luogo in cui era stato cremato il corpo di questi
(l'emiciclo, con l'ara rotonda al centro, posto sulla fronte del
podio, ne ricorda il sito); dinnanzi al pronao era una terrazza a
uso di tribuna, detta "rostra ad Divi Julii" perché ornata dai rostri
delle navi egizie catturate ad Azio da Ottaviano nel 31 a. C. (la
parte anteriore è stata fedelmente restaurata nel 1933).
Ancora dibattuta è invece la questione sull'identificazione
dei due archi che il Senato decretò ad Augusto per la vittoria di
Azio e il recupero delle insegne dai Parti. Il basamento a S del
tempio di Cesare, tradizionalmente chiamato arco di Augusto, è
stato di recente identificato con l'Arco Partico dedicato nel 19 a.
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C., anche se il rinvenimento di frammenti dei "Fasti consulares"


e dei "Fasti triumphales" a N del tempio spinge alcuni studiosi a
ritenere che l'Arco Partico fosse posto in tale luogo.
Il fornice centrale, voltato, era ornato ai lati da due
Vittorie alate ed era sormontato da un alto attico, su cui
poggiava la quadriga con Augusto trionfatore; i due fornici
laterali erano in realtà passaggi architravati, ornati di pilastri e
sulla sommità da statue di Parti sottomessi. Le edicole nei
fornici laterali accoglievano i "Fasti consulares" (elenchi dei
consoli) dalla fondazione della Repubblica all'età di Augusto,
mentre sui pilastri sorreggenti l'architrave erano incisi i "Fasti
triumphales" (elenchi dei trionfatori). L'arco può essere
considerato una pietra miliare nell'architettura romana: vi
comparivano infatti i tre fornici non ancora fusi organicamente e
l'adozione del motivo strutturale del fornice inquadrato da
pilastri e coronato da timpano.
A d. del tempio di Cesare è il *tempio dei Castori, eretto
nel 484 a. C.
dal figlio del dittatore Aulo Postumio per sciogliere il
voto fatto dal padre ai Dioscuri (da qui l'altro nome del tempio)
durante la battaglia del lago Regillo (499 a. C.).
L'edificio, periptero (8 x 11 colonne) su podio e con
ampio pronao, venne ricostruito almeno tre volte, una delle
quali, nel 117 a. C., a opera di Lucio Cecilio Metello Dalmatico,
l'altra, del 6 d. C., a opera di Tiberio (a tale intervento risalgono
le tre colonne corinzie scanalate in marmo di Paro con
trabeazione, appartenenti al fianco E del tempio). Recenti scavi
condotti sul podio hanno precisato le dimensioni dell'edificio
originario di tipo tuscanico, della cui decorazione fittile sono
stati rinvenuti eccellenti frammenti con raffigurazioni di satiri e
menadi.
L'area retrostante al tempio, nel 1992 chiusa per lavori,
accoglie l'oratorio dei Quaranta Martiri, adattato con
l'aggiunta di un'abside in un edificio forse di età traianea e
decorato da affreschi rovinatissimi (Supplizio dei martiri di
Sebaste durante le persecuzioni di Diocleziano) dei secoli VIII -
IX, e a d. di questo, in uno dei punti più pittoreschi e appartati
degli scavi, la chiesa di *S. Maria Antiqua, trasformazione di
82 | R. I MONTI

uno dei locali del vestibolo dei Palazzi imperiali sul Palatino, il
più importante e il più antico luogo di culto cristiano del Foro
(venne consacrato a Maria nel sec. VI) e straordinario palinsesto
di pitture parietali. Restaurata da Giovanni VI] e abbellita da
Zaccaria, Paolo I e Adriano I, fu abbandonata a seguito dei danni
causati dai terremoti al tempo di Leone IV, che spostò la
diaconia a S. Maria Nova; sui ruderi sorse nel sec. XIII la chiesa
di S. Maria Liberatrice, rifatta da Onorio Longhi nel 16117 e
demolita nel 1900 per riportare alla luce le strutture dell'edificio
più antico, che fu ampiamente integrato dai restauri.
Un VESTIBOLO (pianta, 1), comunicante a sin. con la
RAMPA (2) che sale al Palatino, dà accesso all'ATRIO (3): al
centro è l'"impluvium" del precedente edificio, sulle pareti tracce
di pitture. Un breve NARTECE (4) immette nell'aula, divisa in
tre navate da altrettante arcate longitudinali per lato poggianti su
due colonne in granito con capitello corinzio.
La NAVATA MEDIANA (5) era quasi completamente
occupata dalla schola cantorum, di cui si vede ancora la parte
inferiore della balaustrata.
NAVATA DESTRA (6): affresco staccato dall'atrio
raffigurante Maria regina in trono tra angeli e santi (Adriano I,
committente dell'opera, vi è rappresentato col nimbo quadrato).
NAVATA SINISTRA (7): sarcofagi pagani e cristiani
(notevole quello con storie di Giona); alle pareti affreschi su tre
fasce (nelle superiori, storie dei Vecchio Testamento; in quella
inferiore, Il Salvatore e santi della Chiesa greca e latina),
All'ingresso del PRESBITERIO (8), su un muro che
forma il prolungamento della schola cantorum, Il profeta Isaia
predice a Ezechiele la fine prossima e Davide e Golia.
Nell'abside, pavimentata in opus alexandrinum a disegni
geometrici, Cristo benedicente e la Vergine che presenta Paolo I
(col nimbo quadrato); a d. dell'abside, tre strati di pitture
comprese tra il sec. VI e I'VIII: nel primo Maria regina con
angeli, nel secondo Annunciazione. nel terzo Padri della Chiesa.
CAPPELLA A SINISTRA DELL'ABSIDE (9), la più
importante per gli affreschi del tempo di papa Zaccaria: nella
nicchia rettangolare di fondo *Crocifissione (Cristo veste il
"colobium"; ai lati della croce, il sole e la luna; a d. S. Giovanni;
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a sin. la Madonna; più piccoli, Longino che fora con la lancia il


costato di Gesù e un soldato che gli presenta la spugna intrisa di
fiele). Sul muro di sin. entrando, Passione di S. Giulitta e del
figlioletto Quirico; sulla parete d. Theodoto e la moglie
presentano i fedeli alla Madonna.
Una porta sul lato d. del nartece (chiusa) dà accesso al
cosiddetto tempio li Augusto, anch'esso probabilmente un
ambiente di passaggio alle costruzioni imperiali sul Palatino;
nell'aula, rimaneggiata al tempo di Domiziano, sono riaffiorate
strutture a uso commerciale del sec. I a. C. prospicienti il "vicus
Tuscus" e resti di poderose opere legate agli ampliamenti della
domus imperiale operati da Caligola in direzione dei Foro.
Nell'area a sin. dell'oratorio dei Quaranta Martiri sono
invece l'edicola di Giuturna (restauro 1954), preceduta da un
puteale e da un'ara di età severiana con figure di Turno e
Giuturna. e una vasca quadrilatera con nucleo centrale di forma
rettangolare (fine sec. II a. C.): è il "lacus Juturnae", fonte alle
cui acque i Dioscuri abbeverarono secondo la leggenda i cavalli
dopo aver portato la notizia della vittoria del lago Regillo (gli
scavi del 1901-02 vi rinvenirono i frammenti delle statue
equestri di Castore e Polluce ora all'Antiquarium forense).
Oltre l'arco di Augusto si riconoscono le rovine del
*tempio periptero corinzio a 20 colonne di Vesta, di cui restano
il basamento circolare e alcuni frammenti dell'ultima
ricostruzione, avvenuta sotto Settimio Severo, che sono stati
parzialmente completati nel 1930; in una cavità del podio si può
forse riconoscere il "penus Vestae", reliquiario degli oggetti
fatali cui si attribuiva la fortuna di Roma, mentre nell'edicola
ionica (restauro 1898) che si trova a fianco dell'ingresso alla
casa delle Vestali era sistemata una statua della dea. Nell'area è
stato riportato in luce un pozzo profondo 8 m e colmato in antico
con materiali comprovanti che la valle del Foro era già abitata
nei secoli VII-VI a. Cristo.
Per alcuni gradini si sale alla casa delle Vestali, collegio
di sacerdotesse fondato secondo la tradizione da Numa Pompilio
per custodire il fuoco sacro, che fu ricostruita da Nerone dopo
l'incendio del 64 e in seguito più volte restaurata e ampliata.
L'ampio atrio rettangolare, circondato da un portico a due piani e
ornato di vasche, era il soggiorno delle sacerdotesse, ricordate da
84 | R. I MONTI

basi e statue onorarie (i nomi incisi risalgono al periodo 291-


364); sul fondo è una grande sala con ai lati stanze forse adibite
a magazzini per gli arredi sacri, mentre sui fianchi lunghi si
aprono i vani di abitazione e altri ambienti (in uno si conserva
una macina).
A est della casa delle Vestali si stende, fino all'arco di
Tito, un complesso di edifici limitati a N dalla "via Sacra" e a S
dalla "via Nova".
In età imperiale la zona era un quartiere commerciale con
un complesso di magazzini (i cosiddetti "horrea Vespasiani" e
"horrea Piperataria") disposti rispettivamente a N e a S della "via
Sacra" (le facciate lungo la strada erano costituite da portici
pilastrati in travertino). Gli scavi attualmente (1992) in corso
hanno riportato in luce avanzi di mura in scaglie di tufo, databili
nei loro successivi rifacimenti tra il 730 e il 540 a. C. e
associabili al "pomerium" romuleo del Palatino, e ruderi di
dimore patrizie che qualificano la zona come quartiere
residenziale fin dall'età regia. Al sec. I a. C. risalgono i resti
delle abitazioni più vaste, come la supposta casa di Emilio
Scauro.
Opposto al tempio di Vesta, domina il *tempio di
Antonino e Faustina, eretto per decreto del Senato alla
divinizzata moglie di Antonino Pio e dedicato all'imperatore
all'indomani della sua morte. Dell'edificio, prostilo esastilo
corinzio, si è conservato per intero il podio, mentre la gradinata
è quasi interamente di restauro; le 10 colonne monolitiche del
pronao, alte 17 m, sono di cipollino, mentre le basi e i capitelli
sono in marmo bianco al pari della ricca trabeazione e il fregio a
grifi e candelabri. Nel sec. VII-VIII la cella e parte del pronao
vennero trasformati nella chiesa di S. Lorenzo in Miranda (v.
pag. 259).
Antistanti al tempio sono le fondamenta della Regia,
secondo la tradizione casa di Numa Pompilio, che fu l'abitazione
rituale del primo sacerdote di Roma, nonché sede del sacrario di
Marte e dell'altare per i sacrifici a Giove, Giunone e Giano.
La struttura attualmente visibile - costituita da un grande
cortile trapezoidale con pavimento a lastre di tufo su cui poggia
un altare, portico su due lati e tre vani appoggiati al fianco S
R. I MONTI | 85

dello spiazzo - risale alla fine del sec. VI a. C., sebbene la


presenza in sito di un'area sacra dati addirittura alla seconda
metà del sec. VII a. Cristo.
La pianta del complesso, che venne rispettata nelle
ricostruzioni del 148 a. C. e del 36 a. C., ripete il tipo di
abitazione noto in Etruria attraverso le e gli scavi in abitati
arcaici, anche se sono stati ipotizzati rapporti tipologici con la
casa pubblica dei pritani nell'Agorà di Atene.
Presso il tempio di Antonino e Faustina si riprende la "via
Sacra" (sullo sfondo è la facciata tardo-manierista della chiesa di
S. Francesca Romana: v. pag. 261), lasciando a sin.
l'importantissima necropoli arcaica, sepolcreto delle
popolazioni del primitivo nucleo abitato del Palatino scavato nel
1902 (aiuole erbose disegnano la pianta delle sottostanti tombe
mentre i materiali rinvenuti sono nell' Antiquarium forense).
Delle c. 30 tombe a pozzo e a fossa, sette risalgono alla
tarda prima fase laziale (fine X - prima metà sec. IX a. C.; sei
sono a pozzo) e si caratterizzano per la presenza dell'urna a
capanna, del calefattorio e del vaso con decorazione a reticolo;
15 appartengono alla seconda fase laziale (secoli IX-VIII a. C.;
più della metà sono a fossa) e attestano la presenza della
capeduncola e dell'orciolo biconico monoansato.
Superata ancora a sin. una casa repubblicana (una
"caupona"?) la "via Sacra" inizia a salire, incontrando sullo
stesso lato una rotonda comunemente identificata con
*tempio del Divo Romolo, eretto da Massenzio in onore
del figlio e terminato da Costantino; alcuni studiosi ritengono sia
il tempio dei Penati o di Giove Statore, altri un vestibolo
monumentale aggiunto nel sec. 1v alla retrostante aula severiana
del foro della Pace (v. pag. 259). Edificato tutto in mattoni,
presenta una facciata concava, con quattro nicchie per statue; il
portale, formato da due colonne in porfido e da una trabeazione
finemente intagliata provenienti da un più antico edificio,
accoglie ancora l'originale *porta bronzea. Ai lati dell'edificio
sono due ambienti absidati, oggi in rovina, mentre nell'aula
posteriore fu adattata la basilica dei Ss. Cosma e Damiano (v.
pag. 259).
86 | R. I MONTI

Seguono, oltre un portico medievale (a d. si intravedono


alte sul Palatino, le Uccelliere Farnese: v. pag. 435), le colos2i
rovine della *basilica di Massenzio o di Costantino, iniziata da
Massenzio nel 308 ma terminata da Costantino.
L'edificio poggia su una piattaforma (m 100 x 65) ed era
diviso da otto pilastri, affiancati da altrettante colonne (l'unica
superstite è in piazza di S. Maria Maggiore), in tre navate, di cui
quella centrale (m 80 x 25; altezza m. 35) era coperta da volte a
crociera mentre quelle laterali erano composte da tre campate
intercomunicanti e coperte da volte a botte; finestre arcuate su
due ordini illuminavano le navate d, e sin., finestroni fra la
sommità delle volte laterali e l'inizio di quella mediana la nave
centrale. I resti attualmente visibili appartengono alla navata d.,
dove si riconosce l'abside aggiunta da Costantino a fondale dei
nuovo ingresso aperto sulla "via Sacra" (quello originario, cui
corrispondeva un'abside per la statua colossale dell'imperatore
ora nel palazzo dei Conservatori, guardava al Colosseo); nulla
resta della ricchissima decorazione marmorea del cassettonato
delle volte, mentre le lastre di bronzo dorato del tetto furono
tolte da Onorio 1 nel 626 per coprire la prima basilica di S.
Pietro. Dal sito, bella vista del Palatino.
Al termine della salita si è sulla sommità della Velia,
avendo a d. l'arco di Tito (v. sotto) e a sin. l'ala del monastero
annesso alla chiesa di S. Francesca Romana, nel quale hanno
sede la Soprintendenza archeologica di Roma e l'Antiquarium
forense (visita: ore 9-due ore prima del tramonto, martedì e
festivi 9-13; nel 1992 in corso di ristrutturazione).
SALA I: plastico della necropoli arcaica del Foro; disegni
e fotografie dello scavo; ricostruzione di alcune tombe; nelle
vetrine materiali e corredi delle tombe a incinerazione e a fossa
(secoli IX-VIII a. C.; interessanti le urne a capanna).
SALA II: tombe a inumazione di bambini ricavate entro
tronchi d'albero (secoli VIII-VII a. C.); ceramiche greche
d'importazione e imitazione.
SALA III: materiale dagli scavi nell'area del tempio di
Vesta (notevole la ceramica del sec. VII a. C.).
SALA IV: terrecotte architettoniche, statuette votive in
bronzo e ceramiche arcaiche dal Foro; calco dell'iscrizione
R. I MONTI | 87

arcaica dei "Lapis Niger"; materiali dai pozzi votivi della "via
Sacra" e dalle gallerie sotterranee del Foro fatte scavare da
Cesare.
SALA VI: antefisse arcaiche forse appartenenti all'antico
tempio di Castore e Polluce; frammento di lastra marmorea con
Vulcano e i ciclopi nella fucina, forse dal santuario di Vulcano;
nelle vetrine, testa marmorea di provenienza italiota (Taranto?;
sec. V a. C.) e frammenti di ceramica greca dei secoli VI-V a.
Cristo.
SALA VII: ritratti imperiali; frammento di fregio con
divinità femminili e maschere gorgoniche dal tempio di Cesare.
SALA VIII: frammenti di fregio con mito di Enea e delle
origini di Roma e base neoattica con danzatrici dalla "basilica
Aemilia"; torso di Vittoria dalla "basilica Iulia".
SALA IX (già refettorio del monastero; gli affreschi alle
pareti sono quattrocenteschi): gruppo dei Dioscuri e statua
arcaistica di Apollo dalla fonte di Giuturna, statua del re Numa
(?) dalla casa delle Vestali; pitture medievali staccate dalle
chiese di S. Adriano e di S. Maria Antiqua.
L'*arco di Tito (restauro 1985-92) fu eretto al tempo di
Domiziano per ricordare le vittorie riportate da Vespasiano e
Tito sugli Ebrei e culminate nella distruzione di Gerusalemme;
incorporato durante il Medioevo nelle fortezze dei Frangipane e
isolato in parte sotto Sisto IV, venne liberato totalmente nel
1821 da Giuseppe Valadier, che ne completò in travertino le
parti mancanti.
A fornice unico con colonne scanalate di ordine
composito e rivestito di marmo pentelico, è decorato nel fregio
esterno, a figure tozze in altissimo rilievo, dalla pompa trionfale,
nell'arcata da due rilievi. (nel pannello d., il corteo trionfale che
precede l'imperatore portando come bottino di guerra le spoglie
del tempio di Salomone; in quello sin. la quadriga imperiale,
guidata da una Virtus, che porta Tito accompagnato da una
Vittoria in atto di coronarlo) e nel mezzo della volta a cassettoni
dall'Apoteosi di Tito. Mentre il piccolo fregio riprende la
tradizione dell'altare dell'Ara Pacis Augustae, nei due pannelli si
realizza una spazialità che dà risalto al rilievo (non vi si
88 | R. I MONTI

distinguono gli usuali piani diversi di rappresentazione) e che


anima le figure che sembrano seguire l'evolversi della scena.
Dall'arco di Tito, salendo verso S per il "clivus
Palatinus", ci si addentra nell'area archeologica del Palatino;
seguendo il percorso segnalato si entra nell'area degli orti
Farnesianì, primo orto botanico del mondo (1625). Voluti dal
cardinale Alessandro Farnese per conto di Paolo III intorno alla
metà del '500, furono realizzati da vari artisti, tra cui il Vignola,
Jacopo Del Duca e Girolarno Rainaldi, lungo un arco di c. Un
secolo; la scelta del luogo, comune ad altre ville patrizie che
nella stessa epoca sorsero sui colli vicini, si caricò qui di
pregnanti significati simbolici, per essere stato il Palatino sede
mitica della nascita di Roma e residenza degli imperatori.
Chiusi verso il Foro da un alto muraglione in cui si apriva
il portale ora in via di S. Gregorio, vi si accedeva per mezzo di
un sistema di rampe, che conduceva alle fontane sovrapposte del
Ninfeo della Pioggia e del Teatro del Fontanone; al di sopra si
trovavano le Uccelliere, tuttora esistenti e in origine coperte da
reti a pagoda. Sul ripiano più alto si stendeva un tessuto regolare
di viali e aiuole, con "parterre" ornati di composizioni floreali,
arricchito da altre fontane; verso il Circo Massimo era il
Giardino segreto, dominato dal casino del Belvedere (visibile a
lato dell'antiquarium del Palatino).
Gli scavi avviati a fine '800 causarono la quasi totale
scomparsa degli orti e la demolizione dei manufatti, mentre la
ridotta porzione a giardino risente delle tarde sistemazioni di
Giacomo Boni.
Sulla terrazza (*panorama) si innalzano le Uccelliere,
sotto le quali è il Ninfeo della Pioggia ricavato in mezzo ad
antichi sotterranei; una scalea a due rampe conduce alla terrazza
superiore, risistemata dal Boni.
Sotto la terrazza si stendono le rovine della "Domus
Tiberiana", della quale quasi nulla rimane in superficie. Scavi
effettuati nel sec. XIX rintracciarono un atrio centrale, interrato,
e due serie di stanze a N e a S; in indagini più recenti (e tuttora
in corso) si sono riconosciute diverse fasi edilizie: alle abitazioni
di età tardo-repubblicana, sulle quali si imposta la domus e che
furono ampliate da Caligola, succedono le strutture di età
R. I MONTI | 89

neroniana (identificate come parti della Domus Aurea),


ristrutturate in età domizianea e adrianea (angolo prospiciente il
Foro).
Dall'estremità O della terrazza si scende a un ripiano
inferiore e si raggiunge il podio del tempio della Magna Mater
(Cibele; vi si custodiva la pietra nera simbolo della dea), eretto
nel 204 a. C., restaurato alla fine del sec. II a. C. e ricostruito da
Augusto nel 3. Ricerche tuttora (1992) in corso attorno ai tempio
hanno permesso di riconoscere nei resti del podio a E
dell'edificio il tempio della Vittoria, costruito nel 294 a. C. E
ristrutturato nel sec. I a. Cristo. Muri in blocchi di cappellaccio
di una struttura non ancora identificata, che fu distrutta tra la
fine del IV e gli inizi del sec. ~III a. C. sono stati scoperti nello
scavo in profondità del cosiddetto "Auguratorium", costruzione
in laterizio attigua al santuario nella quale è stato proposto di
riconoscere il tempio di Giunone Sospita (pregevoli antefisse
policrome avvalorano tale ipotesi) e, più recentemente, il sacello
della Vittoria Virgo; dai graffiti su materiali votivi da una stipe
dei secoli IV-III a. C. si rileva la presenza in sito di un culto
femminile precedente quello della Magna Mater.
Alle indagini della fine degli anni '40 risale il
ritrovamento, a S del tempio della Magna Mater e a O delle
"scalae Caci" - uno degli antichi accessi al Palatino - di tre
capanne della prima età del Ferro, consistenti in "pavimenti"
scavati nel tufo nei quali furono praticati fori per i pali (la loro
disposizione permette di ricostruire una pianta ovale, con
sostegni centrali per il trave maestro e piccolo portichetto
antistante all'ingresso): all'esterno sono visibili i cavi per il
deflusso delle acque, mentre nel vano centrale era posto il
focolare, riconosciuto dai residui carboniosi. Tali testimonianze
avvalorano la tradizione che qui colloca la capanna o casa di
Romolo (il Lupercale, ove la lupa avrebbe allattato i gemelli,
sarebbe da collocare poco a S).
Avendo di fronte le poche strutture visibili della "Domus
Tiberiana" (v. sopra), un percorso segnalato conduce alla
cosiddetta *casa di Livia, già ritenuta la dimora stessa di
Augusto, famosa per le straordinarie pitture Murali: il
TRICLINIUM è decorato da pitture imitanti finestre aperte con
paesaggi sullo sfondo; il "TABLINUM" accoglie riquadri in
90 | R. I MONTI

secondo stile pompeiano raffiguranti scene mitologiche (a d.


*Mercurio in procinto di liberare Io custodita da Argo; sulla
parete di fondo, ormai quasi completamente perduto, Polifemo
che insegue Galatea) repliche di quadri greci del sec. IV a. C.,
alla parete sin. tubi di condutture d'acqua con la scritta "lulia
Aug(usta)" che ha determinato il nome della domus e, in due
vetrine, oggetti rinvenuti nel corso degli scavi; la sala a d. Del
"tablinum" conserva un fregio giallo (scena di vita egizia) con
sotto *festoni di fiori, frutta e fogliame, in quella a sin.
predomina una finta incrostazione marmorea.
Nell'area a S della casa di Livia scavi tuttora (1992) in
corso hanno identificato il complesso di costruzioni
(normalmente non visitabile) che Augusto fece erigere nel 36 a.
C.: lo compongono una vasta abitazione su due terrazzi a
differente livello -ormai definitivamente riconosciuta come casa
di Augusto - il tempio di Apollo, i portici e le Biblioteche Greca
e Latina.
Nella domus, che venne ricostruita dopo l'incendio del 3 e
poi obliterata dalle costruzioni flavie, cubicoli con bassi soffitti e
decorazioni pavimentali a semplice mosaico distinguono
l'appartamento privato da quello ufficiale, dove alti locali, ornati
di pavimenti a intarsi di marmi policromi, si aprivano
sull'antistante peristilio; nel notevolissimo complesso di pitture
del secondo stile pompeiano spiccano la STANZA DELLE
MASCHERE (la decorazione a scenari teatrali è un eccellente
esempio di prospettiva), la SALA DELLE PROSPETTIVE con
complessa raffigurazione architettonica e il cosiddetto
STUDIOLO Di AUGUSTO, nel quale si tende a riconoscere lo
svetoniano "Technyphion" o "Siracusa".
A nord-est della casa di Livia corre, lungo la "Domus
Tiberiana", il criptoportico di Nerone, passaggio sotterraneo
che univa le varie parti dei palazzi imperiali. A sin.
dell'imboccatura del criptoportico, una scaletta porta al centro
del Palatino, dove si stendono le rovine dell'immenso Palazzo
imperiale, costruito per Domiziano da Rabirio sopra strutture
anteriori e distinto in "Domus Flavia", "Domus Augustana" e
Stadio palatino.
Al termine della scaletta si è nella *"Domus Flavia" o
palazzo dei Flavi, l'edificio di rappresentanza. Lo compongono:
R. I MONTI | 91

la "BASILICA" (Vi Si discutevano le cause in presenza


dell'imperatore), a tre navate divise da colonne e abside in fondo
divisa da una balaustra marmorea; la grande AULA REGIA
(l'imperatore vi dava udienza), con resti di muri ospitanti nicchie
e dell'abside circolare (un'iscrizione commemora lo scavo del
1726); un vano contiguo, identificato ma senza fondamento con
il LARARIO (cappella privata dell'imperatore); a N, davanti ai
tre ambienti, si disponeva il portico di facciata.
Gli scavi effettuati sotto la basilica (per la visita rivolgersi
al custode dell'antiquarium del Palatino) hanno scoperto una sala
absidata (AULA ISIACA), forse dedicata da Caligola al culto di
Iside e in origine ornata di splendide pitture (scene di carattere
sacro e fregio con simboli isiaci). Sotto il larario è stata trovata
la ricca *casa dei Grifi (fine sec. II a. C.), decorata da pitture in
uno stile di transizione dal primo al secondo pompeiano e con
pavimenti a mosaico.
Opposto ai tre ambienti è il vastissimo PERISTILIO,
circondato da un porticato (avanzi del colonnato), dal quale si
passa nello splendido *TRICLINIO IMPERIALE ("coenatio
Jovis"), con resti del pavimento in marmo nella parte sin. e
nell'abside rialzata; la sala da pranzo si apriva con grandi archi
sul peristilio e ai lati, mediante finestre, su due ninfei a pianta
ovale (se ne conserva quello d.).
In questo ninfeo, e sotto il casino del Belvedere (la loggia
ad arcate fu affrescata dalla scuola degli Zuccari), fu rinvenuta
parte di un ricco pavimento in marmi colorati, con disegno a
riquadri, dischi e arabeschi: appartiene alle costruzioni di
Claudio o di Nerone che sorgevano sull'area poi occupata dalla
"Domus Flavia". Anche sotto il triclinium e le sale adiacenti si
sono scoperti cospicui avanzi di costruzioni anteriori; notevole
un ninfeo, adorno di rari marmi, da attribuire alla "Domus
Transitoria" (casa di Nerone prima dell'incendio del 64).
Al di là del triclinio si vedono alcune colonne di un
portico limitante il palazzo dalla parte del Circo Massimo e resti
di sale con nicchie (biblioteche?); a O del ninfeo è il podio del
tempio di Apollo Aziaco, dedicato da Ottaviano Augusto nel 36
a. C. e inaugurato nel 28 a. C. Dopo la vittoria di Azio.
92 | R. I MONTI

Su una parte della "Domus Flavia" fu eretto nel 1855, su


progetto di Virginio Vespignani, l'ampliamento del convento
della Visitazione, il cui nucleo iniziale si era insediato sulla ex
villa Mills, trasformazione della cinquecentesca villa Stati
Mattei operata da Carlo Mills; del complesso, demolito per
rimettere in luce le strutture della "Domus Augustana", si
conservano oggi i resti del portale su via di S. Bonaventura (v.
pag. 439) e della loggetta Mattei (accessibile da uno degli
ambienti della domus), con pitture e grottesche a fresco
attribuite a Baldassarre Peruzzi o alla sua scuola.
L'edificio ottocentesco è sede dell'antiquarium del
Palatino (nel 1992 in corpo di sistemazione). L'esposizione, che
concerne essenzialmente il complesso delle opere Scultoree -
incluse quelle già trasferite nelle collezioni del Museo Nazionale
Romano - rinvenute dal 1870 a oggi nei palazzi imperiali,
documenta, assieme ad alcuni complementi pittorici ("domus
Praeconum"; "Domus Transitoria"), la decorazione artistica da
Augusto alla tarda antichità; vi sono anche rappresentati i
primordi del colle attraverso i corredi tombali della prima età del
Ferro.
Di particolare interesse le raffinatissime terrecotte
architettoniche provenienti dalle costruzioni augustee: lastre
policrome Campana con rilievi di soggetto mitologico e più
genericamente sacrale; antefisse a elementi di coronamento con
animali fantastici araldicamente disposti ai lati di un cratere o di
un busto di Iside. Tra i marmi spiccano: statua acroteriale
acefala di Aura o nereide con peplo aperto sul fianco d.,
originale greco del sec. v a. C.; piccola *testa di Athena
Promachos, originale di fine sec. VI a. C.; statua di fanciullo in
basalto verde, replica della prima età imperiale da originale del
periodo severo; testa di Igea, già ritenuta una delle muse del
tempio di Apollo, proveniente dallo Stadio palatino (sec. I);
statua di Hera o Afrodite (età antonina?); statua acefala di
Afrodite o Kharis, replica adrianea da Kallimacos; muse o ninfe
acefale sedute su roccia, copia di età fiavia di un tipo ellenistico
e provenienti dallo Stadio palatino; testa di Persiano morente,
copia di età antonina in stile pergameno; torso di danzatrice o di
Artemide con corto chitone, replica adrianea da originale
bronzeo del sec. v a. C.; frammento della testa del Doriforo di
R. I MONTI | 93

Policleto; testa di Asclepio, copia di fine sec. II da prototipo del


sec. IV a. C.; *testa molto corrosa di Meleagro, ottima copia
fiavia da originale scopadeo del sec. IV a. C.; erme di nero
antico (le cosiddette canefore) di età giulio Claudia; due teste di
Attis e due teste ideali, copie di originali greci del sec. v a. C.
Provenienti dalla "Domus Augustana"; torso di Artemide, copia
romana di originale ellenistico, rinvenuto nelle costruzioni
severiane; torso di Mercurio, copia di originale greco dei sec. v
a. Cristo. Tra le teste-ritratto di personaggi famosi si notino il
busto di Antonino Pio (opera forse di artista greco), la testa di
Giulia Domna e quella di Valeriano.
Completano la raccolta rilievi, basi scolpite e altari di età
imperiale.
Adiacente alla "Domus Flavia" è l'area, scavata da
Alfonso Bartoli, dove sono stati rimessi in luce avanzi imponenti
della *" Domus Augustana", parte delle costruzioni dormzianee
che servirono da dimora all'imperatore fino al periodo bizantino;
il fabbricato era a due o tre piani (ciò permetteva di superare il
dislivello del colle) e con la facciata, composta di un ampio
porticato semicircolare (restano solo tracce delle basi delle
colonne), guardava verso il Circo Massimo.
Costeggiando il peristilio, al cui centro è un "impluvium"
quadrangolare, si può osservare dall'alto, disposto sulle pendici
S del Palatino, il "Paedagogium", sede del collegio dei paggi
imperiali costruito al tempo di Domiziano (l'architettura è in
gran parte ricostruzione di Luigi Canina) che conservava sulle
pareti interessanti graffiti; oltre questo, verso il Circo Massimo,
è la cosiddetta "domus Praeconum", dipendenza del palazzo
imperiale consistente in un cortiletto porticato e in tre ambienti a
volta (la decorazione pittorica è nell'antiquarium del Palatino).
Contermine alla "Domus Augustana" è il vasto Stadio
palatino o Ippodromo, voluto da Domiziano e restaurato da
Settimio Severo; in laterizio rivestito di marmi, era cinto
all'interno da un portico a due piani interrotto dalla tribuna
imperiale (recentemente restaurata), che si incurva al centro del
lato E: il recinto ovale fu invece realizzato nel primo Medioevo
forse da Teodorico.
94 | R. I MONTI

Costeggiando il fianco E dello Stadio si raggiungono i


grandiosi resti delle sostruzioni della *"Domus Severiana"
(chiusa per restauri), ampliamento della "Domus Augustana"
voluto da Settimio Severo (dalla terrazza belvedere, splendido
*panorama); nell'angolo adiacente alla curva dello Stadio sono
resti degli impianti di riscaldamento delle terme del palazzo,
rifatte da Massenzio e alimentate da un ramo dell'acquedotto
Neroniano (v. pag. 501).
Alle estreme pendici S del Palatino Settimio Severo aveva
fatto edificare (203) il "Septizodium", monumentale ninfeo a più
piani di colonne demolito da Sisto V (alcuni marmi furono
reimpiegati nella decorazione della cappella Sistina in S. Maria
Maggiore); recenti indagini archeologiche e geognostiche hanno
precisato che l'edificio si stendeva per c. 95 m dall'angolo SE del
colle fino a ridosso del Circo Massimo.
Oltrepassato l'arco di Tito, si esce dall'area archeologica
del Foro Romano e Palatino seguendo ancora la "via Sacra" (le
fa da fondale l'arco di Costantino: v. pag. 263; le colonne che
svettano a sin. appartengono invece al tempio di Venere e Roma:
v. pag. 262); a d. si stacca la via di S. Bonaventura, che sale alla
parte del Palatino non inclusa nell'area archeologica.
La strada attraversa all'inizio le fondazioni ritenute
dell'arcaico tempio di Giove Statore o di Giove Propugnatore
(alcuni studiosi però non vi riscontrano caratteristiche templari),
cui segue a sin. la vigna Barberini, posta su un grande
terrazzamento artificiale sistemato da Settimio Severo.
Sulle rovine del tempio di Elagabalo, eretto sulla
spianata (nuovi elementi permettono di ubicarvi anche i
domizianei giardini di Adone), sorse la chiesa di S. Sebastiano
al Palatino (suonare al N. 1), nota nel Medioevo come S. Maria
in Pallara (dal "Palladium" posto nel tempio) e ricostruita nel
1624 da Luigi Arrigucci per Urbano VIII conservando l'abside
originaria dei sec. x. La semplice facciata in stucco è terminata
da timpano e decorata con le api barberiniane. Nell'interno ad
aula unica, l'altare con preziose colonne di breccia corallina è
dell'Arrigucci, i brani di affreschi nell'abside risalgono alla
primitiva chiesa, i dipinti nella tribuna e nei pennacchi sono di
Bernardino Gagliardi (sec. XVII), la pala (Martirio di S.
Sebastiano) sulla parete sin. è di Andrea Camassei (1633).
R. I MONTI | 95

Addossato al lato sin. della chiesa è quanto resta


dell'antico monastero benedettino.
Il tratto finale della via, lungo la quale si incontrano le
stazioni della Via Crucis in terracotta dipinta (Antonio
Bicchierai, prima metà '700) incassate nel muro antico e i resti
cinquecenteschi del portale dell'ex villa Mills (v. pag. 437),
conduce alla chiesa di S. Bonaventura, fondata nel 1675 su una
cisterna dell'acquedotto Neroniano (v. pag. 501).
La semplicissima facciata (statua di S. Bonaventura del
sec. XVIII) e l'interno, a navata unica con volta a botte dipinta a
cassettoni, furono rifatti nel 1839-40. 1° altare d: Crocifissione
di G.B. Benaschi. 2°: Ss. Pasquale Baylon e Salvatore d'Orta di
Giacinto Calandrucci. Altare maggiore: Immacolata Concezione
di Filippo Micheli (sec. XVII). L'Annunciazione (2° altare sin.)
e S. Michele (1°) sono opere del Benaschi.
Al termine della "via Sacra" si esce in piazza del Colosseo
(v. pag. 262; l'Anfiteatro Flavio e l'arco di Costantino sono a
pag. 262 e pag. 263) e si piega a d. nella trafficata via di S.
Gregorio, la romana "via Triumphalis" che corre tra le pendici
del Celio e del Palatino; l'aspetto attuale della strada risale ai
lavori di livellamento e ampliamento condotti da Antonio
Munoz nel 1933, in seguito ai quali, col nome di via dei Trionfi,
costituì la prosecuzione di via dell'Impero (l'odierna via dei Fori
Imperiali: v. pag. 252) in direzione del mare. Il lato sin. del
tracciato è costituito da un terrazzamento, al centro del quale è
un'originale fontana a cascata (Antonio Munoz, 1933), di
sostegno all'ex Antiquarium comunale (v. pag. 475); opposto
a questa è il vignolesco portale degli orti Farnesiani, già
accesso all'omonimo complesso (v. pag. 435) e qui rimontato
Del 1955 come altro ingresso monumentale all'area archeologica
del Palatino (v. pag. 435), cui seguono poco oltre alcune arcate
superstiti dell'acquedotto Neroniano (v. pag. 501).
Lasciata a sin., alta sulle propaggini O del Celio, la chiesa
di S. Gregorio Magno (v. pag. 481), si sbocca in piazza di Porta
Capena (dalla porta che qui si apriva nel recinto serviano; un
informe rudere segna il punto d'origine dell'antica Via Appia),
avendo ancora a sin. la "Vignola", elegante casino porticato del
sec. XVI un tempo sulla pendice N del "piccolo Aventino" e qui
trasferito nel 1911 per la realizzazione della Passeggiata
96 | R. I MONTI

Archeologica (v, pag. 472); al centro del caotico largo è la stele


di Axum, monolite di basalto, alto 24 m e risalente al sec. 1V,
trasportato a Roma dalla città santa dell'Etiopia e qui eretto nel
1937; dietro questa, in angolo con viale Aventino, si individua il
massiccio palazzo della FAO (Vittorio Cafiero e Mario Ridolfi,
1938), progettato come Ministero per l'Africa italiana ma
ultimato solo nel 1952.
Si volta a d. in via dei Cerchi, tracciato antico ripristinato
da Sisto V e allargato nel 1939, che si snoda lungo il fianco NE
del Circo Massimo, posto nella valle tra il Palatino e l'Aventino
detta Murcia dai mirti che ricoprivano quest'ultimo colle;
l'attuale sistemazione a giardino – le scarpate erbose indicano le
gradinate, le superfici sterrate la pista e la lunga aiuola al centro
la posizione della spina - ne suggerisce la pianta, estesa su
un'area di m 600 x 200.
La prima costruzione risalirebbe a Tarquinio Prisco, anche
se secondo la leggenda già in precedenza la valle sarebbe stata
usata per le gare in onore del dio Conso (durante una di queste
sarebbe avvenuto il ratto delle Sabine). Un vero e proprio
edificio di muratura, in sostituzione di impianti lignei, sorse solo
nel sec. II a. C., e fu più volte modificato, in particolare da
Giulio Cesare che nel 46 a. C. vi fece svolgere una finta
battaglia; Augusto vi costruì nel 31 a. C. il palco imperiale
("pulvinar") a ridosso del Palatino e vi innalzò nel 10 a. C.
l'obelisco di Ramsses II ora in piazza del Popolo. Rovinato da
incendi sotto Nerone e Domiziano, ebbe dal Senato nell'80-81
un arco a tre fornici al centro dell'emiciclo, a ricordo delle
vittorie di Vespasiano e Tito nella guerra giudaica; fu poi
ricostruito da Traiano tra il 100 e il 104 (a tale rifacimento
appartengono i pochi resti in laterizio della cavea sul lato curvo
verso piazza di Porta Capena), ampliato da Caracalla e
restaurato da Costantino, che volle ornarlo di un secondo
obelisco (quello di Tutmes III, oggi in piazza di S. Giovanni in
Laterano) innalzato dal figlio Costanzo II nel 357.
L'impianto, che sembra potesse contenere fino a 300000
spettatori, restò in uso fino al 549. Nell'emiciclo, parzialmente
scavato nel 1928 e dove sono in corso scavi dal 1981, sorge la
torre detta Motetta, eretta nella prima metà del sec. XII dai
monaci di S. Gregorio per difendere il mulino alimentato
R. I MONTI | 97

dall'Acqua Mariana e inclusa poi nelle fortificazioni dei


Frangipane.
In fondo alla via, lungo il cui lato d. si dispongono le
imponenti strutture della "Domus Augustana" (v. pag. 438) e al
N. 87 un fantasioso prospetto barocco adorno dei gigli
farnesiani, chiude il lato N del circo l'ex pastificio Pantanella,
tardo-ottocentesco e ristrutturato nel 1930 per farne la sede del
Museo di Roma e del Museo dell'Impero Romano; nei
sotterranei è il mitreo del Circo Massimo (per la visita
rivolgersi alla X ripartizione del comune), ricavato nel sec. III in
un edificio preesistente, dove è un grande rilievo raffigurante
Mitra che uccide il toro.
Una spina di basse case, di aspetto forse seicentesco ma
probabilmente di origine medievale, separa la via dei Cerchi
dalla piazza che prende nome dalla chiesa di S. Anastasia (nel
1992 in restauro), sorta nel sec. IV e divenuta chiesa ufficiale dei
dignitari imperiali del Palatino. Restaurata sotto Teodorico, nei
secoli VIII e IX e poi da Sisto IV (restano le trifore sui fianchi),
deve l'attuale aspetto al ripristinò, voluto da Urbano VIII, di
Luigi Arrigucci (1636), dopo che una facciata con portico,
costruita nel 1618, era stata distrutta da un ciclone nel 1634.
L'odierno prospetto laterizio, di stampo berniniano, è a
due ordini: l'inferiore, a lesene doriche, si stende in larghezza
sino a comprendere la parte basamentale di due campanili;
quello superiore, a lesene ioniche, si conclude col timpano
coronato da candelabri.
E luminoso interno, a tre navate divise da colonne antiche
addossate a pilastri, fu riccamente decorato da Carlo Gimach
(1721-22). Nel soffitto (stemmi di Pio VII e Pio IX), Martirio
della santa di Michelangelo Cerruti (1722; restauro 1984). Nella
cappella a d., Il Battista di Pier Francesco Mola. Nella cappella
in fondo alla navata d., storie di S. Carlo Borromeo e di S.
Filippo Neri di Lazzaro Baldi. Transetto d.: S. Toribio di
Francesco Trevisani (1726).
Nella tribuna, all'altare maggiore, Natività del Baldi (suoi
gli stucchi, le tele e gli affreschi nella volta); sotto l'altare, statua
di S. Anastasia di Francesco Aprile, terminata da Ercole Ferrata
dopo il 1667.
98 | R. I MONTI

Transetto sin.: sepolcro del cardinale Angelo Mai di


Giovanni Maria Benzoni (1857); all'altare, Madonna del Rosario
del Baldi; sotto il dipinto è stato rinvenuto un affresco
medievale. Cappella in fondo alla navata sin.: sull'altare
medievale, S. Gerolamo attribuito al Domenichino; nella lunetta,
Martirio di S. Anastasia (sec. XVII). Nella cappella a sin., con
belle colonne di pavonazzetto: i Ss. Giorgio e Publio di Etienne
Parrocel.
Al termine di via dei Cerchi si è in piazza della Bocca
della Verità, corrispondente al Foro Boario (mercato del
bestiame dell'antica Roma); a d., spunta tra gli alberi la casa dei
Pierleoni (secoli XIII-XIV ma pesantemente restaurata), mentre
lo spiazzo erboso verso il Tevere è occupato da due templi, uno
circolare e l'altro rettangolare, isolati dalle demolizioni del 1924-
25.
Il primo è il cosiddetto *tempio della Fortuna Virile (per
la visita rivolgersi alla Soprintendenza archeologica di Roma),
databile ai secoli II-I a. C., che è ormai identificato con certezza
con il tempio di Portunus, il dio protettore del vicino porto
fluviale.
Preceduto da una scalinata (di restauro), l'edificio, tra i
meglio conservati a Roma, presenta quattro colonne sul fronte,
mentre sui fianchi e sul lato posteriore sono semicolonne
addossate alla muratura. Nell'872 divenne chiesa col nome di S.
Maria Egiziaca, che fu concessa da Pio V agli Armeni e
abbellita da Clemente XI insieme all'annesso ospizio, demolito
nel 1930. All'interno, *storie della Vergine, resti di affreschi del
tempo di Giovanni VIII; sull'altare, S. Maria Egiziaca di
Federico Zuccari.
Il secondo, noto come *tempio di Vesta perché circolare
al pari di quello del Foro Romano, è da identificarsi molto più
probabilmente con il tempio dedicato a Ercole Vincitore alla fine
del sec. II a. C. e ampiamente restaurato sotto Tiberio (per la
visita rivolgersi alla Soprintendenza archeologica di Roma).
Si tratta del più antico edificio superstite della città
costruito in marmo; è un periptero con 20 colonne corinzie (una
mancante) che circondano la cella cilindrica in blocchi di
marmo, mentre sono andate perdute la trabeazione e la copertura
R. I MONTI | 99

originaria forse a cupola. Agli inizi del sec. XII il tempio fu


trasformato in chiesa dedicata a S. Stefano (detta delle Carrozze
e dalla metà del '500 chiamata S. Maria del Sole per
un'immagine, trovata nel Tevere, che avrebbe mandato un raggio
di sole); all'interno Madonna col Bambino e santi, affresco di
scuola romana dei tardo sec. XV.
Completa lo spiazzo erboso la fontana dei Tritoni
(Francesco Carlo Bizzaccheri, 1715), in cui il terna berniniano di
piazza Barberini è innestato su una vasca che riproduce la stella
araldica a otto punte di Clemente XI.
Guarda da SE sulla piazza la chiesa di *S. Maria in
Cosmedin, che sorse nel sec. vi sopra l'ara massima di Ercole
(di antichissima origine ma rifatta nel sec. li a. C. e identificata
nel grande blocco di tufo dell'Aniene in cui è ricavata la cripta)
inglobando anche un'aula porticata di età flavia adiacente all'ara.
La diaconia di "S. Maria in schola graeca", sorta su una
cappella del sec. III, fu ampliata da Adriano I nel 782 e prese
l'appellativo di "Kosmidion" per le splendide decorazioni; fu
restaurata da Niccolò I, che vi aggiunse la sagrestia, un oratorio
("S. Niccolò in schola graeca") e una residenza diaconale, da
Gelasio Il dopo le invasioni di Roberto il Guiscardo (1082) e
infine da Calisto II, che chiuse il matroneo e ricostruì il portico
con il protiro nel mezzo. Nel 1715-19 Giuseppe Sardi adattò al
gusto barocco la facciata ornandola di stucchi e cornici, mentre
nel 1894-99 G.B. Giovenale ripristinò le forme romaniche di
Calisto II.
La facciata è preceduta da portico ad arcate su pilastri
(l'unico medievale questa forma a Roma), con protiro e
soprastanti monofore; a è l'elegante campanile romanico a sette
piani di bifore e trifore (sec. XII).
Nel portico, a d. (pianta, 1), monumento del prelato
Alfano, camerlengo Callisto II (sec. XII); a sin. (2), la celebre
bocca della Verità qui collocata nel 1632, grande disco di
marmo (in realtà chiusino d'età classica a forma di mascherone
di divinità fluviale), collegato alla leggenda per cui i bugiardi
che vi introducono la mano ne escono monchi; sul muro, tracce
di affreschi (sec. XII). Sotto l'architrave del portale, firmato
"Iohannes de Venetia" (sec. XI), mano benedicente alla greca.
100 | R. I MONTI

L'interno è a tre navate divise da pilastri e da 18 colonne


romane con capitelli in parte antichi e in parte medievali. Alle
pareti della navata centrale, resti di affreschi dei secoli vin, IX e
XII. Schola cantorum (3) con amboni e iconostasi; baldacchino
gotico (4) firmato da Deodato di Cosma il Giovane (1294);
cathedra episcopale (5); altare formato da frammento di granito
rosso (1123); pavimento in opus sectile (sec. VIII). Nel muro
absidale, affreschi del sec. XI. Nella cappella del Coro (6),
Madonna e Bambino (sec. XV); in sagrestia (7), *Epifania,
frammento di mosaico a fondo oro (inizi sec. VIII) proveniente
dall'antica S. Pietro.
Inserite nelle navate centrale e sin. della chiesa e in
sagrestia rimangono le sette colonne scanalate della facciata e le
tre del fianco sin. dell'aula di età flavia, tradizionalmente
identificata con la "statio Annonae", l'antica sede del prefetto,
ma da altri ritenuta un sacello in relazione con l'ara di Ercole.
Dal lato E della piazza si diparte la via del Velabro, il cui
nome deriva dalla palude fluviale (Velabro) dove Faustolo
avrebbe trovato Romolo e Remo e che accoglie uno dei
complessi monumentali più suggestivi di Roma. Il centro della
via è occupato dall'*arco quadrifronte detto di Giano, forse
l'"arcus Constantini" menzionato dalle fonti antiche. Il
monumento è costituito da quattro piloni, con nucleo di
calcestruzzo e rivestimento di marmi (molti di spoglio), che
sostengono volte a crociera con funzione di passaggio coperto
("ianus"). 1 piloni sono ornati all'esterno, sopra un alto zoccolo,
da due ordini di piccole nicchie con calotta a conchiglia,
destinate forse in origine a statue e inquadrate da colonnine su
mensole; sulle chiavi degli archi, a rilievo, raffigurazioni assai
consunte di Roma e Giunone (sedute) e di Minerva e Cerere (?)
stanti. Nel Medioevo il monumento, eccellente documento del
gusto del sec. IV per i prospetti d'ingresso ornati di nicchie tra
colonne pensili, fece da base a una torre fortificata dei
Frangipane, demolita nel 1827 assieme ai resti, non riconosciuti,
dell'attico originario dell'arco, che era in mattoni rivestiti di
marmo.
Alle spalle dell'arco è la chiesa di S. Giorgio in Velabro,
antica diaconia (secoli V-VI) dedicata da Leone II a S.
Sebastiano I restauri effettuati sotto Gregorio XVI e Pio IX
R. I MONTI | 101

permisero di chiarire le vicende costruttive della chiesa,


ricostruita da Gregorio IV, con portico restaurato agli inizi del
sec. XIII; ad Antonio Munoz (1923-26) si deve il ripristino
dell'originale assetto romanico, attraverso la cancellazione delle
aggiunte barocche.
La semplice facciata, aperta da oculo, è preceduta da un
portico architravato su colonne ioniche e robusti pilastri
(iscrizione in ricordo dei restauri dell'inizio del '200; la
cancellata è del tempo di Clemente IX); a sin. è il campanile di
forme romaniche, a cinque piani articolati da cornici e trifore
(secoli XI-XII). L'interno è a tre navate spartite da colonne di
spoglio, in granito e pavonazzetto, prive di basi e con capitelli
ionici e corinzi (sec. VII). Nel presbiterio sopraelevato, altare
maggiore costituito da lastra cosmatesca, ciborio con quattro
colonne e architrave a mosaico, e terminazione a piramide
tronca. Nel catino absidale, Cristo, la Vergine e i 1 Giorgio,
Pietro e Sebastiano, affreschi attribuiti a Pietro Cavallini a con
parziali rifacimenti cinquecenteschi (restauro 1986). All'altare in
fondo alla navata d., cippo marmoreo del sec. XI.
Al fianco sin. della chiesa si addossa l'*arco degli
Argentari, uno degli accessi al Foro Boario (v, pag. 441) e
interessante testimonianza dell'arte di età severiana. Eretto nel
204, come indica l'iscrizione in onore di Settimio Severo, della
moglie Giulia Domna e dei figli Caracalla e Geta, dalla
corporazione degli "argentarii" (o cambiavalute) del foro stesso,
presenta un'insolita tipologia, forse derivata da modelli orientali:
è composto da due robusti pilastri, con nucleo in calcestruzzo e
rivestimento di marmo e travertino, che sorreggono un
architrave di marmo.
La superficie delle Parti marmoree è interamente ricoperta
da una decorazione vegetale e da scene figurate di culto e di
guerra; le più importanti sono sulle facce interne, con Settimio
Severo e Giulia Domna (d.) e Caracalla (sin.: la figura di Geta fu
abrasa dopo la sua uccisione). La disposizione frontale e non
prospettica delle figure imperiali, la tendenza a occupare tutto lo
spazio del rilievo con i personaggi e la loro collocazione su un
unico piano di rappresentazione, la gerarchia delle proporzioni e
la sovrabbondanza della decorazione preannunciano gli sviluppi
dell'arte tardo-antica.
102 | R. I MONTI

Rivolgendosi alla X ripartizione del comune si possono


vedere, al N. 3 della via, le acque della "Cloaca Maxima", che
scendeva dall'"Argiletum" (v. pag. 279) e attraversava il Foro
raccogliendo le acque defluenti dalle alture circostanti per
convogliarle nel Tevere (se ne vede ancora lo sbocco nel fiume a
valle del ponte Palatino); la tradizione ne attribuisce la
costruzione a Tarquinio Prisco, ma al sec. vi a. C. risale la sola
arginatura del corso d'acqua (la volta a tutto sesto, in blocchi di
tufo a contratto, non è anteriore al sec. II a. C.).
Continuando per via del Velabro e voltando a sin. nella
via di S. Teodoro, che ricalca l'antico "vicus Tuscus" (v. pag.
429), si può visitare la chiesa di S. Teodoro, sorta con fini
assistenziali sugli "horrea Agrippiana" in epoca che il mosaico
absidale fa porre, nella seconda metà del sec. vi e quasi
interamente ricostruita da Niccolò V (1453-54), secondo Vasari
a opera di Bernardo Rossellino Ca piazzetta antistante e la scala
a due rampe furono realizzate da Carlo Fontana nel 1703-05). La
semplice facciata laterizia, con portale del '400, accoglie una
lunetta dipinta sormontata protiro con stemmi di Niccolò V.
Nell'interno circolare, coperto cupola a coste e a vele di
tipo rinascimentale fiorentino (la prima del ere realizzata a
Roma), la brutta decorazione risale al 1852; nell'abside, unica
parte rimasta della chiesa originaria, Il Redentore tra i Ss. Pietro,
Paolo, Teodoro e altro santo, mosaico molto restaurato della fine
del me. vi; all'altare d., S. Crescentino di Giuseppe Ghezzi (c.
1705); a quello i Ss. Ranieri e Giacinta Marescotti adorano il
Sacro Cuore di Gesù Francesco Manno (1805).
Una breve deviazione per via di S. Giovanni Decollato,
che si stacca da piazza della Bocca della Verità in direzione N,
permette di addentrarsi in una parte del rione sopravvissuta alle
demolizioni di epoca fascista.
A sin. è la chiesa di S. Giovanni Decollato, già sede
dell'arciconfraternita della Misericordia, che fu eretta dopo il
1490 nei pressi dell'antica sa di S. Maria de Fovea. Completata a
metà'500, fu riconsacrata da Benedetto XIII nel 1727 e subì
nuovi restauri nel 1888
la severa facciata Primi del '500, in finto laterizio, è
articolata da quattro paraste e terminata alto architrave e
R. I MONTI | 103

timpano. All'interno (la chiesa è visitabile dietro permesso


rilasciato dal governatore), a navata unica con tre nicchie a
scarsella per parte, le pareti, scandite da paraste doriche e con
candelabre in stucco, sono completamente affrescate da artisti
toscani con figure di santi (1580-90).
1° altare d.: Natività del Battista di Jacopo Zucchi (c.
1585). 2°: Incredulità di S. Tommaso di) scuola del Vasari. 3°:
Visitazione del Pomarancio. Altare maggiore: Decollazione del
Battista, tavola di Giorgio Vasari (1553); sulla parete d.,
Decollazione del Battista di artista michelangiolesco (Girolamo
Muziano?).
Su quella sin., Risurrezione di Lazzaro di Giovanni
Balducci detto il Cosci. 2° altare sin.: Martirio di S. Giovanni
evangelista di G.B. Naldini (c. 1580). 1°: Madonna della
Misericordia, affresco del sec. XV (ridipinto), e Assunzione di
Maria di Francesco Zucche. Sopra la porta laterale sin.,
Predicazione del Battista, lunetta del Cosci; il 'pendant' con il
Battesimo di Cristo di Monanno Monanni, rimosso per l'apertura
della finestra, è nelle sale della confraternita.
Dal vestibolo d'ingresso si passa nell'ORATORIO (1530-
35), semplice sala rettangolare riccamente decorata con affreschi
di scuola manierista toscana. Sulla parete d'ingresso, a d.,
Predica del Battista di Jacopino del Conte (1538). Sulla parete
d.: Nascita del Battista (1551) e Visitazione (1538) di Francesco
Salviati; Annuncio a Zaccario di Jacopino del Conte (1535), cui
appartiene la tavola (Deposizione, c. 1550) sull'altare (i Ss.
Bartolomeo e Andrea ai lati sono del Salviati).
Sulla parete sin.: Decollazione del Battista (1553); Danza
di Salomè attribuita a Pirro Ligorio; Arresto del Battista di
Battista Franco (1541-44). A sin. della parete d'ingresso,
Battesimo di Cristo di Jacopino del Conte (1541).
Nel piccolo CHIOSTRO-CIMITERO porticato (1535-55
ma rifatto nel 1600) sono lapidi, altari cinquecenteschi, due leoni
stilofori del '300 e una statua cinquecentesca di S. Sebastiano;
sul pavimento, sette chiusini in cui venivano introdotti i resti dei
giustiziati. La Camera storica della confraternita conserva un
Crocifisso (sec. XVI) e una croce processionale in bronzo del
sec. XV.
104 | R. I MONTI

Sul lato opposto della via si individua la sobria facciata, in


finto laterizio con finestrone centrale, della chiesa di S. Eligio
dei Ferrari, eretta su una precedente chiesa di S. Martino e
concessa nel 1453 da Niccolò V all'Università dei Ferrari;
ricostruita nel 1561-62 e accresciuta nel 1577 dell'oratorio, ebbe
modifiche nel '500, '600 e '900. L'interno, a navata unica e
sontuosamente decorato, ha tre altari per lato e due coretti
laterali; il soffitto a lacunari in legno e stucco dorato è del 1604.
1° altare d.: statua lignea di S. Antonio (sec. XVII); intorno,
affreschi del sec. XVI. 2° (1726): Sacra famiglia e S. Giovanni
di artista fiammingo di fine sec. XVI. 3° (1743): Andata al
Calvario, resti di affresco manierista ritrovato nel 1989.
All'altare (1640) del presbiterio, *Madonna in trono, S. Giacomo
e i vescovi Eligio e Martino del Sermoneta (fine sec. XVI). 3°
altare sin. (su disegno di Luigi Valadier, 1827): Crocifissione,
copia del dipinto di Scipione Pulzone alla Chiesa Nuova (da
alcuni è ritenuto autografo). 2° (1764): Martirio e Gloria di S.
Orsola di Ambrogio Mattei (firma; 1764). 1° (1725): S. Ampelio
curato dagli angeli (sec. XVIII).
ORATORIO (1577): alla parete, Estasi di S. Francesco
attribuita a Terenzio Terenzi da Urbino; in un'altra sala, cassetta
della Veronica, cori placchetta dipinta della fine del sec. XV, e,
al centro, stendardo in seta dipinto da Pompeo Batoni (1750) con
la Vergine che appare a S. Eligio (recto) e S. Ampelio curato
dagli angeli (verso).
Il gruppo di case che a sin. della chiesa si articola intorno
alle vie Bucimazza (dalla famiglia Boccamazzi che vi abitava),
dei Foraggi e dei Fienili (che rimandano alla vicinanza del
Campo Vaccino), sopraelevato perché mantiene le quote
originali, conserva un'apprezzabile integrità ambientale, che
suggerisce l'aspetto della zona prima delle demolizioni del 1933.
Da piazza della Bocca della Verità la visita volge a
termine in direzione N lungo via Petroselli, che incontra subito
a sin. (N. 54) la *casa dei Crescenzi, fra i rarissimi edifici civili
medievali rimasti, eretta fra il 1040 e il 1065 da Nicolò di
Crescenzio a guardia del guado del Tevere con largo uso di
materiale antico; danneggiata negli scontri seguiti alla venuta di
Arrigo VII nel 1312, fu usata nella Via Crucis pasquale come
casa di Pilato e fu anche detta casa di Cola di Rienzo e torre del
R. I MONTI | 105

Monzone. Restaurata intorno al 1940, è sede del Centro Studi


per la Storia dell'Architettura.
La lunga iscrizione latina in versi leonini incisa sull'arco
del portale, formato da un pezzo di cornice di edicola romana a
pianta circolare, ricorda Nicolò, figlio di Crescenzio e Teodora,
che costruii l'edificio per "rinnovare l'antico decoro di Roma".
La finestra a d. ha come parapetto un lacunare di soffitto; il
fianco sin. presenta inferiormente semicolonne intervallate da
paraste con capitelli in cotto su cui poggiano belle mensole
tardo-romane con amorini; il cornicione è formato con
frammenti di altre cornici.
Superato il massiccio palazzo in laterizio e travertino
dell'Anagrafe (Cesare Valle, 1936-37), per la cui realizzazione
fu demolita l'antichissima chiesa di S. Galla (sulle pendici del
Campidoglio si riconosce l'ex sede dell'Istituto Archeologico
Germanico: v. pag. 420), si incrocia a sin. la via che prende
nome dal Foro Olitorio, il mercato degli erbaggi dell'antica
Roma che si stendeva tra le pendici del Campidoglio, il teatro di
Marcello e il Tevere. Sulla grande piazza, lastricata in
travertino, si affacciavano diversi edifici monumentali, tra cui i
templi (v. sotto) trasformati nel Medioevo nella chiesa di S.
Nicola in Carcere.
Ricordata nel sec. IX ma forse più antica (sec. VII), fu
ricostruita nel 1128 e restaurata nel 1733, nel 1808 da Giuseppe
Valadier (l'indagine da lui condotta sui resti dei templi portò alla
scoperta della gradinata e dell'ara del tempio centrale) e infine
sotto Pio X (1865), venendo isolata dalle case attigue nel 1934
quando fu ripristinata la torre-campanile medievale, in cui è una
campana del 1286. La facciata a unico ordine, in cui sono
brillantemente reimpiegate due delle tre colonne del tempio di
Giunone Sospita e ricca di decorazioni in stucco, è opera di
Giacomo Della Porta (1599).
Nell'interno basilicale, con colonne e capitelli di
reimpiego (sulla 2a a d., iscrizione dei secoli VII-VIII), le pareti
laterali inglobano le colonne dei templi romani; il soffitto ligneo
a lacunari e gli affreschi dell'abside sono del 1865. Nella navata
centrale, storie di S. Nicola, affreschi di Guido Guidi. Nella
navata d., iscrizione commemorativa della dedicazione della
chiesa (1128); Madonna col Bambino, frammento di affresco di
106 | R. I MONTI

Antoniazzo Romano (c. 1470). Nel presbiterio, tomba del


cardinale G.B. Rezzonico di Christopher Hewetson (1787). A d.
dell'abside è la cappella Aldobrandi, con affreschi di Giovanni
Baglione. Altare maggiore con urna antica di porfido verde sotto
un ciborio del 1856. Nel transetto sin., Cristo risorto, pala di
Lorenzo Costa (c. 1505).
I templi del Foro Olitorio, sui quali sorse la chiesa e che
sono in parte visibili nella fronte, ai lati e nei sotterranei della
stessa (visita: giovedì ore 10.30-12), furono costruiti in età
repubblicana (erano allineati e con il fronte rivolto a E) e
riedificati nel sec. i.
Del primo tempio, dedicato, sembra, alla Speranza e
costruito dopo la prima guerra punica, è visibile, a d. della
facciata della chiesa, il podio di travertino, da cui spiccano due
colonne ioniche di peperino, in origine rivestite di stucco,
mentre le otto colonne del lato sin. sono incorporate nel muro
della chiesa.
Il tempio mediano, il maggiore e più ricco, è identificato
con quello di Giunone Sospita, eretto nel 197 a. C. E
interamente inglobato nella chiesa; dell'edificio, esastilo e di
ordine ionico al pari di quello settentrionale, sono visibili,
all'esterno, la scalinata di travertino (con al centro l'altare
davanti al podio), e, nei sotterranei, parti di quest'ultimo.
Del più piccolo tempio meridionale - forse quello di
Giano eretto nel 260 a. C. - pure esastilo ma di ordine dorico,
sono visibili dall'esterno, incorporate nel fianco sin. Della
chiesa, sei colonne di travertino già rivestite di stucco e, nei
sotterranei, resti del podio.
Opposti alla chiesa di S. Nicola in Carcere, ai piedi del
Campidoglio, rimangono una casa medievale con torre,
ripristinata dopo le demolizioni, murature, pilastri di travertino,
un portico, con arcate di peperino inquadrate da semicolonne
d'ordine tuscanico (fine sec. i a. C.), riutilizzato nel Medioevo e
liberato nel 1933, pertinenti al Foro Olitorio.
A fianco corre l'antico vico Jugario (detto così forse dai
fabbricanti di gioghi per buoi), dove sono visibili a d. i resti
dell'*area sacra di S. Omobono (per la visita rivolgersi alla X
R. I MONTI | 107

ripartizione del comune), affiorati nelle demolizioni del 1936-37


e scavati nel 1959-64.
Gli sterri hanno rimesso in luce un'area sacra di pianta
rettangolare con are sacrificali (sec. VII-inizi VI a. C.), su cui
nel sec. vi a. C. Sorsero affiancati i TEMPLI DELLA MAGNA
MATER e DELLA FORTUNA (e fonti antiche mettono
quest'ultimo in relazione con Servio Tullio, che vi avrebbe
celebrato la sua divinità protettrice in relazione allo sviluppo del
vicino porto, mentre la Mater Matuta è Connessa alla
frequentazione dello scalo da parte di marinai e mercanti
stranieri), ricostruiti all'inizio del sec. IV a. C., a metà e alla fine
del sec. III a. C. e in età domizianea.
Quanto attualmente appare si riferisce alle ultime due fasi
di vita dell'area, di cui gli scavi più recenti hanno dimostrato
l'eccezionale importanza archeologica; infatti nei livelli più
profondi, oltre a resti delle fasi più antiche dei templi, poi
reinterrati con riporti contenenti ricco materiale ceramico e
terrecotte, sono stati rinvenuti materiali databili fra il sec. IX e
l'VIII a. C., che fanno supporre l'esistenza di un abitato di
capanne arcaiche sul tipo di quello del Palatino.
Accanto, rimasta sopraelevata in seguito alla
trasformazione urbanistica del 1933, è la chiesa di S. Omobono,
eretta sulla preesistente chiesa di S. Salvatore in Portico;
concessa nel 1575 all'Università dei Sarti (stemma nella
cupoletta dell'abside), che disposero immediati restauri
dedicandola a S. Omobono e arricchendola di decorazioni e
altari, ebbe altri restauri nel 1767, nel 1856, nel 1872-77
(soffitto, pavimento, organo), nel 1940-42 dopo le demolizioni e
gli scavi nella zona, e infine nel 1964. La dimessa facciata è
tardo-cinquecentesca. All'interno, l'irregolare navata risente del
condizionamento delle preesistenze su cui poggia. Al centro del
soffitto a cassettoni, Incoronazione della Vergine tra i Ss.
Omobono e Antonio, tempere di Cesare Mariani (sec. XIX).
Nell'abside, Il Salvatore in gloria e, sotto, Madonna in trono col
Bambino tra i Ss. Stefano e Alessio attribuiti a Pietro Turini. 3a
arcata della navata sin.: tomba della famiglia Satri (sec. XV);
nella lunetta, originale iconografia del Padre Eterno, sarto
divino, che infila una pelliccia ad Adamo (sec. XVII).
108 | R. I MONTI

Fa da sfondo al vico Jugario la chiesa di S. Maria della


Consolazione, sorta insieme al retrostante ospedale e ricostruita
fra il 1583 e il 1600 da Martino Longhi il Vecchio.
La composta facciata manieristica (l'ordine inferiore è
ripartito da lesene corinzie in cinque campate e accoglie tre
portali; in quello superiore prosegue solo la campata centrale
raccordata da volute, con finestrone centrale e quattro lesene che
sorreggono il timpano triangolare) fu interrotta dal Longhi
all'architrave e completata con superiore nel 1827 da Pasquale
Belli; la scala antistante fu prolungata nel 1943 a seguito delle
demolizioni per la liberazione delle pendici capitoline.
L'interno è a tre navate con cappelle laterali. 1a cappella
d.: Morie della Passione, affreschi di Taddeo Zuccari (1556).
2a : Madonna col Bambino e santi, tavola di Livio Agresti
(1575). 3a, con pregevole cancello in ferro: storie di Gesù e della
Vergine, tele e affreschi di Giovanni Baglione. Cappella a d. del
presbiterio: icona della Madonna (sec. Presbiterio: all'altare
maggiore, su disegno del Longhi, S. Maria Consolazione,
affresco medievale ridipinto da Antoniazzo Romano; ai lati
Natività e Assunzione del Pomarancio; sopra quest'ultimo,
cantoria e organo (1674).
5a cappella sin.: scene della vita di Maria e di Gesù,
dipinti di Antonio Circignani. 4a, con bel cancello in ferro
battuto: storie di S. Andrea, affreschi di Marzio di Colantonio
Ganassini. 3a: storie della Vergine, affreschi di Francesco
Nappi. 2a: S. Francesco riceve le stimma. XVII). la: Sposalizio
mistico di S. Caterina, rilievo marmoreo di Raffaello da
Montelupo (1530). Sagrestia: Crocifissione, bassorilievo di
Capponi (1496); alle pareti, frammenti di affreschi di
Antoniazzo Romano.
Il retrostante ex ospedale della Consolazione, sorto nel
1470 e soppresso 1936, ingloba un cinquecentesco ingresso
architravato con Vergine col Bambino e, su via del Foro
Romano, un portale del '400 con lunetta entro cui è una
Madonna col Bambino della chiesa di S. Maria delle Grazie
demolita nel 1876.
R. I MONTI | 109

Dalla piazza antistante all'ospedale, bella vista sul "Mons


Tarpeius" (v. pag. 420) e sul Foro Romano (in primo piano sono
le colonne del tempio di Saturno: v. pag. 427).
Per la via del Foro Olitorio, che costeggia a d. la chiesa di
S. Nicola in Carcere (v. pag. 447), si sale a piazza di Monte
Savello (v. pag. 451).
110 | R. I MONTI

1.11 Il rione Sant'Angelo.

Del Campo Marzio classico il rione costituisce l'estremità


meridionale, caratterizzata già in età repubblicana dall'esistenza
di due fondamentali orientamenti viari: uno, più vicino al fiume,
era dovuto alla presenza del Circo Flaminio (221 a. C.), sul cui
lato settentrionale - l'odierna via del Portico d'Ottavia - si erano
allineati portici e templi dando origine a un asse urbanistico
conservatosi sino a oggi; l'altro, di cui resta traccia in via delle
Botteghe Oscure - limite settentrionale del rione - era posto più a
nord e riprendeva la disposizione secondo i punti cardinali
propria del Campo Marzio centrale.
La zona, che con Augusto ebbe assetto definitivo
arricchendosi di edifici da spettacolo (i teatri di Marcello e di
Balbo) e consolidando il carattere monumentale, acquisì
importanza strategica nel corso del Medioevo per la presenza dei
ponti dell'Isola Tiberina, uno dei tre valichi del Tevere rimasti
all'interno delle mura; sorsero allora dimore fortificate (la
maggiore sul teatro di Marcello), mentre l'asse viario rimase
sempre quello di via del Portico d'Ottavia, parte della medievale
"via Peregrinorum".
Il progressivo trasferimento della comunità ebraica
romana da Trastevere in questo rione, attraverso il ponte
Fabricio che fu per questo detto anche "pons Judaeorum",
cominciò nel XIII secolo, e fu una bolla di Paolo IV a istituire
nel 1555, sull'area del Circo Flaminio, il Ghetto, a imitazione di
quello creato a Venezia pochi anni prima; circondato da mura ,
divenne residenza obbligata per gli Ebrei romani: si raggiunsero
livelli di grave affollamento e degrado (costruzioni di sei-sette
piani affacciavano su vie strettissime), che si protrassero fino al
1870. Con il graduale spostamento a nord del centro cittadino, il
rione rimase estraneo ai mutamenti urbanistici cinquecenteschi
e, dopo la sistemazione di piazza di Campitelli (inizi XVII
secolo), si conservò sostanzialmente inalterato sino alla fine
dell'Ottocento.
Nel 1811, durante l'amministrazione francese, vennero
incluse nelle aree da risanare il portico di Ottavia e il Ghetto, di
R. I MONTI | 111

cui erano già state abbattute le porte e che venne definitivamente


aperto da Pio IX nel 1848.
Il piano regolatore del 1873 previde massicci abbattimenti
ai piedi del teatro di Marcello e nella zona del Ghetto, demolito
a partire dal 1888 e sostituito da quattro isolati senza alcun
legame col tessuto viario ed edilizio circostante; gli interventi
urbanistici successivi (isolamento del teatro di Marcello, 1926-
32; allargamento di via delle Botteghe Oscure, 1938) toccarono
l'area marginalmente, ma alterarono in profondità gli ambienti
che vi affacciavano.
Il rione, il più piccolo di Roma, conserva ancora oggi,
nonostante l'allarmante stato di abbandono e grave degrado in
cui versa la maggior parte degli edifici, il suo composito tessuto;
la visita è di grande interesse, oltre che per la presenza di
monumenti celebri (teatro di Marcello; portico di Ottavia; chiesa
di S. Maria in Campitelli), proprio per l'evidenza della
stratificazione storica della zona, di cui sono testimonianze
eloquenti il palazzo Orsini, sorto sul summenzionato teatro, la
chiesa di S. Angelo in Pescheria, che riutilizzò parte del portico
di Ottavia, e la cosiddetta "isola dei Mattei", delineatasi sulle
strutture del teatro di Balbo.
La visita inizia, in prossimità di S. Nicola in Carcere (v.
pag. 447), da piazza di Monte Savello, creata dalle demolizioni
degli anni '30, il cui nome ricorda il rilievo originato dalle rovine
della scena e della cavea del teatro di Marcello (v. sotto); su di
esso sorse, nel Medioevo, una dimora fortificata appartenuta ai
Pierleoni, ai Savelli e dal 1716 agli Orsini, da cui l'attuale
denominazione di palazzo Orsini (orsi araldici della famiglia
affiancano l'ingresso all'edificio, al N. 30 di via di Monte
Savello).
I corpi di fabbrica ottocenteschi verso il Tevere
nascondono il nucleo più antico del complesso, costruito da
Baldassarre Peruzzì per i Savelli nel 1523-27 riordinando
precedenti fabbriche, che si imposta direttamente sulle arcate
esterne della cavea del teatro (visibile da via del Teatro di
Marcello); l'interno, ora diviso in più proprietà, ospita al piano
nobile una galleria con affreschi paesistici del '700 e un
gabinetto ottagonale con belle maioliche coeve.
112 | R. I MONTI

Tramite una scaletta si scende al livello antico del terreno,


avendo di fronte, incassati nel muro del palazzo, una colonna e
un pilastro di travertino avanzi di una delle aule che
fiancheggiavano la scena del teatro; a d. è il podio di uno dei
templi su cui sorse la chiesa di S. Nicola in Carcere (v. pag.
447).
Risalendo dal lato opposto su via del Teatro di Marcello
(v. pag. 400) e percorrendola a sin., si ha una visione completa
delle arcate superstiti del *teatro di Marcello (nel 1992 in
restauro; per la visita della struttura e dell'area archeologica
rivolgersi alla X ripartizione del comune), secondo solo a quello
di Pompeo per cronologia e capienza (c. 15 000 spettatori), che
fu iniziato da Giulio Cesare e dedicato da Augusto nel 13 o 11 a.
C. alla memoria del nipote e genero Marcello.
La cavea, del diametro di c. 130 m, aveva la facciata in
travertino a tre ordini (quelli dorico e ionico ad arcate si
conservano, mentre il terzo, probabilmente un attico chiuso con
paraste corinzie, fu sostituito dal prospetto di palazzo Orsini); le
arcate, in numero di 41 per ogni ordine (ne restano 12), avevano
le chiavi decorate da maschere teatrali in marmo. Nella
sottocavea sono i grandi setti radiali in opus quadratum di tufo e,
per la parte più interna, in opus caementicium con paramento in
opus reticulatum; un funzionale sistema di rampe e ambulacri
consentiva il rapido smistamento degli spettatori.
Abbandonato nel sec. V e interrato per metà del primo
ordine, fu utilizzato prima come cava di materiale, poi come
fortezza e infine come palazzo patrizio, costituendo uno dei più
singolari esempi di continuità storica dell'abitato; nel 1926-32 fu
scavato e restaurato da Alberto Calza Bini (furono allora
ricostruite in tufo, con funzione di contrafforte, le arcate sul lato
N, che riproducono fedelmente l'architettura antica), che gli
sacrificò il fitto tessuto urbano circostante.
Nell'area archeologica adiacente, tre colonne in marmo e
con capitelli corinzi sorreggenti un frammento di trabeazione
con fregio di bucrani e rami di olivo erano parte del tempio di
Apollo Sosiano, dedicato nel 431 a. C., restaurato nel 179 a. C.
e ricostruito nel 34 a. C.; alle spalle è l'albergo della Catena
(ora sede di uffici della X ripartizione del comune), costruzione
medievale che prende nome dalla scomparsa via della Catena di
R. I MONTI | 113

Pescheria; a E del tempio è il basamento di età imperiale di un


edificio di recente identificato con il tempio di Bellona, la cui
prima fondazione data al 296 a. Cristo.
Da piazza di Monte Savello si segue verso O l'omonima
via, che costeggia a sin. la chiesa di S. Gregorio detta Divina
Pietà o S. Gregorio a Ponte Quattro Capi, ricordata sin dal sec.
XII; ceduta nel 1727 alla congregazione degli Operai della
Divina Pietà per l'assistenza delle famiglie cadute in miseria, fu
riedificata da Filippo Barigioni. Sul portale, ovale con affresco
(Crocifissione) di Etíenne Parrocel; nel cartiglio è riportato in
ebraico e in latino un passo biblico per rimproverare la
perseveranza nella loro fede degli Ebrei, per i quali qui si
tenevano prediche coatte.
Si volta a d. in via del Portico d'Ottavia, che segnava il
confine NE del ghetto, lasciando a sin. la Sinagoga (Osvaldo
Armanni e Vincenzo Costa, 1899-1904), che occupa uno dei
quattro isolati realizzati sull'area dello stesso a inizi '900.
Il luogo di culto vuole caratterizzarsi come tempio non
cattolico più che nel disegno generale (croce greca con cupola a
padiglione su tamburo quadrato) nel ricorso a motivi decorativi
dell'architettura assiro-babilonese, a ricordo del bacino di origine
del popolo ebraico: la facciata sulla parallela via del Tempio,
con tre ingressi nel portico, reca simboli ebraici (candelabro a
sette bracci, tavole della Legge, stella di David, ramo di palma);
nell'interno, tre dei bracci ortogonali, sormontati da matronei,
sono divisi tramite colonne dallo spazio centrale, mentre nel
quarto, absidale, è l'edicola sopraelevata dell'Arca Santa.
Nell'edificio è aperta una Mostra permanente della
Comunità ebraica di Roma (visita: ore 9.30-14 e 15-17,
domenica 9.30-12, sabato chiusa), con reperti archeologici,
stampe, oggetti di culto, argenti liturgici e paramenti sacri.
La via del Portico d'Ottavia, superata al N. 29 la casa dei
Vallati (restauro 1991), del sec. XIV ma con aggiunte
cinquecentesche, che fu liberata nel 1927 durante l'isolamento
del teatro di Marcello e ampiamente integrata, raggiunge, in uno
dei più suggestivi ambienti romani, il monumentale *portico di
Ottavia, eretto da Quinto Cecilio Metello nel 146 a. C., rifatto
114 | R. I MONTI

nel 27-23 a. C. da Augusto, che lo dedicò alla sorella Ottavia, e


infine ricostruito nel 203 da Settimio Severo e Caracalla.
Era costituito da un portico doppio, largo 119 m e lungo
132, che racchiudeva all'inizio il preesistente tempio di Giunone
Regina e quello, allora innalzato, di Giove (il primo in Roma
interamente di marmo) e che, in occasione del rifacimento
augusteo, fu ampliato verso N sì da inglobare anche la curia e la
biblioteca di Ottavia. Del portico, al cui interno erano custodite
numerose opere d'arte e che dal Medioevo fino all'abbattimento
del Ghetto fu sede della pescheria della città (una lapide a d.
dell'arcone che sostituì nel Medioevo due colonne originarie
ricorda il curioso privilegio dei Conservatori di ottenere le teste
dei pesci che superavano una lunghezza prefissata), è oggi
visibile una parte del fronte, col monumentale propileo a
colonne corinzie pertinenti alla fase severiana (iscrizione
sull'architrave sostenente il timpano); questo funge da ingresso
alla chiesa di S. Angelo in Pescheria (da qui al nome del rione),
diaconia di antica fondazione (755) detta dal sec. XII "in foro
piscium"; restaurata più volte (nel 1870 fu arretrata l'abside),
presenta la facciata inserita nel colonnato posteriore.
Nell'interno quattrocentesco a tre navate, la 2a cappella
sin. Accoglie sulla sin. una Madonna col Bambino e angeli,
affresco proveniente dal muro esterno della canonica e attribuito
a Benozzo Gozzoli (1450); la 1a un Crocifisso del sec. XVI.
A d. del propileo è l'oratorio di S. Andrea dei
Pescivendoli (1689), con bella facciata a stucchi. Uno stretto
passaggio a sin. della chiesa porta in via della Trilyuna di
Campitelli, che corrisponde allo spazio tra i templi di Giove e
Giunone Regina, dove al N. 23, inglobato in una casa, è un
portico medievale con colonne di granito e capitelli ionici.
Si prosegue lungo via del Portico d'Ottavia; nella quinta di
edifici che si oppone agli squallidi isolati novecenteschi, si
notino al N. 25 la torre già dei Grassi (sec. XIII) e ai numeri 8
e 13 le case dei Fabi (secoli XV- XVI), assai degradate ma con
belle finestre al primo piano. Oltre la via di S. Ambrogio, che
prende nome dalla chiesa di S. Ambrogio della Massima,
eretta secondo la tradizione sul luogo della casa paterna del
santo ove la sorella Marcellina aveva fondato un monastero e
completamente riedificata nel 1606 (l'interno, visitabile solo il 7
R. I MONTI | 115

dicembre oppure per appuntamento telefonando al 6542792,


ospita un S. Benedetto di Orfeo Boselli e una Virtù di Francesco
Cozza; nel refettorio è un affresco con Deposizione con le suore
benedettine offerenti attribuito ad Antoniazzo Romano; nel
convento un Crocifisso del sec. XII), e la via della Reginella,
che dà un'idea della ristrettezza del Ghetto, si costeggia la casa
dei Manili, riedificata da Lorenzo Manili nell'anno 2221 dalla
fondazione di Roma (1468); i caratteri d'imitazione romana, le
particolari espressioni epigrafiche e l'inserimento di frammenti
classici testimoniano gli interessi umanistici e archeologici del
proprietario.
Sulle porte del piano terra è ripetuto il nome latinizzato
del fondatore (sull'ultima a d. è in greco), su quella centrale sono
inseriti un altorilievo romano con un leone che abbatte un daino
e una stele greca con due cani, all'estremità d. un rilievo
funerario con quattro busti. E' incerto se il Manili si sia limitato
a unificare con l'iscrizione diverse sue costruzioni o se l'aspetto
dell'edificio sia frutto di trasformazioni successive; allo stato
attuale la parte d. conserva resti di una finestra crociata, quella
centrale presenta finestre con umboni tra la centinatura e
l'architrave mentre finestre col motto "Have Roma" ornano
quella sin. verso piazza Costaguti (il fatiscente portichetto
semicircolare che vi si individua appartiene alla settecentesca, e
ora sconsacrata, cappella di S. Maria del Carmine).
Nella piazza delle Cinque Scole (già via del Progresso),
che si apre a sin.
di via del Portico d'Ottavia e che trae nome dalle Scole
(Tempio, siciliana, castigliana, nova, catalana) raccolte nel
tempio ebraico un tempo qui prospettante, è stata ricostruita nel
1930 la fontana marmorea, a vasca inferiore mistilinea e
superiore circolare, opera di Giacomo Della Porta e
originariamente collocata in piazza Giudea, ingresso principale
del Ghetto. Chiude lo slargo a O il cinquecentesco palazzo
Cenci Bolognetti (il portale al N. 23 è dell'800), parte
dell'imponente complesso di fabbriche sorte a residenza dei
Cenci, famiglia nota a Roma già nel Medioevo, in parte su un
rilievo del terreno (Monte dei Cenci) originato dai ruderi di
costruzioni romane (il tempio dei Dioscuri era in corrispondenza
della cappella di S. Tommaso ai Cenci). La facciata principale,
116 | R. I MONTI

su via Monte de' Cenci che sale a sin. del prospetto sulla piazza,
rivela ad angolo l'esistenza di fabbriche diverse, unificate nel
'500 da un bugnato piatto a stucco; opposta al palazzo è la
cappella gentilizia di S. Tommaso ai Cenci, ricordata dal sec.
XII e detta "in capite molarum" per la vicinanza dei mulini sul
Tevere, della quale nel 1559 Cristoforo Cenci iniziò il totale
rinnovamento, terminato nel 1575 dal figlio Francesco (la
singolare facciata bipartita conserva fra i due portali l'ara
funeraria romana di un Marcus Cincius Theophilus, posta qui
dai Cenci per la somiglianza col loro nome; nell'interno
rettangolare, la mensa dell'altare maggiore è su due trapezofori
in marmo con leoni alati del sec. I, la pala con l'Incredulità di S.
Tommaso è firmata da Giuseppe Vermiglio e datata al 1612, le
storie della Vergine nella la cappella sin. sono opera del
Sermoneta del 1585).
La facciata posteriore del palazzo, che prospetta su
piazza Cenci (la si raggiunge, al termine di via Monte de' Cenci,
prendendo a d. via Beatrice Cenci), è costituita da un primo
corpo (N. 7A) con androne sormontato da una loggia e da una
finestra con cornice barocca (in alto, fregio dorico con le
mezzelune dei Cenci alternate alle aquile coronate dei Lante, cui
si imparentarono nel 157l) e da un secondo (N. 7), con bugnato
piatto, del '700.
Su piazza Cenci prospetta anche (N. 56) il palazzetto
Cenci, eretto da Martino Longhi il Vecchio nel 1579-84; la
facciata, con bugnato piatto a stucco, ha finestre irregolarmente
spaziate (cieche nel finto mezzanino, con architrave a cuscino al
piano nobile) ed è conclusa da un bel cornicione con mezzelune
araldiche. Lo spoglio portale, non del tutto armonicamente
inserito, immette nel cortile, che presenta su due lati un elegante
portico (c. 1587) con serliane e sovrapposto loggiato ionico, e
sui restanti due una preesistente costruzione della famiglia. Al
piano nobile, affreschi (scene dell'Esodo, 1583-87) di Giovanni
Guerra e aiuti. A d. del palazzetto è l'arco dei Cenci, d'impianto
medievale.
Sul lato NE di piazza delle Cinque Scole, e in angolo con
via di S. Maria de' Calderari (le due malconce semicolonne in
travertino con capitello dorico, l'architrave e l'arco in laterizio al
N. 23B sono la parte attualmente meglio visibile di un
R. I MONTI | 117

monumentale portico di età romana a lungo attribuito


erroneamente alla "crypta Balbi"), è la chiesa di S. Maria del
Pianto, riedificata nel 1612 su disegno di Nicolò Sebregondi ma
rimasta incompiuta (manca il braccio anteriore con la facciata);
il titolo attuale ricorda un evento miracoloso del 1546, quando
sarebbe stata vista piangere una Madonna, affrescata su un muro
del portico di Ottavia, sotto la quale era stato commesso un
delitto.
L'interno a croce greca, cui si accede da via di S. Maria
del Pianto, è di solenni proporzioni, con grandi lesene e cupola
su pennacchi decorati a stucco. Presso l'ingresso, frammento di
ciborio gotico con quattro arcatelle trilobate su fondo a tessere
dorate. All'inizio della navata, stendardo di Lazzaro Baldi
raffigurante il Miracolo dell'immagine piangente della Madonna
(recto) e la Vergine in gloria (verso). Nella crociera d., Madonna
e santi del Baldi; a sin., monumento funerario di Pompeo
Palmieri di G.B. Mola. Sull'altare maggiore, su disegno del
Mola e con quattro colonne di alabastro, venerato affresco della
Madonna del Pianto (sec. XV); alle pareti del coro, Gesù appare
a S. Martino e Disputa tra i dottori di Agostino Ciampelli
(restauro 1988).
Si prende, in proseguimento di via del Portico d'Ottavia,
la via di S. Maria del Pianto, incrociando a d. via in Publicolis: il
bugnato in angolo, a punta di diamante (unico esempio in Roma)
e in travertino, riveste la torre del palazzo Santacroce (N. 43),
ricostruito a fine '400. Poco oltre la via in Publicolis si apre in
piazza Costaguti, dove affacciano un fianco dell'omonimo
palazzo (v. sotto) e, a sin., la chiesa di S. Maria in Publicolis,
ricordata dal sec. XII e detta "de publico" forse per la vicinanza
alla "Porticus Minticia" (v. pag. 200); assunse l'attuale nome
quando divenne giuspatronato dei Santacroce Publicola, per i
quali fu ricostruita nel 1643 da Giovanni Antonio de Rossi.
Nella facciata, la campata centrale, avanzata, presenta al primo
ordine un portale tra semicolonne, ioniche, al secondo un
finestrone con timpano triangolare tra lesene tuscaniche, ed è
conclusa da un timpano curvilineo innalzato da mensole;
l'interno a navata unica, cui si accede da via dei Falegnami N.
23, presenta nel pavimento lastre tombali (notevole quella di
118 | R. I MONTI

Alfonso Santacroce) del '42500 e interessanti monumenti della


famiglia Santacroce di G.B. Maini.
Al termine della via si volta a d. nella stretta via dei
Falegnami e, superato al N. 73 un portale dei '400, si giunge in
piazza Mattei, al cui centro è la *fontana delle Tartarughe,
articolatissima ed elegante composizione eseguita nel 1581-84
su disegno di Giacomo Della Porta (i bronzi sono di Taddeo
Landini).
Nella vasca terrena un basamento mistilineo con cartigli
sorregge quattro conchiglioni marmorei, sui quali poggiano,
tramite delfini, altrettanti efebi che spingono tartarughe ad
abbeverarsi nel catino superiore, ornato con teste di putti; le
tartarughe (ora sostituite da copie) furono aggiunte in un
restauro, forse di Gian Lorenzo Bernini, del 1658.
Al N. 10 è il palazzo Costaguti, appartenuto a Costanzo
Patrizi e passato nel 1624 ai Costaguti, che fu costruito alla metà
del '500 e rinnovato da Carlo Lambardi sul finire dello stesso
secolo. Nell'interno, di straordinaria importanza per il numero e
la qualità dei dipinti e per la ricchezza dell'arredo ma non
visitabile, spiccano: la SALA DI ERCOLE, con affreschi
attribuiti a Giovanni Lanfranco o a Sisto Badalocchio; il
CORRIDOIO DELLE ORE, ascritto al Badalocchio o a Giacinto
Brandì; la SALA DI ARIONE di Giovanni Francesco
Romanelli; la SALA DI BACCO E ARIANNA, con dipinto di
Pier Francesco Mola; la SALA DEI MESI di Taddeo e Federi o
Zuccari; la SALA DI VENERE ED ENEA del Cavalier
d'Arpino; la SALA DI APOLLO, con soffitto raffigurante il
*Carro del Sole e il Tempo che scopre la Verità e amorini del
Domenichino Ce prospettive sono di Agostino Tassi); la *SALA
DI RINALDO E ARMIDA, con soffitto del Guercino (1621) e
prospettive del Tassi.
Il palazzo di Giacomo Mattei (numeri 17-19) è il primo
nucleo, di origine quattrocentesca, delle abitazioni nel rione
della famiglia patrizia, i cui rami nobiliari divennero proprietari,
a metà '500, dell'intero isolato (la cosiddetta "isola dei Mattei")
tra le vie de' Funari, Caetani, delle Botteghe Oscure e Paganica.
L'edificio di d. (fine sec. XV) ha un bel cortile con, a sin., una
scala che reca a un loggiato su portico ad arcate; quello di sin.,
R. I MONTI | 119

con cortile porticato in parte murato, è della metà del'500 ed è


attribuito a Nanni di Baccio Bigio.
Una breve deviazione sulla sin. del palazzo lungo via
Paganica conduce nella piazza dell'Enciclopedia Italiana, dove
(N. 4) è il palazzo Mattei di Paganica, eretto nel 1541 per
Ludovico Mattei, conte di Paganica (iscrizione sul portale), forse
da Nanni di Baccio Bigio e dal 1928 sede dell'Istituto per
l'Enciclopedia Italiana; la semplice, elegante facciata è conclusa
da un elaborato cornicione con motivi araldici, mentre nel
cortile la controfacciata presenta un portico ad arcate e un
sovrapposto loggiato architravato con lacunari a stucchi (stemmi
Mattei) di fine sec. XVI.
Il palazzo poggia in parte sul teatro di Balbo, dedicato nel
13 a. C. Da Lucio Cornelio Balbo, di cui restano tracce in opus
quadratum e reticulatum, pertinenti alla parte inferiore della
cavea, nel piano cantinato; dietro al teatro si apriva la "Porticus
post scaeriam" più nota come "crypta Balbi" testimonianze della
quale, relative in particolare alle fasi di utilizzo della struttura in
età post-antica, sono state rinvenute nell'area adiacente alla
chiesa di S. Caterina dei Funari.
Da piazza Mattei si tiene diritto, in prosecuzione di via dei
Falegnami, per via de' Funari e si costeggia a sin. la solenne
facciata in laterizio e travertino, conclusa da un cornicione con
motivi araldici, del *palazzo Mattei di Giove, ultimo fra quelli
edificati per la famiglia. Iniziato da Carlo Maderno nel 1598 per
Asdrubale Mattei, fu prolungato nel 1613 sull'attuale via Caetani
e ultimato nel 1618; passato agli Antici Mattei e acquistato nel
1938 dallo Stato, è oggi sede del Centro italiano di Studi
americani, dell'Istituto storico italiano per l'Età moderna e
contemporanea, della Biblioteca di Storia moderna e
contemporanea (c. 300000 tra volumi e periodici) e della
Discoteca di Stato, che ospita una rara collezione di strumenti di
riproduzione del suono e una biblioteca specializzata di c. 4500
volumi.
Al N. 32 di via Caetani, un androne con bassorilievi sulle
porte immette in un portico, che si apre a d. sul CORTILE
ornato alle pareti di bassorilievi classici con ricche cornici in
stucco, di statue e di busti (il palazzo accolse una delle più
preziose raccolte private di antichità di Roma); sul lato opposto
120 | R. I MONTI

al portico, un basso corpo, che ne ripete le arcate e le lesene


doriche e che è concluso da una balaustra, fa da schermo a un
secondo cortile con fontana. La SCALA in asse con l'ingresso di
via Caetani, a quattro rampe coperte da volte ribassate e decorata
da stucchi di gusto classico (1606-11) e da sculture antiche,
conduce alla LOGGIA, con analoga decorazione, ove sono busti
di imperatori (sec. XVI). Nelle sale, dipinti di Francesco Albani
(Sogno di Giacobbe), del Domenichino (Giacobbe e Rachele alla
fonte), del Pomarancio (storie di Giuseppe ebreo), di Giovanni
Lanfranco (storie di Giuseppe e la moglie di Putifarre, 1615) e di
Pietro da Cortona (storie di Salomone).
Oltre lo sbocco di via Caetani è la chiesa di S. Caterina
dei Funari, eretta nel 1560-64, in sostituzione della precedente
(sec. XII) S. Maria Dominae Rosae, da Guidetto Guidetti e
oggetto di lunghi restauri tuttora in corso.
La *facciata in travertino, a due ordini di paraste corinzie,
è simile a quella della chiesa di S. Spirito in Sassia da cui deriva,
distinguendosene per il risalto della parte centrale e per la
maggiore ricchezza dell'ornato, concentrato in fasce tra i
capitelli; il portale a edicola è racchiuso tra colonne scanalate. A
d. (visibile dalla contermine piazza Lovatelli) è il coevo
singolare campanile, che su una torre preesistente imposta la
cella con cupolino ottagonale.
L'interno (non visitabile), in eleganti forme tardo-
rinascimentali, è a navata unica coperta a volta ed è scandito da
paraste uguali alle esterne, tra le quali si aprono cappelle
absidate. la cappella d.: sulla cimasa, Incoronazione di Maria di
Annibale Carracci (c. 1600). 2a (su disegno del Vignola):
Deposizione di Girolamo Muziano (suoi gli affreschi laterali e
della volta); i pilastri furono dipinti da Federico Zuccari. 3a;
Assunzione di Scipione Pulzone (1598). Cappella maggiore:
Martirio di S. Caterina; nella volta, Gloria della santa attribuita a
Livio Agresti; ai lati, storie della santa dello Zuccari (1573) e
dipinti di Raffaellino da Reggio. 3° cappella sin.: storie di S.
Giovanni di Marcello Venusti.
Subito oltre, la via de' Funari si apre a d. nella piazza che
prende nome dal palazzo Lovatelli (N. 1), eretto per i Serlupi
(sul cornicione, gigli araldici) verso il 1580 forse da Giacomo
Della Porta e ultimato dopo il 1619, e sbocca poco avanti nella
R. I MONTI | 121

suggestiva piazza di Campitelli, chiusa a NE da una quinta


edilizia di cui fanno parte il Palazzo Cavalletti (N. 1; sec. XVI),
il palazzo Albertoni (N. 2; inizi sec. XVII) attribuito al Della
Porta ma completato da Girolamo Rainaldi, e il palazzo
Capizucchi (N. 3;fine sec. XVI), anch'esso forse del Della
Porta.
Sul lato opposto emerge *S. Maria in Campitelli,
capolavoro tardo-barocco di Carlo Rainaldi. La primitiva chiesa,
già nell'area del palazzo Lovatelli e qui trasferita nel 1619,
venne ricostruita per ricoverarvi l'immagine ritenuta miracolosa
di S. Maria in Portico, adempiendo a un voto della città per la
liberazione dalla peste del 1656; iniziata nel 1662, fu aperta
ancora incompleta nel 1667 e consacrata nel 1728.
La facciata in travertino, dei tipo a edicole sovrapposte,
benché priva di decorazione scultorea è resa plastica dalla
sapiente disposizione delle colonne, con risalto che dai lati
cresce progressivamente a evidenziare il corpo centrale; l'effetto
è aumentato dagli spogli incassi laterali e dall'articolazione delle
cornici.
L'interno presenta un'originale e complessa soluzione,
intermedia tra la pianta centrale e la longitudinale, nella
successione di un primo corpo a croce greca e di un secondo più
ristretto, con cupola e abside; le colonne isolate, cui corrisponde
il movimentato aggetto delle cornici, sono scenograficamente
disposte in posizione angolata a sottolineare le diverse entità
spaziali.
All'inizio della navata, a d., battistero con due tabernacoli
del '400. 1a cappella d.: S. Michele di Sebastiano Conca. 2a, su
disegno del Rainaldi (1692): S. Anna, S. Gioachino e Maria di
Luca Giordano; angeli di Michel Maille, Francesco Cavallini e
Francesco Baratta. Crociera d.: monumento funebre del
cardinale Bartolomeo Pacca (m. 1863) di Ferdinando Pettrich.
Cappella delle Reliquie: prezioso altare portatile, detto di S.
Gregorio Nazianzeno, rara coperta di libro del sec. XII con
mosaico bizantino. Altare maggiore: scenografica macchina
barocca del Rainaldi, realizzata da Giovanni Antonio de Rossi,
Ercole Ferrata e Giovanni Paolo Schor (1667); al centro,
immagine miracolosa di *S. Maria in Portico Campitelli -
Romanus portus securitas, preziosa opera in lamina e smalti del
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sec. XI. Crociera sin.: Nascita del Battista del Baciccia. 3°


cappella sin., su disegno di Mattia de Rossi: Conversione di S.
Paolo di Ludovico Gimignani. la: Sacra famiglia e la beata
Ludovica Albertoni, pala marmorea di Lorenzo Ottoni; a d.,
sepolcro di Vittoria Altieri Parabianchi di Giacomo Antonio
Lavaggi; a sin., monumento funebre di Angelo Altieri di
Giuseppe Mazzuoli.
A sin. della chiesa è la bella fontana, con vasca inferiore
mistilinea (stemmi del Popolo romano e dei nobili frontisti che
ne sostennero la spesa) e superiore circolare, disegnata da
Giacomo Della Porta. Il fabbricato moderno al N. 6 conserva la
facciata rimontata della casa di Flaminio Ponzio, eretta su suo
progetto nel 1600 in via Alessandrina e demolita nel 1933 per
l'apertura di via dell'Impero (oggi dei Fori Imperiali).
In via Montanara, che costeggia il fianco sin. del palazzo,
è stata ricostruita nel 1940 la chiesa, oggi sconsacrata, di S. Rita
da Cascia (Carlo Fontana, 1665), fino al 1933 a sin. della
scalinata di S. Maria in Aracoeli, interessante per l'originale
passaggio dalla pianta quadrilatera dell'ordine inferiore (con
fasci di lesene includenti tre arcate cieche a sguincio prospettico)
a quella dell'ordine composito superiore, che si presenta con
smussi concavi negli angoli e con finestre pure a sguincio
prospettico.
Dall'angolo N della piazza si seguono le vie Cavalletti (il
palazzo Clementi al N. 2, risalente a fine '500, ospita la
Soprintendenza per i Beni ambientali e architettonici del Lazio)
e de' Delfini e, dopo aver superato (numeri 29-31) alcune case
del '400, si sbocca in piazza Margana, raccolto ambiente a
pianta irregolare qualificato dalla torre dei Margani (N. 40A),
famiglia qui stabilitasi dal sec. XVI: in origine più alta,
costituisce col corpo retrostante un esempio, malgrado le
trasformazioni, di dimora fortificata del Medioevo (nella base,
colonna antica con capitello ionico; sopra la cornice, tondo
marmoreo con l'aquila araldica); il portale a d. è realizzato con
frammenti di cornice romana del tardo Impero.
Si tiene a sin. per via Margana, al termine della quale si
volta di nuovo a sin. in via d'Aracoeli costeggiando sul lato
opposto il palazzo Astalli, rinnovato da Giovanni Antonio de
Rossi nella seconda metà del '600 ma ridotto e trasformato nel
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1938 per l'allargamento della via di S. Marco. Si esce in via


delle Botteghe Oscure, il cui nome proviene dai negozi un
tempo ricavati negli ambienti interrati del teatro di Balbo (v.
pag. 457) e della "Porticus Minucia" (v. pag. 200; il lato S di
questa correva sotto gli edifici disposti lungo il lato meridionale
della strada) e il cui tracciato venne allargato nel 1938,
demolendo l'intero lato N, per meglio collegare piazza Venezia a
corso Vittorio Emanuele II. La si percorre a sin., incontrando al
N. 15 la chiesa di S. Stanislao dei Polacchi, l'antica S.
Salvatore in Pensilis, concessa da Gregorio XIII nel 1578 al
cardinale polacco Stanislao Osio, che la riedificò lasciandola ai
connazionali con l'annesso ospizio; la veste attuale è frutto di
una completa ristrutturazione, che interessò anche gli edifici
laterali (belle le cornici in stucco), terminata nel 1735 da
Francesco Ferrari; la sobria facciata è inquadrata da due ordini
di coppie di lesene.
L'interno, a una navata con arcature laterali e profondo
presbiterio, è coperto da una volta a botte lunettata riccamente
decorata, con al centro la Gloria di S. Stanislao di Ermenegildo
Costantini (1774-77). Al 1° altare d., Miracolo di S. Casimiro di
Franciszeck Smuglewicz (c. 1765) e Comunione di S. Stanislao
di Simone Czechowicz; al 2°, Risurrezione di Piotrowin di
Taddeus Kuntze (c. 1756). Sull'altare maggiore, Gesù con S.
Stanislao e S. Giacinto di Antiveduto Grammatica (fine sec.
XVI). Al 2° altare sin.: S. Edvige adora la croce del Czechowiez
(1725); al 1°, S. Giovanni Canzio di Salvatore Monosilio (1767).
Lasciate a d., in un contesto degradato e diroccato, due
colonne in peperino stuccato riferibili a un tempio di età
repubblicana che sorgeva nella "Porticus Minucia" (v. pag.
200), si raggiunge al N. 32 il palazzo Caetani, costruito nel
1564 per Alessandro Mattei forse da Nanni di Baccio Bigio o da
uno dei figli; passato ai Caetani nel 1776 e adibito dal 1963 a
sede della Fondazione Camillo Caetani, presenta una severa e
armoniosa facciata di tipo sangallesco.
Il portale immette in un cortile quadrato con tre arcate per
lato (doriche nel primo ordine, ioniche nel secondo), al di là del
quale è un secondo cortile con frammenti antichi e fontane; al
piano terreno, fregio ad affresco, ora su tela, con Scena bacchica
di Francesco da Castello (inizi sec. XVII); nel salone al primo
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piano, fregio con amorini di Taddeo e Federico Zuccari Per via


S. Nicola de' Cesarini, che al termine di via delle Botteghe
Oscure si stacca a d. costeggiando l'area sacra dell'Argentina (v.
pag. 199), si perviene in largo di Torre Argentina (v. pag. 197)

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