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fatto epoca
In genere, il lavoro dell’artista è ben separato da quello del critico o del teorico.
Coglie, quasi divinamente, i sentimenti del suo tempo e riesce ad esprimerli in
maniera visiva, ma raramente sa costruirci una filosofia attorno. Così, molto
spesso gli artisti lasciano che siano le loro opere a parlare per loro, anche
perché loro stessi non saprebbero spiegare del tutto i moventi delle loro
azioni.
Ci sono dei casi in cui, però, il pittore e l’architetto sanno anche illustrare i
motivi delle loro scelte. O, meglio, costruiscono le loro opere sulla base di un
ben preciso dettato teorico, elaborato nel corso degli anni. Quando ciò
avviene, arte e filosofia estetica si fondono, e spesso nascono creazioni capaci
di lasciare un segno profondo. Così è stato anche per Le Corbusier, uno degli
architetti più importanti e famosi del Novecento. Nei suoi lavori si possono
ritrovare le sue convinzioni estetiche, sintetizzate per la prima volta nel
saggio Verso una architettura del 1923 e poi in vari altri scritti
Villa Savoye a Poissy
La teoria di Le Corbusier messa in pratica
Gli elementi più distintivi si vedono già dall’esterno. Intanto si notano subito
i pilotis, i pilastri, che innalzano la struttura centrale al di sopra del livello del
terreno, cosa che il calcestruzzo armato finalmente permetteva di fare. Il tetto
poi è a terrazza e ospita un giardino, oltre a un solarium. Ci sono poi le finestre
a nastro, mentre la facciata e la pianta sono libere. I committenti, in realtà, non
furono molto contenti del lavoro. Intanto il costo passò dai previsti 500mila
franchi a 800mila. Poi, dopo appena poche villeggiature in quella villa di
campagna, i Savoye cominciarono a scrivere a Le Corbusier, lamentandosi
delle infiltrazioni al soffitto, dagli spifferi alle finestre e dal tremolio dei vetri
del lucernario.
Unité d’Habitation a Marsiglia
Un edificio per l’uomo moderno
La struttura, come si può vedere nella foto qui di fianco, è molto particolare,
ma non tradisce le idee di Le Corbusier. Colpisce subito, sia dall’esterno che
dall’interno, il tetto, creato con una gettata di calcestruzzo che è stato
modellato come a formare una vela rovesciata. Il peso della copertura, però,
non poggia sui muri, ma ancora una volta sui pilastri, che riescono a dare
un’idea di leggerezza al tutto. Le finestre, poi, pur essendo meno ampie di
quelle degli edifici civili, sono però numerosissime e di dimensioni molto
diverse, creando strani effetti di luce all’interno.
Palazzo dell’Assemblea a Chandigarh
Un’intera città da progettare in India
Fu però solo negli anni ’50 che questi sforzi di teoria urbanistica poterono
trovare un campo d’attuazione. Nel 1951 il primo ministro indiano, Jawaharlal
Nehru, gli chiese di disegnare una nuova città nel nord del paese. La metropoli
si sarebbe chiamata Chandigarh e sarebbe divenuta la capitale di due regioni
del nord. Le Corbusier ebbe praticamente mano libera nel disegnarla,
posizionandovi gli edifici governativi e le zone residenziali.
I due palazzi più belli di quella grande opera sono probabilmente il Palazzo
dell’Assemblea e quello di Giustizia. Il primo, in particolare, è un edificio in cui
ancora una volta la leggerezza della costruzione è assicurata dai pilastri, in cui
è lasciato ampio spazio alle vetrate e in cui si cercano costruzioni ardite nelle
coperture.