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Ricerca di storia sullo Statuto Albertino

Origine e storia

La storia costituzionale del nostro paese risale allo Statuto Albertino. Esso fu concesso dal re Carlo
Alberto il 4 marzo del 1848 ai sudditi del Regno di Sardegna. Fu esteso nel 1861 a tutta l’Italia
riunificata e restò in vigore fino all'emancipazione dell’attuale Costituzione repubblicana avvenuta
il 1° gennaio 1948.
Con la concessione dello Statuto la monarchia sabauda, che si era retta fino ad allora sulla formula
“il re comanda, la nobiltà appoggia, il popolo ubbidisce”, venne trasformata in una monarchia
costituzionale. Lo stesso sovrano infatti si impegnava ora a rispettare le nuove regole del gioco
politico, pur conservando un ruolo molto importante e per certi aspetti decisivo: comandava le
forze armate, dichiarava la guerra, firmava i trattati di pace, di alleanza e di commercio: nominava i
senatori (a vita) e i ministri, che dovevano godere della sua fiducia e che poteva
rimuovere dall'incarico in ogni momento. Poteva respingere una legge già votata dal parlamento,
nel caso in cui fosse a lui gradita: aveva la facoltà di concedere la grazia e di commutare pene. Il
parlamento era formato dal senato del governo e dalla camera dei deputati, i quali venivano eletti
ogni 5 anni dai cittadini più facoltosi.
Lo Statuto assicurava ai cittadini alcune libertà fondamentali (libertà di persona, di domicilio, di
stampa, di riunione, di religione, ecc.) ma dimenticava completamente di interessarsi degli stati più
bisognosi: per assicurare il diritto al lavoro, all'assistenza e alla previdenza. Per eliminare privilegi
e ingiustizie sociali, per allontanare la paura che nasce dal bisogno rendendo solo così gli uomini
veramente liberi e uguali.

Struttura e caratteristiche

Lo Statuto Albertino non si configura come una vera e propria costituzione, poiché ha lo stesso
rango delle leggi ordinarie e non si pone al di sopra di esse. Questo dettaglio è fondamentale
perché, teoricamente, per modificarlo (o addirittura abrogarlo) non sarebbe servito un processo
specifico e particolari maggioranze parlamentari (come accade per le carte costituzionali
contemporanee) ma un semplice atto del sovrano. In pratica, tuttavia, lo statuto è promulgato
come “legge fondamentale e perpetua della monarchia”, e dunque il sovrano è legato da un
impegno politico, se non giuridico, a garantirne il mantenimento. Al momento di salire al trono,
inoltre, il re giura “di osservare lealmente lo Statuto”. 
Come molte carte ottocentesche, si tratta di una costituzione “breve”: contiene cioè un numero
ristretto di principi fondamentali, che riguardano quasi esclusivamente la libertà del cittadino dallo
Stato e dalla sua azione, e le regole basilari della strutura statale, ma senza disciplinare aspetti della
vita civile e collettiva. Lo Stato non è laico, la religione cattolica è l’unica ufficialmente riconosciuta
mentre gli altri culti - si pensi agli ebrei o alla nutrita comunità valdese del Piemonte - sono
“tollerati” conformemente alle leggi. Lo Statuto Albertino è quindi una carte octroyée, ovvero una
legge fondamentale “concessa” con un atto spontaneo dal sovrano e non frutto di un processo
popolare, come invece la Costituzione della Repubblica Italiana: materialmente, quindi, lo statuto è
redatto da un “Consiglio di Conferenza” (di fatto coincidente col Consiglio dei ministri della
monarchia assoluta), nominato dal sovrano e non da un’assemblea costituente eletta dai cittadini. 
Pur nella nuova forma monarchico-rappresentativa disegnata dallo Statuto, il Re di Sardegna (e poi
d’Italia) conserva dei poteri considerevoli tanto da poter essere considerato il vero centro della
macchina statale, soprattutto grazie ad una imperfetta divisione dei poteri. Egli, infatti, condivide
con il parlamento bicamerale il potere d’iniziativa legislativa mentre è titolare assoluto del potere
esecutivo e di quello giudiziario. Il sovrano è allora colui che promulga le leggi, comanda le forze
armate e gestisce in completa autonomia la politica estera del Regno: con la sola clausula di
provvedere ad informare le camere dei trattati firmati “tosto che la sicurezza e l’interesse dello
Stato il permettano”. Il sovrano è anche il solo che abbia potere di concedere la grazia ai
condannati e di commutarne le pene. 
Anche nella vita parlamentare il re ha un ruolo determinante: non solo nomina personalmente i
membri del Senato (scegliendoli tra una ventina di categorie che comprendono anche i vescovi e gli
alti ufficiali) ma ha il potere di sciogliere a proprio piacimento la Camera dei Deputati quando le
decisioni di questa non si accordino con la politica della monarchia, salvo l’obbligo di convocare
nuove elezioni entro quattro mesi. Può inoltre, nel corso di una legislatura, modificare gli equilibri

parlamentari tramite “infornate” di senatori (il cui numero complessivo non è stabilito) favorevoli
alla corona. Come ognuna delle due camere, anche il sovrano può proporre le leggi: solo le
iniziative riguardanti nuovi tributi o i conti dello Stato devono necessariamente partire dalla
Camera dei Deputati. 
Dal punto di vista dei diritti e doveri dei cittadini, la situazione prefigurata dallo Statuto Albertino è
quella di una tipica monarchia liberale ottocentesca: le libertà e i diritti individuali sono garantiti
ma la partecipazione alla cosa pubblica è riservata a un’élite culturale, militare ed economica.
L’habeas corpus (ovvero il diritto alla libertà personale ad di fuori di un mandato dell’autorità
giudiziaria) e la libertà di stampa sono garantiti: nel secondo caso si rimanda alla legge ordinaria
per la repressione degli abusi, escludendo quindi la censura preventiva, come invece avveniva negli
Stati di Ancien régime. Il diritto di proprietà è inviolabile e l’esproprio è consentito solo dietro una
“giusta indennità”. La natura notabile della politica del regno emerge più chiaramente
dall’organizzazione della vita parlamentare: non solo il Senato, di nomina regia, è progettato per
moderare, con il proprio atteggiamento conservatore, le iniziative della Camera eletta dal popolo,
ma anche il corpo elettorale, di cui i deputati sono espressione, non è che una parte molto ristretta
degli abitanti del regno, a causa di una legge elettorale tutt’altro che inclusiva.
 Lo Statuto, inoltre, prescrive esplicitamente che i deputati e i senatori non debbano ricevere alcun
consenso per la loro attività, precludendo dunque implicitamente la rappresentanza politica a tutti
coloro che non abbiano rendite tali da poter rinunciare a lavorare durante il mandato.

La divisione dei poteri

Lo statuto Albertino si ispirava al principio della separazione dei poteri di Montesquieu, quindi
attribuiva: -Il potere esecutivo al Re. -Il potere legislativo al Re, al senato (eletto dal Re) e alla
camera dei deputati (eletta dal popolo a suffragio maschile ristretto).

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