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NOTTE STELLATA

{ Vincent Van Gogh, 1889, Museum of Modern Art (New York)


STORIA DELL’OPERA
L’opera fu dipinta da Vincent Van Gogh nel giugno
del 1889, durante il suo ricovero nella clinica
psichiatrica di Saint-Paul-de Mausole.
Il ricovero era seguito ad una serie di litigi con Paul
Gauguin, con condivideva un’abitazione nella città
di Arles , nella speranza di fondare una scuola
pittorica. L’episodio più clamoroso avvenne il 23
dicembre del 1888, quando Van Gogh, in preda ad
un attacco d’ira scaturito da una lite col coinquilino,
si tagliò di netto un orecchio. Dopo l’accaduto i
vicini firmarono una petizione per rinchiudere il
pittore in un manicomio. La petizione non andò a
buon fine ma fu Van Gogh stesso a rendersi conto
della propria condizione mentale e a richiedere il
ricovero in una clinica psichiatrica
Al momento in cui Vincent entra in ospedale, la
struttura non era piena di pazienti, ed è proprio
per questo motivo che viene concesso al pittore
di avere, oltre che la camera da letto, anche una
stanza al pianterreno da utilizzare come studio
per il suo lavoro.
Grazie a questa particolare (e fortunata)
situazione, Vincent può continuare a dipingere
tranquillamente i suoi lavori, riprendendo dal
punto in cui si era fermato ad Arles.
E’ proprio nel periodo che trascorre in
manicomio, che realizza alcune delle sue opere
più note: nel Maggio del 1889 dipinge Iris, in
seguito lavora anche ad un autoritratto, e poi,
ovviamente, La Notte Stellata. Nelle sue lettere
al fratello Theo il pittore dimostra come
considerasse il quadro uno dei suoi peggiori
fallimenti, tanto da decidere di spedirglielo per
farlo esporre solo pochi mesi prima della morte.
Dalle mani di Theo il quadro passò alla moglie
Jo, che lo vende a Georgette van Stolk, che lo
porta al MOMA di New York
L’OPERA

IL SOGGETTO RAPPRESENTATO
Il paesaggio notturno dipinto dal pittore olandese è stato identificato con uno
scorcio che doveva vedersi dall’interno della sua camera d’ospedale rivolta verso
est. Vincent avrebbe disegnato e colorato questa visione circa 21 volte, includendo
anche la notte stellata che è diventata famosissima.
Prima di dipingere il quadro definitivo, il pittore ha ritratto il panorama che vedeva
dalla propria camera in momenti diversi della giornata e con condizioni atmosferiche
variabili (tra cui il sole che sorge, con il tramonto, con il vento, con la pioggia e in tante
altre situazioni possibili). Infatti, nonostante la possibilità di poter usufruire di 2 stanze,
lo staff dell’ospedale psichiatrico non permette a Vincent di dipingere anche nella sua
camera da letto (ma solo nello studio), egli doveva ad arrangiarsi facendo dei rapidi
schizzi con matita o lavorando sulla carta, avendo spesso delle importanti intuizioni su
come migliorare addirittura alcuni lavori già completati.

Schizzi a matita della notte


stellata e delle zone circostanti
Diversamente da molte altre delle opere di Van
Gogh, Notte Stellata fu quindi dipinta a
memoria e non en plein air come egli era solito
fare. Soggetto della raffigurazione è il
paesaggio di un borgo, di notte e con dei colli
sullo sfondo. In primo piano vi è un alto e
scuro cipresso, un “soggetto difficile” – così lo
definì Van Gogh- e ricorrente durante il
soggiorno di Sàint-Rémy. I colli sullo sfondo
accolgono poi un piccolo paese dominato
dalla cuspide di un campanile. Non è una
notte placida e ferma, gli elementi della natura,
quelli del paesaggio e del villaggio, sembrano
vibrare con un moto tortuoso. Essi si spingono
verso l’alto, raggomitolandosi. Era quasi
impossibile che dalla finestra della stanza si
potesse vedere il paese, che deve quindi essere
o Nuenen o una reminiscenza del villaggio
natio , in quanto anche il campanile è tipico dei
campanili dei villaggi olandesi.
STRUTTURA DEL
QUADRO
La composizione è incentrata sul rapporto tra le linee verticali dei cipressi e del
campanile e la forte direttrice obliqua induce una forte spinta dinamica alla linea
dell’orizzonte. Il cielo notturno occupa due terzi dello spazio, la terra ed il cielo sono
collegati dal ciuffo di cipressi che sale dal basso a sinistra. La terra e il cielo sono
collegati dal ciuffo di cipressi che sale dal basso a sinistra. Il campanile affilato si staglia
contro i rilievi e raggiunge la zona del cielo, come una seconda linea di congiunzione fra
il mondo umano e quello superiore
Contrapposizione tra il cipresso,
che crea una zona scura molto
grande sulla sinistra del quadro,
e la zona occupata dalla luna, in
alto a destra, molto chiara e
brillante
COLORI E PENNELLATE
La visione viene resa armoniosa dal contrasto presente tra
l'ultramarino, i blu cobalto (tonalità costitutive del cielo) e i gialli
indiano e di zinco (i quali, invece, vanno a tingere le stelle). Il colore,
di consistenza molto fluida, è steso con uno spessore minimo, a piccoli
tocchi ravvicinati, lasciando qua e là spazi vuoti, dai quali si intravede
anche la trama della tela sottostante che, in corrispondenza delle stelle,
ne simula il tremolio. In questo modo il dipinto assume un tono
brillante ma freddo al tempo stesso, che restituisce l’atmosfera
rarefatta e quasi lattiginosa della notte stellata. La stesura dei colori
sottolinea però anche tutta l’ inquietudine dell’artista, evidenziata
dalla forza straordinaria dell’immagine, che si osserva soprattutto
nella parte superiore del quadro, quella che rappresenta la notte. Le
stelle , infatti, sembrano ruotare pericolosamente su sé stesse in
gorghi titanici e vorticosi, come se fossero meteore impazzite: ciò è
particolarmente evidente nel vortice centrale, dove l'intervento di
pennellate che cambiano ripetutamente direzione ne trasforma il
romantico pulsare in uno spasmodico turbinio
IL VORTICE TAOISTA
Il vortice centrale è la figura di maggiore sviluppo del quadro e ricorda molto la struttura del
cerchio taoista, composto da gocce opposte e complementari, le cui interazioni generano
mutamenti. E’ probabile che Van Gogh abbia conosciuto questi concetti nel 1886 a Parigi,
raccogliendo stampe giapponesi

Il simbolo taoista deriva dal concetto di Tao, che è uno dei principali
concetti del pensiero cinese e fu devinito, da Lao-tzu, fondatore di questa
religione.
Secondo Lao-tzu , prima di tutto vi era un non-essere trascendente e indifferenziato, il Tao appunto, che diede
origine all'essere, ciò che esiste e da cui nacque il mondo; anch'esso, tuttavia, è parte del Tao stesso, poiché della
sua stessa natura, ma ha dei confini. Si tratta quindi di una filosofia del mutamento, in cui il Tao iniziale è però
immutabile.

Il Tao all'inizio del tempo - nello stato di non-essere - era in uno stato chiamato wu ji (无极 = assenza di
differenziazioni/assenza di polarità). A un certo punto - nell'essere - si formarono due polarità di segno diverso
che rappresentano i principi fondamentali dell'universo, presenti nella natura[1]:

1)Yin, il principio negativo, freddo, luna, femminile ecc. rappresentano il nero.


2)Yang, il principio positivo, caldo, sole, maschile, ecc. rappresentano il bianco.

Lo scopo del taoista è comprendere questa evoluzione e le successive, e tornare, tramite la meditazione e la
retta pratica di vita, ad avvicinarsi all'unità iniziale del Tao: l'obiettivo finale è portare il discepolo, il praticante
e lo studente, ad un completo stato di unificazione con l'universo, con il Tao quindi. Tutta la vita emerge dal
Wuji, inconsapevolmente. Attraverso le pratiche taoiste è quindi possibile raggiungere l'immortalità (detta
xian) e ritornare allo stato di Wuji, energia pura, dissolvendosi nell'Uno, quindi nel Tao.

Da essi deriva tutto il mondo visibile e invisibile della cosmologia taoista.

I due principi, il divino individuo immaginario maschile e il divino immaginario femminile, iniziarono subito a
interagire, dando origine alla suprema polarità o T'ai Chi o Taiji . Il simbolo da tutti conosciuto come Taijitu è il
più famoso di molti simboli che rappresentano questa suprema polarità e che sono chiamati T'ai Chi T'u. È
importante evidenziare che nella filosofia Taoista Yin e Yang non hanno alcun significato morale, come buono o
cattivo, e sono considerati elementi di differenziazione complementari.

Da essi deriva il qi (detto anche ki o chi) l'energia che scorre nel mondo fisico, nell'orizzonte naturalista del
taoismo, rappresentato dai cinque elementi (acqua, legno, fuoco, metallo, terra), che si combinano a loro volta
nelle otto forze.
LA LUNA IN VAN GOGH
E IN LEOPARDI
La notte stellata di Vincent Van Gogh rappresenta forse, più di ogni altra opera del grande pittore, la summa della sua
concezione naturalistica, non tanto in termini strettamente filosofici, ma nel senso del suo rapporto quotidiano, visivo, con il
mondo esterno e, nella fattispecie, col firmamento.
Se osserviamo le dimensioni attribuite alle figure, prevale la volta stellata, il cielo maculato di astri, di bagliori e di
aureole. È evidente l'intento dell'autore di rappresentare un mondo sensibile, che affascina, stupisce, ammalia, per la sua
grandiosità, per l'energia che può emanare. La nota carica espressiva di Van Gogh fa sì che il cielo copra il paesaggio
sottostante, quasi ad avvolgerlo, a proteggerlo "affettuosamente" in un largo e materno abbraccio.
I colori della volta celeste si riflettono sulle case, sulle montagne, sui colli, ed ecco che una miriade di tasselli blu, gialli,
verdi, si giustappongono, si accostano, si mescolano. Dunque, Van Gogh, pittore spesso solare, di girasoli, di campi di
grano, di prati, non ha potuto sottrarsi al fascino di un paesaggio illuminato dalla luna, vissuta nel suo cuore come faro
prezioso o addirittura sole della notte, ma la composizione è comunque tinta da una vena malinconica, che lo accomuna ad
altri artisti dell'Ottocento, fra cui il nostro Leopardi. Il tema del firmamento, in particolare della luna, è presente in molti
poeti ed anche nel Recanatese, pur se in quest'ultimo assume volutamente le caratteristiche del quesito profondo, della
riflessione filosofica, della speculazione metafisica. Pure Leopardi riflette sul rapporto uomo-natura e sull'impossibilità
dell'individuo moderno di vivere un'esistenza appagante ed armoniosa con la realtà della vita. Calzante ci sembra
l'esempio del Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, nel quale ancora una volta viene espresso il suo pessimismo
cosmico. E forse vale la pena di completare il raffronto tra i due artisti, notando che il paesaggio di Van Gogh è fisico,
concreto, anche se poi finisce con l'indurre chi osserva a considerazioni sovrasensibili ed esistenziali, mentre la luna
descritta da Leopardi è silenziosa, astratta, tutto sommato lontana, troppo lontana dagli uomini per poter fornire delle
risposte ai tanti interrogativi che essi si pongono e che, molto spesso finiscono per farli smarrire, come sempre succede di
fronte ad un imperscrutabile mistero. La Luna di Van Gogh (che pure è artista tormentato da vicende sue personali, oltre
che dalla, più o meno cosciente, partecipazione agli eventi del tardo decadentismo) ha il calore, la suggestione e l'energia
per consolare, quella di Leopardi appare soltanto un enorme sasso in mezzo al cielo, che non ha ragione di esistere, perché
nulla può fare per l'uomo, se non illuminargli, materialmente, il cammino. La luna di Van Gogh è romantica, amica, calda
come la passione impetuosa e travolgente per la vita, quella del Leopardi è una luna più razionale, fredda, ma non per
questo meno bella e struggente. Ciò che accomuna i due artisti non è, ovviamente, la loro collocazione temporale all'interno
del medesimo secolo, ma l'uguale sentire e il lirico sgomento di fronte alla varietà dell'esistente.
VAN GOGH E FREUD: LA FOLLIA E IL
SOGNO
La follia e i disturbi psicologi in generale, di cui Van Gogh soffrì per gran parte della propria vita, furono
oggetto di grandi studi negli anni successivi alla morte del pittore e specialmente durante il ventesimo
secolo , grazie agli studi sulla psicanalisi di Sigmund Freud. Freud sin da giovane s'interessò all'anatomia
cerebrale e alle malattie nervose; dichiarò di essere pervenuto alla scoperta dell'inconscio e alla teoria
psicoanalitica che diventarono la base di ogni considerazione sulla follia. La rivoluzione riguardò
l'elaborazione di una prima topica (mappa) della psiche umana, che fu superato da una seconda topica
poiché non rispondeva appieno alla complessità dei fenomeni.
Attraverso la psicoanalisi Freud si propone di studiare quella parte oscura della struttura umana che si
agito al nostro interno, un calderone di impulsi ribollenti che egli chiama inconscio. l'apparato psichico
dunque risulta composto da:
ES: l'insieme di impulsi inconsci, quella parte inconscia della mente nella quale vengono relegate le
pulsioni e i traumi che non possono emergere per censura drastica dell'io
IO: la parte del pensiero consapevole che mantiene in equilibrio la mente umana, svolge la funzione di
censore e fa penetrare allo stato di consapevolezza ciò che può essere ricordato senza danni

Proprio dalla giusta relazione tra l'io e l'es nasce l'equilibrio psichico o la sindrome nevrotica; infatti,
nella psiche, in cui l'io agisce come censore nei confronti dell'es, si sviluppa la persona normale,
mentre nel momento in cui lo sfogo dell'es ha il sopravvento si ha la personalità perversa. Tale
funzione censoria dell'io si registra nell'attività onirica e in particolare, attraverso l'interpretazione del
sogno, l'analista può recepire le motivazioni dei trauma nevrotico o psichico.

SUPER-IO: la sede della coscienza morale e dei senso di colpa, rappresenta le norme di
comportamento che un individuo ha assimilato inconsciamente durante la crescita.
Se tali norme sono state percepite senza forti traumi si ha un equilibrio tra l'io e il super-io, altrimenti
c'è conflittualità tra le due parti dei pensiero con la conseguente nascita nell'individuo di una volontà
di trasgressione violenta proiettata all'esterno e che talvolta può sfociare nel patologico.
Bisogna quindi cercare di reprimere le forze dell'inconscio che ci spingono verso il piacere e verso la
libido attraverso la ragione ed il principio della realtà, che costringe le pulsioni della notte ad
incanalarsi per le vie della produzione artistica, della scienza, e così via. Se questa sublimazione non
avviene, allora si ha la nascita della malattia: la nevrosi che porta al delirio e all'indebolimento mentale
dell'individuo che è in perenne conflitto con se stesso. E qui che nasce la follia, iI pensiero assurdo ed
illogico, il totale abbandono della ragione. Allora Freud propose la cura della follia con il metodo delle
libere associazioni: il paziente viene portato a riconoscere i conflitti nascosti che producono le
alterazioni della psiche attraverso l'introspezione verbalmente espressa e il colloquio.

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