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L’EPILOGO
AVVERTENZA
Questo materiale didattico è stato predisposto in formato digitale dalla
professoressa Simonetta Parodi ad uso ESCLUSIVO e strettamente
PERSONALE degli studenti delle proprie classi 5^A e 5^D del liceo
classico «A. D’Oria» di Genova, in relazione all’emergenza sanitaria che
ha costretto alla chiusura degli Istituti scolastici sul territorio, e
nell’ambito della didattica a distanza che in conseguenza di ciò è stata
attivata sotto varie forme dalle scuole.
I testi che qui compaiono sono opera della professoressa Parodi, che ha
consultato diversi testi, cartacei e digitali, a sua disposizione, mentre le
immagini risalgono a materiali di dominio pubblico su internet. Si tratta
comunque di materiale che non appartiene a circuiti editoriali, pubblici
ecc. e che pertanto non deve essere assolutamente divulgato in alcun
modo al di fuori dell’uso didattico specificato sopra.
Grazie per la collaborazione.
Simonetta Parodi
Genova, 20 marzo 2020
Vincent Van Gogh
L’ospedale di Saint-Rémy
1889
Los Angeles, UCLA, Hammer Museum
Katsushika Hokusai
Iris, 1834 circa
Chicago, Art Institute
Nel periodo di Saint-Rémy (maggio 1889 – maggio 1890), Van Gogh si concentra su alcuni
aspetti del paesaggio provenzale, ai quali attribuisce anche un significato simbolico: campi di
grano (che ritorneranno durante il soggiorno a Auvers, negli ultimi mesi di vita), uliveti e
cipressi. Egli scrive infatti a Émile Bernard: «La mia ambizione si limita davvero a qualche
zolla di terra, del grano che germoglia, un uliveto». (26 novembre 1889)
Con i loro tronchi nodosi, gli ulivi trasmettono al pittore un senso di forza e di tenacia.
Campo di grano con cipressi, 1889 Campo di grano con cipressi, 1889
New York, The Metropolitan Museum Amsterdam, Museo Van Gogh
L’opera costituisce una rielaborazione interiorizzata di un paesaggio naturale, colto da una
finestra dell’ospedale di Saint-Rémy. L’ambiente provenzale si riconosce negli uliveti e nei
dolci declivi delle Alpilles, ma il paesino di Saint-Rémy si fonde nel ricordo del pittore con il
villaggio olandese di Nuenen, di cui compare qui la guglia sottile della chiesa protestante.
Al profilo aguzzo del campanile, circondato da un gruppo di piccole case con le finestre
illuminate, si contrappone sulla sinistra la sagoma nerastra di un cipresso, agitata dal vento
come una fiamma scura che tende al cielo. Quest’ultimo è attraversato da misteriosi vortici
tra i quali si accampano le stelle tremolanti e l’enorme luna.
Autoritratto, 1889
Parigi, Museo d’Orsay
«La testa con un berretto bianco, molto bionda, molto
chiara; anche la carnagione delle mani molto bianca, un
frac blu e uno sfondo blu cobalto. Le mani sono mani
da ostetrico, più chiare del volto»
(Lettera a Theo, 4 giugno 1890)
La chiesa medievale di Auvers è resa con piccole pennellate a onde, tratti e puntini e chiusa
in contorni tremolanti che le conferiscono un senso di instabilità, ribadito dai sentieri che si
biforcano, in primo piano. I colori sono scelti con finalità espressive: il cielo blu cobalto, più
scuro in alto, contrasta con la luce diurna che spande l’ombra dell’edificio sul prato.
Nel luglio 1890 van Gogh confida al fratello il proprio male di vivere.
«Non mi sento per niente imbarazzato nell’esprimere tristezza, e un’estrema solitudine…
Ritornato qui mi sono sentito molto triste. Che farci? Vedete, di solito cerco di essere di buon
umore; ma anche la mia vita è attaccata a un filo, anche il mio passo vacilla. Mi sono rimesso
al lavoro: però il pennello mi cadeva quasi di mano».
In tale stato d’animo Vincent realizza un gruppo di 3 tele che rappresentano campi di grano
sotto un cielo cupo, all’approssimarsi di un temporale.
«Sapendo bene ciò che volevo ho dipinto tre grandi quadri. Sono delle immense distese di
grano sotto cieli agitati; e non avevo bisogno di uscire dalla mia condizione per esprimere
tristezza e solitudine estrema».
Questo dipinto viene generalmente interpretato come una sorta di testamento pittorico che
traduce il tormento interiore di Van Gogh nei suoi ultimi giorni. Il 23 luglio 1890 egli scrive al
fratello parole enigmatiche e inquietanti, che lasciano sconcertato il povero Theo. «Avrei da
scriverti molte cose, ma non ne ho più voglia: ne sento l’inutilità». E ancora: l’artista prevede
che il proprio secolo «finirà con una grande rivoluzione», e che ci saranno «l’aria pura e tutta
la società rinfrescata dopo questi grandi uragani», ma per il momento non bisogna «farsi
ingannare dalla falsità della propria epoca fino al punto di non riconoscere le ore funeste,
soffocanti e depressive che precedono la bufera».