Sei sulla pagina 1di 22

LA FORMAZIONE

Vincent Van Gogh


AVVERTENZA
Questo materiale didattico è stato predisposto in formato digitale dalla
professoressa Simonetta Parodi ad uso ESCLUSIVO e strettamente
PERSONALE degli studenti delle proprie classi 5^A e 5^D del liceo
classico «A. D’Oria» di Genova, in relazione all’emergenza sanitaria che
ha costretto alla chiusura degli Istituti scolastici sul territorio, e
nell’ambito della didattica a distanza che in conseguenza di ciò è stata
attivata sotto varie forme dalle scuole.
I testi che qui compaiono sono opera della professoressa Parodi, che ha
consultato diversi testi, cartacei e digitali, a sua disposizione, mentre le
immagini risalgono a materiali di dominio pubblico su internet. Si tratta
comunque di materiale che non appartiene a circuiti editoriali, pubblici
ecc. e che pertanto non deve essere assolutamente divulgato in alcun
modo al di fuori dell’uso didattico specificato sopra.
Grazie per la collaborazione.
Simonetta Parodi
Genova, 16 marzo 2020
Vincent Van Gogh, Radici, 1882
Otterlo (NL), Museo Kröller-Müller

Nei disegni Vincent sperimenta le tecniche più


varie (penna e inchiostro, matita, carboncino,
acquerello) usando perfino la caseina del latte
come legante.
Le sue opere giovanili si muovono nel solco
del Realismo francese (Courbet, Daumier,
Millet) con richiami alla pittura olandese del
Seicento (Rembrandt). Il realismo e la copia
dal vero naturale non escludono però allusioni
simboliche ai tormenti interiori dell’artista.

Nato in un villaggio olandese (Groot Zundert) nel 1853, Van Gogh inizia a dipingere solo nel
1881, a 28 anni compiuti, ma con un lungo esercizio come disegnatore alle spalle. I suoi primi
schizzi furono realizzati a 9 anni, con una maestria incredibile per un bambino. Egli continua a
disegnare negli anni seguenti, ma molte sue opere di quel periodo sono andate perdute nei
frequenti traslochi di Vincent, oppure distrutte da familiari o conoscenti che non ne capivano
il valore. Di lui restano attualmente 908 fogli, spesso utilizzati da entrambi i lati. Si tratta in
genere di schizzi e disegni preparatori realizzati elaborando i propri quadri, oppure di copie
da riproduzioni o stampe da opere famose. Ci sono pervenute anche piccole illustrazioni a
penna con cui Vincent corredava le proprie lettere al fratello Theo, in particolare per meglio
descrivere i propri dipinti.
Vincent Van Gogh, L’«Angelus», 1880
copia da Millet
Otterlo (NL), Museo Kröller-Müller

Van Gogh si esercitò più volte a copiare i


quadri di Jean-François Millet (1814-75),
nato da una povera famiglia di agricoltori
della Normandia, che privilegiò nelle sue
opere la rappresentazione dei contadini
e della vita dei campi interpretata alla
luce della tradizione cristiana. Lontano
dalla critica sociale di Courbet e Daumier,
Millet nei propri dipinti descrive gli umili
in tono lirico e sentimentale, rischiando
di indulgere a una visione edulcorata e
paternalistica.

Jean-François Millet
L’«Angelus»
1859
Parigi, Museo d’Orsay
Vincent Van Gogh
Contadine che raccolgono patate, 1885
Otterlo (NL), Museo Kröller-Müller

Alla fine del 1883 Vincent raggiunge i suoi a


Nuenen, un villaggio presso Eindhoven,
dove il padre svolge la sua attività di pastore
calvinista. Qui il pittore rimane due anni e
produce circa 200 quadri fra paesaggi,
nature morte, «tessitori, donne che filano,
contadini che piantano patate». Gli abitanti
della campagna sono definiti con contorni
grossolani e tinte terrose che li accomunano
alla rigida natura invernale. Il riferimento è
sempre la pittura di Millet.
Nel frattempo Vincent manifesta sintomi di
depressione, gettando nello sconforto suo
padre, che così scrive al figlio minore Theo:
«come si fa ad aiutare uno che non vuol
essere aiutato?».

Jean-François Millet, Le spigolatrici, 1857


Parigi, Museo d’Orsay
Secondo Johanna Bonger, moglie di Theo Van Gogh e autrice di una biografia del cognato
Vincent, il pittore a partire dai suoi vent’anni viene descritto come «eccentrico»; quando nel
1874 torna dai genitori per le vacanze è depresso, abulico e inconsolabile. Negli anni seguenti
i suoi rapporti con la famiglia diventano sempre più difficili: Vincent, sempre più assorbito
dalla pittura, lavora troppo, è nervoso e intrattabile.

Nel dicembre 1883 Van Gogh, tornato dai genitori


dopo una convivenza finita male – con una
prostituta che egli aveva cercato invano di redimere,
con grande scandalo di parenti e amici – confida al
fratello: «C’è una tale ripugnanza a riprendermi in
casa! Come ad avere in casa un grosso cane ispido.
Starà tra i piedi a tutti. E abbaia così forte… Una
bestiaccia sporca, insomma. Molto bene; ma la
bestiaccia ha una storia, e pur essendo un cane,
un’anima umana; e per giunta molto sensibile».

(Lettera a Theo, 15 dicembre 1883)

Vincent Van Gogh


L’uscita della congregazione dalla chiesa
riformata di Nuenen, 1884
Amsterdam, Museo Van Gogh
A Nuenen esiste ancora la parrocchia
protestante raffigurata da Vincent e
oggi nota come Van Gogh kerkje.

Figlio di un pastore calvinista, il pittore


aveva tentato in gioventù la carriera
ecclesiastica, ma aveva fallito l’esame
di ammissione alla facoltà teologica
(1878). Negli anni seguenti (1879-80)
Vincent aveva svolto un’attività di
missionario laico presso i minatori del
Borinage, con zelo giudicato eccessivo
dai suoi superiori, che lo licenziarono.
Nel 1885, a Nuenen Van Gogh realizza il quadro più celebre della sua fase giovanile. L’opera,
anzi, è la prima cui Vincent si riferisce usando il termine «dipinto». In una lettera alla sorella
Wilhelmina egli scrive: «Di tutti i miei lavori, ritengo il quadro dei contadini che mangiano
patate, quadro che ho dipinto a Nuenen, decisamente il migliore che io abbia fatto» (1887).

I volti «rudi e piatti, con la fronte bassa e le


labbra grosse» (lettera a Theo, 2 maggio
1885) ricordano a Van Gogh «una patata
sporca di terra» e sono dipinti con decise
pennellate bianche e nere a contrasto.
L’ambiente chiuso e stretto, illuminato solo
da un fioco lume a petrolio, è descritto da
toni cupi e verdastri che ne accentuano la
miseria.

Vincent Van Gogh


I mangiatori di patate
1885
Amsterdam, Museo Van Gogh

Nel quadro Van Gogh si sforza di ottenere un effetto il più possibile realistico: egli racconta al
fratello di dipingere «anche di sera, alla luce della lampada», sino a che riesce a malapena a
distinguere i colori sulla tavolozza; «e questo per capire il più possibile i particolari effetti
dell’illuminazione notturna». Tuttavia i colori cupi e terrosi sono usati dal pittore in un senso
espressivo più ancora che naturalistico.
Honoré Daumier, Il vagone di terza classe, 1862
Ottawa, National Gallery of Canada

Daumier (1808 – 1879), pittore e caricaturista,


descrive la realtà sociale della propria epoca con
accentuazioni grottesche, riservando un’umana
compassione al proletariato, di cui illustra le
dure condizioni di vita.

Con I mangiatori di patate, Van Gogh acquisisce una


maggiore autonomia rispetto al modello di Millet, in
favore di un realismo molto più incisivo e rude, che si
ispira invece a Daumier. Vincent decide di non celare
più nulla della miseria che attanaglia la vita di questa
gente, ma ne esalta la fatica quotidiana, che diventa
espressione di severa moralità.

Vincent Van Gogh


Donna che pela patate, 1885
New York, Metropolitan Museum
Vincent Van Gogh descrive il proprio
dipinto, illustrandone la genesi e la
poetica al fratello Theo, in una lettera
del 9 aprile 1885.
La missiva è illustrata con un disegno a
penna che riproduce il quadro, secondo
un’abitudine che Vincent consoliderà
negli anni seguenti.
«Un contadino è più vero coi suoi abiti di fustagno tra i campi, che quando va a Messa la
domenica con una sorta di abito da società. Analogamente ritengo sia errato dare a un
quadro di contadini una patina liscia e convenzionale.
Se un quadro di contadini sa di pancetta, fumo, vapori che si levano dalle patate bollenti
– va bene, non è malsano; se una stalla sa di concime – va bene, è giusto che tale sia
l’odore di stalla; se un campo sa di grano maturo, patate o concime – va benone,
soprattutto per certa gente di città. Quadri del genere possono insegnare qualcosa».
(Lettera di Van Gogh al fratello Theo, 30 aprile 1885)
Le mani dei commensali sono grandi e nodose, deformate in senso espressionistico.
«Ho cercato di far capire come questa povera gente, che alla luce di una lampada mangia
patate servendosi dal piatto con le mani, con quelle stesse mani abbia zappato la terra dove
quelle patate sono cresciute. Il quadro, dunque, evoca il lavoro manuale e lascia intendere
che quei contadini hanno onestamente meritato di mangiare ciò che mangiano. Non vorrei
assolutamente che tutti si limitassero a trovarlo bello o pregevole».
(Lettera a Theo, 30 aprile 1885)
«Ma chi preferisce avere dei contadini una visione
dolciastra, vada pure per la sua strada. Da parte mia,
sono convinto che alla lunga dia miglior risultato
rappresentarli nella loro rudezza piuttosto che
attribuire loro un’amabilità convenzionale».

Israëls, pittore olandese di


origini ebraiche, è stato spesso
paragonato a Millet per la sua
rappresentazione della vita
degli umili, con toni emotivi e
di umana compassione. La sua
è una visione lirica e alquanto
edulcorata in confronto con
l’espressionismo di Van Gogh.
Jozef Israëls
Famiglia di contadini a tavola,
1882
Amsterdam, Museo Van Gogh
Verso la fine del 1885 Van Gogh lascia definitivamente la famiglia d’origine per trasferirsi ad
Anversa, dove s’iscrive all’Accademia di Belle Arti. Si è allontanato da Nuenen anche perché
sospettato ingiustamente di aver messo incinta una ragazza nubile che aveva posato per lui. Il
suo ultimo dipinto realizzato nel villaggio è una veduta invernale, in cui il cielo più luminoso
inizia a far presagire uno schiarirsi della tavolozza, come poi avverrà a Parigi, a contatto con
l’ambiente impressionista.

Nel febbraio 1886 Vincent fallisce un esame


all’Accademia e senza conoscerne l’esito
(«so con certezza che sarò classificato
ultimo, perché i disegni degli altri si
somigliano, mentre il mio si differenzia»)
parte all’improvviso per Parigi, dove chiede
ospitalità al fratello Theo, il quale dirige una
piccola galleria d’arte.
La coabitazione è quasi insopportabile per
il povero Theo, che lamenta il disordine e
l’irritabilità del fratello. Intanto Vincent si
iscrive a un corso di pittura dove fa amicizia
Vincent Van Gogh con Émile Bernard e Toulouse-Lautrec.
Il giardino del presbiterio a Nuenen Attraverso Theo conosce gli Impressionisti
1885 (Monet, Pissarro, Degas, Renoir) e Seurat.
Los Angeles, UCLA, Hammer Museum
Vincent Van Gogh
La collina di Montmartre con una cava di pietra
1886
Amsterdam, Museo Van Gogh

Nei due anni trascorsi a Parigi, il linguaggio


pittorico di Van Gogh cambia radicalmente, a
contatto con l’arte degli Impressionisti e sotto
l’influsso del pointillisme di Seurat e Signac. Ciò
si nota in due dipinti che raffigurano la collina
di Montmartre (dove il pittore abitava con suo
fratello). Nel primo i colori sono mescolati e
applicati sulla tela in forma ancora tradizionale
che richiama Corot e i pittori realisti, mentre il
secondo presenta pigmenti puri e squillanti,
dati a trattini, sul modello di Signac. I colori che
prevalgono sono il giallo e l’azzurro, come in
molti dipinti successivi di Van Gogh.

La collina di Montmartre
1887
Amsterdam, Stedelijk Museum
Durante il soggiorno a Parigi (1886 – 1888) Van
Gogh realizzò ben 230 quadri su un totale di
900 da lui prodotti nei suoi dieci anni di attività
artistica. Di questi 230, almeno 25 sono degli
autoritratti. Questo perché Vincent non aveva di
che pagare i modelli, ma anche perché ritrarre
se stesso gli consentiva di verificare la sua idea
dell’arte come mezzo introspettivo. Inoltre, in
questo modo Van Gogh riprendeva la tradizione
olandese e in particolare gli autoritratti di
Rembrandt, uno dei quali esposto al Louvre («i
ritratti dipinti da Rembrandt hanno qualcosa in
più del vero, contengono una rivelazione»).

Negli autoritratti Vincent oscilla fra la coscienza


di sé come élite culturale e guida dell’umanità
verso la vera bellezza, e l’angoscia di ritrovarsi
incompreso ed escluso dalla società.
In questo dipinto emerge l’influsso della tecnica
Vincent Van Gogh impressionista nella pennellata scissa in trattini
Autoritratto con cappello grigio, 1887 e filamenti e nell’uso dei colori complementari
Amsterdam, Stedelijk Museum (verde / rosso, arancio / azzurro).
L’evoluzione della pittura di Van Gogh nel periodo parigino è testimoniata anche dai due
ritratti successivi di Julien Tanguy, un anziano negoziante di colori e materiali da disegno, che
aveva partecipato nel 1871 alla Comune di Parigi e che era stato incarcerato per le proprie
idee politiche. Egli sovvenzionava i giovani artisti accettando in pagamento di tele e pigmenti
le loro opere (che non trovavano facilmente posto nei Salon ufficiali o nelle gallerie d’arte), e
per questa sua generosità era soprannominato père ossia «padre».

Vincent Van Gogh


Ritratto di Julien Tanguy, 1886
Copenaghen, Ny Carlsberg
Glyptotek

Vincent Van Gogh


Ritratto del «père» Tanguy
1887
Parigi, Museo Rodin
Tanguy viene raffigurato da Vincent su uno sfondo
costituito da stampe giapponesi che facevano
parte della numerosa collezione dei fratelli Van
Gogh. Nel quadro compare anche la copertina di
una rivista d’arte dell’epoca, dedicata al Giappone.

Le Japon
copertina di «Paris illustré»
anno IV, n. 45, maggio 1886
La copertina dedicata all’arte giapponese dal periodico
«Paris illustré» nel maggio 1886 ispira a Van Gogh un dipinto
dal titolo significativo di Giapponeseria (1887), costituito da
una ricombinazione di elementi desunti da varie stampe
Keisai Eisen (1791 – 1848) giapponesi dello stile detto ukiyo-e ovvero «immagini del
«Cortigiana in chimono decorato mondo fluttuante» (secolo XIX). Al centro di tale dipinto è la
con un drago», 1830 circa figura femminile desunta da un’opera di Keisai Eisen.
(Unryu Uchikake no Oiran)
Kawabata Gyokusho (1842 – 1913), Gru

La cortigiana (oiran) è incorniciata da Van Gogh con la


rappresentazione di un ambiente palustre ispirato alla
pittura giapponese, in cui spiccano diversi elementi
vegetali (bambù, ninfee) e animali (le gru e la rana,
che sembra sostenere il pannello con la figura). La gru,
Vincent Van Gogh tipica di molte immagini orientali, vuole forse alludere
Giapponeseria: «Oiran», 1887 al mestiere della oiran, dato che nel francese gergale
Amsterdam, Museo Van Gogh grue è un nomignolo che indica la prostituta.
Da Utagawa Yoshimaru è desunta invece la rana, un
altro animale che in Francia indicava popolarmente
la meretrice.

«Quello che invidio ai giapponesi è l’estrema


limpidezza che ogni elemento ha nelle loro
opere. Le loro opere sono semplici come un
respiro: i giapponesi riescono a creare figure
con pochi tratti, ma sicuri, con la stessa facilità
con la quale noi ci abbottoniamo il gilet.
Ah, devo riuscire anche io a creare delle figure
Utagawa Yoshimaru
Nuove stampe di vermi e insetti con pochi tratti!»
1883 (Lettera a Theo, 24 settembre 1888)
«Nell’amore, così come in tutta la natura, c’è
un appassire e un rifiorire: ma non una morte
definitiva. La marea si alza o si abbassa, ma il
mare resta il mare. E nell’amore, che sia per
una donna o per l’arte, ci sono momenti di
sfinimento e debolezza, ma non un disincanto
duraturo».

(Lettera a Theo, 11 febbraio 1883)

Vincent Van Gogh


Autoritratto con cappello di feltro, 1887
Amsterdam, Museo Van Gogh

Potrebbero piacerti anche