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Van Gogh

AD ARLES
AVVERTENZA
Questo materiale didattico è stato predisposto in formato digitale dalla
professoressa Simonetta Parodi ad uso ESCLUSIVO e strettamente
PERSONALE degli studenti delle proprie classi 5^A e 5^D del liceo
classico «A. D’Oria» di Genova, in relazione all’emergenza sanitaria che
ha costretto alla chiusura degli Istituti scolastici sul territorio, e
nell’ambito della didattica a distanza che in conseguenza di ciò è stata
attivata sotto varie forme dalle scuole.
I testi che qui compaiono sono opera della professoressa Parodi, che ha
consultato diversi testi, cartacei e digitali, a sua disposizione, mentre le
immagini risalgono a materiali di dominio pubblico su internet. Si tratta
comunque di materiale che non appartiene a circuiti editoriali, pubblici
ecc. e che pertanto non deve essere assolutamente divulgato in alcun
modo al di fuori dell’uso didattico specificato sopra.
Grazie per la collaborazione.
Simonetta Parodi
Genova, 18 marzo 2020
Vincent Van Gogh
La casa gialla
1888
Amsterdam, Museo Van Gogh

«Non sarei affatto sorpreso se gli impressionisti


trovassero da ridire sul mio nuovo stile, che è
stato alimentato dalle idee di Delacroix
piuttosto che dalle loro. Infatti, invece di ritrarre
fedelmente quello che mi sta davanti agli occhi,
mi servo molto più liberamente del colore per
esprimermi con maggior vigore».

Il 19 febbraio 1888 Van Gogh, frastornato dall’ambiente di Parigi , lascia la capitale e si


trasferisce ad Arles, in Provenza, dove «c’è ancora più colore e ancora più sole», come scrive
alla sorella Wilhelmina. Il sogno di Vincent è di fondare un Atelier du Midi, una «comune» di
artisti dediti all’elaborazione di una pittura moderna a contatto con la luce intensa del Sud.
Van Gogh alloggia in una locanda e inizia a dipingere con entusiasmo, sentendosi di nuovo
«capace a fare qualcosa», di fronte al «nuovo mondo» che ora gli si presenta di fronte, come
scrive a Theo. A maggio prende in affitto un appartamento di quattro stanze, che chiama la
«casa gialla», nel centro di Arles e vicino alla stazione ferroviaria.
La «casa gialla», un modesto
edificio al civico 2 di Place
Lamartine, fu distrutto da un
bombardamenti durante la II
guerra mondiale.
(25 giugno 1944)
Vincent Van Gogh
La camera dell’artista ad Arles
1888
Amsterdam, Museo Van Gogh

Nel settembre 1888 l’artista ritrae la propria camera da letto nella «casa gialla». Per quanto
realistico nel descrivere l’ambiente povero e scarno, il dipinto presenta colori che non
corrispondono a quanto testimoniato da Paul Signac, che narra di pareti imbiancate a calce,
e dello stesso Vincent, che scrive al fratello di «mobili bianchi». Ma più che una ripresa dal
vero si tratta di una proiezione dell’interiorità dell’artista, di un riflesso della propria vita
solitaria eppure creativa (in quel periodo Van Gogh aspetta con trepidazione l’arrivo ad Arles
di Gauguin, a più riprese sollecitato, per fondare insieme al collega l’Atelier du Midi.
Così Van Gogh descrive il dipinto in una lettera a
Theo, corredata di uno schizzo dell’opera.

«Ho fatto, sempre per uso mio, un quadro della


mia camera da letto, con i mobili in legno bianco
di cui sapete. Ebbene, mi ha molto divertito fare
questo interno senza niente, di una semplicità
alla Seurat; a tinte piatte ma stese
grossolanamente, senza diluire il colore. I muri di
un lilla pallido, il pavimento di un rosso spezzato
e stinto, le sedie e il letto giallo cromo, i cuscini e
il lenzuolo di un verde limone molto pallido, la
coperta rosso sangue, la toeletta arancione, il
catino blu, la finestra verde.
Avrei voluto esprimere un assoluto riposo con
tutti questi toni così diversi, lo vedete, e in cui di
bianco non c'è che la piccola nota data dallo
specchio con la cornice nera».

(Lettera a Theo, 17 ottobre 1888)


Van Gogh scrive al fratello che «Qui il
colore deve fare tutto, e poiché con il
suo effetto semplificante conferisce
maggiore stile alle cose, esso dovrà
suggerire riposo o sonno in generale.
In una parola, guardare il quadro deve
far riposare il cervello, o piuttosto
l'immaginazione [...]».
(Lettera a Theo, 17 ottobre 1888)

Eppure i colori acidi e la prospettiva


irregolare, per cui gli oggetti da un lato e
dall’altro della stanza convergono su due
punti di fuga diversi, conferiscono alla
scena un senso di pace instabile e quasi
di inquietudine trattenuta, così come la
finestra con le ante socchiuse, che non
lascia intravedere l’esterno, allude al
fatto che l’artista si isola dalla società.
«Il paese mi sembra bello come il Giappone per la limpidezza dell’aria e gli effetti di colori
vivaci. I corsi d’acqua nei paesaggi sono macchie di un bel colore smeraldo e di blu intenso,
proprio come si vede nelle stampe. I tramonti arancione pallido fanno sembrare blu il suolo:
il sole è di un giallo splendente». (Lettera a Émile Bernard, 15 marzo 1888)

Nei mesi di marzo e aprile 1888


Van Gogh realizza alcune tele che
raffigurano un ponte levatoio che
scavalca un canale fuori città. Il
ponte è noto col nome del suo
guardiano dell’epoca, Langlois.
I colori piatti e le forme sintetiche
richiamano le stampe giapponesi
mentre l’uso dei complementari
deriva dall’impressionismo.

«Intensificando tutti i colori a


volte si raggiunge di nuovo la
calma e l’armonia».
(Lettera alla sorella Wilhelmina)

Il ponte di Langlois, 1888


Otterlo (NL), Museo Kröller-Müller
Veduta di Arles con iris in primo piano
1888
Amsterdam, Museo Van Gogh

Nel maggio 1888 Van Gogh dipinge


questa veduta di Arles organizzata
secondo una prospettiva obliqua, con il
punto di fuga esterno al quadro, sul lato
sinistro.
«Qui la natura è straordinariamente bella:
la volta del cielo è di un azzurro mirabile,
il sole ha una radiosità giallo-sulfurea ed è
dolce ed armonioso».
(Lettera a Émile Bernard, 15 marzo 1888)

Nel dipinto la luminosità è accentuata mediante l’accostamento dei complementari: il blu


violaceo degli iris si contrappone al giallo del grano, il rosso dei tetti al verde degli ulivi. Il
cielo presenta la cosiddetta pittura a cellette, ovvero una serie di alveoli formati dalle creste
lasciate sulla tela dal pennello intriso di colore a corpo, non diluito.
«In questo momento bisogna dipingere gli aspetti ricchi e magnifici della natura: abbiamo
bisogno di buon umore e felicità, speranza e amore. Più divento brutto, vecchio, meschino,
malato, più mi voglio vendicare creando colori brillanti, ben combinati e risplendenti».
(Lettera alla sorella Wilhelmina, 14 settembre 1888)
Veduta di Arles con iris in primo piano
1888
disegno «a punto e tratto»

I punti individuano le zone in luce, mentre


i tratti più o meno spessi descrivono le
zone più scure.

In Provenza Van Gogh sperimenta una nuova


tecnica che deriva dall’arte giapponese, cioè il
disegno «a punto e tratto», realizzato con il
calamo, ovvero una cannuccia appuntita,
intinto nell’inchiostro.
La prospettiva nel disegno è più accademica,
del tipo detto accidentale cioè ad angolo con
due fuochi, esterni al quadro, sui lati (usata in
particolare nella scenografia barocca).
«Ho un nuovo soggetto in mente: campi a perdita d’occhio, biondi, che ho già disegnato due
volte». (Lettera a Theo del 12 giugno 1888)
La piana della Crau (o La mietitura)
1888
Amsterdam, Museo Van Gogh

Nel giugno 1888 Vincent si dedica a


un’altra serie di dipinti, aventi per
soggetto i campi di grano maturo.
Lavora instancabile sotto il sole
cocente, affascinato dalla vastità del
paesaggio e dalla «natura che arde».
La pianura si estende fino alle alture
dette Alpilles, con a sinistra l’abbazia
di Montmajour, in rovina.

Van Gogh, soddisfatto del proprio lavoro, e del «contrasto dei blu contro la componente
arancio del grano color bronzo dorato» dichiara al fratello che la tela «riduce al silenzio tutte
le altre». A Vincent la «piatta campagna» ricorda l’Olanda e piace «più del mare, perché pur
non essendo meno infinita, si capisce che è abitata». L’idea della vastità si appoggia ad una
solida costruzione prospettica, con il punto di fuga alquanto decentrato, in alto a sinistra.
«Il girasole è mio, in un certo senso»
Nell’estate del 1888 Van Gogh progetta una serie di
12 tele, aventi per soggetto un vaso con girasoli, con
le quali avrebbe decorato la stanza che gli serviva da
atelier.
Il riferimento è costituito dalle stampe con peonie o
crisantemi prodotte da artisti giapponesi come ad
esempio Hokusai. La serie sui girasoli di Van Gogh
precede di poco gli studi analoghi di Monet sui
pioppi, i covoni e le ninfee.

Il progetto di Vincent non fu interamente realizzato:


nel 1888 egli dipinse solo tre opere (di cui una è
conservata a Monaco di Baviera, un’altra alla
National Gallery di Londra e la terza in collezione
privata).
L’anno seguente l’artista volle riprendere il lavoro
interrotto e realizzò altri tre quadri: uno è esposto al
Museo Van Gogh di Amsterdam, uno a Filadelfia e
Vaso con girasoli uno a Tokyo.
1888 Questi dipinti sono attualmente tra i più popolari e
Monaco, Neue Pinakothek
riprodotti nella moderna cultura di massa.
«La luce del sole, che non avendo parola migliore posso solo definire
gialla: giallo pallido, sulfureo, limone, oro. Che bello il giallo»

Van Gogh scrive entusiasta al fratello: «Se realizzo


questo progetto, ci sarà una dozzina di tavole, perciò
l’insieme sarà una sinfonia di azzurro e giallo.
Ci lavoro ogni mattina fin dall’alba, perché i fiori
appassiscono in fretta, e bisogna dipingere l’insieme
tutto in una volta».
E all’amico Émile Bernard: «Sto pensando di decorare
il mio atelier con una dozzina di quadri di girasoli; una
decorazione in cui i gialli cromo, puri o mescolati,
risplenderanno su fondi azzurri, dal veronese più
pallido al blu reale, incorniciati da sottili listelli dipinti
a tratteggio arancione. Un effetto quasi da vetrate di
una chiesa gotica» (1888).

I Girasoli presentano paste cromatiche spesse, dai


colori accesi e vibranti, date con pennellate energiche
in modo da riprodurre le qualità materiche di tali fiori
in modo tridimensionale. Vaso con quindici girasoli
1888-89
Amsterdam, Museo Van Gogh
Van Gogh impiega tre notti, nel settembre 1888, per dipingere quest’opera, forse in risposta
a una scena di bordello inviatagli da Bernard. Al fratello Theo scrive: «Ho cercato di dipingere
le terribili passioni umane con il rosso e con il verde. È ovunque una lotta e un’antitesi dei
verdi e dei rossi più diversi, nei personaggi di piccoli teppisti che dormono, nella sala vuota e
triste ... Ho cercato di esprimere l‘idea che il caffè è un posto dove ci si può rovinare, diventar
pazzi, commettere dei crimini».

«Ho cercato di esprimere la potenza


tenebrosa quasi di un mattatoio, con
dei contrasti tra il rosa tenero e il
rosso sangue e feccia di vino, tra il
verdino Luigi XV e il Veronese, con i
verdi gialli e i blu intensi, tutto ciò in
un’atmosfera da fornace infernale di
zolfo pallido».

Caffè di notte, 1888


New Haven (USA), Yale University Art Gallery
Il dipinto lascia molto soddisfatto il suo autore, che lo considera di livello pari ai Mangiatori
di patate. Ogni singolo oggetto appare deformato in una violenta distorsione prospettica,
che crea un senso di angoscia e di vuoto. I colori sono quelli autentici del locale (raffigurato
anche da Gauguin) ma qui assumono un significato simbolico, creando un senso di violenza
e di disperazione negli accesi contrasti di rosso, verde e giallo.

La prospettiva decentrata, accentuata dal tavolo da biliardo posto in diagonale, aumenta


l’effetto di oppressione e di instabilità, prodotto anche dalle sedie sbilenche. Non c’è
allegria né animazione: i pochi avventori ai tavoli sono intorpiditi dall’alcool, solo il gestore
del locale, in piedi, attira lo sguardo con il proprio abito bianco, dove l’occhio trova riposo
dalla violenza dei colori circostanti. Un tratteggio vorticoso, di colore giallo, circonda le
lampade e rende la loro luce tremolante e inquieta.
Con l’arrivo tanto atteso di Gauguin, il 20 ottobre 1888, il sogno di Vincent di un Atelier du
Midi è destinato a infrangersi presto. La convivenza tra i due pittori diventa problematica
data la diversità di abitudini, la spigolosità del carattere di entrambi e le divergenze in
materia di arte. Le discussioni e i litigi si fanno sempre più aspri, fino al 23 dicembre, quando
al ritorno da una visita al museo di Montpellier, dopo aver litigato violentemente in un caffè,
fuori dal locale Van Gogh aggredisce il collega con un rasoio, costringendolo alla fuga (o
almeno, tale è la versione di Gauguin).
Quella stessa sera, rincasato da solo, Vincent si taglia il lobo dell’orecchio sinistro, lo avvolge
nella carta e lo invia a una prostituta che entrambi i pittori frequentavano.

«Vincent ed io non possiamo assolutamente vivere


insieme per incompatibilità di carattere; ed entrambi
abbiamo bisogno di tranquillità. È un uomo di notevole
intelligenza, lo rispetto, e mi dispiace dovermene andare;
ma, ripeto, è necessario».
Lettera di Gauguin a Theo Van Gogh, 20 dicembre 1889

Autoritratto con orecchio bendato


e pipa, 1889
Zurigo, Kunsthaus
Il dipinto è una tragica testimonianza del
dramma in cui ebbe fine l’amicizia tra Van
Gogh e Gauguin, che non si incontrarono
più da quel giorno.
Gli occhi arrossati di Vincent sembrano
riprendere il colore dello sfondo sanguigno
che allude simbolicamente alla violenza
autolesionistica del pittore.

La composizione, di tipo tradizionale, con


la figura a piramide, è caratterizzata dal
contrasto fra i complementari blu/arancio,
verde/rosso. L’orecchio ferito appare sulla
destra della figura perché il ritratto è stato
ovviamente realizzato allo specchio.
Lo stesso tipo di fondale appare anche
nell’ Autoritratto con l’aureola dipinto da
Gauguin in quello stesso anno (1889).
Vincent Van Gogh
Autoritratto con orecchio bendato e pipa, 1889
Zurigo, Kunsthaus
Il giardino dell’ospedale di Arles, 1889
Winterthur (CH), Sammlung Oskar Reinhart

Van Gogh è ricoverato a forza nell’Hotel-Dieu, antico ospedale di Arles, dopo il suo noto gesto
autolesionistico del dicembre 1888. Ai primi di gennaio del 1889 viene dimesso e ricomincia a
dipingere, ma l’insonnia e le allucinazioni lo costringono a farsi ricoverare di nuovo all’inizio di
febbraio, dove rimane fino ad aprile, quando può riprendere una vita quasi normale,
dedicandosi all’arte e alla lettura. Intanto, però, una petizione al sindaco di Arles, firmata da
80 cittadini, chiede l’internamento del pittore, il cui comportamento eccentrico e umorale
desta molte ansie. Alla fine Van Gogh decide spontaneamente di farsi ricoverare in una casa
di cura per malattie mentali a Saint-Rémy , dove entra l’8 maggio 1889.
«La pittura giapponese piace, se ne subisce l’influsso, tutti gli impressionisti hanno
questo in comune: e non si dovrebbe andare in Giappone, vale a dire quello che
corrisponde al Giappone, e cioè il Sud?
Vorrei che tu passassi un po’ di tempo qui: capiresti dopo un po’, l’occhio cambia, si
vede con un occhio più giapponese, si sente il colore in modo diverso».

Veduta di Arles con frutteto in fiore


1889
Monaco, Neue Pinakothek

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