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Pierre –Auguste Renoir

(1841-1919)
La tavolozza di Renoir era pulita «come una moneta nuova di zecca».
Era una tavolozza quadrata, incastrata sul coperchio di una cassetta della stessa forma. Su un tavolo
basso, vicino al cavalletto, c’era un bicchiere pieno di trementina, in cui risciacquava il pennello dopo
ogni pennellata, o quasi. Nella cassetta e sul tavolo teneva alcuni pennelli di ricambio, ma non ne
usava mai più di due o tre per volta. Quando iniziavano a consumarsi, quando sbavavano sulla tela o
quando per qualsiasi motivo non garantivano più l’assoluta precisione della pennellata, li gettava via.
Sul tavolo c’era anche qualche straccio pulito, su cui ogni tanto metteva i pennelli ad asciugare. La
cassetta e il tavolo erano sempre in perfetto ordine, e i tubetti di colore ben arrotolati dal fondo, in
modo che bastava premerli leggermente per ottenere la tonalità di colore desiderata. Per pulire la
tavolozza la raschiava, poi puliva il raschietto con un pezzo di carta che subito gettava nel fuoco e lo
sfregava con uno straccio imbevuto di trementina, finché sul legno non rimaneva più nessuna traccia
di colore. Infine gettava nel fuoco anche lo straccio. Lavava i pennelli con acqua fredda e sapone, e a
volte incaricava me di lavarli, cosa di cui andavo fiero.
Pierre-Auguste Renoir, Autoritratto, olio su tela, 39,1x31,6, 1875 ca.
Sterling and Francine Clark Collection, Williamstown, Massachusetts
Col passare degli anni mio padre aveva semplificato sempre di più la sua tavolozza […] e
ormai i grumi di colore sembravano perdersi sulla superficie di legno, tra gli spazi vuoti.
Renoir vi attingeva con parsimonia, con rispetto [...]. Non amava le tele fini, perché erano
morbide da dipingere, ma poco resistenti. Questa era la motivazione apparente, ma poi ce
n’era una inconscia: la sua ammirazione per il Veronese, Tiziano, Velázquez, che sembra
dipingessero su tele dalla trama piuttosto grossa. Del resto le due motivazioni andavano di
pari passo, perché mio padre era convinto da un lato che quei grandi maestri volessero creare
opere eterne, dall’altro che i suoi quadri non sarebbero stati capiti prima che fosse passato
almeno mezzo secolo. Amava dire: «Vorrei poter nascondere le mie tele e chiedere ai miei figli
di metterle da parte per molto tempo, prima di esporle al pubblico». Sperava che le sue opere
vivessero tanto a lungo da potere essere giudicate in un momento più favorevole.

da Jean Renoir, Renoir, mon père, 1962


Secondo il figlio Jean – il celebre regista – nulla poteva far presagire che Pierre-Auguste Renoir, figlio di modesti
artigiani (il padre era un sarto), avrebbe “varcato il Rubicone” per diventare un artista professionista. Dopo un
iniziale apprendistato come decoratore di porcellane, il giovane Renoir frequenta l'École des Beaux-Arts (1862-1863) e
l'atelier privato del pittore neo-greco Charles Gleyre (1806-1874). Nell'atelier di Gleyre, oltre a impratichirsi nel
disegno e nella pittura dal vero, Renoir stringe amicizia con Sisley, Monet e Bazille; incontri determinanti ai quali
vanno aggiunti quelli con Pissarro, Cézanne, Berthe Morisot e Degas. Questa nuova generazione di artisti assetati di
fama – accomunati dalla profonda ammirazione per i predecessori: Delacroix, Corot, i paesaggisti della cosiddetta
“scuola di Barbizon”, ma anche Courbet e Manet – aspira a diffondere un linguaggio artistico nuovo, ancorato alla
vita moderna, e intende rinnovare soggetti e temi tradizionali tramite uno stile immediato e scevro da rifiniture
accademiche.
Intorno al 1865 a Parigi si moltiplicano gli scambi tra giovani artisti. Sedute di pittura in comune,
all'aperto o in studio, ritratti reciproci, vedute d'atelier in cui si giustappongono i quadri degli uni e degli
altri con un'effervescenza creativa che sfocerà nel 1874 nell'allestimento della prima mostra degli
“Impressionisti”, secondo la definizione derisoria affibbiata allora dalla stampa a Renoir, Monet, Degas,
Cézanne, Pissarro, Sisley e Berthe Morisot. Nel corso delle otto esposizioni organizzate dal gruppo, più o
meno al completo fino al 1886, la pittura impressionista si scontra in effetti con l'incomprensione,
mitigata tuttavia dal sostegno di alcuni precoci e convinti ammiratori.
Noi adoriamo le donne di Renoir
Con questa dichiarazione, Marcel Proust pone l'accento su uno dei temi preferiti da Renoir e sottolinea come
il pittore abbia rinnovato lo sguardo: “Ecco che il mondo (che non è stato creato una volta per tutte, ma si
rinnova ogni volta che vede la luce un artista autentico) ci appare completamente diverso dal vecchio, ma
assolutamente chiaro. Per la strada passeggiano donne diverse da quelle del passato, diverse perché sono opera
di Renoir, lo stesso Renoir sulle cui tele un tempo ci rifiutavamo di vedere delle donne”.
A partire dalla metà degli anni sessanta, la figura femminile è al centro dei pensieri di Renoir: i suoi
ritratti obbediscono certo all'imperativo della somiglianza, ma sono anche quadri di genere le cui
protagoniste – fidanzate, amiche, sartine o commesse di Montmartre che l'artista convince a posare –
sembrano intercambiabili. In aperto contrasto con i canoni accademici, Renoir inventa un nuovo tipo
femminile e contribuisce alla creazione del mito della Parigina moderna che affascina tanto i
contemporanei. Renoir ridefinisce il “femminino”, come hanno auspicato i romanzieri naturalisti quali
Zola e i sostenitori della “Nuova pittura”. Mentre raffigura la “donna francese vivente” celebrata dal
critico e romanziere Edmond Duranty, Renoir crea un tipo fisico che gli è proprio, riconoscibile tra tutti,
anche se si evolve nel corso del tempo.
Bal au Moulin de la Galette, 1876, olio su tela, 131x176
Parigi, Musée d’Orsay
Quest'opera è senza dubbio la più importante di quelle realizzate da Renoir intorno alla metà degli anni
settanta del XIX secolo e fu esposta alla mostra del gruppo impressionista del 1877. Benché il pittore scelga
di raffigurare alcuni suoi amici, egli cerca soprattutto di riprodurre su tela la stessa atmosfera
travolgente e gioiosa di questo locale della collina di Montmartre. Lo studio della folla in movimento in
una luce sia naturale che artificiale è affrontato facendo ricorso a pennellate decise e vivaci. L'impressione
di una sorta di dissolvimento delle forme fu una delle cause delle reazioni negative da parte dei critici
dell'epoca.
Eugène Cicéri, Il Moulin de la Galette a Montmartre, 1856
Parigi, Musée Carnavalet
Vincent Van Gogh, Il Moulin de la Galette, 1886
Berlino, Nationalgalerie
Il Bal au Moulin de la Galette, in virtù del suo soggetto profondamente ancorato nella vita parigina
dell'epoca, del suo stile innovativo ma anche del suo formato imponente, segno dell'ambizioso progetto di
Renoir, è uno dei capolavori degli albori dell'impressionismo.
Georges Rivière, L’exposition des Impressionistes, in «L’Impressionistes», 6 aprile 1877

Rumore, risate, movimento e sole in un’atmosfera di giovinezza – questo è il Ballo al Moulin de la Galette di Renoir . È
un’opera essenzialmente parigina [...]. Certamente Renoir ha il diritto di essere fiero del suo Ballo: non è stato mai meglio
ispirato. È una pagina di storia, un monumento prezioso della vita parigina, di una rigorosa precisione. Nessuno prima di
lui aveva pensato di descrivere un episodio di vita quotidiana in una tela di così grandi dimensioni; è un’audacia che il
successo ricompenserà come conviene. Questo quadro ha per il futuro una grande importanza, che teniamo a segnalare. È
un quadro storico. Renoir e i suoi amici hanno capito che la pittura non è l’illustrazione, più o meno divertente, delle
favole del passato; hanno aperto una strada che altri certamente seguiranno. Che quelli che vogliono fare della pittura di
storia, facciano la storia del loro tempo, invece di scuotere la polvere dei secoli passati.
Il dipinto, firmato e datato in basso a destra, raffigura un
ballo al Moulin de la Galette, luogo di ritrovo all’aperto
ricavato in un ex mulino nel quartiere di Montmartre,
allora caratterizzato da un panorama preurbano, ben
espresso dalle casupole con orti e giardini cintati. Il luogo,
sinonimo di divertimento popolare per antonomasia, era
affollato da operai e sartine che si divertivano alle note
sfrenate della polka o di allegri valzer pomeridiani.
Come in una foto istantanea, il dipinto ferma per l’appunto
un momento di spensieratezza e divertimento, nel quale
coppie di avventori danzano al suono dell’orchestra, in un
gioco di luci contrastanti, fra il sole ardente, la luce più
fioca e artificiale dei lampioni e l’ombra degli alberi
L’ambiente è di una semplicità priva di lusso: alcune
panchine da giardino, una comune sedia di legno e dei
tavoli senza tovaglia, come quello a destra, dove sono
poggiati bottiglie e bicchieri.
Vestiti con gli abiti della domenica, gli uomini indossano
cappelli di paglia, tipici della bella stagione.
Molti amici dell’artista hanno posato come modelli per i danzatori e
per il gruppo di giovani che conversano seduti intorno a un tavolo in
primo piano. Lo scrittore Georges Rivière, critico molto favorevole a
Renoir, li descrive così:
«I personaggi che compaiono nel quadro ci raggiungevano al Moulin
ed eravamo spesso assai numerosi. È Estelle, sorella di Jeanne, che
vediamo in primo piano sulla panchina da giardino. Lamy,
Gœuneuette ed io siamo seduti a un tavolino di legno, con alcuni
bicchieri di sciroppo, la tradizionale granita».
Secondo i principi
dell’impressionismo, Renoir
dipinge con rapidi tocchi di
pennello, utilizzando colori
saturi (colori puri, non
mescolati a bianco o nero, o In primo piano, come in
anche a un colore quello successivo, i profili e le
complementare). La scena, silhouette appaiono fluidi e
immersa in una luce indefiniti. Qui Renoir
bluastra, si anima di punti contraddice la tradizione
luminosi: sono i raggi del sole accademica, secondo la quale le
che passano attraverso le figure devono essere disegnate
fronde degli alberi, per estremamente nitide e
poggiarsi, qui e là, su una particolareggiate in primo
superficie o su un volto. La piano per poi divenire via via
luce, variabile e tremolante, meno definite mano a mano
cui si mescola anche quella che si allontanano. Questa
più flebile dei lampioni, libertà sarà per la critica
contribuisce al dissolversi ufficiale un argomento su cui
della concretezza delle forme costruire l’ostilità verso il
e dei volumi. dipinto.
In quest’opera l’organizzazione dello spazio, pur mantenendo un’impostazione tradizionale, si allontana sottilmente dai precetti
dell’Accademia. Ignorando le regole della prospettiva, infatti, Renoir rappresenta la scena come viene percepita dall’occhio, in una
successione di piani cromatici all’interno di un movimento disordinato e vitale.
Si osserva una certa sproporzione fra le grandi figure in primo piano e quelle dei ballerini retrostanti, a dimostrazione della
volontà del pittore di raffigurare la profondità del luogo senza regolarla con teoremi geometrici razionali e rigorosi.
Ernst H. Gombrich sul Bal au Moulin de la Galette, in The Story of Art, 1950

Egli [Renoir] vuole far emergere il gaio guazzabuglio dei colori brillanti e studiare gli effetti della luce solare sul
turbinio della folla [...]. Solo le teste di alcune figure in primo piano rivelano un certo livello di dettaglio, ma anch’esse
sono dipinte nel modo più anticonvenzionale e audace possibile. Gli occhi e la fronte della ragazza seduta sono in ombra,
mentre il sole gioca sulla sua bocca e il suo mento. Il suo vestito chiaro è reso con tocchi approssimativi, più azzardati
persino di quelli impiegati da Frans Hals o da Velázquez. Ma queste sono le sole figure che riusciamo a mettere a fuoco.
Oltre, le forme appaiono sempre di più dissolte nella luce del sole e nell’aria [...]. Un simile conflitto aveva coinvolto gli
artisti molto tempo prima, nel XV secolo, quando avevano scoperto come rispecchiare la natura [...]. Le conquiste del
naturalismo e della prospettiva avevano reso le loro figure in qualche modo rigide e legnose, e soltanto il genio di Leonardo
seppe superare questa difficoltà lasciando che le forme si sciogliessero nelle ombre, introducendo quell’artificio che prese il
nome di ‘sfumato’. Gli artisti scoprirono poi che le ombre marcate proprie del modellato di Leonardo non si riscontrano
nella luce solare all’aria aperta; ciò determinò l’abbandono di questa tecnica tradizionale da parte degli impressionisti.
Essi dovevano spingersi nelle sfumature intenzionali dei contorni più lontano di quanto ogni generazione precedente
avesse fatto. Sapevano che l’occhio umano era uno strumento meraviglioso, cui basta solo un giusto suggerimento per
costruire l’intera forma che sa essere là. Ma è necesario saper guardare questi dipinti. Coloro che per primi visitarono la
mostra degli impressionisti s’imbatterono in tele in cui non seppero vedere che confusione e pennellate casuali. Ecco perché
pensarono che questi pittori dovessero essere pazzi.
La colazione dei canottieri, 1880-1882, olio su tela, 129,5x172,5
Washington, The Phillips Collection
Nell’estate del 1880, a Chatou, località vicino a Parigi sulle rive dellaSenna, Renoir inizia a lavorare a un’opera che fin
da subito gli costa non poche preoccupazioni sia tecniche sia finanziarie. Dopo il Bal au Moulin de la Galette, si appresta
nuovamente ad affrontare una tela di grandi dimensioni e un tema di svago a lui familiare: il pranzo di un giorno di
festa sulla terrazza della Maison Fournaise, un ristorante con noleggio barche e barcone galleggiante per le gite sul
fiume, aperto nel 1857 da Alphonse Fournaise sull’isolotto oggi noto con il nome di Ile des Impressionistes (Isola degli
Impressionisti), proprio perché, oltre ad essere frequentato dai canottieri, vi andavano gli artisti per dipingere all’aria
aperta. Molti dei protagonisti dell’opera sono amici del pittore: Aline Charigot, la bellissima modella (di umili origini) che
Renoir sposerà nel 1890, siede sulla sinistra vezzeggiando un cagnolino; dietro di lei il figlio del proprietario, Alphonse
Fournaise jr., si appoggia alla balaustra poco distante dalla sorella Alphonsine, anche appoggiata al balcone mentre
osserva partecipe l’allegra brigata. Il personaggio seduto in primo piano sulla destra a cavalcioni della sedia, che guarda
davanti a sé, è probabilmente Gustave Caillebotte, mentre la giovane ragazza con il bicchiere di vetro, che sembra assorta
in un mondo a sé è l’attrice Ellen Andrée.
Renoir inserisce le figure nello spazio della terrazza, chiusa da una balaustra e da esili strutture di ferro che sorreggono
una tenda: la tavola imbandita, collocata al centro, scandisce il taglio diagonale dell’immagine e le conferisce una certa
profondità.
Il quadro offre uno spaccato della società francese del diciannovesimo secolo e restituisce un’atmosfera di spontaneità e
freschezza, dove i generi artistici tradizionali, quali la pittura di paesaggio, la natura morta e il ritratto, si incontrano.
Il risultato è un dipinto che cattura l'atmosfera di un luogo idilliaco in cui un gruppo di amici condivide il piacere di un
cibo genuino, del buon vino e della natura.

Un aneddoto:
sembra che questa tela sia nata da una sorta di scommessa con Emile Zola. Lo scrittore aveva infatti sfidato
gli impressionisti, criticati per la loro pittura superficiale e vaga, a creare una complessa scena di vita moderna, frutto di
una lunga riflessione, che inaugurasse un nuovo stile pittorico. La Colazione dei canottieri fu la risposta di Renoir.
IL VIAGGIO IN ITALIA
Questo dipinto ci colloca in una strada trafficata di Parigi vicino a sei figure
principali che riempiono il primo piano. Una folla alle loro spalle blocca
quasi completamente il viale più in là. Il quarto superiore dell'immagine è
per lo più occupato da una tettoia composta da almeno una dozzina di
ombrelli. L’opera fu l'ultimo dei dipinti verticali su larga scala della vita
moderna di Renoir prima che si dedicasse a soggetti più tradizionali come
paesaggi, nudi e ritratti. È significativo anche perché sia la sua
composizione che il suo metodo pittorico indicano già un cambiamento
nell'arte di Renoir avvenuto durante gli anni Ottanta dell'Ottocento.
Quando iniziò a dipingere Gli ombrelli, Renoir stava ottenendo il
riconoscimento di una ristretta cerchia di mecenati e collezionisti. Ma stava
anche cominciando a rivalutare la sua arte e il suo rapporto con
l'impressionismo. Come commentò più tardi al mercante d'arte Ambroise
Vollard: 'Ero giunto alla fine dell'impressionismo e stavo giungendo alla
conclusione che non sapevo né dipingere né disegnare. In una parola, ero a
un vicolo cieco».
Come altri artisti impressionisti, Renoir aveva lavorato applicando rapidi tocchi
di colore brillante, spesso non miscelato, per creare superfici luminose e
scintillanti. Questo metodo era particolarmente adatto ai paesaggi all'aria aperta,
ma l’artista era anche alla ricerca di una maggiore struttura e chiarezza della
forma. In questo cercò "l'istruzione dei musei", sviluppando una particolare
ammirazione per Ingres, soprattutto per i suoi disegni. Durante il fondamentale
viaggio in Italia dal 1881 al 1882 si ispirò agli affreschi di Raffaello nella Villa
Farnesina, a Roma, e agli antichi dipinti murali romani a Napoli. Credeva che
l'arte classica avesse una "purezza e grandezza" che mancavano alla sua opera, e
questa percezione fu forse rafforzata durante un lungo soggiorno con Cézanne in
Provenza durante il viaggio di ritorno. Non solo Gli ombrelli furono dipinti
durante questo periodo di rivalutazione artistica, ma furono prodotti in due fasi
con un intervallo di circa quattro anni tra la prima fase (molto probabilmente
1880–1881) e la seconda (1884–1885). Dopo aver messo da parte il quadro,
Renoir fu spinto a completarlo quando doveva essere incluso in un'importante
mostra di pittura impressionista che sarebbe stata inaugurata a New York
nell'aprile 1886.
Gli ombrelli è un dipinto di due stili distinti. Durante la prima fase del
suo lavoro, Renoir ha dipinto il gruppo a destra che comprende una
madre e le sue due figlie e la donna di profilo al centro che alza lo
sguardo mentre apre l'ombrello. Queste persone, presentate di profilo,
sono dipinte in modo tipicamente impressionista. Renoir utilizza delicati
tocchi piumati di ricchi toni luminosi di blu, verde e arancione, che
evocano la lucentezza del velluto e la trama di piume e pizzi. I loro
lineamenti morbidi del viso non sono chiaramente modellati e Renoir
evita i contorni netti.
Anche le persone a sinistra del dipinto, inclusa la giovane donna a figura
intera - un'assistente di modista che tiene in mano una scatola di nastri - e
l'uomo in piedi dietro di lei, erano originariamente dipinti utilizzando la
tecnica impressionista. In questa prima fase anche l'assistente della modista
indossava un cappello. Renoir ha poi ridipinto il gruppo durante la seconda
fase di evoluzione del quadro, abbandonando la tecnica morbida per uno stile
più lineare. Queste figure ora hanno contorni chiaramente definiti e
caratteristiche disegnate con precisione. L'attenzione di Renoir per Ingres è
forse evidente anche nei contorni fluidi della testa e del busto della giovane
donna. La pennellata su questo lato della tela è più uniforme e aiuta a creare
un senso di forma tridimensionale. Molto più strutturato anche il lungo abito
grigio-blu della donna a sinistra (con echi di Cézanne). Le sue pieghe e le sue
linee sono descritte più chiaramente degli abiti blu delle donne al centro, che
quasi si fondono l'uno con l'altro.
Anche i cambiamenti nella moda femminile forniscono una chiara prova
dell'intervallo di quattro anni per completare il quadro. Le figure a destra indossano
abiti costosi entrati in voga intorno al 1881 e rimasti di moda l'anno
successivo. Tuttavia, l'abito della giovane donna a sinistra, che è molto diverso nel
taglio e nelle linee più rigorose, entrò di moda solo intorno al 1885. Come Madame
Moitessier di Ingres , le donne di quest’opera di Renoir indossano abiti all'ultima
moda. Un attento esame tecnico dell'immagine, comprese le radiografie, ha fornito
ulteriori prove sulle differenze stilistiche tra le due metà dell'immagine. Non solo la
realizzazione del fondo dei due gruppi è completamente dissimile, ma anche le loro
superfici pittoriche sono state realizzate in modi abbastanza distinti. Le parti a destra
inizialmente erano indicate solo in modo molto vago prima di essere gradualmente
perfezionate. Tuttavia, le figure e le forme a sinistra erano chiaramente definite fin
dall'inizio e Renoir apportò anche una serie di modifiche man mano che il lavoro
procedeva. Cambiò persino la scelta della pittura per il quadro, sostituendo il giallo
cromo e il blu cobalto (i suoi pigmenti preferiti dalla metà degli anni '70
dell'Ottocento) con il giallo Napoli e l'oltremare francese, che producevano i
caratteristici toni grigio ardesia particolarmente visibili negli ombrelli.
Possiamo solo fare ipotesi sul motivo per cui Renoir non abbia risolto le
discrepanze nell'immagine prima di esporla, poiché queste sarebbero state
evidenti per il pubblico e avrebbero anche influito negativamente sulla sua
vendibilità. Alla fine lo vendette a Durand-Ruel nel 1892 per un prezzo
molto modesto per un quadro di queste dimensioni. Forse credeva che ogni
gruppo avrebbe avuto successo di per sé, ma più probabilmente pensava che
il dipinto – in particolare il gruppo a destra – fosse un ritorno alle
composizioni da cui si era allontanato dopo il suo viaggio in Italia. Sebbene
Renoir possa aver lasciato l’opera irrisolta, essa fornisce uno spaccato
affascinante di come ha ripensato i suoi metodi di lavoro.
Ragazze al piano è senza dubbio uno dei più celebri dipinti di Renoir. Il suo amico e poeta Mallarmé lo
considerava una “tela definitiva, fresca e libera, un'opera della maturità”. L'identità delle modelle è ignota:
a partire dagli anni novanta Renoir si appassiona alla raffigurazione di questi interni borghesi moderni
in cui le fanciulle si abbandonano al piacere della musica o della lettura, dando forma a composizioni per
certi versi idilliache e idealizzate a metà strada tra il ritratto e la scena di genere. Talvolta, non senza
ironia, il pittore chiamava tali opere “da vendita”. Il tema, in ogni caso, trova uno dei suoi vertici espressivi
nel doppio ritratto delle sorelle Lerolle, musiciste di talento e modelle talvolta spiritose che Renoir dipinge
“con amore”, per citare le sue parole.
Non senza una punta di umorismo o provocazione, a volte si compiaceva nell'esprimere opinioni categoriche
sulla musica totalmente contrapposte alle visioni dominanti. Il pittore, le cui doti canore sarebbero state
notate da Gounod, conosce l'opera di Wagner già negli anni sessanta grazie agli amici Edmond Maître e
Frédéric Bazille. Nel 1879 esegue dunque quattro grandi pannelli decorativi ispirati al Tannhaüser. Assiste
inoltre estasiato ai Balletti russi, che rivoluzionano la danza e la musica del suo tempo. In numerose
occasioni dimostra una buona conoscenza della musica più all'avanguardia, anche se – lui che dipingendo
canticchiava continuamente arie popolari – confesserà in tarda età di preferire a questa Mozart, Bach e
“la vecchia musica francese”.

Sta di fatto che, tanto nella musica quanto nella pittura, Renoir rifugge soprattutto l'enfasi; quel che
ama, per esempio, nel Don Giovanni di Mozart è che “dietro la gaiezza trascinante si sente una minaccia
sorda e l'ineluttabilità del destino”. Per sfuggire alla noia che lo assale al festival di Bayreuth nel 1896,
parte dunque alla volta di Dresda per ammirare Vermeer, la cui impronta traspare in maniera forte nei
suoi dipinti a soggetto musicale.
All'inizio degli anni novanta del XIX secolo, un gruppo amici e sostenitori di Renoir manifestano tutto il loro
disappunto nei confronti dello Stato francese che non ha mai acquistato, in forma ufficiale, opere di questo pittore
all'epoca quasi cinquantenne. Stéphane Mallarmé che conosce e stima l'artista, con l'aiuto di Roger Marx, un
giovane funzionario dell'amministrazione delle Belle-arti, sensibile alle correnti innovative, nel 1892 avvia le
pratiche per far sì che i pittori impressionisti facciano il loro ingresso nei musei nazionali. Così, a seguito di una
commessa informale da parte dell'amministrazione, le Ragazze al pianoforte vengono acquisite ed esposte al museo
del Luxembourg.
Oltre a questa tela, il cui disegno deciso e delicato definisce chiaramente le figure lasciando così libero corso al
lirismo della tavolozza, conosciamo altre tre versioni, tutte completate, riguardanti la stessa composizione (una è
custodita al Metropolitan Museum di New York e le altre due appartengono a collezioni private). Esiste anche uno
schizzo dipinto ad olio (Parigi, Museo de l'Orangerie) e un pastello delle stesse dimensioni (collezione privata).
La replica di questo motivo mostra quanto Renoir sia interessato ad un tema che ha già trattato. Sappiamo che il
pittore, mai soddisfatto del suo lavoro, mette più volte mano alle sue opere. Tuttavia, un lavoro riguardante una stessa
identica composizione, non si era mai visto prima. In un simile atteggiamento va certamente visto il desiderio
dell'artista di fare entrare nelle collezioni museali un'opera perfettamente riuscita. Non possiamo così fare a meno di
pensare alle "serie" che il suo amico Claude Monet sviluppa nello stesso periodo, ovvero ( I covoni, 1891 e Le cattedrali di
Rouen, 1892).
Renoir, rifacendosi ad un tema classico e molto gradito dai pittori francesi del XVIII secolo, in particolare da
Fragonard, prova a raffigurare un mondo ideale, popolato da leggiadre ragazze. L'artista, che detesta il semplice
pastiche, vuole anche essere il pittore della sua epoca e ci propone l'evocazione di un elegante e sobrio interno borghese.
Quest’opera di Renoir è un riflesso della dolcezza del vivere. Il soggetto è tratto dalla vita famigliare dell’artista: il
piccolo Jean, il secondo dei suoi tre figli che diventerà il celebre regista cinematografico, gioca con la governante,
Gabrielle. Al servizio dei Renoir a partire dall’estate del1893, Gabrielle, parente di Madame Renoir, modella
privilegiata dell’artista, abiterà con loro fino al 1914, anno del suo matrimonio. L’insieme della composizione è morbido,
sinuoso: nessuna forma rigida o spigolosa; il quadro è dipinto in una sfumatura di colore beige che sembra impastarsi
con il colore degli animaletti giocattolo tra le mani di Gabrielle. Alle forme paffute del piccolo viso e alle manine
rotondette e tenere di Jean rispondono le mani robuste e forti della giovane donna. Fondamentale è la dolcezza del gesto.
All’abito blu scuro di Gabrielle si oppone il biancore di quello del bimbo. I capelli leggermente rossi del piccolo Jean
creano un forte contrasto con i capelli bruni della donna. In secondo piano, il muro a tinta unita sulla sinistra si
oppone ai grandi fiori di quello a destra, ma l’insieme è soffusamente sfumato per non interrompere la dolcezza che
regna su questa scena, che del resto ha dato luogo a ulteriori dipinti e numerosi disegni. L’età del bambino ci permette di
datare questa composizione intorno al 1895-1896.
Renoir affronta il nudo fin dall'inizio della sua carriera nel corso degli anni sessanta e
in maniera più occasionale nel decennio successivo. Dopo essersi orientato, intorno al
1880, verso un nudo ispirato all'esempio di Ingres, l'artista ritorna a questa “forma
indispensabile dell'arte” a partire dagli anni novanta, per non abbandonarla più. In
questo periodo inserisce i suoi nudi femminili in un contesto atemporale, nel desiderio di
misurarsi con i maestri del passato per i quali nutre ammirazione: Raffaello, Tiziano o
Rubens. Per far ciò, approfondisce in maniera regolare e ostinata un numero limitato di
temi: bagnanti, nudi nell'atelier, scene di toilette... Come egli stesso afferma, in effetti,
“la donna nuda sorgerà dall'onda amara o dal suo letto, si chiamerà Venere o Nini, mai
si inventerà cosa migliore”. Il tema delle bagnanti e delle odalische lo assorbe in maniera
ossessiva. Per Renoir, il nudo è anche un mezzo per “sfuggire al motivo, evitare di essere
letterario e per questo scegliere qualcosa che tutti conoscono; ancora meglio, totalmente
senza storia”. Esso rappresenta, in maniera evidente, anche l'espressione più immediata
di una pittura che l'artista vuole sensuale e colorata.
Le bagnanti , 1918-1919 circa, olio su tela , 110 x 160
Parigi, Musée d’Orsay
Sfidando la malattia, Renoir dipinge le Bagnanti nell'arco dei suoi ultimi mesi di vita nella tenuta di Les
Collettes a Cagnes, in Provenza. Il dipinto mette in scena un tema tradizionale e particolarmente caro
all'artista, poiché gli permette di trattare il nudo en plein air. Secondo quanto riportato dal figlio Jean,
Renoir considerava questo suo ultimo nudo monumentale un “traguardo” e “un buon trampolino per le
ricerche future”.
Invitandoci a partecipare a un vero e proprio idillio, egli raffigura delle bagnanti sensuali e fuori dal tempo
immerse in un Eden bagnato dalla luce
All'orrore della Prima guerra mondiale che volge al termine, Renoir oppone la convinzione profonda che la
pittura sia “fatta per abbellire”, come dice a Bonnard. Questa certezza è probabilmente radicata nella sua
esperienza personale: dipingere non è forse ciò che gli permette di superare la sofferenza fisica e la
solitudine degli ultimi anni, dopo la partenza dei figli per il fronte e la morte della moglie nel 1915.

Con una grande libertà e una tecnica spiccatamente personale, Renoir disegna con il pennello e diluisce i
pigmenti, lasciando visibili le colature e ricercando la fluidità di unwork in progress. Quest'opera appare
anche un omaggio a maestri come Tiziano e Rubens, che il pittore ammirava, o ancora alla statuaria
antica. Essa sintetizza la sua concezione del nudo e della pittura, in cui regnano l'esaltazione del colore, la
fantasia dell'artista e l'invenzione di un mondo “in cui la morte non trovava posto”, come osserverà Henri
Matisse che considerava questa tela, in parte eseguita sotto i suoi occhi, il “capolavoro del pittore”.
Questo quadro è emblematico delle ricerche che Renoir portò avanti verso la fine della sua vita. A partire
dal 1910, l'artista ritorna su uno dei suoi soggetti preferiti: la raffigurazione di nudi en plein air ai quali
riserva quadri di grande formato. Renoir celebra in queste opere una natura atemporale, dalla quale è
bandito ogni riferimento al mondo contemporaneo. Le bagnanti possono così essere considerate come il
testamento pittorico di Renoir, che muore nel dicembre 1919. È proprio in quest'ottica che i suoi tre figli,
tra i quali il cineasta Jean Renoir, hanno regalato il quadro allo Stato nel 1923.
Le due modelle distese in primo piano e le tre bagnanti che si intravedono giocare sullo sfondo della
composizione hanno posato nel grande giardino piantato ad ulivi delle Collettes, dimora che il pittore
possedeva a Cagnes-sur-Mer nel Sud della Francia. Il paesaggio mediterraneo si riallaccia alla tradizione
classica dell'Italia a della Grecia, quando "la terra era il paradiso degli dei". "Ecco quello che voglio
dipingere", era solito ripetere Renoir. Questa visione idilliaca è caratterizzata dalla sensualità dei modelli,
la ricchezza dei colori e la pienezza delle forme.
Le bagnanti dunque devono molto ai nudi di Tiziano e di Rubens, tanto ammirati da Renoir. Esse
traducono quella gioia di dipingere che, tuttavia, non è riuscita a sconfiggere né la malattia, né le
sofferenze che il pittore ha dovuto patire alla fine della sua vita.
Maurice Denis, Nouvelles Théories, 1922

Chi crede alla resurrezione della carne [...] dovrebbe essere felice di leggere nel discorso del curato di Cagnes sulla tomba di Renoir
l’elogio di un poeta della carne da parte di un prete, e pronunciato per di più durante una cerimonia cattolica [...]. Perché i nudi di
Renoir non sono affatto indecenti? Innanzi tutto perché sono sani. E poi, perché sono pittura. Il lirismo, il senso plastico di Renoir
li hanno trasfigurati. Non sono idealizzati, grazie a Dio, sono diventati forma e colore. Il mondo dove mostrano le loro forme
cangianti e abbondanti è il mondo della pittura; tale è la magia dell’arte che essi non sono più che luce rosa, rilevata di grigio perla,
di verde e lillà, sostenuta da volumi armoniosi e masse equilibrate. Segni, simboli, immagini della sensibilità ottimistica di Renoir,
della loro natura conservano solamente quello che il pittore ha voluto trattenere per la gioia dello spirito e per il diletto, come si
diceva ai tempi di Poussin, e nulla è concesso alle passioni più basse. D’altronde, la sanità dei tipi di umanità così creati, la salute di
questi bei corpi, la robustezza di queste belle architetture carnali, improntate di classica serenità, sono esenti da perversità. Sana,
Sancta. La loro espressione di innocente bestialità le assimila, all’interno dell’ordine naturale delle cose, a dei fiori o dei frutti
magnifici. Mai l’antichità ha tradotto meglio l’istinto e la sua ingenuità e in modo più sensuale e più casto.
Se qualcosa si può rimproverare a Renoir, è di non aver avuto il senso del peccato, della corruzione originaria. Pertanto, c’è sui suoi
bei volti una malinconia: la malinconia dell’Antico.
Il curato di Cagnes ci ha rivelato quali fossero i sentimenti intimi di Renoir:. Tutti coloro che hanno avuto l’onore e il piacere di
avvicinarlo sanno che era leale e buono. Sanno anche che sotto i suoi paradossi e le sue fantasie di vecchio monello del Secondo
Impero [...] si celava un imperturbabile ottimismo e una rara timidezza. La sua naturale malizia era la sua unica difesa. Ma
dietro questa maschera di ironia sorridente, c’era un solido buon senso, il rispetto e l’amore di tutte le buone e vecchie tradizioni
francesi, compresa quella religiosa, l’orrore per la novità e le rivoluzioni. Infine, lo spirito di un buon uomo dell’ ancien régime, una
sorta di Poussin burlone, ma profondamente spiritualista [...].

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