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LEZIONE 1.

02/03/2021
Il corso affronterà i cambiamenti artistici avvenuti tra la fine dell’ ‘800 e il ‘900.
La capacità di comprensione è importante nell’analisi di un lavoro artistico,
essere in grado di rilevare le caratteristiche formali, stilistiche e tecnico-
materiali è importante perché quelle radicali trasformazioni artistiche partono
dalla messa in discussione di alcune tecniche tradizionali. Se c’è qualcosa
che l’arte del ‘900 mette in campo con una straordinaria ampiezza, libertà e
grandissima felicità espressiva è la messa in discussione dell’opera d’arte in
quanto pittura o scultura, realizzata attraverso materiale di tipo tradizionale (-
pittura- olio su tela, acrilico su tela, tempera, ecc…, -scultura- bronzo, gesso,
marmo).
I collage cubisti o i ready-made di Duchamp sono tecniche, introdotte dagli
artisti più di un secolo fa, che non hanno nessun tipo di riscontro con le
tecniche dell’arte precedente. Bisogna, quindi, capire all’interno del lavoro
artistico o del percorso degli artisti quanto è stata importante anche
l’introduzione delle nuove tecniche, come il collage o dei cosiddetti
environment(arte ambientale).

Queste sono le copertine di due volumi entrambe pubblicati da Mondadori a


distanza di circa 25 anni l’una dall’altra. A sinistra il volume di Giorgio de
Marchis, il quale è stato anche direttore della Galleria nazionale d’arte
moderna, uno storico dell’arte che definire straordinario è poco. È uno degli
storici dell’arte che citerò spesso nella seconda parte del corso. Nel 1991
pubblica questo volume dal titolo “SCUSI MA È ARTE QUESTA?”. Questo
titolo, insieme all’altro “LO POTEVO FARE ANCHE IO” (scritto da un altro
critico d’arte), ricorda le frasi-tipo di quando ci si occupa della produzione
artistica. Da una parte c’è un atteggiamento di incredulità: è arte questa? (ora
vi mostro delle immagini).

È arte questo “ready-made fontana” del 1917?


È arte questo intervento del 1970, che Robert Smithson realizza nel lago
salato dello Utah?
Certo che lo è, ma lo sconcerto di fronte a questo tipo di realizzazione è uno
sconcerto che normalmente colpisce il pubblico, studiosi, e anche studenti,
abituati ad una tipologia d’arte legata ad una sua configurazione di tipo
tradizionale. De Marchis gioca con questa domanda “scusi ma è arte
questa?” fornendo una serie di spiegazioni che rispondono ad una nuova
presa di posizione verso l’arte. Riguardo all’altro titolo “lo potevo fare anche
io”, qualcuno ha risposto a questa frase, e questo qualcuno è stato un artista
italiano importante, Bruno Munari, il quale dice “al massimo l’avresti potuto
rifare, non fare”.
Questa frase è importante perché mette in luce alcuni punti chiave. A sinistra
c’è una vignetta divertente, realizzata da Reinhardt, artista di cui parleremo
più avanti. C’è uno spettatore-tipo che ride mentre punta il dito verso
quest’opera pittorica astratta, chiedendo che cosa rappresenta. Il quadro
ribatte dicendo “che cosa rappresenti tu?”.
È una frase che fa da introduzione al libro “L’Arte del Ventesimo secolo”,
pubblicato quasi vent’anni fa da Denys Riout, e che contiene alcune
indicazioni preliminari, spiegazioni, utili ad allontanare dai soliti discorsi che si
fanno quando si parla di arte contemporanea.
Per contemporaneo si intende qualcosa che è a noi vicino nel tempo. In
realtà i filosofi hanno ragionato su questo aggettivo e hanno dato spiegazioni
che avremo modo di approfondire con il tempo. A livello strettamente
universitario, la storia dell’arte contemporanea attraversa più di un secolo,
perché va dalle ricerche fatte durante l’800 fino alle realizzazioni più recenti.
Per contemporaneo legato ai programmi universitari, si parte da Canova e si
arriva fino a Marina Abramovic, e anche oltre. In questo corso ci
concentreremo solo su alcuni aspetti, in particolare sulle avanguardie
storiche. Insisto sulle avanguardie storiche, perché lo studio della storia
dell’arte di fine ‘800 – inizio ‘900 consente di aprire ancora di più il dibattito di
tipo culturale. In questo è utile la frase di Pia Vivarelli.
Il secondo capoverso è la ragione per cui ci concentreremo su alcuni aspetti.
Il realismo non è oggetto del programma, ma mi faceva piacere condividere
con voi queste immagini.

Gustave Courbet – A Burial at Ornans


Il quadro è conservato al Museo d’Orsay a Parigi. È stato realizzato
dall’artista Gustave Courbet nel 1849.
-Qualcuno si ricorda perché questo lavoro provocò scandalo?-
Studente -perché normalmente le tele di grandi dimensioni venivano
utilizzate per altre scene importanti di tipo storico, come l’incoronazione di
Napoleone,

oppure scene mitologiche. Invece qui si tratta di un funerale di gente


comune, appartenenti a classi sociali basse. Courbet voleva dare importanza
ad una scena così, di poco rilievo.
Questa tela è di grandissime dimensioni, è lunga quasi 7 metri. Al centro, in
primo piano, c’è questa fossa di cui non percepiamo nemmeno la sua totale
interezza, e questa scelta di tipo compositivo fa in modo che l’osservatore si
proietti direttamente nella scena, dipinta dall’artista con questi tratti così
realistici che riescono ad indugiare su particolari anche sgradevoli, come i
volti. Non c’è nessun principio estetizzante che colpisce Courbet. Egli è stato
uno degli artisti del realismo accusati, da parte del pubblico e della critica, di
incanalire l’arte, cioè di renderla sgradevole e spiacevole.
Courbet sarà un artista legato particolarmente ai fatti politici francesi
dell’epoca, compresa la Comune di Parigi, avrà una concezione artistica
(come diremo oggi) militante.
Questo quadro è un’inaugurazione alla questione dello scandalo. Lo
scandalo presuppone che ciò che il pubblico o la critica vede non è conforme
al modo di fare, pensare, organizzare, immaginare lo spazio dell’altro. È un
qualcosa che normalmente nasce perché ciò che vediamo non corrisponde a
delle aspettative di tipo canonico. È una questione che affronteremo spesso
quando parleremo di arte contemporanea.

Si parlò di scandalo anche quando fu presentato questo dipinto, conservato


al Museo d’Orsay. Anzi, non si parlò tanto di scandalo, ma addirittura di una
crisi di risate folli tra il pubblico.
-Qualcuno di voi la riconosce? Siete in grado di ricordare le motivazioni di
questo riso folle di quando l’opera fu presentata due anni dopo dalla sua
realizzazione, nel 1865, in uno dei cosiddetti Salons parigini? Perché si rise di
quest’opera pittorica e perché fu considerata scandalosa? -
Studente 1. - L’opera destò scandalo perché ha una composizione simile a
quella della Venere di Urbino di Tiziano, ma mentre nella Venere di Urbino
viene presentata una figura divinizzata, qui vediamo una comune prostituta.
Si può notare dal fatto che la donna indossa un collare, è distesa sul letto con
degli zoccoli, è presente un gatto, mentre nella Venere di Urbino è presente
un cane, simbolo di fedeltà- .
Studente 2. - Si capisce che è una prostituta anche dal fatto che la sua serva
ha dei fiori in mano, e probabilmente è stato uno dei suoi clienti a
mandarglieli- .
Studente 3. -Anche l’atteggiamento della mano appoggiata sul basso ventre
è tipico delle prostitute.
Prof - non possiamo generalizzare l’atteggiamento delle prostitute, ma la
mano sul pube è centrale nell’intera composizione- .
L’opera di Manet è come se invertisse le componenti essenziali dell’opera di
Tiziano. Una delle cose più interessanti è che Manet aveva sottratto il nudo
ad una pura fruizione di tipo estetico, non ci presentava più dei nudi
riconducibili a storie mitologiche, ma dei corpi. Quindi non degli astratti valori
formali, lontani, filtrati attraverso la mediazione del nudo, ma corpi il cui
contenuto era esplicitamente sessuale. Vedi la posizione della mano sul pube
che è stata rilevata. Chiaramente ci sono degli attributi che sono stati ricordati
come il fiocco al collo, citerei anche l’orchidea tra i capelli, il cane simbolo di
fedeltà è stato sostituito dal gatto nero con la coda rizzata, il riso partì anche
da questa sostituzione. Il corpo di una donna, disteso su un giaciglio, era
stato trasformato in qualcosa di completamente diverso. Qualcosa che non
prevedeva una fruizione di tipo estetico, ma la presentazione di un corpo.
Questa presentazione del corpo nella sua realtà e nel suo offrirsi ai nostri
occhi è come se riportasse tutto dal vagheggiamento di una storia lontana al
presente. Inoltre è come se Manet invertisse anche il ruolo stesso della
donna di colore accanto alla donna distesa perché è il corpo bianco ad

essere quello di una prostituta e non quello della donna di colore ad essere
merce di scambio nei rapporti di tipo sessuale. Questo sconvolge
completamente un modo di vedere, coinvolgendo e rendendo partecipe chi
osserva in un modo completamente diverso. Quindi anche quest’opera di
Manet destò scandalo; c’è questo passaggio dalla mitizzazione alla
sfrontatezza con cui questa donna è semplicemente una donna e non una
dea. Peraltro, riprende anche una di quelle fotografie che le prostitute stesse
si facevano fare per raggiungere nuovi clienti.
Altro scandalo. Questo è il ready-made di Marcel Duchamp, dal titolo
Fontana. Marcel Duchamp sarà uno di quegli artisti che ci porterà via un po'
di tempo quando parleremo del Dadaismo, corrente artistica d’avanguardia
alla quale appartiene. Duchamp avrà un ruolo importante anche per i
successivi sviluppi del surrealismo. Questo suo ready-made destò scandalo;
l’artista progettò l’opera con una serie di espedienti fondamentali. L’opera,
che è un orinatoio rovesciato, presenta una scritta “R. MUTT 1917”, ovvero
pseudonimo. Duchamp faceva parte della Society of Independent Artists di
NY, città nella quale Duchamp si trasferisce (siamo in piena prima guerra
mondiale, Duchamp aveva già iniziato a fare la spola tra Parigi e New York,
conosceva la situazione artistica newyorkese). Presenta quest’opera in
occasione di una mostra organizzata dalla Society of Independent Artists; per
partecipare a questa mostra bastavano sei dollari, le restrizioni non erano
particolarmente severe, eppure questo lavoro fu giudicato scandaloso, e per
questo rifiutato. Per procurarsi una testimonianza e una datazione di
quest’opera, l’artista la fa fotografare da Alfred Stieglitz (fotografo e gallerista)
e il documento fotografico viene pubblicato su una rivista, edita proprio per la

circostanza, intitolata “The blind man” (L’uomo cieco). La rivista porta in prima
pagina questa foto, e la questione dell’uomo cieco è legata all’atteggiamento
di quella che Duchamp definirà “arte retinica”, che sollecita soltanto lo
sguardo senza porci nessun tipo di domanda. In questo numero della rivista
(dove era presente la foto) l’artista fa scrivere ad una critica, Louise Norton,
delle cose, in un articolo intitolato “il caso R. Mutt”.
Norton scrive: “Che il Signor Mutt abbia fatto con le sue mani la Fontana o
no, non ha nessuna importanza. È lui che l’ha scelta. Ha preso un articolo
comune della vita di tutti i giorni e lo ha sistemato in modo che il suo
significato utile scomparisse, con il titolo “nuovo e nuovo punto di vista”. Ha
creato un nuovo pensiero per questo oggetto”.
Questa riflessione concertata e questa presentazione, voluta da un Duchamp
che si era nascosto dietro allo pseudonimo, ci mostrano una serie di
connotati di questo scandalo organizzato. Questo tipo di lavoro, più che
offrirsi ad una fruizione di tipo estetico, ci pone delle domande, agisce su un
piano di tipo intellettuale. Domande come “che cos’è l’arte? Come la
conosciamo? Chi decide?” saranno centrali per il lavoro di Duchamp e per lo
sviluppo dei ready-made.
Duchamp era anche un pittore. Apparteneva ad una numerosissima famiglia
di artisti, quello che crea lo fa con determinate intenzioni che chiariremo più
avanti.

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