Sei sulla pagina 1di 1

1.

MERAVIGLIOSA-MENTE

Metrica: “canzonetta” di sette strofi singulars (l’ultima con funzioni di congedo; la penultima
presenta qualche caratteristica analoga); ogni strofe è di nove versi, settenari, a schema 7 a b
c, a b c, d d c; lo schema non ha precedenti nei provenzali e nei francesi.
Nota: “Canzonetta”, per autodefinizione, sembra poter indicare con modalità quasi tecnica
(stanze al massimo di 9-10 versi, composte di settenari o ottonari), una tonalità stilistica meno
alta della grande canzone aulica di tutti endecasillabi o mista di settenari ed endecasillabi; a
tale livello converrebbero tematiche di tipo “oggettivo” (o dialogato), comunque non auliche,
di livello medio, più “colloquiale”, destinate a un notevole successo nella lirica successiva.
Sul piano diegetico e tonale sembra particolarmente vicina alle altre “canzonette” lentiniane,
mentre il più vicino poeta è Giacomino Pugliese che su tale livello stilistico e metrico
svolgerà la gran parte delle sue rime. Il Litemotiv specifico è derivato ancora una volta, con
ogni probabilità, da Folchetto di Marsiglia, provvedendo però a razionalizzarlo mediante un
accostamento analogico che lo ricollega, in senso propriamente tecnico, al dema della
visione. Vista/visione/visibilità e interiorizzazione del fatto amoroso, vita e morte amorosa e
“lontananza” costituiscono i temi, a volte intrecciati, di maggiore impegno e rilevanza nelle
rime di Giacomo.

2. TENZONE CON IACOPO MOSTACCI E PIERO DELLA VIGNA

Metrica: sonetto (in funzione della replica del dialogo), a rima obbligata (ABAB ABAB
CDD CDD)
Nota: La tenzone tra i tre sarà avvenuta a corte, tenendo presente che si trattava di corte
itinerante; è caduta da tempo l’ipotesi di Monaci che voleva localizzare l’incontro a Bologna.
Giacomo assume una posizione di sentenziatore, articolando e spostando i termini della
questione; non nega la forza d’Amore, ma non accetta la trovata dialettica di Pietro (l’amore
senza vedere per Giacomo può esistere ma non “stringe con furore”, non “signoreggia”) e
riporta il discorso sull’eziologia e fenomenologia del fatto amoroso; sulla base di
un’auctoritas specifica, Andrea Cappellano, riconosce l’enorme potenza di amore, ma solo
per quello nato dalla vista degli occhi e nutrito dal cuore. Giacomo frequenta nella propria
poesia proprio il tema di non vedere, non come innamoramento ex auditu, “per fama”, ma
come dramma causato dalla lontananza dell’amata; la visione e l’immaginazione, in assenza e
da lontano, della donna vista svolgono un ruolo centrale nell’esperienza lirica lentiniana. Il
sonetto di Giacomo assumerà valore quasi paradigmatico e sarà citato o riusato, magari
attraverso intermediari, almeno fino a Guinizzelli, a Dante (cfr. Amore e ‘l cor gentil).

3. IO M’AGGIO POSTO IN CORE A DIO SERVIRE

Metrica: sonetto, ABAB ABAB CDC DCD


Nota: Un dialogo immaginario fra Dio e amante sulla relazione fra sacro e pagano ha
precedenti in lirica provenzale, ma non in questi termini, e poi, proprio sulla liceità
dell’analogia fra donna e angelo, nell’ultima strofe di Guinizzelli, Al cor gentil. Nel Notaro il
dialogo è indiretto e del tutto interiore, quasi presupposto. Giacomo va oltre esempi
provenzali, pur mantenendo una sorta di allusività ironica (come del resto Guinizzelli) e si
pone sulla linea della stretta relazione donna-paradiso; attraverso la sublimazione del
“sollazzo, gioco e riso” cortese, ancora ben presente, tematizza didascalicamente una ricerca
della felicità già trobadorica che, attraverso gli sviluppi soprattutto stilnovistici, arriverà sino
al Paradiso dantesco.

Potrebbero piacerti anche