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Per quanto riguarda la vita, nacque a Volterra nel 34 d.C. e morì nel 62. Essendo di una ricca
famiglia equestre, studiò a Roma retorica e filosofia. Fu proprio il maestro Anneo Cornuto a
trasmettergli la passione per lo studio filosofico, indirizzandolo ad uno stoico. Morì molto
giovane, e ad occuparsi della pubblicazione postuma delle Satire.
SATIRA II: rivolta all’amico Macrino, svolge il luogo comune dell’importanza di rivolgere agli dèi
preghiere oneste e pie;
SATIRA III: ci propone la visione di una domenica mattina passata a smaltire la sbornia. Da ciò,
arriva ad affermare la necessità che i giovani imparino gli insegnamenti dello stoicismo,
corrente filosofica che pone norme essenziali per comportarsi rettamente;
SATIRA IV: si svolge il luogo comune diatribico del “conosci te stesso”. Il satirico osserva che
nessuno si cura di approfondire la conoscenza di sé stessi, intento a criticare sempre il
prossimo.
SATIRA V: oltre al concetto già detto precedentemente, essa è dedicata ad Anneo Cornuto. Si
hanno espressioni di profonda amicizia e gratitudine verso il destinatario. Esorta il pubblico alla
filosofia stoica, in quanto libertate opus est, (bisogna essere liberi). Inoltre chiarisce l’idea della
libertas e stoicamente essa coincide nel vivere secondo ragione: l’unico veramente libero è il
saggio. Ergo, emerge l’idea che chiunque può cadere a opere delle passioni, due delle quali,
avaritia e luxuria, vengono presentate in una personificazione come padrone dispotiche e
inesorabili.
SATIRA VI: epistola diretta a Cesio Basso; seguendo l’esempio di Orazio, l’autore chiede
notizie all’amico e gli comunica di trovarsi a Luni. Ritorna il tema oraziano della metriotes, del
“senso della misura”, in quanto Persio espone le proprie convinzioni che lo portano a vivere
contento dei propri beni, lontano dalla prodigalità e dalla spilorceria. Nella seconda parte
abbiamo un dialogo tra l’autore e il suo futuro erede, in cui il primo rivendica il diritto di usare a
propria discrezione del suo patrimonio.
Orazio nelle sue satire si riferiva ai suoi amici, e attraverso ai sermones, il poeta si affacciava
su quelli che erano i difetti umani, sempre pronto però a farne beffa. Possiamo dire che una
conversazione costruttiva, ovvero positiva. C’è in Orazio una certa urgenza per quelle che sono
le debolezze umane, di fronte alle quali la caratteristica fondamentale delle satire di Orazio è il
sorriso auto-ironico e il modo garbato, pacato con cui si rivolge all’ascoltatore. Invece Persio e
Giovenale hanno dato una svolta completamente diversa: il tono è quello dell’invettiva. Le loro
satire sono dirette ad un pubblico più generico, ma talvolta si ha anche un ascoltatore preciso. Il
poeta assume il ruolo di censore dei vizi e dei costumi; abbiamo quindi una invettiva che il
poeta assuma questo ruolo. Quindi, ora non abbiamo alcun rapporto (con Orazio sì): il poeta si
erge a correggere gli uomini e impronta il proprio discorso di un forte moralismo arcigno. A
questo proposito c’è sicuramente una discendenza cinica - stoica. Per quanto riguarda lo stile,
questo è influenzato dai nuovi gusti letterari del tempo, che vanno in una direzione fortemente
anti classica (Equilibrio, armonia); adesso si tende soprattutto alla ricerca di procedimenti
retorici piuttosto appariscenti, lo stesso Stile di Seneca era innovativo (sententia senecana). Su
questa ricerca contribuisce anche il fatto che le Satire di Persio e Giovenale ero destinate a
recitazione pubbliche, quindi dovevano far colpo sul pubblico, e non erano quindi più destinate
ad una lettura personale. Più volte il poeta nella sua opera torna sulle motivazioni della sua
scelta: bisogna tornare sulla satira di Orazio. Quest’ultima consisteva soprattutto di porre
insegnamenti in modo tranquillo, e aveva unito nelle Epistole alla conversazione tipica delle
satire il trasporto che può avere la lettera filosofica in cui il maestro è vicino ai suoi discepoli. In
Orazio c’era un intento educativo, sia nelle satire, ancor più nelle lettere dove c’è questo forte
trasporto della lettera filosofica. Perché abbiamo detto questo? Perché l’esigenza di Persio è di
carattere etico per colpire il vizio e la corruzione. Abbiamo fatto un passo indietro perché in
Orazio c’era il ruolo del maestro; quest’ultima nelle satire di Persio corrisponde invece a quello
che potremmo dire un ‘moralista arrabbiato’. Ovviamente è un personaggio fittizio, in cui
l’autore si immedesima: non è il maestro che insegna ai discepoli, ma il moralista arrabbiato,
nei cui discorsi si avverte una forte venatura stoica. Chiaramente questa figura ha un ruolo
diverso: è un maestro inascoltato, in quanto i suoi discorsi mancano fondamentalmente di una
cosa importantissima, ovvero di una capacità educativa. Si ha solo l’intento di smascherare i
vizi, ma non di educare, in quanto si ha il tono di invettiva. Se nelle satire di Persio abbiamo un
distacco tra il maestro e l’ascoltatore, questo fa capire che le satire di Persio rispetto a quelle di
Orazio si ha una satira confessionale, una sorta di palestra nella quale il poeta stesso sta
svolgendo il suo itinerario personale verso la filosofia. Sicuramente c’è la condanna del vizio,
l’atteggiamento del moralista arrabbiato, ma la differenza fondamentale dalla satira di Orazio è
che nella satira di Persio non si ha questo legame, che non sono in sintonia. Questa satira di
Persio oltre il valore dell’invettiva si configura anche come un itinerario personale che il poeta
compie verso la perfezione. Parla molto di sé, della propria vocazione, della saggezza stoica,
intesa come raccoglimento interiore e imperturbabilità dell’animo. Dalla satira sesta si capisce
anche che Persio ha compiuto questo percorso di saggezza.