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ORAZIO E IL SUO TEMPO

Quinto Orazio Flacco nasce a Venosa, una ci adina di con ne fra Apulia e Lucania, l’8 dicembre del 65 a.C.
Suo padre ene così fortemente alla sua educazione che per farlo studiare si trasferisce a Roma. Nella
capitale Orazio frequenta la scuola di Orbilio, un gramma co che egli quali cherà poi come plagosus, ossia
<<manesco>>; ormai ventenne, perfeziona la sua educazione spostandosi in Grecia. Ad Atene compie studi
di loso a e di retorica e approfondisce la gramma ca, la le ura e la metrica greca. Lì probabilmente
conosce Bruto, nel cui esercito si arruola, partecipando anche alla ba aglia di Filippi nel 42 a.C., come
tribuno. Si salva dalla clamorosa scon a e torna a Roma, nel 41 a.C., grazie a un’amnis a. Essendo privo di
protezioni poli che, gli vengono con sca i beni, per cui è costre o a impegnarsi come scriba quaestorius.
Orazio inizia la sua a vità poe ca probabilmente nel 41, con la composizione degli Epodi e delle Sa re. Nel
39 a.C. viene presentato da Virgilio a Mecenate che lo amme e nel suo circolo. Mecenate gli concede
protezione e sicurezza economica, facendogli anche dono di un podere in Sabina. La loro amicizia diviene
sempre più profonda, tanto che Mecenate introduce il poeta presso Augusto. Anche Orazio diede il suo
contributo alla propaganda augustea, a raverso la composizione di tes a contenuto celebra vo, per
esempio: le Odi Romane ed il Carmen saeculare (inno celebrato in occasione dei ludi saeculares). Il rapporto
con il princeps, tu avia, rimane sempre nell’ambito di un’aperta schie ezza e di una reale libertà d’azione
da parte del poeta. Nel 23 Orazio pubblica congiuntamente i primi tre libri delle Odi, ai quali farà seguito un
quarto. Tra il 23 e il 20 compone un primo libro di Epistole, cui si aggiungerà un secondo. Negli ul mi anni la
sua voce poe ca tace: la salute malferma e la vecchiaia incipiente lo portano a diminuire e poi a cessare del
tu o l’a vità le eraria. Muore a Roma nel novembre dell’8 a.C.

IL POETA DELLA MISURA


Orazio fonda la propria meditazione esistenziale sull’idea, di matrice epicurea, della felicità come modus,
ovvero come una condizione contraddis nta da equilibrio e misura, che impedisce di abbandonarsi agli
eccessi e che consente il raggiungimento di quell’autosu cienza interiore che è la cifra del vero saggio. Una
tale condizione della felicità comporta una scelta di vita misurata, in cui piaceri e passioni siano
sapientemente dosa . La misura intesa come ricerca dell’equilibrio interiore, è anche il ne della ri essione
esistenziale del poeta, che oscilla fra l’angoscia data dalla consapevolezza dello scorrere del tempo e le
piccole gioie quo diane. Fare a damento su un domani incerto o su speranze infondate, nella visione
oraziana delle cose, è nefas, <<sacrilegio>>, in quanto a nessuno è concesso di conoscere i tempi e modi
della propria ne. Ciò che l’uomo può fare per me ersi al riparo dalle paure che angosciano il suo animo è
rifugiarsi in uno spazio delimitato, dove trovare serenità e conforto. La dimensione propriamente
introspe va dell’arte di Orazio non può però mancare di confrontarsi con la storia: è nella realtà poli co-
sociale del proprio tempo che il poeta trova la materia feconda e variegata della sua ri essione e del suo
canto. Nella raccolta Odi Orazio si misura con tema che civili e nazionali, con i mi del regime e i suoi
fondamen ; tu avia, la sua adesione all’ideologia augustea non può essere considerata pura celebrazione
della gura del princeps o aperta propaganda in versi. È nella ducia riposta nel ripris no dei valori del mos
maiorum che il pensiero di Orazio collima con il programma di restaurazione morale promosso da Augusto.
Il riportare in auge i vecchi cul dell’an ca religio e le an che virtù dei padri trova piena concordanza con
l’idea oraziana della necessità di un rinnovamento e co-religioso della società romana. Tu avia, Orazio non
rinuncia mai alla propria dignità di uomo libero ed è ben a ento a non cadere in una sterile propaganda.
La pace poli ca, che Orazio ha tanto intensamente apprezzato e celebrato, tu avia, non è riuscita a
promuovere in lui uno stato interiore di appagamento né a creare nel suo animo quella pace interiore di cui
è sempre stato alla ricerca. Il passare degli anni e l’a evolirsi del vigore della giovinezza vanno ingerendo
nell’animo del poeta un’inquietudine che lo porta a distaccarsi dalla vita di Roma e a cercare rifugio in
campagna. Gli ul mi anni della vita del poeta e le ul me meditazioni esistenziali si svolgono su ques
accen : l’arte del vivere con l’avanzare dell’età diviene arte del “convivere”: con se stesso, con le proprie
fragilità, con i propri limi . E in quest’angoscia esistenziale di Orazio, che oscilla di con nuo fra una smania
ansiosa e un torpore funesto, risiede la cifra che lo avvicina tanto alla sensibilità dell’uomo moderno.

FRA RICERCA DELL’EQUILIBRIO E ABBANDONO ALLE PASSIONI


Tu a l’opera oraziana teorizza i princìpi della metriòtes (<<giusto mezzo>>) e dell’autàrkeia
(<<autosu cienza>>): ciò accade sia quando il poeta parla di se stesso, dando ampio spazio alla
componente autobiogra ca, sia quando si rivolge dire amente a un interlocutore a cui dichiara la propria
volontà e a cui indirizza le proprie esortazioni, sia quando trae un bilancio della propria esistenza,
riconoscendosi incapace di seguire no in fondo quei prece loso ci in cui ha creduto per tu a la vita.
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Usato come principio guida e metro di giudizio per controllare le passioni e per limitare il desiderio, il
criterio del “giusto mezzo“ conduce al raggiungimento dell’autosu cienza interiore, che è uno degli
obie vi più al della ricerca e ca oraziana. La conquista della saggezza è del resto per Orazio l’unico
“scudo“ contro l’angoscia per il futuro. Partendo dalla ri essione sul tempo che scorrendo inesorabilmente
conduce alla morte, il poeta iden ca quelle che a suo avviso sono le gioie più preziose per l’uomo. Tra
queste spiccano le gioie del banche o, ovvero le gioie del bere in compagnia degli amici, secondo il modello
del simposio, che era la parte nale del banche o nel mondo greco, durante la quale i convita bevono
vino, dedicandosi ad intra enimen di vario genere. L’atmosfera simposiaca che tanto realis camente
Orazio sa rappresentare nelle Odi è senz’altro parte della sua vita vissuta; allo stesso tempo, però, egli trae
spun dalla poesia lirica greca arcaica, e in par colare da Alceo, che gli fornisce una serie di importan
sugges oni le erarie. In tu a la poesia di Orazio gli amici cos tuiscono il bene supremo dell’esistenza. Con
notevole frequenza gli amici compaiono come des natari dei versi di Orazio o sono comunque dire amente
chiama in causa dal poeta, il quale li invita a ri e ere sul senso e sulla caducità della vita, li esorta a bere in
compagnia e a non pensare al futuro, li ammonisce a non perdere il tempo prezioso concesso loro dalla
sorte, li rende consapevoli del des no di morte che li a ende. Anche l’amore rappresenta per Orazio una
gioia della vita, sebbene si tra di una gioia senz’altro meno intensa e ben più e mera dell’amicizia. Ciò
che contraddis ngue la visione oraziana dell’amore è il senso di labilità e transitorietà di questo sen mento.
All’amore più che a ogni altra passione, secondo il poeta, va applicato il principio del <<giusto mezzo>>
onde evitare di incorrere nel furor e nell’insania, ossia nel <<furore>> e nella <<pazzia>>, sta d’animo
deleteri per l’autosu cienza cui il saggio mira. L’amore è una gioia des nata alla fase giovanile
dell’esistenza; nella vecchiaia dell’amore non restano altro che malinconici e lontani ricordi. La coscienza
della precarietà della vita è fortemente radicata nella sensibilità di Orazio come uomo e come poeta.

LA FUNZIONE ETERNATRICE DELLA POESIA

La lirica oraziana ha una duplice ispirazione di fondo. Da un lato Orazio si presenta come il poeta
dell’interiorità, della fa cosa conquista della saggezza, della malinconica consapevolezza del tempo che
fugge, dell’appagamento derivante da pochi e misura piaceri, dell’equilibrio interiore che vince le passioni;
dall’altro è il poeta che celebra l’eroismo e le conquiste del princeps, la missione civilizzatrice di Roma, le
virtù degli antena . Si tra a di due ispirazioni che convivono nella lirica di Orazio sin dalla giovinezza,
quando il poeta si interessa alle sor di Roma devastata dall’atroce esperienza delle guerre civili e partecipa
alla ba aglia di Filippi del 42 a.C. Per quanto riguarda poi la successiva adesione al regime augusteo, essa
muove dalla convinzione circa la validità dell’operato poli co di O aviano e del suo programma di
restaurazione morale. Per Orazio il princeps vincitore su Antonio e Cleopatra è il garante della pace e del
ritorno alla normalità dopo la ne delle guerre civili; ed è anche il promotore di una restaurazione degli
an chi mores a cui il poeta non può che aderire: l’esaltazione della moderazione e della virtus, la cri ca al
lusso sfrenato, la promozione della clemen a e della pietas trovano pieno riscontro nella morale oraziana. I
princìpi che Augusto, nella sua restaurazione dei consumi, intende porre nuovamente a fondamento della
società sono gli stessi che Orazio me e al centro della sua ri essione esistenziale. Il poeta si sente dunque
pronto a celebrare i valori in cui si rispecchia la comunità; in questo senso egli è un auten co vates: si
considera infa un vero e proprio sacerdote delle Muse. Anello di congiunzione fra la dimensione in ma
della lirica oraziana e il piano dell’impegno civile è la convinzione circa l’al ssimo valore della poesia, sia sul
piano e co sia su quello le erario. Unico mezzo per opporsi alla fuga del tempo, la poesia è immortale e in
quanto tale è in grado di donare l’immortalità sia a chi la compone sia a coloro per i quali è composta.
Inoltre, la poesia trasferisce sul piano dell’eternità anche i valori che sono alla base della grandezza di Roma
e del suo impero. Per comprendere a fondo il signi cato e l’importanza della lirica oraziana, non si può puoi
prescindere dall’indagine il rapporto con la tradizione della poesia greca. In Orazio è vivissima la
consapevolezza del proprio debito, nonché del debito di tu a la le eratura la na nei confron della cultura
greca. In più passi delle Odi Orazio si dichiara erede della poesia lirica greca arcaica. Egli è tal punto
consapevole del suo legame e del suo debito con Alceo e con Sa o ecc., rendendolo un principio fondante
della sua poe ca, il tema del primus ego (<<io per primo>>): in altre parole, Orazio rivendica il merito di
aver introdo o per primo nella le eratura la na i metri e i toni della lirica greca arcaica. Riproducendo poi
anche l’eleganza della poesia alessandrina, Orazio dà vita a una poesia ra nata, complessa ed elaborata, la
cui originalità si fonda su un costante dialogo con la tradizione della poesia greca. Per quanto riguarda la
produzione sa rica, fondamentale punto di riferimento è Lucilio, da cui prende l’esametro, il gusto per la
polemica mordace e lo spirito aggressivo, nonché la rilevanza dell’elemento autobiogra co. Inoltre,
abbiamo la lezione neoterica: l’in usso di Catullo e dei poetae novi non si esercita su un’opera oraziana in
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par colare; piu osto emerge dall’importanza data da Orazio al principio del labor limae, che porta alla
ricerca dell’eleganza e della ra natezza formale, nonché di un’immediatezza espressiva che solo un a ento
lavoro di “cesellatura” può conseguire.

LE ODI
LE ODI E IL CARMEN SAECULARE: Le Odi rappresentano il fulcro dell’a vità poe ca di Orazio. Si tra a di 103
liriche raccolte in qua ro libri: i libri I-III vengono pubblica nel 23 a.C.; l’ul mo libro, il IV risale
probabilmente al 13 a.C., anno del ritorno di Augusto dalle campagne germaniche. Viene normalmente
associato alla raccolta delle Odi anche il Carmen saeculare, un inno composto probabilmente su richiesta di
Augusto e des nato a essere cantato da un coro di ven se e fanciulle e altre an ragazzi nella
celebrazione dei ludi saeculares del 17 a.C.

METRI E LUNGHEZZA: Nella raccolta delle Odi sono presen vari metri: per lo più Orazio u lizza la strofe
alcaica, le strofe sa ca minore, e ben cinque forme diverse di strofe asclepiadea. I componimen hanno
una lunghezza fra i sedici e i ven qua ro versi, con punte di estensione che giungono anche agli o anta
versi.

ARCHITETTURA INTERNA E DESTINATARI: All’interno dei diversi libri i componimen sono dispos secondo
criteri ar s ci, come nella tradizione della poesia alessandrina. Le odi collocate in apertura e in chiusura di
ciascun libro sono dedicate a ques oni di poe ca. Numerose sono le odi dedicate a personaggi di spicco
della vita poli ca e culturale del tempo, come l’amico e prote ore Mecenate, il poli co Asinio Pollione,
l’amico Virgilio, il console Ses o; non mancano carmi dedica al princeps Augusto, celebrato come colui che
garan sce la pace e la prosperità in tu o l’impero. Accanto a personalità note e illustri compaiono anche
des natari di cui non sappiamo nulla, se non ciò che si può ricavare dalle liriche loro dedicate, per i quali
resta spesso aperta la ques one se si tra di personaggi reali o zi.

I MODELLI: Nell’ode proemiale del libro I Orazio dichiara di ispirare a essere inserito nel novero dei lyrici
vates, ossia dei poe lirici; se parlare di “poesia lirica” signi ca parlare di poesia lirica greca, in questo
carme Orazio dichiara più speci catamente la propria predilezione per la <<lira di Lesbo>>, e dunque per i
poe lirici che da quell’isola provenivano: Alceo e Sa o. Essi cos tuiscono infa per Orazio i pun di
riferimento fondamentali sia per i temi sia per la metrica della propria poesia. Abbiamo anche in ussi dalla
lirica corale greca, in par colare da Pindaro e Bacchilide. Per quanto riguarda l’in usso dei poe ellenis ci,
Callimaco è il modello senz’altro più importante. Al di là delle tema che e della metrica, Orazio mutua dalla
lirica greca anche altre cara eris che, a par re dall’impianto di po allocu vo di numerose odi, le quali
contemplano cioè la presenza di un des natario al quale l’io lirico si rivolge dire amente.

I TEMI: Le Odi presentano una notevole varietà di temi: mol di ques riguardano la sfera in ma dell’uomo
Orazio; più in par colare, la rilevanza a ribuita a tali temi nell’ambito della raccolta si può considerare come
il ri esso, come la conseguenza della meditazione oraziana sulla precarietà della vita umana e sui rimedi da
opporre all’inesorabile scorrere del tempo. Accanto a questa dimensione più introspe va, si collocano
anche temi civili, fru o di un riavvicinamento di Orazio alla poli ca dopo la deludente esperienza giovanile
a anco dei cesaricidi. A fare “cerniera” tra ques due oppos loni è il tema della funzione eternatrice
della poesia, capace di arrestare la fuga temporum, la <<fuga dei secoli>>, donando immortalità non solo al
poeta, ma anche a tu o ciò che egli incanta.

LO STILE: Nelle Odi domina un tono medio-alta, che in alcuni casi raggiunge livelli sublimi. Tu o in ques
componimen assume i cara eri di una studiata le erarietà, che controlla anche gli eventuali eccessi lega
a tema che religiose o poli che. L’equilibrio formale, ovvero il principio della medietas applicato allo s le,
stempera la solennità e la ra natezza del linguaggio poe co grazie a un’espressione immediata e vivace,
a raverso tu a una serie di accorgimen retorici il cui apice è l’u lizzo della callida iunctura, ovvero di un
accostamento insolito e originale di due termini la cui vicinanza suggerisce immagini inconsuete e signi ca
carichi di forte espressività. L’esito del canto oraziano è una straordinaria armonia fra piano tema co e
piano s lis co che si può a ragione riconoscere come “classica”.
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VIDES UT ALTA STET NIVE (Odi 1.9- metro: strofe alcaica)
ANALISI: La rievocazione di un’atmosfera invernale, cui segue l’invito a scacciare il freddo col calore del
fuoco e con l’abbondanza del vino, è chiaramente modellata su un’ode di Alceo, di cui sono giun a noi
soltanto pochi frammen . Orazio arricchisce questa immagine di valori simbolici, trasformandola in una
meditazione esistenziale. Il paesaggio laziale, imbiancato di neve e intrappolato nel gelo, cos tuisce infa il
punto di partenza per una ri essione sul senso della vita umana che tocca alcuni dei temi più cari al poeta,
quali la fugacità del tempo, l’imprevedibilità del futuro, il senso vano dell’a esa e la necessità di godere di
ogni a mo e di ogni gioia che la vita o re. Fra le gioie maggiori o erte all’uomo gurano il calore
dell’amicizia vissuta in un contesto di convivialità e i piaceri degli amori della giovinezza. La rielaborazione
dello spunto iniziale tra o da Alceo avviene innanzitu o a raverso la menzione, al v. 2, del monte Sora e e
dunque a raverso la rievocazione di un paesaggio italico e laziale: si tra a di un paesaggio invernale
contemplato da quell’ambiente caldo e allegro dove si svolge il banche o di cui Taliarco, probabilmente, è il
re. È a lui che Orazio rivolge le sue esortazioni. Che Taliarco sia un personaggio zio o che sia realmente
esis to non è importante: ciò che conta ai ni dell’interpretazione del carme è il fa o che si tra di un
giovane, un puer. Solo a un giovane, infa , si può chiedere di non interessarsi al futuro, lasciando tu e le
altre preoccupazioni agli dei, i quali hanno il potere di far cessare in un a mo le tempeste. Solo a chi è nel
ore degli anni si può rivolgere l’esortazione a vivere giorno per giorno, nella consapevolezza, che l’uomo
non è padrone del proprio domani, godendo di quelle gioie di cui nella vecchiaia non sarà mai possibile
godere. Da notare, peraltro, come l’an tesi fra l’oggi della giovinezza e il domani della vecchiaia sia
so olineata anche da una studiata opposizione croma ca: alla giovinezza, che si presenta “verdeggiante”, si
oppone la vecchiaia, che si cara erizza invece per il candore dei capelli. L’esortazione a vivere il presente
senza porsi domande sul futuro è uno dei temi maggiormente ricorren della ri essione oraziana; essa
trova una delle sue più incisive formulazioni nell’ode, là dove Orazio ammonisce l’amica Leuconoe a non
inves gare sul des no che a ende sia lei sia il poeta e a <<cogliere l’a mo>> (carpe diem). Nell’ode 1,9 il
poeta dapprima esorta il suo interlocutore a rifuggire dal chiedere che cosa avverrà domani; coerentemente
con questa esortazione, lo invita a segnare tra i pro qualunque giorno la sorte gli concederà.

Vides ut alta stet nive candidum Guarda la neve che imbianca tu o


Soracte nec iam sus neant onus il Sora e e gli alberi che gemono
silvae laborantes geluque, al suo peso, i umi rappresi
umina cons terint acuto. nella morsa del gelo.
Dissolve frigus ligna super foco sciogli questo freddo, Taliarco,
large reponens atque benignius e legna, legna aggiungi al focolare;
deprome quadrimum Sabina, poi senza calcolo versa vino vecchio
O Thaliarche, merum diota. da un’anfora sabina.
Permi e divis cetera, qui simul Lascia il resto agli dei: quando placano
stravere ventos aequore fervido sul mare in burrasca la furia dei ven ,
deproelian s, nec cupressi non trema più nemmeno un cipresso,
nec veteres agitantur orni. un frassino cadente,
Quid sit futurum cras, fuge quaerere, et Sme la di chieder cosa sarà domani,
quem fors dierum cumque dabit, lucro e qualunque giorno la fortuna conceda
adpone nec dulcis amores segnalo tra gli u li. Se ancora lontana
sperne, puer, neque tu choreas, è la vecchiaia fas diosa
donec viren cani es abest dalla tua verde età, non disprezzare, ragazzo,
morosa. Nunc et Campus et areae gli amori teneri e le danze. Ora chiamano
lenesque sub noctem susurri l’arena, le piazze e i sussurri lievi
composita repetantur hora, di un convegno alla sera,
nunc et laten s proditor intumo il riso so ocato che rileva l’angolo
gratus puellae risus ab angulo segreto dove si nasconde il tuo amore;
pignusque dereptum lacer s il pegno strappato da un braccio
aut digito male per naci. o da un dito che resiste appena.
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L’AUREA MEDIOCRITAS (Odi 2,10)
ANALISI: Quest’ode, che con ene diversi consigli di saggezza, è innanzitu o una celebrazione del principio
dell’aurea mediocritas, ossia del “giusto mezzo”. Si tra a di un mo vo centrale della ri essione oraziana,
che viene qui presentato a raverso un uso notevole di immagini metaforiche. Il nucleo centrale della
ri essione riguarda il tema della virtù intesa come via di mezzo fra eccessi oppos , come ricerca
dell’equilibrio in ogni situazione. Il des natario dell’ode, apostrofato nel verso di apertura, è un certo
Lucinio. Nelle edizioni an che veniva iden cato come Lucio Lucinio Murena, glio di quel Murena che fu
difeso da Cicerone. A Lucinio il poeta o re saggi consigli di cara ere loso co per far fronte alle inevitabili
di coltà della vita; in par colare, lo esorta a seguire il “giusto mezzo”. In questo carme Orazio illustra il
principio e co del “giusto mezzo” ricorrendo a una serie di immagini a cara ere metaforico. In apertura il
poeta propone l’immagine del marinaio che governa la sua nave tenendola lontano dai pericoli sia del mare
aperto (le tempeste) sia di una navigazione so o costa (gli scogli). Analogamente, per vivere secondo virtù,
l’uomo deve evitare gli eccessi. Come esplicitamente a ermato nella seconda strofe del componimento
colui che aspira e consegue questa “medietà” o errà serenità ed equilibrio: l’immagine che il poeta sceglie
in questa strofe per rappresentare la condizione dell’uomo virtuoso è quella della casa, che non deve essere
né troppo grande né troppo piccola. Puntare troppo in alto è rischioso, perché un’eventuale caduta può
essere oltremodo rovinosa. A enersi al principio e co del “giusto mezzo” vuol dire anche mantenere un
a eggiamento equilibrato nella buona e nella ca va sorte. Questo principio, esposto nella prima parte
della quarta strofe, è poi illustrato nell’immediato seguito dell’ode a raverso due esempi: Giove assegna
all’uomo orribili inverni e solo lui può allontanarli; di Apollo di cui viene rievocata la varietà delle funzioni,
emblema ca dei mutamen della sorte. Il componimento prevede una stru ura circolare, “ad anello”, che
ne so olinea l’unità conce uale: nell’ul ma strofe, infa , si ha un ritorno all’immagine iniziale del
marinaio. Da un messaggio al suo interlocutore: la vera saggezza sta da un lato, nel sopportare con forza e
coraggio le so erenze consiste nel non perdere il senso della misura nei momen in cui la fortuna è
propizia.

CARPE DIEM (Odi 1,11- metro: asclepiadei maggiori)


ANALISI: Il componimento si apre con il Tu, che risulta dunque collocato in posizione di for ssimo rilievo.
Alla sua interlocutrice, Leuconoe, il poeta rivolge un divieto perentorio, espresso con un impera vo
nega vo che, collocato proprio nel primo verso, si con gura vome una richiesta forte di rinuncia, a cui poi
ne fa seguito un’altra: il poeta percepisce l’intento della donna, che è quello di voler conoscere il termine
ul mo delle loro esistenze; perciò le ricorda che quella che accinge a compiere è un’azione sacrilega: un
auten co nefas, ovvero un gesto che va contro gli dei. Dopo i divie il poeta prospe a alla donna una
possibilità per placare il suo inappagabile desiderio di conoscenza del futuro: l’acce azione del des no
stabilito dagli dei. Dal momento che il des no si misura in termini di tempo da vivere, concesso dagli dei
all’uomo, al saggio non rimane che l’acce azione distaccata della sua sorte. Dopo queste ri essioni il poeta
torna alle esortazioni. Nel nale parla ulteriormente in modo sinistro del tempo, che è colto nella sua fuga
irreparabile ed è signi ca vamente de nito invida aetas: il tempo è os le. L’unica dimensione del tempo a
disposizione dell’uomo è oggi. Carpe diem: una celeberrima esortazione nella quale si condensano il
messaggio dell’ode e il credo oraziano in ordine al tema del tempo.

Tu ne quaesieris (scire nefas) quem mihi, quem bi Tu non cercare, empio è saperlo, qual ne a me,
nem di denderint, Leuconoe, nec Babylonios quale a te gli dei han des nato, Leuconoe, e non
temptaris numeros. Ut melius quicquid erit pa ! tentare gli oroscopi caldei. Meglio acce are
Seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ul mam, pazientemente quello che sarà! Siano mol gli
quae nunc opposi s debilitat pumicibus mare inverni assegna da Giove, o sia l’ul mo questo che
Tyrrhenum, sapias, vina liques et spa o brevi ora s nisce il mare Tirreno su scogliere corrose, sii
spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida saggia, ltra i vini, e dallo spazio tuo breve recidi la
aetas: carpe diem, quam minimum credula lunga speranza. Mentre parliamo, sarà già fuggito
postero. maligno il tempo. Cogli ogni giorno che viene, e
non contare mai sul giorno dopo.
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LA FONTE BANDUSIA
In questo carme Orazio celebra la purezza delle acque della fonte Bandusia, per poi passare ad annunciare il
sacri cio di un capre o con cui la fonte sarà onorata il giorno successivo; è possibile che il sacri cio
promesso cada in occasione della festa dei Fontanilia, che si svolgeva il 13 o obre per onorare le sorgen e i
corsi d’acqua. Secondo il topos del locus amoenus, la sorgente è celebrata in quanto parte di un paesaggio
idealizzato, che anche nel periodo più caldo dell’anno o re ristoro e ombrosa frescura agli animali stanchi e
asseta . Grazie ai versi del poeta, inoltre, la fonte Bandusia si so rarrà alla corruzione del tempo, entrando
nel novero delle fon più illustri. Tema centrale dell’ode è la celebrazione di un locus amoenus: tra gli
elemen che lo cara erizzano gurano l’acqua cristallina, il capre o, i buoi stanchi per i lavori agricoli, il
gregge esuberante, la calura es va e il refrigerio o erto dalle acque zampillan . Partendo dalla
considerazione di ques elemen e, più in generale, dall’ambientazione dell’ode, è senz’altro possibile
a ermare che la rappresentazione tra eggiata da Orazio presen delle a nità con un altro genere poe co
pra cato in età augustea, la poesia bucolica. Ogni strofe è cara erizzata da un tema par colare: nella prima
si parla della bellezza della fonte; nella seconda il mo vo centrale è il rito del sacri cio del capre o; la terza
è incentrata sui bene ci o er dalla fonte agli animali; nella quarta si tra a dell’immortalità donata alla
fonte dalla poesia.

O fons Bandusiae splendidior vitro, O Fonte di Bandusia, più trasparente del cristallo
dulci digne mero non sine oribus, degna di o erte di vino puro con mol ori,
cras donaberis haedo, domani riceverai in dono da me un capre o al
cui frons turgida cornibus quale la fronte gon a per le prime corna che
primis et venerem et proelia des nat. stanno per spuntare e prome e zu e amorose.
Frustra: nam gelidos in ciet bi Inu lmente: infa (il capre o) sporcherà per te di
rubro sanguine rivos rosso sangue i freddi ruscelli il capre o che è il
lascivi suboles gregis. glio del gregge irrequieto. La stagione crudele
Te agran s astrox hora Caniculae della Canicola ardente non sa toccar tu o ri una
nescit tangere, tu frigus amabile piacevole frescura ai tori stanchi per l’aratro e alle
fessis vomere tauris pecore erran . Diventerai anche tu una delle fon
praebes et pecori vago. famose poiché io canto un leccio che copre le
Fies nobilium tu quoque fon um gro e rocciose, da dove canterine splendono le tue
me dicente cavis impositam ilicem limpide acque.
saxis, unde loquaces
lymphae desiliunt tuae.

I CARMINA (ODE 1, 14)


Tu a la poesia è incentrata sulla metafora della nave malinconica, paragonata alla repubblica romana in un
periodo di decadenza quando ormai ci si rende conto che tu o il mondo culturale e di tradizioni ha perso la
sua semplicità. La nave, in balia dei pericoli e dei ussi, è un’immagine classica già usata nella poesia greca
(Alceo) e da Cicerone nel De repubblica. Orazio non crede nel totale trionfo che invece viene ampiamente
celebrato nell’epoca in cui vive: il poeta ha vissuto le guerre civili che hanno logorato Roma: ba aglia di
Filippi del 42 a.c., guerra civile del 38 a.c. (Sesto Pompeo e O aviano), ba aglia di Azio del 31 a.c. Egli non si
da della pace apparente che vuole imporre Augusto. Del resto, almeno inizialmente, ha sostenuto i
cesaricidi contro O aviano. Nella ba aglia di Filippi, però, per paura, diserta e da quel momento ri uta la
guerra, con dando nelle capacità di O aviano. Proprio per questo mo vo, sceglierà di vivere isolato, nella
tranquillità della sua villa in campagna, per ri e ere, lontano dalla vita mondana, sull’avvenire della patria.

Allegorie: tempesta, mare, vento, nave, porto= campo seman co della navigazione.
Roma= nave senza nocchiero-> gli dei hanno avuto però compassione e le hanno regalato un governo
augusteo (equilibrato). Mare= insidia. Africo= vento del sud. Non ci sono più le immagini degli dei sulla
poppa-> neanche gli dei assistono Roma. Pini del ponto= materiale pregiato di cui sono costruite le navi->
Roma sei stata caput mundi, ma adesso me da parte la tua superbia. Cicladi (metonimia-> mare
pericoloso) = isole greche cara erizzate dal mare molto forte.
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