rosa di Eco.
Con il termine Incipit, in filologia si fa riferimento alle prime parole con cui comincia un testo, ma nella critica letteraria moderna, il termine ha un significato pi ampio: lintero periodo di avvio del testo, che pu essere di lunghezza variabile e di solito termina dove il racconto, ormai innescato si avvia nella trama. In alcuni casi pu comporsi di uno o pi periodi, in altri pu far capitolo a parte e in altri ancora esser al di fuori dello schema narrativo vero e proprio. Nel caso de La Divina Commedia di Dante, esso un canto a se stante, appunto il primo dellInferno, e ha la funzione non solo introduttiva della narrazione vera e propria, ma gi esso stesso la narrazione: apre con unimmagine che lallegoria dello smarrimento. Dante ci racconta della propria condizione esistenziale e, per darne unidea concreta, la trasforma in selva e pone se stesso, personaggio e narratore, nel centro di quella situazione angosciosa. Dante si trova allimprovviso, non sappiamo n come n perch, in un bosco, una selva. solo e smarrito. Ipotizziamo che ne esca da una lunga notte. Certi particolari lasciano supporre che lipotesi del sogno sia plausibile. Innanzitutto perch notte; poi per la frase tantera pien di sonno a quel punto che, letta allegoricamente, indica il sonno della ragione, ma suggerisce anche uno stato di intorpidimento: quella condizione velata tra sonno e veglia in cui le immagini del fuori ci raggiungono sotto forma di fantasmi. un Dante dunque, che dorme e sogna di s stesso smarrito, e quel s stesso nella selva diviene limmagine simbolo di un uomo che, giunto a met della propria vita, non ancora vecchio, non pi giovane, prende consapevolezza concreta e angosciosa della morte. Lorrore provocato da questa presa di coscienza, lo porta quindi a sentirsi perduto nel groviglio dei propri tormenti, tra tutto il non risolto che ogni uomo si trascina con s. Tutto il primo canto introduce tempi, luoghi e protagonisti a venire. Con una diversa tecnica introduttiva si apre I promessi sposi . Manzoni utilizza un andamento descrittivo che procede dal generale al particolare, dal grande al piccolo, dall'indistinto allo specifico, fino a raggiungere quell'azione decisiva che mette in moto tutta la trama.
Infatti si inizia con la descrizione di un paesaggio ampio e disteso sul quale la vista si afferma immediatamente; subito dopo l'occhio, dopo aver alzato lo sguardo sulle cime circostanti, si restringe fino a cogliere il punto dove sorge la citt di Lecco e poi, rimpicciolendo ancora di pi la prospettiva, individua la rete delle stradine di campagna fino al momento della messa a fuoco e dell'ingrandimento della figura di don Abbondio per concludersi con la ricerca, ancora pi particolareggiata, dei sassi che egli scalcia e solo a questo punto l'incipit pu dirsi concluso. Nel caso dell'incipit del Manzoni si assiste ad una dinamica geometrica e figurativa, terminata la quale l'azione procede e il lettore entra nel romanzo per trovarsi i bravi che compaiono dicendo "questo matrimonio non s'ha da fare, n domani, n mai". Con il romanzo di Umberto Eco, invece ci troviamo di fronte almeno a tre incipit: il primo lo stratagemma del manoscritto ritrovato, per cui il vero autore rester pressocch anonimo, una finzione che parla di un manoscritto che non esiste e di una ricerca che non mai avvenuta: Il 16 agosto 1968 mi fu messo tra le mani un libro dovuto alla penna di tale abate Vallet, Le manuscript de Dom Adson de Melk, traduit en franais daprs ldition de Dom J. Mabillon (Aux Presses de lAbbaye de la Source, Paris, 1842). Il libro, corredato da indicazioni storiche invero assai povere, asseriva di riprodurre fedelmente un manoscritto del XIV secolo, a sua volta trovato nel monastero di Melk dal grande erudito secentesco, a cui tanto si deve per la storia dellordine benedettino. Il secondo incipit il libro nel libro. In pratica sarebbe il libro cercato dal curatore nelle prime cinque pagine. Inizia con una citazione biblica e presenta un anziano frate che sceglie di raccontare alcuni eventi ai quali ha preso parte in giovent: In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Questo era in principio presso Dio e compito del monaco fedele sarebbe ripetere ogni giorno con salmodiante umilt lunico immodificabile evento di cui si possa asserire lincontrovertibile verit. Ma videmus nunc per speculum et in aenigmate e la verit, prima che faccia a faccia, si manifesta a tratti (ahi, quanto illeggibili) nellerrore del mondo, cos che dobbiamo compitarne i fedeli segnacoli, anche l dove ci appaiono oscuri e quasi intessuti di una volont del tutti intesa al male. il terzo e ultimo incipit appartiene allo stile epico di Omero, la cui arte narrativa fa cominciare il racconto ad avvenimenti gi in corso ed usata per indicare che si desidera entrare nei fatti narrati cominciando direttamente nel vivo della vicenda, nel mezzo dell'azione, senza alcun preambolo, ed in pratica linizio della narrazione vera e propria, che comincia con un viaggio di due frati in una mattina soleggiata di novembre verso la loro destinazione, unabbazia.
Liliade di Omero rispetta la cifra stilistica del Poema epico; in realt essa fissa i canoni di tutti i poemi epici a venire. Lazione introdotta dallesortazione del poeta alla Musa, affinch ella possa cantare gli eventi, nello specifico, lira di Achille, re tra i re, che, per un torto subto da Agamennone, durante lassedio degli achei a Troia, si ritira sdegnato presso le sue tende, rifiutandosi di continuare a combattere. Linnesco gi fornito: da qui in poi Omero prende le redini in mano e comincia ad introdurci ad un assedio che gi cominciato da ben dieci anni.