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MIMESIS / IL CAFFÈ DEI FILOSOFI

n. 82

Collana diretta da Claudio Bonvecchio e Pierre Dalla Vigna

COMITATO SCIENTIFICO
Paolo Bellini (Università degli Studi dell’Insubria, Varese), Claudio Bonvecchio
(Università degli Studi dell’Insubria, Varese-Como), Matteo Giovanni Brega
(IULM, Milano), Antimo Cesaro (Università degli Studi di Napoli, Federico II),
Pierre Dalla Vigna (Università degli Studi dell’Insubria, Varese-Como), Giuseppe
Di Giacomo (Università di Roma La Sapienza), Giuliana Parotto (Università degli
Studi di Trieste), Luca Taddio (Università degli Studi di Udine), Valentina Tirloni
(Université Nice Sophia Antipolis), Jean-Jacques Wunemburger (Université Jean-
Moulin Lyon 3)
STEFANO CRISTANTE

CORTO MALTESE
E LA POETICA
DELLO STRANIERO
L’atelier carismatico di Hugo Pratt

MIMESIS
MIMESIS EDIZIONI (Milano – Udine)
www.mimesisedizioni.it
mimesis@mimesisedizioni.it

Collana: Il caffè dei filosofi n. 82


Isbn: 9788857532967

© 2016 – MIM EDIZIONI SRL


Via Monfalcone, 17/19 – 20099
Sesto San Giovanni (MI)
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INDICE

CAPITOLO I
L’ATELIER CARISMATICO DI HUGO PRATT.
ESPLORAZIONE SOCIOLOGICA DI UNO STRANIERO A FUMETTI 7

CAPITOLO II
POETICHE DELLO STRANIERO: EL MUERTO,
SGT. KIRK, LUCA ZANE, SIMON GIRTY, CORTO MALTESE 83

CAPITOLO III
LA STRANEZZA DELLO STRANIERO:
IMPLICAZIONI TEORICHE DI CORTO MALTESE 117

CAPITOLO IV
CORTO SENZA PRATT: UN NUOVO E ALGIDO INIZIO
DELLA POETICA DELLO STRANIERO PER UN CLASSICO DEL ʼ900 137

RINGRAZIAMENTI 147
CAPITOLO I
L’ATELIER CARISMATICO DI HUGO PRATT.
ESPLORAZIONE SOCIOLOGICA
DI UNO STRANIERO A FUMETTI

Il mondo dei creatori di fumetti è solitamente un mondo appar-


tato. Di rado la biografia di un narratore a strisce diviene di domi-
nio pubblico. Conosco poche eccezioni alla regola. Una di queste
è Hugo Pratt. Pur non esistendo in Italia l’humus collettivo che ha
consentito – per esempio a due passi da noi, in Francia – l’assorbi-
mento dei fumetti tra le espressioni nobili dell’industria culturale,
Pratt è unanimemente considerato un grande artista e un personag-
gio straordinario.
Sono conosciute le sue numerose peregrinazioni professionali in-
tercontinentali, la sua bulimia di viaggiatore, la sua voracità di letto-
re, il suo gusto per l’esoterico, la sua affiliazione massonica, il suo
talento istrionico (suonatore di chitarra e cantante, attore di fotoro-
manzi, attore cinematografico, scrittore di romanzi), la sua avvol-
gente oralità, la sua attenzione per la documentazione, la sua rapidità
di esecuzione tecnica.
Un aspetto sociologicamente interessante, tra i tanti, emerge dal
suo ruolo all’interno dei gruppi creativi. Ma procediamo con ordine.

Aspettando Corto (1)

Come recitano tutti i lavori di ricostruzione biografica di Pratt,


l’artista nacque a Rimini nel 1927 durante una breve vacanza dei
genitori e crebbe a Venezia, a tutti gli effetti la sua patria anagrafica
e spirituale. Quando aveva 10 anni suo padre e sua madre, piccola
borghesia veneziana-romagnola dal pedegree esotico (Pratt era di-
scendente da franco-inglesi per parte di padre e da marrani turchi per
parte di madre), si trasferirono in Etiopia. Il padre era sergente mag-
giore della Polizia dell’Africa Italiana. Nel 1941 l’esercito inglese
8 Corto Maltese e la poetica dello straniero

entrò in Abissinia e Pratt si trovò senza padre, internato nel campo


di concentramento di Dire Daua, dove morì un anno dopo. Hugo
e la madre tornarono in Italia nel 1943, a Venezia, nell’atmosfera
convulsa degli ultimi anni di guerra. La precocità, in quelle stagio-
ni, era una condizione sociale diffusa, per cui non c’è da stupirsi se
quell’adolescente sedicenne dalla vita già densa avesse conosciuto
molte cose e appreso un’arte di vivere nell’emergenza che resterà
una sua caratteristica esistenziale. Dall’esperienza africana ebbe in
dote abilità di poliglotta, di cui si servirà per sopravvivere a Venezia
e in Italia, spesso spacciandosi per inglese o francese, e una spiccata
predilezione per le divise militari, gli stemmi, gli emblemi, i gradi
(di cui in molte sue storie a fumetti ricorre la ricostruzione meticolo-
sa). Imparò tante altre cose in Etiopia, una delle quali diede il titolo
alla sua prima autobiografia: Le pulci penetranti1. Come racconta lo
stesso Pratt:

Ma la prima cosa proprio africana che ho fatto io è stata quella di


prendermi le pulci penetranti. Bisognava allora andare a farsi fare dei
tagli dai dottori nelle dita dei piedi. Infatti c’era il dottor Pizzi, amico
di famiglia, che tagliava queste dita ai connazionali. Diavolo, lui ta-
gliava dove si era formato il sacchetto delle pulci penetranti. Bene, le
pulci si spandevano sotto le unghie. Non si finiva più col bisturi sotto
le unghie. Io ero lì con questo piede in mano, quando mi ha visto Bra-
hane, il servo di casa nostra. «Dai, dai non dar retta al dottor Pizzi» mi
disse. C’era lì un albero spinoso, ha tolto via una spina, l’ha spellata e
mi ha liberato della pulce penetrante. «Guarda» mi ha detto, «quando
hai le pulci penetranti non stare ad andare dal dottore, ferma il primo
abissino e digli di togliertele lui. Non stare a dire niente a tuo padre».
Verissimo, ne ho sempre prese e dopo avevo imparato e me le toglievo
per conto mio.2

La scrittura autobiografica, figlia di una registrazione su nastro


captata nel corso di varie scorribande di Pratt “da Gerona ad Alge-
siras, da Ceuta a Rabat all’interno di una vecchia millecento Fiat,

1 De Rosa Antonio (a cura di), Le pulci penetranti, Alfieri editore, Venezia, 1971.
Una rivisitazione dell’autobiografia uscì poi nei tardi anni ‘80: cfr. Pratt Hugo,
Aspettando Corto, Editori del Grifo, Città di Castello, 1987.
2 Pratt Hugo, Aspettando Corto, op. cit. pp. 18-19.
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 9

guidata dall’amico disegnatore Antonio de Rosa”3, è particolarmente


colorita e tracimante, caratteristiche ben diverse dalla struttura delle
opere grafiche e letterarie di Pratt, anche del suo primissimo periodo.
Il giovanotto, superato con mille acrobazie l’epilogo della guerra, è
in possesso di un già discreto background come lettore di classici
dell’avventura e di un notevole talento di disegnatore. A ricomporre
le diverse propensioni provvedono i fumetti americani, pubblicati
dall’«Avventuroso» (era nato nel 1934), e quelli italiani, pubblicati
da «Il Vittorioso» (1937). Le due testate erano collezionate gelo-
samente, i loro numeri scambiati come reliquie a partire dal 1943,
quando entrambe chiusero per l’inasprirsi delle condizioni terminali
della guerra. Intorno al complicato consumo di fumetti si stabilirono
legami di frequentazione tra coetanei veneziani appassionati e do-
tati. Il fatto stupefacente fu il passaggio rapidissimo da comunità di
lettori a gruppo creativo. Il primo socio del gruppo, Mario Faustinel-
li, era figlio di un piccolo editore che mise a disposizione le proprie
competenze. Hugo Pratt era in grado di produrre tavole ispirate ai
suoi riferimenti grafici, primo tra tutti Milton Caniff, sulla base delle
storie di Albero Ongaro (cugino di Faustinelli), sceneggiatore molto
attento alla letteratura avventurosa, come lo stesso Pratt. Una volta
ultimate le matite del singolo episodio, Faustinelli ripassava a china.
I tre giovani erano il fulcro del gruppo che si chiamava Uragano
Comics, e il loro personaggio eponimo – quello che finirà per dare
il nome alla testata – era l’Asso di Picche. Nella rivista (“20 pagine,
5 storie, 200 illustrazioni”, recitava il sottotitolo di una copertina4)
trovavano spazio anche altri autori: i dotatissimi Dino Battaglia e
Giorgio Bellavitis, il primo impegnato nella lunga saga Junglemen

3 Così scrive l’editore Alfieri nella presentazione de Le pulci penetranti, op. cit. E
poi prosegue, in modo un po’ agiografico: “Al quale (al disegnatore Antonio de
Rosa, nda) ho chiesto di rimettere ordine nel materiale immenso e di tentare di
trascrivere, in qualsiasi lingua, il libro. L’impresa non era possibile e per questa
ragione, per fortuna, esce nella lingua stessa di Hugo Pratt. Il divertimento
immenso nel lettore avveduto ne esce così rafforzato. E, dietro ogni pagina,
gli sembrerà di vedere, come è sempre sembrato a me, lo sguardo di ferro,
dagli occhi grigi, ironico, sempre critico, soppesante, duro, cattivo e buono,
dell’Autore”.
4 Si tratta del n. 2 della nuova serie (Albo Uragano n. 17), dove l’Asso di Picche
agisce in trasferta nella città lagunare (“Avventura a Venezia”).
10 Corto Maltese e la poetica dello straniero

(fino alla venticinquesima tavola, poi sostituito da Pratt) e il secondo


ottimo interprete di un Robin Hood a fumetti. Se Battaglia e Pratt
erano influenzati in modo piuttosto evidente dal grande artista ame-
ricano Milton Caniff, l’autore di Terry e i pirati pubblicato dall’«Av-
venturoso», Bellavitis guardava piuttosto ad Alex Raymond, l’au-
tore di Flash Gordon, personaggio di culto anche in Italia fin dalla
metà degli anni ’305.
Con l’esperienza del gruppo di Uragano Comics (il nome com-
merciale del cosiddetto “Gruppo di Venezia”, cui partecipano anche
Ivo Pavone e Stelio Fenzo, ancora pressoché adolescenti) il fumetto
dimostra la propria straordinaria efficacia di medium veloce, in gra-
do di consentire a giovani talentosi di farsi notare e di uscire in edi-
cola in pochissimo tempo. È il grande vantaggio di una tecnologia
composta di carta, matite e pennini per la china, una sorta di grado
zero dell’arte (e dell’industria) di raccontare storie per immagini e
testi. Nel caso del “Gruppo di Venezia” l’assorbimento letterario è
stato in parte compiuto attraverso la lettura di London, Zane Grey,
Kipling, Stevenson, Conrad, Melville (e ciò funziona ottimamente
per i soggetti e le sceneggiature di Alberto Ongaro, ma agisce an-
che in Pratt, che discute e propone migliorie ai ritmi narrativi e ai
dialoghi); l’assorbimento grafico avviene attraverso le pubblicazioni
italiane delle storie americane disponibili, e in particolare di quelle
di Milton Caniff. È evidente l’attenzione a ogni dettaglio del lavoro
di Caniff da parte di Pratt, compresa la firma apposta nelle coperti-
ne e al principio delle storie, realizzata in uno stampatello nitido e
tondeggiante molto vicino alla firma del cartoonist americano. Lo
studio condotto da Pratt sulle pagine di Terry e i pirati si concretizza
anche nella sapienza dei giochi d’ombra, capaci da soli di conferire
mistero e persino spessore psicologico alle espressioni facciali dei
personaggi, sempre meno rigide e standardizzate, sempre più plau-
sibili e ricercate senza però appiattirsi su un realismo di stampo fo-

5 Scrive a questo proposito Piero Zanotto che nella versione di Bellavitis di Robin
Hood vi era, “nel segno e nello slancio anatomico dei personaggi, il ricordo di un
maestro, anch’esso americano, di nome Alex Raymond (che dalla metà degli anni
’30 furoreggiava con la serie intestata a Flash Gordon)”, cfr. http://lucaboschi.
nova100.ilsole24ore.com/2009/05/24/ddio-a-giorgio-bellavitis/ (consultato in
data 1/7/2015).
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 11

tografico. Caniff serve a Pratt anche per azzardare una costruzione


cinematografica delle singole vignette, con un uso sapiente dei primi
e primissimi piani, delle inquadrature dall’alto e dal basso. Se il se-
gno di Caniff è di una nitidezza inarrivabile, la lavorazione di Pratt,
pur a tratti acerba e imprecisa, spalanca movimenti sempre meno
d’abitudine e sempre più sorprendenti, che realizzano con i testi di
Ongaro – a loro volta perfettibili ma molto dinamici e poco retorici,
in un periodo che di retorica era fortemente intriso – un amalgama
innovativo e fecondo.
La decisione del tratto è la caratteristica che più colpisce nelle pri-
me prove di Pratt: la sua rapidità di esecuzione era già proverbiale,
e l’avvicinarsi del momento della chiusura redazionale dei numeri
dell’«Asso di Picche» rendeva ancora maggiore la sua velocità pro-
duttiva.
C’è però un “ma” nella tenuta di quel gruppo di giovanissimi ve-
neziani (Pratt all’uscita del primo numero della rivista ha 18 anni,
Ongaro 20, Faustinelli 21, Bellavitis 19, Pavone 16 e Fenzo addirit-
tura 14). L’avversativa è dovuta al carattere di Pratt, per cui viaggia-
re è verbo e valore prioritario.

Appena aveva qualche soldo in tasca – racconta Stelio Fenzo – anda-


va al porto di Venezia. Se trovava posto come mozzo si imbarcava all’i-
stante e stava via per settimane, a volte per mesi. Poi tornava, si chiu-
deva in casa a disegnare come un razzo. Naturalmente, essendo Hugo
il disegnatore di punta dell’«Asso di Picche», questo significava dover
rinunciare alla periodicità fissa della rivista. Formalmente si trattava
di un quindicinale, ma era già tanto se uscivamo una volta ogni mese
e mezzo. Questo fatto, unito alla complicatezza della distribuzione,
comportò evidenti difficoltà organizzative, che finirono per diventare
economiche, provocando la chiusura dell’«Asso di Picche». D’altronde
non c’era nulla da fare: Hugo era attratto irresistibilmente dai viaggi e
non c’era verso di fargli cambiare abitudini.6

In questo resoconto c’è il segreto del comportamento sociale di


Pratt: dimostra predisposizione ed entusiasmo all’idea di far parte
di un gruppo creativo cui fornisce energia e talento ma poi “spari-

6 Conversazione privata con Stelio Fenzo, giugno 2015.


12 Corto Maltese e la poetica dello straniero

sce”, catturato dalle proprie priorità esistenziali. Quindi Pratt era


dentro e fuori dal gruppo. Ricorda Alberto Ongaro:

Tra noi c’era omologazione culturale, Stevenson e Conrad li abbia-


mo divorati tutti. Avevamo letto gli stessi libri, amato gli stessi film,
avevamo un linguaggio da clan e dunque la comunicazione era imme-
diata, i disegnatori sapevano quello che intendeva lo sceneggiatore e
che era quello che a loro interessava fare.7

Mi colpisce molto l’espressione di Ongaro “avevamo un lin-


guaggio da clan”: il clan è un tipo particolare di gruppo, che pre-
suppone un’organizzazione insieme gerarchica e comunitaria.
Pratt non era il capo-clan, ruolo svolto nella prima fase da Mario
Faustinelli, probabilmente anche per via del contributo editoriale
del padre alla gestione dell’«Asso di Picche». Eppure Pratt non
era nemmeno un braccio destro o un gregario, quanto piuttosto un
autorevole irregolare influente sugli altri membri del clan grazie
al carisma (certo debitore della sua competenza e del suo estro
grafico) e alla libertà di movimento (di cui la libertà di viaggiare
è parte fondamentale). La produzione seriale non lo spaventava:
come abbiamo visto aveva grandi capacità di lavoro in unità di
tempo ristrette, e s’intendeva bene con Ongaro e con gli altri.
Tuttavia la serialità, anche quella artigianale dell’epoca dell’«As-
so di Picche», non lo conquistava completamente. Aveva bisogno
di respirare, sia in altri campi artistici, sia in altre culture.
La sua strana, complicata e a tratti solitaria adolescenza mul-
ti-culturale si era sovrapposta al gruppo clanico senza finirne in-
ghiottita. In questa fase lo spessore di narratore emerge più nel-
la saga dei Junglemen che nelle avventure dell’eroe mascherato
Asso di Picche: questi era un concentrato fumettistico di Batman
e The Phantom (L’Uomo Mascherato), con un linguaggio grafi-
co promettente e dialoghi efficaci, ma senza particolari preroga-
tive di complessità e introspezione. Diversa invece la costruzio-
ne dei Junglemen, scenario bellico esotico (Nuova Guinea) dove
apparentemente si combattono poliziotti coloniali multinazionali

7 Cfr. Scarpa Laura, Hugo Pratt. Le lezioni perdute, Lit Edizioni, Roma, 2012, p.
87.
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 13

e nativi guerrieri, vogliosi di indipendenza appena conclusasi la


seconda guerra mondiale. L’inserimento di un ulteriore gruppo di
personaggi, avventurieri bianchi guidati da un disertore chiamato
El Muerto e alleati dei Papua, produce stratificazione narrativa e
senso del contrasto molteplice, creando un palcoscenico dove si
sviluppa una vera e propria epopea. Qui i talenti narrativi di Onga-
ro e Pratt si esprimono a un più alto livello, e qui si creano notevoli
spazi per una poetica che incontra il conflitto identitario. Soldati
provenienti da paesi diversi, quasi dei legionari, esaminati nel loro
mai definitivo appartenere alla guerra, fattore scatenante di rea-
zioni psicologiche diverse e a volte contrapposte; nativi papuani
e disertori, conoscitori esperti di un territorio esotico ma ostile e
uniti nell’opposizione al controllo militare internazionale. È quan-
to basta per aprire il varco a dialoghi e a scenari dotati di spessore
socio-psicologico, dove la regia prattiana coltiva gli enzimi delle
personalità irregolari, impossibilitate ad adattarsi alle regole di un
ambiente, persino nelle pieghe di eccezionali situazioni belliche.
El Muerto inaugura la marcia di avvicinamento di Pratt alla costru-
zione del personaggio iconico e teorico dello “straniero”, intenden-
do con questa definizione il soggetto di una poetica di complessità
identitaria, di estraneazione ideologica dai cliché eroici della dife-
sa assoluta del bene ma di coinvolgimento nelle giuste battaglie,
di solitudine temperata dall’ardimento e dal gioco, di scetticismo
sulle sorti dell’umanità attraversato da uno strano lirismo. Non è
un caso che gli stessi lineamenti di El Muerto possano dialogare
con quelli del Sergente Kirk (1953), di Capitan Cormorant (1962)
e dello stesso Corto Maltese (1967), a testimonianza di una stirpe
di personaggi “stranieri” tra loro accomunati anche fisicamente.
Tuttavia la necessità di concertare l’insieme dei personaggi dei
Junglemen spinge al risultato dell’epopea: si pensi che l’intera vi-
cenda del fumetto, trasportata dalle pagine dell’«Asso di Picche»
a quelle delle riviste argentine degli anni ’50, corrisponde a una
storia di circa 250 pagine, un vero e proprio romanzo a fumetti,
lungo e avvincente. Per gli standard dell’epoca, decisamente poco
convenzionale.
14 Corto Maltese e la poetica dello straniero

Aspettando Corto (2)

Negli ultimi mesi del 1949, Hugo Pratt poggia i piedi per terra
nel suo terzo continente, l’America. La sua meta non è New York,
bensì Buenos Aires. I soldi a Venezia non abbondano e l’«Asso di
Picche» è chiuso. La sua però non è un’emigrazione proletaria, ma
un contratto commerciale da disegnatore. Si sposteranno in quattro
dalla laguna: Hugo, Faustinelli, Ongaro e poi Pavone. Così racconta
lo stesso Pratt con le coloriture del suo romanzo autobiografico:

E doveva essere un buon lavoro per quei tempi (l’Asso di Picche,


nda) se una grossa casa argentina come l’Editorial Abril se ne era inte-
ressata e aveva acquistato i diritti di riproduzione. Queste cose noi del
gruppo non venivamo a saperle subito perché Faustinelli era un capo
molto riservato. Ci faceva delle sorprese, come quando disse a me e a
Ongaro che da Venezia sarebbe passata l’agente per l’Europa dell’Edi-
torial Abril e ci fu così l’incontro brevissimo e importante con questa
Finzi; era di passaggio e ci parlò, letteralmente, dal predellino del tre-
no: ci chiese se volevamo andare a lavorare a Buenos Aires. Un tempo
certo una gran bellezza. Portava una rosa rossa nel seno e io dissi ad
alta voce: «Chissà con cosa innaffia il lungo gambo di quella rosa?».
Lei dovette sentire, perché si mise a ridere. E quella fu l’unica cosa che
io dissi e forse anche per quella frase io mi ritrovai sopra la nave per
l’America con Faustinelli.8

I rapporti con Faustinelli si guastarono già durante il viaggio,


e non si ristabilirono più. Con Ongaro la collaborazione continuò
durante l’esperienza presso l’Editorial Abril di Cesare Civita, ex-
direttore della Walt Disney Italia nato in una ricca famiglia ebrea
milanese ed espatriato in Argentina in seguito alle leggi razziali del
1938. Intraprendente, Civita creò una casa editrice di prim’ordine,
che generò la cosiddetta Scuola argentina del fumetto, di cui i cre-
ativi migranti veneziani fecero parte a tutti gli effetti. Ambientarsi
in Argentina fu per Pratt rapido e tumultuoso. Ci sono due aspetti
fondamentali del lungo periodo argentino (in tutto circa 13 anni) che
hanno influito sugli sviluppi futuri dell’opera dell’artista: il primo

8 Pratt Hugo, Aspettando Corto, op. cit. p. 73.


L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 15

è rappresentato dall’originale melting pot umano presente in tutta


l’Argentina e in particolare a Buenos Aires; il secondo è il modo che
Pratt scelse per andare incontro alle diverse anime sociali dell’Ar-
gentina. Così si esprime lo stesso Pratt, intervistato nel 1978 dallo
sceneggiatore Juan Sasturain:

Non ho mai trovato altrove una letteratura cittadina, urbana, come


quella che è stata scritta qui a Buenos Aires. È che questa città ha tante
cose… e tutto questo è nei miei fumetti, ci sono i personaggi, c’è tutto.
La mia maturità è Buenos Aires. È l’incontro con un mondo complesso
e unico. Qualcosa che non si trova neanche oggi in Europa, sebbene la
generazione attuale conviva con italiani, inglesi, spagnoli. Perché qui
ho incontrato il galiziano, l’andaluso, il tano (nomignolo dato agli ita-
liani in Argentina, ndt), l’ebreo polacco, il tedesco, l’inglese, il russo, il
patagonico, il gallese della Patagonia… Io ho trovato tutto qui. I mili-
tari baschi, i pastori baschi di qui… Nomi e soprannomi. Ho succhiato
come latte ed è tutto quello che sto facendo adesso. Sono stato come
un vitellino. Ho delle cicatrici, ho preso colpi, sono invecchiato, ma ho
succhiato il latte, come il vitello che spingono via a colpi di catena per
mungere la madre. E questo è un vantaggio che ho rispetto agli altri in
Europa. Persino rispetto agli argentini venuti dopo, è il caso di miei
colleghi, come Sampayo e Muñoz, che stanno facendo cose molto belle
con Alack Sinner.9

La testimonianza di Pratt spiega come sia stato possibile per l’arti-


sta entrare all’interno di contesti socio-psicologici cui solitamente si
accede per appartenenza. Al di là dei viaggi e delle avide letture, che
pure hanno avuto un peso determinante nella sua formazione e nella
sua continua evoluzione, è la sua curiosità antropologica a metterlo
in condizioni di raccontare storie e caratteri complessi e stratificati.
L’ambito espressivo della curiosità è pienamente delineato a Buenos
Aires e in Argentina, dove Pratt si immerge in una continua opera di
attraversamento culturale. Lui dice di aver “succhiato il latte”, cioè
di aver introiettato modi di vivere diversi dai propri insieme a fram-
menti linguistici, storici, gastronomici, filosofici, comportamentali.
In altre parole, Pratt esplorava culture come pratica esistenziale, e

9 Cfr. Scarpa Laura, Hugo Pratt. Le lezioni perdute, op. cit. p. 35.
16 Corto Maltese e la poetica dello straniero

l’ampiezza della sua esplorazione coincideva con la compresenza di


molteplici umanità nel crogiolo dell’Argentina degli anni ’50, un pa-
ese grande e pieno di risorse, con una ricchezza distribuita in modo
ineguale tra le classi sociali, situazione che spiega la controversa
ascesa dell’ideologia populista di Juan Peron e il suo discostarsi sia
dal liberismo sia dal socialismo. Ma Pratt, come ricorda l’amico ed
editore Mauro Paganelli, era uomo politicamente molto cauto e dif-
fidente.10
Come era successo che Pratt fosse perfettamente disponibile ai
nuovi ambienti lo spiega lo stesso artista in un’altra testimonianza
autobiografica:

Giunsi in Argentina con alcuni miei amici e fummo subito assorbiti


dalla ricca borghesia locale, avida di conoscere le mode e i nuovi fer-
menti culturali che venivano dall’Europa: ad esempio l’esistenzialismo
e la sua musa Juliette Greco. Poi ci dividemmo in due gruppi: il primo,
formato da tre colleghi, si fece assorbire da questa borghesia; il secondo,
che poi era composto solo da me, preferì andare nel sottosuolo della
casa editrice e fare amicizia con quelli che impacchettavano le riviste.
Erano ragazzi della mia età che consideravano grandi signori quelli che
stavano al piano di sopra: furono loro che mi iniziarono al tango. All’i-
nizio, come ho già detto, non lo sopportavo. Ma andavo ugualmente con
loro nei locali perché trovavo quell’“elemento donna” che mi interessa-
va. Queste donne avevano dei nomi tipici: si chiamavano quasi sempre
“Parda” che sta per pantera; erano ragazze con la pelle scura, con dentro
sangue indio, spagnolo, calabrese, meridionale, arabo… Erano belle per-
ché avevano occhi sempre “intenzionati”, pieni di sottintesi e di malizia,
con le ciglia che facevano ombra, occhi che sembravano carboni velluta-
ti o, se vuoi, maioliche. Erano occhi come quelli dei negri, ma più ardenti
perché erano il frutto dell’unione di più razze.11

Pratt sceglie il “sottosuolo” della casa editrice Abril per immer-


gersi nel nuovo ambiente. La classe operaia ha un profumo di au-
tenticità che interessa il narratore, mentre la borghesia di Buenos
Aires – come tutte le classi dominanti delle periferie del mondo –

10 Conversazione privata con Mauro Paganelli, giugno 2015.


11 Cfr. Scarpa Laura, op. cit., p. 34. La testimonianza è stata ripresa dal volume
curato da Gianni Berti Hugo Pratt 50, Visualprint, Milano, 1980.
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 17

vive nel provincialismo ed è ansiosa di stare al passo con le mode


della vecchia Europa. Il gruppo dei veneziani si scinde. Qui Pratt ci
dice implicitamente che lui (gruppo a base singola, forse un lapsus
che racconta delle sue molteplici identità, da lui stesso percepite)
ha scelto la via meno scontata, selezionando le amicizie nell’am-
biente che gli avrebbe aperto le porte di una conoscenza verace
della complessa cultura argentina. Anche il riferimento alle donne
è senz’altro eloquente: la descrizione dei tipi fisici femminili è da
Casanova, ma anche da antropologo, perché quelle donne “erano il
frutto dell’unione di più razze”. Il meticciato diventa l’orientamento
estetico privilegiato dell’artista: è bello ciò che ha sangue misto, “in-
dio, spagnolo, calabrese, meridionale, arabo”. Ed è interessante ciò
che parte dalla commistione, dal mescolarsi delle culture. L’esplo-
ratore Pratt ne è convinto. Di più: lo vive. D’altronde questo senso
dell’avventura amorosa e amicale è descritto con grande verve nella
sua autobiografia, da cui si evincono varie passioni giocate sul filo di
una commistione tra la sua intellettualità non accademica e i gruppi
che incontra, sospesi tra riscatto migrante e bohème internazionale.
Ma questa è la notte. Cosa fa invece Pratt di giorno? L’Editorial
Abril è la sua prima casa produttiva. L’«Asso di Picche» era stata
la sua palestra, e la macchina industriale del fumetto era stata solo
percepita dal disegnatore, preso dalla propria esuberanza, dai propri
viaggi e dagli entusiasmi tipici del clan giovanile. Cesare Civita è
invece un grande editore, e i fumetti (historietas) rappresentano una
parte consistente del suo business. I ritmi sono elevati, le testate per
cui lavorare non possono certo permettersi di consegnare in ritardo
le tavole in tipografia. Per Pratt è la conoscenza piena della serialità,
applicata a un genere che in Argentina si rivolge anche al pubblico
adulto, e non solo ai ragazzi. La prima produzione in cui è impe-
gnato è il trasferimento argentino dei Junglemen (qui si chiamano
“Hombres de la Jungla”) sceneggiati da Ongaro e pubblicati sulla
rivista che Civita ha chiamato «Salgari», omaggio al grande scrittore
veronese e ammiccamento all’esotico. «Salgari» è un settimanale, i
suoi ritmi sono serrati12. I disegnatori lavorano in una grande stan-

12 Il settimanale «Salgari» uscì in Argentina dal 18 aprile 1947 al 27 settembre 1950.


La rivista uscì in edicola per 169 numeri in formato verticale. Nell’ottobre del 1950
verrà sostituita da «Cinemisterio». Cfr. http://www.aurorapedia.it/salgari-rivista/
18 Corto Maltese e la poetica dello straniero

za, tutti assieme. Per Pratt non è semplice conciliare i ritmi della
bohème e del tango con la produzione seriale. Il suo amico Ivo Pa-
vone racconta che

Hugo era l’unico che aveva questa capacità pazzesca del disegno, era un
mostro, ma disegnando storie altrui e poi facendo sempre festa in casa sua,
succedeva che il lavoro era spesso un po’ sacrificato, non c’era sempre il
tempo, ma bisognava farlo, e così disegnava tante ombre cinesi, silhouet-
te. Poi, quando aveva il momento buono, disegnava una vignetta grande e
bella mentre le altre le tirava via. Lo vedi se guardi i suoi fumetti di allora:
poche vignette sbrigative e la grande vignetta elaborata e sentita.13

La materialità seriale del lavoro di fumettista influisce dunque sul-


la produzione del disegnatore: l’approdo all’estrema sintesi grafica
non è solo il frutto di una scelta estetica determinata, ma la “scorcia-
toia” di un lavoratore creativo-manuale che non intende rinunciare
alla narrazione ad ampio respiro anche nella costrizione della conse-
gna settimanale. Pratt sarà tanto abile nell’inventare “ombre cinesi”
e “silhouette” da farle diventare un marchio di fabbrica, alleggerendo
il carattere fisico-materiale della produzione e chiedendo al lettore
di darsi da fare come ricostruttore di ciò che il segno accenna e non
dice nella sua completezza. Si tratta, in fondo, di una delle essenze
più compiute della definizione fornita da Marshall McLuhan, che
definisce il fumetto un medium freddo, cioè a bassa definizione, che
necessita del completamento mentale del consumatore14. Le chiavi
essenziali della caratterizzazione grafica diventano una sfida per il
lettore: trasportato da un segno appena accennato a un taglio accu-
rato e principesco, questi immette i dettagli come fosse un co-autore
inconsapevole. Pratt obbliga il disegno a una funzione scrittoria: ac-
cenna ed empatizza, dettaglia e analizza. Ha il tempo per affermare
e per mettere in dubbio, per meditare mentre agisce.
Alla collaborazione con Alberto Ongaro appartiene anche la lunga
storia Cacique Blanco, che appare dal novembre 1951 su un’altra
testata molto diffusa dell’Editorial Abril, «Misterix». È una storia

13 Cfr. Scarpa Laura, op. cit. pp. 33-34.


14 Cfr. McLuhan Marshall (1964), Gli strumenti del comunicare, il Saggiatore,
Milano, 1997.
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 19

anch’essa lunga e organizzata editorialmente come un feuilletton,


per un totale di 168 pagine distribuite in una quarantina di nume-
ri del settimanale. Anche il Cacique Blanco è un personaggio che
partecipa alla costruzione dell’aura dello “straniero”, seppure in un
climax che non è estraneo a una lettura soft-coloniale dell’esotico e
delle sue emozioni. Il protagonista è un esploratore, Burt Farlane, in
Sudafrica alla ricerca dell’amico Ted Olsen, scomparso nei territori
zulù. Nel corso delle complesse vicende che ne scaturiranno Farlane
si troverà a capo della tribù degli Usutu. Se la storia appare imbevuta
di elementi letterari alla Conrad comuni sia a Ongaro che a Pratt,
il potente bianco e nero del Cacique Blanco rappresenta un’altra
tappa dell’evoluzione prattiana verso l’anomalia nella commistione
avventurosa, improntata alla mescolanza delle antropologie e al ri-
baltamento dei ruoli storicamente assegnati.
Di ambientazione invece poliziesca è un altro personaggio dise-
gnato da Pratt pochi mesi prima di iniziare la lavorazione del Caci-
que: si tratta di Ray Kitt, un detective stile hard-boiled school, più
Marlowe (Chandler) che Sam Spade (Hammett). Si tratta di due sto-
rie uscite su «Cinemisterio» (una sorta di prosieguo della rivista «Sal-
gari», medesima periodicità settimanale), una di dieci tavole (Muerte
entre las tombas) e una di otto tavole (Ray Kitt y la crimen de la
«Maldita»). Le caratteristiche per cui vale la pena commentarle sono
due: l’inedita strategia grafico-narrativa e il fatto che, per la prima
volta, Pratt si trova a lavorare con Hector Oesterheld, fra i più grandi
sceneggiatori di comics di tutti i tempi. Ray Kitt si presentava con
un’impaginazione a metà strada tra la composizione di un quotidiano
e quella di un fumetto. Le vignette erano incasellate, a colonna, all’in-
terno di un denso testo tipografico, narrativo e non didascalico, simile
all’impaginato di un articolo giornalistico. All’interno dei rettangoli
della vignetta i personaggi parlavano con i tipici dialoghi nei baloon,
sottraendosi così alla forma dell’illustrazione. Come ricorda Franco
Spiritelli, la creazione è originale ma pienamente fumettistica: “Vi
è infatti presente la conditio sine qua non del fumetto, la narrazione
sequenziale, che vede perfettamente integrati testo e vignette”15. Un

15 Spiritelli Franco, «Fucinemute» n. 33, 2001. Cfr. https://sites.google.com/a/


cortomaltese.org/mainpage/pratt/bibliografia/1949-1962-l-esperienza-argentina/
ray-kitt
20 Corto Maltese e la poetica dello straniero

vero esperimento linguistico ed estetico compiuto su una rivista po-


polare ad alta tiratura, il primo segno di una collaborazione tra i due
narratori che assunse presto i caratteri del sodalizio.
L’immaginario chandleriano è un ingrediente, tra i tanti, di cui è
composta la ricetta di Oesterheld: tra gli altri, c’è un interesse qua-
si fanatico per Melville e Conrad, e il dissodamento di una linea
fantascientifica ancora risalente ai fumetti di Alex Raymond (Flash
Gordon) e di Dick Calkins (Buck Rogers). Osterheld ha dunque in
comune con Pratt ampi riferimenti letterari, e l’entusiasmo del neo-
fita, visto che Ray Kitt è una delle sue prime storie16.
Il rispetto tra i due narratori è massimo. Racconta Hugo Pratt:

Dopo Ongaro, quello con cui ho lavorato di più è stato Oesterheld.


Aveva una grande capacità inventiva, di semplificare tutto il suo baga-
glio culturale e informativo, e di renderlo in modo diretto: metteva un
tocco di questo e un tocco di quello, e aveva una fertile fantasia. Vedo
adesso le cose fatte da lui e penso che ha avuto un’enorme importanza
come autore, nel modo di sviluppare una storia.17

Così scrive Oesterheld di Pratt:

Hugo Pratt demuestra con su historieta lo que un verdadero artista


puede hacer con un género popular. (…) El dia que sean muchos los
artistas de la talla de Hugo Pratt que se incorporen a la historieta, ésta,
sin perder ninguno de los elementos que tan atractiva la hacen, pasará a
ser un valioso elemento de formación cultural.18

16 In precedenza aveva sceneggiato, sempre per la rivista «Cinemisterio»


dell’Editorial Abril e sempre nel 1951, Alan y Crazy e Lord Commando. Cfr.
https://es.wikipedia.org/wiki/H%C3%A9ctor_Germ%C3%A1n_Oesterheld
17 Cfr. Scarpa Laura, op. cit., p. 83.
18 “Hugo Pratt dimostra con i suoi fumetti ciò che può fare un vero artista con un
genere popolare. (…) Il giorno in cui saranno molti gli artisti della statura di
Pratt che si avvicineranno al fumetto, questo, senza nulla perdere degli ingredienti
che lo rendono tanto attraente, arriverà ad essere un validissimo elemento di
formazione culturale”. Cfr. Oesterheld Hector, Introducción, in Lipszyc Enrique,
Hugo Pratt, Enrique Lipszyc Editor, Buenos Aires, 1955, p. 3. Il volume di
Lipszyc dedicato a Pratt uscì, come segnalato, nel 1955. Pratt aveva dunque 28
anni, un’età straordinariamente precoce per una monografia dedicata a un artista
vivente.
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 21

Oesterheld vede Pratt come un artista completo, capace di misu-


rarsi con ogni tecnica della creazione disegnata, e ne elogia la capa-
cità di mettersi a disposizione di un genere popolare che intercetta
milioni di lettori nel mondo. Pratt riconosce che le sceneggiature di
Oesterheld sono pezzi, sempre più articolati e sapienti, di un’ampia
e poliedrica conoscenza che si serve del fumetto per affrontare non
solo storie e situazioni, ma valori e disposizioni culturali. Grazie
alla propria intelligenza narrativa, Oesterheld è capace di presentare
le sue idee spogliandole di insistenze pedagogiche: lascia che sia
il lettore a darsi una meta cognitiva, e a perseguirla. Si tratta di un
atteggiamento che non può che convergere con quello di Pratt, non
solo dal punto di vista del racconto e delle sue priorità, ma anche da
quello del disegno, che si dispone a compenetrarsi con il testo con lo
stesso proposito di lasciare all’immaginazione del lettore la ricostru-
zione grafica dell’insieme.
Il primo prodotto seriale del sodalizio Oesterheld-Pratt prese for-
ma nel 1953: all’epoca entrambi erano sotto contratto con l’Edito-
rial Abril, che richiedeva personaggi del West nordamericano. I due
narratori pensarono a un militare, non un alto ufficiale ma un sem-
plice sergente americano del Settimo Reggimento di Cavalleria. Può
sembrare una scelta curiosa, ma si tratta della prima avvisaglia di
un mutamento profondo nello stereotipo dell’eroe del West. Il ser-
gente Kirk (“Per il titolo – dichiarò Pratt – pensammo a un nome
corto e d’impatto. Decidemmo per Kirk perché era poco comune”)19
si discostava da ogni altro eroe dell’epopea western per un motivo
fondamentale: costretto a partecipare a uno sterminio di nativi ame-
ricani, diserta e si unisce agli indiani. È dunque un “rinnegato”, un
uomo che rinuncia alle proprie radici e si immette in un’altra cultura,
quella dei pellerossa: è un avventuriero suo malgrado, sospeso tra la
sua identità precedente (indossa ancora l’uniforme e il cappello del
7° Cavalleggeri) e quella indiana (alla cintura porta un tomahawk,
di cui si serve con destrezza). Insegue una propria vita quotidiana
“normale”, l’allevatore di cavalli, attività cui torna appena possibile,
una volta conclusa l’avventura di turno. Al suo fianco si forma un
piccolo gruppo di presenze fisse maschili, anch’esse testimoni dei

19 Cfr. Scarpa Laura, op. cit., p. 78.


22 Corto Maltese e la poetica dello straniero

vari ponti che si stabiliscono tra la cultura yankee e quella nativa:


Maha, un ragazzino della tribù Tchatooga, con cui Kirk ha stipu-
lato un patto di sangue e che protegge come un figlio o come un
fratello minore, El Corto20 (sic!), un ex-ladro di cavalli rimessosi in
carreggiata e il dottor Forbes, un medico disintossicatosi dall’alcol e
interessato antropologicamente ai pellerossa, di cui studia le usanze
e la medicina. Kirk diventa per le popolazioni native un’entità pro-
tettiva e un mito: nelle sue storie emerge una personalità irregolare e
culturalmente meticcia, ma non si tratta degli unici tratti anomali per
un personaggio dell’epopea western, ancora enormemente popolare
negli anni ’50. L’aspetto dirompente di Kirk è la sua dimensione
psicologica, il suo spessore umano: il sergente non è un pacifista
integrale, eppure si muove nelle sue storie come un carattere in co-
stante interrogazione sull’utilità dello scontro fisico e della violenza.
Il sergente Kirk dal punto di vista narrativo è un prodotto che ri-
sente dell’uso ancora piuttosto ampio delle didascalie: tuttavia esse
non esprimono solo raccordi retorici per indirizzare il lettore nella
storia, ma spesso aggiungono frammenti di conoscenza del mondo
indiano. Nel fumetto si aprono infatti squarci di grande interesse
sulla psicologia pellerossa che emerge da rituali e atteggiamenti
guerreschi: Oesterheld e Pratt usano le avventure del sergente anche
per avvicinare i lettori a un sapere meno superficiale, rinunciando a
stereotipi e pregiudizi. Non a caso le tribù in cui si imbatte il sergen-
te vengono presentate con ricchi particolari grafici (pur nel bianco e
nero delle vignette) e con abbondanti descrizioni letterarie, entrambi
elementi in grado di differenziare un ceppo dall’altro e di trattare
l’«altro» fornendo le chiavi d’accesso a etnie diverse e che non van-
no confuse tra loro, a meno di non fraintendere l’intera storia del
West. Le stesse scene guerresche, che sono ovviamente molto pre-
senti nelle storie, consentono al lettore di capire il comportamento

20 Anche se Pratt affermò più volte che “corto”, in argot andaluso, significa “svelto di
mano”, alcuni colleghi linguisti dell’Universidad de Sevilla consultati a riguardo
attribuiscono a questo termine la valenza di “piccolo” oppure, in second’ordine,
di “ristretto” (anche nel senso di tardo di comprendonio). Crediamo che Pratt sia
stato attratto soprattutto dal suono di questo bisillabo, che infatti riutilizzerà anche
per il suo personaggio più famoso, cui la particolare specificazione geografica
aggiunge fascino e mistero.
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 23

degli indiani, attribuendo scelte belliche apparentemente poco razio-


nali a una mente antropologica diversa da quella occidentale e non
ad essa inferiore. Ne deriva un robusto relativismo, che consente a
Pratt e a Osterheld di mettere in scena un vero e proprio manuale di
guerra indiana intriso di osservazioni etnologiche.
Infine, un’ultima osservazione, questa volta sull’aspetto di Kirk. I
suoi tratti iniziali risentono dell’attrazione di Pratt per gli irregolari,
ma nel corso degli anni il personaggio si “ripulisce” senza perdere
la sua antropologia. È per certo una delle questioni in cui si vede
all’opera il bisogno di normalizzazione imposto dalla fabbricazio-
ne seriale dei fumetti argentini e le esigenze narrative e autoriali di
Osterheld e Pratt. Racconta quest’ultimo:

Quando Osterheld mi consegnò le prime sceneggiature, nel 1951,


immaginai un Kirk che nelle espressioni del volto e nel temperamento
assomigliava a El Muerto (…). Questo mi fece impostare il suo volto
come quello di un individuo duro e tormentato, un viso che riflettesse i
segni di una vita trascorsa all’aria aperta. Però poi gli editori ebbero da
ridire sulle rughe, la barba e il cipiglio duro con cui lo disegnavo. Allora
iniziai a pensare a Kirk come personaggio e cominciai a trasformarlo,
nel 1953. Gli tolsi la barba e lo ringiovanii. La mia preoccupazione era
di idealizzarlo un po’, però senza assolutamente falsificarlo. Kirk, per
me, è una persona con le sue gentilezze e le sue virtù e cerco di mi-
schiarlo con la vita e tutto ciò che rappresenta. Forse in questo modo i
giovani possono credere in lui e nel vissuto che porta con sé.21

Nel 1957 Hector Oesterheld lasciò l’Editorial Abril e si mise in


proprio: con il fratello Jorge fondò l’Editorial Frontera, un marchio
che accompagnò l’apertura di due riviste che diverranno celebri,
«Hora Cero» e «Frontera». Le negoziazioni con Cesare Civita con-
templarono la perdita di un personaggio cui Oesterheld teneva molto
(Bull Rocket, che rimase a disposizione degli autori della Abril) in
cambio della definitiva acquisizione del sergente Kirk, le cui avven-
ture proseguirono sulle nuove riviste menzionate.
Nel frattempo il sodalizio con Pratt andava avanti. Prese forma
una nuova saga nordamericana, Ticonderoga, ambientata duran-

21 Cfr. Scarpa Laura, op. cit., p. 78.


24 Corto Maltese e la poetica dello straniero

te il conflitto che oppose francesi e inglesi nel Nuovo Continente


durante la metà del XVIII secolo (1756-1763). Due giovani, Caleb
Lee, virginiano, e Joe Flint (“Ticonderoga”) sono i protagonisti della
nuova epopea, che assume i caratteri del romanzo storico e insieme
del romanzo di formazione, dove le presenze amicali e sentimentali
sono ben presenti. Anche in questo caso Pratt e Oesterheld possono
influenzarsi reciprocamente: le sceneggiature di Oesterheld – che
prenderanno il via con un espediente narrativo tipico delle sue storie,
ovvero con un anziano (Caleb Lee a 75 anni) che racconta ai nipoti
le sue avventure del passato – consentono a Pratt di dispiegare l’uso
di una tecnica raffinata (mezza tinta in bianco e nero), con cui rap-
presenta i personaggi e gli straordinari e incontaminati paesaggi del
Grande Nord americano.22
Un altro momento centrale nella collaborazione tra i due auto-
ri è la creazione di Ernie Pike. Qui lo scenario cambia. Per Pratt
di primo acchito potrebbe trattarsi di un ritorno alle atmosfere dei
Junglemen e del Cacique Blanco, in uno scenario bellico tropicale.
Invece il conflitto che prende forma nelle tavole di Pratt e nei testi
di Oesterheld è guerra mondiale: gli scenari che vengono aggrediti
sono molteplici, dal Pacifico all’Europa, dall’Africa del Nord all’At-
lantico.
Non c’è l’eroe nelle storie di Ernie Pike: lo stesso personaggio
che dà nome alla nuova saga non è modellato sulla personalità di
un soldato, ma su quella del reporter di guerra Ernie Pyle (1900-
1945), morto a Okinawa il 18 aprile, pochi mesi prima che le bombe
nucleari su Hiroshima e Nagasaki mettessero fine al più sanguinoso
conflitto bellico mai avvenuto sulla Terra. Pyle si era guadagnato il
Premio Pulitzer con i suoi reportage da tutti i principali teatri bellici,
e aveva un’audience immensa, conquistata da articoli che non rical-
cavano le cronache di guerra, ma che si sviluppavano da particolari
e prospettive proprie dei soldati comuni. Scrisse Pyle:

Their life consisted wholly and solely of war, for they were and
always had been front-line infantrymen. They survived because the fa-

22 Per i disegni di Ticonderoga Pratt potè avvalersi della collaborazione di Gisela


Dester, cfr. https://sites.google.com/a/corto-maltese.org/mainpage/pratt/
bibliografia/1949-1962-l-esperienza-argentina/ticonderoga
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 25

tes were kind to them, certainly – but also because they had become
hard and immensely wise in animal-like ways of self-preservation.23

Fisicamente, il Pike di Pratt che apre e chiude le vicende belliche


e psicologiche del fumetto ha però il volto dello stesso Oesterheld: il
probabile equivoco24 alla base della scelta di Pratt costituì un ulterio-
re impasto tra realtà storica e costruzione delle narrazioni. In questo
modo il fumetto assorbì l’impostazione ideologica conferitagli da
Oesterheld fornendo al personaggio Ernie Pike le visioni valoriali
dello stesso sceneggiatore, trasformato da Pratt nel “vero” Hector
Oesterheld. La quintessenza della guerra non è per lo scrittore argen-
tino la sola violenza né tantomeno l’eroismo di una sola parte, ma
l’infelicità comune: nella guerra i confini tra atti eroici e atti di pura
sopravvivenza tendono a sfumare, e la malattia mentale è diffusa e
presente quanto le ferite fisiche. Per cogliere la portata rivoluziona-
ria del fumetto di Pratt e Oesterheld dobbiamo ricordare che i primi
episodi uscirono nel 1957, quando nei film bellici era ancora domi-
nante una sintassi unicamente orientata all’esaltazione dei vincito-
ri. Grazie alla combinazione perfetta dei testi anti-militaristi dello
sceneggiatore e dei disegni di Pratt – in questa occasione dotatosi
anche di un repertorio di ben 400 foto della seconda guerra mondiale
appartenente alla testata veneziana «Il Gazzettino» – il risultato fu
un nuovo tassello per l’emergere di una letteratura di genere capace
di dire quanto e più degli altri media narrativi; in grado anzi di spin-
gersi anche più in là, facendo parlare sia i testi – piuttosto espliciti
– di Oesterheld sia i segni di Pratt, sempre più abile a connotare uno

23 “La loro vita consistette solo e interamente di guerra, giacché erano e sono sempre
stati fanti di prima linea. Essi sono sopravvissuti grazie certamente a un destino
benevolo, ma anche perché erano diventati duri e immensamente esperti – nei modi
tipici degli animali – nell’arte della sopravvivenza.” Cfr. https://en.wikipedia.org/
wiki/Ernie_Pyle#Legacy_and_honors
24 Riporta Pasquale Frisenda: “La cosa sembra essere stata causata da un piccolo
malinteso tra i due autori nato durante il periodo di progettazione del personaggio:
quando Oesterheld descrisse al disegnatore i tratti positivi del carattere di Ernie
Pike, finì dicendo: «Insomma, fallo come me, ecco!», e Pratt, che non si rese
subito conto che lo scrittore stava scherzando, lo usò davvero come riferimento
grafico. Quando l’equivoco fu colto da Oesterheld, il lavoro di Pratt era già in
fase molto avanzata, e le cose furono lasciate in quel modo).” Cfr. http://www.
postcardcult.com/articolo.asp?id=7309&sezione=44
26 Corto Maltese e la poetica dello straniero

stato d’animo e un’emozione aggiungendo o sottraendo minuscole


gocce di china dal disegno.
Il sodalizio tra i due narratori proseguì fino al 195825, poi presero
strade diverse. Oesterheld continuò a scrivere storie per nuovi dise-
gnatori, legandosi in particolare allo straordinario talento di Alber-
to Breccia, con cui diede vita al personaggio di Mort Cinder, e di
Francisco Solano López, che lo accompagnò nella saga moderna de
L’Eternauta. Per Pratt cominciava un nuovo ciclo creativo.

Aspettando Corto (3)

Una questione che riguardava sempre più da vicino il narratore


Pratt era rappresentata dalla distinzione effettiva tra testo e disegni.
L’artista veneziano aveva accettato con disinvoltura la divisione dei
ruoli fin dall’epoca dell’«Asso di Picche». Anche in quel periodo
ormai lontano, tuttavia, Pratt non si limitava a dare forma grafica a
idee altrui; spesso avveniva che lo spunto iniziale provenisse dalla
sua immaginazione, come era accaduto per i Junglemen di Alber-
to Ongaro. Il soggetto era quindi spesso farina del suo sacco. Nel
passaggio dall’idea/soggetto alla lavorazione artigianale/industriale
del fumetto Pratt aveva accettato di buon grado di collaborare con
menti veloci e creative – come Ongaro e Oesterlheld – capaci di
trasformare un’idea generale di personaggio e di serie in dialoghi e
testi efficaci, su cui Pratt aveva la libertà di intervenire ben al di là
della mera esecuzione grafica, spesso aggiungendo carattere e per-
sonalità ai personaggi e alle storie. Probabilmente aveva ora bisogno
di un nuovo cimento, qualcosa che potesse fare da spartiacque nella
sua produzione di narratore, proponendolo come autore completo e
autosufficiente. Come ricorda Fabio Licari, ebbe la fortuna (ma in
realtà a soli 32 anni Pratt era già un mito, e non solo in Argentina,
quindi la fortuna c’entra poco) di entrare in contatto con Alvaro Zer-

25 Proprio del 1958 sono le ultime due creature del duo Oesterheld-Pratt: Lord Crack,
strano personaggio nato all’interno delle storie di Ernie Pike e conquistatosi un
breve spazio autonomo, e l’altrettanto particolare Lobo Conrad, di cui uscì una
sola storia. In entrambi i casi la sede di pubblicazione fu il settimanale «Hora
Cero».
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 27

boni e Roberto Rocca, “agenti internazionali, editori, appassionati, i


quali gli proposero di creare una nuova serie”.26
Com’è questa prima prova ufficiale del Pratt creatore unico? Un
gioiello per sognare l’avventura nella mente dei ragazzi, sia maschi
che femmine. Due protagonisti pre-adolescenti, Ana y Dan, cata-
pultati in un esotico scenario africano. Il character più forte è quello
della ragazzina bionda, che infatti darà da sola il titolo alla serie
nella versione italiana (Anna nella jungla). È un personaggio molto
moderno, con eloquenti atteggiamenti emancipatori: ha un’immensa
voglia di avventure, è coraggiosa, è intelligente e intuitiva, spesso
più dei maschi e più degli adulti in genere. I quattro episodi della
serie sono ambientati alla vigilia della prima guerra mondiale, in
zona coloniale inglese. L’Africa è quella orientale, una porzione di
continente più a Sud di quella che Pratt ha conosciuto intensamente
durante la primissima giovinezza ma che ne richiama i caratteri ge-
nerali: le alte temperature, gli ambienti selvaggi e tropicali, la pre-
senza di tribù ostili ai colonizzatori bianchi di tutte le provenienze, il
reclutamento di nativi africani negli eserciti coloniali, una certa aria
di mistero che si diffonde da quei luoghi così lontani dall’Europa.
Le storie di Anna e Dan – Anna Livingston, figlia di un medico (ve-
dovo) che esercita la sua professione tra le tribù più sperdute della
zona portando con sé la ragazzina, e Daniele Doria, figlio di un ar-
cheologo che opera nello Zimbabwe, e che entra nella vita di Anna
per ricongiungersi al padre – prendono vita con un incipit di tutto
rispetto, in grado di regolare l’intero flusso narrativo del ciclo.

(Testo) Tutto era stanco a Gombi: stanche le vecchie polverose ba-


racche militari, stanca la vecchia bandiera stinta dal sole (Disegno: in-
quadratura dall’alto della guarnigione, tetti di paglia e una bandiera co-
loniale inglese che ondeggia pigramente)… Stanche le nere sentinelle
dei «Fucilieri Africani del Re», fedeli sudditi di Sua Graziosa Maestà
Britannica, che mai aveva sentito parlare di loro (Piano americano di
una sentinella africana in uniforme coloniale e armata di tutto punto,
con gli occhi semi-chiusi)… Stanchi erano anche i suoi tre ufficiali,
che si riunivano sulla veranda della “Residenza” (il luogo più fresco

26 Cfr. Licari Fabio, Anna, Cino e Franco, in Pratt Hugo, Anna nella jungla, RCS,
Milano, 2010, p. 3.
28 Corto Maltese e la poetica dello straniero

di tutto il villaggio) per consumare la razione di tè, che il governo pas-


sava loro gratuitamente, e per continuare ad annoiarsi (Campo totale
della veranda dove tre ufficiali stanno prendendo un tè in silenzio)…
Il Commissario Randall nessuno capiva a cosa pensasse (Primissimo
piano del Commissario con la pipa in bocca)… Il Capitano Mac Gre-
gor: tutti capivano a cosa pensasse (Ppp del Capitano)… E il Tenente
Tenton: nessuno si preoccupava di cosa pensasse… (Ppp del Tenente,
di profilo)… L’unico che non si annoiava era il Reverendo Miller, della
scuola missionaria (Ppp del Reverendo dormiente su una poltrona di
vimini)… Sì, tutto era stanco a Gombi, vecchia cara sudicia Gombi,
che, se per caso cercaste di trovarla sull’atlante, non ci riuscireste (Di-
dascalia pura)… Perché esiste solo su una mappa militare del Comando
Coloniale di Nairobi, Africa Orientale, eppure un giorno (primo piano
di una sentinella, sullo sfondo baracche e alte palme) … Con un tam-
tam arrivò l’avventura! (Figura intera di un indigeno che percuote un
alto tamburo nella giungla).27

L’incipit è tra i più promettenti, con qualche chiazza di ironia nella


descrizione dei personaggi e un linguaggio semplice ma curato, con
qualche tratto giovanilista (“vecchia cara sudicia Gombi”): un’at-
trezzatura più che sufficiente per affrontare avventure delle quali
sono ghiotti i due ragazzini, e che li porterà a inseguire ladri d’avorio
e a imbattersi in città perdute. Sullo sfondo la pericolosità della vita
coloniale, vista ancora con gli occhi dell’epoca, e quindi certamente
non “politicamente corretta” nei confronti delle popolazioni locali e
degli africani assimilati alle potenze coloniali, ritratti come perso-
naggi sin troppo zelanti verso i dominatori europei, in possesso di
un linguaggio sgrammaticato e parodistico, cui non sono estranee le
infiltrazioni veneziane, che Pratt usa come un inserto insieme esoti-
co e comico (“Benon!”, “Ciò!”, eccetera).
Anna, che ha il volto radioso e le lentiggini di una giovanissima
Anne Frognier, figlia di vicini di casa in Argentina (e che Pratt poi
sposerà nel 1966), è anch’essa un personaggio liminare, non troppo
diversamente dai maschi che abbiamo già incontrato nelle preceden-
ti fasi della produzione prattiana: è inglese ma vive in un ambiente

27 Pratt Hugo (1959), Wambo è morto… Wambo ritorna, in Pratt Hugo, Anna nella
jungla, RCS, Milano, 2010, pp. 9-10.
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 29

selvaggio, è una ragazza pre-adolescente ma si comporta come un


leader, ha uno spirito d’iniziativa e un’intraprendenza che le consen-
tono di comunicare sia con i militari sia i guerrieri delle tribù locali,
a volte assai bellicose. Anche una ragazzina, sembra dirci Pratt, se
addestrata nel modo giusto può impadronirsi a tutti gli effetti di una
storia, il cui linguaggio è lieve e veloce, pronto per essere assimilato
da lettori giovani e avidi di iniziazioni avventurose. Alcuni com-
mentatori si sono giustamente soffermati sul rapporto tra Anna nella
jungla e le letture infantili da parte di Pratt del Tim Tyler’s Luck
(1929) di Lyman Young, in italiano Cino e Franco. Pratt stravedeva
per questa serie: in fondo Anna è un suo omaggio a quel fumetto e
ai suoi anni africani. A poco più di trent’anni Pratt si toglie lo sfizio
di ricreare le atmosfere delle sue letture infantili, arricchendole di
misteri e di nuovi personaggi, alcuni dei quali sembrano avere un
carattere superiore a quello della classica spalla del protagonista.
È il caso del marinaio Luca Zane, veneziano nella versione italia-
na e irlandese in quella argentina (con il nome di Tipperary O’Hara).
È biondo, fuma la pipa e non i cigarillos, ma viaggia per i grandi fiu-
mi africani con il proprio battello (“Vanità Dorata”) ed ha uno spirito
caustico e irridente e un atteggiamento pseudo-cinico che anticipano
alcuni caratteri del più celebre personaggio di Pratt.28
Anna nella jungla è un’ulteriore tappa di avvicinamento alla
completa maturità creativa dell’autore: aver centrato l’esordio
come narratore unico delle proprie storie con una serie destinata
al pubblico più difficile ed esigente (gli adolescenti) ha costituito
un’altra palestra per Pratt, e un modo per ritornare su uno scenario
amatissimo e ormai lontano, usando il fumetto come una macchina
del tempo.
Proprio questo sembra il modo di affrontare le storie da parte
dell’autore, procurandosi cioè visioni del passato su cui operare

28 Scrive inoltre M’Rabo Mhulargo sul blog Brainstomping: “Y no sería esta la


única relación con Corto Maltes, ya que en Ana de la jungla vemos aparecer
por primera vez a Lord Nadie, con quien Corto se encontraría años mas tarde
en «Las Etiópicas», al igual que en otra de sus aventuras cruzaría caminos con
el Teniente Tenton y el Capitán MacGregor, personajes que más tarde pasarían
también por Los Escorpiones del desierto, como si Pratt hubiese creado con todas
sus obras un único universo de ficción.” Cfr. https://brainstomping.wordpress.
com/2013/02/08/el-africa-colonial-de-ana-de-la-jungla-y-hugo-pratt/
30 Corto Maltese e la poetica dello straniero

nella dimensione seriale e sequenziale del fumetto, un medium che


consente – grazie alla combinazione di disegni e di testi – di espri-
mere massima potenza d’impatto sull’immaginario a una narrativa
improntata alla reinterpretazione storica oltre che alle concatenazio-
ni avventurose.

Un altro dei primi lavori del Pratt “autore unico” di cui è impos-
sibile non parlare è la saga Wheeling. Ci concentremo sulla prima
parte di quest’opera, che ha avuto nel suo complesso una gestazio-
ne lunga e travagliata, per concludersi in decenni successivi rispet-
to alla sua creazione, avvenuta nel 1962 in Argentina sulla testata
«Misterix», quando Pratt rientrò nella sua seconda patria dopo un
soggiorno a Londra di circa un anno in cui mise la sua arte a dispo-
sizione di storie di guerra commissionate (e già sceneggiate) dalla
casa editrice inglese Fleetway.
Dunque, Wheeling. Ancora una storia sull’America del XVIII se-
colo, raccontata in anni di poco successivi a quelli dell’ambientazio-
ne di Ticonderoga. Wheeling si apre nel 1774, sulle rive dell’Ohio,
in un territorio conteso tra coloni americani e tribù Shawnees, De-
lawares e Mengwees. La guerra tra americani e inglesi incombe, il
reclutamento è a pieno regime in entrambi i campi. Wheeling era
all’epoca un forte sperduto nel territorio della West Virginia. Pratt
mette in scena in quest’ambiente suggestivo, grandioso e selvaggio,
un altro Bildungsroman, romanzo di formazione al cui centro è la
figura dell’irrequieto giovanotto Criss Kenton, un personaggio di
fantasia il cui fratello è però Simon Kenton, un celebre frontiersman
dell’epopea americana realmente vissuto (1755-1836). La scelta di
Pratt è infatti quella di costruire le avventurose vicende di Criss sul-
la base di una ricca documentazione storica, che lo porta – come
d’abitudine – a identificare e rappresentare eventi storici e bellici
non rinunciando a muovere le sue pedine nello scacchiere della pura
avventura.29 Non è un caso che Criss Kenton appaia solo a pagina
39 della saga30, occupata nelle prime tavole da una ricostruzione di

29 Va ricordato che Pratt si cimentò nella scrittura di un lungo romanzo di pura


scrittura (697 pagine) che ricalca e approfondisce le vicende di Wheeling. Si tratta
de Il romanzo di Criss Kenton, Editori del Grifo, Montepulciano, 1990.
30 Pratt Hugo (1962), Wheeling, parte prima, RCS, Milano, 2010.
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 31

un episodio tipico di quell’epoca, l’uccisione di un gruppo di indiani


inermi da parte di coloni convinti, come recita uno dei personaggi
più inquietanti (il butterato Lew Wetzel), che l’unico indiano buono
sia quello morto.
In Wheeling compaiono Daniel Boone (1734-1820), Ebenezer
Zane (1747-1811), Michael Cresap (1742-1775), lo stesso Lew
Wetzel (1752-1808) e altri personaggi in carne e ossa, protagonisti
delle guerre indiane e della guerra d’indipendenza americana. Tra di
essi c’è Simon Girty (1741-1818), che merita da parte nostra mag-
gior attenzione. Si tratta infatti di un personaggio su cui Pratt spinge
avanti la costruzione narrativa dello “straniero” già cominciata con
El Muerto, il Sergente Kirk, Luca Zane, e persino Anna Livingston.
Simon Girty non è un disertore come El Muerto, né un rinnegato
come Kirk, né un marinaio giramondo come Zane, né una ragazzina
inglese cresciuta nelle avventure tropicali. Prima di tutto Girty è un
personaggio storico31. Fu rapito alla sua famiglia in Pennsylvania da
indiani Seneca, e per sette anni crebbe tra loro. Quando fu restituito
al suo ambiente originario, si mostrò insofferente alla vita dei bian-
chi. Era quello che si definisce un individuo pienamente “assimilato”
dalla cultura nativo-americana. Tuttavia era anche un discendente di
avi irlandesi e scozzesi e un figlio di coloni. Si schierò dapprincipio
con gli americani ribelli, per poi decidere di passare dalla parte degli
inglesi, che lo reputavano un alleato strategico perché in grado di
interagire con le tribù native.
Come definire Simon Girty? Un bambino strappato alla propria
cultura, una vittima della sindrome di Stoccolma, un voltagabbana,
un traduttore culturale, un convinto rinnegatore della propria cultura
d’origine? In realtà l’appellativo di “rinnegato”, con cui viene il più
delle volte apostrofato Girty, non si attaglia completamente al perso-
naggio. La condizione di rinnegato implica da parte di un individuo
una scelta consapevole di abbandono della propria etnia in favore di
un’altra. Invece Girty fu strappato alla propria gente quando ancora
il suo processo culturale di appartenenza non era completato, avvici-
nandolo così a un altro modo di vivere, quello del popolo rosso. Tec-
nicamente egli non era un “mezzosangue” (il suo sangue era infatti

31 https://en.wikipedia.org/wiki/Simon_Girty
32 Corto Maltese e la poetica dello straniero

irlandese-scozzese) ma storicamente ne assunse le caratteristiche.


Era quindi culturalmente un “sangue misto”.
I fatti raccontati su di lui sono controversi, in gran parte condizio-
nati dal desiderio degli indipendentisti vincitori di danneggiare la
reputazione di un alleato convertitosi in nemico.
Pratt dipinge una personalità enormemente controversa, piena di
grigi. Il passaggio-chiave della sua scelta di campo è però almeno
in parte travisato. L’arruolamento di Girty tra gli inglesi non sarebbe
stato determinato unicamente da risentimento e delusione persona-
le nei confronti dei coloni, colpevoli di non averne valorizzato a
sufficienza le capacità e i meriti, ma anche dalla diversa posizione
della corona inglese rispetto ai nativi: i britannici premevano per
contenere la colonizzazione a Est (consentendo così agli indiani di
mantenere il possesso di grandi territori), mentre i coloni vedevano
nel continuo allargamento a Ovest il maggiore vantaggio per sé e
per i propri discendenti, nonostante il prezzo da pagare in termini di
guerre indiane32. E la “parte indiana” di Girty non poteva che temere
al massimo grado un conflitto permanente tra il popolo rosso e gli
invasori. La storia avrebbe poi assunto un carattere più marcatamen-
te personale allorché Girty, all’epoca scout di una brigata di coloni
americani, fu costretto ad assistere alla distruzione di un villaggio
indiano, i cui abitanti erano colpevoli solo di trovarsi sulla strada di
soldati frustrati e crudeli.33
Comunque sia andata, non si può negare che Pratt porti in emer-
sione la componente più malinconica del personaggio, facendolo di-
battere tra rancori e slanci di solidarietà, tra nostalgie e comando. Un
concentrato di identità complicate, e che tuttavia non impediranno
al personaggio fumettistico Simon Girty di esprimersi con una certa
flemma, ragionando freddamente sul suo presente e sul suo futuro,
un aspetto che sarà destinato a trasmigrare nella personalità di Cor-
to Maltese. Un’ultima notazione: l’abbigliamento di Girty è quello

32 Cfr. Barr Daniel, “A Monster So Brutal”: Simon Girty and the Degenerative
Myth of the American Frontier, 1783-1900, http://www.essaysinhistory.com/
articles/2012/114; cfr. anche Leighton, Douglas. “Simon Girty”. Dictionary
of Canadian Biography Online, 1983, http://www.biographi.ca/en/bio.
php?id_nbr=2420
33 Cfr. Barr Daniel, op. cit., ibidem.
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 33

tipico degli scout della frontiera, cioè costume indiano rafforzato


da giubbe di pelle, con l’aggiunta di due vezzi: i capelli annodati
a crocchia e un orecchino all’orecchio sinistro. Ma il dettaglio più
importante è un altro: il volto del personaggio è molto simile a quel-
lo dello stesso Pratt. Quasi che il narratore abbia voluto con questa
scelta esprimere il personale disagio per un’identità mai definitiva e
sempre nomade, ineluttabilmente marchiata da questi caratteri di al-
terità, e tuttavia irrinunciabile e non negoziabile con altre più stabili
appartenenze.

Un naufrago di successo

Siamo nel 1967. Pratt è tornato da qualche anno in Italia34. Il lavo-


ro non manca. In particolare, Pratt pubblica per la testata più amata
dai ragazzi italiani, il «Corriere dei piccoli». In più occasioni illustra
i testi dello scrittore Mino Milani (Le avventure di Simbad il mari-
naio, L’isola del tesoro, Le avventure di Fanfulla). Illustra anche
un’Odissea sui testi di Franca Ongaro Basaglia, sorella minore dello
scrittore Alberto e moglie dello psichiatra Franco Basaglia.35 Ritorna
a collaborare con Alberto Ongaro dedicandosi ad alcune avventure
del personaggio l’Ombra. Poi, grazie all’amico e collaboratore Ste-
lio Fenzo, avviene l’incontro con l’imprenditore genovese Floren-
zo Ivaldi, appassionatissimo di fumetti e specialmente di quelli di
Pratt. I particolari di quell’incontro sono stati più volte raccontati da
Fenzo, che ne ha anche imbastito una breve storia a fumetti. Ivaldi
fu travolto dalla personalità esuberante di Pratt, e accettò di finan-

34 Tra le ultime storie realizzate in Argentina va segnalato Capitan Cormorant,


un personaggio avventuroso le cui vicende (testi e disegni di Hugo Pratt) sono
ambientate nell’America del XVIII secolo. Il primo episodio uscì in «Misterix»
n. 689, il secondo episodio (incompleto) nel n. 696 (entrambe le uscite sono
del 1962). In seguito (dal 1964) il personaggio fu affidato a Stelio Fenzo, che
lo ribattezzò Capitan Moko. Alcuni critici hanno visto nell’ambientazione e
nell’atmosfera di Capitan Cormorant un’anticipazione tematica delle prime storie
di Corto Maltese.
35 Talvolta viene attribuito a Franco Basaglia il testo di questo lavoro di riduzione
dell’Odissea, ma si tratta di un errore. Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/
Franca_Ongaro
34 Corto Maltese e la poetica dello straniero

ziare una nuova rivista, che prenderà il nome da uno dei personaggi
più amati del narratore veneziano, il Sergente Kirk. La rivista («Sgt.
Kirk») vide la luce nel 1967, con Pratt al timone. È proprio sulle
pagine della nuova rivista che appare Corto Maltese.
Si tratta del punto più alto raggiunto dalla narrazione prattiana, il
personaggio che da solo sintetizza e dà senso a una produzione am-
plissima, quasi sconfinata, caratterizzata da un’indiscutibile qualità.
Pratt ha eccelso nel raccontare super-eroi, uomini delle prime guerre
della modernità, uomini delle guerre recenti, uomini del West, inve-
stigatori e persino una ragazzina lentigginosa nella giungla africana.
Ha saputo ascoltare e interloquire con i grandi scrittori con cui ha
lavorato, ha saputo mescolare le proprie ingorde letture alle proprie
storie, il suo vissuto alla sua abilità di disegnatore e poi di autore
unico. Ha conosciuto la piccola fabbrica dell’editoria a fumetti – la
serialità – senza farsene inghiottire. Ha viaggiato instancabilmente
e ha conosciuto città straordinarie, come Buenos Aires, del cui mul-
ticulturalismo si è nutrito senza esitazioni. I suoi orizzonti di lettore
si sono allargati in molteplici direzioni, e la sua biblioteca personale
conta migliaia e migliaia di volumi.
In questo momento della sua vita – a quarant’anni – è attrezzato
a un nuovo e sapiente ciclo creativo. Il soggetto della nuova fase
prende forma all’improvviso alla vignetta n. 3636 della storia che lo
vede coinvolto: è un naufrago nelle peggiori condizioni, dall’aspetto
di galeotto. È legato a una croce di legno che galleggia tra le onde
dei lontanissimi mari del Sud e il sole lo trafigge senza pietà. È un
ingresso narrativo di rara potenza, forse il più celebre in quella che
Pratt chiama “letteratura disegnata”, sotto la stella di un titolo bellis-
simo ed evocativo, Una ballata del mare salato.37
Una ballata, ma non esattamente una qualsiasi, anche se il mare
salato ne ha infinite da raccontare. Una ballata dove si presentano

36 Per commentare Una ballata del mare salata mi servirò di una delle edizioni più
popolari (in bianco e nero), contenuta nel volume Corto Maltese pubblicato dai
classici del fumetto di Repubblica, 2003. I riferimenti ai numeri di pagina che si
incontreranno a partire da qui sono da considerarsi appartenenti a questa edizione.
37 Stelio Fenzo mi ha fatto notare che una scena praticamente identica compare
all’interno del film americano Wake of the Red Witch (versione italiana: La
strega rossa), 1948, diretto da Edward Ludwig e interpretato da John Wayne e
ambientato nelle Indie orientali.
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 35

personaggi e temi narrativi destinati a raccogliere il patrimonio di


quanto cumulato da Pratt fino a quel momento e a distillarne una
quintessenza del tutto speciale. Speciale è il personaggio che nelle
prime tavole della storia sembra il protagonista, il moderno pirata
Rasputin, che ha le fattezze del suo omonimo e leggendario consi-
gliere spirituale dell’ultimo zar di Russia e una speciale persona-
lità sociopatica e a tratti schizoide (ma non priva di enigmatiche
aperture affettive). Speciale è lo scenario della storia, l’Oceano
Pacifico nella zona della Nuova Guinea. Speciale è – ovviamente
– Corto Maltese, personaggio giocato sul filo di una spericolata
militanza semi-piratesca e di un’osservanza di valori e compor-
tamenti positivi e inscritti nell’aura del gentiluomo di altri tempi.
Speciale è anche la composizione corale della narrazione, nella
quale trovano spazio adolescenti irrequieti pur di alto lignaggio (i
cugini Groovesnore, Cain e Pandora, che Rasputin intende usare
per tutto il racconto per chiedere un riscatto alle famiglie di origi-
ne), maori acculturati e abilissimi nella navigazione (Tarao), anti-
eroi commoventi (il comandante Slütter), melanesiani coraggiosi
e sapienti (Cranio), misteriose figure di potentissimi fuorilegge
senza volto (Il Monaco, il signore senza età dell’introvabile isola
Escondida), temibili guerrieri Papua (già incontrati nella serie dei
Junglemen).
Insomma, tutto è speciale in questa ballata del mare salato. È spe-
ciale soprattutto il respiro del romanzo grafico di Pratt, composto di
ben 163 pagine. Lo spirito del tempo – quello in cui uscì la prima av-
ventura di Corto Maltese sul «Sgt. Kirk», 1967 – non ammetteva la
prima pubblicazione di un intero graphic novel in forma di libro o di
albo. La logica della serialità, ereditata dai romanzi di appendice del
XIX secolo attraverso il dispositivo del feuilleton sulle pagine dei
giornali, era ancora ben viva e stabilmente trasmigrata sulle pagine
delle riviste a fumetti: per quanto le singole storie fossero lunghe
e articolate, difficilmente l’ultima pagina dell’episodio (inclusi per
esempio Tex e Zagor) coincideva con la fine della storia, che invece
proseguiva nei numeri successivi (e talvolta si concludeva circa a
metà della foliazione). Era un modo per tenere in tensione il (giova-
ne) lettore, e anche per non forzare le sceneggiature in un numero
di pagine prefissate, tecnica che avrebbe potuto indebolire le storie.
36 Corto Maltese e la poetica dello straniero

Una ballata del mare salato si distende dunque su un gran numero


di pagine, con un equilibrio stupefacente tra disegni e testo. All’in-
terno delle due componenti essenziali dell’opera sono poi rispettati
ulteriori sotto-equilibri: nei testi quello tra dialoghi “normali” (nor-
malmente formulati per consentire al lettore di seguire le vicissitudi-
ni della storia) e dialoghi caricati di particolare significato, con frasi
a effetto e aforismi a volte memorabili38. Nei disegni è rispettato un
equilibrio tra realismo ed espressionismo – già tipico di Pratt – con
un’ulteriore presenza di singole vignette composte con pochi tratti
essenziali, quasi astratte. Si tratta di un equilibrio ricercato durante
l’intero corso dell’opera prattiana, e che tuttavia nella Ballata ritrova
una sorta di naturalità, grazie al piacere dell’autore di lavorare a un
soggetto che mette in azione la maggior parte dei suoi stimoli lette-
rari e delle sue conoscenze sull’avventura esotico-bellica.
Lo stesso Corto Maltese raggiunge il proprio equilibrio quasi
creandolo da sé nel corso del romanzo: appare in principio come
naufrago con aspetto da galeotto (con orecchino al lobo sinistro) e
mette quasi subito in atto una prima metamorfosi. Diventa un ma-
rinaio-pirata sarcastico e gallonato, trasformazione che Pratt ottie-
ne semplicemente disegnando una buona rasatura e una giacchetta
bianca (p. 27). Poi Corto si produce nella prima dissonanza rispetto
a Rasputin: questi uccide personalmente il comandante di una nave
incrociata nell’oceano e fa mitragliare l’intero equipaggio dai suoi
uomini mentre Corto cerca di opporsi e per questo viene tramortito.
Nelle pagine seguenti lo ritroviamo confinato nelle caldaie a spala-
re carbone a torso nudo, riprecipitato nel ruolo (anche fisiognomi-
co) del galeotto, da cui sarà riscattato per via dei piani di Rasputin.
In questa fase indossa una maglietta scura e un fazzoletto annodato
al collo, particolari completati dal cappello da ufficiale di marina
e da pantoni bianchi che lo rendono – con l’eccezione del volto –
del tutto simile a Luca Zane di Anna nella jungla. Il “vero Corto
Maltese”, così come ciascuno di noi lo visualizza mentalmente da
molti anni (cioè con una marsina marinara, una camicia bianca dal
colletto inamidato e un cravattino nero svolazzante) compare solo

38 Una buona selezione si trova presso apposito sito, relativo sia a Una ballata del
mare salato sia a successivi lavori di Pratt che vedono protagonista Corto Maltese,
cfr. https://it.wikiquote.org/wiki/Corto_Maltese
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 37

a pagina 95, all’interno di un sottomarino tedesco. Alle metamor-


fosi estetiche corrispondono le trasformazioni del carattere. Corto
si esprime inizialmente nel linguaggio crudo e provocatorio di Ra-
sputin. Esempio:

Rasputin: “Come hai perduto la barca? E ora che farai?”


Corto: “Dammi da bere!”
Rasputin: “Stammi a sentire, Corto, qui sei nella mia barca e qui
comando io! Ora scendiamo sottocoperta e mi racconterai…” (p. 26).

Più avanti:

Corto: “La nave olandese è piena di carbone…”


Rasputin: “Già!!”
Corto: “Ci pagheranno bene! La Germania ha bisogno del carbone!
Tanto più che tutte le sue basi del Pacifico verranno occupate dagli al-
leati.”
Rasputin: “Si dedicheranno alla guerra di corsa.”
Corto: “Alla fine di questa guerra…Vinca chi vinca, noi saremo ric-
chi!” (p. 27).

Corto prende progressivamente le distanze da Rasputin, fino a


mettere in chiaro che lui impedirà che venga fatto del male a Cain
– ragazzo che pure tratta inizialmente in maniera altezzosa Corto
Maltese – che Rasputin vorrebbe sopprimere una volta ottenuto il
riscatto. Quindi Corto ingaggia una strana lotta sentimentale con la
giovane Pandora, che per gran parte della storia prenderà l’aspetto
di un sentimento di attrazione nascosto dalla relazione principale
“vittima-carnefice”. La tensione di questa fase sfocia addirittura nel
tentativo di omicidio da parte della ragazza, che spara a Corto feren-
dolo. La reazione contenuta del Maltese sorprende Pandora, che nel
resto della vicenda dovrà prendere atto che Corto si è sempre dimo-
strato generoso nei confronti suoi e di Cain, e li ha sempre protetti
nonostante l’apparente complicità con Rasputin.
Un altro aspetto del cambiamento di Corto – stiamo interpretando
la storia così come è stata presentata per la prima volta ai lettori, che
dunque non potevano conoscere la personalità del marinaio – è la
sua acquisita propensione all’ironia, che spesso sfocia in irrisione.
38 Corto Maltese e la poetica dello straniero

È il caso dei dialoghi tra Corto e il potente e inquietante signore di


Escondida, il Monaco. Esempio:

Il Monaco: “E tu… Corto Maltese, hai perduto una goletta e anche


l’autorità sopra i tuoi uomini, perché?”
Corto: “Questioni di donne, capo!… E per di più uno l’autorità ce
l’ha fino a che non è costretto a esercitarla.”
Il Monaco: “Bravo, la risposta è sottile, maltese, ma il risultato è che
non sei capace di comandare. Sei troppo individualista e indisciplinato.
SEI UN SOVVERSIVO!” (maiuscolo nel testo).

Qualche pagina dopo questo dialogo il Monaco, in preda a una


violenta crisi di nervi, fa precipitare in un burrone il marinaio che lo
irride (p. 154). Corto Maltese sembra bruscamente uscire dalla sto-
ria. Non è così, la scomparsa dura “solo” 28 pagine, quando Pandora
annuncia a un incredulo Cain che Corto è stato trovato ferito tra le
rocce e curato dal melanesiano Cranio. Ancora qualche pagina oltre
(ma a distanza di parecchie settimane narrative), Corto si ripresenta
al Monaco vestito del suo abito completo. Mentre fuma una delle
sue caratteristiche sigarette fatte a mano, avverte il Monaco che non
si farà sorprendere da un suo nuovo attacco di follia. Le sue paro-
le sono misurate, quasi flemmatiche. La comunicazione con il suo
potenziale assassino prende immediatamente il ritmo della conver-
sazione tra complici, forse tra amici. I fatti – anche i più gravi – sem-
brano scivolare senza rancori sulla dandistica giacchetta di Corto e
provocargli principalmente ironia. L’atteggiamento caratteriale vie-
ne notato e apprezzato sonoramente dal Monaco senza volto.

Corto: “ E se così fosse… Allora quest’isola ha i giorni contati!”


Corto: “Ci conviene abbandonare «Escondida» e andarcene.”
Il Monaco: “Non è detto che debbano trovarci subito, possono pas-
sare dei mesi.”
Corto: “Non sperarci, Monaco. Con un navigatore come Tarao, dai
per scontato che l’Ammiragliato ci troverà subito!”
Il Monaco: “In poche parole suggerisci una fuga?! Maledetto cialtro-
ne!... Questa è la mia isola… Il «Monaco» muore ma non fugge.”
Corto: “E va bene… Allora muori!”
Il Monaco: “Il «Monaco» fugge ma non muore!”
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 39

Corto: “Bè, una soluzione ci sarebbe… Muori a metà e arrenditi a


metà…”
Il Monaco: “Haw! Haw! Haw! Eh! Hee!” (ride)
Il Monaco: “Ah, Corto, Corto, Corto… Quello che mi piace di te è
proprio questa tua capacità di non perdere mai di vista il lato divertente
di tutte le cose…”
Il Monaco: “… Sono contento di trovarti tutto intero, Corto Malte-
se!”
Corto: “Bentornato, Monaco!” (pp. 207-208).

La composizione finale del romanzo disegnato vede il marinaio


preso da due atteggiamenti complementari: applicare una propria
forma di giustizia ai fatti cui assiste e svelare senza particolari timi-
dezze, anche se con un linguaggio insieme poetico e controllato, i
propri sentimenti.
Da pirata fuorilegge Corto si trasforma in un individuo molto duro
verso chi infrange un’altra legge, quella della lealtà e della giustizia.
Il tenente Slütter, nemico dei neozelandesi, viene da questi fucilato
con l’accusa di fellonia, in modo da nascondere l’onta del sabotag-
gio di una grande nave carica di esplosivi ad opera di un solo uomo,
che per giunta agiva come nemico in una guerra ormai dichiarata.
Per Corto Maltese la condanna a morte (già eseguita) è stata un abo-
minio, Slütter essendo colpevole soltanto di una legittima azione di
guerra. Si reca quindi dal comandante neozelandese (lo zio di Cain
e di Pandora, di cui conosce un decisivo segreto) e gli dice aperta-
mente che vuole la scarcerazione di Rasputin in cambio del proprio
silenzio, con un linguaggio duro e minaccioso, anche se non privo
di ironia.

Comandante: “Ma lei non ha nessuna simpatia per Rasputin… Per-


ché lo vuole salvare?”
Corto: “Per darle fastidio, Groovesnore! Lasciando libero Rasputin,
lei dovrà fare i salti mortali per giustificarsi di fronte all’Ammiraglia-
to!”
Corto: “Inutile cercare di uccidermi… Sarebbe omicidio, e la sua
carriera finirebbe di fronte alla corte marziale. Se poi decidesse di in-
criminarmi per pirateria… Io direi quello che so al mio avvocato e lei
scoppierebbe comunque. È la mia maniera di vendicare il povero tenen-
40 Corto Maltese e la poetica dello straniero

te Slütter. Gliel’avete fatta veramente sporca a quel poveraccio… Me


ne vado, Groovesnore, spero di rincontrarla, di notte, in qualche strada
scura…!” (p. 256).

Il Corto sentimentalmente svelato, invece, è capace di creare un’i-


naspettata intimità con personaggi in genere controversi, cui la sua
vicinanza si rivela propizia. È il caso ad esempio della sua relazione
con lo sfortunato Slütter.

Corto: “A cosa stava pensando, signor Slütter?”


Slütter: “Oh, non l’avevo vista, Corto…”
Slütter: “Pensavo agli anni andati e me ne andavo così… distratta-
mente… Incontro alla mia giovinezza!... Sia pure inconsciamente, uno
cerca…”
Slütter: “… Di rincontrarla…”
Corto: “Fermarsi nel passato come fa lei… È come custodire un ci-
mitero.”
(Corto offre un cicchetto a Slütter da una whisky-flask)
Corto: “Ecco… Scommetto che si sente meglio.”
Slütter: “Già.”
Corto: “Ed ora un altro consiglio. Guardi là quelle belle ragazze ve-
stite solo di foglie… Vada a far loro compagnia…”
Corto: “Non è necessario aspettare l’autunno, amico Slütter!”
Slütter: “Sa una cosa, Corto?”
Slütter: “Lei è un simpatico pirata!!”
Corto: “Faccio quel che posso, signor Slütter. Anche lei è un simpa-
tico ufficiale.”
Corto: “Arrivederci, signor Slütter… E dia retta a uno che la sa lun-
ga, cerchi d’arrivare tutto intero alla fine di questa avventura.” (pp. 211-
213).

Il finale del romanzo ha qualcosa di struggente. Ora l’ironia di


Corto si trasforma in un seduttivo addio a Pandora, in un conteni-
mento del desiderio che dice molto sul suo casto dongiovannismo.

(Pandora è vestita elegantemente da collegiale, sulla tolda di una


nave. Corto la passa a salutare, da barca a barca)
Corto: “Ehi, romantica bijou!”
Pandora: “Buon giorno, Corto Maltese!”
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 41

Corto: “Eh, ma che bella! Chissà perché mi fai ricordare un tango


di Arola, che ascoltai nel cabaret della Parda Flores in Buenos Aires.”
Pandora: “Forse c’era qualcuna che mi assomigliava?”
Corto: “No! Proprio perché non assomigli a nessuna avrei voluto
incontrarti sempre… In qualsiasi posto…”
Pandora: “Non verrò con lei, Corto Maltese.”
Corto: “Lo so!”
(Corto si sfila una corona di fiori polinesiani che aveva al collo e la
mette al collo di Pandora)
Corto: “Addio Pandora!”
Pandora: “Arrivederci Corto Maltese!...” (pp. 262-264).

Da notare che, prima della frase di Pandora che rompe il roman-


ticismo di Corto, tra i due vi è stato uno sguardo muto che dura due
vignette, probabilmente uno degli scambi non verbalizzati più famo-
si della storia dei fumetti.
Pratt usa la tecnica della vignetta muta, affidata alla sola espressi-
vità dei disegni, numerose volte nel corso della Ballata. Tra pagina
178 e pagina 181, per esempio, ci sono 25 vignette in cui Raspu-
tin incontra il Monaco seduto sul suo trono di vimini e alla fine gli
spara. Si tratta però di un fantoccio e di una burla. Solo 3 delle 25
vignette sono completate da alcune brevi frasi del pirata. Le altre
sono mute o accompagnate dal solo rumore degli spari. Non per
questo sono meno significative e meno narrative. Raccontano anzi
in maniera del tutto esaustiva la reazione violenta e nevrastenica di
Rasputin di fronte a una manipolazione subita, la cui ironia non può
che rimandare a Corto (nel frattempo momentaneamente scomparso
dalla storia dopo la lite con il Monaco).
Le vignette mute sono utilizzate anche per le cesure di scena, quan-
do Pratt vuole cambiare ambientazione e/o personaggio. Ne conse-
gue una sensibile riduzione del numero delle didascalie, presenti solo
quando sono davvero indispensabili. La Ballata riesce a proporre mol-
te di queste innovazioni, che segneranno il passaggio a una sensibilità
narrativa molto più sottile, in cui è richiesto un clima di totale com-
plicità con il lettore, vero e proprio sodale dell’autore. Nelle storie di
Corto, a cominciare da questo esordio-capolavoro, il non-scritto corri-
sponde al non-detto: come nella vita di tutti i giorni, il non-scritto/non-
detto vale almeno quanto ciò che viene pronunciato esplicitamente.
42 Corto Maltese e la poetica dello straniero

Un meccanismo del genere funziona anche con il disegno: si è ac-


cennato all’uso del tratto realistico stressato in direzione espressio-
nistica – già presente in molti lavori di Pratt – ma ciò che stupisce, in
alcuni luoghi della Ballata, è la poetizzazione del tratto elementare,
l’eleganza di figure e scenari tratteggiati in pochissime linee. È il
caso, eclatante, di una visione allontanata della barchetta figiana gui-
data dal maori Tarao su cui viaggiano Corto, Pandora e Cain (p. 91).
La vignetta sembra realizzata con una decina di linee e di segni al
massimo. La semplificazione radicale diventa astrattizzazione, che
riesce a combinarsi alchemicamente con la complessità grafica delle
vignette precedenti, aprendo uno squarcio di pura luce nella visione
dell’avventura oceanica.
Per quanto riguarda la dimensione corale del romanzo grafico,
vi sono delle auto-citazioni significative, come il dialetto venezia-
no usato da Pratt per far parlare i temibili guerrieri Papua (era già
successo in Anna nella jungla), che diventa una cifra prattiana piut-
tosto esilarante, un gioco esotico-provinciale condotto sul filo del
“politicamente scorretto”. Il passaggio dal dialetto veneziano come
linguaggio dei dominati al linguaggio normalizzato in italiano quan-
do i dominati si ribellano (è il caso del nuovo reggente dell’isola di
Escondida, una volta fuggito il Monaco), rende la vicenda capace
di viraggi improvvisi ed emozionanti, come nel dialogo tra Corto
e Sbrindolin (altro curioso venezianismo), in cui il nativo divenuto
capo dell’isola spiega a Corto la sua visione ideologica (pp. 258-
259), dopo essere sembrato, nelle scene precedenti, un sempliciotto
con corredo di linguaggio dialettale.
Infine, Rasputin.
Oreste Del Buono scrisse a proposito di Rasputin che si tratta di
qualcosa di più di un semplice personaggio. Rasputin è un deute-
ragonista, una sorta di azzeccato completamento di Corto Maltese.
Rasputin non è privo di logica o di intelligenza, ma è dominato da
una filosofia assassina. Non gli importa degli altri, e non gli importa
di frenare i suoi istinti quando si manifestano. D’altronde condivide
con Corto Maltese la capacità di sopravvivere negli ambienti più
ostili. Dato per spacciato da tutti (meno che da Corto), ricompare
immancabilmente. Il suo aspetto fisico è respingente, ma la sua vi-
talità assoluta. Di tanto in tanto, il suo umore muta. Forse Pratt si è
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 43

ispirato ad alcuni caratteri della letteratura russa per tratteggiare il


suo personaggio: come in certi personaggi di Dostoevskij, l’indole
furibonda si tramuta in animo malinconico, persino bisognoso d’af-
fetto. Rasputin a quel punto della propria metamorfosi si scontra
però con il muro di ironia e di sufficienza di Corto Maltese, e questo
atteggiamento – come un farmaco o un veleno – spinge al ricrearsi
del suo ciclo maligno.
Rasputin è deuteragonista, ma del genere “mobile”: non è in gra-
do di competere con la poliedricità del marinaio, e quindi si prende
i propri spazi grafici e narrativi a squarci, senza meritarsi un deute-
ragonismo “permanente”, come nel caso, per esempio, della coppia
antagonista Diabolik-Commissario Ginko delle sorelle Giussani.

Dopo la Ballata

Il romanzo grafico di Pratt è pubblicato nella rivista «Sgt. Kirk»,


la cui conduzione, nonostante il capitale investito dall’immobiliarista
Florenzo Ivaldi, è a carattere artigianale. Ci sono notevoli problemi
di distribuzione, aggravati dall’inesperienza nel settore di Ivaldi e da
una certa dose di velleitarismo, che spinge l’editore prima a un’osti-
ca auto-distribuzione nelle edicole, poi alla vendita esclusivamente
tramite abbonamento. La Ballata di Pratt (conclusasi su Kirk nel feb-
braio 1969) non passa però inosservata: il «Corriere dei Piccoli» la
ripubblica nel 1971 e la Mondadori ne fa un albo completo nell’anno
seguente. Per l’autore tuttavia si aprono rosee prospettive in uno dei
principali mercati fumettistici del mondo, quello francese. Pratt firma
un contratto con la rivista «Pif Gadget»39, e per essa concepisce un
certo numero di racconti di Corto. Si tratta di storie brevi concatena-
te, che Pratt suddivide in suite (estendendo alla “letteratura disegna-

39 Scrive Luca Boschi: “Il popolare «giornalino» Pif, intitolato al cagnolino creato
dall’esule spagnolo José Cabrero Arnal, tira ben 400 mila copie: circa un decuplo
di «Sgt. Kirk», la rivista italiana su cui ha debuttato Una ballata del mare salato.
Apprezzato sia dai ragazzi sia dai loro genitori, Corto Maltese si crea un ampio
zoccolo di fan Oltralpe prima ancora che in Italia”. Cfr. Pratt Hugo (1970-1981),
Corto Maltese. La giovinezza e altri racconti, Gruppo Editoriale l’Espresso,
Roma, 2006, p. 118.
44 Corto Maltese e la poetica dello straniero

ta” un concetto prevalentemente musicale) e in cicli. Lo scenario è


ancora quello tropicale, e il numero e la qualità dei personaggi che
affiancano Corto garantiscono il proseguimento della coralità del ro-
manzo. La cosiddetta “suite caribeana” è composta di sei episodi40,
seguita dal ciclo di Sempre un po’ più in là, costituito da cinque rac-
conti41. La storia che inaugura la suite dei Caraibi è intitolata Il segre-
to di Tristan Bantam. Qui Pratt procede, fin dalle prime tavole, con
un processo di vera e propria mitizzazione di Corto Maltese. Ecco
l’incipit de Il segreto: “Corto Maltese si riposava pigramente nell’u-
nica veranda della pensione «Java» a Paramaribo (Guyana olandese).
Si vedeva subito che era «un uomo del destino». Con un gesto misu-
rato, accese uno di quei sigari sottili che si fumano solo in Brasile o a
New Orleans: stava recitando per un pubblico invisibile.”42
Se nella Ballata erano gli altri personaggi ad attribuire, con le loro
parole, un carattere speciale al marinaio, ora è la stessa voce narrante
(la didascalia iniziale) a promuovere l’estetica dell’«uomo del desti-
no». L’avventura capita addosso al riottoso protagonista con le sem-
bianze del professor Jeremiah Steiner, un anziano luminare dell’u-
niversità di Praga diventato giramondo e alcolista (nei tratti ricorda
Einstein e insieme Rudolph Steiner, il creatore dell’antroposofia) e
quindi di Tristan Bantam, giovanissimo orfano di uno studioso che
gli ha lasciato una mappa misteriosa. Tristan è la riproposizione del
ragazzino irrequieto e coraggioso che Pratt ama fornire come spalla
a Corto Maltese. Steiner invece è un nuovo genere di personaggio
e di spalla43: è mite, inerme, ispira simpatia e, in certi particolari

40 Si tratta di: Tristan Bantam, «Pif», n. 58/1296 (3.4.1970), Paris Vaillant; Rendez-
vous a Bahia, «Pif», n. 59/1297 (10.4.1970); Samba avec Tire Fixe, «Pif» , n.
66/1304 (25.5.1970); L’aigle dans la jungle, «Pif», n. 75/1313 (31.7.1970); Et
nous reparléron des gentil hommes de fortune, «Pif», n. 82/1320 (18.9.1970);
A cause d’une mouette, «Pif», n. 89/1327 (6.11.1970). Cfr. Marchese Giovanni,
Leggere Hugo Pratt, Tunué, Latina, 2006.
41 Si tratta di Tête et champignons, «Pif», n. 96/1334 (25.11.1970), En vérité ça
fut un affaire de bananes, «Pif», n. 103/1341 (12.2.1971), Un etrange affaire,
«Pif», n. 108/1346 (18.3.1971), La lagune des beaux songes, «Pif», n. 117/1355
(20.5.1971), Fables et grandes-pères, «Pif», n. 124/1362 (8.7.1971).
42 Cfr. Pratt Hugo (1970-1981), Corto Maltese. La giovinezza e altri racconti,
Gruppo Editoriale l’Espresso, Roma, 2006, p. 121.
43 “Nuovo” relativamente al fumetto di Pratt: il personaggio biograficamente
“intellettuale” o “scienziato” poi caduto nella spirale dell’alcol è molto presente
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 45

momenti della storia, si rivela utile come linguista e decifratore. Ma


sono soprattutto i personaggi femminili a sbocciare negli episodi
di questa suite: la splendida sorellastra di Tristan, Morgana, la sua
accompagnatrice e cartomante Bahianinha, la strepitosa Bocca Do-
rata, maga e sensitiva (e tante altre cose) eternamente giovane, la
combattiva mulatta Esmeralda, la religiosissima Soledad Lokaarth,
la sfortunata Ambiguità di Poincy. Tutta la suite è impregnata di ma-
gia caraibica, di spirito della macumba brasiliana, di dialoghi serrati
all’ombra di piante e di abitazioni esotiche. Le donne della saga sono
interlocutrici privilegiate, dispensatrici di sapienza e moderatamente
ingannatrici: nel caso dell’inquietante avventuriera Venexiana Ste-
venson, che diventerà una presenza intermittente nelle storie di Cor-
to, l’inganno è mescolato all’attrazione sentimentale, ma il marinaio
sembra piuttosto insensibile alle lusinghe della cattiva ragazza. Con
tutte queste presenze femminili Corto Maltese accetta un piano di
parità, e non si sorprende per le loro doti guerriere e intellettuali.
Sembra anzi darle per scontate, senza che ciò significhi una diminu-
zione del lato sensuale delle relazioni intrattenute con loro, anche se
la suite dei Caraibi, in continuità con la Ballata, ci propone un Corto
dalle frasi ad effetto e dagli sguardi fascinosi ma decisamente casto.
La sua seduzione è esercitata come un fatto estetico-mentale, in sé
autosufficiente.
Senza entrare nel merito delle storie, che sono complesse e soddi-
sfano molte traiettorie dell’immaginario avventuroso (dalla classica
ricerca del tesoro perduto ai primi accenni al continente perduto Mu,
dalla narrativa anti-coloniale a una sorta di antropologia delle tribù
Jivaro amazzoniche), la suite dei Caraibi e il ciclo immediatamente
successivo (Sempre un po’ più in là), impregnati di atmosfere eso-
tiche e magiche che confinano con il sogno e con l’allucinazione
(compare anche il pejote, il funghetto lisergico che curerà Corto da
un’amnesia), si prestano a cogliere e perfezionare il carattere dello
straniero già delineato nella Ballata. Il marinaio non è sempre l’ar-
tefice dei propri viaggi e delle proprie avventure: più spesso è spinto
da altri, personaggi simpatici e irregolari come Steiner o enigmatici

nella storia del cinema, per esempio nel personaggio di Doc Boone (l’attore
Thomas Mitchell) del film Ombre rosse (John Ford, 1939), certamente conosciuto
da Hugo Pratt.
46 Corto Maltese e la poetica dello straniero

ed eruditi come l’antiquario Levi Colombia. Tuttavia quando si tro-


va coinvolto Corto non esita, e si appropria suo malgrado delle sto-
rie con lo spirito di un protagonista. Nell’episodio Samba con Tiro
Fisso lo ritroviamo nel ruolo di fiancheggiatore dei cangaçeiros, i
guerriglieri del Sertão che combattono contro i grandi latifondisti e
schiavisti della regione. Nonostante la sua caratterizzazione disin-
cantata, Corto Maltese si immerge in poche tavole nella situazione
della banda di cangaçeiros in cui si imbatte: i giovani rivoluzionari
sono prostrati dalla morte del loro capo, Sebastian il redentore, che
non pensano di riuscire a sostituire. Corto Maltese si immedesima
nel ruolo di spin-doctor ante litteram, ed esercita la sua persuasione
sul nuovo capo, Tiro Fisso.

Corto: “D’accordo. Forse avete perso un grand’uomo, ma dopo tutto


un capo che lascia la sua gente senza guida e si fa prendere dai nemici
come un bambino, per sistemare i suoi affari personali, non mi sembra
molto competente.”
Tiro Fisso: “Senti, gringo, non parlare così del redentore o ti ammaz-
zo. Non puoi capire cos’ha rappresentato per noi. Senza di lui tutto è fi-
nito! Il popolo si lascia umiliare da questi avventurieri senza scrupoli.”
Corto: “Contano i fatti e non le parole!”
Corto: “L’assalto alla bananiera è stato un atto di coraggio: perché
l’avete fatto?”
Tiro Fisso: “Per vendicare la morte del redentore. Ho ucciso il capi-
tano De Oliveira!”
Corto: “Bene, ormai è fatto: hai ucciso l’esecutore. Ma il vero re-
sponsabile? Quel colonnello che vive di abusi e di crimini all’insaputa
del governo centrale, cosa farà? Continuerà a terrorizzarvi con i suoi
pistoleros.”
Tiro Fisso: “Cosa posso farci?”
Corto: “Prendere il posto del redentore!”44

Un paio di pagine dopo spetta al vecchio Steiner chiosare il com-


portamento di Corto:

Steiner: “Hai contribuito alla nascita di un nuovo capo politico.”

44 Cfr. Pratt Hugo (1970), Samba con Tiro Fisso e altri racconti, Gruppo Editoriale
l’Espresso, Roma, 2006, p. 31.
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 47

Corto: “No, Tiro Fisso era già un capo. Io lavoro per le mie sterline.”
Steiner: “Non ho mai visto nessuno più romantico di te… Scommet-
to che in autunno vai a sederti solo soletto sulla panchina del parco…”

Corto non replica e continua a fumare il cigarillo, complice dell’i-


ronia benevola dell’amico.
Anche negli episodi della suite i silenzi sono eloquenti e diventa-
no uno dei marchi di fabbrica dell’atelier carismatico di Pratt, capaci
di intensificare i momenti topici delle storie e di sostituire il linguag-
gio spesso prosaico delle didascalie tradizionali. Pratt sembra ormai
in grado di dotare le inquadrature di tutte le informazioni necessarie,
che nei fumetti dell’epoca erano ancora spesso presentate sotto for-
ma di testi posticci e noiosi. In questo modo l’artista tiene sempre in
pugno il lettore, obbligandolo a lavorare con la propria immagina-
zione e stupendolo per la facilità di ingresso e di permanenza nella
storia, per quanto complessa dal punto di vista narrativo.
Non ci sono sostanziali cambiamenti rispetto alle grafiche della
Ballata, anche se inquadrature sempre più complesse e cinematogra-
fiche realizzano una combinazione perfetta tra elementi normalizzati
ed elementi avanguardistici. È il caso della prima tavola dell’episo-
dio La Conga delle banane45, caratterizzata da un dialogo tra due
attentatori che sembra avvenire tra le loro armi da fuoco sporgenti da
una finestra, riprese dal pennino di Pratt da molte diverse prospetti-
ve, senza che compaiano né un volto né un corpo umano. Pure armi
parlanti.46
Il formato della storia breve – o racconto – rappresenta dunque
un altro scenario dove Corto si muove a proprio agio dopo la clamo-
rosa e lunga ouverture della Ballata. Nel romanzo grafico Pratt ha
dimostrato di poter oltrepassare le regole e le abitudini del mercato
editoriale, spostando sempre più in alto l’asticella della narrazione,
riempiendo pagine e pagine dove testi e disegni cooperano nella ri-
uscita di un’avventura che sembra non dover finire mai. Infatti è
così: attraverso la serializzazione di Corto, l’avventura inaugurata
nella Ballata non avrà fine se non con la scomparsa del suo autore.

45 Nell’originale francese il titolo è En vérité ça fut un affaire de bananes, «Pif», n.


103/1341 (12.2.1971).
46 Cfr. Pratt Hugo (1970), Samba con Tiro Fisso e altri racconti, op. cit., p. 120.
48 Corto Maltese e la poetica dello straniero

Quando l’arte di Pratt riesce a tenere il ritmo delle storie anche su un


formato più breve – adatto alle riviste che ora lo pubblicano – è au-
tomaticamente superato il problema della collocazione strategica di
Corto Maltese: il personaggio è talmente forte da offrirsi come una
garanzia in sé di qualità narrativa. Grazie al suo potere identificativo
possono prendere inizio storie dagli scenari diversi, il cui caratte-
re evocativo sempre più sarà costituito dalla semplice presenza di
Corto Maltese, essendo Corto un concentrato riconosciuto di esotica
consistenza. Il personaggio Corto Maltese riesce a definirsi in modo
indubitabilmente carismatico, intensificando gli spazi e i tempi da
lui attraversati. Pratt è così in grado, come un moderno autore di
cronache medievali, di cominciare a creare una storiografia del suo
eroe, colmando progressivamente i vuoti biografici, mentre le av-
venture del marinaio si spostano da una parte all’altra dell’oceano,
da una parte all’altra del mondo.

Scorpioni e deserti

Nel 1969, quindi dopo aver completato la Ballata e prima della


realizzazione dei racconti grafici della suite dei Caraibi e del ciclo
Sempre un po’ più in là, Pratt si era gettato nella produzione di una
nuova storia dal respiro lungo47. Un po’ nello stile Junglemen, il ti-
tolo della serie non sarà destinato a un personaggio centrale – come
Sgt. Kirk o Corto – ma a un ambito collettivo, a un gruppo, a una
squadra. In questo caso, a prendere vita sotto il pennino di Pratt sono
Gli Scorpioni del deserto, una compagine irregolare dell’esercito
alleato di stanza in Africa, in quella zona che il veneziano aveva
conosciuto da giovanissimo e dove era vissuto per più di un lustro.
Gli Scorpioni erano stati creati dopo l’entrata in guerra dell’Italia,
nel 1940, all’interno del British Army: un corpo del tutto speciale,
denominato Long Range Desert Group, organizzato in pattuglie per
azioni di ricognizione e di penetrazione nel campo nemico e formate
da soldati specificamente addestrati, neozelandesi, rhodesiani, bri-
tannici e, in seguito, indiani. Il loro simbolo era proprio uno scorpio-

47 Cfr. Gli scorpioni del deserto, «Sgt. Kirk», n. 28 (ottobre 1969), Ivaldi, Genova.
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 49

ne, animale micidiale e perfettamente acclimatato alle difficilissime


condizioni desertiche.
Anche Gli Scorpioni del deserto delineano una saga, e rappre-
sentano un esordio di clamorosa efficacia, per potenza narrativa pa-
ragonabile alla Ballata. Pur nel posto più caldo e inospitale della
guerra i ritmi sono accelerati: gli Scorpioni prendono le mosse da
un’azione repentina ai danni dell’esercito italiano, e le loro vicende
sono un insieme di atti violenti e spregiudicati, dove l’individuazio-
ne di spie e doppiogiochisti è parte fondamentale del gioco bellico
sul fronte africano. Al centro delle avventure degli Scorpioni vi è
un soldato polacco, il tenente Koinsky, biondo di capelli e con lo
zigomo sinistro e le labbra attraversati da profonde cicatrici. È un
tipico eroe prattiano, un altro carattere che si inserisce senza diffi-
coltà nella galleria degli “stranieri” che abbiamo già incontrato, da
El Muerto a Corto Maltese. Koinsky ha però qualcosa di diverso
dagli altri eroi di Pratt: si tratterebbe di un personaggio reale, co-
nosciuto da Pratt una prima volta in Africa e poi in Italia; qualcuno
che – secondo lo stesso fumettista – sarebbe andato a vivere in In-
ghilterra una volta finita la guerra48. Il suo stile comunicativo è meno
elaborato di quello di Corto Maltese, tuttavia la sua totale assenza
di retorica – compresa quella bellicistica, difficile da sfuggire per un
militare – ne fa un personaggio decisamente simpatico, il cui corag-
gio sembra in più occasioni sfiorare l’incoscienza. Anche la voce di
Pratt, attraverso scarne didascalie di contesto (che si intervallano ad
altre didascalie che sono resoconti di azioni di guerra da parte degli
ufficiali), raccoglie la ruvida tendenza delle comunicazioni interper-
sonali nello spazio-tempo della guerra e spiega il lato essenziale di
ogni singola vicenda, come in quest’esempio: “Assassini? Uomini
perduti? Eroi? Strano come la guerra cambia gli uomini… Ma Has-
san, Kord e Koinsky non ci pensano. Nel deserto l’unica cosa che
conta è mettere un piede davanti all’altro”.49
Nelle avventure di Koinsky e dei suoi commilitoni non c’è però
spazio unicamente per l’azione di guerra in tutte le condizioni in cui

48 Cfr. Petitfaux Domininique, All’ombra di Corto. Conversazioni con Hugo Pratt,


MilanoLibri, Milano, 1992.
49 Cfr. Pratt Hugo (1969), Gli Scorpioni del deserto – parte prima, RCS Libri,
Milano, 2010, p. 28.
50 Corto Maltese e la poetica dello straniero

essa può manifestarsi50: anche i sentimenti hanno un ruolo, specie


quando vengono scossi da tradimenti inaspettati, dovuti alle infiltra-
zioni di spie e di doppiogiochisti. Koinsky, che pure sembra sapersi
adattare alle condizioni più disperate e che si esprime in un linguag-
gio cinico e irridente, scatta come una molla quando capisce la gra-
vità di un tradimento. Durante il primo episodio, quando si renderà
conto che un suo commilitone, Kord, è in realtà un doppiogiochista,
gli consentirà in un primo momento di allontanarsi senza denunciar-
lo. Poi, saputo della morte di una donna ingannata e caduta vittima
di un attentato di Kord, parte come un pazzo per un accampamento
alleato e riesce a farsi trasportare in volo senza preavviso alla ricer-
ca del fuggiasco, che crede di essere al sicuro su un’imbarcazione.
Koinsky si impadronisce della mitragliatrice dell’aereo e apre il fuo-
co su Kord: una, due, dieci volte, fino a quando è certo che la spia
non possa essere sopravvissuta.
Gli Scorpioni presentano un’altra caratteristica che va spiegata:
nelle loro pagine si assiste a una compresenza di elementi tratti da al-
tre storie di Pratt. È il caso di personaggi già comparsi in Anna nella
jungla, come il tenente Tenton (ora tenente colonnello) e il capita-
no Mac Gregor (ora colonnello) dell’esercito inglese. Perché questi
crossover interni alla narrazione prattiana? Anche nella rappresenta-
zione della guerra d’Africa e delle sue terribili condizioni oggettive
lo spirito narrante di Pratt non propone la semplice sopravvivenza
fisica dei personaggi, ma la cattura di uno spessore umano, che nel
fumetto si traduce in tratti evocativi e testi d’impatto emotivo e intel-
lettualmente sottili. Entrambi gli effetti risultano potenziati creando
intorno ai nuovi personaggi un ambiente composto anche di vecchie
conoscenze, che spingono il lettore esperto a collegare le situazioni
e a percepire le saghe prattiane come un universo familiare, la cui
logica è la concatenazione degli eventi e l’evoluzione dei caratteri.
Se il timido tenente Tenton era introdotto come personaggio di scar-
sa consistenza nelle prime pagine di Anna nella jungla, già nel corso
di quelle storie cresceva e si potenziava; negli Scorpioni esercita la
propria autorità con fermezza ma senza prepotenze: è evidente che

50 Negli Scorpioni la guerra è soprattutto conflitto tra mezzi di trasporto: dalle jeep
ai cingolati, dai treni agli aerei.
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 51

il suo grado è dovuto a innumerevoli missioni ben eseguite e a una


maturazione umana avvenuta nel corso del tempo.
Il concetto di “letteratura disegnata” caro a Hugo Pratt si arric-
chisce di una tonalità teatrale, consentendo il trasporto dei caratteri
sul palcoscenico di carta del grande narratore. Pratt tiene in pugno
le proprie storie e i propri personaggi: nulla viene definitivamente
abbandonato e, quando è il caso, i personaggi possono coesistere in
epoche diverse.
Nella seconda puntata della saga degli Scorpioni, uno strepito-
so racconto uscito nel 1975 con il titolo Piccolo chalet…, riappare
uno dei personaggi più interessanti mai disegnati da Pratt, il dancalo
Cush. La sua prima apparizione risale alla storia Nel nome di Allah
misericordioso e compassionevole, pubblicata in Francia («Pif») nel
1972, e nei due racconti successivi, L’ultimo colpo (1972) e Di altri
Romei e di altre Giuliette (1973), appartenenti al ciclo di Corto Mal-
tese chiamato da Pratt delle Etiopiche. Cush è un guerriero dancalo,
popolazione nomade della terra che comprende Gibuti, parti dell’E-
ritrea e dell’Etiopia. Cush è un musulmano ortodosso, cita versetti
del Corano a memoria e sempre a proposito; è snello e instancabile,
sembra uscito da una fotografia etnologica d’inizio ‘900, imbraccia
un fucile da cui non si separa mai, salvo deporlo a terra per preparare
il tè. Si associa a Corto e a El Oxford (un guerrigliero del deserto
che ha studiato in Europa) per liberare un giovane principe arabo
tenuto prigioniero in un fortino turco. Un’azione quasi impossibile.
Cush, che reputa ogni non musulmano un autentico infedele, ha ini-
zialmente un pessimo rapporto con Corto. Dovrà ricredersi, in parte
perché il Maltese si dichiarerà “cainita” (o “kainnita”) un’antica set-
ta gnostica risalente al II secolo d.C. su cui le notizie sono storica-
mente molto scarse. La dichiarazione di Corto Maltese è destinata a
rivendicare una particolare forma religiosa non in contrasto con la
fede del Profeta (e, a quanto è dato capire, nemmeno con l’ebraismo
né con il cristianesimo). Nell’ottantunesima vignetta del racconto
di Pratt Nel nome di Allah misericordioso e compassionevole Cor-
to Maltese investe Cush con queste parole: “Non sono un infedele,
sono un Beni Kain. Nostro padre è Kain, figlio di Adamah e di Ewa.
Noi Kainniti cerchiamo ancora il Paradiso Perduto, per restituirlo
a nostra madre. Ma siamo anche figli della vendetta. Se non farai
52 Corto Maltese e la poetica dello straniero

quel che ti dico, il tuo nome verrà scritto sul Libro dei perversi di
Sidjdjin!”. Oltre però a questa appartenenza religiosa, Corto conqui-
sta la simpatia di Cush per il proprio comportamento, una sorta di
ironico sprezzo della propria vita lo trascina in imprese temerarie.
Così commenta Cush: “Sai Corto Maltese… Sei un miscredente ma
nonostante tutto non mi sei antipatico. E poi nella Sura 110, detta il
soccorso sta scritto: «Che tu veda gli uomini in massa entrare nella
religione!»”
Anche Koinsky dovrà conquistare la “non antipatia” di Cush, che
giungerà provvidenzialmente a salvare il graduato polacco e l’italia-
no tenente Stella51 da morte sicura per mano di una banda di predoni
del deserto. Il linguaggio di Cush è caustico e colto nello stesso tem-
po. Davanti al fuoco acceso per illuminare la notte del deserto, Koin-
sky chiede a Cush: “Chi ti ha insegnato a parlare in questo modo?”
“L’esperienza – risponde il dancalo – … E ho avuto dei bravi com-
pagni di lotta e qualche amico che più o meno dicevano le stesse
cose… In particolare un certo Corto Maltese… Sembra sia sparito
durante la guerra in Spagna…” Il tenente Stella aggiunge che anche
lui ha fatto la guerra di Spagna, ma Cush ribatte sprezzante che in
questo caso il suo campo era quello opposto a Corto Maltese (Stella
veniva dal fascismo italiano alleato del caudillo Franco, Corto era
tra i repubblicani).
Abbiamo quindi non solo la presenza di Cush in ben tre storie
del ciclo delle Etiopiche (1972-1973), ma la sua riapparizione in
un’altra serie (1975) e con l’aggiunta di una citazione di Corto, che
oltretutto ci avvisa della sua scomparsa durante la guerra di Spagna.
Pratt muove i suoi pezzi come uno scacchista voglioso di partite
simultanee: una certa volontà di potenza emerge nelle narrazioni
del narratore veneziano, come fosse ormai del tutto consapevole di
possedere un intero set di personaggi con cui condensare il proprio
mondo, connotandolo con i caratteri dei personaggi non meno che
con vicissitudini realistiche e fantastiche. Muovere i personaggi da
un tempo a un altro (Cush incontra Corto nel 1918 e Koinsky nel

51 Il personaggio insolito del ten. Stella colpì l’immaginazione di un altro superbo


talento fumettistico, Andrea Pazienza, il quale dedicò a una rivisitazione estetico-
psicologica del militare italiano una storia esilarante intitolata Aficionados (Primo
Carnera Editore, 1981).
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 53

1941) e da un contesto a un altro (dalla prima alla seconda guerra


mondiale) comporta però la creazione di un clima paradossale che
aggiunge partecipazione alla lettura. Cush, nei 23 anni trascorsi
“storicamente” dalla sua prima apparizione, non è mutato in alcun
modo: il tempo non è fisicamente passato per lui, e anche questo è
un gioco prattiano che abbiamo già visto in azione con il Monaco
(senza volto e senza età) e con Bocca Dorata (la maga eternamente
giovane, che dichiara in più occasioni di aver conosciuto gli avi
di Corto Maltese). È grazie a queste presenze inusuali e leggen-
darie che Pratt prosegue una deviazione dal tracciato istituzionale
dell’avventura a fumetti, fornendo al lettore gli elementi di una
letteratura disegnata irrobustita, di capitolo in capitolo, grazie a
maggiori e più approfondite fonti, a volte sconfinanti nel magico e
nell’esoterico, a volte desiderose di misurarsi con la profondità di
scrittori noti e meno noti. Mentre attendeva ai primi cicli di raccon-
ti di Corto Maltese successivi alla Ballata e non lesinava energie
per evocare il frenetico scenario degli Scorpioni, Pratt con ogni
evidenza si avvicinava a una concezione sempre più erudita delle
storie a fumetti, resa possibile grazie alla sua abilità di navigare tra
fonti letterarie e saggistiche diverse. La caratterizzazione dei suoi
personaggi ne risente: di fronte agli stupefatti Stella e Koinsky,
Cush seduce con un fischio e con lo sguardo un magnifico falco.
Una volta che il rapace si è posato sul suo avambraccio, Cush gli
recita una (splendida) poesia di Abd Al-Aziz ibn al-Qabturnuh, un
poeta arabo-andaluso del XII secolo. Più avanti Cush racconta che
il nome di quel falco è Al-Andalus, inviatogli molto giovane dalla
Spagna dall’amico Corto Maltese. Sono testi come questi, ricchi
d’infiltrazioni non considerate tradizionalmente adatte al fumetto,
ad arricchire il patrimonio narrativo di Pratt, che costruisce arazzi
dove non è più chiaro se i riferimenti eruditi siano il pretesto per
intensificare le storie avventurose oppure se siano le avventure a
fare da richiamo a un lettore che solo nei riferimenti letterari e
sapienziali troverà una nuova e inattesa soddisfazione, un nuovo e
inatteso appagamento.
Cush rappresenta il portavoce di questo stile di narrazione: non
contraddice lo stile di Corto Maltese o di Koinsky, ne estremizza
piuttosto i caratteri disincantati e contraddittori, trasformandosi in
54 Corto Maltese e la poetica dello straniero

una versione “nativa” dello straniero già incarnato nei numerosi eroi
dell’epopea di Pratt. Un po’ come per Tremal Naik nel Sandokan
di Salgari, Cush riflette l’idea che le abilità dello straniero possano
mostrarsi a qualsiasi latitudine e in qualsiasi clima. Se Corto Maltese
fosse nato in Dancalia, probabilmente si sarebbe chiamato Cush.
Nel frattempo, anche senza la sua presenza “fisica” tra le vignette,
Corto Maltese viene evocato e descritto all’interno di storie che, pur
non riguardandolo, rafforzano il suo carisma di protagonista in altri
tempi e in altri luoghi. Pratt crea un universo narrativo il cui centro
di gravità è sempre più Corto stesso.

Altri cicli di Corto

Le Celtiche è il titolo che Pratt ha scelto per il ciclo di sei racconti


di Corto52 usciti in prima edizione sulla rivista francese «Pif» tra
il 1971 e il 1972. Le Celtiche sono una magnifica raccolta, tenuta
insieme da due elementi: l’ambientazione europea in terre origina-
riamente di cultura celtica (Venezia e il Veneto, l’Irlanda, la Francia,
Stonehenge) e la guerra, mondiale e civile. Ogni racconto è conte-
nuto in circa trenta tavole: nonostante il breve formato, Pratt riesce a
mandare ancora un po’ oltre l’esplorazione narrativa di Corto Malte-
se. Anzi, Pratt è in grado di gestire il racconto breve come un genere
a tutti gli effetti autonomo, lasciando nel lettore la sensazione di una
comunicazione estremamente strutturata, una vera e propria costru-
zione affabulatoria autosufficiente.
Le città sono delineate in poche tavole, il tempo necessario al let-
tore per dare un ambiente al proprio sguardo, senza compiacimenti
fotografici né cartoline. Corto cerca i suoi tesori, ma nel frattempo
nota le smagliature della vita in tempo di guerra, una luce accesa in
un palazzo su un isolotto veneziano nonostante la minaccia di bom-

52 Si tratta di L’ange à la fenêtre d’orient, «Pif», n. 135/1373 (23.9.1971), Sous le


drapeau d’argent, «Pif», n. 143/1381 (18.11.1971), Concert en ò mineur piur
harpe et nitroglycérine, «Pif», n. 151/1389 (6.1.1972), Le songe d’un matin
d’hiver, «Pif», n. 161/1399 (23.3.1972), Côtés de nuit et roses de Picardie, «Pif»,
n. 172/1410 (23.3.1972), Burlesque entre Zuydcoot et Bray-Dunes, «Pif», n.
179/1417 (27.7.1972).
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 55

bardamenti aerei, un manifesto con la foto di un volto conosciuto sui


muri di Dublino, un aereo rosso troppo sicuro di se stesso. Le ragio-
ni della ricerca dell’oro e di un’antica disposizione ai bordi esotici
dell’esistenza lasciano il posto a un alternarsi scenico di violenza e
delicatezza, la cui fusione produce nostalgia e percezione romantica
della realtà. Senza dubbio Corto Maltese vorrebbe entrare limitata-
mente in vicende non sue, ma la propensione alla solitudine avven-
turosa incontra inevitabilmente sensibilità collettive, lotte, imprese,
rivoluzioni.
Talvolta Corto Maltese funziona come spirito congiunturale, “acci-
dente umano” per innescare cambiamenti e offrire pretesti all’azione
altrui. È il caso del racconto Côte de nuit e rose di Piccardia, dedi-
cato a Manfred von Richthofen, il leggendario Barone Rosso. Tutto
il racconto è incentrato su un particolare assurdo: un fuciliere scelto
dell’esercito australiano – alleato di francesi e inglesi – ha una mira
straordinaria, ma soltanto quando è molto ubriaco. Corto, che si mani-
festa in abiti civili nelle trincee francesi, non sembra avere uno scopo
nella storia, se non per il fatto che trasporta alcune bottiglie di ottimo
vino (Côte de nuit) e che vorrebbe incontrare una vecchia conoscenza,
Cain Groovesnore, nel frattempo diventato tenente dell’aviazione in-
glese. Mentre il rosso velivolo di Richthofen incombe sulle trincee, il
fuciliere australiano riesce a ubriacarsi con il vino di Corto. Il Barone
Rosso passa per l’ennesima volta indenne sopra la contraerea nemica,
ma non ha fatto i conti con la mira dell’infallibile bevitore. Il soldato
è così sbronzo che sarà Corto a caricargli il fucile. Si tratta anche
dell’unica “azione” compiuta da questi nelle pagine del racconto. Il
carattere assunto da Corto Maltese in questa tipologia di storia prattia-
na è mercuriale: egli si sottrae al protagonismo e diventa consigliere
di attori principali. Appare come un’entità dotata di “lasciapassare”,
capace di stare dove non dovrebbe in base ad antiche frequentazioni e
al proprio comportamento, che entra subito in sintonia con gli interlo-
cutori, anche quando, come in questa storia, gli scambi sono burberi e
vola qualche pugno di troppo, condizione di regressione antropologi-
ca che Pratt attribuisce all’insensatezza della guerra.
Un altro ruolo mercuriale è svolto da Corto Maltese in una storia
di guerra di poco successiva, Sotto la bandiera dell’oro: in questo
caso il marinaio si manifesta solo nelle ultime sei pagine del raccon-
56 Corto Maltese e la poetica dello straniero

to, quando diviene possibile identificarlo come il deus ex machina di


un’operazione per recuperare il tesoro nascosto in un villaggio del
Veneto. Il suo giudizio sulla guerra è perentorio (“Queste guerre non
riesco a capirle… Una guerra di rivoluzione, sì forse… Ma non que-
ste!”), eppure è molto rigido nel rispetto dei patti: la metà dell’oro
deve andare al partito repubblicano montenegrino, come prospettato
dall’agente di quel paese che lo ha contattato.
In altre situazioni di guerra Corto Maltese abbandona lo spirito di
entità suggeritrice e organizzatrice e si fa parte agente, come nell’e-
pisodio L’angelo alla finestra d’oriente, quando imbraccia la mitra-
gliatrice e abbatte un aereo austriaco (“Non ho nulla con gli austriaci
– dice tra sé senza rinunciare al proprio umorismo caustico – … Ma
quel pilota non lo sa!”).
Corto si troverà anche maggiormente coinvolto nel conflitto tra
patrioti irlandesi ed esercito inglese, dove profitterà del suo ruolo di
straniero – conosciuto solo dai militanti dell’Ira, che ha aiutato a ri-
fornirsi di armi – per condurre spericolate azioni semi-terroristiche.
Nelle poche tavole di Concerto in ò minore per arpa e nitroglicerina
Pratt riesce a tratteggiare con assoluta maestria la complessa situa-
zione della resistenza irlandese, infiltrata da traditori e da doppio-
giochisti istigati dal potere inglese. I capi dell’Ira e del Sinn Fein
saranno persino obbligati, per salvare la faccia e lo spirito della lotta
indipendentista, a calunniare eroici patrioti e a salvare la memoria
di qualche traditore. In questa cornice drammatica Pratt inserisce
una delle vicende sentimentali tipiche del marinaio: anche in questa
occasione l’innamoramento con la pasionaria irlandese Banshee non
ha conseguenze reali. All’offerta di Corto di seguirlo lontano dall’Ir-
landa la ragazza, in lacrime, oppone una fierezza partigiana (“E poi
l’Irlanda ha ancora bisogno di tutti i suoi… Addio, Corto…”).
Alla dimensione accidentale-onirica appartiene il ruolo di Cor-
to Maltese Nel sogno di un mattino di mezzo inverno, dove sventa
un tentativo d’invasione tedesca dell’Inghilterra a partire da una di-
mensione “magica” che Pratt tratterà sempre più spesso, quella del
sogno. Corto è finito non si sa come a Stonehenge, e in quell’anti-
chissimo sito si riuniscono divinità protettive del suolo britannico:
Puck, Oberon, Morgana e Merlino. Corto sta smaltendo una sbronza
nel sonno in quel luogo megalitico sacro, ma sarà risvegliato dal fol-
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 57

letto Puck che avrà preso le sembianze di un corvo. Corto porterà a


termine il sabotaggio dell’azione dello spionaggio tedesco e tuttavia
non saprà mai se l’avventura ha davvero avuto luogo oppure se si è
trattato di un semplice sogno.
In generale, gli avvincenti racconti del ciclo delle Celtiche con-
tribuiscono a definire l’attitudine di Corto a partecipare alle storie
senza doversi ergere a protagonista indiscusso, mostrando un carat-
tere di “attraversatore e messaggero” oppure di tessitore di trame
dietro le quinte, oppure ancora di strumento nelle mani della magia
del destino.
In ogni caso, nelle Celtiche esce rafforzata la relazione tra la
robustezza delle storie e l’insistenza su una narrativa sapienziale:
i riferimenti di Pratt sono sempre più ampi, testimoniati da figure
che sono in sé rappresentative degli interessi del narratore su queste
materie. Personaggi come il dottor Melchisedec, un dotto ebreo del
ghetto di Venezia, i già citati personaggi dell’episodio di Stonehenge
e provenienti dalle commedie shakespeariane, il folle attore e burat-
tinaio Rico-Rico che cita opere sulle origini pagane di Arlecchino:
si tratta di caratteri che esercitano pressione sulla curiosità di Cor-
to, avvicinando lo stesso marinaio a saperi, leggende e atmosfere
magiche, fino a metterlo in condizione di muoversi in questi campi
con dimestichezza sempre più “naturale”. D’altronde, disseminate
in dialoghi apparentemente marginali, assumono uno spessore sem-
pre più consistente le informazioni biografiche su Corto (la madre
maga, l’educazione religiosa impregnata di islamismo ed ebraismo,
le letture poetiche e storico-filosofiche “di nicchia” e a volte decisa-
mente esoteriche, la storia stessa della linea della fortuna incisa dal
marinaio con un rasoio d’argento nel palmo sinistro) che lo rendono
espressione di un mondo in cui realtà storica e fantasia narrativa si
intrecciano in una matassa inestricabile, e che tuttavia Pratt riesce a
padroneggiare pienamente.
Le conoscenze coraniche saranno molto utili a Corto Maltese per
sopravvivere nelle vicende che caratterizzano i racconti del ciclo
successivo (e geograficamente agli antipodi) delle Etiopiche. Per
riportare in Africa lo stesso clima avventuroso e sapienziale già rin-
venuto nelle Celtiche sarebbe sufficiente il personaggio di Shamael
che compare nel racconto E di altri Romei e di altre Giuliette, in-
58 Corto Maltese e la poetica dello straniero

trodotto a Corto Maltese dall’amico dancalo Cush. Rituali, profe-


zie, avvertimenti e minacce sono le prime avvisaglie dello spessore
straordinario di questo personaggio che secondo Cush è un angelo
ribelle (e Corto Maltese si accorge che Shamael non ha ombra). Dal-
la sua voce il marinaio ascolterà segreti che hanno a che fare con
antichissimi testi gnostici, e dalla sua mano vedrà levarsi segni e
ammonizioni che non ammettono disobbedienza. L’Africa misterica
di Shamael confina con quella degli uomini-leopardo del racconto
successivo (Leopardi): maschere rituali, armi bianche e sogni pre-
monitori sono i loro marchi di fabbrica narrativi. Alla fine, come con
il corvo di Stonehenge, Corto non saprà ricostruire con esattezza gli
accadimenti occorsigli.

Venezia è ovunque?

Ci sono diversi motivi per indagare su una delle più famose av-
venture di Corto Maltese, Corte sconta detta arcana, pubblicata tra
il 1974 e il 1977. In primo luogo rappresenta il ritorno di Pratt alla
lunga foliazione, in tutto 99 tavole. Si tratta di qualcosa di meno
titanico delle 163 tavole della Ballata, una misura intermedia tra la
Ballata e i racconti come l’“etiopica” Nel nome di Allah misericor-
dioso e compassionevole o come la “celtica” Concerto in ó minore
per arpa e nitroglicerina.
In secondo luogo Corte sconta rappresenta il ritorno a una prima
edizione italiana, pubblicata dal mensile «Linus» diretto dall’amico
Oreste Del Buono, un’emancipazione definitiva dall’editoria prin-
cipalmente per ragazzi (come il «Corriere dei piccoli» e «Pif») e
un saldo ancoraggio a riviste capaci di problematizzare e studiare il
fumetto.
Poi Corte sconta è una storia per cui vale impiegare l’aggettivo
“epica”: mentre in Europa la guerra è finita, in quella sterminata
terra ai confini tra la Mongolia, la Siberia e la Manciuria si combatte
convulsamente. La Rivoluzione d’ottobre ha rimesso in moto quelle
terre antichissime, attraversate da fratture che si perdono nella notte
dei tempi e determinate dai sogni di contadini sfruttati, di rivoluzio-
nari disposti a tutto e di guerrieri sognanti un’impossibile rivincita
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 59

sulla storia. Corte sconta è perciò anche un romanzo storico-poli-


tico, costruito nel sottobosco di avvenimenti maggiori che a ogni
tavola proiettano la propria ombra sugli agitati spostamenti di Corto.
Infine, in Corte sconta riappare Rasputin, tenuto in sonno per parec-
chio tempo da Pratt.
L’artista veneziano riesce a mantenere il controllo di tutto questo
materiale grazie a un’arte narrativa che diluisce la complessità in
dialoghi mai tracimanti e tuttavia pieni di informazioni, a cui fanno
da specchio i disegni: anch’essi resi più veloci, sottraendo segni alla
certezza delle linee, selezionando le ombre sui volti dei personaggi,
semplificando molti fondali. È una “riduzione di complessità grafi-
ca” che si discosta da quella dei primi periodi di Pratt perché riesce
a trasmettere morbidezza senza rinunciare alla decisione di tratto e
alla rapidità d’esecuzione. Ne emerge un Corto Maltese che assume
a tratti la sagoma di un pupazzo grafico, e così gli altri personaggi
principali, a cominciare da Rasputin, che non ha ormai quasi più
nulla dell’elaborata fisionomia fitta di segni dello spietato assassino
di Una ballata del mare salato. Eppure è sempre il folle e inconfon-
dibile highlander omicida.
Mentre Corto e Rasputin vengono ingaggiati da una società segre-
ta cinese per rubare l’oro degli zar e passano da Hong Kong a Shan-
gai per poi infilarsi nel grande freddo mongolo-siberiano, Pratt si di-
verte a presentare al lettore il Libro dei Mutamenti chiamato I-King
e la raffigurazione di scene di sciamanesimo mongolo e siberiano
che sembrano uscite dagli studi dello storico delle religioni Mircea
Eliade. Si tratta di aggiunte e approfondimenti sul crinale “esoteri-
smo/filosofia della natura” che proseguono la costruzione dell’edifi-
cio sapienziale di Pratt, attraverso i pertugi offerti dalle prestazioni
avventurose di Corto Maltese.
Il marchio narrativo di Pratt si imprime nelle pagine con sequenze
che moltiplicano l’insolito: chi altri oltre a Pratt sarebbe in grado
di far recitare i versi di un poemetto di Coleridge (tra un’azione di
sabotaggio a un cannone gigante e gli sbalorditivi vaticini di uno
sciamano siberiano) a un marinaio maltese e a un invasato baro-
ne austriaco immerso nel sogno di ricostituire l’impero di Gengis
Khan? Chi altri saprebbe farlo senza perdere di credibilità narrativa
e di accountability verso il lettore? “E v’erano foreste antiche come
60 Corto Maltese e la poetica dello straniero

i clivi che abbracciavano il verde agro assolato..” – recita Corto. Per


poi aggiungere: “Ma sicuramente non mi avete invitato per parlarmi
di Coleridge”. “Perché no” – ribatte il barone – “Qualche volta la
poesia e la spada possono fare un pezzo di strada assieme…”
La poesia e la spada: la prima prende strade già note in Pratt, attra-
verso sentimenti contrastanti e innamoramenti “à la Corto”, soprat-
tutto con la sorprendente guerrigliera Shangai Lil, con conseguente e
commovente separazione finale che abbiamo già conosciuto con Pan-
dora Groovesnore e con Banshee l’irlandese; ma c’è anche – come un
depistaggio autoriale – la questione di chi è e dove si trova la misterio-
sa donna che ha fatto soffrire Corto e che tutti citano e chiamano “lei”.
La via della spada si sviluppa invece su giunche ammutinate così
come su treni piombati e aerei spericolati, producendo un’infinità
di “effetti speciali”, in gran parte opera del collaboratore e amico
di Pratt Guido Fuga, architetto specializzatosi in superbi disegni di
treni, autovetture e aerei.
Da tutto questo materiale risalta l’incongruità del titolo: perché
Corte sconta detta arcana? Perché un omaggio a Venezia in una
storia da Venezia così lontana? D’accordo, c’è la tavola d’ingresso
della storia, dove Corto Maltese si trova con Bocca Dorata in una
casa del Ghetto, dichiarando la propria pigrizia e attribuendola a Ve-
nezia. Poi si assopisce su una pagina dell’Utopia di Thomas More
(libro che ritroverà nella sua casa di Shangai e di cui ammetterà di
non riuscire a venire a capo). Forse tutta l’avventura è un sogno so-
gnato a Venezia, città che rimane la patria del sogno, anche quando
dell’avventura non fa parte. Persino in Manciuria (o in un’altra delle
gelide lande attraversate dal marinaio) a Corto vengono in mente i
versi di un poeta vernacolare veneziano. Venezia è ovunque, anche
quando non c’è.

Uomini di Bonelli, uomini di Pratt

Nel 1976 Sergio Bonelli, il più importante editore di fumetti ita-


liano, vara un’iniziativa unica nel suo genere. Si tratta della collana
Un uomo, un’avventura, trenta racconti grafici di 48 pagine, ciascu-
no legato a un personaggio e a un luogo. Un nutrito gruppo di au-
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 61

tori umanamente e culturalmente vicini a Bonelli viene chiamato a


partecipare all’impresa. Tra di loro anche, e soprattutto, Hugo Pratt.
Anzi, Pratt – tra tutti gli autori – è quello che firmerà il maggior nu-
mero di avventure, ben quattro.
Dal punto di vista stilistico, le quattro storie di Pratt per la collana
di Bonelli rappresentano un passo ulteriore verso la sottrazione dei
segni: molti disegni sono bellissimi e i paesaggi sempre evocativi,
eppure al disegnatore veneziano bastano sempre meno tratti e linee
per determinare le forme, che prendono vita in un segno comples-
sivamente morbido e fluttuante, cui il lettore si affeziona come a un
marchio di qualità.
Il primo “uomo prattiano” è L’uomo dei Caraibi, uscito a febbraio
1977. In realtà soggetto e sceneggiatura sono di Decio Canzio, brac-
cio destro di Bonelli e responsabile delle sceneggiature della casa
editrice. L’uomo dei Caraibi si chiama Svend, è un altro marinaio,
ma assai più contemporaneo di Corto Maltese. Porta a spasso i suoi
clienti con un moderno yatch (siamo negli anni ’70), è piuttosto bur-
bero e reattivo, anche se nelle situazioni difficili sa mantenere i nervi
saldi. Svend, nella storia raccontata dai testi di Canzio e dai disegni
di Pratt, ha preso a bordo un cliente facoltoso e di poche parole: si
rivelerà un gangster italo-americano estraneo alle grandi famiglie
mafiose e che tuttavia porta con sé l’ingente bottino di un ultimo
colpo. Ma quel bottino fa gola anche alla sua compagna creola e a un
gruppo di rivoluzionari locali. L’uomo dei Caraibi è una storia sin-
copata e dura: Canzio fa del suo meglio per importare nel soggetto
elementi prattiani tipici (ci sono anche molte citazioni interne, come
la rapina alla banca Wheeling), ma Svend è un personaggio rigido,
un avventuriero non avvolto dall’aura evocativa di Corto Maltese.
Uno che si fa i fatti suoi senza troppi coinvolgimenti morali o senti-
mentali. Se Corto Maltese appare solitario, Svend è solo, individuo
autocentrato e auto-concluso.
Del tutto prattiano è invece il secondo racconto grafico, L’uomo
del Sertao, uscito nel marzo 1978. Qui tornano in scena i Cangaçei-
ros, i guerriglieri brasiliani in lotta contro federali e latifondisti. L’at-
mosfera (siamo nei tardi anni ’30 del Novecento) trasuda esotismo e
candomblé: c’è un capo guerrigliero (Gringo Vargas) tradito dal suo
braccio destro e decapitato dai soldati, e che tuttavia resta appeso
62 Corto Maltese e la poetica dello straniero

alla vita per le arcane magie di Mae Sabina, interrogata dalla dispe-
rata e scatenata Satanhia, la donna di Vargas che è anche sorella del
suo traditore. Il ritmo della narrazione è incalzante e punteggiato di
violenza e sensualità, come mai avevamo visto e letto in Pratt: stu-
pri, decapitazioni, ragni spaventosi, revolverate in bocca, fratricidi
ed esaltazioni mistiche. Il traditore dichiara di aver venduto Gringo
Vargas perché si crede il nuovo Giuda Iscariota e proietta in Vargas
la figura del Nazareno, in una lettura plebea del vangelo apocrifo
di Giuda: l’apostolo maledetto sarebbe in realtà sodale con Gesù, e
disposto a sacrificare la propria reputazione futura a maggior gloria
del martirio cristiano.
Nella versione a colori delle tavole di Pratt i colori dominanti sono
il giallo e l’arancione: sembra di percepire calore torrido e malsano,
in un viraggio splatter di atmosfere che riecheggiano Cent’anni di
solitudine di Garcia Marquez, con grandi e onnipresenti farfalle che
accarezzano morti violente e terribili sortilegi.
Emerge un volto narrativo di Pratt liberato dall’imposizione di un
equilibrio obbligatorio, dove il fascino del racconto doveva venire a
patti con un’auto-moderazione espressiva, a sua volta conseguenza
elementare del fatto che il suo pubblico fosse composto – anche e
soprattutto – da giovanissimi lettori. Ne L’uomo del Sertão i limiti
saltano: Pratt mostra di possedere anche i registri della degenerazione
e dello scatenamento violento, del desiderio e persino dell’esibizio-
ne sessuale. Pratt alza l’asticella del disegnabile (ricordiamo che sta
pubblicando con un grande editore popolare): si ferma solo quando
un esplicito richiamo sessuale di Satanhia potrebbe essere rappresen-
tato di fronte, ed è invece ripreso di spalle. Tutto il resto è racchiuso in
ombre più o meno estese, in un micidiale impasto di sangue e violenza
sessuale, spade decapitatrici e teste esplose. La cifra prattiana va però
al di là di una cruda narrazione alla Peckhinpah: l’appropriazione di
un potente esoterismo popolare crea nuovi ponti con il fantastico.
L’irrequietezza del non-vivo Gringo Vargas porta all’eccesso il
senso di estraneità della figura dello straniero, scaraventandola diret-
tamente nella sfera inconcepibile della terzietà biologica (né vivo né
morto). Questa dimensione è conseguenza di un intervento magico
femminile, e non di doti del personaggio maschile. L’avventuriero
romantico (Corto Maltese) svapora e lascia il posto a una figura so-
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 63

spesa, i cui fili sono tenuti dalla donna del candomblé: il comandante
Vargas è un puro burattino capace anche di uccidere la propria donna
pur di liberarsi del proprio limbo, pur di tornare alla vita. La vera
protagonista de L’uomo del Sertão è piuttosto Satanhia, dalla vitalità
tracimante: Satanhia rappresenta la degenerazione del tipo femmini-
le presente nelle storie di Corto Maltese. Al contrario di Pandora, di
Banshee e di Shangai Lil non si ritrae mai dall’agire sentimentale e
anzi lo esaspera, arrivando a uccidere pur di salvare il proprio uomo.
La sua dannazione arriva per l’assassinio di Mae Sabina: la morte
del tramite tra i mondi segreti e la vita reale spezza il sortilegio, incita
alla malasorte. Le regole dell’evocazione esoterica vanno rispettate,
sembra concludere Pratt. Il sacrificio di Satanhia sarà il tributo per
riallineare i mondi: gridando in faccia a Vargas il suo amore e la sua
incredulità di fronte all’indifferenza omicida di lui, Satanhia sfug-
ge al pugnale del cangaçeiro saltando in un burrone. La sua morte
precipita Vargas nel mondo che gli spetta: forse si incontreranno di
nuovo, ma intanto il cangaceiro si lascia sfuggire l’unica battuta co-
mica della storia. A fianco ha una figura mitica, lo spirito di Capitão
Corisco, che così lo informa: “Tutti abbiamo finito la nostra vicenda
umana e finalmente troveremo la nostra pace. Andiamo, Gringo.” E
Vargas: “Ubbidisco Capitão Corisco… Ma protesto.”

Se L’uomo dei Caraibi è una gangster story marinara a sfondo


politico-terroristico e L’uomo del Sertão è una storia di magia, vio-
lenza e morte, L’uomo della Somalia è un’allucinazione a sfondo
gnostico. Un tempo Corto Maltese rivelò a Cush il dancalo di essere
cainita, una setta eretico-gnostica che elevava Caino al rango di
spirito ribelle dei disegni di un dio che non era il vero Dio. Un glos-
sario minimo in cui compaiono i nomi di Adamah, Lilith (la prima
sposa di Adamo), Ewa, Kayn e Abel è già noto ai lettori attenti di
Pratt. Finora si è trattato però di un accenno, quasi un preziosismo
biografico in bilico tra antichi saperi religiosi e un’altra iniezione
di esoterismo mediterraneo. Ne L’uomo della Somalia la citazione
cainita si diffonde ampiamente, travolge la vita psichica di un uffi-
ciale britannico (Abel Robinson) stremato dalla violenza climatica
del Corno d’Africa e dalle macabre scoperte del passaggio della
morte per guerra anche nel meno antropico degli scenari, il deserto.
64 Corto Maltese e la poetica dello straniero

Nella più estrema delle sintesi, un uomo impazzisce nel deserto.


Ma l’onda di follia che travolge Robinson è qualcosa di superiore a
Robinson stesso: lo travalica, lo sovrasta, lo annienta. I personaggi
misteriosi e ossessivi che entrano nella sua mente toccano corde
che l’ufficiale britannico non conosce, di cui ignora l’esistenza.
All’origine della follia vi è un guerriero a cammello, visibile sul-
la linea sabbiosa dell’orizzonte, irraggiungibile come un miraggio.
Ogni passo verso quel nemico inafferrabile sarà per Abel Robinson
come sprofondare nelle sabbie mobili di un sapere antichissimo e
indecifrabile, in cui la mente occidentale affonda tra mille verti-
gini. D’altronde, lui si chiama Abel, il nome del giovane pastore
ucciso dal fratello Kayn. Non basteranno mille citazioni gnostiche
a convincerlo ad abbandonarsi al flusso della reincarnazione e delle
vendette bibliche, e tuttavia Robinson pagherà il pegno più grande
che un uomo possa pagare, non solo la morte ma l’incomprensione
dei sopravvissuti, ignari dell’arcaica battaglia mentale che si è com-
battuta nella sabbia infuocata e nell’aria torrida del deserto somalo.
Della figura del folle Pratt non è stato avaro di rappresentazioni:
anche escludendo Rasputin – che pure ha più di qualche compulsione
psicotica – ci sono qua e là figure, a loro modo affascinanti, il cui
equilibrio mentale è saltato e che incontrano il tracciato di Corto Mal-
tese. Il marinaio avrà per esempio a che fare con i deliri del disertore
Robin Stuart ne La laguna dei sogni, con l’isterico e geniale buratti-
naio Rico-Rico in Burlesca e no tra Zuydcoote e Bray-Dunes e con il
folle avventuriero dagli occhi di colore diverso, ribattezzato da Corto
Lord Ha-Ha per via della frenetica risata, in E di altri Romei e di altre
Giuliette. Koinsky si troverà invece di fronte l’ufficiale italiano me-
lomane ed esaurito Mario Palchetti in Vanghe dancale. Il folle è uno
straniero che non accetta le diversità dell’altro e non ha gli strumenti
emotivi per replicare l’aura di leggerezza del gentiluomo di fortuna.
Ne L’uomo della Somalia non c’è spazio per le malìe di Corto: Abel
Robinson non è lo straniero adattabile ai contesti esotici in quanto
culturalmente meticcio. È l’occidentale che tenta disperatamente di
opporre il proprio sistema razionale all’esplosione mistica e mitica
degli arcani segreti gnostici. Nel corso della storia, sarà precipitato
in una catena di miraggi, che lo trascende fino ad annientarlo. Come
diceva Deleuze, se siete intrappolati nel sogno di un altro siete fottuti.
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 65

L’ultimo uomo prattiano della collana di Bonelli è L’uomo del


grande Nord (1980). Si tratta di una storia se possibile ancora più
estrema delle altre: l’ingresso sulla scena nord-canadese del protago-
nista, Jesuit Joe, un altro mezzosangue (padre francese, madre nativa
Mohawk), è caratterizzato da ben 69 vignette senza testo. In realtà in
quelle tavole succede di tutto: Jesuit Joe giunge da un panorama in-
nevato a una baracca disabitata, dove trova una lettera chiusa e un’u-
niforme da Giubba Rossa, con cui si abbiglia. Viene attaccato da due
individui armati, che elimina facilmente e che scotenna, per poi allon-
tanarsi in canoa lungo un fiume. Sente i colpi di un tamburo e salva
un neonato bianco dalla mazza di uno stregone indiano, che vuole
sacrificarlo. I colpi della sua pistola e del suo fucile sono per molte
pagine l’unico testo del fumetto. Per vivere il grande Nord è d’obbli-
go l’abitudine al silenzio delle parole. Un vuoto pneumatico sembra
gravare nella mente di Jesuit Joe, che alterna violenze all’apparenza
gratuite (un colpo di pistola su un uccellino appollaiato sul ramo di
un albero del fiume, accompagnato dalla frase: “Troppa felicità in
questo bosco.”) con violenze assimilabili a una forma di giustizia (Joe
inchioda al tavolo con un pugnale la mano del prete che lo ha educato
da piccolo infliggendogli sofferenze). Il volto dell’uomo del Grande
Nord è lungo e affilato, gli occhi a fessura: la sua è una biografia da
“eroe straniero” prattiano (discende da canadesi meticci ribelli alla
corona inglese), la sua identità è plurima, sottolineata da una serie
di mascheramenti (a cominciare dalla giubba rossa, che lo rende agli
occhi di tutti un soldato regolare). Questa miscela esplosiva lo spin-
ge ad agire senza rimpianti ricorrendo a sistemi definitivi, incurante
della scia di sangue che scorre al suo fianco. Cosa vuole Jesuit Joe?
Cosa cerca? Chiudere i conti, ad esempio con il prete e con la sorella
vendutasi a banditi bianchi. Forse, rivendicare un’appartenenza. Ma
l’incalzare degli eventi dimostra che la sua identità è immersa nell’a-
zione. Anche nella brutalità delle vicende in cui interviene e che lui
stesso determina, l’uomo prattiano è animato da un desiderio di an-
dare, da un movimento che appare singolarmente fine a se stesso. Il
silenzio del Grande Nord accoglie le vicende dell’incredibile metic-
cio, derivazione estrema di una tipologia di personaggio che sa vivere
nella solitudine più assoluta. Un uomo che – per sopravvivere – non
sembra avere bisogno di altri uomini, e forse nemmeno della natura.
66 Corto Maltese e la poetica dello straniero

Intrigo massonico lagunare

Pratt non era certo intimidito dai mezzi di comunicazione. Pub-


blicava prevalentemente su riviste specializzate ma non si tirava
indietro di fronte a proposte diverse. Nel ’77 il settimanale «l’Euro-
peo» ospitò tra giugno e Natale una lunga avventura di Corto Malte-
se intitolata Favola di Venezia, dove il tema dell’esoterico si fonde
con le vicende dell’ascesa del fascismo italiano, nella cornice della
città lagunare. Le tendenze esoteriche di Pratt, già affacciatesi in al-
cune storie precedenti di Corto e di altri personaggi, in questa lunga
storia (98 tavole) assumono piena centralità. L’artista aveva aderito
alla Massoneria (Loggia Hermes) nel giugno 197653 e continuò a
frequentare la Loggia veneziana pur nella discontinuità determinata
dai suoi spostamenti e dai suoi lunghi viaggi, tanto che nel 1989 fu
elevato al IV grado del Rito Scozzese (ed Esperto Aggiunto) alla
presenza del Gran Maestro della Gran Loggia d’Italia e dei più alti
dignitari del Grande Oriente di Francia54. La Massoneria che Pratt
rappresenta nella Favola di Venezia è proprio quella della Loggia
Hermes: l’anno è il 1921, quando Corto si ripresenta in laguna alla
ricerca della “Clavicola di Salomone”, uno smeraldo di inestimabi-
le valore, non solo per le sue dimensioni ma anche per via del fatto
che, per la cultura esoterica ebraica, avrebbe consentito di decifrare
i 72 nomi di Jeowa (clavicola sta per “piccola chiave”). Lo smeral-
do è solo uno dei tanti simboli per iniziati di cui pullulano le pagine
della Favola di Venezia, il cui esordio vede Corto Maltese lette-
ralmente precipitare all’interno di un’agitata riunione della Loggia
Hermes. L’approccio all’ermetismo massonico è, come d’abitudine
in Pratt, narrato con uno stile del tutto personale e disincantato:
pur affiliato alla Libera Muratoria, Pratt resta straniero anche tra
“fratelli”. Corto Maltese è l’icona del suo atteggiamento di fondo:
capace di citare formule e parole d’ordine iniziatiche dopo poche
battute davanti al consesso massonico, Corto si sente richiedere:
“Voi parlate come un fratello… Siete per caso un Libero Murato-

53 Cfr. Pruneti Luigi, Una storia che sembra una favola. Note biografiche su Hugo
Pratt, in Pruneti Luigi (a cura di), Il coraggio di sognare. Higo Pratt fra avventura
e mistero, Gruppo Editoriale Bonanno, Catania, 2013, pp. 26-27.
54 Ivi, pp. 28-29.
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 67

re?”. La risposta è degna del personaggio: “No, no, spero di essere


solamente un libero marinaio”.
Nell’ultima parte della storia, di fronte al Venerabile Maestro della
Loggia, Teone, che ammonisce sulla pericolosità delle sue indagini,
Corto Maltese così risponde alla domanda: “Lei non ha mai sentito
parlare della «Sinarchia politica segreta?»”. “Certamente… Ed an-
che degli «Illuminati di Baviera», della «Santa Vema», dell’«Ordine
Teutonico», della «Società delle lucertole», dei «Protocolli di Sion»,
del «Mistero dei misteri», del «Regno sotterraneo di Agharti» e della
parola «Om»”. “Ma allora – replica Teone – lei è un «iniziato»…”.
“No! – risponde Corto Maltese – Sono solamente informato. Io non
credo né ai dogmi né alle bandiere”. La conclusione di Teone è quel-
la che abbiamo trovato in molti esponenti di varie cause e battaglie
dopo un colloquio con il marinaio: “Lei è divertente… In ogni modo
cercheremo di aiutarla, signor Corto Maltese”.
Risultare divertente o simpatico è la prerogativa finale del perso-
naggio: il gradimento che incontra sembra derivare dalla contiguità
della sua filosofia con quanto avviene di misterioso, di sapienziale e
di avventuroso in ognuno dei suoi interlocutori, quasi un tassello di
ardimentosa curiosità universale che si sistema nel gioco particolare
di ognuno. Corto Maltese appare così un fattore “elementale”, costi-
tuito di una materia che non è il scespiriano “sogno” (altra atmosfera
fondamentale ma non sufficiente per spiegare la poetica di Pratt), ma
l’omerico “viaggio”. Corto Maltese, in questa e in molte altre storie,
è lo straniero integrale, e non l’estraneo. L’accoglienza che riceve è
del genere di quella ricevuta da Ulisse tra i Feaci, disposti ad aiu-
tarlo e vogliosi di conoscere le sue storie. Corto narra attraverso le
proprie stesse avventure, e dall’interno delle proprie vicende rilascia
materiali che, nella fase matura della poetica di Pratt, sono segnali
per giungere a un sapere assai complesso, dentro cui cresce nel corso
del tempo soprattutto la componente ermetico-iniziatica, che ha il
vantaggio di spiegare il mondo con chiavi inaspettate e sorprendenti.
Il mondo è fatto di luoghi, e Venezia tra questi è inevitabilmente
uno dei più potenti: attraverso la massoneria, la kaballah ebraica, lo
gnosticismo, l’esoterismo arabo e bizantino e gli indovinelli insi-
diosi di intellettuali burloni e cosmopoliti Venezia viene ri-descritta,
ri-narrata, ri-amata. Per non perdersi nell’infinita prolificità del con-
68 Corto Maltese e la poetica dello straniero

tinuo rimando sapienziale, dove ogni elemento spinge alla sedimen-


tazione di un’eterna semiosi additiva, Pratt concede uno spazio al
contesto storico: per Venezia si aggirano le camicie nere, arroganti
e violente, i cui capi sono pescati persino nell’album di famiglia del
narratore (sappiamo dalla sua biografia che il padre e il nonno ma-
terno furono fascisti della prima ora), irrispettosi persino verso Ga-
briele D’Annunzio, l’allora celebrato poeta-soldato che appare nelle
prime pagine della Favola di Venezia.
Nelle battute finali dell’avventura un solitario Corto Maltese pas-
sa davanti alla basilica di San Marco colorata di giallo-oro. Il busto
di Corto, immancabile sigaretta in bocca, è leggermente piegato in
avanti: ciò è sufficiente per determinare una sensazione di movimen-
to. “E tu, Corto, che farai?” – chiede l’amica autoctona Gambetta
d’argento. “Me ne andrò così… Tanto per andare”. Una risposta di
circostanza. Ma la circostanza è persistente.

Incontrare il proprio sosia porta sfortuna (al sosia)

Concepita in mezzo agli uomini raccontati da Pratt per Bonelli, La


casa dorata di Samarcanda è una fatica che vale 139 tavole, quasi
quanto Una ballata del mare salato. Si potrebbe definire un’altra
avventura in stile “caccia al tesoro”, perché Corto Maltese, appe-
na sganciatosi dalla Clavicola di Salomone, farà tappa a Rodi (nel
1921 appartenente al Regno d’Italia) dove troverà la classica “lettera
+ mappa” che lo sospingerà in luoghi remoti squassati da venti di
guerra. C’è talmente tanto in quest’avventura da giustificare la frase
di Umberto Eco: “Quando ho voglia di rilassarmi leggo un saggio
di Engels, se invece desidero impegnarmi leggo Corto Maltese”55.
L’avventuriero inglese Trelawney, Lord Byron, Enver Bey detto En-
ver Pasha, Moustafà Kemal detto Ataturk, una profetessa di sventure
greca dal nome più che evocativo di Cassandra, i dervisci rotanti,
Giuseppe Stalin, la setta degli hashishiyyun detta degli “assassini”,
il giornalista americano John Reed sono solo alcune delle presenze

55 Cit. in Pruneti Luigi (a cura di), Il coraggio di sognare. Hugo Pratt fra avventura
e mistero, Gruppo Editoriale Bonanno, Catania, 2013, p. 32.
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 69

(alcune fisico-grafiche, altre evocate) di questo lungo romanzo gra-


fico uscito su «Linus» tra il 1980 e il 1981. Come se non bastasse,
«La casa dorata di Samarcanda» vede il ritorno in grande stile di
Rasputin, ma anche quello dell’avventuriera Venexiana Stevenson.
Soprattutto, però, La casa dorata è il romanzo in cui Corto Malte-
se è posto di fronte al proprio sosia. Memore delle premonizioni della
madre maga gitana (incontrare il proprio sosia è promessa di morte),
Corto è infastidito dalla presenza di un individuo che tutti gli de-
scrivono come una sua goccia d’acqua. Tra l’altro, si tratta di Timur
Chevket, un ufficiale dalla fama sinistra al seguito di Enver Pasha,
compartecipe del genocidio degli armeni consumatosi poche stagioni
prima dei fatti narrati. E tuttavia l’incontro tra Corto e Chevket non
avverrà mai. A impedirlo sarà la pistola di Rasputin, il vero artefi-
ce del titolo dell’avventura: la casa dorata di Samarcanda è infatti il
nome della terribile prigione dove il russo è rinchiuso e dalla quale
Corto Maltese intende liberarlo durante la caccia al tesoro (si tratta
nientemeno del tesoro di Ciro il Grande, conquistato e poi nascosto
sotto forma di una gigantesca sfera d’oro da un altro Grande, Ales-
sandro il Macedone). Non ci sarà tuttavia bisogno dell’intervento di
Corto: Rasputin riuscirà a farsi notare e a risultare utile a Chevket,
che della casa dorata è il responsabile unico. Rasputin ci mette un po’
ad ammettere che Chevket non è Corto: se ne convince dai suoi com-
portamenti privi di umanità e dalla mancanza dell’orecchino al lobo
sinistro. Fino a un certo punto la crudeltà di Chevket sembra con-
quistare Rasputin (“Perché il destino è stato così avverso da tenerci
separati tutto questo tempo?” – trilla il russo dopo che l’ufficiale ha
sparato a tradimento nelle cervella di un suo alleato). Ma due esisten-
ze completamente prive di scrupoli sono destinate a competere e non
a completarsi: Rasputin non potrà che stupirsi fino all’ammirazione
per gli sforzi di Corto Maltese indirizzati alla sua liberazione, e in
definitiva alla consacrazione della loro amicizia. E sceglierà di aiu-
tare Corto, ammazzando Chevket. In questo modo potrà riprendere
l’altalena dei caratteri contrapposti, e Rasputin e Corto cercheranno
di mantenersi vivi sotto il fuoco congiunto di eserciti le cui coordina-
te ideologiche abbiamo già incontrato nella grande epopea di Corte
sconta detta arcana: il giovane comunismo sovietico, capace di mo-
bilitare una forte pressione bellica negli immensi territori asiatici, e
70 Corto Maltese e la poetica dello straniero

contrapposti nazionalismi. In questo caso turchi e pan-turchi, questi


ultimi rappresentati dal leader militare Enver Pasha, vagheggiante
una grande federazione asiatica di religione islamica, mentre il plu-
rinominato ma invisibile Moustafa Kemal, rappresentante dell’indi-
rizzo nazionalista laico, finirà per prevalere e per questo conquisterà
l’appellativo di Ataturk, “padre dei turchi” e della moderna Turchia.
Sullo sfondo delle vicende narrate si agitano i tentativi di autono-
mia da parte del popolo kurdo e gli ultimi focolai di resistenza dei
cristiani armeni, già vittime di genocidio e in più occasioni difesi da
Corto Maltese durante pericolosi dialoghi con i loro nemici. Attive
nello scenario sono anche le persistenti presenze delle armate inglesi
e francesi, intenzionate a impadronirsi da Sud degli ultimi lembi di
terra dell’impero ottomano in via di decomposizione.
Gli incontri di Corto vanno anche al di là di quanti abbiamo già
nominato: nello sperduto villaggio di Van incontra un anziano adep-
to degli Yezidi (o adoratori del diavolo) il cui giovane sacerdote, ca-
duto in trance, parla per nome dell’angelo caduto Sheitan, che Corto
ha già incontrato nel Corno d’Africa col nome di Shamael. Le pro-
fezie di Sheitan/Shamael saranno occasione per sfoggiare un’altra
serie di citazioni più o meno nascoste, come quella della visione di
“un albero dagli strani frutti che non potrai mangiare”, che si rivelerà
un albero delle impiccagioni, come in Strange Fruit di Billie Holi-
day. Resta comunque molto difficile tener conto delle tante citazioni
nel più lungo romanzo grafico di Pratt e così pure delle informazioni
storico-culturali di cui il testo è disseminato, mentre i disegni respi-
rano grazie a un tratto dalla stessa atmosfera morbida ed essenziale
degli ultimi lavori, in una determinazione “a levare segni” che carat-
terizza la produzione di Pratt tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80.
Della complicata, tempestosa, accapigliata e a volte tortuosa vi-
cenda della ricerca del tesoro di Alessandro Magno restano nella me-
moria due situazioni a loro modo strepitosamente comiche: la prima
è una telefonata tra Corto Maltese e l’allora Commissario per le Na-
zionalità Josip Vissarionovic Djugatchvili, detto Stalin. Di fronte a
un allibito ufficiale dell’Armata Rossa, che aveva in mente di fucilare
il marinaio, questi riesce a farsi passare al telefono – pur in mezzo a
mille interferenze di linee difettose – il già potentissimo Stalin, infor-
mando il lettore che costui è stato in esilio ad Ancona, dove ha fatto il
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 71

portiere di notte, e il campanaro nella chiesa degli Armeni a Venezia.


Insomma, Corto Maltese è l’uomo con il lasciapassare, l’uomo che
conosce le lingue, un principio vivente di comunicazione nella diver-
sità, protetto da entità benefiche e malefiche. Persino da Stalin.
L’altro episodio comico – dal vago sapore dadaista – riguarda
Corto e Rasputin: alla fine di una battaglia furibonda si ritrovano
a ballare come due adolescenti greci o slavi sullo sfondo di rovine
e distruzioni. Venexiana Stevenson commenta senza sarcasmo con
queste parole: “Sono contenti di essere ancora vivi… Dopo tutto”.

Flashback con Jack London

Nel 1981 il quotidiano francese «Le Matin» propose a Pratt di pub-


blicare, sotto forma di striscia giornaliera, una storia sulla giovinezza
di Corto Maltese. Pratt accettò, e la storia uscì tra il 5 agosto del 1981
e il primo gennaio del 1982. In tutto 33 tavole in bianco e nero.
L’ambientazione è ancora una volta bellica, la cornice temporale
è quella del giorno dell’armistizio tra Russia e Cina nel 1905. La
guerra si concludeva con una pesante sconfitta russa. Corto Maltese
si trova in Manciuria tra i corrispondenti di guerra occidentali, una
comunità variegata e composita al cui interno il giovanissimo mari-
naio cerca sodali per la sua prima impresa di caccia al tesoro (obiet-
tivo non esattamente modesto: le “miniere di re Salomone”), per
organizzare la quale servono risorse di vario genere. In realtà però,
come nell’opera d’esordio dedicata a Corto (Una ballata del mare
salato), a entrare in scena per primo è Rasputin, in questo frangente
impegnato a sparare su un soldato giapponese nonostante fosse sta-
ta proclamata la fine del conflitto e quindi a disertare dall’esercito
russo. Non si tratta di un ingresso fracassone per poi cedere il posto
al fascino del personaggio di Corto Maltese. Rasputin lotta in ogni
vignetta per avere i riflettori puntati su di sé: si allontana dalla trin-
cea lasciando nel fango un proprio ufficiale, sottrae l’uniforme al
cadavere di un ufficiale giapponese e penetra nelle linee nemiche
seminando morte e panico. Si finge morto per poi essere salvato da
un russo che si occupa di smaltimento dei cadaveri, che lo ricovera
in una baracca. Per ricompensa, Rasputin gli getta in faccia una teie-
72 Corto Maltese e la poetica dello straniero

ra bollente, credendolo un delatore. Qualche vignetta prima, zazzera


biondo-rossiccia e sigaretta perennemente all’angolo della bocca,
aveva fatto il suo ingresso il personaggio positivo della storia, lo
scrittore Jack London, da sempre apprezzatissimo dal lettore Pratt.
È intorno allo scrittore americano che si costruirà l’architettura di
questa avventura manciuriana: autorevole nella comunità giorna-
listica e considerato unanimemente coraggioso e schierato coi più
deboli, London incontrerà un problema di difficile soluzione. Dopo
un alterco con un tenente giapponese che ha schiaffeggiato un col-
lega giornalista, lo scrittore viene sfidato a duello. Il suo avversario
è un esperto di arti marziali e un ninja: un nemico imbattibile. Tutti
consigliano a London di sottrarsi al duello, ma lo scrittore è obbli-
gato ad accettare dal suo stesso carattere e dal suo sistema di valori.
Non ha via d’uscita. A fornirgliela sarà il giovane e all’epoca sbar-
bato Rasputin – come succederà tempo “dopo” nella vicenda Corto
Maltese/Chevket – facendo secco il ninja con una pistolettata. Solo
allora entrerà in scena Corto Maltese: dietro richiesta di London,
consapevole che la permanenza di Rasputin in Manciuria lo avrebbe
condotto davanti al plotone di esecuzione, accetterà di portare con sé
il disertore russo in un lungo viaggio, la cui meta è il Corno d’Africa.
La scelta di Pratt di descrivere la giovinezza di Corto Maltese
riservando solo i bordi della storia al marinaio diciottenne appare
piuttosto eccentrica. Va però considerata l’influenza di un fattore
produttivo e organizzativo strettamente editoriale: “Non è una scelta
meditata – scrive Luca Boschi – ma piuttosto una risposta al com-
portamento tenuto dal giornale francese. «Le Matin» pubblica la
storia con la dose cadenzata della strip quotidiana in bianco e nero,
riservando la trionfante comparsa di Corto per una tavola domeni-
cale a colori di prossima uscita che l’editore ha garantito, ma che
rimanda costantemente”.56
Ecco dunque che le questioni editoriali, all’apparenza distanti
da un autore già universalmente noto e ammirato, rifanno capolino
nella vita di Pratt e del suo personaggio, condizionando la costru-
zione delle trame e degli intrecci narrativi. La Giovinezza è quin-

56 Boschi Luca, Biografia di una storia, in Pratt Hugo, Corto Maltese. La giovinezza
e altri racconti, Gruppo Editoriale l’Espresso, Roma, 2006, p. 96.
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 73

di un racconto “deviato”, dove Rasputin e Jack London prendono


per forza di cose il sopravvento. Se il personaggio dello scrittore
americano è rappresentato come un antesignano dello stesso Corto
Maltese – battute taglienti, coraggio e spirito indipendente e liber-
tario – il giovane Rasputin è indagato in modo da comunicare al
lettore che si tratta di un carattere estremo costruito dentro avveni-
menti a loro volta estremi. Quando dal reparto siberiano dell’eser-
cito russo parte il colpo che potrebbe riaprire una battaglia giunta
all’epilogo, l’ufficiale di Rasputin gli urla: “Sei stato tu? Non hai
sentito il «fischio»?” “Io me ne infischio del «fischio» – è la ri-
sposta – Non ho chiesto di fare questa guerra, io”. Più avanti, un
prigioniero russo lo avverte che la guerra è finita e gli chiede cosa
stia cercando. Rasputin risponde: “Cerco di sopravvivere. È come
se tutti volessero punirmi… Per qualche cosa che non ho fatto. Ed
io ho deciso di non lasciarmi castigare”. Quando Rasputin afferma
che non ha chiesto lui di fare la guerra Pratt dà voce alle migliaia e
migliaia di giovani contadini e proletari russi arruolati a forza nella
carneficina del conflitto russo-giapponese, individui senza alcun
potere di contrattazione con gli stati maggiori. Quando Rasputin
ribadisce il proprio istinto di sopravvivenza, Pratt gli fornisce un
alibi per i suoi comportamenti sociopatici, accomunandolo a tanti
altri disperati costretti a fare da carne da cannone. Jack London
– simile in questo a Corto Maltese – resterà colpito dalla ferocia
e dalla disperata follia di Rasputin e, quasi ricercando il segreto
di tante escandescenze, finirà per proteggerlo, meritandosi l’inter-
vento del russo – non richiesto – che gli risolverà la questione del
duello d’onore e morte.
E Corto? Pratt riesce a salvarne l’aura di mistero e ad assecon-
darne il principio di fama universale soprattutto attraverso le parole
degli altri personaggi. Alcuni giornalisti ammettono di fronte a Lon-
don di aver preso sul serio la proposta di Corto sulla caccia al tesoro
di re Salomone: “Abbiamo accettato. Gli crediamo sulla parola. Tu
conosci quel ragazzo… Non è facile dirgli di no!” “Ah – risponde
London – su questo non ci sono dubbi.” “Malgrado sia così giovane
– aggiunge un giornalista – Corto Maltese ha le idee chiare”. “Ha
ereditato da sua madre – chiosa London – La «Niña di Gibilterra»,
una splendida gitana andalusa. È stata la modella preferita di Ingres.
74 Corto Maltese e la poetica dello straniero

Da suo padre non so cosa abbia preso. Forse l’amore per le leggende
celtiche. Era un marinaio della Cornovaglia.”
Mentre ancora infuria la battaglia, Corto Maltese si muove invi-
sibile nella storia tessendo legami con varie organizzazioni cinesi e
manciuriane: compare in poco più di una ventina di vignette tra le
centinaia del racconto, ma – nonostante i dissidi tra Pratt e la dire-
zione de «Le Matin» – il suo fascino resta intatto anche nel ruolo di
attor giovane e secondario.

A volte Hugo e Corto ritornano

Argentina, 1923. Corto ritorna. È stato lontano dalla patria di


Gardél per molti anni, più o meno quindici. Nella storia che Pratt
crea per il marinaio molti personaggi menzionano il lungo tempo
trascorso senza Corto Maltese, a significare che la sua prima per-
manenza, nel 1904, era stata notata e aveva lasciato il segno. In-
sieme a Rasputin, Corto si era legato a Butch Cassidy, Etta Place e
Sundance Kid, nella scomposta sarabanda dei bandoleros che bat-
tevano la pampa, banditi espatriati e mezzi-apolidi perennemente
in fuga. E poi si era immerso in Buenos Aires, nelle sue vie segrete,
nella sua popolazione mischiata. E nel tango, naturalmente, che
Corto balla con disinvoltura e che Pratt aveva appreso, pur dopo
un’iniziale riluttanza. È triste, l’Argentina del ritorno. Forse anche
quella del ritorno di Pratt lo fu. Era una terra, quella che l’artista
rivide nel 1979, piegata dal fascismo dei generali, diversa dalla
grande nazione piena di prospettive che aveva conosciuto da gio-
vanissimo negli anni ’50 e ’60. Pratt non avrebbe potuto nemmeno
recarsi sulla tomba di Hector Oesterheld, ucciso dai fascisti e desa-
parecido. Brutto clima, emozioni plumbee. Uscì un romanzo grafi-
co, dalle sensazioni di questo viaggio, disegnato a tinte malinconi-
che, pubblicato a puntate sul nuovo mensile della Rizzoli-Milano
Libri la cui testata porta il nome del marinaio57. Pratt lo intitolò
Tango, aggiungendo un verso di una celebre canzone, Y todo a

57 Il mensile «Corto Maltese» cominciò le pubblicazioni nel 1983. Tango uscì tra il
giugno 1985 e il maggio 1986.
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 75

media luz (e tutto a mezza luce). Il tratto a pennarello che dà forma


a Corto Maltese si fa meno sottile, sottraendo segni e ammorbi-
dendosi ancora, arrivando quasi a un effetto cartoon del genere
di Yellow Submarine58. Il contrasto con la tecnica imperturbabil-
mente realistica di Guido Fuga, ormai collaboratore fisso di Pratt
nel settore dei mezzi di trasporto e di taluni paesaggi urbani, crea
un curioso effetto di spaesamento, come se la materia estetica di
Tango cambiasse di forma ma non di sostanza: in qualche modo, è
come se i precisissimi disegni di Fuga indicassero che, volendo, la
tavola potrebbe assumere anche una caratterizzazione fotografica.
Nel frattempo Corto Maltese cammina e si sposta in auto, inda-
gando. Su cosa? Sull’amica Louise Brooks, intravista fugacemente
nella Favola di Venezia, amabile soccorritrice del marinaio preci-
pitato in un’altana (sorta di terrazza lignea tipica delle case alte la-
gunari) nel tentativo di sfuggire agli inseguitori sui tetti veneziani.
La figura di Louise è ispirata a quella dell’omonima attrice e dan-
zatrice, polacca ed ebrea, protagonista di pellicole di culto come
Il vaso di Pandora e Diario di una donna perduta, entrambe del
regista tedesco Georg Pabst ed entrambe del 1929. I corti capelli
neri a caschetto e la frangia sulla fronte si fissarono nell’immagina-
rio maschile come un elemento di modernità e di seduzione, tanto
che Guido Crepax, quando creò il celeberrimo personaggio di Va-
lentina, si ispirò direttamente alla pettinatura e allo stile dell’attri-
ce59. Nel racconto di Pratt la Brooks si è trasferita in Argentina con
il cognome polacco originario (Brookszowyc); ha rinunciato alle
velleità artistiche e finisce in un giro di prostituzione che, all’e-
poca, coinvolgeva centinaia di giovani donne di origine ebraica,
gestito da una rete di malaffare dall’indicativa sigla di Warsavia.

58 Il celeberrimo film, dove compaiono i Beatles sotto forma di cartoni animati, fu


diretto da George Dunning e uscì nelle sale nel 1968.
59 Riferisce Luca Boschi: “(…) Pratt andrà a trovare (Louise Brooks, nda) di persona
nel 1983, transitando da Rochester, nello stato di New York, mentre gira un
documentario televisivo. Nella biblioteca della diva, all’epoca settantasettenne,
Pratt scorge una copia di «Favola di Venezia» e solo allora le rivela che ne è lui
l’autore. A spedirgliela era stato il collega Guido Crepax, ispiratosi alla Brooks
per creare, nel 1965, il suo personaggio di Valentina.” Cfr. Boschi Luca, Venezia
esoterica, in Pratt Hugo, Favola di Venezia, Gruppo Editoriale l’Espresso, Roma,
2006, p. 6-7.
76 Corto Maltese e la poetica dello straniero

“L’associazione – spiega a Corto l’amico Fosforito mentre passeg-


giano per le vie di San Isidro, un sobborgo bairiano – è composta di
300 soci circa che controllano 2000 bordelli dove lavorano 30.000
donne, parecchie delle quali sono povere ragazze ebree ingannate
con falsi matrimoni e fatte venire qui a Buenos Aires e a Rosario.”
La vicenda di Tango ha il ritmo e le atmosfere di un romanzo di
Chandler, la vicenda è gialla e noir: un’amica ha chiesto aiuto per
lettera e Corto si è sentito ingaggiato. Non credeva di dover investi-
gare sulla morte di Lousie e del suo compagno, un giornalista che
l’aveva aiutata a ribellarsi alla Warsavia. Soprattutto, non pensava
di dover recuperare e salvare la bambina che Lousie aveva avuto
tre anni prima, di cui il marinaio ignorava l’esistenza. Le indagini
di Corto sono ostacolate da capi e sotto-capi di una polizia, al soldo
dei grandi latifondisti. Poliziotti corrotti e reti criminali collabora-
no per consentire al capitalismo delle grandi famiglie (anch’esse
mischiate, attraverso matrimoni alto-borghesi tra angloamericani,
spagnoli e italiani) di stroncare rivolte operaie e contadine, specie
in Patagonia. Un tempo, ricorda Corto a un ritrovato Butch Cassi-
dy, i proprietari terrieri assoldavano i fuorilegge americani per quel
tipo di operazioni. Poi quegli stessi fuorilegge sono diventati a loro
volta latifondisti, sufficientemente autorevoli da far intervenire l’e-
sercito per stoppare non solo le rivendicazioni proletarie, ma anche
un’eventuale ricerca di verità sotterrate dal tempo e dal denaro.
Accerchiato da tutti i lati, con solo alcuni amici ad aiutarlo (tra cui
la vecchia conoscenza Esmeralda, la combattiva mulatta già incon-
trata ne La Conga delle banane), Corto si aggira per strade, vicoli
e case dimostrando di avere la pelle dura, concedendosi solo pochi
attimi di distrazione in una serata di tango (per l’occasione Corto si
presenta elegantissimo e sfoggiando una chioma pettinata all’indie-
tro) e qualche emozione – come di consueto in un tempo che appar-
tiene più al sogno che alla realtà – scoprendo che nel cielo argentino
di quei giorni brillano non una ma due lune crescenti. Tango è anche
la prima storia in cui l’abbigliamento tradizionale del marinaio stri-
de con gli abiti maschili urbani, come se la sua presenza cominciasse
a rivelare un tratto di incongruità con la vita “reale” della sua tu-
multuosa epoca, avviata, anche nella metropoli sudamericana, verso
un’arrembante modernità.
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 77

La Svizzera che non ti aspetti60

Dopo la parentesi noir e malinconica del viaggio a Buenos Aires,


Corto è di nuovo in Europa. Sembra seguire il suo autore, che, a par-
tire dal 1984, si è stabilito in Svizzera, in una villa sul lago Lemano.
Nell’ennesima elegante automobile disegnata da Guido Fuga, Corto
Maltese è al volante e al suo fianco c’è il vecchio compagno Jeremiah
Steiner, professore dell’università di Praga. La meta è Montagnola
in Tessin, rifugio di un grande amico di Steiner, lo scrittore Herman
Hesse, che lì ha effettivamente scritto le sue opere più famose. Men-
tre l’auto corre tra boschi e colline, il vecchio professore descrive la
Svizzera come un luogo ove si danno appuntamento “alchimia, magia,
astrologia, leggenda… Nonché le tradizioni religiose e quelle esote-
riche”. Steiner avvisa Corto che Hesse lo ha invitato per una ricerca
sull’alchimista Paracelso e il marinaio ribatte di averlo letto, seppure
superficialmente. Poi però aggiunge di aver “visitato la sua Philoso-
phia sagax e il suo trattato di alchimia Archidokes”, anche se lo inte-
ressano di più il maestro di Paracelso, l’abate benedettino Trithemius
di Praga e il suo allievo Cornelius Agrippa, autori del trattato sulla ma-
gia Veterum Sophorum Sigilla. Tale sfoggio di erudizione alchemico-
ermetica merita la curiosità di Steiner, per soddisfare la quale Corto
fa il nome del rabbino Ezra Toledano, che lo iniziò da giovanissimo
allo studio della Kabbalah. Il marinaio, che in storie precedenti aveva
dimostrato buona memoria con le poesie di Coleridge e con altre cita-
zioni letterarie ed esoteriche, qui diventa soggetto alle pratiche di uno
specialismo erudito che ha come sfondo il misticismo medievale. Gra-
zie ai pertugi del dormiveglia e del sogno, Corto Maltese entra letteral-
mente all’interno delle pagine del Parzival di Von Eschenbach, dove
incontrerà uno spaventa-corvi di paglia, quattro scheletri danzanti e un
finto orco, sfuggirà alla morte che imbraccia la falce e si troverà alleato
di un cavaliere medievale dal contraddittorio carattere, sintesi di tutti
i guerrieri dei cicli nord-europei ruotanti intorno alla ricerca del Santo
Graal, per cogliere infine la rosa alchemica, ineffabile quintessenza di
tutto il mondo medievale costruito sulla coscienza iniziatica.

60 Il titolo della storia di Corto Maltese ambientata in Svizzera è Le elvetiche – rosa


alchemica. Uscì a puntate sulla rivista «Corto Maltese», tra marzo e agosto 1987.
78 Corto Maltese e la poetica dello straniero

Infine, un attimo prima di cogliere la rosa, berrà dal calice dell’e-


terna giovinezza. Subirà anche un processo dal gran tribunale infer-
nale presieduto da un diavolo in forma di caprone antropomorfo. A
giudicarlo, Kain “il biblico fratricida che uccise per amore”, Judah
di Iscarioth “che tradì per amore”, Balal di Sennaar “che volle ar-
rivare al cielo”, il bardo Mago Merlino figlio di un demonio “che
per amore di una minore abbandonò il suo re”, Ewa “che per vanità
tradì il marito con un serpente”, la pulzella d’Orleans Jeanne D’Arc
“la telegrafista di Dio”, Bertrand De Got, detto papa Clemente V
“che fu uno scandalo per la Chiesa e che causò la fine dell’Ordine
dei Templari”, Gilles De Rais, Marechal de France, “sodomita com-
pagno d’armi della pulzella e alchimista”, Dick Turpin, “the famous
highwayman stupratore e assassino”, e infine – giunto direttamente
dal mondo di Corto Maltese – Rasputin. Dopo ampio dibattimen-
to, Rasputin legge il verdetto: “Questo tribunale infernale dichiara:
l’imputato sir Corto, viene assolto da ogni accusa… E lasciato in
piena libertà di ritornare in quel suo mondo che farebbe bene a di-
menticare.”
È un ben strano verdetto: si lascia l’imputato ritornare in un mon-
do che però “farebbe bene a dimenticare”. Forse perché ormai, da
quando venne ritrovato legato a due legni nel Pacifico da Rasputin
fino a questa favola elvetica, il tragitto del marinaio nelle mani di
Pratt è stato ampio e metamorfico: da quasi-pirata a gentiluomo di
fortuna, da osservatore partecipante di guerre e guerriglie a cono-
scitore di iniziazioni ed ermetismi, ora Corto Maltese è un medium,
un agente di congiunzione di tutte le curiosità del suo autore, tra-
mite di mondi paralleli a quello reale. Corto Maltese è un medium
favoloso, non più ancorato all’espressività realistica della sua pri-
ma costruzione narrativa; è una sorta di spirito indipendente, per
sempre svincolato dal rispetto dei ritmi della vita nella sua attualità
esistenziale, libero dalla modernità. Apre e chiude i passaggi tra i
mondi, non è soggetto al timore di sparire inghiottito dal reperto-
rio esoterico che gli si para davanti. L’ironia trionfa, come in ogni
universo governato dal gioco. Le iniziazioni di Pratt, le stesse indi-
cazioni esoteriche trasmesse al lettore, grondano ironia e divertis-
sment. Rientrato dalla sua favola su Parzival e ristorato dal sonno
che gli regala Sandman, l’uomo dei sogni, Corto Maltese incontra
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 79

finalmente Herman Hesse. Lascia quest’ultimo e l’amico Steiner a


un loro convegno di “alchimisti di Sion” e accetta un passaggio in
automobile dall’eccentrica pittrice Tamara de Lempicka nella pro-
saica Zurigo. Non è più un personaggio. È un’icona.

Gruppo di famiglia in un continente perduto

Che ci fanno Corto Maltese, Rasputin, Bocca Dorata, il prof.


Steiner, Tristan Bantam (cresciuto e diventato un archeologo),
l’antiquario Levi Colombia, Soledad Lokaarth con il fidato e gi-
gantesco indio Jesus Maria, in un’elegante nave da diporto anco-
rata al largo di un’isola misteriosa dell’Oceano Pacifico? Bocca
Dorata e Levi Colombia hanno finanziato il viaggio, Steiner e Ban-
tam – in quanto studiosi – sono consulenti scientifici dell’impre-
sa, Corto e Rasputin garantiscono l’azione. Soledad Lokaarth, che
Corto aveva conosciuto in Vudù per il presidente, non ha un ruolo
chiaro, però è bionda e questa caratteristica si rivelerà importante
per la storia. Un vero e proprio riassunto della vicenda è improbo:
puntando alla massima sintesi si potrebbe dire che il gruppo di av-
venturieri, a partire dal rinvenimento subacqueo di pitture Maya,
è convinto di trovarsi al cospetto di qualcosa di misterioso e for-
se di ricchissimo, testimonianze e tesori di una civiltà scomparsa
(Mū?). Nel frattempo scompare Soledad: per via della sua lunga
chioma bionda, i nativi dell’isola di fronte alla quale è ancorata la
nave la credono Kukulcan, la divinità maya dalla testa di sole, e la
rapiscono. Corto, Rasputin, Bantam e Jesus Maria si mettono sulle
sue tracce: a essi si aggiunge un’eroina intraprendente e simpatica,
Tracy Eberhard, aviatrice, precipitata sull’isola con un idrovolante
in avaria. Da questo momento la storia cambia e subisce un’acce-
lerazione: l’isola sembra adattarsi alle suggestioni ipotizzate dal-
lo strano gruppo di avventurieri. Contiene un tempio vigilato da
guardiani, uomini-scorpione e amazzoni, oltre a presenze sovrap-
poste come monaci irlandesi provenienti dal VI secolo dopo Cri-
sto e tracce di cavalieri Templari, tutti elementi che concorrono a
riconcepire – come in un’antica pergamena sovrascritta – la storia
dei viaggi transoceanici. Erba e funghi allucinogeni rendono pos-
80 Corto Maltese e la poetica dello straniero

sibili visioni e dislocazioni spazio-temporali. Non mancano statue


megalitiche dell’isola di Pasqua e ombre dissociate dal soggetto, e
un immancabile labirinto. Costituiscono prove iniziatiche supera-
te dentro il miraggio di una storia dell’umanità spiegata in modo
alternativo, passando da chiavi gnostico-sapienziali a narrazioni
fanta-archeologiche. Alla fine i componenti del gruppo soprav-
viveranno, ciascuno in modo diverso, mentre l’isola esploderà in
un’eruzione vulcanica, sprofondando nelle acque oceaniche che si
richiuderanno sui suoi stessi enigmi.
Mū, uscita tra dicembre 1988 e settembre 1991 sulla rivista «Cor-
to Maltese»61, è l’ultima storia del marinaio concepita da Pratt: tra
lunghi romanzi e racconti brevi, Corto ha vissuto 29 avventure,
comprese nel lasso di tempo 1904-1925. Un’epoca eroica e terribile
del ciclo della modernità occidentale, dentro la quale il personag-
gio di Corto cambia parzialmente fisionomia e sembra ringiovanire
(ormai c’è anche una spiegazione “logica”, visto che il marinaio
ha bevuto l’acqua del Santo Graal nelle Elvetiche). In quest’ultima
storia Corto Maltese indossa l’antico e semplice vestiario alla Luca
Zane, maglietta nera e fazzoletto annodato al collo. Citazione di un
modo elementare di vivere l’avventura, corrisponde alla residua
resistenza opposta dal personaggio di Corto ad abbandonarsi alle
favole perché “(…) fino a quando ci saranno delle risposte date
con raziocinio non posso fare a meno di accettarle”62. In verità il
sottotesto prattiano persistente è che ad alcune domande fonda-
mentali non vi sia “risposta data con raziocinio”, e quindi occor-
ra “rivisitare l’intuizione”, espressione anch’essa di non univoca
ermeneutica. In evasione coordinata e continuativa dai connotati
abituali della realtà, Corto perde nella storia un altro pezzetto di
definizione segnica: si presenta per lo più come un essere imma-
ginato dal lettore, mentre il tratto del suo autore riesce, una volta
di più, a rendere un abbozzo di gesti e di lineamenti il simbolo di
un tipo di avventura che ormai si confonde con le interrogazioni

61 La storia è composta di 168 tavole, quindi rientra nel gruppo dei romanzi grafici
“lunghi” di Pratt.
62 Si tratta della risposta di Corto Maltese a una domanda di Levi Colombia
sull’Atlantide, cfr. Pratt Hugo (1988-1991), Mū, la città perduta, Gruppo
Editoriale l’Espresso, 2006, p. 32.
L’atelier carismatico di Hugo Pratt. Esplorazione sociologica 81

iniziatiche di Pratt, frutto non solo di autodidattica erudizione e di


assimilazione di materiali ermetico-esoterici, ma di un intero viag-
gio esistenziale alla ricerca del senso delle cose.
Mū non fu l’ultimo fumetto disegnato da Pratt. Fece in tempo a
consegnare al mensile francese «A suivre» L’ultimo volo di Saint-
Exupéry, suggestivo e commovente tentativo di immaginare le al-
lucinazioni visive e sonore vissute dall’autore del Piccolo principe
prima di sparire nel nulla (aereo e pilota non furono mai ritrovati).
Infine una storia, uscita postuma, dedicata a un combattente della
Royal Navy, il tenente Morgan, spinto dagli eventi a improvvisarsi
risolutore di complicatissimi problemi di contro-spionaggio negli
ultimi mesi della Seconda guerra mondiale nello scenario adriati-
co. Morgan è un eroe che appartiene alla schiatta dei coraggiosi
soldati poco amanti della guerra, e che si aggirano solitari nelle
complicanze del passaggio tra conflitto mondiale e preludi del-
la guerra fredda: a differenza di Corto (e anche di Koinsky degli
Scorpioni del deserto) il suo fascino non passa per sguardi fascino-
si e frasi memorabili, ma per un volto quasi comico (ha denti spor-
genti e orecchie incredibilmente a sventola) e per dialoghi limati
all’essenziale.
Nelle ultime stagioni della sua febbrile attività, Pratt si ricongiun-
ge con gli scenari di guerra. Il suo tratto, semplificato nei segni e
ingentilito da frequenti acquarelli, consente al narratore di mandare
avanti il suo progetto di umanizzazione: la sua giovinezza esuberan-
te, esplosa durante la guerra, alla guerra ritorna, senza più bisogno
di fascino guerriero per raccontarne le perversioni e le necessità.
Possono esistere anche eroi “brutti”, che nell’azione bellica si trasfi-
gurano, facendosi apprezzare per la rapidità di ragionamento e per
l’esattezza e la temerarietà delle mosse. Ogni eroe delle guerre di
Pratt, più o meno bello e fascinoso, è comunque in grado di far pas-
sare in primo piano l’urgenza e l’improrogabilità del ritorno, cioè la
fine della guerra. “Si torna a casa!”, recita il baloon della penultima
vignetta di Morgan. La sua nave è ritratta sulla linea dell’orizzonte
in un cielo e in un mare grigio-chiari. Scritta con un pennino di poco
più scuro, la parola “Fine” è poggiata sul colore del cielo, malinco-
nica e definitiva.
CAPITOLO II
POETICHE DELLO STRANIERO:
EL MUERTO, SGT. KIRK, LUCA ZANE,
SIMON GIRTY, CORTO MALTESE

Il resoconto commentato della produzione artistica di Pratt più


conosciuta mette in evidenza l’incredibile mole di opere dell’artista
veneziano. Una stima grossolana potrebbe fissare la sommatoria dei
suoi lavori in circa 9 mila tavole disegnate in 47 anni, tra il 1948 e
il 1995. Si tratta di una media di poco meno di 200 pagine l’anno,
quasi tutte di eccellente fattura e molte ritenute capolavori assoluti
della letteratura disegnata. Il risultato è tanto più spettacolare con-
siderando che Pratt ha scritto anche alcuni ponderosi romanzi1 e si
è dedicato alla sceneggiatura. In questo ruolo ha scritto storie per
Milo Manara2, il quale gli ha reso l’omaggio di rappresentarlo come
“maestro d’avventura” – con le sue fattezze fisiche e chiamandolo
con le inziali del suo nome, H.P.3 – nel vivace ciclo del personaggio
Giuseppe Bergman (il quale è a sua volta il sosia di Manara).
La produzione prattiana ha conosciuto una dimensione artigiana-
le («Asso di picche»), una industriale-seriale (il lungo periodo ar-
gentino) e una autoriale (da Anna nella jungla a Morgan). Quest’ul-
tima dimensione coincide con l’invenzione stabilizzata di un modo
di raccontare che diviene unico e facilmente riconoscibile, il cui
marchio definitivo è la creazione del personaggio di Corto Mal-
tese, a partire dal 1967. L’autorialità, in Pratt, non coincide con il
raggiungimento di uno status “artistico”: questo livello gli era con-

1 Mi riferisco a Il romanzo di Criss Kenton, Editori del Grifo, Montepulciano (Si),


1990; a Una ballata del mare salato, Einaudi, Torino, 1995 e a Corte sconta detta
arcana, Einaudi, Torino, 1996.
2 Pratt Hugo (testi) – Manara Milo (disegni), Tutto ricominciò con un’estate
indiana, in «Corto Maltese» (nn.1-20, 1983-1985), poi ripubblicato con lo stesso
titolo da Rizzoli-Milano Libri, 1986; Pratt Hugo (testi) – Manara Milo (disegni),
El gaucho, in «Il grifo» (1991-1995), poi ripubblicato con lo stesso titolo da
Mondadori, Milano, 1995.
3 Manara Milo, H.P. e Giuseppe Bergman, in «A suivre», 1978.
84 Corto Maltese e la poetica dello straniero

naturato da molto tempo, forse già dall’interno del “gruppo di Vene-


zia” (dove gli erano riconosciute abilità e velocità di esecuzione che
nessun altro del gruppo possedeva), certamente da quando – mentre
si trovava sotto contratto con l’Editorial Abril di Cesare Civita –
gli fu dedicata un’intera monografia4. Era il 1955, il disegnatore
aveva allora solo 28 anni. In Argentina e in tutte le piazze editoriali
dove le historietas della Abril erano pubblicate (compreso il Brasi-
le, dove poi Pratt insegnò presso la Escula Panamericana de Comics
nei primi anni ’50), Pratt era un personaggio popolarissimo e cele-
brato. Il salto autoriale – che potremmo anche chiamare “passaggio
letterario” – avviene proprio nell’ultimo periodo argentino, dopo
più di un anno trascorso a Londra a disegnare storie di guerra per
la Fleetway, sulla base di testi considerati da Pratt sciatti e prolissi,
tali da mettere in difficoltà l’equilibrio grafico delle vignette. Forse
fu proprio quell’ultimo periodo esclusivamente esecutivo a convin-
cerlo a mettersi definitivamente in proprio, cercando nella propria
cultura letteraria e nelle proprie esperienze esistenziali i materiali
per le nuove storie.
La produzione autonoma di testi e disegni di Pratt fu presto indi-
rizzata alla costruzione del suo personaggio più noto, che divenne
il protagonista di avventure tra le più lette e amate al mondo. Tut-
tavia il narratore veneziano non arriva a Corto dopo una traversata
nel deserto dell’artigianalità e della produzione industriale: innan-
zitutto nessuna di queste due dimensioni è spoglia di spunti creativi
e artistici, in secondo luogo in entrambe si è trovato a collaborare
con sceneggiatori di valore assoluto, che l’hanno aiutato a chiarire
il proprio percorso e a perfezionare le tecniche narrative. Sin dall’e-
poca de «L’Asso di picche» Hugo Pratt discute da pari a pari con
gli sceneggiatori, giungendo alla definizione grafica dei personaggi
non meno che alla loro caratterizzazione psicologica, guadagnando-
si nel tempo competenza anche nei dialoghi e nelle battute. Ongaro
e Osterheld sono gli scrittori con cui Pratt lavora di più, ed entrambi
posseggono le basi letterarie e l’appetito mediatico onnivoro (so-
prattutto cinematografico e musicale) che servono per condividere
con il disegnatore un forte sodalizio creativo.

4 Lipszyc Enrique, Hugo Pratt, Enrique Lipszyc Editor, Buenos Aires, 1955.
Poetiche dello straniero 85

Ciò che intendo dire è che Pratt ha sviluppato, anche nella fase ar-
tigianale e industriale, una poetica individuabile, cresciuta nel con-
fronto e nella discussione con grandi professionisti della scrittura,
fino al raggiungimento di una completa autonomia narrativa: per un
creatore di storie a fumetti, l’autonomia significa un proprio stile di
disegno e un proprio stile di scrittura.
Pratt non è mai stato un artista frustrato, uno che avrebbe voluto
essere – ad esempio – pittore e che ha accettato i comics come ripiego.
Pratt ha più volte rivendicato la sua natura di “fumettaro”, un’arte an-
fibia ma autonoma, una zona narrativa dove la simbiosi di testo e dise-
gno si presenta come arte specifica. Era convinto – con piena ragione
– di possedere il talento della scrittura, a sua volta derivante da uno
straordinario talento di raccontatore. Nella tavola del fumetto i suoi
talenti narrativi si incontravano con l’immagine, grazie alla capacità
di rappresentare visivamente figure e intrecci che si sarebbero fissati,
con diversa forza rispetto alla sola scrittura, nella mente del lettore.
La sua poetica, sin dall’epoca di Junglemen, opera contemporanea
e successiva all’«Asso di Picche», è costruita sul mix delle sue espe-
rienze di lettore e di viaggiatore avventuroso. La sua è una poetica
della costruzione e dell’affermazione dello straniero: l’enfasi è posta
su personaggi irregolari, spesso in conflitto con il proprio ambiente e
con la propria originaria appartenenza. A parte l’Asso di Picche, nes-
suno dei suoi personaggi è un super-eroe. E anche l’Asso non è un es-
sere dotato di veri e propri super-poteri, quanto di astuzia e ginnastica
a dosi elevate. Tutti gli altri sono “semplici” avventurieri, individui
motivati però da un’intensità di vita superiore, inseriti in scenari a loro
volta speciali, come le guerre mondiali, il selvaggio West, la guerra
d’indipendenza americana e il ventennio in cui si muove Corto Mal-
tese, compreso tra i primi anni del XX secolo e il 1925. Perché questi
scenari sono speciali? Tutti, a ben vedere, propongono un rimesco-
lamento delle geografie di vita dei personaggi principali. Le guerre
portano i soldati altrove, anche molto lontano, a volte in altri conti-
nenti e ad altre latitudini. Il West è lo scenario di uno spostamento di
massa, di una colonizzazione dell’uomo bianco dei territori dei nativi
americani, il cui preludio era già ben percepibile nella lotta per l’in-
dipendenza delle colonie dalla Corona britannica a fine ‘700. L’epoca
di Corto Maltese, oltre ad essere attraversata e flagellata dalla prima
86 Corto Maltese e la poetica dello straniero

guerra mondiale, è fase storica in cui è possibile un pieno spostamento


globale a chi ha risorse e istinto di viaggiatore.
In ciascuno di questi scenari Pratt inventa – da solo o nel sodalizio
con Ongaro e Oesterheld – personaggi irrequieti, sradicati, divorati
dall’ansia di andare, artefici principali di storie che si discosteran-
no dal cliché dell’eroe senza macchia difensore dei deboli e degli
oppressi e nemico naturale della criminalità di ogni tipo e risma,
esprimendo invece caratteri complessi e contradditori, lontani dal
manicheismo delle storie del fumetto tradizionale.
Pratt – salvo sporadiche incursioni non memorabili, come nella
breve serie de l’Ombra – non racconta in modo diretto la propria
contemporaneità. Ripercorre piuttosto ricorsivamente la propria
storia, il periodo che lo vide diventare un giovane uomo (dentro le
vicissitudini della seconda guerra mondiale) e le letture – prevalen-
temente avventurose – che ne caratterizzarono le prime esperien-
ze intellettuali, cui si accompagnarono, nel corso del tempo, nuove
letture e nuove acquisizioni cognitive, comprese quelle ermetiche,
esoteriche e iniziatiche. Alla composizione del puzzle letterario
prattiano si è dedicato, con buoni risultati, Giovanni Marchese5. Ciò
che invece vorrei qui proporre è una rassegna interna alla prattiana
“poetica dello straniero”, ricercando caratteri specifici nei principali
personaggi del narratore veneziano, dal “disertore/disadattato” (El
Muerto) fino all’“apolide/cosmopolita” (Corto Maltese).

La rabbia del disertore simulato

Junglemen è una produzione giovanile frutto del sodalizio tra Al-


berto Ongaro e Hugo Pratt, che dopo alcune decine di tavole aveva
sostituito Dino Battaglia nei disegni del fumetto. Si tratta di una saga
iniziata nelle pagine de l’«Asso di Picche» e conclusa in quella della
riviste argentina «Salgari» dell’Editorial Abril. I Junglemen sono sol-
dati chiamati a pattugliare zone pericolose della Nuova Guinea, una
sorta di polizia internazionale paragonabile alla Legione Straniera.

5 Marchese Giovanni, Leggere Hugo Pratt, L’autore di Corto Maltese tra fumetto e
letteratura, Tunué, Latina, 2006.
Poetiche dello straniero 87

Giungle, fiumi, paludi e ampie catene montuose caratterizzano gli


impervi scenari del luogo, dove una serie di fortini fa da presidio a
un territorio controllato dai militari, cui si oppongono bellicose tribù
native Papua, tra cui spiccano gli Aroe del capo Aslom. Il romanzo
grafico è raccontato dal punto di vista dei soldati, e gli indigeni han-
no uno spazio narrativo assai contenuto: si rivelano puro e ancestrale
pericolo, e l’unico motivo di interesse verso di loro sembra risiedere
nelle fisionomie e nei costumi, che Pratt riproduce con un’attenzione
documentale e una precisione che diventeranno alcuni dei suoi più
efficaci marchi di fabbrica.
L’avventura si apre il 17 febbraio 1946, con un’azione di pattuglia-
mento di alcuni Junglemen che porterà alla raccapricciante scoperta
dei resti di un fortino assaltato dagli Aroe. Gli avvoltoi stanno facendo
scempio dei cadaveri del comandante del forte, capitano Fleming, e dei
suoi trenta uomini. La pattuglia ha però fatto in tempo a notare alcu-
ni bianchi alla guida degli Aroe. Ben presto il centro della storia sarà
occupato dallo scontro tra i soldati e la gang criminale capeggiata da
un personaggio misterioso, un duro che si fa chiamare El Muerto, che
esercita un indiscutibile potere carismatico sui propri uomini e sugli
Aroe, agevolato da un grande consumo di whisky (cui peraltro non
sono estranei nemmeno i Junglemen). Anche se a tratti El Muerto sem-
bra voler ingaggiare uno scontro definitivo contro il corpo di polizia in-
ternazionale, accarezzando il disegno di una specie di regno banditesco
nella giungla – quasi una citazione del personaggio di Kurtz in Cuore di
tenebra di Joseph Conrad – il suo obiettivo diviene progressivamente
meno ambizioso, finendo per coincidere con l’individuazione di una
miniera d’argento il cui tesoro dovrebbe arricchire tutta la banda, con-
sentendo ai superstiti (non sono pochi i caduti negli scontri a fuoco) di
rifarsi una vita da qualche parte. La costruzione della vicenda prevede
un antagonismo di gruppo soldati-criminali ma, di tavola in tavola, la
dimensione della saga scivola poi verso il duello, fisico e psicologi-
co, tra El Muerto e il coraggioso ufficiale dei Junglemen David Fo-
ran. L’arrivo nella guarnigione di Foran dell’avvenente etnologa6 Anna
Clayton – si dichiara inviata da una rivista scientifica per fotografare i

6 Probabilmente si tratta della prima volta, nella storia dei fumetti, che un
personaggio si caratterizza per l’appartenenza a una branca così specifica degli
studi sociali, a testimonianza dell’attenzione di Ongaro e Pratt per un atteggiamento
88 Corto Maltese e la poetica dello straniero

guerrieri Papua – provoca scompiglio tra i soldati. La Clayton non è in-


sensibile al fascino di Foran, costretto però nel frattempo a fronteggiare
nuovi attacchi degli Aroe istruiti dall’abile El Muerto. Ma chi è costui?
I tasselli si compongono poco alla volta: in una prima fase c’è
solo il sospetto che possa trattarsi di un disertore, ma nessuno lo ha
ancora visto in volto. Credibilmente truccato, David Foran riesce a
infiltrarsi tra gli Aroe e infine può fissare lo sguardo sul criminale.
Si tratta del capitano Fleming, da tutti creduto morto. Ma è solo
uno spicchio di verità. Fleming era stato già da tempo ucciso da
tale Burton Crane, un malvivente che dopo una complicata vicenda
in Messico era riuscito a fuggire in Indocina dove aveva conosciu-
to il capitano (in attesa di raggiungere i Junglemen, cui era stato
assegnato), che tra l’altro gli somigliava. Eliminatolo e presane
l’identità, Crane si fece passare per l’ufficiale, il cui cadavere ir-
riconoscibile era tra le vittime dell’attacco degli Aroe con cui si
era aperta la storia. Burton Crane è dunque El Muerto. La bella
etnologa ne è la sorella, il cui vero nome è Alberta Crane. Ha preso
un nome falso per mettersi sulle tracce del fratello, nella speranza
che la voce che si trovasse in Nuova Guinea fosse fondata. Dopo
un complicatissimo inseguimento di Crane a Singapore da parte di
Foran, il criminale muore e l’ufficiale e Alberta Crane si sposano.
Sembra un classico lieto fine, ma non lo è, perché il protagonista
della saga resta in realtà El Muerto, ed è la sua scomparsa a segnare
la fine della vicenda. È infatti lui il personaggio più complicato e
sfaccettato della storia: alterna stati di onnipotenza e di tirannia a
pensieri razionali e persino a una certa dose di autocritica (“Io sono
sempre stato un attaccabrighe” – confessa a Foran). Non si assolve
per la sua vita criminale, ma dal suo racconto emergono angherie
e soprusi subiti che ne fanno capire l’incontenibile rancore sociale,
rafforzato da un evidente sradicamento. Ha un suo “cerchio magi-
co”, costituito da un paio di banditi con cui si accompagna da anni,
ma l’unico vero affetto lo riserva alla sorella Alberta, catturata da
un uomo della sua gang invaghitosi di lei (e per questo ucciso da
El Muerto). Per il bene di Alberta El Muerto rinvia un attacco alla

“antropologico” a tutto tondo nei confronti delle culture umane, seppure – siamo a
cavallo tra gli anni ’40 e gli anni ’50 – ancora impregnato di elementi etnocentrici.
Poetiche dello straniero 89

guarnigione di Foran, e fa di tutto per assicurarsi che la sua vita


non sia in pericolo, pur non rivelandosi mai alla sorella. El Muerto
è dunque un disadattato, un tipo di criminale che, pur nato sotto
una cattiva stella (“Mio padre morì che ero piccolo. [...]”7), ha avu-
to modo di conoscere il mondo al punto tale da potersi confondere
in diversi ambienti. Inoltre, chi entra nei Junglemen non è obbli-
gato a possedere una coscienza etica particolare: il territorio che i
soldati devono presidiare ha bisogno di buoni fucili e di coraggio
in battaglia, non di fedine penali immacolate. Bruce Crane si mi-
metizza dunque nelle truppe multinazionali del corpo dei Jungle-
men: ciò significa che egli non è propriamente un disertore (non
avendo mai fatto richiesta di arruolamento), quanto un simulatore,
un tipo di criminale che popola zone estreme del mondo, dove il
comportamento umano deviante assume le forme di un’estrema di-
stanza dalle convenzioni sociali, sganciando il criminale da ogni
vincolo affettivo e sentimentale. Proprio questa distanza consente
allo pseudo-disertore di non provare alcuna emozione condannan-
do i suoi pseudo-commilitoni al massacro degli Aroe e della sua
banda. La legittimazione all’azione fornita dal rancore indiscri-
minato verso la società moderna e occidentale è dunque più forte
persino dell’appartenenza etnocentrica, pur in tempi segnati dalla
sopravvivenza delle visioni colonialiste dell’“altro”. Fare in modo
che gli Aroe uccidano trenta soldati non porta El Muerto a sentirsi
un “rinnegato”, perché il carico di estraneazione che lo anima è
senz’altro dominante sull’appartenenza, e si riflette su ogni struttu-
ra sfiorata dai comportamenti, sia materiale (denaro e possesso) sia
immateriale (amicizia e affetti). La scissione da qualsiasi istituzio-
ne è per Crane senz’altro vantaggiosa, fino all’arrivo della sorella
Alberta nel suo raggio d’azione criminale. Ecco allora che si rivela
un intimo contrasto all’interno della personalità di El Muerto: la
parte di sé che egli credeva effettivamente sepolta si rifà viva, e lo
obbliga a un tragico bilancio esistenziale, un travaglio che tuttavia
alla sorella resterà sconosciuto (“Alberta mi disse che era venuta a
cercare suo fratello ed io feci in modo che non mi vedesse in viso.

7 Ongaro Alberto – Pratt Hugo (1950), Junglemen. L’ultimo assalto, Fabbri Editori,
Milano, 1980, p. 60.
90 Corto Maltese e la poetica dello straniero

Non volli che sapesse chi era diventato suo fratello. La rimandai
al villaggio…”8). Pur non dotato di un approfondito lavorio intro-
spettivo che prenderà forma in opere successive, il respiro narra-
tivo di Junglemen e in particolare del personaggio di El Muerto è
certamente superiore alla media delle produzioni a fumetti dell’e-
poca, e anche di molte opere letterarie. L’ostinazione con cui Bruce
Crane mantiene la propria rotta criminale è – dall’apparizione della
sorella in poi – sostanzialmente inutile: l’indistinto odio sociale
che prova non sembra più sufficiente a consentirgli il salto nella
vita agiata che accarezza da tempo. Bruce Crane smette di essere
il terribile e affascinante El Muerto e ritorna ad essere un uomo
comune, protettivo nei confronti della sorella e stupito dalla per-
vicacia di chi gli sta alle calcagna, quel David Foran che ha come
compito non solo di catturare Crane ma anche di scagionare Alber-
ta, sospettata di connivenza con il fratello. La modifica psicologica
del personaggio di El Muerto è percepibile nell’epilogo della sto-
ria: pur morendo dopo l’ennesimo inseguimento di Foran, lascia in
custodia al soldato un taccuino che contiene la confessione dei suoi
crimini. Si era dunque preparato a ricomporre la propria personali-
tà, nella speranza di poter sparire per sempre.
Le mille citazioni cinematografiche contenute nel fumetto di On-
garo e Pratt (a cominciare dai volti dei protagonisti: Foran tende a so-
migliare a Gregory Peck, mentre Crane è più cangiante, passa da Burt
Lancaster a molte varianti di un generico volto segnato e vissuto, con
occhiaie evidentissime per un uomo ancora giovane) tendono ad allon-
tanare il romanzo grafico dalla complessità iniziale della saga ambien-
tata in uno scenario esotico e impervio, per fare strada allo scontro tra
il generoso e motivato Foran e l’inquietante e amaro Crane. È tuttavia
nella ragnatela sia grafica che letteraria di questo personaggio che Pratt
pescherà per definire meglio i suoi prossimi caratteri. Per le lunghe se-
rie che sono richieste dall’Editorial Abril c’è bisogno di personaggi po-
sitivi, ma la densità dei temi dello sradicamento esistenziale e dell’in-
comprensione sociale dello “straniero” sarà derivata da quel primo
tentativo di disegnare e di scrivere le ambizioni e le alienazioni di El
Muerto, il finto disertore con un destino tragico scritto nello sguardo.

8 Ongaro Alberto – Pratt Hugo (1950), op. cit., p. 66.


Poetiche dello straniero 91

Un sergente rinnegato ma politicamente molto corretto

A qualche anno di distanza dalla saga dei Junglemen, Cesare


Civita ha favorito la stretta collaborazione tra Hugo Pratt e Hec-
tor Oesterheld. Il primo frutto del sodalizio furono alcune storie del
detective Ray Kitt, ma il primo vero terreno di prova “seriale” fu il
sergente Kirk, che vide la luce nel 1953 nelle pubblicazioni dell’E-
ditorial Abril e che trasmigrò nel 1957 nelle testate dell’Editorial
Frontera, fondata da Oesterheld e dal fratello.
Qui la poetica dello straniero cambia radicalmente direzione: an-
che Kirk è un personaggio tormentato, ma il suo orizzonte è dise-
gnato su aspirazioni e valori positivi. Kirk è un “soldato blu” che
non accetta l’idea che il suo servizio nell’esercito sia di sostegno a
un genocidio. Più volte i commentatori e i critici hanno citato una
frase del sergente in risposta a un ufficiale che urla di voler spazzare
via i nativi americani: “Non capisco questo odio contro gli indiani”.
Siamo solo al primo episodio («La caccia al comanche») della lun-
ghissima serie9, ma il carattere del personaggio è già definito. Kirk
è, a tutti gli effetti, un disertore. Abbandona il suo esercito perché
non vuole partecipare al massacro del popolo rosso. Il suo profondo
disagio è accompagnato da riflessioni e interrogativi: quando ritiene
che i suoi valori siano contrapposti a quelli che ispirano gli ordini
impartiti da ufficiali fanatici e sanguinari, abbandona l’esercito.
Tuttavia siamo solo al primo passo di una sorta di rigenerazione
antropologica: Kirk, vivendo a contatto sempre più stretto con gli
indiani, prende coscienza che essi sono molto diversi da come li
dipinge la propaganda dell’esercito statunitense. Quella dei nativi
americani è una civiltà complessa fondata su una comunione con la
natura e con il territorio, e che va capita assai bene prima di poterla
giudicare. Il disertore Kirk entra all’interno di una cultura che non
è quella della propria gente. Si avvicina ad essa e la trova ancorata
a valori cui lui stesso tende, e che vanno in direzione opposta alla
frenetica corsa alla conquista territoriale e alla rapida edificazione di
una monocultura colonizzatrice.

9 Pratt disegnò Sgt. Kirk dal 1953 al 1959, per un totale di 1522 tavole. In seguito
i disegni furono opera di Jorge Moliterni (1959-1960), Horacio Porreca (1960-
1961), Gisela Dester (1960-1961) e infine Gustavo Trigo (1972-1973).
92 Corto Maltese e la poetica dello straniero

Da disertore Kirk diviene “rinnegato”. L’espressione non ha ac-


cezioni positive, perché il punto di vista è quello della comunità
originaria che si riconosce abbandonata (rinnegata) da un proprio
membro. Uno dei pilastri dell’etnocentrismo è l’impossibilità di
scegliere la propria definizione culturale e antropologica: si na-
sce nell’alveo di un’appartenenza e si rimane ciò che la nascita ha
voluto. In caso contrario si opera un tradimento, cioè un crimine
etno-culturale. Pur con numerosi travagli e agitate meditazioni,
Kirk si ribella e sposa un altro punto di vista. Non si trasforma in
un indiano, continua anzi a indossare l’uniforme del 7° Cavalleg-
geri, ma accetta una costante contaminazione con le culture del po-
polo rosso che incontra. Le culture, e non “la cultura”. Il sergente
coglie sempre più sottilmente le differenze tra le diverse etnie dei
nativi americani che il pensiero unico dei bianchi ha bisogno di
appiattire, manipolando comportamenti diversi per spingere verso
l’eliminazione fisica di un ostacolo ingombrante sulla strada della
colonizzazione, urbanizzazione e progressiva industrializzazione
degli sterminati territori nord-americani.
La condizione di Kirk è ardua: sulle sue spalle si esercita il peso
di una stigmatizzazione da parte dei bianchi e di una complicata ac-
cettazione da parte dei “popoli rossi”. La sua strategia è di non ri-
nunciare all’azione, stabilendosi – negli interregni delle avventure
– in una zona liminare circondata dal conflitto, allevando cavalli. Ma
l’oasi è solo simbolica, perché la sua esistenza ha preso una piega
decisa, avvicinandosi alla tribù Tchatooga. Avviene in questo caso
una sorta di doppia adozione: la tribù adotta Kirk e questi adotta il
giovanissimo Moha, figlio del capo-tribù, vincolandosi attraverso un
patto di sangue. Il ragazzino diventerà suo inseparabile compagno,
ma non sarà il solo: anche due bianchi si accompagneranno al per-
sonaggio principale, accomunati da un’amicizia a sua volta basata
su una rigenerazione. El Corto e il dottor Forbes sono due caratteri
particolari, entrambi segnati dall’irregolarità sociale: il primo è un
cow-boy ex-ladro di cavalli e il secondo un medico ex-alcolista. Il
gruppo così costituito non impedisce la leadership indiscutibile del
sergente Kirk, ma allevia la sua condizione di solitudine culturale,
dando vita a un microcosmo che, pur non essendo pienamente me-
ticcio, tuttavia risente di chiavi narrative aperte e sensibili.
Poetiche dello straniero 93

Oggi il punto di vista di Kirk sul vecchio West è ampiamente rap-


presentato in una letteratura e in una filmografia che hanno scava-
to nel genocidio degli indiani d’America. Dobbiamo però pensare
ai tempi in cui Kirk venne pubblicato, all’inizio degli anni ’50. Il
prodotto era decisamente controcorrente e anticonformista, e il rac-
conto di Pratt su come la casa editrice richiese di ingentilire i tratti
del sergente, trasformandolo in un eroe più giovane e meno duro e
selvaggio di come l’avesse immaginato il disegnatore, esprime chia-
ramente la preoccupazione di ammorbidire l’effetto di un prodotto
decisamente innovativo.
In un episodio intitolato “La barca sommersa”10 il sergente deve
impossessarsi di alcuni cavalli sorvegliati da una sentinella indiana:
una volta eliminato il custode niente potrà impedirgli di appropriarsi
delle cavalcature. Kirk riesce a portarsi a una distanza ideale per
colpire l’indiano con l’arma più silenziosa, la freccia, al cui uso si è
addestrato durante le permanenze nei villaggi pellerossa. La psico-
logia classica del personaggio western porterebbe a un’azione rapi-
da e senza conseguenze mentali. Per Kirk è diverso. Si chiede: “È
veramente indispensabile uccidere la sentinella?”, e il suo rovello
dura nel complesso ben 19 vignette (due pagine intere), fino alla
sostituzione della punta della freccia con una palla d’argilla che tra-
mortirà l’indiano senza ucciderlo. Quale altro eroe del vecchio West
si sarebbe comportato in questo modo?
Con Kirk la “poetica dello straniero” (in questo caso dovuta al
sodalizio con Oesterheld) ha una svolta radicale rispetto all’inquie-
tante devianza di El Muerto (il cui volto, ricorda Pratt, era stato
prescelto come primo modello per quello di Kirk), collocandosi in
una zona creativa ai confini di una nuova pedagogia, i cui effetti
saranno ancora presenti nei personaggi della saga americana di fine
XVIII secolo Ticonderoga, altro prodotto della collaborazione tra
Pratt e Oesterheld.

10 L’episodio compare nel volume Bravo, sergente Kirk de I grandi fumetti


Mondadori, Milano, 1976, pp. 68-70.
94 Corto Maltese e la poetica dello straniero

Un veneziano (o un irlandese?) nella jungla

La prima produzione di Pratt come autore unico fu Anna nella jun-


gla (1959). Nei quattro episodi di cui si compone la serie compare un
personaggio che, pur non rivestendo il ruolo del protagonista, ha un
peso rilevante nelle vicende di cui Anna Livingston è la giovanissima
star. Si chiama Luca Zane, veneziano, ed è – scrive Pratt – un “tipo
fatto a modo suo”. Che ci fa un veneziano nell’Africa sud-orientale
alla vigilia dello scoppio della prima guerra mondiale? È il coman-
dante di un battello navale, “Vanità dorata” (lo stesso nome della nave
su cui Pratt farà imbarcare Corto Maltese qualche anno dopo11), che
solca i fiumi africani portando a bordo passeggeri e corrispondenza
verso quei luoghi lontani, facendo tappa fissa nella guarnigione bri-
tannica di Gombi. Forse Luca Zane ha dei suoi commerci, ma nelle
storie non se ne fa cenno. Perché Zane si inserisce nella poetica dello
straniero prattiana? Innanzitutto è straniero rispetto all’ambiente in
cui si trova. Anzi, in realtà egli è doppiamente straniero, perché nella
prima edizione (argentina) di Anna nella jungla (Ana y Dan) il co-
mandante si chiama Tipperary O’Hara ed è irlandese. In ogni caso,
non solo è straniero rispetto allo scenario della storia a fumetti, ma è
anche nomade, o comunque non stanziale. Ciò lo differenzia dai mi-
litari della guarnigione di Gombi e anche dalla ragazzina Anna, che
in quei territori risiedono stabilmente, almeno per alcune stagioni.
Che tipo di straniero è Luca Zane/Tipperary O’Hara? Non è un
militare come il sergente Kirk o sedicente tale come El Muerto,
quindi non è e non può essere un disertore o un rinnegato. Si tratta di
una figura di avventuriero adatta a una serie per lettori adolescenti,
un personaggio positivo che, facendo da spalla alla sorprendente ra-
gazzina Anna, non ha bisogno di essere particolarmente definito, né
abbisogna di un passato conosciuto. Vive nella dimensione del pre-
sente, e l’assenza di approfondimenti biografici lo rende misterioso.
Non manca di socievolezza, ed ha un rapporto affettuoso con Anna
e il coetaneo Daniele Doria, ma appare un individuo autosufficiente
e tendenzialmente solitario.

11 Cronologicamente si tratta in realtà di “qualche anno prima”, visto che Corto


Maltese si imbarcherà sulla “Vanità dorata”, alla volta dell’Argentina, nel 1904.
Poetiche dello straniero 95

Salvo qualche raro momento di relax in cui lo vediamo fumare


una curiosa pipa di granturco, Luca Zane è sempre in movimento. È
una persona esperta, che conosce bene il territorio dentro cui si spo-
sta incessantemente e ne sa interpretare i segnali. In questo modo di-
viene l’interlocutore privilegiato del comandante della guarnigione,
il Commissario Randall, con cui dialoga da pari a pari e che appare
sempre molto disponibile a prendere sul serio e a mettere in atto i
suoi suggerimenti.
Luca Zane non è un uomo di fini citazioni e di abbigliamento ri-
cercato: è una sorta di grado zero del “gentiluomo di fortuna”, faz-
zoletto al collo stile cowboy e maglietta scura. Tuttavia c’è un anti-
cipo del look di Corto Maltese nei pantaloni bianchi e soprattutto nel
cappello da capitano, bianco e con piccola visiera. Inoltre, in alcune
avventure Corto stesso, quando il clima tropicale lo rende necessario
e quando si rappresenta principalmente come uomo d’azione, adotta
lo stesso elementare abbigliamento di Luca Zane.
L’Africa descritta da Pratt pullula di tribù native pericolose e terri-
ficanti, ma Luca Zane non ne ha paura. Come uomo d’azione cono-
sce la spettacolarizzazione delle lotte indotta da maschere e macabri
copricapi tribali, ma ne risulta immune, gestendo con facilità un cer-
to pragmatismo di combattente: il guerriero che ha davanti può an-
che essere temibile e forse cannibale, ma la sua lancia è meno rapida
di un colpo di pistola. Zane ha dunque un’altra caratteristica decisiva
dello “straniero prattiano”: sa ciò che occorre sapere per evitare di
soccombere in un ambiente ostile in mezzo ad antropologie tribali.
Ad esempio sa che una vittima predestinata dei pigmei può appellar-
si al rituale della corsa tra due fila di guerrieri bastonatori, e si getta
a capofitto tra i pigmei, travolgendoli.
Con gli ascari, i soldati indigeni arruolati nell’esercito inglese, il
rapporto di Zane è mediato dalla scelta fatta a monte da Pratt di utiliz-
zarli come presenza comica, fornendoli di un linguaggio sgramma-
ticato e parodistico (“Sergente Amasa! Venienda rapido! Qui ascari
morto!”), non estraneo a retaggi coloniali ancora presenti nell’im-
maginario collettivo dell’epoca. Zane si permette perciò un’intimità
linguistica con gli ascari non sempre politicamente corretta (“Come
state, palle di neve?”, apostrofa due nerissimi soldati della guarni-
gione), anche se il tono è scherzoso e non deliberatamente offensivo.
96 Corto Maltese e la poetica dello straniero

Mentre nel primo dei quattro racconti della serie (Wambo è mor-
to… Wambo ritorna) Zane irrompe nelle tavole a fumetti con l’im-
peto del primattore ma poi Pratt lo trasforma in una presenza secon-
daria a fianco dell’esuberante Anna, nel secondo racconto (La città
perduta di Amon-Ra) le parti quasi s’invertono. Il personaggio che
consente questa valorizzazione è l’Effendi Abu Thaba, un misterio-
sissimo e inquietante egiziano che condurrà Luca Zane e i ragazzi
nella stupefacente valle dei tempi di Amon-Ra.
L’approfondimento del carattere specifico dell’avventuriero, pur
nella cornice di un romanzo grafico per giovanissimi, sposta di un
altro pezzetto la direzione della “poetica dello straniero”: quando
il gioco dell’avventura si fa duro e impegnativo, un “tipo fatto a
modo suo” come Zane ricalca le orme dei personaggi che Pratt ha
amato come lettore, e di cui ora recupera i caratteri di caparbie-
tà, adattabilità, resilienza e ardimento, associati a un certo senso
dell’umorismo. Luca Zane è lo zio giovane che tutti i ragazzi vor-
rebbero avere, ma già nei pochi episodi della serie il personaggio
sembra scalpitare per proiettarsi in un’avventura (solitaria) a tutto
tondo e che Pratt sta incubando come esplorazione anche intellet-
tuale del mondo, per ora scarsamente interessante per un marinaio
veneziano/irlandese affaccendato in mille servizi in un territorio
esotico e pericoloso in cui è dimostrazione di grande valore la sem-
plice sopravvivenza.

Un quasi mezzosangue (con la faccia di Hugo)

Una delle innovazioni di Pratt come autore unico è stato il fre-


quente inserimento di personaggi realmente vissuti all’interno
delle sue narrazioni. Wheeling, prima delle storie di Corto Mal-
tese, è il luogo narrativo dove questa prassi è stata primariamente
adottata. Abbiamo già avuto modo di dedicare alcune pagine12 a
un altro personaggio del tutto interno alla “poetica dello stranie-
ro”, Simon Girty, trasposizione prattiana di un controverso storico
protagonista della guerra d’indipendenza americana. La versione

12 Vedi pp. 31-33 in questo volume.


Poetiche dello straniero 97

che Pratt accredita attraverso testi e disegni si discosta da quella


della storiografia e del giornalismo americano dominanti, secondo
cui il personaggio sarebbe stato un rinnegato criminale, coinvolto
in vari massacri di coloni indipendentisti. Il carattere del Girty di
Pratt è comunque ambiguo e, anche se non vi è nel suo comporta-
mento un’autentica vena criminale – come in El Muerto – tuttavia
del nemico dei Junglemen egli porta una simile predisposizione
al rancore. Girty è culturalmente un “mezzosangue”13, un’altra
espressione che non ha accezione positiva perché riduce la com-
mistione di due etnie non in un raddoppio bio-antropologico ma in
un dimezzamento. Un mezzosangue, pur figlio di genitori diversi
etnicamente, ha uno stigma, è percepito come diverso e infido, per-
ché non è chiaro a quale dei due gruppi appartenga. La figura del
mezzosangue che ci è stata consegnata dalle letterature occidentali
nel XIX e dal XX secolo è destituita di ogni pienezza esistenziale
e racconta individui insoddisfatti e macerati dagli svantaggi della
duplice appartenenza: inaffidabili per la cultura bianca dei coloni
e per quella del popolo rosso. Potenziali traditori. E tuttavia fon-
damentali per gli uni e per gli altri, perché in grado di comunicare
linguisticamente e culturalmente con le due parti e perché in grado
di spiegare e di anticipare le mosse di entrambe.
Come lo dipinge Pratt? Lo incontriamo per la prima volta a pagina
20 di Wheeling, chiamato in causa da un capitano e mercante molto
amato dagli indiani, John Gibson, che sta tentando di convincere il
capo Logan a non entrare in guerra contro i bianchi.

“Guarda! – urla Gibson a Logan – C’è Girty! È nato bianco, ma è più


indiano di te… Lui ti dirà lo stesso!”
Girty: “Gibson ha ragione , Logan! Non è il momento di combatte-
re!”
Quindi Girty aggiunge: “Purtroppo è così! Lascia che la sistemi a
modo mio. Uno di questi giorni andrò a cercare i colpevoli e ti porterò
le loro capigliature… Una guerra in questo momento non ti conviene!”14

13 Simon Girty nacque da una famiglia di coloni scozzesi-irlandesi ma fu rapito


da indiani Seneca quando era ancora un bambino e tenuto presso di loro per 7
anni. Quando fu restituito alla famiglia d’origine la sua assimilazione della cultura
indiana era completa.
14 Cfr. Pratt Hugo (1962), Wheeling, parte prima, RCS, Milano, 2010, p. 20.
98 Corto Maltese e la poetica dello straniero

Più tardi, quando Gibson ha lasciato, amareggiato, la tenda di Lo-


gan, Girty ritorna dal capo tribù. Fumando un calumet, Girty espri-
me a Logan le sue idee sul futuro della guerra:

Girty: “(…) Le cose non vanno bene fra i lunghi coltelli di qui e quel-
li dell’altra parte della grande acqua salata… Tra poco cominceranno a
combattere tra di loro e allora potrai vendicarti unendoti ai soldati del
re… Non sarà né oggi né domani, ma deve essere presto… Cosa ne
pensi?”
Capo Logan: “Non lo so ancora… Ma tu, Simon, da che parte stai?”
Girty: “Dalla parte di Simon Girty!”
Capo Logan “Allora mi guarderò alle spalle… Non sei né bianco né
indiano: non sei nulla… Ti conosco da tempo… Ma non ti capisco…
Sei amico mio e dei miei nemici… Fumi il mio tabacco, ma anche quel-
lo di Cresap. (…) Simon, penso che arriverà il giorno in cui la frontiera
gronderà sangue e tu avrai la tua buona parte di colpa… Sei un essere
strano: a seconda di dove viene il vento: né carne né pesce… E tanto-
meno rana… Sei una banderuola… Fai schifo… Ugh!”15

In altri momenti della storia Girty arriva a portare messaggi alle


avverse parti in campo: il messaggero è sempre tramite tra due mon-
di, e la doppia esperienza antropologica di Girty è fondamentale per
svolgere questo ruolo. Di fronte a Criss che non ha informazioni
recenti da Forte Pitt, Simon Girty avverte che ci sono, ma che sono
cattive notizie.

Girty: “Molto cattive!… Anche lì sono cominciate le grane. I provin-


ciali si credono molto importanti e si permettono di disprezzare coloro
che non la pensano come loro… Mi hanno promesso il grado di capita-
no, durante la guerra di Dunmore… E adesso me lo negano. Allora ho
deciso di andarmene: al diavolo i provinciali… Vado a Forte Niagara
per mettermi al servizio degli inglesi in qualità di esploratore. Se vuoi
venire con me ti raccomanderò come alfiere di bandiera. Cosa mi ri-
spondi, Criss?”
Criss: “Che mi fate pena! Siete americano, come mio fratello Simon,
come i Boone, gli Zane… Arruolarsi contro quelli della propria terra?
Siete matto!”

15 Cfr. Pratt Hugo (1962), Wheeling, op. cit., pp. 22-23.


Poetiche dello straniero 99

Girty: “No! No, ragazzo, non mi capisci! Per anni ho lavorato a Forte
Pitt e mi hanno sempre promesso un mucchio di cose e mai le hanno
mantenute… Mi sono stancato di aspettare… Non puoi capire…”16

Sebbene insultato da Criss Kenton, Simon Girty continuerà ad aiu-


tarlo: è pur sempre il fratello del suo migliore amico, Simon Kenton.
Ma c’è dell’altro. Criss chiede a Girty di aiutarlo a lasciare Forte Nia-
gara per tornare a Wheeling, e lo scout, ormai in divisa inglese, gli pro-
pone l’arruolamento nell’esercito britannico. Criss risponde tagliente:
“Questo mai! Non sarò mai un rinnegato traditore!”. Ma Girty decide
di aiutarlo ugualmente, e alla fine Criss lo saluta con trasporto: “Grazie
signor Girty, che Dio vi benedica!”
Rimasto solo, Girty di abbandona a questi pensieri: “Che Dio mi
benedica?… Bella cosa da benedire che sono! Ah! Criss… Criss Ken-
ton… Crede ancora negli uomini… Proprio lo hai detto!... Rinnegato…
Traditore… Questo sono! Se soltanto potessi tornare indietro… Ma tu
sì: tornerai… Tu sì! Sarai una parte di me… Che torna a casa!”17

Abbiamo avuto modo di segnalare che il Girty di Pratt è caratte-


rizzato da un profondo rancore nei confronti degli indipendentisti
americani perché questi ne avrebbero sottovalutato il valore e i meri-
ti, relegandolo in una posizione subalterna come scout dell’esercito
(mentre in effetti Girty aveva dimostrato, e continuerà a dimostrare,
doti di stratega)18. Questo sarebbe il motivo del distacco di Girty
dall’esercito ribelle e della sua integrazione nell’esercito britannico.
In realtà le ragioni di un atteggiamento che gli valse la nomea yan-
kee di “rinnegato” e “voltagabbana”19 sarebbero piuttosto da ricer-
care nell’intenzione da parte inglese di bloccare la colonizzazione
del West, a differenza dei ribelli americani, che fremevano per es-
pandersi territorialmente ai danni degli indiani. Simon Girty, che si
sentiva più a proprio agio con gli indiani che con i bianchi, dovette
ritenere prioritario tutelare il popolo rosso da nuove invasioni.

16 Pratt Hugo (1962), Wheeling, op. cit., p. 129.


17 Pratt Hugo (1962), Wheeling, op. cit., pp. 176-177.
18 “During the Northwest Indian War (1785-1795), Girty fought alongside
the Wyandots and other American Indians. He fought the Americans at St. Clair’s
Defeat in 1791, the greatest defeat the United States Army has ever known.”
Cfr. https://en.wikipedia.org/wiki/Simon_Girty
19 Cfr. https://en.wikipedia.org/wiki/Simon_Girty.
100 Corto Maltese e la poetica dello straniero

In qualche modo, Girty nella versione di Pratt si presenta come


una malinconica fusione di El Muerto e del Sergente Kirk: determi-
nato nell’azione quanto interiormente complesso, rancoroso e ge-
neroso, abile a stabilire ponti ma anche a combattere. Per una tale
maschera dello straniero Pratt sceglie il proprio stesso volto, forse
una disponibilità ad auto-rappresentarsi criticamente. Uomo di più
continenti, culturalmente meticcio, celebrato in paesi lontani dalla
sua patria, dove si prepara a fare rientro all’inizio degli anni ’60,
Pratt avverte forse i rischi dei suoi doppi (e tripli, includendo l’Afri-
ca) percorsi antropologici e cognitivi.

La lunga evoluzione di uno straniero chiamato Corto

1967. L’esercito statunitense è sempre più impantanato nella


guerra del Vietnam: a gennaio scatena un’offensiva sul delta del
Mekong, ma sarà un fallimento. Il pontefice Paolo VI pubblica l’en-
ciclica Populorum progressio (“Lo sviluppo non si riduce alla sola
crescita economica”). In Grecia, dopo un colpo di Stato seguito alla
vittoria elettorale dei socialisti di Papandreu, viene imposta la ditta-
tura dei colonnelli. A Montreal si apre l’Expo 67 (avrà più di 50 mi-
lioni di spettatori). Esce Sergeant Pepper’s dei Beatles, pietra miliare
della musica rock. Guerra dei sei giorni tra Israele e coalizione araba
(Egitto, Siria e Giordania). Israele occupa il Sinai, Gaza, il settore
arabo di Gerusalemme, la Cisgiordania e le alture siriane del Golan.
Ernesto Che Guevara è catturato in un’imboscata e quindi ucciso
dall’esercito boliviano.
Il 1967 è un anno agitato, pieno di segnali contrastanti che solo
l’anno successivo sembreranno prendere la direzione di una ribellio-
ne generazionale globale.
Il 1967 è anche l’anno in cui esce sulle pagine di una nuova rivi-
sta intitolata «Sgt. Kirk» il primo episodio di Una ballata del mare
salato, un nuovo romanzo grafico firmato da Hugo Pratt. Pratt ha 40
anni. Si è da tempo ristabilito in Italia e ha iniziato a collaborare con
il «Corriere dei piccoli». Nel corso degli ultimi mesi si è trasferito
da Venezia a Genova, invitato dall’imprenditore edile Florenzo Ival-
di (ammiratore ad oltranza dell’arte prattina) ad animare la nuova
Poetiche dello straniero 101

rivista intitolata al sergente Kirk. Detto altrimenti, il 1967 è l’anno


di nascita di Corto Maltese. Il suo autore ha impiegato vent’anni per
arrivare alla sua definizione. Corto non nasce sulla base di un’idea
folgorante e istantanea, ma sulle fondamenta di una poetica che ha
già partorito personaggi intriganti e intrecci sofisticati.
Il processo di lavorazione ispirato dalla poetica dello straniero
ha costruito saghe militari ed epopee del selvaggio West, dove si
muovono caratteri che hanno spezzato lo schematismo elementare
di molte storie a fumetti, proponendo un’irrequietezza narrativa che
sposta su un nuovo crinale letterario il fascino dell’avventura. La
maturazione di Pratt è avvenuta in parte attraverso un “apprendi-
mento per sodalizi”, a fianco di grandi professionisti della scrittura
contenuta nei baloon. In parte è avvenuta vivendo in continenti di-
versi, in luoghi diversi e in città diverse, facendosi influenzare dalle
antropologie non meno che dalle geografie. In parte, ancora, la cre-
scita di Pratt si è verificata per tramite di informazioni e letture, di
incontri e di film. La curiosità dell’artista è onnivora, spaziando dai
libri alla musica, dall’architettura all’archeologia, dal cinema alla
fotografia. Di quest’ampia gamma di interessi è testimonianza la sua
produzione, sempre più sofisticata ed elegante, malgrado appartenga
in modo completo e totale ai canoni semiotici del fumetto, delimi-
tati da storie d’immagini e di scrittura. Il rettangolo della vignetta,
la cornice all’apparenza semplicissima in cui inserire personaggi,
ambienti e azioni, continua a costituire il regno del romanzo grafico.
Nel caso di Pratt gli ambienti finora sono sempre stati esotici e lon-
tani dal cuore europeo dell’Occidente: la geografia e la fantasia lo
hanno spinto a disegnare l’Africa, l’Oceania, l’America dei coloni,
dei cow-boy e del “popolo rosso”. Geografie ricostruite con l’ausilio
della documentazione iconografica, ma anche della memoria per-
sonale (l’Africa), delle letture dei suoi romanzieri preferiti e di una
fantasia indagatrice, più simile all’esercizio di un detective che alla
casualità del flusso creativo.
Corto Maltese emerge da questo magma: coerentemente con gli
equilibri particolari di un mondo mentale “perfettamente disorganiz-
zato”, il personaggio non arriva al lettore con l’aura del predestinato
all’impresa, ma come una figura legata a due legni in balia delle
onde di un grande mare salato. Nel corso di quella sua prima storia
102 Corto Maltese e la poetica dello straniero

Corto Maltese si conquista un posto di assoluto rilievo nel cuore


di molti lettori di fumetti e di altrettanti appassionati della grande
avventura. Corto è inizialmente un pirata, seppure differente dallo
stereotipo classico del criminale dei mari. Rispetta la vita umana e
non si lascia andare all’ira e alla rabbia. Parla con parsimonia, con
un lessico appropriato e dimostrando di prediligere battute ironiche
e a volte taglienti.
Che tipo di “straniero” è Corto Maltese? Nella Ballata moltissimi
personaggi possono stare all’interno di questo carattere: il crudele
e selvatico Rasputin, il malinconico Slütter, il sempiterno Monaco,
persino i giovani Pandora e Cain Groovesnore. Tutti personaggi sca-
gliati in un angolo lontano di un mondo agitato dalla prima guerra
mondiale, le cui propaggini giungono fino in Oceania. Tutti perso-
naggi lontani da casa. Eppure Corto Maltese è straniero in un mondo
di stranieri, diverso tra i diversi.
Già all’interno del suo primo romanzo grafico vi è una notevole
evoluzione interna: la figura del pirata presto si ridimensiona a fa-
vore di un’irregolarità non criminale. Più che un mal-vivente, Corto
Maltese è un diversamente-vivente: le sue coordinate non sono de-
terminate dal malaffare, ma da una ricerca d’intensità che si incarna
nell’avventura. Nella sua prima storia Corto è sollecitato ad agire
per le continue e complicate occorrenze delle vicende storiche e per
rispondere alle condizioni dei personaggi che lo circondano; tutta-
via Pratt introduce strategicamente visioni di Corto in silenzio, im-
merso in una meditazione intimamente esistenziale. Corto Maltese,
pur obbligato all’azione, è un personaggio che pensa e riflette, quasi
stesse metabolizzando i propri cambiamenti necessari. È straniero
anche in questo: rifiuta le assolutizzazioni del suo ruolo, rigetta l’ap-
partenenza sia verso l’associazione criminale cui ha in precedenza
aderito (l’organizzazione del Monaco) sia verso le autorità militari e
burocratiche. Anche con gli unici “non stranieri” della storia, alcuni
notevoli personaggi originari delle isole oceaniche (come Cranio,
Sbrindolin e Tarao), il suo rapporto è del tutto speciale: non li usa
opportunisticamente come fanno i pirati né li disprezza come i mi-
litari. Al contrario, Corto stabilisce duraturi legami con essi, meri-
tandosi il trattamento che si riserva ai migliori amici, in particolare
a quelli diventati tali nonostante siano diverse l’etnia e la cultura.
Poetiche dello straniero 103

Già in questa prima storia Corto Maltese appare come un per-


sonaggio dotato di “lasciapassare”: ogni cultura con cui entra in
contatto ne riconosce e accetta il carisma, ospitandolo all’interno
dell’ambiente di appartenenza. Certo il riconoscimento avviene per
il comportamento corretto e coraggioso di Corto Maltese, ma al
carisma non sono estranei elementi fisici e di abbigliamento. La
creatura di Pratt non è un maschio nerboruto alla Tex Willer né
tantomeno un super-eroe, ma il suo fisico snello sa come combat-
tere e i suoi abiti sono eleganti, forse persino un po’ vintage già
per quell’epoca. A completare il quadro estetico due lunghi favoriti,
l’orecchino all’orecchio sinistro, una sigaretta frequentemente in-
collata alle labbra e il cappello marinaresco che avevamo già visto
indossare da Luca Zane.
I suoi scontri fanno desumere che Corto Maltese conosca la tec-
nica di base del pugilato, accompagnata dalla capacità di battersi
con le gambe e con i salti tipici della capoeira brasiliana e di alcune
arti marziali orientali. Anche nei combattimenti è dunque eclettico e
interessato alla contaminazione.
In questa prima avventura le citazioni letterarie sono indirette:
Pratt preferisce costruire una storia resa complessa dall’ambiente
esotico, bellico e piratesco invece che dalla presenza di affermazio-
ni erudite memorabili. Piuttosto, il narratore veneziano utilizza con
sempre maggiore maestria lo strumento del dialogo, dove emerge lo
spessore dei singoli personaggi, e dove il silenzio svolge un ruolo
spesso altrettanto importante delle parole. Ci si intende anche omet-
tendo, oppure con uno sguardo. Ci si innamora anche omettendo,
oppure dicendo poche frasi, oppure ancora con allusioni e riferimen-
ti. Mantenendo, come riesce a fare Corto Maltese, uno spirito ro-
mantico anche quando la storia d’amore è inibita dalla giovanissima
età della bella Pandora.
La patria di Corto Maltese, salvo il riferimento contenuto nel suo
nome, non è mai citata, né si parla esplicitamente delle sue esperien-
ze biografiche, eccetto per talune allusioni del Monaco e di Raspu-
tin. Il tipo di straniero incarnato da Corto sembra quindi l’apolide,
il senza-patria, nello stesso tempo lontano e vicino a ogni cultura,
capace di tradurre i propri pensieri in qualsiasi lingua utile senza mai
appartenere a nessuna lingua, a nessuna comunità.
104 Corto Maltese e la poetica dello straniero

Nell’evoluzione interna al personaggio, che avviene già all’in-


terno della Ballata, Corto dimostra una certa dose di cinismo, ac-
compagnata però da una progressiva ribellione verso il modo di
comportarsi delle autorità e da un’evidente disposizione positiva
verso i ribelli, gli incompresi e i maltrattati. Tutto ciò determina una
sorta di “simpatia”, una passione comune e condivisa dimostratagli
da coloro che – a volte inaspettatamente – si ritrovano ad averlo al
proprio fianco, mentre anche i personaggi che pure lo avversano gli
dimostrano rispetto. Corto infatti ha un carattere spregiudicato, non
solo perché imprevedibile e coraggioso, ma perché dimostra pochi o
nulli pregiudizi. È lo straniero che si è liberato dagli stereotipi dello
straniero: non ispira diffidenza negli altri ma mistero, non esprime
pregiudizi ma curiosità antropologica.
Una prima metamorfosi è dunque già iniziata nella Ballata ed è
pronta per essere approfondita in altre avventure: si tratta del passag-
gio da personaggio piratesco a “gentiluomo di fortuna”. Il cambia-
mento sarà visibile nelle storie successive, quella serie di straordi-
nari short tales che Pratt pubblicherà a distanza di qualche stagione,
dandogli forma di suite o cicli narrativi.
In alcune delle storie da 33 tavole – il formato adottato per i rac-
conti brevi – Pratt rielabora intrecci derivati dalla lettura di autori da
lui molto amati (Jorge Luis Borges e Jack London in particolare),
modificando però completamente lo scenario geografico o variando
gli intrecci. È il caso della stretta discendenza del racconto Concerto
in ò minore per arpa e nitroglicerina dal borgesiano Tema del tradi-
tore e dell’eroe (1944), dove l’ambientazione è parimenti irlandese
ma variano l’epoca (il 1824 per Borges, il 1917 per Pratt) e la fase
politica dell’indipendentismo.20 Cambia invece la collocazione geo-
grafica nella storia Teste e funghi, un altro racconto breve della suite
Sempre un po’ più in là…21 “scopertamente ispirata al racconto Lost

20 Sul rapporto tra il racconto di Borges, quello di Chesterton All’insegna della


spada spezzata e il Concerto in ò minore per arpa e nitroglicerina di Pratt si
veda l’interessante saggio di Renato Giovannoli Apparenza e verità. Il tema
letterario del traditore e dell’eroe, reperibile all’url http://www.multiversoweb.
it/rivista/n-05-svelo/apparenza-e-verita-il-tema-letterario-del-traditore-e-
dell%E2%80%99eroe-602/
21 Nella versione italiana questo titolo è stato suddiviso in due volumi: Lontane isole
del vento e La laguna dei misteri.
Poetiche dello straniero 105

Face, firmato da Jack London nel 1910. Ma mentre London situava


la vicenda sulle innevate distese del Klondike, fra l’Alaska e il Cana-
da, Pratt sposta l’azione del suo fumetto in Amazzonia.”22
Questa de-localizzazione narrativa non toglie nulla alla freschez-
za del racconto prattiano: lo spostamento geografico implica una
completa riscrittura dell’opera, che Pratt rende in ogni caso nuova
perché ne manipola la costruzione immaginifica non meno delle am-
bientazioni. Anche se sopravvivono singole espressioni originarie
(soprattutto in alcune battute dei dialoghi) la riscrittura a fumetti di
storie amate dal narratore veneziano porta a nuove storie, perché
Pratt, attraverso l’invenzione di Corto Maltese, consegna al letto-
re una guida d’eccezione, capace di raccontarsi mentre partecipa
all’avventura. L’essenza straniera di Corto risiede anche in questo:
egli è insieme Virgilio e Dante, lontano cantore e personaggio prin-
cipale. Non ho scritto “eroe” perché Pratt è molto attento a far per-
cepire al lettore che Corto Maltese non è mai scontatamente eroico.
Anche quando le sue azioni si fanno coraggiose e persino temerarie
vi è sempre un motivo stringente a farle scattare. Corto non è eroico
per natura, quanto per occasione e circostanza. Queste sono però a
loro volta collegate a un flusso di sentimenti (l’amicizia ancor prima
dell’amore) e di valori (la parola data, il rispetto della vita umana), il
cui intreccio determina un’aura romantica con cui Pratt gioca come
il gatto col topo, facendola emergere per poi sotterrarla con una serie
di atteggiamenti cinici. Prima di degradarsi in una visione sarca-
stica, Corto Maltese agguanta la corda dell’ironia, e non la molla.
Questo atteggiamento gli consente un’altalena affascinante di slanci
e ritrosie, di empatie e disinteressi, di insegnamenti appresi e som-
ministrati. In un altro short tale (E di altri Romei e di altre Giuliette,
una delle cosiddette «Etiopiche»), Corto scappa da una battaglia,
abbandonando l’amico dancalo Cush. “È vero – gli fa dire Pratt in un
soliloquio – l’ho abbandonato… Ma perché non avrei dovuto farlo?
Per amicizia? Per lealtà?... Ma cosa dico?... Non devo giustificarmi
davanti a nessuno, io… Mi sentite?... Sono scappato! Ho avuto pau-
ra di morire e sono scappato… E scapperò tutte le volte che voglio…

22 Boschi Luca, Infuria la Grande Guerra, in Corto Maltese. Samba con Tiro fisso e
altri racconti, Gruppo Editoriale l’Espresso, Milano, p. 15.
106 Corto Maltese e la poetica dello straniero

Andate tutti all’inferno!” La chiosa di questa solitaria confessione è


ancora più esplicita: “Non sono un eroe io… Sono come gli altri…
E ho il diritto di sbagliare come tutti, tranquillamente, senza dover
ogni volta fare l’esame di coscienza…”
In realtà la “coscienza” è proprio uno degli aspetti caratterizzan-
ti la personalità del Maltese. E proprio i motivi che egli sembra
deridere nella confessione (“Per amicizia? Per lealtà”) sono quelli
più ricorrenti nelle sue esposizioni al pericolo. Già in quella stes-
sa avventura Corto sta per ammettere a Cush la propria fuga, ma
viene anticipato dall’amico dancalo, che confessa spudoratamente
di essere scappato a sua volta. L’atteggiamento gemellare di Cush
(abbiamo accennato in precedenza che l’eloquente guerriero è una
sorta di versione africana dello stesso Corto) solleva il morale del
marinaio e lo spinge al sorriso e a una frase perfettamente ironi-
ca per il lettore (“Bah, non te la prendere ragazzo. Sono cose che
succedono ai migliori guerrieri… Sei ancora giovane, Cush… Col
tempo cambierai…”), cui Cush replica con fastidio: “Non mi piace
il tuo atteggiamento”. Non sembra piacere nemmeno a Pratt l’atteg-
giamento di Corto, perché – fuor d’ironia – pesca nel paternalismo,
disposizione mollemente pedagogica, priva di pathos e al fondo et-
nocentrica. Proprio due caratteristiche che Pratt e Corto Maltese
rifuggono come patologie. Shamael, l’immortale deus ex machina
di questa e di altre storie, definisce Cush “Colui-che-non-avrebbe-
dovuto-nascere” e Corto Maltese “Colui-che-fa-finta-di-niente”.
Eppure l’indifferenza di Corto è solo apparente: l’angelo caduto
Shamael gli ricorda che egli è un semplice strumento nelle mani del
fato, “perché tutto quel che hai fatto stava scritto e doveva accade-
re”. La replica di Corto è il contrario di un elogio dell’indifferenza
o della dissimulazione: “Non c’è niente di scritto, Shamael, niente
che non si debba riscrivere un’altra volta!”
La pseudo-indifferenza di Corto Maltese è dunque una delle prin-
cipali caratteristiche del “gentiluomo di fortuna”, cioè un personag-
gio che insegue un proprio percorso esistenziale nel fiume della sto-
ria collettiva, cercando un (proprio) tesoro che ha poca importanza
se reale o virtuale. L’importante è che all’inizio vi sia una mappa,
cioè un insieme di coordinate che rendano appetibile una ricerca.
Alla fine dell’avventura, Corto sarà entrato in contatto con uno o più
Poetiche dello straniero 107

misteri, con uno o più problemi, con personalità eroiche o disturbate


(o entrambe). Tutti questi elementi generano un pathos che può ave-
re come epilogo anche solo un lungo silenzio, uno sguardo posato
sull’orizzonte in cui l’io irrisolto del personaggio possa specchiarsi
dopo aver accumulato altra esperienza vitale.
Il “gentiluomo di fortuna” deve – per esigenze di copione – dar
prova di intelligenza, soprattutto nell’applicazione della capacità di
raccordare gli eventi, notando ogni irregolarità. Per questo non c’è
bisogno di sfoggio di conoscenza: l’avventuriero delle prime storie
raccontate da Pratt si limita ad accompagnare gli eruditi e non a so-
vrapporsi ad essi (come nei casi del professor Steiner o dell’antiqua-
rio Levi Colombia).
È da Corte sconta detta arcana (1974-1977) e soprattutto da Fa-
vola di Venezia (1977), che il gentiluomo di fortuna Corto Maltese
assume l’ulteriore personalità di viaggiatore erudito e di intellettua-
le esoterista. In Corte sconta lo vediamo in ben due occasioni e in
due ambienti diversi (Venezia e Hong Kong) maneggiare l’Utopia
di Tommaso Moro. In entrambi i casi l’Utopia è presentata come un
libro che il marinaio non è mai riuscire a finire. Gli viene sonno. Lo si
può capire: il libro di Moro è un saggio in forma di romanzo, l’espli-
citazione di un’ideologia attraverso una trama assai lenta e di manie-
ra. L’atteggiamento di Corto potrebbe sembrare una resa di fronte alla
necessità di una lettura di studio, e non di sola – per quanto gradevole
– evasione. Eppure nel sonnolento rovello di Corto Maltese c’è un’ac-
celerazione psicologica, perché proprio una riflessione intellettuale
viene inserita implicitamente nel racconto. Rifiutando di immergersi
nel testo e nelle sue fatiche di lettore, Pratt prende posizione per un
sapere stimolante, capace di inserirsi nel flusso emotivo del lettore
e di comunicare anche oltre il versante analitico del contenuto. “Si
può scrivere in un altro modo”, sembra dire Corto. Eppure, resta la
curiosità per quel testo così com’è, anche nei suoi aspetti respingenti.
Resta il desiderio di sapere, e quindi Pratt/Corto vuole leggere. Pratt
lesse testi che lo respingevano, anche opere che in quegli anni erano
obbligate, come pezzi della produzione marxiana ed engelsiana. Non
gli piacquero, ma li lesse. Corto può liberarsi con una battuta di que-
sta insoddisfazione prattiana, prendendosela con uno degli archetipi
della letteratura filosofica della modernità: “Questo libro non sono
108 Corto Maltese e la poetica dello straniero

mai riuscito a terminarlo”. Tuttavia non c’è nulla di più sofisticato di


certi piccoli anti-intellettualismi, magari tranquillizzanti per il lettore
non specializzato in saggistica (che potrà così sentirsi in buona com-
pagnia), ma senz’altro divertenti per il lettore super-colto. Il quale
avrà un secondo momento di gratificazione in Corte sconta sentendo
(leggendo) Corto Maltese recitare a memoria più di un verso del po-
emetto di Coleridge Kubla Kahn, duettando con il visionario barone
Ungern-Sternberg. Il gentiluomo di fortuna è arruolato nella nuova,
sorprendente legione degli avventurieri-intellettuali.
Il settore in cui la nuova vena di Corto sarà evidente è la lettera-
tura esoterica, prevalentemente a sfondo massonico. Nella Favola
di Venezia, appena riavutosi da una rovinosa caduta dal lucernaio
del palazzo dove si sta svolgendo una riunione della loggia Hermes,
interloquisce con il Grande Maestro che sta presiedendo la riunio-
ne con una competenza tale da sentirsi chiedere se egli sia un “fra-
tello”. Vale la pena ripetere la battuta di Corto: “No. No. Spero di
essere solamente un libero marinaio”. L’atteggiamento di distacco
nei confronti di ogni istituzione, cui Pratt aveva rinunciato entrando
ufficialmente nella Massoneria di rito scozzese (1976), viene trasfe-
rito su Corto. L’abito dello straniero non deve essere abbandonato,
perché l’appartenenza può provocare ortodossia e limitazioni: Corto
Maltese non è nato per accettare questi aspetti dell’appartenenza.
Ecco quindi un “libero marinaio” e non un “libero muratore”; un
erudito e un competente, non un affiliato.
Pirata, gentiluomo di fortuna, intellettuale “laterale”: è la terza
tappa di una metamorfosi che ha al proprio centro un istinto noma-
de e il rifiuto di ogni predicazione. La prima è precisata dai tanti
spostamenti transcontinentali delle sue avventure, la seconda dalla
filosofia solitaria del personaggio. La personalità rappresentata da
Corto Maltese è immersa nella solitudine: si lascia intendere che
le sue avventure siano l’intermezzo di una vita prevalentemente
solitaria, forse autosufficiente. Come tutti i caratteri che riescono
a gestire la solitudine, Corto Maltese è quasi sempre ben accetto in
compagnia. In questo caso funziona la logica dello “straniero con il
lasciapassare”: l’esperienza esistenziale, costruitasi in una giovinez-
za precocemente avventurosa, è l’aura che circonda il personaggio,
cui nessuno sembra immune. Il dono/talento di Corto è il carisma,
Poetiche dello straniero 109

uno stato di grazia nel suo caso costruito sulla figura dello straniero
che maneggia i simboli delle personalità con cui entra in contatto.
Persino il modo di combattere di Corto è simbolo di una ricerca
della contaminazione e della fusione (citazioni di lotte occidentali,
come il pugilato, e orientali, come le arti marziali), così come il suo
modo di interloquire, di citare e di trarre solitarie conseguenze dalle
avventure consumate. “Ma dimmi, dove vai adesso?” – gli chiede
Cush al termine di un’avventura etiopica. “Non lo so, Cush… Lonta-
no…” Corto Maltese aderisce fino in fondo a un ambiente, ma per un
periodo limitato. Il suo obiettivo è movimentare tutte le insorgenze
simboliche possibili. Per poi allontanarsi.
Mettere gli oceani tra un’avventura e l’altra è una delle speciali-
tà di Corto. La pausa solitaria non impedirà di poter esibire, anche
dall’altra parte del mondo, un nuovo lasciapassare. L’apolide incar-
nato da Corto Maltese ha da offrire ovunque un reiterato esotismo,
da cui irradiano pratiche avventurose dove la realtà cognitiva che
interessa Pratt – compatibilmente con le esigenze delle testate che
pubblicano i suoi lavori – prende forma in modo complesso, come
nell’edificazione di un’architettura eclettica.
Ne La casa dorata di Samarcanda l’esoterismo della setta dei
Nazari cattura l’interesse di Corto, dall’interno di vicende storiche
dettagliatamente riportate e reinterpretate da Pratt, che riesce a fare
del suo personaggio un elemento interessante per le forze in campo
nell’agitato preludio alla vittoria di Kemal Ataturk nella Turchia
degli anni ’20. L’espediente per giustificare l’interesse universale
nei confronti di Corto in questo caso è la contemporanea esistenza
di un suo sosia, il terribile Chevket, mercenario carnefice di arme-
ni. Morirà per mano di Rasputin, lasciando Corto pieno di curiosità
insoddisfatta per un incontro con un altro “se stesso” che non ha
mai avuto luogo.
Anche il rapporto del marinaio con Venezia è del tutto speciale:
malgrado il suo passaporto dichiari Malta la sua patria, Corto appare
a proprio completo agio nella città lagunare, a passeggio da solo o
confidandosi con un gatto randagio, come se ci fosse nato. Corto
conosce Venezia nei suoi angoli magici, sa leggere le antiche iscri-
zioni, sa quali sono le porte che fanno da passaggio ad altri mondi.
Lo straniero apolide ha una sola patria possibile, e questa è Venezia.
110 Corto Maltese e la poetica dello straniero

Una città dove nessuno, nemmeno i nativi, può avere radici, perché
la terra dove piantarle è in realtà acqua. Seguendo un’ovvia meta-
fora, Venezia è in realtà “sogno”. La dimensione onirica di Corto
Maltese, così presente nelle sue avventure, parte da qui, dall’origine
veneziana del suo autore.
Il sogno è un elemento importante della costruzione della poeti-
ca dello straniero: Corto Maltese sogna spesso, sia negli interstizi
creati dal delirio febbricitante indotto da un grave ferimento, sia nel
regno del sonno magico. Nel Sogno di un mattino di mezzo inver-
no si addormenta a Stonehenge, circondato dagli spiriti leggendari
d’Inghilterra, mago Merlino e fata Morgana. Nel sogno sarà parte
di uno sventato attacco tedesco al suolo inglese, ma al risveglio non
riuscirà a capire se l’avventura si è svolta davvero o se è stata solo un
ghirigoro della sua immaginazione. Nella Casa dorata di Samarcan-
da, dopo aver ricevuto un pugno particolarmente pesante, vede un
burattino prendere le forme di Rasputin e quindi entra in un paradiso
dove gli scarafaggi diventano bellissime farfalle e dove Pandora si
accompagna a una luna araba. Poco prima, complice un narghilé, ha
sognato di incontrare se stesso e di mettersi in contatto con Raspu-
tin. Il sogno è parte organica della morfologia prattiana, e contesto
in cui la poetica dello straniero – in questi casi straniero anche a se
stesso – tende all’astrazione. Corto diventa una forma in perenne
precisazione, il cui significante è uno stato di oscillazione tra realtà
e irrealtà, che il sogno ben interpreta.
La parte finale delle narrazioni di Corto Maltese tende all’astra-
zione, mettendo il personaggio in condizione di farsi medium. Inten-
do questo termine nell’accezione di Marshall McLuhan23, ovvero il
medium (il mezzo di comunicazione) è un’estensione dei sensi uma-
ni. La parola detta estende il senso dell’udito, la scrittura estende il
senso della vista, i mezzi di trasporto in genere estendono il senso
del tatto. Ciò che importa a McLuhan è uscire dallo schematismo
della visione dei media come effetti causati dai contenuti della co-
municazione di massa. Infatti il teorico canadese propone l’aforisma
“the medium is the message”, intendendo con ciò che – al di là dei
singoli contenuti che un singolo medium fa filtrare (ad esempio un

23 Cfr. McLuhan Marshall (1964), Gli strumenti del comunicare, op. cit.
Poetiche dello straniero 111

talk show o un quiz per il mezzo televisivo) – l’aspetto su cui occor-


re concentrare l’attenzione è la forma tecno-sensoria che assume il
medium in sé.
In che senso Corto Maltese può essere considerato un medium?
La sua definizione grafica – come si è rimarcato più volte – tende
alla sottrazione dei segni. Pratt toglie linee e addensamenti grafici,
semplificando la figura del marinaio. A questa pratica segnica inno-
vativa si accompagna una forma di astrattizzazione del personaggio:
Corto Maltese appare sempre più come un simbolo dell’avventura a
sfondo magico-esoterico, capace di muoversi tra generi letterari diver-
si e liberato dai vincoli umani dell’avventura. Mi riferisco alle ultime
tre storie di Corto, cui aggiungerei anche La jeunesse de Corto Mal-
tese pubblicata per prima volta in Francia sul quotidiano «Le Matin
de Paris», una storia in cui il giovane Corto appare solo in coda al
racconto. Abbiamo segnalato che si è trattato anche di una costrizione
editoriale, giacché la direzione de «Le Matin» rimandava di settimana
in settimana la colorazione del fumetto, che avrebbe sostituito il bian-
co e nero delle strip quotidiane con una striscia policromatica in onore
dell’epifania del protagonista. Seppure dunque è vero che la scarsa
presenza del giovane Corto nella storia è dovuta a un non felice in-
ghippo editoriale, è tuttavia anche vero che il racconto si regge “anche
senza Corto”. Ciò vuol dire che l’atmosfera prattiana può contare su
un carattere talmente forte da potersi persino permettere l’absentia, e
un ruolo certamente laterale nell’economia dell’intero episodio, senza
che il clima narrativo prattiano sia messo in discussione.
In Tango, invece, Hugo Pratt dimostra di padroneggiare una spe-
cifica connotazione di genere, il giallo. È una storia a tinte fosche
e malinconica, e al centro c’è il caso della scomparsa di un’amica
di Corto. Il marinaio, giunto a Buenos Aires, comincia una vera e
propria investigazione, mettendosi nei panni per lui inusuali del de-
tective. In fondo, si potrebbe dire, il giallo è solo un altro tipo di av-
ventura. Detto in altri termini, il personaggio è così forte da potersi
spostare senza patemi da un genere all’altro. La detective-story di
Tango è la dimostrazione che Corto Maltese è un personaggio-me-
dium, la cui aura esotica può trasferirsi anche nella dimensione me-
tropolitana perché è lui stesso, con la sua presenza e il suo carisma, a
garantire l’estensione della carica avventurosa del racconto.
112 Corto Maltese e la poetica dello straniero

È tuttavia negli ultimi due romanzi grafici di Corto, Le elvetiche e


Mū, che è più percepibile l’ultima metamorfosi del marinaio di Pratt.
Nel racconto di ambientazione svizzera, Corto Maltese prima dimo-
stra di padroneggiare testi ermetici di grande difficoltà (da Paracelso
a Trithemius di Praga), poi diventa l’anello di congiunzione tra il
sogno e la realtà, per quanto si tratti della realtà di un luogo a forte
caratterizzazione magico-esoterica come la cittadina in cui visse (e
nel racconto vive) Herman Hesse. Più ancora: nella casa di Hesse e,
soprattutto, nella sua biblioteca. I libri sono ancora una volta l’ogget-
to sapienziale grazie al quale si determina un nuovo spazio-tempo:
la fantasia magica del nuovo viaggio di Corto Maltese si organizza
intorno ai cicli mistici del Graal, che fanno però da summa arcana al
cui termine vi sono il Santo Calice e la Rosa Alchemica. Si tratta di
un altro tassello sapienziale che spinge il marinaio/medium verso il
superamento delle prove iniziatiche, come testimonia il processo cui
viene sottoposto da parte di un tribunale presieduto da un demonio
in forma di caprone. Come sappiamo il marinaio sarà assolto da ogni
accusa, grazie alla testimonianza delle entità incontrate nella fanta-
sia mistica, tutte pronte a dichiarare un’ottima disposizione di Cor-
to nei loro confronti e un’intima solidarietà con la sua condizione
di attraversatore di mondi. Solo allora giungerà il sonno, anch’esso
magico e tuttavia coincidente con il verdetto del tribunale letto da
Rasputin (e da chi se no?): “… E lasciato in piena libertà di ritornare
in quel suo mondo che farebbe bene a dimenticare”. Il diavolo ag-
giunge che se Corto Maltese cambiasse idea un posto “qui da noi”
lo troverà sempre. L’essenza straniera del Maltese si accompagna
dunque anche nei territori del sogno all’approdo di una nuova “co-
munità provvisoria” (e immediatamente abbandonata), depositando
però un estro e una passione che non mancano di essere colti come
partecipazione attiva anche nella dimensione onirica. Dimostrazione
dell’avvenuto passaggio tra sogno e realtà sarà un ennesimo oggetto
simbolico, l’anello regalato a Corto da messer Klingsor, capace di
resistere alla barriera del sonno e di ripresentarsi nella vita “reale”
del marinaio. Il quale, per non smentire la propria originaria natura
avventurosa, preferirà lasciare il vecchio amico professor Steiner e
l’elegante Hermann Hesse a un congresso di esoteristi per accompa-
gnare la pittrice Tamara de Lempicka a Zurigo.
Poetiche dello straniero 113

In Mū, la città perduta Corto Maltese è di nuovo immerso fino al


collo nel magico. Qui l’oggetto del desiderio avventuroso è il mito
di Atlantide, non esattamente un tema semplice. Un oggetto che non
si può studiare senza perdersi in una miriade di riferimenti colti (a
partire dai dialoghi platonici Timeo e Crizia) e di balordaggini sen-
za fonte e senza fine. Qualcosa che implica uno smarrimento, se si
vuole intuire una vera pista cognitiva. Vi è una sorta di convocazione
di gruppo per attendere all’impresa: a bordo della nave su cui risa-
le Corto Maltese in versione palombaro si riconoscono alcuni dei
personaggi che hanno fatto da spalla alle avventure del marinaio,
tutti coinvolti nell’impresa, da Bocca Dorata a Steiner all’imman-
cabile Rasputin. Una nave, un’isola, un infittirsi di antichi simboli:
il magico dentro cui Corto e i suoi sodali fluttuano ha questa volta
le forme di un video-game più che di un sogno, o quantomeno di
un video-gioco onirico. Corto recupera la fisicità delle prime av-
venture, uccide un enorme caimano e sopravvive alle sabbie mobili,
sfida e combatte una quantità di mostri che sembrano usciti da un
libro di mitologia, risolve enigmi e si immette in una delle figura-
zioni primordiali dell’intelletto umano e della sua abilità di costruire
complessità: il labirinto. Ma è ancora Corto? Non ne è piuttosto una
specie di proiezione a cartoni animati, che lo riconfeziona come un
pupazzo senziente dalle linee morbide ed essenziali? Mentre i colpi
di scena si moltiplicano a dismisura e assumono la parvenza di livel-
li successivi di un gioco, il finale si avvicina. L’isola del labirinto,
dei mostri partoriti da un profluvio di materiale mitologico, dell’en-
trata magica nel continente scomparso, salta letteralmente in aria.
Nel frattempo Bocca Dorata si è stancata di aspettare il marinaio e ha
ordinato di mollare gli ormeggi portando con sé il vecchio Steiner,
mentre altri amici sono volati via in mongolfiera prima dell’esplo-
sione vulcanica e qualcuno è addirittura rimasto nelle pareti segrete
di un mondo scomparso, chissà in quale segreto strato di mondo.
Corto ha davanti a sé il solo Levi Colombia, l’erudito antiquario so-
pravvissuto per miracolo (ennesima magia) al video-gioco esplosi-
vo. “Credo siano successe molte cose… – confessa Corto Maltese a
Levi Colombia – Ma non ho le idee molto chiare. Forse bisognereb-
be ricominciare.” E aggiunge: “Forse”. Non sono (forse) il dubbio
e l’ansia di ricominciare tipici di ogni straniero? Dopo aver avocato
114 Corto Maltese e la poetica dello straniero

a sé tutte le strategie narrative per proiettare il suo patrimonio di


conoscenze note e segrete in un ampio crogiolo fanta-archeologico
Pratt accompagna la propria creatura verso un ennesimo “altro”, av-
vicinando Corto Maltese e Levi Colombia a una giunca, mezzo di
trasporto che recita tutte le promesse di una ripartenza nel solito –
seducente e immenso– mare salato.

Di altri stranieri

Corto è l’evoluzione decisiva della poetica dello straniero. Attra-


verso il marinaio maltese Pratt costruisce una narrativa capace di
autosviluppo, centrandola sulle trasformazioni di un avventuriero
che ha una patria solo nominale (Malta) e una patria solo letteraria
(Venezia), si sposta incessantemente tra scenari lontani a prevalenza
esotica, svolge un ruolo di protagonista o di lussuoso comprimario
nelle vicende storiche della sua epoca, rinuncia progressivamente
all’illegalità delle sue intraprese, non rinuncia a un’aura romantica
temperata dall’ironia, si trova spesso a fianco di vari tipi di ribelli.
Non sembra avere problemi economici.
Corto Maltese è uno straniero privilegiato, gentiluomo di fortuna
in un’epoca che si va affrancando definitivamente dai valori caval-
lereschi ereditati da un lontano passato. Non ha legami, è nomade e
autosufficiente. Pratt va a cogliere le storie in luoghi inusuali del rac-
conto a fumetti – prevalentemente dominato dall’estetica metropo-
litana, da Yellow Kid a Spiderman, da Diabolik a Zanardi – mesco-
lando il suo personaggio all’esotismo ambientale e facendolo agire
come una guida ai mondi estremi. Lo rifornisce di riferimenti colti
ed eruditi, che lo portano a discutere e ad agire con una comunità di
esperti anch’essa cosmopolita, dove Corto Maltese si trova a proprio
agio. Ma non è mai interamente uno di loro: il marinaio ha introiet-
tato l’arte dell’apolide. Ha un lasciapassare permanente, l’aura dello
straniero, comunicata dal suo sguardo e da un abbigliamento dandy
portato con disinvoltura.
Il non-essere-mai-parte è caratteristica centrale anche di tutti gli
altri personaggi di Pratt esaminati. Vale per El Muerto, per il sgt.
Kirk, per Luca Zane, per Simon Girty. E vale anche per il meticcio
Poetiche dello straniero 115

Jesuit Joe, l’uomo del Grande Nord. E per Koinsky degli Scorpioni
del deserto. In tutti questi casi si tratta della costruzione di un tipo
letterario ruotante su una condizione di sradicamento forzato (Simon
Girty, Jesuit Joe, El Muerto) o di volontario abbandono delle radici
(Kirk, Luca Zane, Koinsky). Corto Maltese presidia una posizione
intermedia, perché ha in tasca un passaporto britannico con lo stem-
ma di Malta ma si comporta da perfetto apolide. Quanto più la condi-
zione sradicata del personaggio è percepita come una violenza, tanto
più l’atteggiamento dello straniero sarà connotato da aggressività
(Jesuit Joe, El Muerto). Kirk e Luca Zane sembrano invece aver mes-
so in gioco un certo equilibrio caratteriale dovuto al relativismo cui
li ha condotti la pratica di culture diverse. Corto Maltese perfeziona
questo atteggiamento, sapendo entrare in intimità con esponenti di
culture situate a latitudini opposte perché in grado di coglierne tratti
comuni, e perché vaccinato contro i pregiudizi. Non dà per scon-
tato che l’erudizione sia prerogativa occidentale, e che un dancalo
seminudo non possa recitare a memoria versi bellissimi e offrire un
tè. Non ha nemmeno lo stupore di Koinsky per questi accadimenti,
indicatore di un – pur blando – paternalismo etnocentrista.
La figura di Corto Maltese è il modo di Pratt di assecondare la
propria natura di eterno straniero e insieme di intervenire sulla storia
delle idee della modernità. Fornendo un punto di vista eccentrico,
spostando la storia in scenari desueti e talvolta nascosti e marginali,
facendo emergere rabbie e inquietudini, perseguendo una maggior
comprensione delle nature umane, usando la scorciatoia dell’avven-
tura per mettere in risalto riferimenti letterari e culturali, Pratt deli-
nea una poetica dello straniero che si fonda su una filosofia critica
della modernità. Forse, almeno in parte, il mondo in cui ha vissuto
non gli era sgradito. Probabilmente gli piaceva la libertà di movi-
mento garantita dalle condizioni della globalizzazione, il fatto di po-
ter continuamente evadere dalle routine con spostamenti verso i tanti
altrove dei continenti. Eppure ha disegnato il passato, manipolando
materiali letterari e autobiografici fino a ottenere una scena ideale,
quella del ventennio delle avventure di Corto, un primo Novecento
capace di accogliere guerre e caccie al tesoro, tribù amazzoniche e
cangaçeiros, scrittori memorabili e leader politici, maghe immortali
e folletti, indipendentisti e visionari dal cervello vacillante.
116 Corto Maltese e la poetica dello straniero

Anche i folli hanno la loro parte in commedia. Tanti personaggi


vivono una condizione di estraneazione, e si rifugiano in un pro-
prio linguaggio e in una propria grammatica avventurosa, talvolta
quasi commovente. Attori girovaghi e svitati si possono incontrare
anche in terra turca, burattinai geniali e impazziti possono animare
i palcoscenici degli spettacoli offerti ai soldati britannici, vendito-
ri di armi che hanno perso la ragione possono aggirarsi nelle terre
dancale, disertori malinconici e visionari lasciarsi morire nelle pa-
ludi caraibiche: sono tutti stranieri, anche a se stessi. Hanno rotto la
connessione con il loro spazio-tempo, e sono capitati in una terra di
mezzo dove ogni mossa li avvicina alla fine. Corto Maltese intercet-
ta questa forma estrema dello straniero: percepisce l’estraneazione
come possibile esito del malessere connaturato alla condizione del
nomade e dello sradicato, tenta di stabilire dei ponti comunicativi,
di trasmettere empatia. L’estraniato è lo straniero estremo, e Pratt lo
tratta sempre con grande riguardo. Più il viaggio è complesso, più
è possibile perdere il filo della propria identità. Non è un caso che
Rasputin, imprevedibile ed esagitato, assuma spesso l’autorità del
deuteragonista. Corto Maltese guarda l’estraniato con un misto di
commiserazione e di curiosità: sa che la frontiera della razionalità
adattativa che lui pratica è aperta al magico e all’irrazionale. Guarda
dunque il maelström, cercando di sfuggire al suo richiamo.
CAPITOLO III
LA STRANEZZA DELLO STRANIERO:
IMPLICAZIONI TEORICHE DI CORTO MALTESE

Che tipo di straniero è Corto Maltese? La sua figura letteraria ha


le sfaccettature di un carattere molto elaborato e molto costruito, non
solo difficile da rinchiudere in una tipologia rigida ma apertamente
disposto a identità multiple. Per esempio uno studente educato al
Talmud e alla qabbalah, un giovane e intraprendente uomo di mare,
un pirata-gentiluomo, un cercatore di tesori, un viaggiatore, uno stu-
dioso di ermetismo, un amico dei ribelli e dei trattati ingiustamente,
un relativista culturale, un quasi-apolide, un personaggio capace di
entrare e uscire dalla dimensione del sogno.
La poetica dello straniero di Pratt si riferisce a un insieme di temi
e di scenari che hanno bisogno di ampio spazio teorico per funzio-
nare, perché si tratta di una questione che riguarda la civiltà umana
fin dal suo principio. Da sempre vi è qualcosa di minaccioso ne-
gli stranieri: essi sono fuori (extra) dalla nostra cerchia, comunque
connotata. I Greci li chiamavano barbaroi, e in quell’accezione che
mescola l’estraneità a una natura primitiva e violenta ancora oggi li
consideriamo e li immaginiamo attraverso il comando automatico
di un pregiudizio costruito nello spirito bellico della storia. Eppure,
sempre per i Greci, non appena era sospesa la battaglia il barbaros
assumeva i caratteri dell’ospite, xénos, cui era dovuta accoglienza
sacra. Emerge dunque una sostanziale ambiguità del termine “stra-
niero”, rinvenibile fin dall’antichità nell’altalena percettiva oscillan-
te tra paura e cura, difesa aggressiva e disponibilità.
Dovessimo cercare le tracce della figura dello straniero nei classici
delle scienze sociali ci troveremmo invece di fronte a gruppi sociali
fragili, che hanno subito lo sradicamento come condizione necessa-
ria per la sopravvivenza. Lo straniero da molto tempo si identifica
con colui che è costretto per necessità a lasciare il proprio paese, il
migrante. Corto Maltese non lo è. Si sposta per ispirazione esisten-
118 Corto Maltese e la poetica dello straniero

ziale, perché non si attiene all’abitudine della vita in patria. La sua,


peraltro, è una piccola isola del Mediterraneo: come dire un luogo
placentare che spinge ogni avventura verso l’esterno, riconoscendo
il mondo come destino globale. Corto Maltese non è un espropriato
o un estraniato, non viaggia sospinto dallo stato di necessità, ma
dallo stato del desiderio.
Ha caratteristiche in comune con lo straniero descritto da Werner
Sombart. Il sociologo tedesco parte da gruppi religiosi minoritari
(gli ebrei, i marrani) per farne vettori fondamentali della genesi del
capitalismo. Anche Corto Maltese appartiene a una religione mino-
ritaria (addirittura il raro cainismo, come abbiamo visto), e anch’e-
gli fa fruttare la sua condizione di straniero per tessere le proprie
tele economiche da “gentiluomo di fortuna”. Tuttavia il Maltese non
accumula e non sembra avere in mente un disegno espansivo del
proprio capitale. Completamente catturato dalle contingenze che
compongono la longue dureè di una vita di avventure cosmopoliti-
che, Corto Maltese è un capitalista sombartiano mancato, forse più
connesso ai valori dell’aristocrazia romantica che a quelli del dina-
mismo industriale. Ciò che manca al marinaio per riconoscersi in
un imprenditore non è lo spirito combattivo o l’ardimento, quanto
l’interesse per il profitto in sé. Un buon affare è per lui solo una
delle conseguenze possibili dell’avventura, il cui pieno godimento
è indipendente dal ritrovamento di un tesoro o dalla vendita di un
carico d’armi. Se il tesoro non si dissolve e il commercio va a buon
fine si può brindare una volta di più, ma non è per questo che Corto
Maltese ha viaggiato, ha congetturato, si è documentato e informato,
ha discusso, si è battuto, è sopravvissuto e si è rimesso in viaggio.
La sequenza dice una parte delle azioni tipiche del marinaio, e ne
tace tante altre, tra cui amare, sognare, istruirsi, stupirsi, fare finta
di niente. Fare profitto non pare comunque rientrare nelle priorità di
Corto Maltese. Gli servono soldi, talvolta con urgenza, ma sembra
averli, o sembra poter contare su quelli dei suoi finanziatori. Corto
Maltese è un organizzatore che tuttavia non ammette di porsi alle di-
pendenze di qualcun altro: sia con Levi Colombia, sia con il Mona-
co, sia con Morgana o Bocca Dorata egli non è mai uno stipendiato,
seppure di lusso. Il marinaio è piuttosto una specie di socio, colla-
boratore indispensabile all’impresa, e per questo ad essa associato,
La stranezza dello straniero: implicazioni teoriche di Corto Maltese 119

senza badare al suo capitale. Nel caso di Corto, il capitale è tenden-


zialmente sociale e relazionale. L’interazione strategica è il pensiero
di Pratt sullo straniero. Il narratore spinge il proprio personaggio ad
avvicinarsi a figure che non passano inosservate – non sempre per
caratteristiche positive, come nel caso di Rasputin – dalle quali Cor-
to è riconosciuto e legittimato. Corto Maltese non è di nessun luogo
e non appartiene ad alcuna comunità stabile: è dunque una sorta di
iper-straniero. Quando si manifesta in un ambiente, viene immedia-
tamente riconosciuto nonostante la sua lunga assenza. È il tempo
passato da Corto in ogni altrove che rende l’ambiente della sua epi-
fania un luogo interessante. Ovunque si manifesti, Corto Maltese te-
stimonia con la sua sola presenza – con il suo marchio – che si tratta
di un luogo dove vivere un’avventura, cioè tempo aumentato. Fino
a che il marinaio è presente in uno dei suoi altrove, i personaggi che
gli stanno dintorno sembrano rendersi conto dell’eccezionalità della
situazione e danno narrativamente il meglio di sé, mai indifferenti
al fascino dello straniero e sempre disposti nei suoi confronti con
sentimenti accesi, anche se solo in pochissimi casi – forse mai – oc-
casionali antagonisti giungono all’odio.
Lo straniero cantato da Pratt non soffre la propria condizione,
sembra anzi agognarla. Di Corto Maltese noi sappiamo in anticipo
che chiuderà la sua avventura dirigendo altrove la sua imbarcazio-
ne, o più spartanamente prendendo in spalla il sacco da viaggio e
allontanandosi in una nuvola di pensieri. Siamo agli antipodi di una
condizione costretta dal bisogno. I milioni di stranieri che giungeva-
no ogni anno negli Stati Uniti da mezzo mondo nello stesso periodo
in cui Corto viveva le sue più note avventure hanno poco o nulla a
che vedere con lo straniero di Pratt. I migranti, che non posseggono
niente, vanno verso una terra del cui linguaggio sperano di poter
presto impadronirsi, per poi trovare lavoro e mettere su casa vicino
a dei compatrioti, meglio ancora se compaesani. Corto Maltese non
ha problemi di denaro, conosce le lingue dei luoghi dove approda,
non vuole trovare lavoro e non vuole mettere su casa. Ogni tanto si
crea un rifugio – ad Antigua, a Hong Kong – , più spesso è ospite di
amici (da Bocca Dorata a Venezia, per esempio).
Eppure, anche se non ha i caratteri del migrante, Corto Maltese è
per certi versi l’apoteosi dello straniero. Lo è perché sintetizza una
120 Corto Maltese e la poetica dello straniero

profondità ancestrale nell’essere altro, e lo fa circondato da un’aura


che potrebbe definirsi mitologica. Nella zattera cui Pratt lo lega all’i-
nizio di Una ballata del mare salato sembra di riconoscere l’essenza
del naufrago, da Omero a Melville, da Shakespeare a Conrad.
Si guardi come Pratt riesce a far viaggiare il marinaio negli itine-
rari più esplosivi della civiltà un tempo chiamata mesopotamica ne
La casa dorata di Samarcanda, ora (nel tempo di Corto) squassata
dalle rivoluzioni nazionaliste e da quelle socialiste, e dove religioni
antiche ancora regolano la vita sociale di masse di semplici fedeli
e di autentici iniziati, e dove si aprono varchi di ogni tipo per gli
irregolari, di cui Corto Maltese è il riflesso elegante e disincantato.
Fotografato nella cornice perfettamente moderna del primo Nove-
cento, l’eroe di Pratt fa crescere la propria epoca nella produzione di
imprese memorabili, non per oggettiva grandezza ma per intensità
e complessità intellettuale, caratteristiche che inglobano anche gli
inconsueti scenari periferici (ed esotici) degli avvenimenti.
Pratt non si spinge al postmodernismo, non fa di Corto un’icona
indipendente dal tempo, capace di incontrare grandi e piccoli perso-
naggi del lontano passato. Corto Maltese non è un immortale come
The Sandman di Neil Gaiman. Immerso modernamente nel ciclo che
precede e oltrepassa la prima guerra mondiale, Corto Maltese non
viaggia liberamente nel tempo come fosse un carattere universale
elementare. È un personaggio della storia della modernità, e dunque
limitato e bloccato in essa. Tuttavia la sua costruzione moderna, sca-
turita dal tempo scelto e amato da Pratt (si tratta in fondo dell’epoca
che ne incubò la nascita), non è aliena da sentori mitologici. Quando
porta messaggi, o persegue un sogno sapienziale, o quando inganna
gli avversari e persino quando abbandona la scena dell’azione dopo
aver pronunciato una battuta tagliente o una frase malinconica, Cor-
to Maltese rivela una natura mercuriale che ben si sposa con la ten-
denza alla gnosi esoterica che tanto coinvolse Pratt e in cui proprio
l’ermetismo svolge tanta parte. Elementi ermetici sono infatti costi-
tutivi dell’intrigante miscela di cui è fatto Corto, tanto da costituire
una tappa fondamentale della sua evoluzione cognitiva.
Hermes/Mercurio ama mescolarsi agli uomini assumendone la
forma, protegge i commercianti, i ladri, gli avventurieri e i viaggia-
tori, ispira la parola fluente ma – allo stesso tempo – sovrintende i
La stranezza dello straniero: implicazioni teoriche di Corto Maltese 121

silenzi e gli stati sospesi. Il carattere mercuriale sembrerebbe dun-


que adattarsi al profilo di Corto Maltese. Se a questo aggiungiamo
che Hermes è il primo dio che pretende di conquistare la postazione
olimpica grazie alla propria capacità autopromozionale e ai propri
talenti (egli rivendica di fronte al padre Zeus le proprie prerogative
divine e chiede a gran voce di essere accolto tra i suoi pari grado)
abbiamo elementi sufficienti per delineare una protezione mitolo-
gica mercuriale per Corto: la stessa iniziale apparizione di Hermes
è quella di uno straniero. Uno straniero di tipo particolare: un in-
truso. Hermes si presenta nelle forme di un bambino velocissimo
e ingannatore: così il dio – come ladro dei sacri armenti affidati a
Febo Apollo, mentitore, geniale inventore del fuoco e della lira non-
ché bambino-retore – si presenta inizialmente agli occhi di Zeus e
del fratellastro (Febo). È dunque personaggio che innova il ciclo
olimpico trasportando nel consesso degli dei una personalità sfac-
ciatamente umana, nei cui tratti si nascondono di frequente l’ironia
e il gioco. Anche se come messaggero di Zeus (e di Ade, signo-
re degli inferi) Hermes diventa parte in causa di vicende tragiche e
complesse (come nell’Iliade e nell’Odissea), il dio dai sandali alati
vive nella condizione della trasformazione permanente, addirittura
abitando due mondi. Come araldo del dio degli inferi Ade impiega
infatti parte della sua esistenza ad accompagnare le anime dei morti
nel Tartaro (Hermes psicopompo).
Anche Corto Maltese si conforma a un regime di frequenti trasfor-
mazioni: cambia ruolo sociale e, come abbiamo visto nel primo e nel
secondo capitolo, interpreta la poetica dello straniero passando da
naufrago a pirata, da pirata a gentiluomo di fortuna, da gentiluomo
di fortuna a intellettuale avventuriero, da intellettuale avventuriero a
esperto di esoterismo e da questo a figura che scivola nel flusso oniri-
co, fino a farsi puro medium comunicativo, artefice della coesistenza
di più mondi nel proprio. Nel sogno, ambito evocato in più occasioni
(si pensi in particolare ad alcuni racconti delle Celtiche e delle Elveti-
che), riesce a Corto Maltese di lacerare ciò che è negato dal realismo
modernista: il marinaio nel sonno si libera dei suoi ancoraggi diacro-
nici e viaggia in più direzioni, offrendosi come interlocutore di santi
e di guerrieri medievali, di eretici e di maghi. La dimensione dello
straniero si compone così di strappi poetici, fino ad accostare a Cor-
122 Corto Maltese e la poetica dello straniero

to Maltese figure che hanno interessato Pratt, portandolo a elaborare


una sorta di contro-storia “ermetico-iniziatica” delle fonti narrative sul
pianeta. Pratt scommette di continuo sulla capacità seduttiva del mari-
naio anche in presenza di personaggi grandi, complessi e leggendari.
Nella modernità (attualità prattiana) Corto incontra Herman Hesse,
nella sur-realtà onirica – portatrice di una sorta di postmodernismo
magico prattiano – Corto incontra Jeanne D’Arc e Judah di Iscari-
oth, Gilles de Rais e Mago Merlino (già intravisto in terra irlandese in
un’altra celebre avventura, Il sogno di un mattino di mezzo inverno).

Come funziona il gioco di Pratt? Perché un tale genere di “stra-


niero” riesce ugualmente gradito a personaggi di sciamani e militari,
scrittori e scienziati, profeti e rivoluzionari, maghe e principesse?
Se restiamo nel campo sociologico novecentesco, non c’è spazio
per molte risposte pertinenti al nostro caso. Uno degli elementi inter-
pretativi di maggior interesse è rappresentato dai vantaggi di quella
che Simmel chiama “oggettività dello straniero (…), che non signifi-
ca una semplice distanza e non-partecipazione, bensì una formazio-
ne particolare costituita di lontananza e vicinanza, d’indifferenza e
d’impegno.”1 Sarebbe proprio l’oggettività dello straniero a spingere
a comportamenti normativi particolari, come nel caso della

(…) prassi di quelle città italiane che chiamavano i loro giudici dal
di fuori, perché nessun nativo era libero dai vincoli degli interessi fa-
miliari e di partito. Con l’oggettività dello straniero è connesso anche
il fenomeno (…) che vale rispetto a chi prosegue il viaggio, cioè il
fenomeno per cui a lui (lo straniero, nda) si fanno spesso le rivelazioni
e le confessioni più sorprendenti (…). L’oggettività non è affatto una
non-partecipazione (…). L’oggettività può essere definita anche come
libertà: l’uomo oggettivo non è vincolato da fissazione di alcun genere
che possano pregiudicare la sua recezione, la sua comprensione, la sua
ponderazione del dato. Questa libertà, che fa sperimentare e trattare allo
straniero anche il rapporto di vicinanza come da una prospettiva aerea,
contiene certo ogni specie di possibilità pericolosa. Da sempre, nel caso
di rivolte di ogni specie, il partito attaccato sostiene che si è avuta una

1 Simmel Georg (1908), Excursus sullo straniero, in Simmel Georg, Sociologia,


Comunità, Milano, 1989, p. 581.
La stranezza dello straniero: implicazioni teoriche di Corto Maltese 123

sobillazione dall’esterno, mediante emissari e istigatori stranieri. Nella


misura in cui è esatto, ciò rappresenta un’esagerazione del ruolo spe-
cifico dello straniero: egli è il più libero, praticamente e teoricamente,
egli abbraccia le situazioni con minori pregiudizi, le commisura a ideali
più generali più oggettivi, e non è vincolato nella sua azione dall’abitu-
dine, dalla pietà, dai precedenti.2

Corto Maltese non ama giudicare. In Tango dichiara: “Anzi, non


sono nessuno per giudicare. So solamente che ho un’antipatia innata
per i censori, i probiviri. Ma, soprattutto, sono i redentori coloro che
mi disturbano di più.” Il carattere “oggettivo” dello straniero si ma-
nifesta non in lui ma nella sua presenza nell’immaginario degli altri.
Sono gli altri a legarsi a Corto, a cercare nella sua “ponderazione del
dato” uno stimolo ad andare avanti, a conquistare un’intelligenza della
situazione inizialmente nebulosa. Ciò avviene dopo una resistenza ini-
ziale, perché la fisionomia dello straniero incute diffidenza, provoca
timori. È il caso, in Una ballata del mare salato, di Pandora e Cain
Groovesnore, che solo nella parte terminale dell’avventura capisco-
no le mosse di Corto Maltese, e rimpiangono di non averlo assecon-
dato dal principio. È anche il caso del guerriero musulmano dancalo
Cush, che anzi provoca e insulta più volte il marinaio, ai suoi occhi
pur sempre un bianco occidentale infedele. Poi però, agendo ancora
sul terreno dell’“oggettività dello straniero”, Corto sbalordisce Cush
con prove di coraggio e di competenza religiosa, conquistandosi un
trattamento amicale esclusivo da parte del guerriero islamico.

Gharb – scrive la sociologa marocchina Fatema Mernissi –, la pa-


rola araba che traduce Occidente, indica anche il luogo dell’oscurità e
dell’incomprensibile, che mette sempre paura. Gharb è il territorio di
ciò che è strano, straniero (gharib). Tutto ciò che non capiamo ci fa pau-
ra. «Essere estraneo, straniero» in arabo ha una connotazione spaziale
molto forte, essendo gharb il luogo dove il sole tramonta e dove l’oscu-
rità incombe. È in Occidente che la notte addenta il sole e lo inghiotte;
quindi tutte le cose più terrificanti sono possibili. È là che la gharaba
(stranezza) ha preso dimora.3

2 Simmel Georg, op.cit., pp. 581-582.


3 Mernissi Fatema (1992), Islam e democrazia. Paura della modernità, Giunti,
Firenze, 2002, p. 33.
124 Corto Maltese e la poetica dello straniero

Poco oltre Mernissi precisa: “Ma soprattutto, «strano», «stranie-


ro» è un concetto spaziale. Per proteggersi da ciò che non si com-
prende, è necessario erigere delle barriere.”4 Corto Maltese è spes-
so in grado di abbatterle, quelle barriere, pur rimanendo gharib e
ammantato di gharaba. Per questo supera la diffidenza ispirata dal
suo aspetto, dal suo abbigliamento insieme dandy e demodé, dal suo
linguaggio ironico e tagliente, dal suo stesso retaggio occidentale.
Tutte le sue amicizie terzomondiste (da Cush il dancalo al maori
Tarao, dall’immortale Bocca Dorata al cangaçeiro Tiro Fisso) pren-
dono forma dopo un’iniziale ostilità, che ha sempre la sostanza di
cui parla Fatema Mernissi a proposito del Gharb, dell’Occidente.
Ciò che viene percepito è un irritante atteggiamento di superiorità e
di arroganza, che sarà superato grazie all’agire concreto del gharib
Corto Maltese.
Per contro, i personaggi occidentali vedono nel marinaio una gha-
raba diversa: quella di un non-identificabile, il cui fondamento è la
sua stessa sagoma marinaresca. Il Maltese viene dal mare, creato-
re di infiniti meticciati quando consente alle terre di congiungersi
e obbliga all’incontro dei diversi. Corto Maltese sembra venire di
là, dal regno delle acque, oppure dalla sua invenzione anfibia, Ve-
nezia, come Pratt. Ma Corto non è solo Pratt. È altro e straniero
anche rispetto al suo autore. Poco importa che Malta non si veda
mai, e che lui cammini per le calli di Venezia come se lì fosse nato
e cresciuto. Lui non è nemmeno di lì. Nell’epilogo de L’angelo alla
finestra d’oriente, Corto confessa al capitano Sorrentino: “Questa
città è bellissima e io finirei per lasciarmi prendere dal suo fascino,
diventerei pigro”. E conclude nella vignetta seguente, apparendo in
primo piano con la basilica di San Marco alle spalle: “Venezia sa-
rebbe la mia fine!” Possiamo inferirne che la stanzialità offerta da
Venezia fosse percepita come ipnotica e sedativa da Pratt, per cui
conto parla Corto. Pigri e sedotti dalla bellezza della città: il prez-
zo da pagare per rinunciare alla “stranezza”? Nomadismo contro
provincialismo? In fondo, la rinuncia alla stanzialità veneziana ha
coinciso, nella biografia di Pratt, con il proprio diventare straniero
altrove, oltreoceano. Aveva un buon contratto di lavoro e parlava lo

4 Mernissi Fatema, ivi, p. 34.


La stranezza dello straniero: implicazioni teoriche di Corto Maltese 125

spagnolo, ma in Argentina e in Sud America Pratt era un europeo,


un italiano e un veneziano, grado massimo dell’esotismo europeo
in un mondo quasi globalizzato, di cui Venezia è stata ed è uno dei
miti universali. Pratt usava talvolta il dialetto veneziano come una
sorta di esperanto mediterraneo, e su questo costruiva una persona-
lità del tutto unica, percepita universalmente come diversa-da-tutte.
Tanto tracimante era la vitalità raccontatrice di Pratt da differenziarsi
anche dall’eloquio di Corto: l’equilibrio linguistico di quest’ultimo
è senz’altro diverso dalla performatività di Pratt. Un personaggio
come Pratt non c’è nelle storie di Corto: per fargli spazio occorrerà
un autore ancora diverso, Milo Manara, che farà di H.P. la guida di
Giuseppe Bergman, descrivendone l’erudizione e lo spirito di osser-
vazione e l’inevitabile carisma derivante. O forse è il contrario: la
percezione immediata del carisma di Pratt si rafforzava grazie alle
sue formidabili doti di raccontatore. Tra tutti i racconti possibili,
Pratt ha privilegiato la cura e lo sviluppo dei racconti di Corto Mal-
tese. Ne ha così fatto uno straniero anche rispetto a se stesso.

Per la verità, almeno in un’occasione Pratt sembra voler disper-


dere l’identità psicologica del suo personaggio, renderlo straniero al
suo stesso interno.
Capita infatti a Corto Maltese di perdere la memoria nel corso
di due episodi della suite caribeana, Per colpa di un gabbiano e il
seguito Teste e funghi. Colpito per errore da una pallottola esplosa
dalla bionda Soledad Lokaarth, sorella di un marinaio considerato a
torto il capo della “Banda degli evangelisti” e inseguito dalla polizia,
Corto Maltese perde la memoria di sé ma non il senno. Gli resta una
specie di memoria storica (ha infatti inteso parlare più volte della
banda criminale) ma non ricorda il proprio nome. Come si compor-
ta in questi frangenti il marinaio? Cosa resta di lui nell’incalzare
dell’avventura? Nella dimensione dello smemorato John Smith Cor-
to Maltese agisce nella storia con il consueto senso di giustizia, arri-
vando a donare il proprio veliero alla giovane Soledad e al suo pro-
tettore, il gigantesco indio Gesù Maria, per consentire loro la fuga
prima dell’arrivo della polizia. Disincarnato dal proprio io storico,
John Smith non riflette su come sia giusto comportarsi, passa subito
all’azione: dando mostra di uno strutturato istinto investigativo, il
126 Corto Maltese e la poetica dello straniero

marinaio senza memoria indaga sui comportamenti dei comprimari


e si schiera senza ripensamenti dalla parte di coloro che gli appaiono
perseguitati. Non per questo la memoria ritorna: nemmeno il vec-
chio amico Steiner, che lo chiama con il nome di sempre, riesce a
farsi riconoscere. Nell’episodio successivo, Teste e funghi, Steiner e
Corto sono rientrati a Maracaibo in Venezuela. Steiner, grazie all’an-
tiquario Levi Colombia, entra in possesso di un sacchetto di funghi
allucinogeni, chiamati dagli stregoni teonanacatl, cibo divino che dà
forza e trasporta indietro nel tempo. Corto Maltese è nel frattempo
rappresentato da Pratt come preda del nervosismo, evidentemente
prostrato dalla perdita di memoria e di identità. Il suo carattere peg-
giora: non ha pazienza, è aggressivo e vuole soltanto essere lasciato
in pace. Saranno i funghi magici a risvegliarlo alla coscienza, mentre
Steiner, in controcanto, sarà posseduto da un sogno realistico e tra-
gico dopo aver a sua volta assaggiato il teonanacatl. Quando Corto
Maltese è straniero a se stesso, la sua psicologia si irruvidisce. Per-
de la flemma che si sprigiona dal suo carattere, lo sguardo lungo
dell’“oggettività dello straniero», la battuta ironica. L’ancoraggio a
valori forti è tuttavia persino superiore al proprio smarrimento, che
viene superato dall’occorrenza magica e rischiosa del “cibo divino”:
il rimedio alla mancanza di identità è dunque omeopatico. Si com-
batte l’estrema alterità (l’alienazione) con uno scossone psicotropo,
e il flusso del tempo e della coscienza riprendono a viaggiare paral-
leli.

Lo straniero è un confine. La vita sociale si svolge nei centri e non


nei confini, che restano un luogo mentale, antropizzato per definizio-
ne: la natura non si interrompe, siamo noi a considerare divisibile ciò
che ha un carattere continuo. Una pianura, una montagna, un fiume,
un oceano: tra loro non sono divisi, è l’uomo che li separa quando
essi costituiscono un ostacolo troppo arduo da superare, anche se la
tecnologia ha posto in molti casi rimedio alle deficienze della condi-
zione umana. Non era ancora così all’epoca di Corto Maltese, dove
gli spostamenti di massa erano lenti e faticosi, anche se già spinti da
una progressiva accelerazione. Corto nella propria epoca è dentro
il ristretto novero di coloro che possono usare i più rapidi mezzi di
trasporto, e spostarsi velocemente a qualsiasi latitudine.
La stranezza dello straniero: implicazioni teoriche di Corto Maltese 127

Il confine di cui è un’incarnazione Corto Maltese è un confine


culturale: se l’immigrato è – come scriveva Robert E. Park, uno dei
fondatori della scuola sociologica di Chicago – “uno che vive in due
mondi”5, anche il personaggio di Pratt lo è: egli però non oscilla tra
la vecchia e la nuova patria, ma tra l’assenza di patria (apolidia) e la
realtà aumentata di cui sono fatte le sue avventure. L’apolidia confina
con il cosmopolitismo: pezzi di identità sono cuciti sull’abito e sull’e-
stetica di Corto Maltese, ma non impediscono un contatto con il na-
tivo, né con i viaggiatori, né con gli espatriati. La realtà avventurosa
consente di piegare la condizione apolide alle istanze dell’avventura,
per il cui buon fine è necessaria una spiccata capacità di adattamento.

Spesso le apparizioni del marinaio determinano un’accelerazio-


ne dei conflitti e, più in generale, della dinamica dell’azione col-
lettiva. In Concerto in ò minore per arpa e nitroglicerina Corto si
trova in Irlanda: protetto dal solito passaporto maltese, si aggira
per le vie di Belfast scosse dalle bombe dei ribelli e dalle mitra-
gliatrici dei mezzi blindati britannici. Corto ha portato un carico
d’armi agli indipendentisti dell’I.R.A., ma non si limita a questo
reato contro la Corona. Finisce per vendicare un gruppo di indi-
pendentisti caduti in un agguato, facendo addirittura esplodere una
caserma inglese. Queste sono le gesta più roboanti, ma quelle più
sottili sono narrativamente ancor più strategiche: Corto Maltese,
stretto nel suo giaccone marinaro, diventa depositario di segreti
inconfessabili. Il suo amico dell’I.R.A. Pat Finnucan – la cui tom-
ba è ancora fresca – non era l’eroe che tutti credevano. Aveva anzi
venduto i suoi compagni per denaro inglese. Tuttavia i ribelli in-
sabbiano il segreto: un amico di Finnucan, il maggiore O’Sullivan,
infiltratosi nella polizia britannica, alla fine della vicenda prende-
rà la colpa del tradimento di Pat Finnucan, morendo nell’infamia
pur di salvare la dignità dell’organizzazione clandestina. Corto
Maltese è attraversato e amareggiato da questi segreti. Non può
condividere le confidenze con la bella e coraggiosa Banshee, una
militante dell’I.R.A. che è stata la compagna di Pat Finnucan e che

5 Park Robert E. (1928), Race and culture, The Free Press of Glencoe, Collier-
McMillan, London, p. 356.
128 Corto Maltese e la poetica dello straniero

ha un nome che porta sfortuna. “Vuoi venire con me?” – chiederà


Corto a Banshee nelle ultime tavole della storia. La ragazza non è
insensibile al fascino dello straniero. Ma non si condivide la sfor-
tuna, e l’Irlanda ha bisogno della lotta di tutti. Lo stessa duplicità
di lontananza e prossimità che rende Corto Maltese depositario di
segreti indicibili si rivela nociva quando l’altro, il non-straniero,
esige unicità. Non solo amore, ma vincolo assoluto: a una fede, a
una terra, a una lotta. “E poi l’Irlanda ha ancora bisogno di tutti
i suoi… Addio, Corto.” È Banshee che se ne va, ma è Corto che
deve andare: il suo modo di essere è talmente evidente che Banshee
nemmeno tenta di convincerlo a restare. Anche Banshee dà per
scontato che Corto andrà via. E così avviene, anche se il marinaio,
rimasto solo, si stende su una duna a guardare il mare. Pause che
coloro che non sono attraversati dai confini delle storie degli altri
giudicheranno probabilmente inutili, e che invece per Corto Malte-
se sono la coscienza stessa della sua condizione di straniero.
Nel racconto breve Sotto la bandiera dell’oro l’evoluzione dei
fatti arride maggiormente al marinaio. Corto compare solo nelle ulti-
me tavole, mentre la Grande guerra infuria in provincia di Venezia, e
varie truppe avversarie si cannoneggiano a causa delle fallaci indica-
zioni fornite da un soldato austriaco (tale Radetzsky) dall’alto di un
dirigibile. Si tratta di un piano ardito e sofisticato che condurrà alla
conquista di un tesoro (“l’oro del Montenegro”) Corto e suoi alleati,
un gruppo di militari scozzesi e francesi assistiti dalla cannoniera
di un armatore greco. “E l’austriaco… Quel Radetzky… Come hai
fatto a contattarlo? – chiede l’armatore Onatis a Corto – Mica potevi
passare su e giù per le linee italiane per parlare con lui…” La rispo-
sta di Corto Maltese è particolarmente illuminante: “Già, non potevo
attraversare le linee… Ma restando fermo nello stesso punto, ci han-
no pensato gli stessi avversari a mettermi nelle condizioni ideali per
avere rapporti ora con l’uno, ora con l’altro. Ogni due o tre giorni
un villaggio di frontiera diventava austriaco o italiano, a seconda
delle avanzate o ritirate… Uno di questi villaggi, Lozon sul Piave
dove c’è del vino buonissimo, piace ad amici e nemici… Bene, lì ho
conosciuto Radetzky e praticamente anche gli altri.”
Dunque in questo caso Corto Maltese ha rappresentato “fisica-
mente” il confine tra opposti, in un alterno avvicendarsi di conquiste
La stranezza dello straniero: implicazioni teoriche di Corto Maltese 129

e perdite di obiettivi militari e in cui lui, il nomade per eccellenza,


si blocca in un atteggiamento per un attimo stanziale. Rappresen-
tanti di opposte fazioni siedono al tavolo dell’unico elemento fisso
nella frenetica disputa di posizioni belliche, e Corto ne sonda con
successo l’anima disponibile al grande colpo. Anche in questo caso
l’“oggettività dello straniero” si dilata in senso operativo: il marina-
io agisce profittando degli spazi offerti dalla sua condizione fino al
concepimento di un piano ardimentoso, costruito negli interstizi di
un conflitto mondiale. Ogni ambiguità gioca qui a vantaggio della
destrezza organizzativa di Corto Maltese, che condivide con i com-
plici il successo dell’operazione e trasmette loro la propria aura dello
straniero. Da quel momento in poi anch’essi saranno senza radici
e costretti a progettare un futuro imprevedibile. La cannoniera di
Onatis si allontana, mentre si disperdono in aria le ultime indicazioni
di Corto Maltese sulla divisione del tesoro tra i vari soci dell’opera-
zione, impeccabile come nella miglior tradizione dei “gentiluomini
di fortuna”, nome altisonante per intendere chi sa scomporre uno
scenario convulso e disordinato in una visione interstiziale, nei cui
angoli morti si nasconde il senso dell’avventura.

La marginalità è uno dei caratteri dello straniero. Non importa che


la sua azione possa rivelarsi influente sugli eventi: anche se lo stra-
niero apporta dinamizzazione negli investimenti economici e nelle
relazioni interpersonali e di gruppo, la sua posizione marginale ne
limita il riconoscimento collettivo e lo spinge nell’irregolarità. La
condizione di Corto Maltese è in questo simile a quella di alcuni
grandi esuli del XIX secolo, personaggi che hanno creato partiti e
movimenti e che tuttavia sono ancora oggi percepiti come figure ti-
taniche isolate, unici nel loro eterno girovagare globale. Bakunin,
Kropotkin, Mazzini, Marx, Garibaldi: sono figure molto diverse tra
loro ma accomunate dalla fuga o dall’espulsione dalla patria e dal-
la ricerca di luoghi dove riprendere la loro attività rivoluzionaria.
Bakunin (1814-1876) scappa dalle galere zariste della Siberia e at-
traversa il Giappone e gli Stati Uniti per poi approdare a Napoli. Si
sposta infine in Francia e in Svizzera, dove muore. Anche Kropotkin
(1842-1921) evade dal carcere dello zar e scappa in Svizzera; da lì
sarà espulso e riparerà in Inghilterra. Dopo numerosi spostamenti
130 Corto Maltese e la poetica dello straniero

nei principali paesi europei ritornerà in Russia, dove morirà. Mazzi-


ni (1805-1872), condannato a morte dal governo sabaudo, fugge in
Svizzera e poi in Inghilterra, da cui orchestra una rete di associazioni
radicali ramificata in tutta Europa, tenuta in piedi dal suo febbrile
attivismo. Marx (1818-1883) vive la sua vita di esule a Parigi, a
Bruxelles e a Londra. Garibaldi (1807-1882) è uomo di mare prima
che rivoluzionario; le sue rotte lo portano giovanissimo a Costanti-
nopoli (dove si ferma tre anni per una forte debilitazione) e in tutto il
Mediterraneo. Prima di rientrare in Italia, vive e combatte in Brasile
e in Uruguay. In Memorie di Giuseppe Garibaldi Alexandre Dumas
riporta dalla voce del generale una frase che gli fu rivolta da Emi-
le Barrault, un professore di retorica sansimonista, durante uno dei
viaggi verso la Turchia: “Un uomo che, facendosi cosmopolita, adot-
ta l’umanità come patria e va a offrire la spada e il suo sangue a ogni
popolo che lotta contro la tirannia, è più di un soldato: è un eroe.”6
È un motto che non si attaglia perfettamente a Corto Maltese, il cui
disincanto impedisce ogni retorica sull’eroismo. Potremmo modi-
ficare la frase indirizzandola al marinaio di Pratt. Uno dei risultati
possibili sarebbe questo: “A un uomo che, facendosi cosmopolita,
adotta il mondo come patria e cerca di realizzare le proprie imprese,
può capitare di offrire la propria spada e il proprio sangue a popoli
che lottano contro la tirannia. Quest’uomo è più di un soldato: è un
gentiluomo di fortuna e un anti-eroe”. La frequenza con cui Corto
Maltese si trova a fianco di rivoltosi e di movimenti rivoluzionari di
vario genere è continua: dai melanesiani anti-colonizzatori ai can-
gaçeiros del Sertao, dagli indipendentisti dell’I.R.A. ai nativi amaz-
zonici, le avventure di Corto rappresentano un ventaglio di opzioni
di lotta inscritte nella globalizzazione – apparentemente romantica –
dei primi decenni del ‘900. Talvolta al marinaio capita casualmente
di trovarsi a fianco dei rivoltosi, talvolta si trova coinvolto per una
sua libera e meditata scelta. A questo punto la dinamica dell’azione
non consente un’autentica differenza tra il comportamento del ma-
rinaio e quello dei grandi esuli di fine ‘800 e dei combattenti e degli
agitatori che lottarono ispirati dalle loro idee. Cionondimeno, la mi-
scela di disincanto e coinvolgimento non crea un eroe: pur offrendo

6 Cfr. http://www.marcobonatti.it/contenuti/storia/garibaldi_eroe.php
La stranezza dello straniero: implicazioni teoriche di Corto Maltese 131

la propria spada e il proprio sangue (armi da fuoco e numerose ferite,


nel caso di Corto), la personalità resta quella di un gentiluomo di for-
tuna, cioè di un pirata “buono”. L’anti-eroismo di Corto Maltese de-
riva dal rifiuto dei manicheismi e sfocia in una persistente ironia, ciò
che l’angelo ribelle Shamael ha inteso dire chiamando il marinaio
“Colui-che-fa-finta-di-niente”. L’anti-eroe non rifiuta l’avventura né
i giochi del destino: rifiuta l’eroismo, cioè la costruzione idealizzata
della personalità solidale e pronta al sacrificio di sé.
Sul piano teorico, l’anti-eroe di Pratt sembra comunque più affi-
ne alle idee anarco-comuniste che a quelle marxiste. In particolare,
Corto Maltese esprime un anelito alla libertà che sembra in totale
sintonia con questi pensieri di Bakunin:

Sono un amante fanatico della libertà, la considero l’unica condi-


zione nella quale l’intelligenza, la dignità e la felicità umana possono
svilupparsi e crescere. Non la libertà concepita in modo puramente for-
male, limitata e regolata dallo Stato, un eterno inganno che in realtà
non rappresenta altro che il privilegio di alcuni fondato sulla schiavitù
degli altri... No, io mi riferisco all’unico tipo di libertà che merita que-
sto nome... la libertà che non conosce le restrizioni se non quelle che
vengono determinate dalle leggi della nostra personale natura, che non
possono essere considerate vere restrizioni, perché non si tratta di leggi
imposte da un legislatore esterno, pari o superiore a noi, ma di leggi
immanenti ed inerenti noi stessi, costituenti la base del nostro essere
materiale, intellettuale e morale: esse non ci limitano, sono le condizio-
ni reali e naturali della nostra libertà.7

L’anelito libertario delle idee anarchiche costituisce la forma pla-


centare della filosofia di Corto Maltese, su cui però si costruisce
una personalità più complessa, guidata dallo spirito di intrapresa e,
progressivamente, da interessi intellettuali rivolti allo gnosticismo
e all’esoterismo. Anche in questo caso siamo in presenza di “con-
vergenze parallele” tra Corto e i grandi esuli. Bakunin, Garibaldi e
Mazzini furono massoni, forse anche Kropotkin. Corto passava per

7 Bakunin Michael Aleksandrovic (1871), La Comune di Parigi e la nozione dello


Stato, in Bakunin M.A., Sono un amante fanatico della libertà, Eleuthera, 1986-
2006. Altre elaborazioni di Bakunin sulla libertà sono contenute presso il link
http://www.eleuthera.it/files/materiali/liberta_degli_uguali-Bakunin.pdf
132 Corto Maltese e la poetica dello straniero

iniziato ma, a differenza di queste personalità rivoluzionarie, Pratt


non lo volle adepto di alcuna organizzazione segreta. Ciò che persi-
ste nella filosofia di Corto è l’ideale apolide della non-appartenenza.

Un’altra implicazione importante nella complessa filosofia che


Pratt ha immesso in Corto Maltese è rappresentata dall’esplorazione
dell’eleganza estetica. Corto è anche un dandy. La sua forma snella è
completata dall’abito marinaresco da capitano, più ottocentesco che
novecentesco. Nella sua elegante marsina scintillano i bottoni dorati.
A proposito dei bottoni scriveva Oscar Wilde nel 1891 in una lettera
indirizzata al direttore del Daily Telegraph:

Oggi abbiamo tutti più di una dozzina di bottoni inutili nella nostra
giacca da sera e, avendoli sempre neri e dello stesso colore dell’abito,
togliamo loro ogni possibilità di essere belli. Ora, se una cosa è inutile,
dovrebbe essere resa bella, altrimenti non ha alcuna ragione di esiste-
re. I bottoni dovrebbero essere dorati (…), o intarsiati di metallo, o di
qualsiasi altro materiale che si presti ad essere trattato artisticamente.
L’effetto di eleganza che producono le livree dei domestici è dovuto
quasi interamente ai bottoni che portano.8

In linea con le convinzioni estetiche del grande scrittore irlandese,


Pratt inserisce i bottoni dorati nella marsina a coda, nella giacca cor-
ta e nel giaccone invernale di Corto Maltese. Ciò che Wilde chiama
“effetto di eleganza” è garantito in tutti e tre i casi. Esso viene poi
potenziato dal colore scuro delle giacche, che fanno risaltare il pan-
ciotto o giustacuore. Scriveva ancora Wilde:

Inoltre la giacca della prossima stagione darà una squisita nota di


colore, e avrà anche un notevole valore psicologico. Darà risalto al ca-
rattere serio e pensoso dell’uomo. Si potrà capire la visione della vita
dal colore che sceglie. Il colore della giacca sarà simbolico. Farà parte
del meraviglioso movimento simbolista dell’arte moderna. L’immagi-
nazione si concentrerà nel panciotto. Il panciotto rivelerà se un uomo è
in grado o meno di ammirare la poesia. E questo avrà un grande valore.9

8 Wilde Oscar, Lettere, il Saggiatore, Milano, 2014, p. 458.


9 Wilde Oscar, ivi, p. 459.
La stranezza dello straniero: implicazioni teoriche di Corto Maltese 133

Il dandismo porta alla ribalta un nuovo tipo di straniero: lo stra-


niero estetico. Combinare gli abiti e i colori in modo tale da com-
porre un’opera d’arte rappresenta una forma di eccentricità in senso
letterale (fuori dal centro del gusto dominante). Il dandy non è stra-
niero per anagrafe o provenienza geografica, quanto per diversità
semiotica. Si pone come una minoranza armata di segni, molti dei
quali sottolineano una protesta estetica contro la grigia uniformità
dello stile borghese egemone nella società occidentale dei primi de-
cenni del ‘900.
Corto Maltese non si spinge a tanto. La sua mise resta fonda-
mentalmente la stessa in ogni impresa, con piccole varianti anche
a seconda delle latitudini e del clima meteorologico dei luoghi av-
venturosi. Ad esempio ne L’ultimo colpo indossa un’elegante saha-
riana bianca, sostituita da una più classica sahariana color sabbia
nel racconto successivo, E di altri Romei e di altre Giuliette10. Il suo
dandismo è vintage, e proprio per via dello stile passatista la sua
figura risalta tra le altre disegnate da Pratt con un’aura di spiccata
eccentricità. Solo una volta, in Tango, Corto Maltese rinuncerà ai
propri indumenti tipici ed esibirà un elegantissimo smoking e capelli
pettinati all’indietro. Anche omologato agli altri uomini convenuti
per il tango Corto Maltese sarà tuttavia sempre distinguibile. Il par-
ticolare è di dettaglio, ma può considerarsi la sineddoche di Corto:
l’orecchino da marinaio al lobo sinistro. Il cerchietto d’oro è sempre
presente. Non a caso la sua assenza convince Rasputin di avere di
fronte non Corto Maltese ma Chevket, il boia degli armeni che Pratt
ha voluto identico al marinaio nella lunga avventura de La casa do-
rata di Samarcanda.
Il dettaglio dell’orecchino non è sufficiente per connotare il dandi-
smo di Corto Maltese, ma l’uniforme da ufficiale navale presenta un
insieme di indumenti civili e militari sovrapposti (la camicia bianca
e il colletto belle epoque da civile e il cappello della marina) che,
uniti all’orecchino, danno vita a una combinazione eccentrica, forse
irreale. Anche nello stile dell’abbigliamento Corto Maltese si pre-
senta come uno straniero: la sua strana eleganza, rivolta al passato e
alla commistione di condizioni (civile e militare), ne fa un individuo

10 Entrambi i racconti fanno parte delle Etiopiche.


134 Corto Maltese e la poetica dello straniero

riconoscibile tra mille. La sua eleganza passatista è usata da Pratt per


acuire la distanza culturale tra Corto e molti tra i suoi interlocutori,
specie negli ultimi racconti (da La giovinezza a Mū). Molti, ma non
tutti: con Bocca Dorata (splendida nel suo barocchismo indumen-
tale tropicalista), con Morgana (più castigata ma altrettanto atten-
ta ai dettagli esotici, tra cui spiccano grandi orecchini), con Levi
Colombia (inappuntabile nei suoi completi di fine ‘800) e persino
con lo spiegazzato Steiner, Corto Maltese è inserito in un circolo di
somiglianti, con il procurato effetto al lettore di trovarsi di fronte
personaggi onirici e irreali.
La realtà si ripresenta con forza ogni volta che Corto, per esi-
genze di clima e di libertà d’azione nei movimenti fisici, si limita a
indossare un fazzoletto al collo e una maglietta scura sui tradizionali
pantaloni bianchi a zampa d’elefante. Ridiventa il marinaio univer-
sale, come testimoniato dal cappello e dall’orecchino. Manca solo
quest’ultimo elemento per poter sovrapporre la mise di Corto a quel-
la di Luca Zane. Il comandante della “Vanità Dorata” rappresenta
una tipologia avventurosa assai semplificata rispetto a quella di Cor-
to Maltese. Ne risente anche il look, ridotto all’essenziale. Quando
Corto deve agire e combattere con le proprie mani ridiventa il perso-
naggio dell’infanzia di Pratt, devoto ai grandi cartoonist americani
come Milton Caniff. Da segnalare però che Luca Zane, nelle pause
dell’azione, fuma un’insolita e grass-root pipetta di granturco, men-
tre Corto sfoggia lunghi ed eleganti cigarillos. Un tocco di classe che
fa di Corto Maltese, ancora una volta, un marinaio dandy.

Il sociologo Richard Sennett distingue le persone economicamen-


te o politicamente sradicate con tre espressioni: il migrante, l’esilia-
to, l’espatriato.

Questi termini designano le ragioni diverse per cui una persona vive
all’estero, ma il risultato di tali situazioni di sradicamento appare, oggi,
quello di un destino comune. Essere stranieri significa vivere all’estero
in uno stato di disagio: il migrante che per effetto dello choc culturale
si aggrappa alla propria cultura, l’esiliato che si iberna in totale indif-
ferenza in una città con cui non è quasi entrato in contatto, l’espatria-
to che ben presto comincia a sognare di ritornare… Immagini come
queste conferiscono un aspetto sentimentale al bisogno di avere radici
La stranezza dello straniero: implicazioni teoriche di Corto Maltese 135

e ai vantaggi del focolare. Ma soprattutto negano a coloro che sono


diventati stranieri la volontà e la capacità di trarre qualcosa di umano
dall’esperienza stessa dell’essere sradicati, anche se magari all’inizio
sono emigrati per costrizione.11

Anche il filosofo Galimberti calca le stesse orme, quando ricorda


che “vita straniera è una delle parole più espressive che si incontrano
nella letteratura gnostica per indicare chi proviene da un altro luogo,
e a quelli del luogo appare strano, non familiare, incomprensibile.”12

Allo stesso modo – prosegue Galimberti – il luogo che lo straniero


si trova ad abitare è per lui estraneo e perciò carico di solitudine. Ango-
scia e nostalgia della patria sono parte del destino dello straniero che,
non conoscendo le strade del paese estraneo, girovaga sperduto. Se poi
impara a conoscerle troppo bene, allora dimentica di essere straniero e
si perde in un senso più radicale perché, soccombendo alla familiarità di
quel mondo non suo, diventa estraneo alla propria origine. Nell’aliena-
zione da sé l’angoscia sparisce, ma incomincia la tragedia dello stranie-
ro che, dimenticando la sua estraneità, dimentica anche la sua identità.13

Nessuna di queste interpretazioni si attaglia alla condizione di


Corto Maltese. Egli è uno straniero e appare strano, non familiare e
incomprensibile, ma non è un migrante né un esiliato. È un espatria-
to, ma non nel senso che normalmente si attribuisce a questo termi-
ne, dietro cui c’è sempre una forma di costrizione. Nessun obbligo
inchioda invece Corto Maltese al proprio girovagare. Corto Maltese
è uno straniero del tipo apolide, e non ricordiamo in lui alcuna no-
stalgia per Malta; qualche rimembranza riguarda Venezia, per esem-
pio quando il marinaio, nel mezzo di una tormenta di neve in Man-
ciuria (siamo nel romanzo grafico Corte sconta detta arcana), non
riesce a pensare ad altro che ai versi del poeta vernacolo veneziano
Eugenio Genero, il nonno materno di Hugo Pratt. Sono comunque
briciole di nostalgia non tragica, peso spirituale leggero da portare
per un apolide sostanziale come Corto Maltese.

11 Sennett Richard (2011), Lo straniero, Feltrinelli, Milano, 2014, p. 56.


12 Galimberti Umberto (2004), Il gioco delle opinioni, Feltrinelli, Milano, 2014, p.
39.
13 Galimberti Umberto, ibidem.
136 Corto Maltese e la poetica dello straniero

Per il marinaio di Pratt valgono altre parole di Richard Sennett,


che prendono spunto dalle memorie di un grande esiliato russo,
Aleksandr Ivanovic Herzen:

Nelle pagine dell’autobiografia di Herzen il consiglio che pian piano


prende forma riguardo a come comportarsi nei paesi in cui lo straniero
si trova a vivere è più o meno questo: «Partecipa, ma non identificarti».
Questo ammonimento sta a indicare il modo in cui lo straniero può
sconfiggere il gioco segregante del pluralismo. L’impulso a partecipare
è l’affermazione che un individuo ha dei diritti in quanto animale po-
litico, come zόon politikόn, ovunque egli viva. Al posto della formula
antica per cui «nulla che sia umano mi è estraneo», quella dell’identità
moderna potrebbe essere «nulla che mi sia estraneo è reale».14

Corto Maltese si muove felpato tra questi confini ideologici: par-


tecipa (a volte con grande intensità) ma non si identifica. Vive il pro-
prio sradicamento come un’occasione per attraversare più mondi,
nei quali la propria estraneità oggettiva si tramuta in umanità e in
realtà avventurosa.
D’altronde, Pratt lo ha voluto pacato ma estremo. Da bambino,
scoprendo di essere nato senza linea della fortuna nella mano, se ne
incise una di suo gradimento con il rasoio d’argento del padre. È un
gesto che non incide solo la pelle del personaggio, ma la sua perso-
nalità psichica. La patria di Corto Maltese è se stesso, la sua fortuna
un taglio autodeterminato.
Per questo, pur straniero per antonomasia, Corto Maltese è stra-
niero d’eccezione. L’irrequietezza e l’andare sono per lui combina-
zione inesorabile, a spingerlo non sono le avversità ma la ricerca
dell’altrove in quanto tale, unica dimensione a farlo esistere nono-
stante gli incalzanti tempi del moderno e delle sue sofferenze. Per
questo Corto Maltese cambia all’interno delle proprie vicissitudini
e modifica il proprio carattere senza perdere la propria originaria
identità di nomade. A lui aderisce bene questa fulminante indicazio-
ne di Anna Maria Ortese: “L’inquietudine è questo: ricercare, senza
tregua, il nome che avevi.”15

14 Sennett Richard, op. cit., p. 92.


15 Ortese Anna Maria, Il corpo celeste, Adelphi, Milano, 1997, p. 115.
CAPITOLO IV
CORTO SENZA PRATT: UN NUOVO E ALGIDO
INIZIO DELLA POETICA DELLO STRANIERO
PER UN CLASSICO DEL ʼ900

Rasputin e Corto Maltese corrono in slitta in mezzo al grande


freddo. Corto è alla guida, Rasputin è coricato, imbacuccato e molto
male in arnese. Il gelo sembra avere ragione del pirata, ma quando
Corto lo depone in una nave deserta incagliata nel ghiaccio si ripren-
de inaspettatamente. Scarmigliato come sempre e quasi congelato,
sta maledicendo il troppo freddo.
Senza una vignetta di transizione, ci troviamo di fronte la faccia di
Rasputin che maledice il troppo caldo. Ora i due personaggi passeg-
giano per l’avenida di una città tropicale, vestiti a festa. Chiacchiera-
no e si provocano, fino a che Rasputin reagisce con il solito eccesso
a una battuta di Corto: i due finiscono per malmenarsi in strada, poi
si dirigono verso un teatro dove il marinaio maltese non entrerà. È il
congedo con lo psicotico amico russo, che annuncia che l’indomani
partirà per la riunione della Confraternita degli avventurieri, desti-
nazione Cayman Brac. Corto Maltese invece andrà a San Francisco,
a trovare Jack London.
Sotto il sole di mezzanotte16, il trentesimo albo di Corto Maltese,
non è opera di Hugo Pratt. Gli autori sono lo sceneggiatore madri-
leno Juan Díaz Canales (1972) e il disegnatore catalano Rubén Pel-
lejero (1952), blasonati e pluripremiati interpreti del fumetto con-
temporaneo.
L’incipit del graphic novel getta il lettore nelle braccia del trascor-
so: la ricerca della classicità di Pratt nel momento in cui si è costretti
ad abbandonare Pratt è una reazione automatica, non contestabile.
Rasputin per l’ennesima volta morente e poi risorto è come un og-
getto di famiglia che si ritrova dopo del tempo. In realtà si tratta di

16 Díaz Canales, Juan – Pellejro, Rubén, Corto Maltese. Sotto il sole di mezzanotte,
Rizzoli-Lizard, Perugia, 2015.
138 Corto Maltese e la poetica dello straniero

un cammeo: Rasputin regala un’apparizione fugace e poi scompa-


re nel nulla. La storia che attende Corto Maltese, dopo il siparietto
con il pirata russo, è imbastita di sub-episodi. Corto si sposta a San
Francisco: riceverà da un’amica comune due lettere di Jack London,
che, infastidito dall’Esposizione universale nella sua città (siamo
nel 1915), si è spinto in Messico per intervistare il generale Pancho
Villa. Una lettera è per Corto, l’altra andrà da questi consegnata a
Waka Yamada, una donna amata da London che, da ballerina di salo-
on, è diventata un’attivista contro la tratta delle bianche a Nome, in
Alaska. Per sdebitarsi, London promette a Corto di avergli riservato
un dono speciale (un tesoro, scrive) nella sua capanna nella foresta
di Dawson, che Corto evidentemente conosce. La scena poi si spo-
sta nel villaggio di Nome, in Alaska, dove il marinaio conosce una
prostituta cinese amica di Waka Yamada, nel frattempo scomparsa.
Mentre si sta confidando con Corto, la giovane prostituta viene uc-
cisa da un killer del “sindacato giapponese” che gestisce il traffico.
Il marinaio reagisce e uccide a sua volta l’assassino, viene arrestato
dalla polizia locale (statunitense) ma rilasciato grazie alla cauzione
pagata dal comandante di una nave da pesca ai cetacei, che anni
prima si era imbarcato con il padre di Corto. Poi la trama subisce un
altro ingarbugliamento: la nave si incaglia, e deve chiedere aiuto a
un’altra nave per riguadagnare un porto. Da lì, Corto riesce a trovare
una guida inuit che lo porti a Dawson, un eschimese appassionato
di cultura scientifica, in forte contrasto con un altro personaggio al
seguito del gruppetto, un chimico tedesco razzista. A questo punto
si apre un altro sub-episodio, perché non solo la piccola spedizione
viene catturata da un manipolo di appartenenti alla Fraternità Fe-
niana, un’organizzazione di indipendentisti irlandesi attivi nell’A-
merica del Nord e combattuti dai canadesi (che sono sudditi della
Corona inglese), ma si viene a sapere che gli American Fenians sono
alleati di una figura ancora più eccentrica, un inuit ribelle dal passato
tragico, affascinato dal mito di Robespierre in memoria del quale
ha inaugurato un “terrore artico” rappresentato da una temibile ghi-
gliottina che staziona minacciosa nel suo accampamento.
La storia va avanti ancora a lungo, arzigogolata e barocca, co-
stellata di altri sub-episodi. Tuttavia la fulminea apparizione del
giacobino inuit Ulkurib è il momento clou dell’intera vicenda. Non
Corto senza Pratt: un nuovo e algido inizio della poetica dello straniero 139

sappiamo da dove Juan Díaz Canales abbia tratto lo spietato Ulku-


rib, ma si tratta di un personaggio notevole, in linea con la schiera
di visionari e pazzi già ben presente nel repertorio prattiano. Cosa
ci fa un giacobino all’estremo Nord dell’America? Instaura un re-
gime di terrore immaginandosi capo di improbabili sanculotti inuit,
ardendo di vendetta contro l’impero britannico, sotto il cui dominio
la famiglia d’origine fu obbligata a espatriare, finendo per recitare
la parte di “famiglia eschimese” in uno zoo francese. Padre e ma-
dre morirono di vaiolo, lui si ammalò ma sopravvisse. Chiuso in
un istituto e circondato solo di libri, si appassionò ossessivamente
di storia della rivoluzione francese e fece di Robespierre il proprio
idolo, tentando di ricrearne il carisma politico quando ritornò nella
sua gelida patria e preparò la rivolta contro i dominatori inglesi. Una
storia che non lascia spazio a epiloghi felici: anche gli inuit più se-
dotti dall’eloquio robespierrista di Ulkurib sono stanchi del lavoro a
ciclo continuo della ghigliottina artica. Il despota sarà ucciso da uno
dei suoi luogotenenti, con un colpo di pistola al volto che gli fracassa
la mandibola, come era successo al suo idolo Robespierre prima di
essere ghigliottinato.
Siamo dunque davanti a una storia che rappresenta una dislocazio-
ne geografica (il giacobinismo “artico”) e temporale (Robespierre fu
ucciso nel 1794, Ulkurib nel 1915), un doppio movimento che sot-
tolinea l’impegno narrativo dell’intero lavoro di Juan Díaz Canales.

Nella prima avventura di Corto Maltese post-Pratt è notevole la


densità testuale: si cerca di mettere in tutti i modi a proprio agio il
lettore affezionato del maestro veneziano, cospargendo ogni tavola
di tracce che rimandano al marinaio di Pratt. È lui o non è lui? E chi,
se non Corto Maltese, si muove sulla base di segnali affettivi (l’a-
micizia per London) e di mappe e indicazioni (le lettere dello stesso
London)? Chi, se non Corto, si muove circospetto tra ambienti e
caratteri diametralmente opposti, coltivando un interventismo non
voluto, lasciando al vento artico la mappa di un enorme giacimen-
to di bitume in grado di arricchire un’intera nazione? Chi fissa in
silenzio il manifesto di un raduno per il finanziamento degli “eroi
britannici e francesi” cui parteciperà l’amore di una vita (Pando-
ra Groovesnore) e tuttavia tira dritto, avvertendo un maggiordomo
140 Corto Maltese e la poetica dello straniero

giunto ad accoglierlo che “ha cambiato idea”, e che conserverà il suo


denaro “per un’altra causa persa” (“… perché questa guerra già si sa
chi la vincerà”)?
I lettori affezionati di Pratt troveranno nel Corto Maltese di Juan
Canales e Rubén Pellejero molti materiali per costruirsi una nuova
casa assai somigliante alla casa originale. La stessa poetica dello
straniero delineata dal narratore veneziano troverà conferme, anche
letterali. Di fronte al chimico tedesco razzista che lo accusa di parla-
re “come un rinnegato e un senzapatria” Corto ribatte secco: “Il fatto
che le mie convinzioni non coincidano con le sue non fa di me un
rinnegato, Clark”. E aggiunge: “ Senzapatria, forse. Con tutte queste
frontiere in movimento è sempre più difficile capire dove finisce una
patria e dove ne comincia un’altra”. Per poi concludere con l’ironica
indifferenza dell’apolide: “Anche se, confesso, non è una cosa di cui
mi importa granché…”
Rivendicazione di alterità dal pensiero reazionario, ammissione
di apolidia, giustificazione ironica, sarcastica confessione di indiffe-
renza al problema: un intero repertorio di atteggiamenti prattiani si
fa strada nella poetica del nuovo Corto Maltese, garantendo la sua
personalità narrativa fin dentro la sua filosofia. Il ciclo mentale dello
straniero si ricrea facilmente ne Il sole a mezzanotte. Si tratta di una
presenza ideologicamente marcata, a difesa del territorio semi-seria-
le già conquistato nei 29 romanzi e racconti grafici precedenti. Nella
trentesima avventura ci sono anche tutti gli accompagnatori catego-
riali di Corto Maltese, in versione nord-americana: lo scrittore irre-
quieto, il pugile gigantesco e sentimentale, lo scaltro bambino esoti-
co (questa volta inuit), un intero manipolo di prostitute trasformate
in eroine armate e pre-femministe, una guida inuit competentissima
nelle discipline scientifiche, due vecchi lupi di mare amici del padre,
un vecchio accattone cui offrire da bere, sparendo con lui nell’ultima
vignetta alla luce misteriosa di un lampione. Molto, moltissimo ma-
teriale: anche nei romanzi grafici di Pratt poteva avvenire un certo
ingarbugliamento narrativo e un affollamento di personaggi, come
capita in Corte sconta detta arcana e ne La casa dorata di Samar-
canda. Tuttavia Pratt infilava momenti di respirazione filosofica tra
un sub-episodio e l’altro. Due-tre vignette con il marinaio silenzioso
in un panorama spoglio, oppure seduto in una poltrona da spiaggia
Corto senza Pratt: un nuovo e algido inizio della poetica dello straniero 141

con la sigaretta tra le labbra. Nel frattempo il lettore si lasciava anda-


re alla suggestione estetica, ed era pronto a un nuovo scarto narrati-
vo. Qui invece i fatti sono deliberatamente incalzanti, quasi a temere
l’affievolirsi del mito se esso non fosse costantemente alimentato
da molteplici eventi, alla ricerca di un centro avventuroso originale
e supremo. Leggendo Corto Maltese come epifania dello straniero
nella modernità si pretende uno sguardo enigmatico sull’avventu-
ra, non uno sprofondarsi nell’avventura. Corto si sposta cinetico da
una sparatoria a una fuga, da una cattura a un salvataggio. Non vi è
quasi il tempo di vederlo, nonostante Rubén Pellejero lo evochi in
numerosi primi piani, nessuno dei quali ha però la capacità di pene-
trazione del segno di Pratt. Il disegnatore riacquista brio nei profili
e nelle immagini in cui Corto si muove come una silhouette nella
neve. Il giaccone della marina nelle cui tasche protegge le mani dal
gelo è la sua sineddoche. È un gelo che ha l’ossessione del grigio,
colore prima solo intravisto nei racconti irlandesi di Pratt, mai così
compatto e inesorabile.
Difficile, leggendo Il sole di mezzanotte, non considerare con at-
tenzione anche un particolare quasi sempre ritenuto un dettaglio tec-
nico del tutto secondario. Mi riferisco alla carta. Quella del romanzo
grafico di Díaz Canales e Pellejero è spessa e lucida. I colori di Pel-
lejero sostituiscono il bianco e nero di tutte le prime edizioni delle
storie di Pratt, colorate solo in un secondo momento. La lucentezza
della carta porta inevitabilmente a enfatizzare la compattezza dei
colori e la riduzione dei segni grafici. L’effetto vira talvolta verso il
cartoon, come nelle scene in cui Corto Maltese, disubbidendo al co-
mando di una Giubba Rossa canadese, si rifiuta di lasciare al freddo
artico i cadaveri di due finniani fucilati e comincia rapido a scavare
loro una fossa nella neve. Da un punto di vista strettamente icono-
grafico, si tratta di “presa di continuità” rispetto all’ultimo Pratt, e la
filologia è rispettata. Pellejero però dà il meglio di sé nelle immagini
dorate e celesti della città tropicale dove Corto fa sosta con Rasputin
e nella bella luce con cui è avvolta l’Esposizione Universale di San
Francisco.
L’operazione non va comunque sminuita: si tratta di una sfida no-
tevole, a dimostrazione della tesi che le avventure di Corto Maltese
possano interessare ancora un pubblico vecchio e nuovo, consoli-
142 Corto Maltese e la poetica dello straniero

dato e da conquistare, esperto e acerbo. Da questo punto di vista, la


sfida è vinta: il nuovo racconto non stride con la tradizione prattiana,
e presenta alcuni promettenti aspetti autoriali. Ad esempio la spi-
gliata immaginazione di Díaz Canales, accompagnata da un’eviden-
te curiosità antropologica e storica, sorta di variante modernizzata
della voracità culturale di Pratt per ogni tipo di avventura; oppure
la levigatezza del segno di Pellejero, che usa Corto Maltese come
una marionetta sapiente, del tutto consapevole della duttilità della
propria forma.

Un altro viaggio è dunque cominciato, e varrà come un omaggio


al grande narratore veneziano sia che prosegua sia che si fermi nelle
gelide terre d’Alaska. Si tratta e si tratterà comunque di “variazioni
sul tema prattiano”, giacché nel corso della seconda metà del ‘900
Hugo Pratt ha definito in modo molto preciso una poetica dello stra-
niero, al cui interno si erge la figura del semi-apolide Corto Maltese.
Questo personaggio ha una vita dal finale non del tutto precisato
(potrebbe essere morto nella guerra di Spagna oppure essere soprav-
vissuto a se stesso fino al secondo dopoguerra), ma ci sono ancora
parecchie caselle libere nel flusso temporale in cui è bloccato, cioè
gli anni compresi tra il 1904 (suo primo imbarco) e il 1926 (ultimo
avvistamento dopo un periodo in Etiopia). La capacità di sposta-
mento e la vocazione all’avventura di Corto Maltese sono garanzie
sufficienti per immaginare una moltiplicazione dei tasselli della sua
avventura biografica, anche se il personaggio non può superare il li-
mite finito della durata di 22 anni (1904-1926), salvo un improbabile
colpo di scena durante la Guerra civile spagnola.
Ma persino se il suo tempo-limite fosse di poco superiore a
vent’anni non avrebbe molta importanza: Pratt ha rilasciato un nu-
mero di opere più che sufficiente per delineare un personaggio che
giganteggia oltre i confini del suo secolo, oltre il ‘900. Corto Mal-
tese è il dispositivo prattiano maggiormente perfezionato, prodotto
giunto a maturazione dopo un ampio numero di sperimentazioni,
ciascuna delle quali (dall’Asso di Picche al sgt. Kirk, da Ticonde-
roga a Anna nella giungla) perfettamente rappresentativa della ca-
ratura fumettistica di Hugo Pratt, dovuta a un’alta qualità di tratto e
a un’alta qualità letteraria. Una combinazione armoniosa tra le due
Corto senza Pratt: un nuovo e algido inizio della poetica dello straniero 143

arti è stata raggiunta dal narratore veneziano fin dagli esordi: Pratt
è stato un esecutore velocissimo ed eccellente, ma anche quando
si limitava alle matite e agli inchiostri discuteva con i suoi sce-
neggiatori, entrava spesso nel merito del testo. Poi, ha esibito una
strategia pittorica unica e originalissima – perché capace di stare a
proprio agio nella cornice della vignetta anche quando il contenuto
visivo si faceva più enigmatico e delirante – e un controllo magi-
strale della struttura dei dialoghi e della loro misura, anche quando
i riferimenti eruditi ed ermetici hanno preso il sopravvento sugli
altri interessi cognitivi.
Per la consistenza del corpus narrativo (dove vanno comprese an-
che le opere esclusivamente letterarie, come il Romanzo di Criss
Kenton e la stessa versione scritta de Una ballata del mare salato) e
per la sua qualità, l’opera di Pratt va considerata un classico. Come
tutti i classici dell’inquieto secolo che li vide nascere, l’opera di Pratt
è figlia della modernità. Ha cercato lungamente uno scenario di sta-
bilizzazione narrativa, trovandolo nel ciclo di Corto. Una modernità
eroica, pullulante di “imprenditori sombartiani”, di stranieri capaci
di costruirsi un futuro nel silenzioso oblio del proprio passato, aperti
a ogni ventura, liberi e inquieti. Nella dimensione prattiana si respira
l’odore della pura avventura, poi dell’avventura esotica e di guerra,
poi dell’avventura a sfondo economico-politico, poi dell’avventura
intellettuale, poi della saga poetica, poi dell’investigazione esoteri-
ca, poi del sogno e infine delle radici etnografiche del mito, della fa-
vola e del passato fantastico. Un percorso non ricorsivo, sottolineato
dalla tracimante esperienza esistenziale di Pratt, dalle sue scoper-
te, dai suoi viaggi, costantemente riversati nella versione letteraria
dell’avventura, disegnata e non.
Come ogni grande classico, Pratt era immerso in tutte le dimen-
sioni della narrazione e della techné, sia come produttore sia come
consumatore: amava parlare e raccontare, amava scrivere, amava di-
segnare, dipingere, fare l’attore, andare al cinema, suonare, cantare.
E amava leggere, attività solitaria prediletta, comprensiva di amore
anche fisico per i suoi libri, la cui disponibilità – resa difficile dai
suoi frequenti spostamenti – fu uno dei suoi crucci persistenti fino
a quando riuscì a riunire le sue migliaia di volumi nella nuova casa
svizzera. Viaggiare, ad ogni livello, era proprio della sua mente.
144 Corto Maltese e la poetica dello straniero

Il fumetto è un medium minore solo in apparenza. L’esperienza di


leggere fumetti è un atto di consumo creativo che avviene general-
mente fin dall’infanzia e dalla prima giovinezza, perciò si imprime
nell’immaginario in modo indelebile. Tuttavia Corto Maltese è affa-
re che riguarda una pluralità di generazioni: quella di Pratt, innanzi-
tutto, che nei suoi precoci deplacement ebbe a disposizione materiali
americani e italiani. Quella a lui successiva, la generazione del ’68,
che si appropriò delle suite del narratore veneziano come un consu-
mo del privato, una delle voci poetiche che risuonarono nelle corde
intime dei contestatori. Per certi aspetti, il lavoro di Pratt ha accom-
pagnato quella generazione come fecero Tenco, De André, Battisti-
Mogol, l’icona del Che, film come Soldato Blu o Il laureato. Nomi
propri che furono ospitati sotto forma di oggetti (dischi o manifesti)
nelle camere dei ragazzi e delle ragazze della contestazione. Forme
di un merchandising militante, oggetti per l’intimo delle coscienze,
per un privato-privato che diventava collettivamente rilevante. C’è
stata poi un’altra generazione, quella che ha attraversato i piccoli
deserti degli anni di piombo e del riflusso, e che in Corto Maltese ve-
deva l’anarchico autodeterminato e insieme il renitente, l’espatriato,
il sottrattosi. Che arrivava a Pratt (è il caso di chi scrive) persino
dopo Pazienza e dopo Manara. D’altronde scoprire Pratt potendo
contare su tutti i suoi repertori è un privilegio raro. La mia non è
forse un’esperienza molto diffusa, ma posso assicurare che quando
la conoscenza dell’opera di Pratt passa da superficiale a sistematica
la soddisfazione del lettore aumenta incomparabilmente. Credere di
aver incasellato Pratt in una tradizione riconoscibile e poi assistere
alla creazione di marchi di fabbrica d’avanguardia è un’esperienza
intensa per un lettore. Quando il registro di Una Ballata si è ormai
stampigliato nell’immaginario ecco arrivare prime tavole trattate al
microscopio, dove il particolare ingrandito di una boccia da biliardo
si sposta da una vignetta all’altra, mentre i colori primari delle biglie
fanno pensare a pianeti in orbita gravitazionale, e la visione diviene
cosmica. E invece stiamo assistendo a una semplice partita di caram-
bola in una bisca di Buenos Aires (Tango).
Alla mia generazione Pratt è arrivato come una sorta di “avan-
guardia individualizzata”, un portatore di gesti fumettistici innova-
tivi, capace di spostare ancora più su l’asticella dell’evocazione in-
Corto senza Pratt: un nuovo e algido inizio della poetica dello straniero 145

tellettuale dopo il dispiegamento di forze del fumetto postmoderno,


da Les Humanoides Associes al gruppo bolognese di Valvoline. Pratt
ha continuato a costruire un personaggio duttile, lo ha trasformato
graficamente nel corso del tempo, ha asciugato i già contenuti dia-
loghi, ha scaricato nei silenzi disegnati la profondità di un campo
conflittuale in desertificazione nell’Italia degli anni ’80 e ‘90. Stu-
diando l’opera di Pratt precedente e contemporanea a Corto Maltese
non è difficile rendersi conto che una miriade di riferimenti culturali
si è concentrata nell’invenzione del marinaio. Invenzione, almeno in
parte riflessiva. Sarebbe stato sufficiente che Pratt si guardasse allo
specchio per vedere Corto. Avrebbe visto una sagoma più impreci-
sata della propria, graficamente corretta dal photoshop della lette-
ratura. Tuttavia l’enigmatico straniero è (anche) lui, Hugo Pratt, un
uomo con una vita da dandy novecentesco senza patria e senza pa-
drone; un narratore talmente pieno di storie e conoscenze da volerle
orchestrare con un medium più fisico della sola parola, inventando
una letteratura che ha preso la via del disegno.
RINGRAZIAMENTI

Grazie all’amico Marco Laggetta per avermi prestato molti volu-


mi di Pratt che mancavano ai miei scaffali e per avermi fatto cono-
scere Stelio Fenzo.
Grazie agli amici e colleghi con cui ho realizzato un numero spe-
ciale della rivista «H-ermes, Journal of Communication» intitolato
“Vent’anni senza Pratt”, scaricabile da http://siba-ese.unisalento.it/
index.php/h-ermes/issue/view/1336
Grazie a chiunque ha organizzato e organizzerà ogni genere di
iniziativa rivolta alla crescita della conoscenza su Hugo Pratt e sulle
sue opere.
Un ringraziamento particolare a Luca Bandirali per la lettura pre-
via e i consigli.
Ringrazio Sara per esserci stata nel mentre scrivevo.
Ringrazio i miei genitori per avermi fatto nascere a quattro passi
da una corte sconta detta arcana.
IL CAFFÈ DEI FILOSOFI
Collana diretta da Claudio Bonvecchio e Pierre Dalla Vigna

1. Claudio Bonvecchio (a cura di), La filosofia del Signore degli Anelli


2. Claudio Bonvecchio, I viaggi dei filosofi. Percorsi iniziatici del sapere tra
spazio e tempo
3. Sandro Nannini, La nottola di Minerva. Storie e dialoghi fantastici sulla fi-
losofia della mente
4. Eleonora De Conciliis, Pensami, stupido!
5. Maurizio Elettrico, L’Infante Demiurgo. Manifesto estetico dell’artificiale
biologico
6. Roberto Manzocco, Twin Peaks, David Lynch e la filosofia
7. Giulio M. Facchetti, Erika Notti (a cura di), Atlantide. Luogo geografico,
luogo dello spirito
8. Roberto Manzocco, Pensare Lost. L’enigma della vita e i segreti dell’isola
9. Marcello Ghilardi, Filosofia nei manga. Estetica e immaginario nel Giappone
contemporaneo
10. Claudio Bonvecchio, L’eclissi della sovranità
11. Claudio Bonvecchio, La magia e il sacro
12. Frances A. Yates, L’illuminismo dei Rosa Croce
13. Carmelo Muscato, L’enigma della scelta. Un approccio cognitivo e filosofico-
politico
14. Fabio Chiusi, Nessun segreto. Guida minima a WikiLeaks, l’organizzazione
che ha cambiato per sempre il rapporto tra internet, informazione e potere
15. Emma Palese, Da Icaro a Iron Man. Il Corpo nell’era del Post-Umano
16. Carlo Magnani, Filosofia del tennis. Profilo ideologico del tennis moderno
17. Marco Teti, Generazione Goldrake. L’animazione giapponese e le culture
giovanili degli anni Ottanta
18. Achim Seiffarth, Meditazioni sullo shopping
19. Laura Anna Macor, Filosofando con Harry Potter. Corpo a corpo con la morte
20. Roberto Manzocco, Dylan Dog. Esistenza, orrore, filosofia
21. Claudio Bonvecchio (a cura di), La filosofia di Indiana Jones
22. Vittorio Mathieu, Sciagure parallele. Risorgimento italiano e rivoluzione
francese
23. Marcello Barison (a cura di), Borges. Labirinti immaginari
24. Salvatore Patriarca, Il mistero di Maria. La filosofia, la De Filippi e la tele-
visione
25. Alessandro Alfieri-Paolo Talanca, Vasco, il male. Il trionfo della logica
dell’identico
26. Otto Weininger, Sesso e carattere, Introduzione di Franco Rella
27. Iris Gavazzi, Il vampiresco. Percorsi nel brutto
28. Claudio Bonvecchio (a cura di), Il mito dell’Università
29. Arnaldo Colasanti, Febbrili transiti. Frammenti di etica
30. Jorge Luis Borges, Cartografia di un destino. Interviste, a cura di Tommaso
Menegazzi
31. Antoine Buéno, Il libro nero dei puffi. La società dei puffi tra stalinismo e
nazismo
32. Nicoletta Cusano, Essenza e fondamento dell’amore
33. Paolo Bellini, L’immaginario politico del salvatore
34. Alessandro Grilli, Storie di Venere e Adone. Bellezza, genere, desiderio
35. Santiago Ramón y Cajal, Psicologia del Don Quijote e il quijotismo
36. Pierpaolo Antonello, Dimenticare Pasolini. Intellettuali e impegno nell’Italia
contemporanea
37. Enrico Cantino, Da Goldrake a Supercar Gattiger. Dal semplice al comples-
so: tipologie di robottoni dell’animazione giapponese
38. Enrico Cantino, Da Kenshiro a Sasuke. Gli anime guerrieri e il codice d’ono-
re degli antichi samurai
39. Davide Pessach, Semiotica del calcio in TV. I segni dello sport nello spetta-
colo postmoderno
40. Claudio Bonvecchio, Gian Luigi Cecchini, Marco Grusovin, Simone Paliaga,
Adriano Segatori, Mitteleuropa ed Euroregione, Un destino, una vocazione,
un carattere
41. Pietro Piro, Francisco Franco. Appunti per una fenomenologia della potenza
xe del potere
42. Carmine Castoro, Filosofia dell’osceno televisivo. Pratiche dell’odio contro
la tv del Nulla
43. Roberto Masiero (a cura di), Pensare l’Europa
44. Angelo Villa, Pink Freud. Psicoanalisi della canzone d’autore da Bob Dylan
a Van De Sfroos
45. Donato Ferdori, Stefano Marino (a cura di), Filosofia e popular music
46. Lucrezia Ercoli, Filosofia della crudeltà. Etica ed estetica di un enigma
47. Salvatore Ferlita, Non per viltade. Papi sull’orlo di una crisi
48. Paolo Ercolani, Qualcuno era italiano. Dal disastro politico all’utopia della rete
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50. Federico Nicolaci, Tempio vuoto. Crisi e disintegrazione dell’Europa
51. Antonio Guerrieri, Apple come esperienza religiosa
52. Erik Peterson, Il mistero degli ebrei e dei gentili nella Chiesa
53. Richard Greene e Peter Vernezze, I Soprano e la filosofia. Uccido dunque
sono, traduzione e cura di Andrea Signorelli
54. Richard Greene e K. Silem Mohammad (a cura di), Quentin Tarantino e la
filosofia. Come fare filosofia con un paio di pinze e una saldatrice
55. Natale Sansone (a cura di), La filosofia del marchese De Sade
56. Sergio Benvenuto, Antonio Lucci, Lacan, oggi. Sette conversazioni per capire
Lacan
57. Enrico Cantino, Da Lamù a Kiss me Licia. Le dinamiche di coppia secondo
l’animazione giapponese
58. Enrico Cantino, Da Mimì Ayuhara a Oliver Hutton. Gli anime sportivi e lo
spirito di gruppo
59. Stefano Petruccioli, Gli X-Men e la filosofia
60. Ernesto L. Francalanci, Estetica del potere. Figure dell’ordine e del disordine
61. Furio Colombo, Athos De Luca, con Vittorio Pavoncello, Il paradosso del
Giorno della Memoria. Dialoghi
62. Andrea Calzolari (a cura di), Mondobugia. Undici variazioni sul mentire
63. Maxime Coulombe, Piccola filosofia dello zombie. O come riflettere attra-
verso l’orrore
64 Richard Greene e K. Silem Mohammad (a cura di), La filosofia di zombie e
vampiri. Una nuova vita per i non morti
65. Jean-Luc Nancy, Tommaso Tuppini, 2014
66. Pino Bertelli, Guy Debord. Anche il cinema è da distruggere! Sul cinema
sovversivo di un filosofo dell’eresia e commentari sulla macchina/cinema
67. Matteo Galli, Il sogno e il tempo. Due saggi su Wenders
68. Leonardo Vittorio Arena, Sul nudo. Introduzione al nonsense
69. Enrico Cantino, Dall’incantevole Creamy a Pollon. Maghette e incantesimi
nell’animazione giapponese
70. Enrico Cantino, Da Heidi a Lady Oscar. Le eroine degli anime al femminile,
71. Stefano Petruccioli, X-MEN. Per un’etica indagata in stile mutante
72. Pino Bertelli, Guy Debord un filosofo sovversivo. Per una critica radicale
della civiltà dello spettacolo e la rivolta della gioia dell’Internazionale
Situazionista
73. Carmine Castoro, Clinica della TV. I dieci virus del Tele-Capitalismo. Filosofia
della Grande Mutazione
74. Monia Andreani, Peppa Pig e la filosofia. Tra antropologia e animalità
75. Mario De Caro, Biografie convergenti. Venti ircocervi filosofici, con illustrazioni
di Guido Scarabottolo
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da Digital Team - Fano (PU)

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