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PIANO
MECCANICO
PREFAZIONE
di Riccardo Valla
Disteso sul letto dopo la serata degli uomini dal cuore im-
pavido a casa di Kroner, il dottor Paul Proteus, figlio di un
uomo di successo, ricco egli stesso e con la prospettiva di di-
ventare ancora più ricco, fece il conto dei suoi beni materiali.
Scoprì di trovarsi in una condizione eccellente per permetter-
si l'integrità. Possedeva, senza dover lavorare un altro giorno
in vita sua, quasi tre quarti di milione di dollari.
Una volta tanto, la sua scontentezza per la vita che condu-
ceva aveva una ragione precisa. Stava reagendo ad un'offesa
che sarebbe stata considerata tale da quasi ogni uomo in qua-
lunque epoca della storia.
Gli era stato chiesto di fare la spia al suo amico Ed Finner-
ty. Questo era un attacco radicale alla sua integrità, e Paul lo
accolse con lo stesso sollievo che si era provato quando era-
no stati sparati i primi colpi dell'ultima guerra, dopo decenni
di tensione.
Ora poteva davvero andar fuori dai gangheri e piantar tut-
to.
Anita dormiva, completamente appagata: non tanto da
Paul, quanto dall'orgasmo sociale di vedersi offrire il posto
di Pittsburgh, dopo avere amoreggiato per anni col sistema.
Gli aveva fatto un monologo tornando da Albany, un reso-
conto nello stile di Shepherd. Aveva riesaminato la carriera
di Paul dal momento del loro matrimonio in avanti, e Paul si
era stupito nell'apprendere che la sua strada era cosparsa di
cadaveri: uomini che avevano cercato di sopraffarlo, uscen-
done umiliati e distrutti.
Anita aveva dipinto a colori così vividi questo massacro
che era stato costretto per un attimo ad abbandonare i propri
pensieri, per vedere se c'era la sia pur minima verità in ciò
che lei diceva. Ripercorse gli scalpi che lei enumerava uno
ad uno - uomini entrati in competizione con lui per questo o
quel posto di lavoro - scoprendo che si erano tutti fatti strada
ed erano in buone condizioni sia economicamente che nello
spirito. Ma per Anita erano uomini morti, colpiti proprio in
mezzo agli occhi, spazzatura di cui ci si era liberati con sol-
lievo.
Paul non aveva detto ad Anita le condizioni che avrebbe
dovuto soddisfare per ottenere Pittsburgh. E non lasciò trape-
lare di avere altre intenzioni se non di accettare il posto con
gioia ed orgoglio.
Ora, disteso accanto a lei, si congratulò con se stesso per
la sua calma, per essere stato davvero astuto per la prima
volta in vita sua.
Avrebbe aspettato a lungo prima di dire ad Anita che si li-
cenziava, fino a quando lei sarebbe stata pronta. L'avrebbe
rieducata con sottigliezza secondo un nuovo sistema di valo-
ri, e "dopo" si sarebbe licenziato. Altrimenti lo shock di ri-
trovarsi moglie di una nullità avrebbe potuto avere effetti tra-
gici per lei. Il solo terreno su cui si confrontava col mondo
era costituito dalla posizione di suo marito.
Se lui perdeva la sua posizione, c'era la spaventosa possi-
bilità che lei perdesse ogni contatto col mondo o che, even-
tualità ancora peggiore per Paul, lo lasciasse.
E Paul non voleva che accadesse nessuna di queste due
cose. Lei era la persona che il destino gli aveva dato perché
l'amasse, e lui faceva del suo meglio per amarla. La conosce-
va troppo bene per farsi infastidire dalle sue arie, che trovava
quasi sempre solo patetiche.
Anita costituiva inoltre una fonte d'incoraggiamento più di
quanto Paul volesse ammettere, e possedeva un talento nella
sfera sessuale da cui lui ricavava l'unico entusiasmo senza ri-
serve della sua vita.
E Anita gli aveva anche reso possibile, con la sua attenzio-
ne pignola ai dettagli, il lusso di un atteggiamento distaccato,
ora divertito ora cinico, verso la vita.
Per di più, era tutto ciò che lui aveva.
Un vago panico gli salì gelido nel petto, allontanando la
sonnolenza quando gli sarebbe stata maggiormente gradita.
Comincio a rendersi conto che anche lui sarebbe andato in-
contro ad uno shock. Si sentì stranamente disincarnato,
un'entità senza sostanza, un nulla, un uomo che si rifiutava di
essere qualcosa di più. Comprendendo di colpo di essere,
come Anita, poco più della sua posizione sociale, gettò le
braccia intorno alla moglie dormiente, e posò il capo sul pet-
to della sua futura compagna nel mondo dei fantasmi.
«Mmmmm?» fece Anita. «Mmmmmmmm?».
«Anita...».
«Mmm?».
«Anita, ti amo». Sentiva l'impulso di dirle tutto, di mesco-
lare la propria mente a quella di lei. Ma quando sollevò un
attimo il capo dal calore e dalla fragranza inebriante del petto
di Anita, l'aria fresca dei monti Adirondacks gli bagnò il
viso, facendogli tornare la saggezza. Non le disse altro.
«Anch'io ti amo, Paul» mormorò Anita.
CAPITOLO QUATTORDICESIMO.
«Hmmm».
«E lei vincerà davvero. Lo so che vincerà» disse Kathari-
ne.
«Lei sarà al Mainland?». Il Mainland era un campeggio
per le mogli e i figli, e le impiegate il cui sviluppo era ancora
incompleto, sulla riva di fronte ai Meadows, l'isola dove an-
davano gli uomini.
«Visto che non posso avvicinarmi di più al luogo dell'azio-
ne...» disse Katharine con un tono di rimpianto.
«E' vicino a sufficienza, mi creda. Mi dica, Bud Calhoun
sarà lì?».
Lei si fece rossa, ed egli rimpianse subito di averglielo
chiesto. «So che ha ricevuto un invito,» rispose «ma questo è
stato prima...».
Scrollò le spalle con aria infelice. «E lei sa quel che dice il
"Manuale"».
«Le macchine non lo sopportano più» disse Paul grave-
mente. «Perché non costruiscono un congegno che offra da
bere a uno prima che venga sbattuto fuori? Sa che sta facen-
do ora?».
«Non gli ho parlato e non l'ho visto, ma ho chiamato l'uffi-
cio di Matheson per sapere che cosa gli sarebbe successo.
Hanno detto che sarebbe diventato progettatore capo per i...»
le mancò la voce «per i Puzzi e Rottami». L'emozione le sta-
va facendo perdere il controllo, e uscì di corsa dall'ufficio di
Paul.
«Sono sicuro che se la caverà bene» le gridò dietro Paul.
«Scommetto che non riconosceremo più la nostra città tra un
anno, con lui a fare progetti per i Puzzi e Rottami».
Squillò il telefono di Katharine, che comunicò a Paul che
il dottor Edward Finnerty era al portone, e desiderava entra-
re.
«Legatelo mani e piedi, gli faccia mettere un sacchetto sul-
la testa, e lo faccia scortare da quattro uomini. Con la baio-
netta in canna, naturalmente. E ne faccia fare una fotografia
per Shepherd».
Dieci minuti più tardi, Finnerty venne scortato nell'ufficio
di Paul da una guardia armata.
«Per amor del cielo, guardati!» esclamò Paul. Finnerty
aveva i capelli tagliati e pettinati, il viso roseo, tirato a lucido
e rasato, e il vestito di tela indiana, seppure logoro e sforma-
to aveva un'aria fresca e pulita.
Finnerty lo fissò con sguardo inespressivo, come se non
capisse quale fosse la causa del suo stupore. «Vorrei prende-
re in prestito la tua macchina».
«Prometti di cancellare le impronte digitali quando hai fi-
nito?».
«Oh, sei arrabbiato per quella faccenda della pistola, im-
magino. Mi spiace. Volevo buttarla nel fiume».
«Ne sei a conoscenza, allora?».
«Certo, e anche di come Shepherd ha fatto rapporto su di
te, dicendo che mi hai lasciato entrare in fabbrica senza scor-
ta. Una bella scalogna». Finnerty, dopo essere stato neanche
una settimana a Homestead, aveva assunto dei modi duri e
spavaldi, palesemente artificiosi. Pareva inoltre spassarsela
un mondo per il fatto di essere una compagnia rischiosa per
le persone rispettabili.
Paul era sbalordito, come lo era già stato da Kroner, per
come gli altri conoscevano bene i suoi affari. «Come fai a sa-
pere tutte queste cose?».
«Saresti sorpreso se ti dicessi le cose che sanno certe per-
sone, e come fanno a scoprirle. Ti cadrebbero i pantaloni a
sapere che cosa succede a questo mondo. Sto aprendo gli oc-
chi appena adesso». Si piegò in avanti con aria eccitata. «E
poi, Paul... sto trovando me stesso.
Finalmente sto trovando me stesso».
«Che aspetto hai, Ed?».
«Quegli stupidi bastardi dall'altra parte del fiume... ecco la
gente che fa per me. Sono veri, Paul, veri!».
Paul non aveva mai dubitato che fossero veri, e quindi si
trovò sprovvisto di commenti o reazioni emotive all'impor-
tante annuncio di Finnerty. «Beh, sono contento che tu abbia
trovato te stesso dopo tutti questi anni» disse. Finnerty passa-
va il tempo a trovare se stesso da quando Paul lo conosceva.
E, qualche settimana dopo, abbandonava sempre l'ultimo io
accusandolo rabbiosamente di essere un impostore, per sco-
prirne un altro. «Magnifico, Ed».
«Beh, comunque, per quelle chiavi della macchina?».
«Posso chiedere a quale scopo?».
«Una cosetta tranquilla. Voglio prendere i miei vestiti e
tutto il resto a casa tua per portarli da Lasher».
«Stai da Lasher?».
Finnerty annuì. «E' incredibile come abbiamo subito ingra-
nato insieme, fin dall'inizio». Nel suo tono si avvertiva una
leggera nota di disprezzo per lo stile di vita insulso di Paul.
«Le chiavi?».
Paul gliele buttò. «Come pensi di usare il resto della tua
vita, Ed?».
«Con la gente. E' quello il mio posto».
«Lo sai che la polizia ti cerca perché non ti sei fatto regi-
strare?».
«Dà più sapore alla vita».
«Puoi essere arrestato, lo sai».
«Tu hai paura di vivere, Paul. E' questo il tuo problema.
Sai qualcosa su Thoreau ed Emerson?».
«Un poco. All'incirca quello che ne sapevi tu prima di es-
sere istruito da Lasher, immagino».
«Comunque, Thoreau fu messo in prigione per essersi ri-
fiutato di pagare una tassa a sostegno della guerra contro il
Messico. Non credeva nelle guerre. Ed Emerson andò in pri-
gione a trovarlo. "Henry," gli disse "perché sei qui?". E Tho-
reau gli rispose "Ralph, perché "non sei" qui?"».
«Dovrei aver voglia di andare in prigione?» disse Paul,
cercando di estrarre da quell'aneddoto un messaggio rivolto a
lui.
«Non dovresti permettere alla paura della prigione di im-
pedirti di fare quello in cui credi».
«Beh, non me lo impedisce». Paul pensò che il grosso pro-
blema, in effetti, consisteva nel trovare qualcosa in cui cre-
dere.
«D'accordo, non te lo impedisce». C'era una stanca incre-
dulità nella voce di Finnerty. Era evidente che si annoiava
con il suo ex amico conformista della riva settentrionale del
fiume. «Grazie per la macchina».
«Quando vuoi». Paul si sentì sollevato quando la porta si
richiuse dietro il nuovo - per quella settimana - Finnerty.
Katharine riaprì la porta. «Mi spaventa» disse.
«Non è il caso. Spreca tutte le sue energie nel giocare con
se stesso.
Ecco il suo telefono».
«E' il dottor Kroner» disse Katharine. «Sì,» disse nell'ap-
parecchio «il dottor Proteus è in ufficio».
«Vuole metterlo in linea, per favore?» disse la segretaria
di Kroner.
«Parla il dottor Proteus».
«Il dottor Proteus è in linea» disse Katharine.
«Un momento solo. Il dottor Kroner desidera parlare con
lui. Dottor Kroner, il dottor Proteus di Ilium è in linea».
«Salve, Paul».
«Salve, signore».
«Paul, per quella faccenda di Finnerty e Lasher...». Il suo
tono scherzoso da cospiratore suggeriva che l'idea di mettere
i due in stato d'accusa fosse quasi una burla. «Volevo dirti
che ne ho parlato con Washingon, per metterli al corrente
delle nostre intenzioni, e loro dicono di sospendere per un
po'. Dicono che l'intera faccenda deve essere progettata bene
al massimo livello. A quanto pare, è roba più grossa di quan-
to pensassi». Abbassò la voce in un bisbiglio. «Sta diventan-
do un problema su scala nazionale, non solo di Ilium».
Paul fu lieto di sentire che ci sarebbe stato un rinvio, ma lo
stupì la ragione addotta per questo. «Come potrebbe Finnerty
diventare un problema su scala nazionale o anche solo di
Ilium? E' qui solo da qualche giorno».
«Le mani oziose lavorano per il diavolo, Paul. Probabil-
mente si è messo a frequentare cattive compagnie, e sono
queste che ci interessano soprattutto. Comunque, i pezzi
grossi vogliono sapere tutto quello che facciamo, e vogliono
fare una riunione ai Meadows per parlarne. Vediamo... tra
sedici giorni».
«Benissimo» disse Paul, aggiungendo, mentalmente, il po-
scritto immaginario che poneva in fondo a tutti gli affari uffi-
ciali in quel periodo: «E vattene all'inferno». Non aveva la
minima intenzione di fare la spia a nessuno. Avrebbe sempli-
cemente temporeggiato finché lui ed Anita sarebbero stati
pronti a dire «Va' all'inferno, vada tutto all'inferno» a voce
alta.
«Qui pensiamo tutto il bene possibile di te, Paul».
«Grazie, signore».
Kroner rimase in silenzio per un attimo, poi di colpo lan-
ciò un urlo nel telefono, rompendo quasi il timpano a Paul.
«Come ha detto, signore?». Il messaggio era stato così for-
te da far male senza risultare intelligibile.
Kroner ridacchiò, abbassando un po' la voce. «Ho detto,
chi vincerà, Paul?».
«Vincerà?».
«I Meadows, i Meadows! Chi vincerà?».
«Oh... i Meadows» fece Paul. Era una conversazione da
incubo, con Kroner allegro e irruento e Paul che non aveva la
minima idea dell'oggetto della discussione.
«Che squadra?» esclamò Kroner, lievemente irritato.
«Oh. Oh! Vincerà la "Squadra Blu"!». Si riempì i polmoni.
«Blu!». gridò.
«Puoi scommetterci la testa che vinceremo!» gridò Kroner
di rimando.
«I Blu ti seguono, Capitano!». Allora anche Kroner era
nella Squadra Blu. Si mise a cantare col suo vocione da bas-
so:
"Un vecchio, dalla barba bianca che gli giunge alla vita,
con indosso una lunga veste bianca e dei sandali dorati e un
cappello azzurro a cono tempestato di stelle dorate, è seduto
in cima a una scala a pioli straordinariamente alta. Ha un'aria
saggia, giusta e stanca per il peso della responsabilità. Strin-
ge in una mano un grande straccio per la polvere. Di fianco
alla scala, e della stessa altezza, c'è un palo sottile. Un altro
uguale si leva dall'altra parte del palcoscenico.
Tra i due pali è teso un filo che passa, come una corda da
bucato, su delle carrucole fissate ai pali. Appesa al filo c'è
una serie di stelle metalliche larghe circa mezzo metro. Sono
coperte di vernice fluorescente, così che un raggio di luce in-
frarossa invisibile si posa ora su una stella ora su un'altra, fa-
cendole risplendere di colori abbaglianti.
Il vecchio, ignorando il pubblico, contempla le stelle so-
spese dinanzi a lui, stacca la stella più vicina, ne esamina la
superficie, lucida una macchia opaca, scuote il capo triste-
mente e lascia cadere la stella. Fissa con rimpianto la stella
caduta, quindi quelle ancora sul filo, infine il pubblico. Poi
parla".
Cornell vittoriosa
Fra tutti campione!
salivano a lui le voci.