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Ippolito Nievo

Storia filosofica dei secoli futuri


fino all’anno dell’E.V. 2222
ovvero fino alla vigilia in circa
della fine del mondo
Ristampa anastatica dell’edizione originale
apparsa sulla «Strenna dell’Uomo di Pietra»
nel gennaio 1860
a cura di
Roberta Amato, Marco Lauri
Prefazione di
Giuseppe Panella
Indice
9 Prefazione. Nievo e la fantascienza italiana a venire
di Giuseppe Panella
17 Presentazione
di Roberta Amato e Marco Lauri
19 Introduzione. Nievo e le contraddizioni della storia
di Marco Lauri
57 Nota biografica
di Roberta Amato
63 Nota critica
di Roberta Amato e Marco Lauri
65 Ippolito Nievo
Storia filosofica dei secoli futuri
109 Conclusione. Storia della Storia filosofica
di Roberta Amato
137 Bibliografia ragionata
157 Ringraziamenti
7

9
Prefazione
Nievo e la fantascienza italiana a venire
« – Dov'è stato finora vostra eccellenza? chiese la più bruna e paffutella delle due
dame di Cagliari. – Capperi!, rispos'egli; – nella mia biblioteca. Ora la vede che il
mondo non è una biblioteca, riprese quella; e così molte volte le occorrerà fare secondo
la volontà altrui»
(Ippolito Nievo, Il barone di Nicastro)
1. Letteratura d'anticipazione e scrittura satirica
Il termine science fiction, da cui l'improprio termine italiano fantascienza,
fu coniato nel 1926 da Hugo Gernsback, l'americano di origine
lussemburghese fondatore della rivista Amazing Stories, in cui
questo termine, poi destinato a designare un intero genere di letteratura
popolare, venne usato per la prima volta. Il termine usato da Gernsback
è più esattamente quello di scientifiction, poi mutato in quello
oggi più comune dopo tutta una serie di contrazioni (il termine italiano,
invece, si deve a Giorgio Monicelli che lo usò per la prima volta
per designare il contenuto della rivista quattordicinale «Urania» da lui
creata e diretta fino al 1961 prima di lasciare il posto a Carlo Fruttero
e Franco Lucentini). Parlare di fantascienza per un libro scritto prima
dell'avvento delle riviste del “periodo d'oro” e prima dell'invenzione
linguistica di Gernsback è, dunque, improprio.
Per un'opera come la Storia filosofica dei secoli futuri di Ippolito
Nievo è probabilmente meglio (e più significativo) l'uso della qualifica
di “letteratura d'anticipazione” (come, d'altronde, erano designati
comunemente, prima dell'avvento del fondatore di Amazing Stories, i
romanzi di Jules Verne o di Herbert George Wells).
Ma forse neppure questa definizione è adatta al testo nieviano di
cui Roberta Amato e Marco Lauri hanno curato eccellentemente la
riedizione. Non si tratta, infatti, di un libro (possibile) che vuole sondare
il futuro con gli strumenti della letteratura quanto di una rifles10
Prefazione
sione, dura e brillante, sul presente e sulle sue possibili evoluzioni negative
a venire. I modelli di Nievo, di conseguenza, non possono essere
che i romans philosophiques che hanno caratterizzato la stagione
narrativa dell'Illuminismo francese, primi fra tutti, i racconti sarcastici
e intrisi di cinismo mai rassegnato scritti da Voltaire (innanzitutto il
breve Micromégas del 17521 e poi, esemplarmente, anche il romanzo
Candide, ou L'Optimisme del 1759).
Ma anche nella vasta opera lasciata da Nievo e che appare tanto
più ampia e variegata se la si considera in rapporto con il breve arco di
tempo in cui è stata elaborata e prodotta c'è anche un precedente possibile
alla Storia filosofica, costituito dal romanzo umoristico e grottesco
dedicato a Il barone di Nicastro, breve ma sapido testo narrativo
che mette alla berlina il proprio tempo e i costumi dei contemporanei2.
Filiazione diretta del Don Quijote de la Mancha di Cervantes e del
Candide volterriano, è un romanzo che, pur avendo ricevuto all'epoca
un'accoglienza non eccessivamente entusiastica, ha lasciato il segno
nella letteratura italiana3.
In esso, Don Camillo Bernardo Lucio Clodoveo, barone di Nicastro
e Giudice di Sardegna, trascorre la prima parte della propria esi-
1 Ė in polemica con il Micromégas di Voltaire che scocca la scintilla letteraria che porta
Giacomo Casanova a stendere e a pubblicare nel 1768 il suo Jcosameron, non a caso
ambientato nel paese sotterraneo dei Megamicri. Su questa assai poco conosciuta opera di
Casanova, mi permetto di rimandare al mio, Il mondo altrove. Congetture
sull'Jcosameron e la seduzione della scrittura, il testo introduttivo alla mia edizione
(ridotta) del romanzo casanoviano (La Vita Felice, Milano, 2001). Nievo, che
sicuramente conosceva l'opera volterriana, probabilmente non aveva letto, invece, il
grosso testo narrativo di Casanova, all'epoca non grandemente conosciuto.
2 Pubblicato a puntate sulla rivista «Il Pungolo», diretto dal triestino Leone Fortis con il
titolo Le disgrazie del numero Due e con il sottotitolo Novella satirica contemporanea, il
romanzo, firmato con il trasparente pseudonimo di “Nevio”, fu interrotto senza alcuna
spiegazione al capitolo quindicesimo della narrazione. Sarà poi pubblicato nel 1860 con il
nuovo titolo più diretto ed esplicativo.
3 Il barone rampante (1957) di Italo Calvino, ad esempio, è direttamente ispirato ad esso
(d'altronde, anche Il sentiero dei nidi di ragno del 1947 doveva molto come ispirazione
poetica e respiro narrativo alla prima parte, quella relativa alle esplorazioni del mondo da
parte del piccolo Carlino, delle Confessioni d'un italiano di Nievo). Sulla dinamica del
romanzo maggiore di Nievo e sul suo rapporto con la cultura politica e sociale del
Risorgimento, rimando al mio Carlino e Lucilio. Nievo, Mazzini e l'unità d'Italia, in
«Riscontri», (XXXIII), nn° 3-4, 2011, pp. 115-134.
Prefazione 11
stenza in una biblioteca nel tentativo di impadronirsi dello scibile
umano. Sollecitato da una pergamena ritrovata per caso in cui compare
una dichiarazione sull'inesistenza della virtù umana attribuita a Bruto
Minore, il barone si mette in viaggio per dimostrare la falsità di una
simile affermazione. Ovviamente mal gliene incoglierà e, dopo una
serie di avventure tragicomiche ai quattro angoli della Terra, sia nel
Vecchio che nel Nuovo Mondo, dopo aver perso un braccio e una
gamba, se ne tornerà nel suo castello nella speranza di avere un erede
che ne consoli la vecchiaia. Sfortunato anche in questo morirà come
Don Chisciotte ucciso dalla malinconia e dalla delusione. Il suo unico
figlio, nato otto mesi dopo la sua morte, ne continuerà l'attività e la ricerca
seguendo le indicazioni lasciate dalla tardiva saggezza del padre:
«PESAR POCO, PENSAR NULLA; fare il bene e fuggir il male
per ispirito di contraddizione; operare, se i tempi lo consentono, grandi
e generose cose per sentimento estetico; e cercar il resto nelle nuvole
o a Parigi, dove qualche cosa si potrebbe trovare in barba al Misogallo.
Scritto di mio pugno, da me Camillo Bernardo Lucio Clodoveo
Barone di Nicastro, la sera del giorno 11 Ottobre 1856, appena tornato
dal mio sventuratissimo viaggio pei due mondi; e scrivo per corollario
in foggia di enigma, che i due mondi sarebbero beati se si cancellasse
da essi il numero due, simbolo di altalena, di contraddizione, di immobilità
»4.
L'odio contro il numero due da lui contrapposto alla Trinità pitagorica,
considerata dal barone come segno dell'armonia e della perfezione
celeste, lo aveva accompagnato durante tutto il suo viaggio attraverso
tutto il globo terrestre ed era stato, a suo dire, il motivo di tutte
le sue sciagure…
4 I. NIEVO, Il Barone di Nicastro, Valsecchi, Milano, 1945, p. 178 (questa edizione, a cura
di Ivo Senesi, contiene anche le novelle La corsa di prova e La pazza del Segrino).
12 Prefazione
2. Uomini e automi
La Storia filosofica dei secoli futuri, redatta nel 1859 e pubblicata
nel gennaio 1860 sulla rivista «L'Uomo di Pietra» fondata da Antonio
Ghislanzoni e pubblicata dalla Tipografia Pietro Agnelli di Milano,
si ricollega direttamente al Barone di Nicastro per gli umori polemici
e satirici che lo irrigano e lo fecondano ma appartiene, in modo
ancora più netto e deciso, alla dimensione politica in cui si sviluppa in
quel periodo la riflessione di Nievo sugli eventi che ebbero corso negli
ultimi due anni della sua vita.
Per la sua corretta comprensione vanno, di conseguenza, tenuti
presenti gli avvenimenti di quegli anni convulsi (la Seconda Guerra
d'Indipendenza, l'armistizio di Villafranca che ne seguì l'11 luglio
1859, il congresso di Parigi che invece poi non si tenne affatto, i prodromi
della ormai prossima spedizione dei Mille) e le posizioni assunte
da Nievo al riguardo, come anche la sua delusione successiva agli
accordi che avevano messo fine alla guerra tra Impero asburgico e
Francia, con la conseguente cessazione delle ostilità dell'Austria con il
Piemonte alleato di Napoleone III. I testi cosiddetti giornalistici firmati
ARSENICO e pubblicati su «L'Uomo di Pietra» ne sono l'espressione
sarcastica e, in certa misura, dolente, un violento sfogo umorale
fondato, tuttavia, su una precisa cognizione di causa circa i mali d'Italia5
e i destini futuri d'Europa.
In uno di essi, I quattro pareri o Un preliminare del Congresso.
Dramma pericoloso, scritto sotto forma di dialogo tra il visconte de
Laguerronière, Massimo d'Azeglio, il professor Giorgini, il teologo
genero di Alessandro Manzoni e il filosofo di Ripetta, simbolo della
coscienza irriducibile del popolo minuto romano, si può leggere:
5 Di essi, Nievo avrebbe poi trattato più esplicitamente nel cosiddetto Frammento sulla
Rivoluzione nazionale (intitolato così quando fu stampato per la prima volta nel 1929).
L'edizione più accreditata di questo testo nieviano è ormai quella a cura di Marcella Gorra
(I. NIEVO, Rivoluzione politica e rivoluzione nazionale, Istituto Editoriale Veneto
Friulano, Udine, 1994).
Prefazione 13
«Il filosofo di Ripetta. Il papa è vicario di Dio come autorità;
come uomo ha una pancia da conservare. Badi il congresso a mettergliela
al sicuro non per un anno né per due ma per sempre. Non dico
altro: soltanto ricordo loro che undici anni prima ch'essi pensassero a
ristringere e a mediatizzare il papa io l'aveva bello e ristretto… a una
camera d'albergo in Gaeta; l'aveva bello e mediatizzato… agli stipendii
di re Bomba. Torno a dire: pensino e provvedano, se no verrà una
volta o l'altra il buon momento e provvederemo noi»6.
Le opinioni di Nievo sono qui molto precise e non permettono di
dubitare del suo futuro pensiero sulla questione nazionale. Ma il puro
rispetto delle valenze storiche e la loro analisi non bastano a spiegare
le ragioni del perché lo scrittore padovano abbia pensato alla redazione
di questo opuscolo e alle sue ragioni specifiche.
Ambientato nel 2222 (i due che lo compongono in tale quantità
bastano a spiegare il perché sia considerato come l'anno più probabile
per la fine del mondo), il pamphlet nieviano non esplora soltanto le
possibilità future dell'Europa e del mondo che verranno sotto il profilo
politico e antropologico-culturale (come si direbbe oggi). Si affida, in
realtà, in modo ironico e smagato, al progresso scientifico (“le magnifiche
sorti e progressive” dell'amato Leopardi).
I due autori cui il testo è attribuito (il filosofo-chimico Ferdinando
de' Nicolosi, che vive e scrive nell'anno di grazia 1859, e Vincenzo
Bernardi di Gorgonzola, che vive e scrive nell'anno di grazia
2222 dell'era volgare) danno largo spazio alle scoperte scientifiche e
alla loro utilizzazioni pratiche. Una di esse, basata sul “principio
dell'analogia platonica” permetterà al de' Nicolosi di prevedere che
cosa succederà nel futuro attraverso la “fioritura anticipata” dei pensieri
predisposta mediante un intruglio chimico di sua invenzione.
Potrà, di conseguenza, leggere ciò che il dotto di Gorgonzola ha
scritto (nonostante o forse perché il grande patriarca Adolfo Kurr
avesse ordinato la distruzione di tutti i libri scritti prima del 20007) e
6 I. NIEVO, Storia filosofica dei secoli futuri (e altri scritti umoristici del 1860), a cura di
Emilio Russo, Salerno, Roma, 2003, p. 81.
7 Si tratta di un evento singolare (ma non tanto da sembrare impossibile) che anticipa la
distruzione dei libri che avverranno nel futuro: da quella perpetrata dai nazisti a Berlino il
10 maggio 1933 a quella quotidiana e sistematica descritto da R. BRADBURY nel suo
14 Prefazione
sapere che cosa accadrà al mondo a partire dalla pace di Zurigo del
1859 per finire con la “peste apatica” propagatasi irresistibilmente nel
mondo dopo il 2180.
Ma il punto forte dell'invenzione narrativa di Nievo è quella che
viene definita la “creazione e moltiplicazione degli omuncoli” avvenuta
a partire dall'anno 2066 e frutto dell'ingegno e dello spirito competitivo
di Jonathan Gilles nei confronti di Teodoro Beridan (anch'egli
come Gilles costruttore di macchine per cucire) che aveva costruito un
automa meccanico. La creazione degli automi è il punto di svolta della
narrazione di Nievo, una novità oggettiva dal punto di vista dell'intreccio.
Anche se non si può dimenticare Leopardi e le sue Operette
morali, opera sempre presente in forma di riferimento diretto nei suoi
scritti satirici. Nella Proposta di premi fatta dall'Accademia dei Sillografi,
la quarta delle Operette morali, infatti, si legge:
«L'Accademia dei Sillografi attendendo di continuo, secondo il
suo principale istituto, a procurare con ogni suo sforzo l'utilità comune,
e stimando niuna cosa essere così conforme a questo proposito che
aiutare e promuovere gli andamenti e le inclinazioni “del fortunato secolo
in cui siamo”, come dice un poeta illustre, ha tolto a considerare
diligentemente le qualità e l'indole del nostro tempo, e dopo lungo e
maturo esame si è risoluta di poterlo chiamare l'età delle macchine,
non solo perché gli uomini di oggidì procedono e vivono forse più
meccanicamente di tutti i passati, ma eziandio per rispetto al grandissimo
numero delle macchine inventate di fresco ed accomodate o che
si vanno tutto giorno trovando ed accomodando a tanti e così vari
esercizi, che oramai non gli uomini ma le macchine, si può dire, trattano
le cose umane e fanno le opere della vita»8.
Su questo spunto è probabile che Nievo abbia poi costruito tutta
la parte centrale del suo scritto, rendendo tragicomica la dimensione
satirica del testo leopardiano.
romanzo distopico Fahrenheit 451 del 1953.
8 G. LEOPARDI, Operette morali, in Opere, a cura di S. Solmi, Einaudi, Torino, 1976, p. 27
(si tratta della stessa edizione curata da Solmi per la Riccardo Ricciardi Editore di Napoli
nel 1956).
Prefazione 15
L'opuscolo dello scrittore padovano, comunque, a prescindere
dalle fonti e dai suoi debiti nei confronti degli autori che a Nievo erano
particolarmente cari (come Voltaire e Leopardi), è un esempio di
altissima creatività e di notevole originalità letteraria e meritava la riproposta
attenta e significativa come quella che i due curatori del volume
hanno voluto e saputo realizzare sia filologicamente che criticamente.
Giuseppe Panella

17
Presentazione
Il presente lavoro è frutto della collaborazione di una coppia di
giovani studiosi, che hanno messo assieme competenze complementari.
Lavorare sulla Storia filosofica dei secoli futuri è stato per entrambi
una sfida, che speriamo risulti feconda, ed il lettore giudicherà: quella
di osservare il testo con strumenti concettuali e punti di vista generati
da esperienze di studio non specificamente italianistiche.
Marco Lauri è dottorando in Studi Orientali alla Sapienza di
Roma; si è concentrato prevalentemente sugli aspetti politici, scientifici
e, per così dire, fantascientifici, di questo testo così denso. La dottoressa
Roberta Amato, studentessa alla scuola dell'Archivio di Stato
di Modena, ha messo le sue conoscenze, archivistiche, letterarie e storico-
artistiche alla ricerca delle possibili fonti e all'esame delle componenti
più propriamente testuali; a lei si deve la maggior parte delle
note al testo.
I due ampi saggi d'accompagnamento si completano quindi a vicenda,
mettendo in luce elementi diversi, con lo scopo comune di meglio
collocare un'opera interessante, seppure relativamente minore (e
come tale poco considerata dalla critica), non solo nell'ambito della
produzione complessiva dell'ultimo Nievo, ma soprattutto all'interno
del mondo culturale del Risorgimento e della vita intellettuale italiana
ed europea. Ognuno dei due autori dei saggi ha lavorato separatamente
sul proprio scritto, con le proprie competenze e la propria personalità.
Ogni saggio è stato poi rivisto ed integrato, laddove necessario,
dall'altro curatore. Il lettore potrà notare le consonanze e le differenze
d'accento tra le due impostazioni.
Abbiamo ritenuto di proporre la Storia, nove anni dopo l'ottima
edizione curata da Emilio Russo per l'editore Salerno, in un volumetto
dove appariva assieme ad altri scritti giornalistici nieviani coevi, e dopo
quella contemporanea, ristampata nel 2006, inserita nella raccolta I
tre cantastorie del Castello per i tipi dell'editore Gaspari, che, nonostante
la ristampa relativamente recente, è risultata difficilmente consultabile
persino nelle biblioteche. In pochi anni diventa estremamente
difficile reperire nelle librerie, persino in quelle online, edizioni di
opere a torto considerate minori, che scontano la pena di una distribu18
Presentazione
zione difficoltosa. Qui, per la prima volta dal 1860, il testo nieviano è
offerto, anche materialmente, nella sua forma originale, circondato da
da un apparato di note, che ha cercato di restituire i riferimenti culturali
di Nievo, così attento sia ai mutamenti di costume, sia alla ricezione
di essi da parte della società di cui era, al tempo stesso, figlio e
critico di singolare acume.
I due saggi che aprono e chiudono il lavoro hanno il proposito di
accompagnare per quanto possibile il lettore attraverso la densità del
testo. Marco Lauri è intervenuto da storico delle idee, non trascurando
l'inventività della lingua nieviana, che mescola non casualmente elementi
dagli etimi peculiari. Roberta Amato nelle note ha teso l'orecchio
al particolare impasto linguistico del Nievo, embrione di quell'italiano
“medio”, plasmato da influssi locali, non ostentati ma nemmeno
dissimulati come un vizio vergognoso, in nome di un artificiale iperurbanesimo.
Si sono voluti riprodurre i bellissimi caratteri originali
ottocenteschi, e l'impaginazione imperfetta, che porta i segni dell'urgenza
di una clandestinità incombente, del giornale satirico che accoglieva
gli scritti nieviani.
Sono ricorsi lo scorso anno, il centocinquantesimo anniversario
della tragica scomparsa dell'autore, e dell'Unità d'Italia per cui combatté,
il centoottantesimo anniversario della sua nascita (il 30 novembre
2011). Avremmo voluto regalargli quest'opera per i suoi incompiuti
trent'anni più centocinquanta, ma una dolorosa incomprensione
con chi inizialmente ci aveva, così credevamo, incoraggiati, ci ha costretti
a rinviare la pubblicazione. E così, dopo traversie che non sarebbero
dispiaciute al Nievo che si schermiva nello scrivere trame
d'appendice, offriamo al lettore questa nostra fatica. Che speriamo non
sia stata vana.
Parma-Fermo, febbraio 2012
R.A. e M.L.
19
Introduzione
Nievo e le contraddizioni della Storia
Riproponiamo questo breve testo di Ippolito Nievo, Storia filosofica
dei secoli futuri, apparso sulla strenna de «L'Uomo di Pietra»,
giornale milanese con cui Nievo collaborava dal 1857, all'indomani di
un lungo anno di celebrazioni risorgimentali; centocinquantesimo della
scomparsa di Ippolito nel mar Tirreno, sul vapore Ercole, centottantesimo
della sua nascita, nel novembre del 1831. Ippolito Nievo fu, del
Risorgimento italiano, attore protagonista sia come intellettuale che
come combattente garibaldino, ma anche acutissimo critico, come mostra
in particolare il suo saggio, all'epoca purtroppo rimasto inedito,
Rivoluzione politica e rivoluzione nazionale1, scritto quasi contemporaneamente,
o poco prima, all'opera che qui presentiamo.
I contributori di questo volume non condividono la prevalente
atmosfera celebrativa del centocinquantesimo anniversario dell'Unità
d'Italia appena concluso. Per tragica ironia, è caduto anche, lo scorso
anno, il centenario della prima aggressione italiana alla Libia. Non
condividono la passione nazionale che Nievo, non sempre con piena
convinzione, mostra assieme a così tanti intellettuali italiani suoi contemporanei;
ma neppure s'identificano con quel rifiuto della logica
unitaria espresso oggi da alcuni, nelle parti del paese che più di tutte
quell'unità vollero, di cui più beneficiarono, e che, talvolta, imposero
con la forza delle armi.
I teorici e i creatori dell'unità nazionale avevano presto scoperto
di aver gruppi di “compatrioti” che, di quella Patria, non avrebbero
voluto saper nulla, a cui l'amor patrio doveva essere, e fu, insegnato a
fucilate. I nomi di Bronte e di Pontelandolfo bastino ad esempio di
questo lato, se così si vuole, oscuro e brutale dell'unificazione del nostro
paese; la moderna rivalutazione storiografica del brigantaggio
rende finalmente giustizia a coloro che, del processo unitario, furono
le vittime, o quantomeno i riluttanti conquistati.
1 I. NIEVO, Rivoluzione politica e rivoluzione nazionale, a cura di Marcella Gorra, Istituto
Editoriale Veneto Friulano, Udine, 1994, pp. 99-116.
20 Marco Lauri
La consapevolezza di questa riluttanza e passività, ad unificazione
non ancora completa, era vivissima nel garibaldino Nievo; sebbene
questi non fosse vissuto abbastanza a lungo da assistere alle ribellioni
contadine del Sud contro quell'Unità che si andava sempre più
configurando come una conquista piemontese.
Appare questa consapevolezza nel già citato Rivoluzione come
lo scottante dilemma, su cui in effetti le nobili e vive speranze del Risorgimento
si scontravano, e che a mio avviso ne rese inevitabile il
naufragio; più netta ancora, e contornata da maggior perplessità, può
leggersi in quelle lettere dalla Sicilia e da Napoli che di Nievo ci restano
come ultima testimonianza prima della morte2. Questo dato era
la pietra dello scandalo, la contraddizione essenziale su cui l'Italia è
stata costruita come Stato unitario: una Unità che, malgrado le speranze
di molti, fu fatta per cambiare tutto senza cambiare nulla, nel segno
cavouriano della conservazione dell'ordine sociale e della limitazione
della partecipazione attiva al nuovo Stato, costruito col generoso sforzo
di tanti giovani volontari democratici, ad una ristretta élite.
L'incapacità storica delle classi dirigenti risorgimentali e di tutte
quelle che le hanno seguite fino ad oggi di risolvere, o anche solo inquadrare,
queste contraddizioni originarie, pesano forse ancora oggi
sull'Italia; basti osservare di sfuggita, malgrado l'estensione storicamente
così lenta del suffragio, quanto problematico sia oggi per molti
cittadini sentirsi partecipi dello Stato in cui vivono, a tutti i livelli.
Credo che solo una uscita definitiva, senza ripensamenti o nostalgie,
per il concetto assassino di Stato Nazionale, da seppellirsi non
troppo onorevolmente, assieme a tutte le decine e centinaia di milioni
di persone massacrate in suo nome, potrebbe consentire una soluzione
dei dilemmi che una unità incompiuta ed in parte imposta ci ha lasciato
in eredità per un secolo e mezzo.
E che resti alta la guardia, ché nuovi idoli, al tempo di Nievo già
creduti vecchi, si preparano a chiedere alla nostra specie nuovi tributi
sacrificali che alle Nazioni e alle Patrie siamo sempre meno propensi
2 In particolare, I. NIEVO, Lettere garibaldine, a cura di Andreina Ciceri, Einaudi, Torino,
1961, lettera a Bice Gobio Melzi, Palermo, 24 giugno 1860, pp. 17-21: «Bice carissima –
Ti ricordi quand'io ti diceva – In Sicilia non c'è mai stato gran che ed ora non c'è più
nulla. I nostri si fanno l'illusione come è il solito; sarà la seconda edizione aumentata e
ingrandita di Pisacane e di Sapri?! Or bene – nulla di più vero de' miei presentimenti».

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