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Introduzione alla Psicologia sociale

Capitolo 1:
1.Nel 1954, Muzafer Sherif, all’epoca professore di psicologia sociale negli Stati Uniti, condusse il
primo dei suoi studi in un campo estivo. I partecipanti, ragazzini di 11/12 anni che non si
conoscevano tra loro, vennero suddivisi in due gruppi differenti. Alla fine della prima settimana si
era creato un profondo legame tra i ragazzi che vivevano nella stessa baracca e si era sviluppato
una forte identità di gruppo. Solo in questo momento ai ragazzi fu detto che ci fosse un altro
gruppo nelle vicinanze. Così lo staff organizzò alcune gare le quali avrebbero decretato dei
vincitori. Queste iniziarono sportivamente, ma ben presto emersero le prime ostilità che
portarono a scambiarsi insulti da un gruppo all’altro. Le ricerche rappresentano un punto di svolta
nello studio del pregiudizio (disprezzo per i membri di un gruppo estraneo) poiché misero in
discussione le opinioni dominanti dell’epoca. Non vi erano indicazioni che questi ragazzi avessero
personalità inclini al pregiudizio o che necessitassero di un capro espiatorio su cui sfogare la loro
aggressività, ma erano in competizione col gruppo estraneo avversario per un qualcosa al quale
attribuivano grande valore e che solo uno dei due poteva ottenere. Sherif interpretò questi
risultati come prove a sostegno della sua teoria del conflitto realistico, secondo la quale l’ostilità e
il pregiudizio intergruppi sono frutto di un conflitto di interesse. Gli scopi erano il concetto centrale
nella teoria di Sherif: quando due gruppi sono in competizione per lo stesso obiettivo, che solo uno
dei due può ottenere, allora si svilupperà ostilità intergruppi.
Vent’anni dopo Henri Tajfel, all’epoca professore di psicologia sociale in Inghilterra, condusse con
il suo gruppo di ricerca una serie di esperimenti che mettevano in discussione l’assunto secondo
cui la presenza di scopi competitivi fosse una condizione necessaria per lo sviluppo dell’ostilità
intergruppi. I partecipanti erano studenti di una scuola superiore di età compresa tra i 14 e i 15
anni (che si conoscevano bene tra loro), che giungevano in laboratorio in gruppi di 8 per
partecipare ad un esperimento sulla percezione visiva. Il loro compito era di stimare il numero di
punti che venivano proiettati sullo schermo. I ragazzi dovevano distribuire ricompense in denaro
agli altri partecipanti, senza però conoscere la loro identità personale, ma solo il loro codice
numerico e la loro appartenenza di gruppo. Questa procedura sperimentale utilizza gruppi definiti
“minimi” perché soddisfano i seguenti requisiti:

 sono creati ricorrendo a criteri arbitrari;


 i membri dei 2 gruppi non interagiscono tra loro;
 i membri dei 2 gruppi non sanno quali altri membri appartengono al loro gruppo.
Ciò nonostante, Tajfel dimostrò che i membri di questi gruppi manifestavano un comportamento
discriminatorio. Chiamati a distribuire le ricompense, la maggior parte dei ragazzi assegnava
costantemente più denaro ai membri del proprio gruppo (ingroup), piuttosto che a quelli dell’altro
gruppo (outgroup). Questo studio dimostrava che il conflitto intergruppi non era una condizione
necessaria per la loro discriminazione o per lo meno per il favoritismo. Apparentemente la mera
divisione in gruppi era sufficiente a provocare comportamenti discriminatori.
Nel 1994 Neil Macrae, professore universitario alla Cardiff University, e colleghi studiarono l’abilità
delle persone nel sopprimere i propri pensieri pregiudiziali. Numerose prove indicano che le
persone sviluppano i pregiudizi precocemente e, nel corso della vita fanno fatica a liberarsene,
anche quando questi pensieri entrano in contraddizione con i loro valori egalitari. Quindi se le
persone, non riescono a dimenticare i propri pregiudizi sarebbe positivo se almeno riuscissero a
inibirli e ad impedire che influenzino le loro azioni, ma non è così semplice. Gli studenti che
parteciparono a questi studi accettarono di sottoporsi a un’indagine sulla capacità di ricostruire
dettagli di eventi di vita quotidiana da delle foto. Ad ogni studente ne venne assegnata una a
colori, in questo caso di uno skinhead e gli veniva chiesto di immaginare e scrivere una loro
giornata tipica. I soggetti furono scelti non solo per il pregiudizio diffuso nei loro confronti, ma
questo non veniva considerato politicamente scorretto. A metà dei partecipanti venne chiesto di
sopprimere il pregiudizio scrivendo il racconto senza farsi influenzare dai propri stereotipi. All’altra
metà queste istruzioni non vennero fornite. Dopo la fine della stesura per primo racconto, gli fu
mostrata una foto di un altro skinhead e fu chiesto loro di scriverne un secondo. Questa volta però
non vennero date istruzioni sulla soppressione degli stereotipi. Successivamente entrambi i
racconti furono valutati da giudici indipendenti, che non sapevano se i racconti fossero stati scritti
da un partecipante del gruppo sperimentale o di quello di controllo. Per quanto riguarda il primo
racconto i risultati sono tutt’altro che sorprendenti: i partecipanti del primo gruppo riuscirono con
successo ad eliminare i propri stereotipi. Tuttavia, l’analisi del secondo racconto evidenziò
chiaramente un effetto rimbalzo. Il secondo racconto scritto dai partecipanti “soppressori” era più
stereotipico di quello scritto dal gruppo di controllo. Quindi, quando le persone non si sforzavano
più di sopprimere lo stereotipo, mostravano un livello più elevato di pensiero stereotipico di
quanto non avrebbero fatto se non avessero cercato inizialmente di sopprimere i propri pensieri.
Per scoprire se i tentativi di soppressione avrebbero influenzato anche le azioni delle persone,
condussero un secondo esperimento. La prima parte di questo studio restava invariata, ma dopo
aver scritto il racconto seguendo le istruzioni di soppressione e non dello stereotipo, i partecipanti
erano informati del fatto che avrebbero incontrato lo skinhead rappresentato nella foto. Una volta
entrati nella stanza trovarono solamente una fila di sedie vuote, sulla prima sedia però erano
poggiate una giacca e una borsa. Lo sperimentatore spiegava che lo skinhead si fosse
probabilmente spostato per un attimo in bagno e che sarebbe tornato a breve. Così venne detto ai
partecipanti di scegliere una sedia dove aspettarlo. L’esperimento in questo caso era vedere
quanto lontano il ragazzo avrebbe scelto di sedersi dallo skinhead. La distanza mantenuta tra sé e
l’altro è infatti considerata un indicatore di quanto l’altra persona ci piaccia. E in linea con i risultati
del primo studio, i partecipanti che avevano soppresso in modo efficace i loro pregiudizi scelsero
una sedia che era più distante dallo skinhead, di quella scelta dai partecipanti nella condizione di
controllo. Dunque, l’effetto rimbalzo della soppressione dello stereotipo non influenza solo i
pensieri, ma anche i comportamenti.
Analizziamo un altro esperimento condotto da Bargh, Chen e Burrows nel 1996 alla New York
University. Nella parte, i partecipanti svolgevano un compito di completamento frasi, riordinando
una serie di parole mischiate fra loro. Per i partecipanti nella condizione sperimentale, alcune delle
parole a disposizione era stereotipiche delle persone anziane. Questa procedura è conosciuta
come “priming” (innesco), perché le parole utilizzate renderanno più accessibile nella mente dei
partecipanti lo stereotipo degli anziani, comprese le loro caratteristiche (come il loro movimento
piuttosto lento) non menzionate nella procedura di priming. Ipotizzavano dunque che i
partecipanti nella condizione di attivazione dello stereotipo degli anziani si sarebbero mossi con
maggiore lentezza nella condizione di controllo, esposti a primes neutri. Gli sperimentatori, quindi
misurarono il tempo impiegato da ogni partecipante per percorrere il tratto di corridoio dal
laboratorio fino al primo ascensore. Coerentemente con le ipotesi, i partecipanti a cui era stato
attivato lo stereotipo degli anziani impiegarono un tempo maggiore a raggiungere l’ascensore
rispetto ai partecipanti nella condizione di prime neutro. Sembra che pensare al concetto di
“lento” abbia influenzato il comportamento.

2.Quando agli psicologi sociali viene chiesto di descrivere la loro disciplina, di solito fanno
riferimento alla definizione fornita da Gordon Allport, nel suo capitolo sulla storia della psicologia
sociale, pubblicato nella seconda edizione dell’Handbook of Social Psicology: “La psicologia sociale
è il tentativo di comprendere e spiegare come i pensieri, i sentimenti e i comportamenti degli
individui siano influenzati dalla presenza reale, immaginata o sottintesa di altri esseri umani”. Con
“presenza immaginata” Allport intende l’influenza di persone di riferimento (come i genitori), le
cui aspettative condizionano il nostro comportamento. La “presenza implicita” si esprime invece
attraverso le norme culturali e i ruoli sociali. Una caratteristica della psicologia sociale, che Allport
sottintendeva ma che non menzionò mai esplicitamente, è l’utilizzo di metodologie scientifiche. Il
metodo è: l’esperimento scientifico, dove il ricercatore introduce deliberatamente dei
cambiamenti nella situazione allo scopo di esaminarne le conseguenze. Una tipica procedura
utilizzata consiste nel confrontare le condizioni in cui è stato introdotto un qualche cambiamento
con le condizioni in cui tale cambiamento non ha avuto luogo. Attraverso l’assegnazione casuale
dei partecipanti al gruppo sperimentale o a quello di controllo, il ricercatore può avere la certezza
che ogni differenza osservata tra i due gruppi sia dovuta alla manipolazione della variabile
indipendente. A differenza degli altri studi illustrati, quello di Sherif era un esperimento sul campo
e non di laboratorio: egli utilizzò un ambiente naturale per verificare le sue ipotesi. Gli altri studi
invece, erano tutti esperimenti di laboratorio in cui venivano utilizzate situazioni appositamente
create dallo sperimentatore. Per esempio, Macrae e colleghi indussero gli studenti a credere che
l’esperimento a cui partecipavano riguardasse la loro abilità nel ricostruire dettagli di eventi di vita
quotidiana, partendo da informazioni visive. Questo studio illustra un aspetto problematico della
psicologia sociale, ovvero il fatto che spesso dobbiamo utilizzare l’inganno per testare le nostre
ipotesi. Però se i partecipanti dello studio di Macrae fossero stati a conoscenza del vero scopo
della ricerca questo avrebbe influenzato i loro pensieri e i loro comportamenti, e i risultati
sarebbero stati privi di significato. Per definizione tutte le scienze usano metodi che considerano
scientifici, e molte di esse privilegiano l’esperimento. Una caratteristica distintiva, introdotta da
Allport, è il fatto che la psicologia sociale si occupa di influenza sociale e studia l’impatto delle altre
persone su pensieri, sentimenti e comportamenti del singolo individuo. Tutti gli esperimenti
precedentemente descritti cercavano di capire e spiegare in che modo pensieri, sentimenti e
comportamenti dei partecipanti fossero influenzati dalla presenza di altri esseri umani. Gli studi di
Macrae e di Bargh sono un buon esempio di aspetto della ricerca in psicologia sociale, che è meno
chiaramente enfatizzato nella definizione di Allport, ovvero il fatto che siamo interessati non solo
all’impatto che gli altri hanno sui nostri pensieri, sentimenti e comportamenti, ma anche ai
processi cognitivi attraverso cui i nostri pensieri, emozioni e obiettivi guidano la nostra
comprensione del mondo intorno a noi e le nostre azioni. Nella definizione di Allport viene
sottolineato l’impatto della presenza degli altri (sottintesa o reale) su pensieri, sentimenti e
comportamenti degli individui. Anche quando studiano i gruppi, gli psicologi sociali ne esaminano
l’influenza sui singoli membri. Per esempio, nel suo classico studio sul conformismo, Asch analizzò
l’impatto dell’opinione della maggioranza sui giudizi dei singoli partecipanti. Analogamente, Tajfel
e colleghi studiarono il ruolo della mera categorizzazione degli altri in ingroup e outgroup
sull’assegnazione di ricompense in denaro. L’importanza dell’enfasi sull’individuo era già stata
sottolineata dal fratello maggiore di Allport nel suo classico manuale di psicologia sociale nel quale
cita “non esiste alcuna psicologia dei gruppi che non sia essenzialmente e interamente una
psicologia dell’individuo. La psicologia sociale non deve essere messa in contrapposizione alla
psicologia dell’individuo, essa ne costituisce una parte, di cui viene indagato il comportamento in
relazione a quel settore del suo ambiente costituito dai suoi simili”.

3.Partiamo da uno studio sperimentale per chiarire le differenze tra psicologia sociale e discipline
ad esse collegate (psicologia della personalità o sociologia). Questo studio fu condotto in un
college degli Stati Uniti e fu presentato come un esperimento sulla percezione. Le sessioni
sperimentali avevano luogo in una piccola aula e in ogni sessione erano presenti 8 studenti. Ai
partecipanti, seduti in due file da 4, venivano presentati gruppi di 4 linee di lunghezza diversa: una
linea standard di riferimento e tre linee di confronto. Il loro compito consisteva nel confrontare la
prima linea con le altre di confronto, una delle quali era uguale alla linea standard. Le linee di
confronto erano numerate da 1 a 3, e i partecipanti esprimevano i loro giudizi pronunciando a
voce alta uno dei numeri. Una caratteristica dell’esperimento non era conforme alle procedure
standard degli esperimenti sulla percezione, ovvero il fatto che i partecipanti producessero i lor
giudizi in gruppo. I partecipanti non scrivevano i loro giudizi, ma al contrario li dovevano
comunicare ad alta voce allo sperimentatore. Questo grave errore metodologico impediva di
formulare conclusioni sulla soglia differenziale, perché i soggetti potevano subire l’influenza dei
giudizi precedentemente ascoltati. Ipotizziamo che il primo partecipante commetta un errore di
giudizio, il secondo potrebbe lasciarsi influenzare, fornendo la stessa risposta sbagliata. In questo
modo, un esperimento sulla percezione si trasforma in uno studio sull’influenza sociale. Con
questa procedura sperimentale, Asch creò una situazione familiare nella vita di tutti i giorni, di
solito siamo in disaccordo su questioni molto importanti e spesso la maggioranza discordante non
è unanime. La decisione di rimanere fermi sulla nostra posizione dipende dalla fiducia nella nostra
opinione e dal livello di conoscenza dei componenti del gruppo. Quest’esperimento ha tutte le
caratteristiche che sono riportate nella definizione di psicologia sociale di Allport; in più ci
permette di mostrare la differenza tra la psicologia sociale e la “asociale” psicologia generale. In
più permette anche di mostrare la differenza tra la psicologia sociale quella della personalità
poiché Asch era interessato all’impatto delle caratteristiche della situazione sociale sui pensieri e
sui comportamenti dei suoi partecipanti. L’approccio dello psicologo è tipico della ricerca in
psicologia sociale, che solitamente manipola importanti aspetti del contesto sociale con lo scopo di
valutare l’impatto che questi cambiamenti hanno sui pensieri, sentimenti e comportamenti di una
persona target. Gli psicologi della personalità potrebbero però essere meno interessati all’impatto
del contesto sociale sul comportamento e chiedersi invece, perché alcuni partecipanti vengano
influenzati dai giudizi erronei, mentre altri no. Uno psicologo della personalità approfondirà quindi
i tratti di personalità che spiegano perché individui diversi, posti nella stessa situazione, agiscano in
modo diverso. A questo scopo, potrebbe verificare se le persone più intelligenti si conformino
meno alla maggioranza, rispetto a quelle meno o se il conformismo sia prevalente nelle
personalità autoritarie rispetto a quelle non. Gli psicologi della personalità si occupano anche del
comportamento dell’individuo, che è dettato da 3 fattori:

 la componente biologica;
 i tratti acquisiti;
 il contesto sociale e fisico.
Gli psicologi sociali studiano l’impatto della situazione sociale sul comportamento individuale. Gli
atteggiamenti sociali sono definiti come una tendenza (cioè una disposizione individuale) a
valutare positivamente o negativamente un oggetto di atteggiamento. I ricercatori si sono spesso
occupati dello studio di variabili connesse a differenze individuali come il grado in cui gli individui
sono inclini al pregiudizio e alle ideologie fasciste oppure il grado in cui gli individui sono orientati
agli indizi situazionali o alle reazioni degli altri. Il comportamento dell’individuo è influenzato sia
dai tratti di personalità sia dal contesto sociale ed è per questo che gli ambiti della psicologia della
personalità e di quella sociale sono difficili da separare nei fatti. Però esistono delle sottili
differenze, legate ai temi su cui è posta l’attenzione. Gli psicologi sociali sono tipicamente
interessati alle variabili di personalità in quanto moderatori. Infatti, cercano di comprendere il
grado in cui l’effetto di una variabile indipendente su una dipendente sia qualificato, o dipenda,
dal punteggio che un individuo fa registrare in una misura di personalità. Gli psicologi sociali
inoltre tendono a enfatizzare il fatto che l’impatto delle variabili di personalità sui comportamenti
sociali è meno evidente nelle situazioni sociali “forti” rispetto a quelle “deboli”. Quindi gli psicologi
sociali sottolineano il potere delle situazioni sociali forti nel relegare sullo sfondo l’influenza della
personalità.
Il confine tra psicologia sociale e sociologia, nonostante sia più evidente rispetto a quello della
psicologia della personalità, è comunque più complesso di come appare. In primo luogo, c’è una
sovrapposizione tra problematiche studiate dagli psicologi sociali e quelle che interessano ai
sociologi. Gruppi sociali e norme di gruppo vengono affrontate in entrambi i campi. Il sociologo
Jeorge Homans ha scritto una delle monografie classiche sui gruppi sociali e i sociologi Hechter e
Opp hanno curato un volume che riassume gli importanti lavori dei sociologi nell’ambito delle
norme sociali. La sociologia ha dato un grandissimo contributo allo sviluppo delle teorie
individualistiche in psicologia sociale. I sociologi Homans e Blau hanno scritto monografie sulla
teoria dello scambio che è diventata centrale in psicologia sociale grazie al classico Psicologia
sociale dei gruppi scritto da Thibaut e Kelley. La teoria dello scambio (o dell’interdipendenza)
postula che gli individui interagiscano con chi garantisce loro il massimo guadagno con il minimo
costo. La maggior parte dei sociologi concorda con gli psicologi sociali nell’aderire al cosiddetto
“individualismo metodologico”, ovvero all’idea che anche il comportamento collettivo sia il
risultato di condotte individuali. Anche se vi sono notevoli aree di sovrapposizione tra sociologia e
psicologia sociale, esistono importanti differenze. I sociologi tendono a ricondurre il
comportamento sociale a variabili strutturali come norme, ruoli o classi sociali, mentre gli psicologi
sociali, lo fanno risalire agli obiettivi, ai motivi e ai processi cognitivi dell’individuo. Entrambe le
categorie di ricercatori si interessano a studiare fenomeni di aggressività e violenza. Gli psicologi
sociali hanno analizzato i processi cognitivi e affettivi attraverso cui la rabbia, in presenza di
appropriati indizi contestuali, può esplodere in comportamenti aggressivi, messi in atto con
l’esplicita intenzione di colpire un’altra persona. I sociologi si sono preoccupati maggiormente del
perché i livelli di aggressività siano più elevati in certe società o gruppi piuttosto che in altri. I
sociologi sonno più propensi a collegare il comportamento individuale alle variabili socio-
strutturali, mentre gli psicologi sociali studiano processi individuali e una combinazione dei due
approcci può fornire una spiegazione più completa.

4.Nel ricostruire la storia di una disciplina scientifica si parte da date che ne segnano l’inizio
ufficiale. In questo caso viene spesso citato il 1908 ovvero l’anno della pubblicazione dei primi due
manuali di psicologia sociale. Ma entrambi i testi contengono ben poco materiale che al giorno
d’oggi verrebbe considerato inerente alla psicologia sociale, perciò probabilmente questa data
potrebbe non essere la migliore. Ancora vediamo che possiamo riconoscere teorie rilevanti
dimostrate da ricerche anche nel testo di Norman Triplett pubblicato nel 1898. Egli appassionato
di corse ciclistiche si chiese per quale motivo i ciclisti correvano più velocemente durante le gare
rispetto a quando erano soli. Per spiegarsi questo fenomeno, Triplett condusse un esperimento,
studiando la velocità con cui alcuni ragazzi svolgevano un compito molto semplice, ovvero quello
di avvolgere un mulinello da pesca, in un primo momento da soli e successivamente in
competizione con un compagno. Questo esperimento è ora ricordato come dimostrazione di
quella che ora è nota come facilitazione sociale: fenomeno per cui la prestazione in un compito
semplice viene facilitata dalla presenza di un pubblico o altre persone che svolgono lo stesso
compito. Secondo alcuni autori questo studio non può essere considerato però il primo nella storia
della psicologia sociale. Per Haines e Vaughan già prima del 1898 esistevano esperimenti che
rientrano in questo campo. Tra il 1882 e il 1887 l’ingegnere agricolo francese Max Ringelmann
studiò le prestazioni massime dei lavoratori. Anche se lo scopo non era quello di confrontare le
prestazioni individuali con quelle di gruppo, egli fu il primo a dimostrare il calo della produttività
all’interno dei gruppi, fenomeno che poi sarà denominato “inerzia sociale”. Ad ogni modo
Ringelmann pubblicò il suo studio ben 15 anni dopo quello di Triplette. Questi esperimenti
sarebbero stati definiti in seguito nelle aree di “psicologia dello sport” e “psicologia del lavoro”.
Ma non bastano questi piccoli studi vagamente psicosociali per riferirci alle prime monografie, al
contrario è necessario che qualcuno raccolga tutte queste ricerche e dichiari l’emergere di una
nuova area. Questo avvenne per la prima volta a opera di Floyd Allport, che con il suo manuale
diede numerosi contributi fondamentali alla definizione del campo di studio della psicologia
sociale. Innanzitutto, egli identificò il comportamento sociale come l’oggetto di studio e lo definì
“un comportamento in cui le risposte fungono o da stimoli o sono evocate da stimoli sociali”.
Allport aggiunse poi che la psicologia sociale è “una parte della psicologia dell’individuo, di cui
viene indagato il comportamento in relazione a quel settore del suo ambiente costituito dai suoi
simili”. Nello stesso volume si legge “solo nell’individuo possono essere trovati quei meccanismi
comportamentali e quella consapevolezza che sono fondamentali nelle interazioni tra gli
individui”. Un terzo contributo consiste nell’enfasi posta sul metodo sperimentale. Questo è il
meno condiviso al giorno d’oggi poiché, nonostante sia ancora uno degli strumenti di ricerca più
importanti, si ricorre anche ad altre metodologie. Al tempo di Allport però l’enfasi sul metodo
sperimentale era essenziale per garantire la rispettabilità scientifica della psicologia sociale e per
differenziarla dalla sociologia. La concezione di Allport della psicologia sociale derivava dalle sue
ricerche sulla facilitazione e ha avuto influenze da parte di studiosi come A. Mayer e Hugo
Munsterberg.
Il manuale di Floyd Allport non stimolò una crescita esponenziale della ricerca in psicologia sociale.
La principale pubblicazione apparsa nel periodo precedente alla Seconda Guerra Mondiale è il
primo Handbook of Social Pyichology, ma si tratta di una bizzarra raccolta di capitoli relativi ad
argomenti che oggi nessuno collegherebbe alla psicologia sociale. Solo tre capitoli di questo
volume verrebbero inclusi in un moderno manuale: il capitolo di Gordon Allport sugli
atteggiamenti, quello di John Dashiell sugli studi sperimentali sull’influenza delle situazioni sociali
sul comportamento di individui adulti, e il capitolo di Cox Miles sulle differenze di genere. Vi sono
ancora altre importanti pubblicazioni in questo periodo:
1. Articolo di Thurstone provocatoriamente intitolato Gli atteggiamenti possono essere
misurati, questo descrisse il primo metodo simil-psicometrico per la misurazione degli
atteggiamenti.
2. The Psychology of Social Norms di Sherif, in cui definì un paradigma sperimentale che
gli permise di studiare lo sviluppo delle norme di gruppo in una situazione di
laboratorio. In questo esperimento, i partecipanti erano esposti ripetutamente ad una
fonte luminosa stazionaria in una stanza buia. Gli individui percepiscono questa fonte
di luce muoversi (effetto autocinetico) e, quando viene richiesto loro di stimare
l’ampiezza del movimento nel corso di diverse prove, tendono a costruirsi delle norme
individuali relativamente stabili. Sherif dimostrò che gli individui sviluppavano una
norma di gruppo condivisa e stabile, che veniva mantenuta anche quando
riprendevano a effettuare le stime individualmente.
3. Personality and Social Change, ingegnoso studio longitudinale di Newcomb. Egli
approfondiva gli effetti dell’influenza sociale, evidenziando i cambiamenti negli
atteggiamenti politici delle studentesse provenienti da famiglie conservatrici.
Influenzate dal clima nel campus, le ragazze viravano verso posizioni più liberali. Lo
studio dimostra come le credenze e gli atteggiamenti individuali possano essere
modificati dal contesto di gruppo, supportando così una delle assunzioni di base in
psicologia sociale. Monitorando per 50 anni la posizioni politica delle studentesse i
ricercatori poterono verificare la stabilità del cambiamento dell’atteggiamento durante
l’arco della vita.
 Come ha scritto ironicamente Cartwright, una delle persone che ha maggiormente
contribuito allo sviluppo della psicologia sociale è Adolf Hitler. Le sue azioni ebbero un
impatto rilevante su questa disciplina: la Seconda Guerra Mondiale stimolò enormemente
l’interesse nella ricerca psicosociale. L’Information and Education Branch dell’esercito
statunitense cominciò ad utilizzare questionari ed esperimenti per verificare l’impatto dei
film di guerra sul morale dei soldati. Lo psicologo sociale Carl Hovland, esperto nel campo
dell’apprendimento, si interessò allo studio sperimentale sulle determinanti del
cambiamento degli atteggiamenti.
Dopo la guerra, egli fondò a Yale il programma “comunicazione e cambiamento degli
atteggiamenti”. Questo programma attirò giovani ricercatori da varie università e generò una
serie di studi collaborativi che condizionarono la ricerca sul cambiamento degli atteggiamenti
nei decenni a venire. Il suo risultato fu la pubblicazione di quattro influenti volumi sulle
determinanti della persuasione e del cambiamento degli atteggiamenti. Nel primo di questi
volumi si esplorò il ruolo delle variabili relative al comunicatore (come prestigio, credibilità ed
esperienza), alla modalità di comunicazione e al contesto. Anche se la prospettiva teorica era
piuttosto ecclettica, lo stesso Hovland preferiva considerare il cambiamento degli
atteggiamenti come una forma particolare di apprendimento umano. Hitler contribuì
ulteriormente allo sviluppo della psicologia sociale negli Stati Uniti costringendo accademici
ebrei e non ad abbandonare la Germania. Il più importante tra questi emigranti fu Kurt Lewin,
considerato da molti lo psicologo più carismatico della sua generazione. È difficile
comprendere oggi come e perché Lewin fosse così influente nella psicologia sociale. L’impatto
dei ricercatori era determinato da tre fattori principali:

 La pubblicazione di studi su riviste autorevoli;


 Lo sviluppo di una teoria in grado di stimolare la ricerca;
 La formazione di giovani ricercatori brillanti destinati a proseguire il suo lavoro.
Lewin era un po’ carente secondo i primi due criteri: pubblicò solo qualche studio empirico di
psicologia sociale, che aprì la strada alla ricerca sull’influenza degli stili di leadership autoritari e
democratici. La sua teoria di campo forniva un quadro di riferimento per esaminare le forze che
influenzano l’individuo in situazioni sociali, ma le sue ricerche erano solo vagamente legate alla
teoria e dunque non erano state formulate in termini di ipotesi verificabili. Uno dei suoi allievi più
brillanti fu Morton Deutsch, il quale scrisse dopo la sua morte: “La teoria non è più attuale. Né
possiamo dire che i costrutti teorici di Lewin abbiano ancora un ruolo centrale nella psicologia
sociale.” Ma possiamo stabilire sempre grazie a Deutsch il motivo per il quale Lewin fu coì
influente: “Il suo orientamento generale verso la psicologia esercitò un impatto profondo su
colleghi e allievi”. Lewin era convinto che gli eventi psichici dovessero essere spiegati in termini
psicologici, indagando i processi centrali dello spazio vitale dell’individuo. In primo luogo, riteneva
che un problema fosse interessante da studiare solo se poteva contribuire i problemi reali della
società. In secondo luogo, insisteva sulla necessità di studiare tali problemi sperimentalmente,
ricreandoli in laboratorio. I suoi ricercatori diedero forma al campo della psicologia sociale
sperimentale del secondo dopoguerra, ma il più illustre fu senza dubbio Leon Festinger, che con la
sua teoria della dissonanza cognitiva dettò le priorità della ricerca per gli anni Sessanta e Settanta.
Un altro emigrante da ricordare era l’austriaco Fritz Heider, ma nel suo caso non fu Hitler a
costringerlo a lasciare la Germania. Nel corso della sua carriera non pubblicò alcuno studio
sperimentale e tantomeno la sua attività di ricerca attraeva giovani studenti. Ciononostante, il suo
lavoro avviò due delle tradizioni che dominarono la seconda metà del Novecento: la teoria della
coerenza e la teoria dell’attribuzione. Con il suo articolo con la teoria dell’equilibrio del 1946
Heider sviluppò la nozione che l’incoerenza tra atteggiamenti e credenze crea delle tensioni nel
sistema cognitivo e la tendenza a ristabilire uno stato di coerenza.
Hitler ha influenzato lo sviluppo della psicologia sociale anche stimolando l’interesse verso
particolari tematiche come l’obbedienza e l’autoritarismo. I ricercatori studiarono la personalità
autoritaria, le cause del conformismo e dell’obbedienza. L’interesse di Lewin per gli espetti degli
stili di leadership può essere visto come un tentativo di dimostrare la superiorità dello stile
democratico.
A parte tutti i successi collezionati dalla psicologia sociale, iniziò una forte crisi causata
probabilmente dalla pubblicazione nel 1967 e 1973 di due articoli critici, il primo scritto da
Kenneth Ring si intitolava Experimental Social Psychology: some sober questions about some
frivolous values. Ring mise in contrapposizione la visione di Lewin di una psicologia sociale
impegnata nel contribuire alla soluzione di importanti problemi sociali con l’approccio definito
giocoso degli psicologi contemporanei. Ancora nel 1973 Knneth Gergen, pubblicò un articolo
intitolato Social Psychology as History i due punti critici erano i seguenti:
1. La conoscenza dei principi della psicologia sociale poteva cambiare il nostro
comportamento in modi che avrebbero cambiato i nostri stessi principi
2. Dato che i motivi di base assunti da molte teorie non sono determinati geneticamente,
potrebbero essere influenzati dal cambiamento culturale.
La maggior parte dei ricercatori moderni accetterebbe queste argomentazioni senza mettere in
dubbio lo status scientifico della psicologia sociale.
La critica di Gergen probabilmente non sarebbe stata così dirompente se non fosse stata
formulata in un momento in cui l’autostima collettiva degli psicologi era già minacciata dagli altri
eventi. Uno fra tutti, riguardava l’attacco all’utilità di quello che Allport aveva salutato come il
concetto fondamentale della psicologia sociale. In una rassegna degli studi che avevano valutato le
capacità degli atteggiamenti sociali di predire i comportamenti, il sociologo Wicker arrivò ad una
conclusione: “La tesi che gli atteggiamenti siano scollegati ai comportamenti è molto più probabile
dell’idea che gli atteggiamenti siano collegati alle azioni”. Dato che il cambiamento degli
atteggiamenti era misurato attraverso una autovalutazione individuale della propria posizione su
una qualche dimensione di atteggiamento, la notizia che queste valutazioni potessero non essere
collegate al comportamento fu devastante. Un secondo evento che ebbe un impatto negativo
sull’autostima collettiva della comunità scientifica fu la pubblicazione di articoli molto critici sul
metodo della sperimentazione.
Molto dannosa fu l’affermazione di Robert Rosen Thal, secondo cui le aspettative del ricercatore
potevano influenzare il comportamento dei partecipanti anche a loro insaputa.
La risposta a queste critiche fu l’organizzazione di diverse conferenze per discutere i motivi della
crisi. Questi incontri portarono alla pubblicazione di una serie di libri, ma fallirono nell’intendo di
individuare soluzioni metodologiche e teoriche valide.
Negli anni seguenti, gli psicologi sociali cominciarono a dimostrare la loro capacità di contribuire
alla soluzione di problemi della vita reale attraverso il potenziamento di diverse aree di ricerca
applicata. Un esempio fu la psicologia della salute, nata con lo scopo di modificare comportamenti
per la salute diffusi nella nostra società. (fumo, abuso di alcol, alimentazione scorretta, sesso non
protetto).
Gli atteggiamenti sono predittivi del comportamento ma questa relazione è oscurata negli studi
che utilizzano procedure inappropriate per misurarne i componenti. Gli atteggiamenti risultano
legati ai comportamenti solo quando vengono misurati con strumenti affidabili e compatibili. Per
essere affidabili, le misure devono essere composte da diversi item. Per essere compatibili,
atteggiamento e comportamento, devono essere valutati allo stesso livello di specificità. Quindi se
vogliamo prevedere con che probabilità le persone si impegneranno in una attività fisica per
migliorare la loro salute, non dovremo misurare il loro atteggiamento verso l’essere in buona
salute, bensì quello verso l’attività fisica. Infine, gli psicologi sociali hanno provato a progettare le
manipolazioni sperimentali in modo da rendere minime le richieste implicite della situazione e
degli effetti legati alle aspettative dello sperimentatore.
5. Fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, lo sviluppo della psicologia sociale come disciplina
era confinato solo negli Stati Uniti, nonostante in Europa vi fossero diversi studiosi che
conducevano ricerche in quell’ambito, non esisteva ancora una disciplina unitaria. Questa
situazione continuò fino agli anni Sessanta poiché i ricercatori ancora non collaboravano tra di
loro, non si incontravano mai e spesso non erano nemmeno a conoscenza del lavoro degli altri. Fu
grazie ad un professore per l’appunto americano, che dopo aver incontrato diversi gruppi di
ricercatori europei rimase colpito dal fatto che molti dei colleghi, benché informati sulla psicologia
sociale americana non avevano idea di cosa accadesse nei dipartimenti dei paesi vicini e così
decise di cambiare la situazione.
Lanzetta, il ricercatore americano raccolse i fondi per la prima conferenza europea di psicologia
sociale sperimentale a Sorrento, in Italia nel 1963. Una delle più importanti iniziative che emersero
da questa conferenza e dalle due edizioni successive fu la fondazione dell’associazione europea di
psicologia sociale sperimentale nel 1966. Quest’ultimo diede vita a una serie regolare di attività
che ebbero un grande impatto sullo sviluppo della psicologia sociale in Europa. Tra di esse:

 Scuole estive per studenti di dottorato tenute dai migliori ricercatori


 La pubblicazione del giornale europeo della psicologia sociale dove apparvero le prime
ricerche considerate tipicamente europee
 L’organizzazione a cadenza regolare di conferenze, meeting e speciali incontri con la
partecipazione di tutti i membri.
L’associane è cresciuta in modo esponenziale passando da meno di 30 membri nel 1970 a più di
1000 nel 2010. Abbiamo oltretutto due ottimi esempi di idee europee che hanno influenzato la
psicologia sociale americana: le ricerche sul comportamento intergruppi e quelle sull’influenza
della minoranza. Ad esempio, Tajfel sviluppò il fondamentale paradigma dei gruppi minimi. A
partire da questo paradigma Tajfel e Turner svilupparono una nuova prospettiva teorica che fosse
in grado di spiegarne i risultati: la teoria dell’identità sociale. La seconda innovazione europea era
quella sull’influenza della minoranza. Fu Serge Moscovici il primo a mettere in evidenza che
questo tipo di teorizzazione non poteva spiegare le innovazioni sociali o religiose, in cui minoranze
prive di potere riescono ad influenzare maggioranze ben più potenti (movimento dei diritti delle
donne o cristianesimo). Grazie al suo lavoro la ricerca in questo settore divenne una delle
principali aree di interesse in Europa esattamente come negli stati Uniti

6.Al giorno d’oggi ci sono cattedre di psicologia sociale praticamente in tutte le Università degli
Stati Uniti, d’Europa e dell’Australia, e il numero degli psicologi sociali è nell’ordine delle migliaia.
La psicologia sociale è divenuta una componente essenziale per qualunque percorso di studi in
psicologia. Ovviamente anche la psicologia sociale è cambiata. Le teorie scientifiche che avevano
dominato i primi anni, come quelle della coerenza e dell’attribuzione, hanno perso la loro
centralità e sono emerse nuove prospettive teoriche come la cognizione sociale, la psicologia
sociale evoluzionistica e le neuroscienze sociali. La ricerca nell’ambito della cognizione sociale si
occupa dell’applicazione dei principi della psicologia cognitiva a quella sociale. Quest’ultima, al
contrario di altre discipline, ha sempre posto grande enfasi sul modo in cui gli individui elaborano
rappresentazioni interne dell’ambiente. Molte delle nostre teorie sono state etichettate come
“cognitive” e molti dei concetti centrali (atteggiamenti, credenze, intenzioni) sono costrutti
cognitivi. Le metodologie della psicologia cognitiva sono state prese in prestito per studiare come
le informazioni sociali siano codificate, immagazzinate e conservate in memoria, soprattutto nel
campo della percezione delle persone, del cambiamento degli atteggiamenti, del pregiudizio e
delle relazioni intergruppi.
La psicologia sociale evoluzionistica è una applicazione delle teorie evoluzionistiche alla psicologia
sociale. I comportamenti umani, comprese le differenze nella scelta del partner in relazione al
genere, sono spiegati sulla base del valore riproduttivo, cioè della capacità di garantire una
progenie nel corso della storia evolutiva. La psicologia sociale evoluzionistica ha fornito importanti
contributi allo studio dell’attrazione interpersonale, dei comportamenti d’aiuto e di cooperazione
e dell’aggressività. Lo sviluppo di essa accettata come area interna alla psicologia sociale è
sorprendente, poiché determinanti genetiche dei comportamenti sociali era considerata un’eresia
nei decenni successivi alla Seconda guerra mondiale e alla sconfitta dell’ideologia razziale del
regime di Hitler.
Le neuroscienze sociali si occupano dello studio dei correlati neurali dei fenomeni psicosociali. I
recenti progressi nell’utilizzo di tecniche non invasive per lo studio del funzionamento del cervello
umano hanno consentito di analizzare l’attività celebrare, mentre i partecipanti sono impegnati
nell’elaborazione di informazioni sociali. L’approccio della “mappatura celebrale” utilizza la
risonanza magnetica funzionale per identificare i correlati neurali di specifici processi psicologici.
Un esempio è l’attivazione dell’amigdala, può essere misurata mentre i partecipanti si
sottopongono a una valutazione comportamentale sul pregiudizio raziale implicito. La validità di
costrutto della misura neurologica del condizionamento della paura è già stata ampiamente
dimostrata. Studi basati su queste tecniche hanno già contribuito ad approfondire la nostra
comprensione di fenomeni molto diversi, come la natura del Sé, l’altruismo o il pregiudizio
razziale. Alcuni studi hanno esaminato i cambiamenti del flusso sanguigno nel cervello, mentre i
partecipanti osservavano degli stimoli connotati da un punto di vista razziale in diverse condizioni
sperimentali. Queste ricerche hanno mostrato che esiste un legame tra categorizzazione sociale e
attivazione dell’amigdala. Si è dimostrato che la sua maggiore attivazione in partecipanti bianchi,
in seguito a presentazione di volti di persone di colore, era correlata in modo significativo, con il
lor pregiudizio razziale implicito, solo quando i volti erano sconosciuti, non quando si trattava di
volti di personaggi famosi e apprezzati. Questi risultati suggeriscono che l’attivazione dell’amigdala
e le risposte comportamentali di valutazione razziale siano fortemente influenzate
dall’apprendimento sociale e che la familiarità con i membri di questi gruppi possa modulare tale
bias. Quando il coinvolgimento di processi biologici non implica sempre qualcosa di fondamentale
e immodificabile. Le neuroscienze sottolineano come le variabili sociali possano influenzare i
processi biologici. Anche dopo averne identificato i correlati neurali, il pregiudizio resta un
costrutto psicologico e non può essere ridefinito come l’attivazione di una particolare regione
cerebrale. La psicologia sociale odierna è una scienza attiva e feconda. Seguendo il moto di Lewin
gli psicologi sociali applicano le conoscenze acquisite dagli studi sui processi cognitivi, emotivi e
motivazionali alla soluzione dei problemi della vita reale. In assenza di una ricerca sistematica e
controllata nella maggior parte delle aree della psicologia sociale, Allport dovette fare affidamento
sulla speculazione per il suo ambizioso progetto di rendere la psicologia sociale una scienza
empirica. In meno di un secolo la psicologia sociale è riuscita a sostituire la speculazione con una
ricerca empirica fondata sulla teoria.

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