Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
CAPITOLO 1
Il teatro dell’arte rimane la più aggiornata metafora del modo in cui gli individui preferiscono più semplici e
maneggevoli forme di conoscenza.
Le persone preferiscono avere a che fare con rappresentazioni di prototipi più che di individui, organizzano
i loro sistemi conoscitivi più in termini di aspettative che non di esperienze.
Gli individui preferiscono usare gli STEREOTIPI.
Gli stereotipi sono conoscenze fisse e impermeabili che organizzano le nostre rappresentazioni delle
categorie sociali; semplificano i fatti in quanto si propongono di rappresentare gruppi e non individui,
immagini globali e non specifiche rappresentazioni di singole persone. Portano a interpretazioni errate degli
individui anche quando esiste un contatto diretto con questi.
Le CONSEGUENZE degli stereotipi sono tendenzialmente negative proprio per la loro rigidità, per il fatto di
essere impermeabili di fronte alle disconferme dell’esperienza e per la loro potenziale funzione di
distorsione della realtà.
LE PERSONE CHE LA PENSANO ALLO STESSO MODO SI ASSOMIGLIANO UN PO’
A un giudizio immediato, le persone che sono poco attraenti risultano generalmente anche poco
simpatiche. Gli osservatori fanno prontamente delle attribuzioni circa i tratti di personalità, le abilità e gli
stati emozionali di altre persone, basandosi su informazioni anche frammentarie e limitate.
Le caratteristiche e l’espressività del viso influenzano le attribuzioni circa il fascino, la piacevolezza, le abilità
intellettuali e sociali e la salute mentale della persona esaminata: gli osservatori applicano uno stereotipo
generalmente positivo a persona fisicamente attraenti. SECORD sostiene che i soggetti sono pressochè
concordi nell’attribuire una certa personalità a individui i cui volti possiedono caratteristiche fisionomiche
particolari.
BOWMAN -> l’aspetto fisico costituisce una informazione rilevante per produrre giudizi inferenziali
del soggetto.
Bowman trovò che i soggetti percipienti erano poco propensi a modificare le loro attribuzione nei confronti
di una persona il cui comportamento era cambiato, se l’aspetto fisico di tale persona era rimasto immutato;
al contrario, nel caso in cui una modificazione di comportamento fosse concomitante con una
modificazione di tipo fisico, il cambiamento attribuzionale era facilitato.
Le caratteristiche fisiche di una persona vengono da noi utilizzate come degli indicatori o dei
predittori di caratteristiche psicologiche o disposizionali.
ALLPORT -> le etichette categoriali possiedono un potere straordinario. Esse impediscono classificazioni
alternative, classificazioni incrociate, ci rendono insensibili alle più raffinate discriminazioni.
GOLDBERG, GOTTESDEINER, ABRAMSON -> hanno studiato la relazione che esisteva tra la percezione degli
atteggiamenti posseduti da donne a proposito del movimento femminista e il grado di piacevolezza della
loro immagine fisica.
Trenta donne vennero fotografate e venne loro chiesto di esprimere il proprio atteggiamento a proposito
del movimento femminista. Un gruppo di “giudici” valutò le foto distribuendo le immagini in cinque
categorie di piacevolezza. Fu così possibile calcolare il punteggio di piacevolezza associato alle persone
fotografate a seconda del loro atteggiamento sui temi dell’emancipazione femminile.
Non emersero delle differenze statisticamente significative circa il grado di piacevolezza associato alle
persone appartenenti ai due gruppi di atteggiamento. Ma a un secondo gruppo di “giudici” venne invece
chiesto di giudicare la piacevolezza degli stimoli in presenza dell’informazione sull’atteggiamento
posseduto. Risultò esserci un’interazione significativa tra atteggiamento posseduto dai “giudici” e quello
attribuito alle donne fotografate. Le persone giudicate più piacevoli dal punto di vista fisico erano quelle
che avevano un atteggiamento simile a quello di colui che emetteva il giudizio.
RULE E EMBADY -> alcuni aspetti del volto della persona percepita diventano dei plausibili predittori del suo
orientamento sessuale o dei suoi valori di tipo religioso. I dati di ricerca sembrano confermare che piccole
differenza in caratteristiche del volto apparentemente banali sono in grado di produrre percezioni dotate di
affidabilità. Nelle culture occidentali, quando i partecipanti emettono giudizi di competenza e di potere
associati al volto dei candidati alle elezioni politiche, di solito esprimono valutazioni che sono predittive del
loro successo nella competizione elettorale.
È possibile prevedere l’appartenenza politica degli individui sulla base delle caratteristiche del loro volto?
Rule e Embady utilizzarono le foto dei volti di 118 candidati democratici e repubblicani alle elezioni del
senato americano. Ogni foto, standardizzata per formato e colore, compariva sullo schermo del computer e
il partecipante doveva decidere se si trattava di un candiato democratico o repubblicano. Risultò che gli
interrogati erano stati in grado di categorizzare i volti dei candidati sulla base della loro appartenenza di
partito più correttamente di quanto ci si poteva attendere sulla base del caso.
Risultati analoghi vennero replicati usando i volti di studenti universitari di cui era stata registrata la
preferenza politica ma che non erano professionisti della politica. Anche in questo caso i giudizi di
appartenenza di partito espressi a partire dalle caratteristiche del volto erano significativamente più corretti
di quanto ci si potesse attendere sulla base del caso.
Rule a Embady proposero un terzo studio in cui le stesse foto presentate precedentemente dovevano
essere giudicate su diverse scale di valutazione che rimandavano alle seguenti dimensioni: la DOMINANZA
che il volto esprimeva, la MAURITA’, la PIACEVOLEZZA, l’AFFIDABILITA’.
In maniera sistematica i volti percepiti come esprimenti potere erano maggiormente categorizzati come
repubblicani che come democratici, i volti percepiti come esprimenti calore umano erano categorizzati più
come democratici. Il risultato interessante era che questa attribuzione a un partito politico non era
arbitraria ma corrispondeva in maniera significativa alla reale collocazione partitica della persona giudicata.
L’INFRAUMANIZZAZIONE
Quando gli individui esprimono giudizi a proposito del nucleo essenziale che rimanda alle caratteristiche
biologiche attribuite ai gruppi sociali, di solito muovono da una equazione fondamentale: il livello di
essenza biologica attribuibile a un gruppo è riconducibile al livello di “umanità” che al gruppo stesso viene
riconosciuta. Gli individui sviluppano una sorta di gerarchia di umanità che differenzierebbe il proprio
gruppo di appartenenza rispetto agli altri. In poche parole ATTRIBUISCONO UNA MAGGIORE ESSENZA
UMANA AL PROPRIO GRUPPO CHE AGLI ALTRI -> INFRAUMANIZZAZIONE (Leyens)
Essi sono partiti da un’analisi degli ambiti di competenza che nella percezione comune differenziano gli
esseri umani dagli animali. Chiedendo a un gruppo di studenti universitari di definire che cosa accomunasse
e cosa differenziasse gli esseri umani dagli animali, gli autori giunsero all’individuazione di tre dimensioni
fondamentali di differenziazione, ossia il LINGUAGGIO, l’INTELLIGENZA e la CAPACITA’ DI ESPRIMERE
PARTICOLARI SENTIMENTI.
Leyens presentò una lista di emozioni in relazione a ciascuna delle quali bisognava indicare il grado in cui si
trattava di una esperienza unicamente umana oppure sperimentabile sia dagli umani sia dagli animali.
In particolare, le emozioni che vennero giudicate rappresentare esperienza comune e umani e animali
erano la sorpresa, la rabbia, il dolore, il piacere, la paura. Sentimenti tipicamente umani erano invece
tenerezza, amore, speranza, vergogna, senso di colpa.
Le manifestazioni delle emozioni tipicamente umane vennero giudicate come meno intense, difficilmente
restringibili da un osservatore, non direttamente provocate da cause esterne e frutto di processi che
avevano luogo in fasi più ritardate dello sviluppo individuale.
Al gruppo di appartenenza (ingroup) viene riconosciuta una natura umana che invece viene negata
al gruppo degli altri (outgroup)
INFRAUMANIZZAZIONE, tendenza a considerare l’outgroup come una entità la cui natura umana è
fortemente messa in dubbio o addirittura negata.
CAPITOLO 2
Gli stereotipi, in quanto prodotti della cultura e del patrimonio di idee del gruppo sono dei veicoli per
creare omogeneità di valori e credenze. Acquistano una notevole importanza tutti gli agenti di
influenzamento che sono in grado di formare, trasmettere e mantenere gli stereotipi nelle relazioni tra
generazioni e tra strati sociali.
LIPPMANN
- LA PERSONALITA’ AUTORITARIA. Mediante i meccanismi di difesa, come proiezione o la
dislocazione, gli attributi negativi del Sé o del gruppo di appartenenza vengono percepiti come
caratteristici di qualche altra persona o di un qualche gruppo esterno. È proprio mediante questa
percezione del gruppo esterno in termini negativi che il proprio gruppo di appartenenza diventa
migliore. I meccanismi che servono ad aumentare la valutazione del gruppo di appartenenza
svolgono una importante funzione anche nel mantenimento della sua autostima.
ADORNO. Coloro che manifestano un pregiudizio nei confronti degli ebrei possiedono radicati
pregiudizi nei confronti di anti altri gruppi di minoranza: in questo senso l’antisemitismo può essere
considerato parte di un più generale “etnocentrismo” le cui origini più profonde sono radicate in
una struttura di personalità definita AUTORITARIA. Si tratta di una vera e propria sindrome,
centrata sull’enfatizzazione delle figure dotate di potere sul costante richiamo ai valori tradizionali,
su una intransigente enfatizzazione delle differenze tra il bene e il male. Gli stereotipi finiscono per
rappresentare, per la loro rigidità e sistematica negatività, una forma di patologia del giudizio
sociale: sono fondamentalmente errati i contenuti che trasmettono, non sono bassati su solide basi
esperienziali ma solo su tendenziose preconfezioni, risultano impermeabili alle disconferme di tipo
empirico.
- LA NATURA DEL PREGIUDIZIO. Gordon Allport “La natura del pregiudizio”.
È Allport ad introdurre quello che sarà l’approccio cognitivo nello studio degli stereotipi: essi
vengono considerati sistemi di credenza a proposito degli attributi associati ai vari gruppi sociali.
Benchè tutti noi tendiamo a categorizzare le altre persone e in qualche misura facciamo uso di
stereotipi, coloro che sono affetti da atteggiamenti di pregiudizio organizzano la loro conoscenze
categoriali in maniera diversa di quanto fanno gli individui relativamente privi di pregiudizi. È più
probabile che questi ultimi usino categorie “differenziate”, ossia quei contenitori concettuali che
prevedono eccezioni e un’ampia variabilità individuale degli esemplari contenuti nella categoria.
- LA COGNIZIONE SOCIALE. Lo stereoptipo viene equiparato ad altre strutture di conoscenza che
prendono il nome di SCHEMI. Gli stereotipi della più recente cognizione sociale sono concepiti
come l’esito di normali e quotidiani processi di generalizzazione, facilmente applicabili ai più diversi
contesti di giudizio sociale. La prospettiva basata sulla cognizione sociale è più focalizzata sul
processo di attivazione dello stereotipo e meno sulla natura e sulla valenza dei suoi contenuti.
UN PANORAMA DI DEFINIZIONI
Tra le definizioni di stereotipo che sottolineano la loro caratteristica di PROCESSI DI PENSIERO
TENDENZIOSI ricordiamo le seguenti:
- Uno stereotipo è un’impressione fissa e immutabile, che si adatta molto poco alla realtà che
presuma di rappresentare; esso è il risultato della nostra tendenza a definire prima di osservare.
- Uno stereotipo è una credenza esagerata associata a una categoria. La sua funzione è quella di
giustificare la nostra condotta in relazione a quella categoria.
- Uno stereotipo etnico è una generalizzazione fatta a proposito di un gruppo etnico; essa concerne
un’attribuzione di tratti che è giudicata ingiustificata da un osservatore esterno.
- Lo stereotipo è una generalizzazione a proposito di un gruppo di persona che distingue quelle
persone dalle altre. Gli stereotipi possono diventare sovrageneralizzazioni e resistere all’impatto
delle nuove informazioni.
Se invece ci riferiamo agli stereotipi come esito di un PROCESSO DI CATEGORIZZAZIONE che interviene
per facilitare il giudizio sociale:
- Lo stereotipo è una risposta categoriale; l’appartenenza a una categoria sociale è sufficiente per
mobilitare il giudizio che la persona stimolo possiede tutti gli attributi che sono associati alla
categoria.
- Lo stereotipo è un insieme di credenze a proposito degli attributi personali di un gruppo di
individui.
- Nello stereotipo l’individuo a) categorizza altri individui sulla base di caratteristiche fortemente
visibili b) attribuisce un insieme di caratteristiche all’insieme dei membri di quella categoria c)
attribuisce quelle caratteristiche a ciascun membro di quella categoria.
- Gli stereotipi sono credenze circa gli attributi personali condivisi dagli individui che appartengono a
un particolare gruppo o categoria sociale.
- Lo stereotipo è una collezione di associazioni che collegano un gruppo-bersaglio a un insieme di
caratteristiche descrittive.
- Lo stereotipo è una struttura cognitiva che contiene la conoscenza, le credenze e le aspettative
possedute da un partecipante a proposito di un certo gruppo umano.
- Utilizzare uno stereotipo significa assegnare le stesse caratteristiche a ciascuna persona che
appartenga a un gruppo, senza tener conto delle effettive variazioni che distinguono tra loro i
membri di quel gruppo.
Le operazioni dii categorizzazione, inferenza, attribuzione appaiono per larga parte frutto di processi
consapevoli, una diretta ed esplicita applicazione delle credenze possedute dall’individuo. Le cose però
non stanno sempre così: sia nell’organizzazione degli stereotipi sia nel loro uso per mettere giudizi di
natura sociale, i partecipanti possono attivare conoscenze di cui non sono consapevoli, sulla base di
processi che avvengono in maniera automatica.
CAPITOLO 3
Le ricerche condotte dal gruppo di Adorno, ma anche da Allport, ci dicono che le persone affette da
pregiudizio, più di altre, fanno propri con estrema sicurezza stereotipi prevalentemente negativi.
Paradossalmente sono i loro atteggiamenti di pregiudizio a giustificare l’attribuzione di tali
caratteristiche, piuttosto che il contrario.
In secondo luogo molti stereotipi sembrano basarsi relativamente poco su dati frutto di esperienza
diretta.
KATZ e BRALY: i partecipanti, studenti universitari statunitensi, avevano il compito di selezionare, entro
una lista composta da 84 tratti, quelli che essi consideravano caratteristici dei 10 gruppi etnici e religiosi
a loro proposti. Quando si trattò di definire la popolazione dei turchi risultò che il 46% dei partecipanti
concordava nell’attribuire a questa popolazione la caratteristica dell’essere spietati. Successivamente
emerse che nessuno aveva mai conosciuto un turco in carne e ossa.
LaPiere aveva cercato di determinare il grado di corrispondenza ai dati fattuali di due caratteristiche
che sembravano contraddistinguere lo stereotipo a proposito dei lavoratori armeni immigrati negli Stati
Uniti: questi tradizionalmente erano considerati disonesti e incapaci di vivere autonomamente. Egli
scoprì che le persone tendevano a sottostimare la fiducia che le istituzioni bancarie ponevano nei
confronti dei lavoratori armeni e tendevano a sovrastimare il loro uso delle strutture sanitarie
pubbliche.
MCCAULEY E STITT
Chiesero a un gruppo di partecipanti bianchi di indicare la percentuale di afroamericani e di americani
in generale che possedevano caratteristiche demografiche normalmente associate agli afroamericani. I
risultati dimostrarono che i partecipanti bianchi americani SOTTOSTIMAVANO l’effettiva differenza che
esisteva tra agli afroamericani e gli americani in generale.
Una seconda caratteristica degli studi è quella di essere prevalentemente indirizzati all’individuazione
del modo in cui i partecipanti percepiscono la tendenza centrale di un gruppo. Alle persone interrogate
viene chiesto di indicare in che misura un certo tratto è presente in un gruppo e in tal modo si intende
individuare il modo in cui quel tratto viene percepito come appartenente al gruppo.
KATZ E BRALY
100 studenti americani universitari. I partecipanti avevano il compito di selezionare, entro una lista
composta da 84 tratti, quelli che essi consideravano caratteristici dei 10 gruppi etnici e religiosi a loro
proposti. I ricercatori calcolarono le percentuali di partecipanti che sceglievano le diverse
caratteristiche per descrivere i gruppi giudicati e stabilirono che quanto più alto era quel valore, tanto
più era lecito immaginare che lo stereotipo del gruppo in questione si basasse su quel tratto.
Quanto meno un gruppo etnico era apprezzato, tanto meno favorevolmente erano giudicati i tratti
impiegati per descriverlo.
CAPITOLO 4
GLI EFFETTI DELLA CATEGORIZZAZIONE
Tajfel è il più genuino interprete dell’approccio cognitivista allo studio dello stereotipo.
Il flusso dei cambiamenti sociali che si realizzano nelle relazioni tra i gruppi si basa su un continuo
riaggiustamento del modo in cui gli individui attribuiscono un significato a ciò che si modifica e su una
ricerca delle cause che hanno prodotto questi cambiamenti. Il modo in cui gli individui interpretano e
come comprendono i cambiamenti si basa su tre processi cognitivi: CATEGORIZZAZIONE,
ASSIMILAZIONE, RICERCA DELLA COERENZA.
Gli stereotipi nascono dal processo di categorizzazione. Essi producono semplicità e ordine dove c’è
complessità e variazione vicina alla casualità.
TAJFEL E WILKES: ai partecipanti viene presentata una serie di otto linee la cui lunghezza varia. La più
corta è di 16.2 cm, la più lunga è di 22.8 cm. Sono previste tre condizioni sperimentali. Nella prima,
denominata di classificazione, le quattro linee più corte vengono etichettate con la letera A, le quattro
linee più lunghe con la B. nella condizione di non classificazione, le linee sono presentate senza essere
accompagnate da alcuna lettera. Nella condizione di casualità non c’è nessuna prevedibile relazione tra
la lunghezza delle linee e la lettera con cui sono etichettate. Ai partecipanti viene chiesto di stimare la
lunghezza di ciascuna delle linee e sono poi confrontati i valori di differenza. Diventano particolarmente
interessanti i partecipanti che appartengono alla situazione di classificazione. Solo i partecipanti di
questa condizione sperimentale accentuano la differenza tra le due classi di stimoli, esagerando la
diversità che esiste tra gli stimoli di confine, ossia la più lunga delle quattro più corte e la più corta delle
quattro più lunghe. Quando una classificazione è correlata con una dimensione continua, si manifesterà
una tendenza a esagerare le differenze su tale dimensione tra stimoli che appartengono a distinte classi
e a minimizzare le differenze entro ciascuna delle classi.
I processi di categorizzazione sono responsabili dei più rilevanti fenomeni nell’attivazione degli
stereotipi sociali.
L’accentuazione delle somiglianze entro la categoria e delle differenze tra le due categorie e delle
differenze tra le due categorie messe a confronto diventa allora l’effetto, che si realizza in maniera
relativamente automatica, cui il processo di categorizzazione dà inevitabilmente luogo. Nel caso in cui il
partecipante che giudica faccia pare di una delle categorie messe a confronto, un ulteriore effetto:
quello di produrre una discriminazione valutativa e comportamentale a vantaggio del proprio gruppo di
appartenenza.
I partecipanti dell’esperimento di Tajfel minimizzano la grandezza di tutte le linee recanti l’etichetta “A”
mentre accentuarono la grandezza di tutte le linee “B”, rispetto ai partecipanti nella condizione di
controllo. -> assimilazione alla tendenza centrale della lunghezza delle linee appartenenti alla stessa
categoria piuttosto che in un’accentuazione della differenza fra le due linee di confine.
KRUEGER E CLEMEN -> a ciascun partecipante veniva presentata una serie di coppie di date del
calendario, in cui la distanza temporale era sempre di otto giorni. In alcuni casi si trattava di due giorni
dello stesso mese, in altri casi i due giorni facevano parte di due mesi consecutivi. Il compito era quello
di stimare le temperature medie minime e massime registrate in queste date durante il decennio 1981-
1990.
Emerge una tendenza alla sovrastima della differenza di temperatura quando i due giorni appartengono
a due mesi diversi, mentre si verifica una sottostima di tale differenza nel caso in cui i due giorni
appartengano a uno stesso mese.
ALLEN E WILDER -> i partecipanti erano divisi in due gruppo, apparentemente sulla base delle
preferenze da loro manifestate nei confronti di quadri di Klee e Kandinsky, in realtà sulla base del caso.
Prima di tale classificazione ciascun partecipante aveva risposto ad un questionario in cui avevano
espresso le loro opinioni. Una volta stabilita la loro appartenenza categoriale i partecipanti dovevano
nuovamente compilare il questionario, immaginando di dare risposte ce avrebbe dato un altro membro
della propria categoria di appartenenza o un membro della categoria opposta. I partecipanti tendevano
ad attribuire ai membri del proprio gruppo di appartenenza delle opinioni più simili alle proprie di
quanto si aspettassero dai membri dell’altro gruppo.
DAVIS-STITT, ROTHBART E KRUEGER hanno ipotizzato che l’appartenenza dei partecipanti stessi a una
delle due categorie sociali di riferimento li avrebbe portati a percepire una maggiore differenza fra gli
individui appartenenti alle due categorie.
Ai partecipanti veniva fatto compilare un questionario di personalità, in cui si chiedeva loro di
descrivere se stessi indicando quanto ciascuno di una serie di affermazioni era descrittiva del loro modo
di essere. Lo scopo del test di personalità era quello di collocarli in due gruppi di personalità distinti: i
livellatori e gli accentuatori. Veniva poi chiesto ai partecipanti di stimare le medie di due distribuzioni di
numeri che apparivano sullo schermo: in questo caso i numeri rappresentavano i punteggi ottenuti dai
livellatori e dagli accentuatori in un test di tipo cognitivo.
I partecipanti del gruppo di controllo non ricevevano alcuna indicazione circa la loro appartenenza
categoriale. L’effetto di accentuazione fra le due distribusioni di numeri non risultò significativamente
maggiore per i partecipanti che avevano avuto la consapevolezza della loro classificazione.
È possibile che la manipolazione della variabile “appartenenza a uno dei due gruppi” non abbia
prodotto alcun effetto poiché i punteggi ottenuti dalle due categorie nel compito cognitivo erano privi
di qualsiasi connotazione di valore. I partecipanti non ricevevano alcuna informazione sul significato dei
punteggi ottenuti nei termini di desiderabilità sociale. I partecipanti categorizzati non avevano alcuna
motivazione ad accentuare le differenze fra i due gruppi rispetto ai partecipanti non categorizzati.
GLI EFFETTI DELLA CATEGORIZZAZIONE CHE PORTANO AL FAVORITISMO PER IL PROPRIO GRUPPO DI
APPARTENENZA
Il processo di categorizzazione favorisce i fenomeni di favoritismo nei confronti dell’ingroup e di
discriminazione nei confronti dell’outgroup.
Tajfel si propone di dimostrare che il puro contesto di categorizzazione, realizzata sulla base di criteri
socialmente non significativi per l’individuo, è comunque sufficiente perché quest’ultimo emetta dei
giudizi e pianifichi dei comportamenti che realizzano favoritismo a favore del proprio gruppo e
discriminazione nei confronti del gruppo opposto.
PARADIGMA DEL GRUPPO MINIMO, RABBIE E HORWITZ
Dei giovani studenti erano assegnati a due gruppi, apparentemente sulla base di criteri di classificazione
del valore contingente in realtà avveniva in maniera casuale. La situazione non prevedeva alcuna
interazione sociale significativa né all’interno delle categorie così definite, né tra le due categorie.
Una volta che la divisione era avvenuta e il partecipante aveva preso consapevolezza di appartenere a
uno dei due gruppi, gli veniva chiesto di distribuire delle ricompense a due partecipanti
dell’esperimento, i quali appartenevano rispettivamente all’ingroup e all’outgroup.
“gruppo di minimo” cioè la distinzione tra i due gruppi era solo frutto di un’operazione categoriale.
I partecipanti manifestavano favoritismo a vantaggio del membro dell’ingroup. Nel dividere le somme
di gettoni tra le coppie di partecipanti tendevano a ricompensare più generosamente il membro che
apparteneva alla loro stessa categoria.
Modello delle RETI ASSOCIATE: lo stereotipo è concepito come una rete di attributi collegati. Si va dai
tratti alle credenze ai comportamenti. Anche i legami che li uniscono possono essere semplici
associazioni, oppure connessioni di tipo causale, o associazioni con connotazioni affettive. Talvolta è
sufficiente l’attivazione di una etichetta linguistica per far entrare in risonanza in maniera automatica gli
attributi a essa collegati.
Un eventuale cambiamento degli stereotipi si può realizzare solo con lentissime progressioni e solo
nella misura in cui gli attributi che ne segnano la modificazione si interconnettono in maniera estensiva
e duratura.
Modello degli stereotipi come SCHEMI: l’informazione stereotipica, invece di essere rappresentata in
forma di tratti medi, di esemplari, di attributi connessi da legami, è costituita da un insieme di credenze
generalizzate e stratte a proposito di un gruppo e dei suoi membri. Una implicazione che possiamo
derivare è la seguente: dato che lo stereotipo organizzato nella forma di schema è organizzato da una
spinta astrattezza rappresentativa, esso contiene ampie possibilità di inserimento di informazioni anche
non consistenti.
Le variabili vengono manipolate secondo un’altra prospettiva. A un primo gruppo di partecipanti diamo la
lista nota (uguale a quella sopra); a un altro gruppo diamo la stessa lista preceduta dall’informazione che la
persona descritta è un operaio. È sufficiente questa collocazione categoriale per modificare
profondamente il senso dei tratti proposti in questa seconda lista. Il processo di categorizzazione arricchisce
e organizza in maniera più completa la rappresentazione delle nostre conoscenze sociali.
CAPITOLO 5
LA CORRELAZIONE ILLUSORIA
Nel sistema sociale impiegare una regola che collega in maniera sistematica due categorie di ruolo sociale e
due categoria generazionali consentirà di classificare in maniera relativamente accurata le persone nelle
categorie incontrate. Riuscire a individuare una relazione di cooccorrenza tra variabili è molto importante
per interpretare e prevedere il proprio ambiente sociale.
Si manifestano situazioni in cui le persone tendono a percepire la cooccorenza fra variabili anche quando
tra loro non esiste alcuna relazione: questo è il caso in cui gli psicologi sociali parlano di CORRELAZIONE
ILLUSORIA.
HAMILTON E GIFFORD
Ai partecipanti vengono descritti, uno alla volta, i comportamenti messi in luce da individui che
appartengono a due diversi gruppi A e B. i comportamenti descritti sono definibili come socialmente
desiderabili o indesiderabili, essere i primi più numerosi dei secondi. Anche io gruppi sono costituiti da un
numero diverso di individui, essendo il gruppo A quasi il doppio del gruppo B.
Un’attenta analisi dei dati fa anche concludere che la proporzione di comportamenti desiderabili e
indesiderabili nei due gruppi è identica. In situazioni di questo tipi si è potuto constatare che i partecipanti
all’esperimento tendono sistematicamente a sovrastimare il dato di frequenza che collega il gruppo di
minoranza al comportamento di minoranza.
I meccanismi cognitivi che portano al manifestarsi di questo fenomeno non sono completameente chiari.
L’ipotesi più plausibile è che nel ricordare gli eventi che nascono dalla combinazione di due caratteristiche
inusuali, ossia essere membro di un gruppo di minoranza e il realizzare un comportamento negativo, i
soggetti siano portati a recuperare dal magazzino di memoria questi esemplari con particolare facilità e
quindi siano portati a sovrastimare il dato di frequenza corrispondente. Gli psicologi che si richiamano ai
modelli di tipo cognitivista direbbero che è stata attivata l’EURISTICA DELLA DISPONIBILITA’.
Il manifestarsi della correlazione illusoria ha delle implicazioni particolarmente interessanti per la
formazione dei giudizi sui gruppi. La correlazione illusoria può contribuire a spiegare il processo di
formazione degli stereotipi nei confronti di tali gruppi, poiché l’associazione fra comportamenti negativi e
membri del gruppo di minoranza, se sovrastimata in seguito ai processi di recupero mnestico, a sua volta ha
delle conseguenze sui processi di memoria, nel senso che favorisce il ricordo di comportamenti
indesiderabili messi in atto da membri del gruppo di minoranza.
Le cose però cambiano quando le persone non sono dei semplici osservatori neutrali dei gruppi sociali ma
appartengono a uno dei due gruppi. Se il partecipante osservatore appartiene al gruppo di minoranza e i
comportamenti negativi sono quelli poco frequenti, questa è la situazione in cui normalmente si dovrrebbe
verificare una sovrastima dei comportamenti negativi. I risultati ottenuti indicano invece che il fenomeno
della correlazione illusoria scompare.
Se invece i comportamenti positivi sono quelli meno frequenti e i partecipanti appartengono al gruppo di
minoranza essi tendono a rafforzare la correlazione fra comportamenti positivi e membri del gruppo di
minoranza. Secondo gli autori le variabili che spingono verso la correlazione illusoria vengono moderate dal
bisogno di proteggere il proprio gruppo quando il partecipante appartiene al gruppo di minoranza.
SALIENZA CATEGORIALE
Carlston chiese a due gruppi di partecipanti di fornire dei giudizi su una serie di persone, rispettivamente
lungo la dimensione della generosità o della disonestà. Successivamente i partecipanti erano invitati a
giudicare una serie di comportamenti ambigui, non collegati al compito precedente. I partecipanti ce
avevano fornito giudizi precedenti lungo la dimensione della disonestà giudicarono i nuovi comportamenti
come più disonesti, rispetto ai partecipanti che avevano espresso i giudizi precedenti lungo la dimensione
della generosità.
Un fattore che può determinare l’accessibilità di una categoria è la sua salienza rispetto al contesto di
riferimento. Ricordiamo l’effetto “solo”, messo in luce da Taylor e colleghi. La salienza categoriale risulta
essere particolarmente importante nell’ambito delle interazioni fra gruppi.
La salienza di una categoria sociale può essere in parte responsabile delle diverse spiegazioni che vengono
generalmente fornite in relazione ai comportamenti dei membri dell’ingroup e dell’outgroup.
Un possibile modello sul ruolo della salienza categoriale nelle credenze stereotipiche è il seguente:
1) Le persone sono maggiormente motivate a spiegare i comportamenti negativi rispetto ai
comportamenti positivi.
2) Le persone tendono a percepire gli individui appartenenti ad altri gruppi sociali in relazione al loro
gruppo di appartenenza in misura maggiore di quanto accada nella percezione degli individui
appartenenti al proprio gruppo sociale.
3) Le persone tenderanno a spiegare i comportamenti negativi dei membri dell’outgroup facendo più
spesso riferimento alla categoria di appartenenza di tali individui che non in relazione ai
comportamenti negativi messi in atto dai membri dell’ingroup.
Nel giudicare il comportamento di un membro dell’outgroup la sua appartenenza al gruppo
rappresenta in sé una facile spiegazione causale della sua condotta. Al contrario, la categoria di
appartenenza non rappresenta una chiave di lettura del comportamento negativo di un membro
dell’ingroup.
ASIMMETRIE NEI PROCESSI DI ATTRIBUZIONE: DAL MODELLO IDA ALL’ERRORE DI ATTRIBUZIONE PER
ECCELLENZA.
I processi di attribuzione causale sono fortemente influenzati dalle categorie sociali a cui appartengono
le persone oggetto di attribuzione. Diversi studi hanno dimostrato che, quando un individuo
considerato prototipico di una certa categoria sociale si comporta in modo non coerente con le
aspettative generate dalla categoria di appartenenza, il suo comportamento tenderà ad essere
attribuito a cause situazionali e di tipi instabile.
PYSZCZYNSKI E GREENBERG. Nel caso in cui il comportamento di un individuo sia conforme alle
aspettative del soggetto percipiente, questo si limiterà ad attivare la spiegazione disposizionale prevista
dallo stereotipo. Al contrario, quando il comportamento di un individuo è incongruente con lo
stereotipo sociale, si cercheranno fattori causali di tipo esterno.
Se vedo A che allunga 50 cent nel cappello teso di un mendicante B è probabile che traduca questo
comportamento in un tratto di personalità, affermando che A è caritatevole, generoso, ecc.
CARLSTON E SKOWRONSKI hanno definito questo fenomeno INFERENZA SPONTANEA DI TRATTO.
MAASS e colleghi hanno dimostrato che vi è un’asimmetria di giudizio nei processi inferenziali messi in
atto dalle persone. Se è vero che esse traducono spontaneamente i comportamenti in tratti, non è
altrettanto vero il contrario. I partecipanti leggevano una lista di informazioni a proposito si un
individuo chiamato Marco: in un caso queste informazioni assumevano la forma del tratto di
personalità oppure del verbo comportamentale. Successivamente venivano sottoposti ad un compito di
rievocazione libera, in cui veniva chiesto ai partecipanti di ricordare nella maniera più fedele le parole
presentate nella lista precedente. -> erano più frequenti gli errori inferenziali che traducevano un
comportamento in un tratto, che viceversa.
Tale asimmetria di giudizio è denominata IDA. Maass è colleghi hanno dimostrato che tale asimmetria è
più marcata nel caso si tratti di informazioni coerenti con lo stereotipo, mentre la stessa asimmetria
tende a scomparire quando le informazioni sono controstereotipiche.
Le cose si complicano quando il criterio di categorizzazione consente all’individuo di distinguere entro
l’articolazione di ingroup e outgroup.
PETTIGREW ha individuato un bias di tipo egocentrico nei processi attribuzionali che riguarderebbe
l’individuo in quanto parte dell’ingroup. Egli parla di ERRORE DI ATTRIBUZIONE PER ECCELLENZA, per
descrivere la tendenza che le persone manifestano ad attribuire i comportamenti negativi a cause
disposizionali quando questi vengono realizzati da membri dell’outgroup e a preferire invece
spiegazioni di tipo situazionale per i comportamenti negativi messi in atto dai membri dell’ingroup.
CAPITOLO 6
L’IPOTESI DEL CONTATTO
Il primo e più importante contributo che ha cercato di individuare quali condizioni possano favorire la
modificazione degli stereotipi e la riduzione del pregiudizio è quello fornito da Allport.
IPOTESI DEL CONTATTO: quando gli individui appartenenti a gruppi diversi si trovano a interagire. Il modo
migliore per ridurre tensioni e ostilità fra i gruppi sociali è quello di favorire il contatto dei loro membri.
Il contatto non determina necessariamente atteggiamenti positivi, ma al contrario, in alcune condizioni può
aumentare le ostilità. Allport ha individuato una serie di condizioni che devono essere soddisfatte, affinchè
il contatto abbia effetti positivi.
IL SOSTEGNO SOCIALE E ISTITUZIONALE. Dovrebbe esservi un contesto istituzionale capace di sostenere e
favorire lo svilupparsi di rapporti positivi e in grado di garantire un clima di tolleranza sociale.
IL CONTATTO DI TIPO INTIMO PIUTTOSTO CHE SUPERFICIALE. Le interazioni fra i membri di gruppi diversi
devono essere caratterizzate da una sufficiente frequenza, durata e profondità affinché il contatto favorisca
lo sviluppo di relazioni positive.
UGUAGLIANZA DI STATUS. I membri appartenenti a due gruppi che si trovano a interagire devono godere di
condizioni di interazione in cui il loro status sia di livello confrontabile.
COOPERAZIONE INTERGRUPPO AL FINE DI RAGGIUNGERE UNO SCOPO COMUNE. Si possono sviluppare
relazioni amichevoli, solo se i membri di gruppi diversi sono interdipendenti nelle loro attività, al fine di
raggiungere uno scopo comune.
PIACEVOLEZZA DEL CONTATTO. Le interazioni con i membri degli altri gruppi devono essere piacevoli e
soddisfacenti.
MODELLI COGNITIVI
Gli psicologi sociali hanno cercato di individuare i processi cognitivi che potrebbero permettere una
modificazione nel contenuto e nella struttura delle credenze a proposito dei gruppi sociali.
1) Modello CONTABILE: il cambiamento di uno stereotipo avverrebbe in modo graduale. Solo quando
verrà depositato in memoria un numero sufficiente di evidenze empiriche incongruenti con gli
stereotipi, questo subirà una modificazione.
2) Modello della CONVERSIONE: gli stereotipi sono in grado di modificarsi in modo improvviso, come
riposta a informazioni capaci di contraddire in modo convincente lo schema stereotipico.
3) Modello dei SOTTOTIPI: le informazioni incongruenti con lo stereotipo ne provocano l’articolazione
in una serie di sottotipi, i quali finiscono per indebolirla.
INFORMAZIONI A DISCONFERMA DEGLI STEREOTIPI: IL PROBLEMA DELLA GENERALIZZAZIONE.
Le persone tendono a percepire gli individui appartenenti a dei gruppi sociali in modo coerente con le
immagini stereotipiche da loro possedute.
DARLEY E GROSS. Esperimento di Hannah. Problema della generalizzazione.
In generale le persone tendono a evitare il contato con i membri dell’outgroup, e quando questo avviene,
preferiscono persone atipiche del gruppo. Si può concludere che contatti positivi con dei membri
dell’outgroup non conducono a un cambiamento dell’immagine del gruppo nel suo complesso.
ROTHBART E JOHN. Gli individui non cambiano idea su un gruppo sociale nel suo complesso, anche quando
incontrano esemplari di persone che disconfermano gli stereotipi a proposito del gruppo; vengono invece
isolati e trattati come eccezioni.
WILDER ha messo in luce il diverso peso degli esempi tipici e atipici di una categoria sociale. Il
comportamento di una persona tipica dell’outgroup veniva considerato un buon predittore di come si
sarebbe comportato il gruppo nel suo complesso, mentre ciò non era vero se lo stesso comportamento
veniva messo in atto da una persona atipica.
ROTHBART E LEWIS. Presentarono a un gruppo di partecipanti descrizioni di membri delle associazioni
studentesche dei campus americani. Quando una caratteristica o un comportamento controstereotipico
veniva associato a una persona per altri versi tipica del gruppo, ci era una maggiore probabilità che quel
comportamento o caratteristica atipica venisse attribuita al gruppo nel suo complesso.
HEWSTONE E BROWN. Esisterebbe un continuum concettuale, lungo il quale si possono collocare i diversi
tipi di relazioni fra gli individui. A un estremo si collocano gli incontri fra i membri di due diversi gruppi
sociali che avvengono a livello interpersonale. In tal caso le persone agiscono in quanto individui, con le
loro caratteristiche. Alla polarità opposta del continuum vi sono invece le relazioni intergruppo, la cui
qualità è interamente determinata dall’appartenenza categoriale delle persone. Le persone agiscono in
quanto membri di un gruppo.
Secondo Hewstone e Brown, soltanto se le relazioni sociali avvengono a livello intergruppo è possibile
modificare gli stereotipi.
ASSIMILAZIONE-CONTRASTO
Un outgroup diventa più accettabile quando viene confrontato con un secondo outgroup, ancora più
diverso del primo rispetto al gruppo di appartenenza. Nello studio condotto da DOISE i partecipanti erano
un gruppo di bambini svizzeri, i quali giudicarono i diversi gruppi etnici svizzeri più simili fra loro, quando
era presente nella situazione di giudizio anche un gruppo etnico non svizzero.
CAPITOLO 7
L’OMOGENEITA’ PERCEPITA DELL’OUTGROUP
Il gruppo sociale al quale apparteniamo ci appare complesso, composto da persone diverse e non
assimilabili tra loro, mentre i gruppi sociali esterni ci sembrano omogenei, compatti.
Una possibile spiegazione del fenomeno viene proposta da PARK E ROTHBART.
Nel codificare i comportamenti dei membri dell’ingroup e quelli dell’outgroup, sono impiegati livelli diversi
di categorizzazione. Ai partecipanti veniva fornita una serie di affermazioni d’opinione e frasi che
esprimevano preferenze tipicamente maschili o femminili. Veniva chiesto di stimare la percentuale di
studentesse, oppure studenti, all’interno della facoltà di fisica e di danza che sarebbero state d’accordo con
le affermazioni presentate. I soggetti sottostimavano la percentuale dei membri dell’ingroup ce sarebbero
state d’accordo con le affermazioni stereotipiche e sovrastimavano la percentuale di membri dell’outgroup
controstereotipici (giudizio sulle studentesse, viste come meno stereotipiche dalle femmine anziché dai
maschi).
I gruppi venivano visti in modo meno stereotipico dai soggetti appartenenti all’ingroup, soprattutto quando
frequentavano un tipo di facoltà che era giudicata contraddire lo stereotipo corrente.
I membri dell’ingroup erano visti come più o meno stereotipici a seconda del tipo di facoltà frequentata,
mentre i membri dell’outgroup erano sempre visti come più stereotipici, al di là della facoltà frequentata. È
più probabile che un membro dell’outgroup venga codificato nei termini di categorie di tipo generale,
mentre per un membro dell’ingroup sono maggiormente disponibili categorie di tipo specifico.
LINVILLE, FISCHER E SALOVEY ritengono che alla radice del fenomeno ci sia la maggiore familiarità che le
persone hanno con i membri dell’ingroup.
Il minore contatto con i membri dei gruppi esterni porterebbe a una visione omogenea e semplificata del
gruppo nel suo complesso.
L’omogeneità dell’outgroup dipende da una scarsa familiarità che le persone hanno con i gruppi esterni.
Esso infatti suggerisce che il livello di variabilità percepita di una categoria sociale sia direttamente
proporzionale alla quantità di elementi che il soggetto ha a disposzione, nel processo di formazione
dell’immagine del gruppo.
Altri studi sembrano indicare che la familiarità non è l’elemento determinante.
JUDD E PARK. I soggetti venivano classificati in due gruppi distinti e ricevevano poi una serie di infromazioni
sui membri dell’ingroup e dell’outgroup. Nonostante il fatto che la quantità di infromazioni ricevuta dai
soggetti fosse la stessa per i due gruppi, si verificò la tendenza a considerare la variabilità dell’ingroup
maggiore di quella dell’outgroup.
Judd e park ritengono perciò che la spiegazione vada cercata facendo riferimento al ruolo dell’immagine
che si sé hanno i soggetti, quando si rappresentano i due gruppi. Le informazioni sul sé vengono utilizzate
quando una persona pensa all’ingroup; un tale confronto sarebbe invece assente quando ci si rappresenta
un gruppo esterno.
CAPITOLO 8
Il linguaggio assolve tre diverse funzioni in relazione agli stereotipi:
a) Quella della loro trasmissione
b) Quella dell’organizzazione delle conoscenze nella mente degli individui
c) Quella di esprimere le identità sociali dei gruppi
Il linguaggio ha la funzione di garantire la trasmissione culturale dei contenuti associati agli stereotipi.
Le etichette linguistiche per categorizzare persone ed eventi non rimangono stabili nel tempo: esse sono
soggette a lente ma significative modificazioni che denotano cambiamenti culturali e spostamenti di
prospettiva.
Le scelte di tipo linguistico hanno un impatto notevole sul modo in cui il gruppo sociale così denominato
viene percepito in termini sociali. Se per denominare una persona usate un termine che induce disprezzo,
quell’etichetta linguistica sarà in grado di attivare in maniera automatica una serie di associazioni negative
ce influenzeranno l’impressione generale a proposito della persona descritta.
CAPITOLO 9
DEVINE. Le risposte fornite sulla base dell’appartenenza di gruppo della persona stimolo sono la
combinazione, da un lato, delle credenze che l’individuo possiede in maniera consapevole a proposito dei
gruppi sociali e, dall’altro, dei processi di attivazione dello stereotipo che hanno luogo in una fase che
precede la consapevolezza.
Secondo questi modelli di tipo duale, i processi automatici si attivano senza l’intervento dell’intenzione, in
maniera inconsapevole. I processi controllati sono invece considerati intenzionali, tali cioè da richiedere
risorse cognitive, impegno di attivazione e piena consapevolezza durante la loro realizzazione. Sebbene i
processi di tipo consapevole siano considerati a capacità limitata, essi vengono concepiti come
maggiormente flessibili di quelli automatici.
Durante il periodo di socializzazione dell’individuo le credenze associate a specifici gruppi sociali sono
frequentemente attivate. Il risultato a cui questo processo dà luogo sarebbe l’attivazione automatica degli
stereotipi radicati nelle zone profonde del sistema di credenze e il manifestarsi di valutazioni tendenziose.
Le credenze fatte proprie a livello personale e proposito dei gruppi oggetto di stigmatizzazione sono meno
accessibili e non necessariamente coerenti con le credenze stereotipiche che si manifestano in maniera
automatica. Come fa allora l’individuo a contrastare l’influenza degli stereotipi attivati in maniera
automatica? Grazie a una elaborazione di tipo controllato che richiede l’inibizione intenzionale degli
stereotipi.
Se una persona ha preso la decisione di liberarsi di uno stereotipo culturalmente acquisito, la capacità di
esercitare un controllo coronato sa successo richiede almeno tre condizioni: a) che la persona sia corretta
costantemente da una motivazione a dare risposte non viziate da tendenze sistematiche; b) che la persona
abbia la consapevolezza che lo stereotipo e i suoi contenuti sono in agguato; c) che la persona sia in grado
di destinare le risorse cognitive disponibili per inibire l’influenza dello stereotipo.
Il contributo di ricerca e di riflessione teorica proposto dalla Devine per rendere conto dei processi
automatici e controllati nell’attivazione e nella gestione delle credenza stereotipiche era inizialmente
largamente influenzato dal odo in cui i modelli duali di derivazione cognitiva avevano affrontato il
problema. Si trattava di considerare i due processi come mutuamente esclusivi. Questa netta distinzione è
progressivamente entrata in crisi: si proponeva che lo sviluppo della ricerca sugli stereotipi dovesse
centrarsi sull’analisi delle forme di interazione che legano i processi automatici e controllati nel dare luogo
a pensieri. Lo stereotipo sociale è considerato il frutto di una varia combinazione di processi automatici e
controllati.
FATTORI DI MODERAZIONE
LE RISORSE ATTENTIVE
Un fattore che sembra moderare in maniera significativa il carattere ineluttabile dell’attivazione automatica
dello stereotipo è la quantità di risorse di attenzione di cui dispone l’individuo. Se egli è occupato in altre
faccende gli indici percettivi che rimandano all’appartenenza categoriale della persona da giudicare non
sono in grado di attivare automaticamente lo stereotipo.
I partecipanti dovevano eseguire un compito di completamento di parole in due possibili condizioni:
quando erano cognitivamente impegnati in un altro compito, oppure quando tutte le risorse cognitive
erano a loro disposizione. I frammenti di parola da completare erano presentati da un’assistente di ricerca
di etnia asiatica. GILBERT E HOXON scoprirono che i partecipanti impegnati in un compito interferente
completavano con frequenza significativamente minore le parole in senso stereotipico rispetto ai
partecipanti non cognitivamente impegnati.
LE DIFFERENZE INDIVIDUALI
Devine e collegh. Distinzione nella motivazione che guida i partecipanti a rispondere senza atteggiamento di
pregiudizio nei confronti dei gruppi sociali. Distinzione tra MOTIVAZIONE INTERNA, guidata da istanze
personali, e MOTIVAZIONE ESTERNA, guidata da istanze di tipo normativo. Una particolare categoria di
partecipanti presentava i valori più bassi di associazione tra parole negative e volti di afroamericani: si
trattava di coloro che avevano riportato contemporaneamente i più alti livelli di motivazione interna e i più
basi livelli di motivazione normativa nell’evitare gli stereotipi di tipo razziale.
FAZIO e colleghi hanno condotto degli studi per verificare quali variabili erano in grado di prevedere
atteggiamenti razziali manifestati in maniera esplicita. I dati ottenuti hanno consentito ai ricercatori di
distinguere tre categorie di partecipanti bianchi. Coloro che possono essere definiti genuinamente esenti da
pregiudizio, coloro definibili come genuinamente affetti da pregiudizio, coloro che manifestano valutazioni
negative automaticamente attivate dall’incontro con persone di colore, ma contemporaneamente
esprimono anche la motivazione di controllare e impedire gli effetti di questi stereotipi.
LE ATTIVITA’ DI CONTROLLO
Come è possibile operare correzioni grazie a processi maggiormente controllati sulle modalità di
elaborazione dell’informazione sociale che avvengono in maniera automatica?
Possibili strategie:
- INDIVIDUAZIONE. Il soggetto percipiente di solito muove da impressioni che riguardano una intera
categoria sociale e procede per formarsi impressioni che riguardano il singolo individuo solo
quando è sufficientemente motivato.
- CORREZIONE. Processo controllato il cui obiettivo è quello di regolare il possibile impatto delle
valutazioni tendenziose attivate in maniera automatica, in modo da correggere la loro influenza sui
giudizi e i comportamenti. Si tratta di un meccanismo di correzione che non interviene nella fase di
elaborazione del pensiero stereotipico, ma che si prende carico dei risultati distorti ai quali tale
processo può portare. L’attivazione automatica degli stereotipi non può essere evitata ma la
persona può operare gli opportuni aggiustamenti delle risposte che sta emettendo in modo da
correggere in corso d’opera i prodotti del pensiero stereotipico.
- SOPPRESSIONE. In alcune situazioni la persona consapevole di possedere stereotipi riguardanti
gruppi sociali può tentare di cancellare in maniera deliberata pensieri e sentimenti poco graditi e di
rimpiazzare il materiale rifiutato con pensieri più desiderabili.
WEGNER. Modello a due fasi. nel processo di controllo c’è la FASE DI MONITORAGGIO, in cui viene
realizzata una scansione dei contenuti mentali presenti nel sistema. FASE OPERATIVA, mediante la
quale i contenuti di pensiero non desiderati e precedentemente riconosciuti vengono presi in carico
per essere eliminati.
Il processo di controllo avviene per larga parte in maniera automatica ed è in grado di rilevare la
presenza di concezioni stereotipiche prima che queste abbiano raggiunto il livello di attenzione
necessario oltre il quale diventano patrimonio della consapevolezza dell’individuo.
Quando i pensieri non desiderati rischiano di raggiungere la consapevolezza, il processo di
monitoraggio innesca l’attivazione della fase operativa, mediante la quale viene evitata l’intrusione
di elementi cognitivi indesiderati. La fase operativa è caratterizzata da un processo che richiede
impegno, per certi versi consapevole. La fase operativa è dipendente dalle risorse cognitive di cui
l’individuo dispone in quel momento. Mentre la fase di monitoraggio può realizzarsi
indipendentemente dalle risorse attentive a disposizione.
Se la strategia adottata non funziona, si realizza il risultato paradossale che i pensieri posseduti dal
soggetto sono destinati a ricomparire più tendenziosi di prima.
Studio condotto da Wegner. Ai partecipanti erano proposte delle frasi che essi dovevano
completare scegliendo tra le alternative quella che ritenevano la più adeguata. Alcuni item erano
delle frasi estrapolate da una scala di atteggiamento nei confronti delle donne e le alternative
scelte per il loro completamento erano indicative di un atteggiamento relativamente sessista
oppure non sessista.
Ai membri di un gruppo sperimentale era stato richiesto esplicitamente di evitare atteggiamenti
sessisti nel completare le frasi proposte, mentre un altro gruppo era stato lasciato libero di
rispondere nella maniera ritenuta più opportuna. A metà dei partecipanti era stato chiesto di
operare in una condizione di pressione temporale, l’altra metà non avevi motivi di fretta. Nel caso
dei partecipanti sottoposti a pressione temporale, tale condizione avrebbe impedito una corretta
esecuzione della fase operativa del processo e i pensieri sessisti si sarebbero resi disponibili proprio
per coloro che erano attivamente impegnati a non esserlo. Coloro che erano stati fatti operare in
una condizione di pressione temporale, sceglievano risposte sessiste con una frequenza addirittura
maggiore rispetto al gruppo di controllo.
L’EFFETTO DI RIMBALZO. MACRAE ha ipotizzato che l’intenzione di sopprimere i pensieri
stereotipici possa produrre effetti paradossali anche in assenza di sovraccarichi cognitivi. La fase
operativa del processo di controllo può estinguersi anche con il trascorrere del tempo. Una volta
che la motivazione a dare la caccia ai pensieri indesiderati è venuta meno, tali pensieri ritornano ad
agire nella mente e nel comportamento con maggiore energia ed efficacia.
MACRAE e colleghi. I partecipanti erano invitati a comporre un breve brano in prosa in cui
dovevano descrivere la giornata tipo di una persona di cui era loro presentata la foto e che era uno
skinhead. A metà dei partecipanti era data la consegna di realizzare la breve cronaca sollecitandoli
a non usare i luoghi comuni che di solito la gente impiega quando parla degli skinhead; l’altra metà
dei partecipanti non riceveva questa raccomandazione. Successivamente i partecipanti svolgevano
un compito di decisione lessicale: sullo schermo di un computer compariva una stringa di lettere e il
partecipante doveva decidere il più rapidamente possibile se la stringa era una parola legale della
lingua inglese o una sequenza di lettere senza senso. Metà degli stimoli era costituito da parole
dotate di senso: il 50% era formato da parole giudicate come particolarmente associate allo
stereotipo dello skinhead, il rimanente 50% era costituito da distrattori. L’ipotesi era che se il
processo di soppressione portava a un’accessibilità sproporzionata dei pensieri stereotipici, ciò
avrebbe dovuto produrre una maggior rapidità nei confronti di decisione lessicale riguardanti le
parole collegate allo stereotipo dello skinhead, proprio per i partecipanti soppressori. I risultati
confermarono queste previsioni.
MONTEITH, SHERMAN E DEVINE. Gli individui caratterizzati da un basso livello di pregiudizio sono
meno influenzati da meccanismo di rimbalzo successivi ai tentativi di soppressione.
- ATTIVAZIONE NON INTENZIONALE DI STRATEGIE DI CONTROLLO. Strategia che viene attivate grazie
al ricorso a un processo definibile come inibizione laterale. Tale processo opera quando una
persona potrebbe essere classificata in maniera stereotipica facendo ricorso a criteri diversi. In tali
circostanza possono simultaneamente attivarsi due diverse rappresentazioni stereotipiche,
ciascuna delle quali può esercitare un ruolo inibitorio nei confronti dell’altra.
MACRAE, CBODENHAUSEN E MILNE. Ai partecipanti era presentato il filmato di una donna cinese e
successivamente veniva registrata l’attivazione automatica dello stereotipo della donna e della
cinese. In una condizione il filmato presentava l’immagine di una donna cinese che si truccava il
viso, in un’altra condizione la stessa donna stava usando dei bastoncini per mangiare. Coloro che
erano stati esposti al filmato della persona ce si truccava erano più rapidi a rispondere a tratti
stereotipici legati alla donna. Coloro che erano stati esposti al filmato della donna che usava i
bastoncini mettevano in luce tendenze di risposta che andavano in direzione opposta: più veloci le
risposte a tratti stereotipici del cinese.
- INIBIZIONE INTENZIONALE DELLE RISPOSTE STEREOTIPICHE E LORO RIMPIAZZO. I valori morali e
sociali che la persona a interiorizzato rappresentano una sorta di filtro capace di stabilire cosa si
intende per comportamento accettabile: ogni risposta, sia di pensiero, sia di sentimento, che entri
in conflitto con tali valori è considerata inaccettabile e destinata a essere eliminata.
la Devine ha riscontrato che le persone caratterizzata da basso livello di pregiudizio erano in grado
di produrre descrizioni non stereotipiche e bassate su valori egualitari delle loro credenze a
proposito delle persone di colore, a condizione di poter contare sui dovuti margini di tempo per
emettere la risposta. Se però essi non avevano tempo, non erano in grado di evitare l’applicazione
degli stereotipi.
QUANDO LE COMPONENTI DI AUOMATICITA’ E DI CONTROLLO SI INTEGRANO.
Dissociazione dei processi. Ai partecipanti veniva proposto un compito di priming per mettere in luce
l’influenza delle caratteristiche etniche del volto di una persona sulle risposte di tipo percettivo
nell’individuazione di un’arma. Nella fase di presentazione il volto di un afroamericano oppure di un bianco
erano i prime mentre il successivo stimolo (un’arma o un utensile) era il target. Le risposte che i
partecipanti emettono riflettono una combinazione di processi automatici e controllati.
Nel compito di rilevazione di un’arma, quando la risposta corretta p coerente con le tendenze automatiche,
i processi automatici e controllati agiscono in maniera concorde. Quando invece una risposta corretta è
incongruente con le tendenze automatiche, i processi automatici e controllati agiscono in opposizione l’uno
all’altro.
CORRELL, URLAND E ITO volevano accertare se l’allenamento aveva influenza sui processi ti tipo automatico
oppure i processi di tipo controllato. Con una partica di allenamento le tendenze automatiche tendevano a
scomparire. Nell’attivazione dello stereotipo le tendenze di tipo automatico non devono essere considerato
come inevitabili.
CAPITOLO 10
USARE GLI STEREOTIPI, SUBIRE GLI STEREOTIPI
Non è necessario interagire direttamente con chi è portatore di stereotipi per dare vita a comportamenti
che ne costituiscono la conferma. È sufficiente che la persona bersaglio dello stereotipo manifesti
consapevolezza per le credenze culturalmente condivise a proposito dei comportamenti attesi dal proprio
gruppo di appartenenza per avvertirne spesso in maniera stringente l’influenza e la pressione.
LO STIGMA
Abbiamo a che fare con il fenomeno dello stigma quando in una società sono consolidate e culturalmente
condivise delle credenze che assegnano ad alcuni gruppi una posizione di inferiorità e li fanno oggetto di
espressioni di disprezzo. Lo stigma è un attributo e caratteristica che veicola un’identità sociale valutata
negativamente in un determinato contesto sociale.
Quali sono le conseguenze dell’appartenenza a un gruppo sociale stigmatizzato?
Le persone che si trovano in una condizione di svalutazione sociale legata allo stigma corrono il grave
rischio di vedere la propria autostima indebolita. Indagini empiriche condotte negli ultimi decenni hanno
messo in discussione tale interpretazione. È stato dimostrato che l’autostima individuale degli
afroamericani è simile, se non superiore, a quella degli americani bianchi.
Il livello di autostima dei membri di gruppi di minoranza non è così basso come ci si potrebbe aspettare
sulla base della loro condizione non valorizzata. Il livello di autostima può variare a seconda del contesto
sociale in cui tale costrutto viene registrato.
STRATEGIE PER SALVAGUARDARE LA PROPRIA AUTOSTIMA
1) ATTRIBUZIONE ALLA DISCRIMINAZIONE. Attribuzione causale. Es. afroamericano ad un colloquio di
lavoro. Risultato negativo. Per attribuire una causa al risultati, se l’obiettivo principale è difendere
la propria autostima, il candidato attribuirà la mancata assunzione al pregiudizio dell’intervistatore.
Questo percorso è generalmente efficace nel breve periodo e risolleva il candidato dalla condizione
di sconforto. È importante sottolineare i potenziali rischi. È infatti possibile che una mancata
assunzione non sia frutto di discriminazione, ma costituisca l’esito di un’accurata valutazione. La
cosa migliore che il candidato può fare è quella di rivedere la propria preparazione. Una decisione
come questa rappresenta una strategia a lungo termine.
Cedendo alla tentazione di considerarsi costantemente vittima di comportamenti discriminatori, si
corre il rischio di perdere la fiducia nell’attendibilità di qualsiasi risultato ottenuto.
2) CONFRONTO ALL’INTERNO DELL’INGROUP. Le persone sono spinte dal bisogno di conoscersi e per
raggiungere tale obiettivo si confrontano con altri simili a loro. La nostra autostima risulta protetta
da confronti con persone simili a noi. In uno studio emerse che gli scolari afroamericani che si
confrontavano con i compagni neri avevano un’autostima migliore di quelli che si confrontavano
con studenti bianchi.
3) OCCULTAMENTO. Per evitare le conseguenze di un’identità sociale negativa, alcuni individui
appartenenti a gruppi svantaggiati tendono ad allontanarsi dall’ingroup. Per esempio, alcuni
afroamericani di pelle chiara, che per tale motivo possono essere considerati bianchi, cercano di
occultare le loro origini adottando anche lo stile di vita e la cultura propria del gruppo dei bianchi.
4) IDENTIFICAZIONE CON L’INGROUP. È stato chiaramente dimostrato che le persone tendono a
mantenere un’immagine di sé positiva e amano definirsi in termini di gruppo soprattutto quando
ciò li pone in buona luce. I membri dei gruppi di minoranza mostrano un forte attaccamento
all’ingroup rispetto ai membri dei gruppi di maggioranza, come se la consapevolezza di appartenere
a un gruppo svalutato portasse paradossalmente i suoi membri ad accentuare il bisogno di
identificarsi con esso. Alcuni studi hanno addirittura dimostrato che le persone che si identificano
fortemente con l’ingroup rispondono alle minacce di cui il gruppo è oggetto identificandosi ancora
più fortemente con il gruppo piuttosto che cercare di distaccarsi da esso. A tali persone il gruppo
può offrire un aiuto concreto, fornire sostegno psicologico, dare consenso sociale, validare le
proprie credenze, aiutare a difendersi dal pregiudizio. L’identificazione con l’ingroup è infatti
positivamente correlata con il livello di autostima dei membri dei gruppi di minoranza.
5) RIVALUTARE LE DIMENSIONI SOCIALI. Una strategia tradizionalmente utilizzata dai membri dei
gruppi di minoranza è quella di rivalutare l’importanza e la centralità di quelle caratteristiche che
sono tipiche del proprio gruppo. È grazie a queste dimensioni rivalutate che si rafforza l’identità
sociale che deriva dall’appartenenza q un gruppo di minoranza e ci si confronta con gli altri.
LA MINACCIA DELLO STEREOTIPO
STEELE E ARONSON. Il modello dello STEREOTYPE THREAT. Appartenere a un gruppo stigmatizzato porta
con sé una condizione di minaccia legata al timore di confermare lo stereotipo negativo associato al gruppo
a cui si appartiene. Le persone che fanno parte di un gruppo socialmente svantaggiato, e nei confronti del
quale esiste uno stereotipo negativo, vivono in uno stato di apprensione che deriva dal timore di
confermare lo stereotipo che la società manifesta nei loro confronti.
Steele e Aronson manipolarono la variabile “presentazione del compito”. Nella condizione sperimentale ai
partecipanti veniva esplicitamente detto che si trattava di un compito diagnostico dell’abilità di tipo
verbale. Questa informazione esplicitamente richiamava i contenuti negativi di uno stereotipo sulla cui base
gli afroamericani sono associati a prestazioni scadenti nelle capacità di tipo verbale. Nella condizione di
controllo, il compito era presentato come una semplice attività di problem – solving. Quando lo stereotipo
non veniva attivato le prestazioni dei partecipanti afroamericani erano equivalenti a quelle dei partecipanti
americani di origine europea; nella condizione sperimentale la prestazione degli afroamericani subiva un
decremento rispetto a quella di controllo e a quella dei partecipanti bianchi nella stessa condizione.
SPENCER, STEELE E QUINN. Gruppo di studenti universitari. Poco prima dello svolgimento di una prova di
matematica veniva detto che sulla base di questo test non erano fino a quel momento emerse differenze
fra uomini e donne. A un secondo gruppo di partecipanti invece veniva fatto credere che la prova in
questione aveva rivelato nel passato differenze di prestazione fra donne e uomini. Era in questa specifica
condizione che gli autori ipotizzavano uno stato di minaccia per le studentesse. Le ragazze nella situazione
“differenze di genere” mostrarono un calo di prestazione rispetto alla condizione “senza differenze”. Per gli
studenti maschi non emersero differenze significative.
Quali sono i fattori responsabili del calo di prestazione che si verifica nella condizione in cui viene attivato lo
stereotipo? CADINU e colleghi. Modificando il disegno sperimentale di Spencer, Steele, Quinn, trenta
ragazze vennero assegnate alla condizione “differenze di genere” mentre altre trenta entrarono a far parte
della condizione “senza differenze di genere”. Il compito di matematica era costituito da sette difficili
esercizi, ciascuno dei quali era stampato su una pagina separata e preceduto da un pagina che chiedeva di
scrivere tutto quello che passava per la mente al partecipante. I risultati mostrarono che le ragazze nella
condizione di stereotype threat riportarono un maggior numero di pensieri negativi legati alla matematica
rispetto alle ragazze del gruppo di controllo e che tali intrusioni svolgevano il ruolo di mediazione fra la
condizione di minaccia e la scarsa prestazione delle ragazze.
Gli stereotipi regolano in modo implicito i giudizi e i comportamenti delle persone. Anche quando entrano
in gioco in forma più sottile gli stereotipi possono avere un ruolo altrettanto potente nel regolare le
interazioni sociali.
Cadinu e colleghi. La semplice etichetta verbale associata a un compito di matematica sarebbe in grado di
provocare gli effetti negativi sulla prestazione delle donne previsti dal modello dello stereotype threat. A un
gruppo di studenti, frequentanti l’ultimo anno di liceo scientifico, veniva presentato un compito che
metteva alla prova le capacità logiche dei partecipanti: era composto da una serie di problemi di
ragionamento inseriti in un contesto di situazioni sociali. A un primo gruppo di partecipanti venne detto che
si trattava di un compito di intelligenza logica; a un secondo gruppo che si trattava di un compito di
intelligenza sociale; a un terzo gruppo non venne data nessuna indicazione. Le ragazze ottennero la
prestazione peggiore nella condizione di intelligenza logica, ossia quando il compito era coerente con lo
stereotipo negativo riguardante il loro gruppo di appartenenza. I ragazzi subirono un calo di prestazione
nella condizione di intelligenza sociale. I partecipanti di ambedue i generi mostrarono un calo di
prestazione solo in compiti minaccia. Lo stesso compito cognitivo veniva affrontato con maggiore o minore
successo a seconda dell’etichetta che a esso era legata.
ASPETTI EVOLUTIVI DELLO STEREOTYPE THREAT.
Andamento evolutivo del fenomeno della minaccia legata allo stereotipo.
AMBADY, KIM E PITTINSKY. Bambine asiatiche che vivevano negli Stati Uniti venivano assegnate alle
seguenti condizioni sperimentali: nella prima condizione, prima di svolgere un compito di matematica, si
chiedeva alle bambine di fare un disegno volto ad attivare la categoria maschio – femmina, rendendo
quindi saliente l’appartenenza delle bambine al genere femminile. Nella seconda condizione veniva invece
resa saliente l’appartenenza al gruppo etnico che, nello stereotipo statunitense, è positivamente associato
alla matematica. Nella terza condizione non veniva resa saliente né l’una né l’altra delle due categorie
sociali. I risultati ottenuti nelle condizioni sperimentali mostrano un calo di prestazione nel test di
matematica quando era attivata la categoria “genere”, ma un miglioramento nel caso in cui era la categoria
“asiatico” a essere resa saliente. Gli stereotipi positivi, quindi, possono contribuire ad un miglioramento
della prestazione.
Fino a quando i gruppi minoritari saranno bersaglio di stereotipi che li associano a prestazioni inferiori in
certi campi, i membri di tali gruppi si sentiranno plausibilmente inadeguati.
CAPITOLO 11
ASPETTI EVOLUTIVI DEGLI STEREOTIPI
STEREOTIPI DI TIPO ETNOCENTRICO
Gli stereotipi di tipi etnocentrico cominciano tra i 3 e i 5 anni. I gruppi esterni, sono visti in modo piuttosto
negativo mentre la rappresentazione del proprio gruppo di appartenenza è molto favorevole. Questa
tendenza si attenua dopo i 7 anni di età: i bambini continuano a preferire il proprio gruppo, ma la
favorevolezza di tale giudizio è meno marcata. Particolarmente interessanti i dati relativi agli stereotipi
posseduti dai bambini appartenenti a gruppi di minoranza. Fino ai 7 anni di età, le risposte dei bambini neri
variano fortemente da un bambino all’altro: mentre alcuni di loro mostravano una netta preferenza per il
loro gruppo, altri dichiaravano di preferire i bambini o le bambole di pelle chiara. Molti dei bambini
intervistati sembravano preferire il gruppo sociale dominante. Questa tendenza si modifica a partire dai 10
anni di età: emerge una chiara preferenza per il proprio gruppo etnico.
A partire dagli anni ’70, si assiste a una maggiore tendenza al favoritismo per il proprio gruppo da parte dei
bambini appartenenti a gruppi etnici di status sociale svantaggiato. Stereotipi sociali sono in gran parte
appresi e i valori dominanti vengono interiorizzati dai bambini nel corso del processo di socializzazione.
È necessaria una conoscenza dei singoli tratti che caratterizzano i gruppi sociali al fine di raggiungere una
rappresentazione più favorevole dell’ingroup rispetto all’outgroup oppure tale preferenza si verifica al di là
delle conoscenze possedute?
CASTELLI e colleghi. A gruppi di bambini e ragazzi italiani di 6, 9, 12 e 15 anni venivano presentate delle
coppie di cartoncini contenenti dei tratti di personalità. Sia in riferimento al gruppo degli italiano sia
riguardo ad altri quattro gruppi nazionali europei, veniva chiesto ai soggetti di scegliere uno dei due
cartoncini o entrambi al fine di descrivere il gruppo in questione. Si chiedeva inoltre ai bambini di esprimere
il grado di piacevolezza di ciascun gruppo nel suo insieme.
Con l’aumentare dell’età, le valutazioni globali dei gruppi esterni rimanevano sostanzialmente inalterate
mentre l’ingroup veniva considerato in modo progressivamente meno favorevole. Le scelte dei bambini
diventavano sempre più coerenti con gli stereotipi tipicamente associati ai vari paesi. A questo aumento
della conoscenza stereotipica si accompagnava una stabilità nella favorevolezza dei gruppi esterni.
STEREOTIPI LEGATI AL SESSO DELLE PERSONE
L’ambito del sistema di categorizzazione sociale in cui la distinzione fra “noi” e “loro” si sviluppa in maniera
precoce è quello legato al genere sessuale.
Gradualmente i bambini acquisiscono la conoscenza delle caratteristiche tipicamente associate ai maschi e
alle femmine, ovvero si impadroniscono degli stereotipi prevalenti nella società in cui vivono.
BERNDT E HELLER. Ai partecipanti di diverse età, venivano presentate delle situazioni in cui un bambino o
una bambina mostravano di preferire un’attività stereotipica o controstereotipica in relazione la suo sesso.
Veniva chiesto ai partecipanti di prevedere una serie di comportamenti futuri da parte dello stesso
bambino e la scelta avveniva ancora una volta fra comportamenti stereotipici e controstereotipici. I
comportamenti indicati dai partecipanti erano coerenti con quelli precedentemente associati al bambino in
questione. Un’eccezione è rappresentata dal gruppo di bambini di 8 anni, i quali fecero delle previsioni di
tipo stereotipico anche quando il bambino era stato presentato come atipico.
STEREOTIPI DI GENERE E MATEMATICA
Un ambito particolarmente importante nel processo di acquisizione degli stereotipi di genere è quello
legato alla matematica. I bambini in età scolare sia maschi che femmine concordano nel ritenere che la
matematica sia una faccenda prettamente maschile. Uno studio recente in cui è stato analizzato il rapporto
tra l’evoluzione degli stereotipi di genere e le prestazioni dei bambini in matematica nel contesto italiano è
stato condotto da MUZZATTI E AGNOLI.
A 476 bambini italiani frequentanti le classi dalla seconda alla quinta elementare, è stato proposto un
compito articolato in due fasi. nella prima parte, venivano misurati gli stereotipi di genere legati alle
prestazioni in matematica. Le bambine di seconda elementare consideravano il proprio gruppo come
superiore a quello dei maschi mentre questi ultimi non manifestavano di credere a differenze fra i due
generi. Il quadro era diverso per i bambini di terza, con i maschi che iniziavano a ritenersi superiori alle
femmine e queste ultime che non riportavano differenze fra i due generi. Tale concezione di differenziava
ulteriormente a partire dalla quarta elementare e si rafforzava in quinta, età in cui sia i maschi che le
femmine ritenevano i maschi migliori in matematica. A due settimane di distanza la seconda fase dello
studio. Agli stessi bambini venivano presentati, nella condizione sperimentale, dieci volti di matematici,
nove maschi e una donna; nella condizione di controllo nove fiori e un frutto. I bambini dovevano contare
gli elementi oppure calcolare delle proporzioni. A questo punto i bambini dovevano svolgere un compito di
matematica adatta alla loro età. Il risultato fu che i dati dei bambini di quinta elementare rivelarono che
mentre per il maschi non si rilevarono differenze statisticamente significative fra la condizione sperimentale
e quella di controllo, le femmine mostravano una prestazione inferiore nella condizione di stereotype
threat rispetto a quella di controllo.
I ricercatori hanno elaborato un GENDER GAP, calcolato individuando una serie di fattori che rendono
operativo il grado di emancipazione femminile. Si tratta di punteggi che esprimono il livello di
partecipazione delle donne nel mondo del lavoro, il loro impegno nel mondo delle istituzioni politiche, la
loro presenza in ruoli di alto status sociale.
L’Italia occupa uno degli ultimi posti in graduatoria.
STEREOTIPI LEGATI AD ALTRE CATEGORIE SOCIALI
POWLISHTA e colleghi dimostrarono l’esistenza di considerevoli forme di pregiudizio nei confronti di diversi
gruppi esterni utilizzando un campione di bambini e ragazzi canadesi fra i 5 e i 13 anni. Emersero biases nei
confronti delle persone di sesso opposto, le persone che parlano una lingua diversa e le persone obese. I
bambini dai 5 ai 9 anni mostrarono le forme di pregiudizio più accentuate, mentre un’attenuazione della
discriminazione intergruppo venne osservata nelle valutazioni dei soggetti più grandi. Un dato interessante
fu l’assenza di correlazione fra le tendenze al pregiudizio nei confronti dei diversi gruppi sociali. La tendenza
al pregiudizio non è un tratto di personalità dei soggetti, che si può immaginare avere un effetto costante
nei diversi contesti di giudizio, ma varia in funzione del gruppo sociale da valutare.
Ma il modo in cui i bambini percepiscono e giudicano gli altri bambini è, a sua volta, in grado di influenzare i
loro comportamenti e le loro interazioni, al punto da modificare il comportamento dei bambini oggetto di
aspettative?
HARRRIS, MILICH E CORBITT. Ciascun partecipante all’esperimento veniva fatto interagire con un altro
bambino, il quale a detta degli sperimentatori, soffriva di un disordine da iperattività e deficit attentivo
(ADHD). I soggetti del gruppo di controllo partecipavano anch’essi a delle interazioni, ma non veniva fornita
loro alcuna indicazione. I bambini appartenenti al gruppo sperimentale, rispetto ai soggetti del gruppo di
controllo, tendevano a parlare di meno e a essere meno socievoli nei confronti del bambino con ADHD. Coe
reazione, i bambini oggetto di pregiudizio affermavano di avere avuto delle interazioni meno piacevoli.
LA CORRELAZIONE ILLUSORIA IN ETA’ EVOLUTIVA
Il fenomeno della correlazione illusoria può contribuire alla rappresentazione stereotipica dei gruppi di
maggioranza e di minoranza. PRIMI E AGNOLI si sono proposte di verificare se anche i bambini siano
propensi a individuare correlazioni illusorie fra appartenenza di gruppo e comportamenti sociali, quando sia
i primi che i secondi siano caratterizzati da una scarsa frequenza. A un gruppo di bambini di età compresa
tra i 6 e i 10 anni vennero presentati dei cartoncini raffiguranti i membri di due gruppi, i quali mettevano in
atto comportamenti socialmente desiderabili o indesiderabili. Ciascuna vignetta era accompagnata dalla
descrizione verbale del comportamento e dall’appartenenza di gruppo. Successivamente, venivano
presentati ai partecipanti gli stessi cartoncini con l’unica differenza che il nome del gruppo veniva eliminato.
Veniva chiesto ai soggetti di ricordare a quale gruppo appartenesse il bambino raffigurato nel disegno. I
risultati mostrarono che i soggetti tendevano ad attribuire i comportamenti negativi in modo
sproporzionatamente più frequente ai bambini del gruppo di minoranza. Sia i comportamenti positivi che
quelli negativi messi in atto dai membri del gruppo di minoranza vennero sovrastimati, risultato contrario
alle previsioni basate sulla correlazione illusoria. I risultati divennero più chiaramente indicativi quando si
chiedeva ai bambini di fornire delle stime globali sui due gruppi. Quando veniva chiesto ai soggetti di
stimare il numero complessivo di bambini di ciascun gruppo che aveva mostrato comportamenti positivi o
negativi, essi sovrastimarono il numero di comportamenti positivi. Inoltre, quando veniva chiesto ai
partecipanti di giudicare i due gruppi lungo una serie di tratti di personalità, il gruppo di minoranza veniva
valutato in modo più negativo.
Il bias della correlazione illusoria venne osservato anche in assenza di stimoli socialmente significativi.
Si può concludere che il bias della correlazione illusoria nelle stime di frequenza è presente anche in
soggetti in età evolutiva. I processi cognitivi legati alla percezione della covariazione tra variabili possono
facilitare la formazione di rappresentazioni negative a proposito di gruppi sociali minoritari.