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GLI STEREOTIPI

CAPITOLO 1
Il teatro dell’arte rimane la più aggiornata metafora del modo in cui gli individui preferiscono più semplici e
maneggevoli forme di conoscenza.
Le persone preferiscono avere a che fare con rappresentazioni di prototipi più che di individui, organizzano
i loro sistemi conoscitivi più in termini di aspettative che non di esperienze.
 Gli individui preferiscono usare gli STEREOTIPI.
Gli stereotipi sono conoscenze fisse e impermeabili che organizzano le nostre rappresentazioni delle
categorie sociali; semplificano i fatti in quanto si propongono di rappresentare gruppi e non individui,
immagini globali e non specifiche rappresentazioni di singole persone. Portano a interpretazioni errate degli
individui anche quando esiste un contatto diretto con questi.
Le CONSEGUENZE degli stereotipi sono tendenzialmente negative proprio per la loro rigidità, per il fatto di
essere impermeabili di fronte alle disconferme dell’esperienza e per la loro potenziale funzione di
distorsione della realtà.
LE PERSONE CHE LA PENSANO ALLO STESSO MODO SI ASSOMIGLIANO UN PO’
A un giudizio immediato, le persone che sono poco attraenti risultano generalmente anche poco
simpatiche. Gli osservatori fanno prontamente delle attribuzioni circa i tratti di personalità, le abilità e gli
stati emozionali di altre persone, basandosi su informazioni anche frammentarie e limitate.
Le caratteristiche e l’espressività del viso influenzano le attribuzioni circa il fascino, la piacevolezza, le abilità
intellettuali e sociali e la salute mentale della persona esaminata: gli osservatori applicano uno stereotipo
generalmente positivo a persona fisicamente attraenti. SECORD sostiene che i soggetti sono pressochè
concordi nell’attribuire una certa personalità a individui i cui volti possiedono caratteristiche fisionomiche
particolari.
 BOWMAN -> l’aspetto fisico costituisce una informazione rilevante per produrre giudizi inferenziali
del soggetto.
Bowman trovò che i soggetti percipienti erano poco propensi a modificare le loro attribuzione nei confronti
di una persona il cui comportamento era cambiato, se l’aspetto fisico di tale persona era rimasto immutato;
al contrario, nel caso in cui una modificazione di comportamento fosse concomitante con una
modificazione di tipo fisico, il cambiamento attribuzionale era facilitato.
 Le caratteristiche fisiche di una persona vengono da noi utilizzate come degli indicatori o dei
predittori di caratteristiche psicologiche o disposizionali.

ALLPORT -> le etichette categoriali possiedono un potere straordinario. Esse impediscono classificazioni
alternative, classificazioni incrociate, ci rendono insensibili alle più raffinate discriminazioni.

GOLDBERG, GOTTESDEINER, ABRAMSON -> hanno studiato la relazione che esisteva tra la percezione degli
atteggiamenti posseduti da donne a proposito del movimento femminista e il grado di piacevolezza della
loro immagine fisica.
Trenta donne vennero fotografate e venne loro chiesto di esprimere il proprio atteggiamento a proposito
del movimento femminista. Un gruppo di “giudici” valutò le foto distribuendo le immagini in cinque
categorie di piacevolezza. Fu così possibile calcolare il punteggio di piacevolezza associato alle persone
fotografate a seconda del loro atteggiamento sui temi dell’emancipazione femminile.
Non emersero delle differenze statisticamente significative circa il grado di piacevolezza associato alle
persone appartenenti ai due gruppi di atteggiamento. Ma a un secondo gruppo di “giudici” venne invece
chiesto di giudicare la piacevolezza degli stimoli in presenza dell’informazione sull’atteggiamento
posseduto. Risultò esserci un’interazione significativa tra atteggiamento posseduto dai “giudici” e quello
attribuito alle donne fotografate. Le persone giudicate più piacevoli dal punto di vista fisico erano quelle
che avevano un atteggiamento simile a quello di colui che emetteva il giudizio.

RULE E EMBADY -> alcuni aspetti del volto della persona percepita diventano dei plausibili predittori del suo
orientamento sessuale o dei suoi valori di tipo religioso. I dati di ricerca sembrano confermare che piccole
differenza in caratteristiche del volto apparentemente banali sono in grado di produrre percezioni dotate di
affidabilità. Nelle culture occidentali, quando i partecipanti emettono giudizi di competenza e di potere
associati al volto dei candidati alle elezioni politiche, di solito esprimono valutazioni che sono predittive del
loro successo nella competizione elettorale.
È possibile prevedere l’appartenenza politica degli individui sulla base delle caratteristiche del loro volto?
Rule e Embady utilizzarono le foto dei volti di 118 candidati democratici e repubblicani alle elezioni del
senato americano. Ogni foto, standardizzata per formato e colore, compariva sullo schermo del computer e
il partecipante doveva decidere se si trattava di un candiato democratico o repubblicano. Risultò che gli
interrogati erano stati in grado di categorizzare i volti dei candidati sulla base della loro appartenenza di
partito più correttamente di quanto ci si poteva attendere sulla base del caso.
Risultati analoghi vennero replicati usando i volti di studenti universitari di cui era stata registrata la
preferenza politica ma che non erano professionisti della politica. Anche in questo caso i giudizi di
appartenenza di partito espressi a partire dalle caratteristiche del volto erano significativamente più corretti
di quanto ci si potesse attendere sulla base del caso.
Rule a Embady proposero un terzo studio in cui le stesse foto presentate precedentemente dovevano
essere giudicate su diverse scale di valutazione che rimandavano alle seguenti dimensioni: la DOMINANZA
che il volto esprimeva, la MAURITA’, la PIACEVOLEZZA, l’AFFIDABILITA’.
In maniera sistematica i volti percepiti come esprimenti potere erano maggiormente categorizzati come
repubblicani che come democratici, i volti percepiti come esprimenti calore umano erano categorizzati più
come democratici. Il risultato interessante era che questa attribuzione a un partito politico non era
arbitraria ma corrispondeva in maniera significativa alla reale collocazione partitica della persona giudicata.

QUANDO IL SOCIALE DIVENTA BIOLOGICO: ESSENZIALISMO


ROTHBART E TAYLOR -> le categorie sociali come un insieme composito di criteri di classificazione, alcuni
dei quali radicati nel corredo biologico dell’individuo, altri invece più di tipo arbitrario.
Secondo il loro modello il destino delle categorie sociali non è quello di rimanere stabilmente collocate in
un punto fisso del continuum naturalità vs. artificialità, ma di spostarsi verso l’uno o l’altro dei poli, in
relazioni alle circostanze storiche o ai valori sociali emergenti.

L’INFRAUMANIZZAZIONE
Quando gli individui esprimono giudizi a proposito del nucleo essenziale che rimanda alle caratteristiche
biologiche attribuite ai gruppi sociali, di solito muovono da una equazione fondamentale: il livello di
essenza biologica attribuibile a un gruppo è riconducibile al livello di “umanità” che al gruppo stesso viene
riconosciuta. Gli individui sviluppano una sorta di gerarchia di umanità che differenzierebbe il proprio
gruppo di appartenenza rispetto agli altri. In poche parole ATTRIBUISCONO UNA MAGGIORE ESSENZA
UMANA AL PROPRIO GRUPPO CHE AGLI ALTRI -> INFRAUMANIZZAZIONE (Leyens)
Essi sono partiti da un’analisi degli ambiti di competenza che nella percezione comune differenziano gli
esseri umani dagli animali. Chiedendo a un gruppo di studenti universitari di definire che cosa accomunasse
e cosa differenziasse gli esseri umani dagli animali, gli autori giunsero all’individuazione di tre dimensioni
fondamentali di differenziazione, ossia il LINGUAGGIO, l’INTELLIGENZA e la CAPACITA’ DI ESPRIMERE
PARTICOLARI SENTIMENTI.
Leyens presentò una lista di emozioni in relazione a ciascuna delle quali bisognava indicare il grado in cui si
trattava di una esperienza unicamente umana oppure sperimentabile sia dagli umani sia dagli animali.
In particolare, le emozioni che vennero giudicate rappresentare esperienza comune e umani e animali
erano la sorpresa, la rabbia, il dolore, il piacere, la paura. Sentimenti tipicamente umani erano invece
tenerezza, amore, speranza, vergogna, senso di colpa.
Le manifestazioni delle emozioni tipicamente umane vennero giudicate come meno intense, difficilmente
restringibili da un osservatore, non direttamente provocate da cause esterne e frutto di processi che
avevano luogo in fasi più ritardate dello sviluppo individuale.
 Al gruppo di appartenenza (ingroup) viene riconosciuta una natura umana che invece viene negata
al gruppo degli altri (outgroup)
 INFRAUMANIZZAZIONE, tendenza a considerare l’outgroup come una entità la cui natura umana è
fortemente messa in dubbio o addirittura negata.
CAPITOLO 2
Gli stereotipi, in quanto prodotti della cultura e del patrimonio di idee del gruppo sono dei veicoli per
creare omogeneità di valori e credenze. Acquistano una notevole importanza tutti gli agenti di
influenzamento che sono in grado di formare, trasmettere e mantenere gli stereotipi nelle relazioni tra
generazioni e tra strati sociali.
LIPPMANN
- LA PERSONALITA’ AUTORITARIA. Mediante i meccanismi di difesa, come proiezione o la
dislocazione, gli attributi negativi del Sé o del gruppo di appartenenza vengono percepiti come
caratteristici di qualche altra persona o di un qualche gruppo esterno. È proprio mediante questa
percezione del gruppo esterno in termini negativi che il proprio gruppo di appartenenza diventa
migliore. I meccanismi che servono ad aumentare la valutazione del gruppo di appartenenza
svolgono una importante funzione anche nel mantenimento della sua autostima.
ADORNO. Coloro che manifestano un pregiudizio nei confronti degli ebrei possiedono radicati
pregiudizi nei confronti di anti altri gruppi di minoranza: in questo senso l’antisemitismo può essere
considerato parte di un più generale “etnocentrismo” le cui origini più profonde sono radicate in
una struttura di personalità definita AUTORITARIA. Si tratta di una vera e propria sindrome,
centrata sull’enfatizzazione delle figure dotate di potere sul costante richiamo ai valori tradizionali,
su una intransigente enfatizzazione delle differenze tra il bene e il male. Gli stereotipi finiscono per
rappresentare, per la loro rigidità e sistematica negatività, una forma di patologia del giudizio
sociale: sono fondamentalmente errati i contenuti che trasmettono, non sono bassati su solide basi
esperienziali ma solo su tendenziose preconfezioni, risultano impermeabili alle disconferme di tipo
empirico.
- LA NATURA DEL PREGIUDIZIO. Gordon Allport “La natura del pregiudizio”.
È Allport ad introdurre quello che sarà l’approccio cognitivo nello studio degli stereotipi: essi
vengono considerati sistemi di credenza a proposito degli attributi associati ai vari gruppi sociali.
Benchè tutti noi tendiamo a categorizzare le altre persone e in qualche misura facciamo uso di
stereotipi, coloro che sono affetti da atteggiamenti di pregiudizio organizzano la loro conoscenze
categoriali in maniera diversa di quanto fanno gli individui relativamente privi di pregiudizi. È più
probabile che questi ultimi usino categorie “differenziate”, ossia quei contenitori concettuali che
prevedono eccezioni e un’ampia variabilità individuale degli esemplari contenuti nella categoria.
- LA COGNIZIONE SOCIALE. Lo stereoptipo viene equiparato ad altre strutture di conoscenza che
prendono il nome di SCHEMI. Gli stereotipi della più recente cognizione sociale sono concepiti
come l’esito di normali e quotidiani processi di generalizzazione, facilmente applicabili ai più diversi
contesti di giudizio sociale. La prospettiva basata sulla cognizione sociale è più focalizzata sul
processo di attivazione dello stereotipo e meno sulla natura e sulla valenza dei suoi contenuti.

UN PANORAMA DI DEFINIZIONI
Tra le definizioni di stereotipo che sottolineano la loro caratteristica di PROCESSI DI PENSIERO
TENDENZIOSI ricordiamo le seguenti:
- Uno stereotipo è un’impressione fissa e immutabile, che si adatta molto poco alla realtà che
presuma di rappresentare; esso è il risultato della nostra tendenza a definire prima di osservare.
- Uno stereotipo è una credenza esagerata associata a una categoria. La sua funzione è quella di
giustificare la nostra condotta in relazione a quella categoria.
- Uno stereotipo etnico è una generalizzazione fatta a proposito di un gruppo etnico; essa concerne
un’attribuzione di tratti che è giudicata ingiustificata da un osservatore esterno.
- Lo stereotipo è una generalizzazione a proposito di un gruppo di persona che distingue quelle
persone dalle altre. Gli stereotipi possono diventare sovrageneralizzazioni e resistere all’impatto
delle nuove informazioni.

Se invece ci riferiamo agli stereotipi come esito di un PROCESSO DI CATEGORIZZAZIONE che interviene
per facilitare il giudizio sociale:
- Lo stereotipo è una risposta categoriale; l’appartenenza a una categoria sociale è sufficiente per
mobilitare il giudizio che la persona stimolo possiede tutti gli attributi che sono associati alla
categoria.
- Lo stereotipo è un insieme di credenze a proposito degli attributi personali di un gruppo di
individui.
- Nello stereotipo l’individuo a) categorizza altri individui sulla base di caratteristiche fortemente
visibili b) attribuisce un insieme di caratteristiche all’insieme dei membri di quella categoria c)
attribuisce quelle caratteristiche a ciascun membro di quella categoria.
- Gli stereotipi sono credenze circa gli attributi personali condivisi dagli individui che appartengono a
un particolare gruppo o categoria sociale.
- Lo stereotipo è una collezione di associazioni che collegano un gruppo-bersaglio a un insieme di
caratteristiche descrittive.
- Lo stereotipo è una struttura cognitiva che contiene la conoscenza, le credenze e le aspettative
possedute da un partecipante a proposito di un certo gruppo umano.
- Utilizzare uno stereotipo significa assegnare le stesse caratteristiche a ciascuna persona che
appartenga a un gruppo, senza tener conto delle effettive variazioni che distinguono tra loro i
membri di quel gruppo.
Le operazioni dii categorizzazione, inferenza, attribuzione appaiono per larga parte frutto di processi
consapevoli, una diretta ed esplicita applicazione delle credenze possedute dall’individuo. Le cose però
non stanno sempre così: sia nell’organizzazione degli stereotipi sia nel loro uso per mettere giudizi di
natura sociale, i partecipanti possono attivare conoscenze di cui non sono consapevoli, sulla base di
processi che avvengono in maniera automatica.

TECNICHE BASATE SULL’IMPIEGO DI LISTE DI AGGETTIVI E SULLE RISPOSTE AD ITEM DI OPINIONE


Sul libro

CAPITOLO 3
Le ricerche condotte dal gruppo di Adorno, ma anche da Allport, ci dicono che le persone affette da
pregiudizio, più di altre, fanno propri con estrema sicurezza stereotipi prevalentemente negativi.
Paradossalmente sono i loro atteggiamenti di pregiudizio a giustificare l’attribuzione di tali
caratteristiche, piuttosto che il contrario.
In secondo luogo molti stereotipi sembrano basarsi relativamente poco su dati frutto di esperienza
diretta.
KATZ e BRALY: i partecipanti, studenti universitari statunitensi, avevano il compito di selezionare, entro
una lista composta da 84 tratti, quelli che essi consideravano caratteristici dei 10 gruppi etnici e religiosi
a loro proposti. Quando si trattò di definire la popolazione dei turchi risultò che il 46% dei partecipanti
concordava nell’attribuire a questa popolazione la caratteristica dell’essere spietati. Successivamente
emerse che nessuno aveva mai conosciuto un turco in carne e ossa.

ALLA RICERCA DI STRUMENTI PER MISURARE L’ACCURATEZZA DEGLI STEREOTIPI


In letteratura sono stati proposti dei punteggi di DISCREPANZA, per misurare il grado in cui le credenze
che la gente possiede a proposito dei tratti e dei comportamenti ascritti a uno specifico gruppo o
categoria sociale si avvicinano a stime dotate di affidabilità.
Un’altra possibile metodologia di stima dell’accuratezza è basata sul calcolo della CORRELAZIONE: con
tale indice si intende misurare il grado in cui le credenze delle persone a proposito di una caratteristica
attribuita a un gruppo corrispondono a come i gruppi realmente sono.
I punteggi di discrepanza e di correlazione possono essere usati per stimare due tipi di stereotipi: quelli
CULTURALI e quelli PERSONALI. I primi si riferiscono al grado in cui una credenza è condivisa dai
membri di un contesto culturale. I secondi rappresentano le credenza si un singolo individuo a
proposito di un gruppo sociale, indipendentemente dal fatto che tali credenze siano condivise con altri.

LaPiere aveva cercato di determinare il grado di corrispondenza ai dati fattuali di due caratteristiche
che sembravano contraddistinguere lo stereotipo a proposito dei lavoratori armeni immigrati negli Stati
Uniti: questi tradizionalmente erano considerati disonesti e incapaci di vivere autonomamente. Egli
scoprì che le persone tendevano a sottostimare la fiducia che le istituzioni bancarie ponevano nei
confronti dei lavoratori armeni e tendevano a sovrastimare il loro uso delle strutture sanitarie
pubbliche.

MCCAULEY E STITT
Chiesero a un gruppo di partecipanti bianchi di indicare la percentuale di afroamericani e di americani
in generale che possedevano caratteristiche demografiche normalmente associate agli afroamericani. I
risultati dimostrarono che i partecipanti bianchi americani SOTTOSTIMAVANO l’effettiva differenza che
esisteva tra agli afroamericani e gli americani in generale.

Una seconda caratteristica degli studi è quella di essere prevalentemente indirizzati all’individuazione
del modo in cui i partecipanti percepiscono la tendenza centrale di un gruppo. Alle persone interrogate
viene chiesto di indicare in che misura un certo tratto è presente in un gruppo e in tal modo si intende
individuare il modo in cui quel tratto viene percepito come appartenente al gruppo.

KATZ E BRALY
100 studenti americani universitari. I partecipanti avevano il compito di selezionare, entro una lista
composta da 84 tratti, quelli che essi consideravano caratteristici dei 10 gruppi etnici e religiosi a loro
proposti. I ricercatori calcolarono le percentuali di partecipanti che sceglievano le diverse
caratteristiche per descrivere i gruppi giudicati e stabilirono che quanto più alto era quel valore, tanto
più era lecito immaginare che lo stereotipo del gruppo in questione si basasse su quel tratto.
Quanto meno un gruppo etnico era apprezzato, tanto meno favorevolmente erano giudicati i tratti
impiegati per descriverlo.

POLARIZZAZIONE, DIPSPERSIONE E VALENZA


Macrae, Stangor, Hewstone ipotizzano che le rappresentazioni delle categorie sociali elaborate dagli
individui siano articolati in tre componenti.
Per ciascuna dimensione di giudizio, le persone sono in grado di individuare un valore medio o di
tendenza centrale che rappresenta il gruppo giudicato: l’estremità di collocazione di tale valore è un
importante indicatore di POLARIZZAZIONE. Le persone sono in grado di percepire la DISPERSIONE dei
membri del gruppo considerato attorno al valore di tendenza centrale individuato. Gli stereotipi sono
caratterizzati dal grado in cui la percezione del gruppo è basata su caratteristiche POSITIVE o NEGATIVE.
RYAN, PARK E JUDD hanno dato il nome di ESTREMITA’ DELLA TENDENZA CENTRAE PERCEPITA, di
DISPERSIONE e di VALENZA suggerendo che esse possano costituire tre diverse dimensioni per la
misura dell’inaccuratezza degli stereotipi. Gli stereotipi sono stati spesso descritti come
sovrageneralizzazioni e questa definizione implica inaccuratezza.

TANTI PROBLEMI RIMASTI APERTI


Nelle situazioni intergruppo si realizzano le condizioni per il manifestarsi di stereotipi caratterizzati da
esagerazioni, da etnocentrismo da sovrageneralizzazione.
Gli stereotipi dell’ingroup erano più accurati di quelli dell’outgroup, ossia i partecipanti tendevano a
sovrastimare le opinioni stereotipiche più nei confronti dell’outgroup che dell’ingroup.
La percezione del proprio gruppo è più accurata di quella del gruppo esterno e questo fenomeno è
tanto più vistoso per quegli individui che si identificano fortemente con il gruppo di appartenenza.
Chi diventa bersaglio di uno stereotipo negativo avverte una sorta di minaccia che si esprime nel modo
in cui le aspettative degli altri a proposito degli esiti di insuccesso in una prestazione lo possono
influenzare. Si tratta di una esperienza psicologica nella quale l’individuo avverte la sua vulnerabilità e
finisce per confermare le previsioni che lo stereotipo nei suoi confronti avanza.

CAPITOLO 4
GLI EFFETTI DELLA CATEGORIZZAZIONE
Tajfel è il più genuino interprete dell’approccio cognitivista allo studio dello stereotipo.
Il flusso dei cambiamenti sociali che si realizzano nelle relazioni tra i gruppi si basa su un continuo
riaggiustamento del modo in cui gli individui attribuiscono un significato a ciò che si modifica e su una
ricerca delle cause che hanno prodotto questi cambiamenti. Il modo in cui gli individui interpretano e
come comprendono i cambiamenti si basa su tre processi cognitivi: CATEGORIZZAZIONE,
ASSIMILAZIONE, RICERCA DELLA COERENZA.
Gli stereotipi nascono dal processo di categorizzazione. Essi producono semplicità e ordine dove c’è
complessità e variazione vicina alla casualità.
TAJFEL E WILKES: ai partecipanti viene presentata una serie di otto linee la cui lunghezza varia. La più
corta è di 16.2 cm, la più lunga è di 22.8 cm. Sono previste tre condizioni sperimentali. Nella prima,
denominata di classificazione, le quattro linee più corte vengono etichettate con la letera A, le quattro
linee più lunghe con la B. nella condizione di non classificazione, le linee sono presentate senza essere
accompagnate da alcuna lettera. Nella condizione di casualità non c’è nessuna prevedibile relazione tra
la lunghezza delle linee e la lettera con cui sono etichettate. Ai partecipanti viene chiesto di stimare la
lunghezza di ciascuna delle linee e sono poi confrontati i valori di differenza. Diventano particolarmente
interessanti i partecipanti che appartengono alla situazione di classificazione. Solo i partecipanti di
questa condizione sperimentale accentuano la differenza tra le due classi di stimoli, esagerando la
diversità che esiste tra gli stimoli di confine, ossia la più lunga delle quattro più corte e la più corta delle
quattro più lunghe. Quando una classificazione è correlata con una dimensione continua, si manifesterà
una tendenza a esagerare le differenze su tale dimensione tra stimoli che appartengono a distinte classi
e a minimizzare le differenze entro ciascuna delle classi.
I processi di categorizzazione sono responsabili dei più rilevanti fenomeni nell’attivazione degli
stereotipi sociali.
L’accentuazione delle somiglianze entro la categoria e delle differenze tra le due categorie e delle
differenze tra le due categorie messe a confronto diventa allora l’effetto, che si realizza in maniera
relativamente automatica, cui il processo di categorizzazione dà inevitabilmente luogo. Nel caso in cui il
partecipante che giudica faccia pare di una delle categorie messe a confronto, un ulteriore effetto:
quello di produrre una discriminazione valutativa e comportamentale a vantaggio del proprio gruppo di
appartenenza.
I partecipanti dell’esperimento di Tajfel minimizzano la grandezza di tutte le linee recanti l’etichetta “A”
mentre accentuarono la grandezza di tutte le linee “B”, rispetto ai partecipanti nella condizione di
controllo. -> assimilazione alla tendenza centrale della lunghezza delle linee appartenenti alla stessa
categoria piuttosto che in un’accentuazione della differenza fra le due linee di confine.

KRUEGER E CLEMEN -> a ciascun partecipante veniva presentata una serie di coppie di date del
calendario, in cui la distanza temporale era sempre di otto giorni. In alcuni casi si trattava di due giorni
dello stesso mese, in altri casi i due giorni facevano parte di due mesi consecutivi. Il compito era quello
di stimare le temperature medie minime e massime registrate in queste date durante il decennio 1981-
1990.
Emerge una tendenza alla sovrastima della differenza di temperatura quando i due giorni appartengono
a due mesi diversi, mentre si verifica una sottostima di tale differenza nel caso in cui i due giorni
appartengano a uno stesso mese.

ALLEN E WILDER -> i partecipanti erano divisi in due gruppo, apparentemente sulla base delle
preferenze da loro manifestate nei confronti di quadri di Klee e Kandinsky, in realtà sulla base del caso.
Prima di tale classificazione ciascun partecipante aveva risposto ad un questionario in cui avevano
espresso le loro opinioni. Una volta stabilita la loro appartenenza categoriale i partecipanti dovevano
nuovamente compilare il questionario, immaginando di dare risposte ce avrebbe dato un altro membro
della propria categoria di appartenenza o un membro della categoria opposta. I partecipanti tendevano
ad attribuire ai membri del proprio gruppo di appartenenza delle opinioni più simili alle proprie di
quanto si aspettassero dai membri dell’altro gruppo.

KREUGER, ROTHBART, SRIRAM


Erano presentate ai partecipanti due serie di numeri. Il compito dei partecipanti era quello di stimare
periodicamente la media di ciascuna distribuzione dei numeri presentati dopo un certo intervallo di
tempo. I partecipanti si mostrarono maggiormente sensibili alla presentazione di numeri che
accentuavano la differenza tra le due distribuzioni rispetto ai numeri che attenuavano tale differenza.
In un altro studio venne impiegato lo stesso materiale e lo stesso procedimento dello studio
precedente, ma ai partecipanti veniva detto che i numeri sullo schermo rappresentavano il peso
corporeo di due gruppi di atleti: maratoneti e velocisti.
L’effetto-accentuazione fra le due categorie non aumentò con l’impiego di materiale di tipo sociale.

DAVIS-STITT, ROTHBART E KRUEGER hanno ipotizzato che l’appartenenza dei partecipanti stessi a una
delle due categorie sociali di riferimento li avrebbe portati a percepire una maggiore differenza fra gli
individui appartenenti alle due categorie.
Ai partecipanti veniva fatto compilare un questionario di personalità, in cui si chiedeva loro di
descrivere se stessi indicando quanto ciascuno di una serie di affermazioni era descrittiva del loro modo
di essere. Lo scopo del test di personalità era quello di collocarli in due gruppi di personalità distinti: i
livellatori e gli accentuatori. Veniva poi chiesto ai partecipanti di stimare le medie di due distribuzioni di
numeri che apparivano sullo schermo: in questo caso i numeri rappresentavano i punteggi ottenuti dai
livellatori e dagli accentuatori in un test di tipo cognitivo.
I partecipanti del gruppo di controllo non ricevevano alcuna indicazione circa la loro appartenenza
categoriale. L’effetto di accentuazione fra le due distribusioni di numeri non risultò significativamente
maggiore per i partecipanti che avevano avuto la consapevolezza della loro classificazione.
È possibile che la manipolazione della variabile “appartenenza a uno dei due gruppi” non abbia
prodotto alcun effetto poiché i punteggi ottenuti dalle due categorie nel compito cognitivo erano privi
di qualsiasi connotazione di valore. I partecipanti non ricevevano alcuna informazione sul significato dei
punteggi ottenuti nei termini di desiderabilità sociale. I partecipanti categorizzati non avevano alcuna
motivazione ad accentuare le differenze fra i due gruppi rispetto ai partecipanti non categorizzati.

CATEGORIZZAZIONE E COMPITI DI MEMORIA


Quando i partecipanti sono categorizzati in uno dei due gruppi tendono a ricordare prevalentemente le
opinioni che li rendono più simili ai membri della loro stessa categoria.
I partecipanti sembrano comportarsi in modo da mantenere chiare o preferibilmente accentuare le
discontinuità che si producono a partire dalla distinzione tra categorie.

TAYLOR e colleghi -> who says what


I partecipanti dovevano prestare attenzione ad una discussione di Gruppo a proposito di una campagna
pubblicitaria e nella simultanea presentazione dei volti di coloro di cui ascoltano le frasi. I soggetti della
discussione erano tre bianchi e tre afroamericani.
Alla fine ai partecipanti viene fornita la lista delle frasi pronunciate nel corso della discussione: in
relazione a ciascuna di queste esse dovevano associare il viso della persona, che nel loro ricordo, l’ha
pronunciata. La maggior quantità di errori si verifica entro le categorie di appartenenza di coloro che
hanno partecipato al dibattito.
Sono meno bravi nell’attribuire correttamente la frase entro gli interlocutori appartenenti alla stessa
categoria. -> gli errori intracategoriali sono più numerosi degli errori intercategoriali. L’effetto diventa
ancora più macroscopico quando si creano delle condizioni di categorizzazione. I partecipanti alla
discussione sono classificabili entro due categorie diverse: tre femmine giovani e tre uomini anziani. In
questo caso rende maggiormente vistosi i fenomeni di accentuazione delle somiglianze percepite entro
il gruppo e di differenza tra i due gruppi.

GLI EFFETTI DELLA CATEGORIZZAZIONE CHE PORTANO AL FAVORITISMO PER IL PROPRIO GRUPPO DI
APPARTENENZA
Il processo di categorizzazione favorisce i fenomeni di favoritismo nei confronti dell’ingroup e di
discriminazione nei confronti dell’outgroup.
Tajfel si propone di dimostrare che il puro contesto di categorizzazione, realizzata sulla base di criteri
socialmente non significativi per l’individuo, è comunque sufficiente perché quest’ultimo emetta dei
giudizi e pianifichi dei comportamenti che realizzano favoritismo a favore del proprio gruppo e
discriminazione nei confronti del gruppo opposto.
PARADIGMA DEL GRUPPO MINIMO, RABBIE E HORWITZ
Dei giovani studenti erano assegnati a due gruppi, apparentemente sulla base di criteri di classificazione
del valore contingente in realtà avveniva in maniera casuale. La situazione non prevedeva alcuna
interazione sociale significativa né all’interno delle categorie così definite, né tra le due categorie.
Una volta che la divisione era avvenuta e il partecipante aveva preso consapevolezza di appartenere a
uno dei due gruppi, gli veniva chiesto di distribuire delle ricompense a due partecipanti
dell’esperimento, i quali appartenevano rispettivamente all’ingroup e all’outgroup.
“gruppo di minimo” cioè la distinzione tra i due gruppi era solo frutto di un’operazione categoriale.
I partecipanti manifestavano favoritismo a vantaggio del membro dell’ingroup. Nel dividere le somme
di gettoni tra le coppie di partecipanti tendevano a ricompensare più generosamente il membro che
apparteneva alla loro stessa categoria.

GLI STEREOTIPI COME SISTEMI DI RAPPRESENTAZIONE


Modello del PROTOTIPO: Rosch. i partecipanti ce si rappresentano un gruppo o una categoria sociale
non lo fanno né utilizzando delle caratteristiche capaci di definire lo stereotipo del gruppo. Né delle
informazioni che riguardano singoli individui appartenenti al gruppo. Essi depositano in memoria delle
rappresentazioni astratte degli aspetti tipici del gruppo (prototipo) e giudicano i singoli membri in
relazione al grado di somiglianza che essi presentano con il prototipo.
La conoscenza a proposito dello stereotipo è normalmente organizzata in una struttura gerarchica. Si
può assumere che quanto più è familiare il tipo di esperienza che il partecipante percipiente ha con la
categoria presa in carico, tanto più basso e specifico sarà il livello al quale si realizzerà il suo giudizio.

Modello degli ESEMPLARI: un gruppo è rappresentato non tanto mediante l’attivazione di


caratteristiche astratte, quanto attraverso la comparsa di esemplari concreti e particolari. Anche in
questo caso è stretta la relazione esistente tra la familiarità con un certo dominio di conoscenze sociali
e il grado di differenziazione interna che una categoria può assumere. La fondamentale differenza tra il
modello del prototipo e quello basato sugli esemplari sta nel fatto che nel primo caso gli stereotipi sono
attivati a partire da criteri e dimensioni astratte, mentre nel secondo da esempi concreti.

Modello delle RETI ASSOCIATE: lo stereotipo è concepito come una rete di attributi collegati. Si va dai
tratti alle credenze ai comportamenti. Anche i legami che li uniscono possono essere semplici
associazioni, oppure connessioni di tipo causale, o associazioni con connotazioni affettive. Talvolta è
sufficiente l’attivazione di una etichetta linguistica per far entrare in risonanza in maniera automatica gli
attributi a essa collegati.
Un eventuale cambiamento degli stereotipi si può realizzare solo con lentissime progressioni e solo
nella misura in cui gli attributi che ne segnano la modificazione si interconnettono in maniera estensiva
e duratura.

Modello degli stereotipi come SCHEMI: l’informazione stereotipica, invece di essere rappresentata in
forma di tratti medi, di esemplari, di attributi connessi da legami, è costituita da un insieme di credenze
generalizzate e stratte a proposito di un gruppo e dei suoi membri. Una implicazione che possiamo
derivare è la seguente: dato che lo stereotipo organizzato nella forma di schema è organizzato da una
spinta astrattezza rappresentativa, esso contiene ampie possibilità di inserimento di informazioni anche
non consistenti.

DUE POSSIBILI SIGNIFICATI DEL PROCESSO DI CATEGORIZZAZIONE


1) Nel momento in cui il partecipante utilizza in sistema di categorizzazione, perde dettagli, specificità
e caratteristiche personali dell’individuo classificato e impoverisce l’informazione necessaria per
formarsi un’impressione dettagliata e complessa. È questa l’idea di FISKE e NEUBERG e BREWER. Il
costrutto di essere umano come elaboratore dell’informazione sociale, sottostante a tale
modellistica, incorpora allora l’idea che il processo di categorizzazione sia un rimedio per ovviare
all’estrema complessità delle nostre esperienze di percezione sociale. Esso possiede anche effetti
collaterali: quelli di rendere più povera, grossolana e semplificata l’impressione che ci formiamo
degli altri.
2) In un suo articolo Bruner sostiene che non può esservi esperienza percettiva senza
categorizzazione. Uno stimolo acquista una sua identità nel momento in cui diventa oggetto
collocato in una classe generale, della quale sono conosciute le proprietà definienti. È mediante
questa operazione di collocazione che lo stimolo acquista un significato pregnante. La
categorizzazione consente allora di andare al di là dell’informazione data. Medin afferma che la
categorizzazione è principalmente destinata a gestire le situazioni in cui lo stimolo è troppo povero
e poco informativo. L’attribuzione categoriale arricchisce l’impressione di persona, contestualizza e
specifica il significato dei suoi tratti.
ASCH fornisce ai partecipanti la seguente descrizione di un individuo: si tratta di una persona intelligente,
capace, attiva, cordiale, decisa, pratica, prudente. In un’altra condizione sperimentale la lista presentata è
la stessa, salvo che al posto di cordiale si dice che la persona descritta è fredda. Il passaggio da cordiale a
fredda rende profondamente diverse le personalità immaginate.

Le variabili vengono manipolate secondo un’altra prospettiva. A un primo gruppo di partecipanti diamo la
lista nota (uguale a quella sopra); a un altro gruppo diamo la stessa lista preceduta dall’informazione che la
persona descritta è un operaio. È sufficiente questa collocazione categoriale per modificare
profondamente il senso dei tratti proposti in questa seconda lista. Il processo di categorizzazione arricchisce
e organizza in maniera più completa la rappresentazione delle nostre conoscenze sociali.

IL MODELLO CATEGORIALE DI ELEANOR ROSCH


Pare accertato che i processi di categorizzazione che si realizzano nella vita di ogni giorno abbiano una loro
validità ecologica, nel senso che trattano insieme di oggetti la cui classificazione non è frutto di una
semplice costruzione soggettiva. ROSCH propose un modello categoriale che si configurava come sistema di
rappresentazione delle conoscenze capace di catturare e riprodurre le invarianze significative che si
realizzano nel mondo naturale e che ne definiscono le discontinuità.
Il meccanismo che garantisce la selettività adattiva nel nostro rapporto con l’ambiente, sia fisico sia sociale,
è il processo mediante il quale attiviamo particolari categorizzazioni, per produrre una rappresentazione
soggettiva della realtà. Possiamo immaginare che la categorizzazione operi in modo da massimizzare
l’informazione disponibile, selezionando gli aspetti della struttura che diventano rilevanti nel soddisfare le
richieste legate al raggiungimento di un certo obiettivo.
Ci sembra di poter definitivamente scartare un’impostazione in base alla quale il processo di
categorizzazione nell’ambito del giudizio sociale significa riduzione di informazione e impoverimento della
rappresentazione del mondo.
OAKES, HASLAM, TURNER affermano che la categorizzazione dispiega l’informazione presente nello
stimolo.

IL MODELLO DEL CONTENUTO DEGLI STEREOTIPI


1) Lo studio degli stereotipi affronta i principi generali del funzionamento della mente umana
indipendentemente dagli specifici contesti e i particolari ambiti in cui le conoscenze si rivelano
stabili nel tempo. (Tajfel e Rosch)
2) Altra logica è invece quella seguita da quei ricercatori che si sono posti l’obiettivo di analizzare i
diversi contenuti che sono racchiusi negli stereotipi a seconda del contesto culturale in cui
emergono o alle epoche storiche. (Katz e Braly)
Modello proposto da FISKE e colleghi
Al centro del modello sta la constatazione proveniente da molti dati di ricerca, che le dimensioni
universalmente impiegate nel giudizio sociale, sia a livello individuale sia a livello di gruppo, sono definibili
come “calore umano” e “competenze”. La dimensione del calore umano cattura un’area semantica in cui si
collocano tratti che sono definibili come amichevolezza, atteggiamento d’aiuto, sincerità, capacità di
ispirare fiducia. La dimensione della competenza riflette tratti che sono collegati alla percezione di abilità
che rimandano all’intelligenza, alla specializzazione, alla creatività.
Le persone dimostrano di essere cognitivamente più sensibili alla dimensione del calore umano. Sono infatti
più rapide nel riconoscere parole che rimandano a questa dimensione rispetto alle parole collegate alla
dimensione della competenza.
Le situazioni in cui le persone giudicano i singoli individui favoriscono un modesto anche se sensibile
legame tra le due dimensioni di giudizio: per una sora di effetto alone siamo portati a ritenere che gli
individui dotati di calore umano sono anche competenti e viceversa.
Quando però le persone giudicano i gruppi sociali le cose cambiano sensibilmente: non è raro il caso in cui i
gruppi che sono giudicati altri in una dimensione vengono giudicati bassi nell’altra.
C’è un risultato di ricerca capace di testimoniare l’automaticità con cui si manifestano alcune delle reazioni
emotive previste dal modello di Fiske: esso proviene dall’applicazione di un paradigma sperimentale
sviluppato nell’ambito delle neuroscienze sociali, in particolare da una tecnica che permette di rilevare
l’attivazione di specifiche aree cerebrali in concomitanza con l’emissione di giudizi nei confronti di
esemplari appartenenti a diverse categorie sociali.
80 fotografie che ritraevano esemplari appartenenti a diverse categorie sociali. A ciascuna fotografia i
partecipanti dovevano associare l’etichetta emotiva che più spontaneamente veniva loro in mente: l’invidia,
l’orgoglio, la compassione, il disgusto. Grazie all’impiego della risonanza magnetica funzionale venivano
rilevate le aree cerebrali che si manifestavano attive proprio perché coinvolte nella formulazione del
giudizio emotivo.
Quando gli individui elaborano i giudizi su stimoli di natura sociale, risulta particolarmente attiva in maniera
selettiva la corteccia pre-frontale mediale.
Quando essi giudicavano fotografia di esemplari ad alta calorosità e alta competenza era anche evidente
l’attività della corteccia pre-frontale mediale. L’unica situzione in cui l’attivazione di quest’area non era
presente si rilevava quando i partecipanti dovevano esprimete giudizi emotivi a proposito di esemplari a
basso calore umano e a bassa competenza. Non a caso, in situazioni come queste la risonanza magnetica
funzionale registrava un’attività dell’insula e dell’amigdala che sono sistematicamente associate a reazioni
di disgusto e di paura.
Il disgusto è l’unica emozione che possiamo esperire anche per oggetti non sociali. Le informazioni relative
a quei gruppi consensualmente considerati bassi in calore umano e competenza venivano elaborate come
se appartenessero a oggetti non umani.

CAPITOLO 5
LA CORRELAZIONE ILLUSORIA
Nel sistema sociale impiegare una regola che collega in maniera sistematica due categorie di ruolo sociale e
due categoria generazionali consentirà di classificare in maniera relativamente accurata le persone nelle
categorie incontrate. Riuscire a individuare una relazione di cooccorrenza tra variabili è molto importante
per interpretare e prevedere il proprio ambiente sociale.
Si manifestano situazioni in cui le persone tendono a percepire la cooccorenza fra variabili anche quando
tra loro non esiste alcuna relazione: questo è il caso in cui gli psicologi sociali parlano di CORRELAZIONE
ILLUSORIA.
HAMILTON E GIFFORD
Ai partecipanti vengono descritti, uno alla volta, i comportamenti messi in luce da individui che
appartengono a due diversi gruppi A e B. i comportamenti descritti sono definibili come socialmente
desiderabili o indesiderabili, essere i primi più numerosi dei secondi. Anche io gruppi sono costituiti da un
numero diverso di individui, essendo il gruppo A quasi il doppio del gruppo B.
Un’attenta analisi dei dati fa anche concludere che la proporzione di comportamenti desiderabili e
indesiderabili nei due gruppi è identica. In situazioni di questo tipi si è potuto constatare che i partecipanti
all’esperimento tendono sistematicamente a sovrastimare il dato di frequenza che collega il gruppo di
minoranza al comportamento di minoranza.
I meccanismi cognitivi che portano al manifestarsi di questo fenomeno non sono completameente chiari.
L’ipotesi più plausibile è che nel ricordare gli eventi che nascono dalla combinazione di due caratteristiche
inusuali, ossia essere membro di un gruppo di minoranza e il realizzare un comportamento negativo, i
soggetti siano portati a recuperare dal magazzino di memoria questi esemplari con particolare facilità e
quindi siano portati a sovrastimare il dato di frequenza corrispondente. Gli psicologi che si richiamano ai
modelli di tipo cognitivista direbbero che è stata attivata l’EURISTICA DELLA DISPONIBILITA’.
Il manifestarsi della correlazione illusoria ha delle implicazioni particolarmente interessanti per la
formazione dei giudizi sui gruppi. La correlazione illusoria può contribuire a spiegare il processo di
formazione degli stereotipi nei confronti di tali gruppi, poiché l’associazione fra comportamenti negativi e
membri del gruppo di minoranza, se sovrastimata in seguito ai processi di recupero mnestico, a sua volta ha
delle conseguenze sui processi di memoria, nel senso che favorisce il ricordo di comportamenti
indesiderabili messi in atto da membri del gruppo di minoranza.
Le cose però cambiano quando le persone non sono dei semplici osservatori neutrali dei gruppi sociali ma
appartengono a uno dei due gruppi. Se il partecipante osservatore appartiene al gruppo di minoranza e i
comportamenti negativi sono quelli poco frequenti, questa è la situazione in cui normalmente si dovrrebbe
verificare una sovrastima dei comportamenti negativi. I risultati ottenuti indicano invece che il fenomeno
della correlazione illusoria scompare.
Se invece i comportamenti positivi sono quelli meno frequenti e i partecipanti appartengono al gruppo di
minoranza essi tendono a rafforzare la correlazione fra comportamenti positivi e membri del gruppo di
minoranza. Secondo gli autori le variabili che spingono verso la correlazione illusoria vengono moderate dal
bisogno di proteggere il proprio gruppo quando il partecipante appartiene al gruppo di minoranza.

ERRORE FONDAMENTALE DI ATTRIBUZIONE E I BIASES A SERVIZIO DEL SE’


ROSS, AMABILE E STEINMETZ
Gli autori di questa ricerca simularono uno scenario simile a quello di un quiz televisivo in cui sulla base
della scelta esplicitamente causale, una persona veniva assegnata al ruolo di concorrente, un’altra al ruolo
di intervistatore e il resto del gruppo al ruolo di pubblico. Dopo le diverse persone dovevano esprimere
giudizi attribuzionali a proposito del grado di preparazione rispettivamente del concorrente e
dell’intervistatore. I risultati mostrarono che nell’esprimere questi giudizi di attribuzione, sia il concorrente
sia il pubblico giudicavano l’intervistatore come più preparato del concorrente.
È interessante notare il fatto che l’intervistatore fosse l’unico a non cadere nell’errore fondamentale di
attribuzione.
Nel giudicare le azioni degli altri siamo portati a privilegiare il ruolo di fattori INTERNI o disposizionali e a
sottostimare il ruolo di quelli legati alla situazione.
Gruppo di maggioranza-gruppo di minoranza. Le persone del gruppo di maggioranza saranno portate a
considerare lo scarso successo economico e sociale delle persone appartenenti al gruppo di minoranza nei
termini di loro caratteristiche di personalità. Allo stesso modo, ma in maniera speculare, sempre a fattori di
tipo disposizionale e interno sarà attribuito il successo negli affari e il livello di vita di tanti membri del
gruppo di maggioranza. Si finirà allora per concludere che i membri del gruppo di minoranza sono per loro
natura pigri e indolenti e che quelli del gruppo di maggioranza sono dinamici e laboriosi.
SELF-SERVING BIAS, le tendenze sistematiche al servizio di sé. La tendenza delle persone a favorire
spiegazioni disposizionali dei propri comportamenti, soprattutto in caso di successo anziché di insuccesso.

SALIENZA CATEGORIALE
Carlston chiese a due gruppi di partecipanti di fornire dei giudizi su una serie di persone, rispettivamente
lungo la dimensione della generosità o della disonestà. Successivamente i partecipanti erano invitati a
giudicare una serie di comportamenti ambigui, non collegati al compito precedente. I partecipanti ce
avevano fornito giudizi precedenti lungo la dimensione della disonestà giudicarono i nuovi comportamenti
come più disonesti, rispetto ai partecipanti che avevano espresso i giudizi precedenti lungo la dimensione
della generosità.
Un fattore che può determinare l’accessibilità di una categoria è la sua salienza rispetto al contesto di
riferimento. Ricordiamo l’effetto “solo”, messo in luce da Taylor e colleghi. La salienza categoriale risulta
essere particolarmente importante nell’ambito delle interazioni fra gruppi.
La salienza di una categoria sociale può essere in parte responsabile delle diverse spiegazioni che vengono
generalmente fornite in relazione ai comportamenti dei membri dell’ingroup e dell’outgroup.
Un possibile modello sul ruolo della salienza categoriale nelle credenze stereotipiche è il seguente:
1) Le persone sono maggiormente motivate a spiegare i comportamenti negativi rispetto ai
comportamenti positivi.
2) Le persone tendono a percepire gli individui appartenenti ad altri gruppi sociali in relazione al loro
gruppo di appartenenza in misura maggiore di quanto accada nella percezione degli individui
appartenenti al proprio gruppo sociale.
3) Le persone tenderanno a spiegare i comportamenti negativi dei membri dell’outgroup facendo più
spesso riferimento alla categoria di appartenenza di tali individui che non in relazione ai
comportamenti negativi messi in atto dai membri dell’ingroup.
Nel giudicare il comportamento di un membro dell’outgroup la sua appartenenza al gruppo
rappresenta in sé una facile spiegazione causale della sua condotta. Al contrario, la categoria di
appartenenza non rappresenta una chiave di lettura del comportamento negativo di un membro
dell’ingroup.

L’ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI


Gli stereotipi possono essere considerati come degli schemi di tipo generale che orientano la codifica
delle informazioni in entrata e consentono di andare al di là delle informazioni date. Sono fatalmente
presenti il rischio della semplificazione, quello della perdita di informazioni a volte importanti e, in
alcuni casi, quello di una percezione distorta del gruppo considerato. Uno dei pericoli più frequenti è
l’uso asimmetrico delle informazioni, a seconda che queste servano per confermare lo stereotipo, o che
invece ne mettano in discussione la validità. Le prime vengono elaborate e ricordate con facilità, le
seconde vengono ricordati di meno e in alcuni casi anche dimenticate.
DUNCAN dimostrò che uno stesso comportamento giudicato da un partecipante di etnia bianca veniva
codificato come “aggressivo” quando veniva messo in atto da una persona della stessa etnia, oppure
“violento” quando veniva messo in atto da una persona afroamericana.
Le persone non abbandonano facilmente un’ipotesi o una credenza, anche nel caso in cui non
dispongano di dati capaci di confermarla.
ROSENHAN dimostrò che dei presunti pazienti, ricoverati in un ospedale psichiatrico sulla base di
sintomi schizofrenici, venivano dimessi solo dopo alcune settimane, nonostante che nel loro
comportamento messo in atto durante il periodo di degenza non fossero rilevabili sintomi schizofrenici
di alcun tipo. Al momento della dimissione dei pazienti, il personale psichiatrico forniva la diagnosi
“schizofrenia in remissione”. L’etichetta categoriale permaneva anche in assenza di evidenze empiriche
a suo favore.

LA CONFERMA DEGLI STEREOTIPI


Uno stereotipo può influenzare il modo in cui nuove informazioni riguardanti i membri di un certo
gruppo sociale vengono memorizzate.
ROTHBART, EVANS E FULERO. Ai partecipanti venivano fornite delle aspettative di tipo generale su
alcuni gruppi di individui. Successivamente, venivano fornite delle informazioni circa gli specifici
individui appartenenti al gruppo in questione, le quali potevano essere congruenti, incongruenti o
irrilevanti rispetto all’aspettativa precedentemente generata. I soggetti ricordavano significativamente
meglio gli episodi comportamentali coerenti con le aspettative sul gruppo rispetto alle informazioni
incongruenti.
Questo risultato sembra contraddire i risultati di un altro esperimento.
HASTIE E KUMAR. Generarono delle aspettative su un individuo e chiesero poi ai partecipanti di
formarsi un’impressione generale sul tale persona. I risultati mostrarono che le informazioni
incongruenti con le aspettative possedute dai partecipanti venivano ricordate meglio rispetto alle
informazioni congruenti.
La discrepanza è probabilmente dovuta a delle differenze nel tipo di compito e di materiale proposti nei
due esperimenti. Nello studio di Rothbart i tratti a disconferma dell’aspettativa costituivano una
minoranza, nello studio di Hastie e Kumar il numero di tratti di disconferma dell’aspettativa era uguale
al numero di tratti a conferma dell’aspettativa. L’elevato numero di tratti a disconferma ha consentito
ai partecipanti di formare una categoria alternativa. Quindi sembra che nella percezione e valutazione
delle categorie sociali i partecipanti sono sensibili alla quantità di informazioni incongruenti che essi
hanno a disposizione. Qualora venga accumulata un’elevata quantità di informazioni incongruenti con
uno stereotipo, questo processo porta alla formazione di una categoria alternativa.
I dati di Hastie e Kumar riguardavano un compito di formazioni di impressione a proposito di un singolo
individuo.
HAMILTON E SHERMAN. Le persone sono particolarmente sensibili alle informazioni incongruenti,
quando si devono formare un’impressione globale su un individuo, mentre sono disposti tollerare
maggiore variabilità nelle informazioni, nel caso in cui l’oggetto di giudizio siano dei gruppi sociali.
LANGER E ABELSON. Chiesero a degli psicologi clinici di valutare una situazione di colloquio, in cui una
persona sconosciuta parlava di sé e dei propri vissuti. In una condizione veniva detto loro che si trattava
di un paziente, in un’altra condizione veniva fatto credere loro che si trattava di un candidato per un
posto di lavoro. Gli autori dimostrarono che gli psicologi che erano stati indotti a credere che l’individuo
fosse un paziente, tendevano a descriverlo come maggiormente “disturbato” dal punto di vista
psicologico, rispetti a coloro cui era stato detto che la persona sottoposta al colloquio partecipava a una
prova di selezione per un posto di lavoro.
HAMILTON, ROTHBART E DAWES. Presenza di una distorsione di giudizio o bias legato al sesso del
paziente nelle diagnosi fornita da un gruppo di psicologi clinici. Secondo gli autori, gli psicologi clinici
possiedono degli stereotipi su quali tipi di persone tendono a mostrare certe sintomatologie. Una
sindrome soggetta a tali processi di stereotipizzazione sarebbe quella della personalità istrionica. Gli
psicologi clinici tenderebbero ad associare questo disturbo a pazienti di sesso femminile piuttosto che
maschile.
La tendenza che gli individui mostrano a preferire le informazioni che confermano le loro precedenti
aspettative, rispetto a informazioni che potrebbero disconfermare tali aspettative, sembra essere una
importante componente di un più generale stile che caratterizza i processi cognitivi: ossia quello che
porta gli individui a preferire i dati a conferma.
KUHN ha convincentemente messo in luce come un paradigma scientifico non venga abbandonato nel
caso in cui emergano anomalie. Le anomalie vengono isolate e trattate come eccezioni, fino a quando
non se ne siano verificate troppe.

GLI STEREOTIPI COME STANDARD DI GIUDIZIO


Tendiamo ad applicare standard di giudizio diversi nelle nostre valutazioni delle persone, tenendo
contro delle diverse opportunità di prestazione oggettivamente legate.
BIERNAT E MANIS a proposito degli stereotipi di genere. Manipolando il genere sessuale del presunto
autore di un articolo giornalistico, ai partecipanti veniva chiesto di leggere e valutare uno stesso
articolo, attribuito in un caso ad UNA giornalista nell’altro caso ad UN giornalista. La metà dei
partecipanti aveva il compito di assegnare un voto secondo i punteggi di una scala ordinale che andava
da E fino ad A+; l’altra metà doveva utilizzare una scala soggettiva di giudizio che andava da Pessimo ad
Eccellente. In un caso si trattava di un argomento maschile, in un altro caso di argomento femminile, in
un altro ancora il contenuto era irrilevante rispetto al genere. I risultati mostrarono che l’articolo che
affrontava un tema maschile riceveva voti mediamente inferiori quando i partecipanti lo vedevano
attribuito a una donna rispetto a quando veniva associato al giornalista di sesso maschile e viceversa.
Un ulteriore aspetto riguarda la scala di giudizio utilizzata. Quando vennero analizzai i giudizi soggettivi
espressi lungo la scala da pessimo ad eccellente non emersero effetti legati né al genere sessuale del
giornalista né alla tipologia del tema affrontato. Questo perché i partecipanti sono portati ad impiegare
standard diversi allorchè giudicano donne e uomini. Dovendo emettere anche un giudizio globale di
tipo soggettivo, erano portati a operare una sorta di aggiustamento.

ASIMMETRIE NEI PROCESSI DI ATTRIBUZIONE: DAL MODELLO IDA ALL’ERRORE DI ATTRIBUZIONE PER
ECCELLENZA.
I processi di attribuzione causale sono fortemente influenzati dalle categorie sociali a cui appartengono
le persone oggetto di attribuzione. Diversi studi hanno dimostrato che, quando un individuo
considerato prototipico di una certa categoria sociale si comporta in modo non coerente con le
aspettative generate dalla categoria di appartenenza, il suo comportamento tenderà ad essere
attribuito a cause situazionali e di tipi instabile.
PYSZCZYNSKI E GREENBERG. Nel caso in cui il comportamento di un individuo sia conforme alle
aspettative del soggetto percipiente, questo si limiterà ad attivare la spiegazione disposizionale prevista
dallo stereotipo. Al contrario, quando il comportamento di un individuo è incongruente con lo
stereotipo sociale, si cercheranno fattori causali di tipo esterno.
Se vedo A che allunga 50 cent nel cappello teso di un mendicante B è probabile che traduca questo
comportamento in un tratto di personalità, affermando che A è caritatevole, generoso, ecc.
CARLSTON E SKOWRONSKI hanno definito questo fenomeno INFERENZA SPONTANEA DI TRATTO.
MAASS e colleghi hanno dimostrato che vi è un’asimmetria di giudizio nei processi inferenziali messi in
atto dalle persone. Se è vero che esse traducono spontaneamente i comportamenti in tratti, non è
altrettanto vero il contrario. I partecipanti leggevano una lista di informazioni a proposito si un
individuo chiamato Marco: in un caso queste informazioni assumevano la forma del tratto di
personalità oppure del verbo comportamentale. Successivamente venivano sottoposti ad un compito di
rievocazione libera, in cui veniva chiesto ai partecipanti di ricordare nella maniera più fedele le parole
presentate nella lista precedente. -> erano più frequenti gli errori inferenziali che traducevano un
comportamento in un tratto, che viceversa.
Tale asimmetria di giudizio è denominata IDA. Maass è colleghi hanno dimostrato che tale asimmetria è
più marcata nel caso si tratti di informazioni coerenti con lo stereotipo, mentre la stessa asimmetria
tende a scomparire quando le informazioni sono controstereotipiche.
Le cose si complicano quando il criterio di categorizzazione consente all’individuo di distinguere entro
l’articolazione di ingroup e outgroup.
PETTIGREW ha individuato un bias di tipo egocentrico nei processi attribuzionali che riguarderebbe
l’individuo in quanto parte dell’ingroup. Egli parla di ERRORE DI ATTRIBUZIONE PER ECCELLENZA, per
descrivere la tendenza che le persone manifestano ad attribuire i comportamenti negativi a cause
disposizionali quando questi vengono realizzati da membri dell’outgroup e a preferire invece
spiegazioni di tipo situazionale per i comportamenti negativi messi in atto dai membri dell’ingroup.

CONSEGUENZE COMPORTAMENTALI DEGLI STEREOTIPI: LE PROFEZZIE CHE SI AUTODETERMINANO


A una classe di studenti viene detto che un nuovo docente terrà una lezione e che il giudizio dei ragazzi
sarà ritenuto importante. Agli studenti viene data una breve nota scritta in cui si dice che le persone
che conoscono questo docente lo considerano una persona tenace, amante del proprio lavoro,
intelligente, ambiziosa, abile. A metà degli studenti viene inoltre detto che il docente è considerato una
persona FREDDA, all’altra metà che il docente è considerato una persona dotata di CALORE UMANO.
 Quelli che si aspettavano un docente dotato di calore umano lo percepiranno come una persona
relativamente socievole, alla mano, amichevole, e così via; reagiranno di conseguenza mostrandosi
attivi durante la lezione. Al contrario, gli studenti che si aspettavano un docente freddo, lo
giudicheranno relativamente egocentrico, poco socievole, e formalista, mostrando una
corrispondente riluttanza a intervenire nella discussione.
Gli stereotipi possono influenzare le stesse interazioni sociali, favorendo la modificazione del
comportamento dei partecipanti.
ZANNA E PACK diedero a un gruppo di ragazze la possibilità di descrivere se stesse lungo una serie di
dimensioni di personalità. Tre settimane più tardi parteciparono a un altro studio apparentemente non
collegato al precedente il cui scopo era quello di verificare l’accuratezza delle persone nel formarsi delle
impressioni sugli altri. Si chiedeva alle ragazze di descrivere se stesse in vista di un futuro incontro con un
ragazzo, il quale veniva presentato come una persona con un alto o basso livello di desiderabilità sociale, a
seconda della condizione sperimentale. Ciascuna ragazza riceveva inoltre la descrizione di sé fornita dal
ragazzo, contenente tra l’altro le preferenze espresse da quest’ultimo sul suo tipo di donna ideale. I risultati
mostrarono che le ragazze che credevano di dover incontrare un ragazzo “socialmente desiderabile”
descrivevano sé stesse in modo più tradizionale rispetto al presentazione di sé fornita tre settimane prima,
ma solo nel caso in cui la donna ideale del ragazzo fosse di tipo tradizionale. È curioso notare che non si
verificò alcuna modifica nelle autopresentazioni delle ragazze, nel caso in cui il ragazzo da incontrare fosse
socialmente non desiderabile.
FENOMENO DELLA PROFEZIA CHE SI AUTOADEMPIE
WORD, ZANNA, COOPER. Veniva chiesto a un gruppo di partecipanti americani di condurre dei colloqui con
una serie di presunti candidati per un posto di lavoro. Dai risultati dello studio emerse una tendenza a
trattare i candidati in maniera differenziata sulla base di pregiudizi di tipo razziale: i partecipanti-
esaminatori dedicavano meno tempo e avevano un atteggiamento più distaccato nei confronti dei candidati
afroamericani rispetto ai bianchi. Come risultato, i candidati afroamericani si mostrarono più nervosi e la
loro prestazione risultò inferiore, rispetto a quella dei candidati bianchi.
SNYDER, TANKE E BERSCHEID. Su un campione di partecipanti di sesso maschile. Ciascun partecipante
aveva l’occasione di parlare al telefono con una ragazza, che egli credeva di dover incontrare più tardi;
riceveva inoltre una fotografia della ragazza, attraente o non attraente. Le fotografie delle ragazze non
corrispondevano alle persone con le quali avrebbero parlato al telefono. Un altro gruppo di partecipanti,
che nulla sapevano delle conversazioni avvenute, dopo aver ascoltato le registrazioni delle battute
pronunciate al telefono delle ragazze, forniva dei giudizi sulle ragazze. Le ragazze nella condizione
“attraente” vennero giudicate come più socievoli e più simpatiche delle ragazze nella condizione “non
attraente”
Il comportamento delle ragazze tendeva a conformarsi a ciò che i ragazzi si aspettavano da loro.
Le preconcezioni sociali non hanno semplicemente l’effetto di distorcere la percezione delle persone, ma
sono in grado di suscitare nelle persone oggetto di aspettativa dei comportamenti che paradossalmente
confermano lo stereotipo del soggetto percipiente.
HILTON E DARLEY hanno dimostrato che il fenomeno della profezia che si autoadempie si manifesta solo
nel caso in cui la persona oggetto di aspettative non sia al corrente delle aspettative del soggetto
percipiente.
SWANN ED ELY osservarono che le persone tendevano a conformare i propri comportamenti alle
aspettative di un’altra persona, solamente nel caso in cui fossero insicure a proposito della concezione di sé
e al tempo stesso il soggetto percipiente mostrasse un alto grado di fiducia a proposito dell’affidabilità del
proprio sistema di aspettative.

CAPITOLO 6
L’IPOTESI DEL CONTATTO
Il primo e più importante contributo che ha cercato di individuare quali condizioni possano favorire la
modificazione degli stereotipi e la riduzione del pregiudizio è quello fornito da Allport.
IPOTESI DEL CONTATTO: quando gli individui appartenenti a gruppi diversi si trovano a interagire. Il modo
migliore per ridurre tensioni e ostilità fra i gruppi sociali è quello di favorire il contatto dei loro membri.
Il contatto non determina necessariamente atteggiamenti positivi, ma al contrario, in alcune condizioni può
aumentare le ostilità. Allport ha individuato una serie di condizioni che devono essere soddisfatte, affinchè
il contatto abbia effetti positivi.
IL SOSTEGNO SOCIALE E ISTITUZIONALE. Dovrebbe esservi un contesto istituzionale capace di sostenere e
favorire lo svilupparsi di rapporti positivi e in grado di garantire un clima di tolleranza sociale.
IL CONTATTO DI TIPO INTIMO PIUTTOSTO CHE SUPERFICIALE. Le interazioni fra i membri di gruppi diversi
devono essere caratterizzate da una sufficiente frequenza, durata e profondità affinché il contatto favorisca
lo sviluppo di relazioni positive.
UGUAGLIANZA DI STATUS. I membri appartenenti a due gruppi che si trovano a interagire devono godere di
condizioni di interazione in cui il loro status sia di livello confrontabile.
COOPERAZIONE INTERGRUPPO AL FINE DI RAGGIUNGERE UNO SCOPO COMUNE. Si possono sviluppare
relazioni amichevoli, solo se i membri di gruppi diversi sono interdipendenti nelle loro attività, al fine di
raggiungere uno scopo comune.
PIACEVOLEZZA DEL CONTATTO. Le interazioni con i membri degli altri gruppi devono essere piacevoli e
soddisfacenti.

L’IPOTESI DEL CONTATTO ALLA PROVA


EVITAMENTO DEL CONTATTO.
Le persone tendono a evitare di entrare in contatto con i membri di altri gruppi sociali.
ROGERS e colleghi, nonostante il sostegno da parte dell’istituzione scolastica dei genitori all’integrazione
razziale, i bambini neri e bianchi si risegregavano spontaneamente durante le attività scolastiche e
ricreative.
HAMILTON E BISHOP misurarono, a distanza di un anno, gli atteggiamenti razziali dei residenti in un
quartiere abitato da bianchi, in cui era andata ad abitare una famiglia di neri. Tali atteggiamenti erano
diventati più favorevoli con tempo indipendentemente dal fatto che i partecipanti intervistati avessero
avuto contatto o meno con la nuova famiglia.
RISULTATI CONTRADDITTORI.
DEUTSCH E COLLINS. Un gruppo di casalinghe, che abitavano in un complesso edilizio dove era stata
favorita l’integrazione razziale avevano atteggiamenti più favorevoli nei confronti dei neri in generale.
WENNINGER ha dimostrato che i giudizi delle persone a proposito degli stranieri erano tanto più favorevoli,
quanto maggiore era il numero di immigrati sul posto di lavoro.
COOK. Il contatto di tipo interpersonale fra membri diversi li porterebbe a rendersi conto che hanno valori e
atteggiamenti abbastanza simili.
PETTIGREW ritiene che il contatto porti a percepire la somiglianza si atteggiamenti fra i membri dei due
gruppi con il risultato di aumentare l’attrazione intergruppo.
Ma una delle previsioni del l’ipotesi del contatto è che la scoperta della somiglianza fra il proprio gruppo e
quello esterno, non sempre si può verificare.

MODELLI COGNITIVI
Gli psicologi sociali hanno cercato di individuare i processi cognitivi che potrebbero permettere una
modificazione nel contenuto e nella struttura delle credenze a proposito dei gruppi sociali.
1) Modello CONTABILE: il cambiamento di uno stereotipo avverrebbe in modo graduale. Solo quando
verrà depositato in memoria un numero sufficiente di evidenze empiriche incongruenti con gli
stereotipi, questo subirà una modificazione.
2) Modello della CONVERSIONE: gli stereotipi sono in grado di modificarsi in modo improvviso, come
riposta a informazioni capaci di contraddire in modo convincente lo schema stereotipico.
3) Modello dei SOTTOTIPI: le informazioni incongruenti con lo stereotipo ne provocano l’articolazione
in una serie di sottotipi, i quali finiscono per indebolirla.
INFORMAZIONI A DISCONFERMA DEGLI STEREOTIPI: IL PROBLEMA DELLA GENERALIZZAZIONE.
Le persone tendono a percepire gli individui appartenenti a dei gruppi sociali in modo coerente con le
immagini stereotipiche da loro possedute.
DARLEY E GROSS. Esperimento di Hannah. Problema della generalizzazione.
In generale le persone tendono a evitare il contato con i membri dell’outgroup, e quando questo avviene,
preferiscono persone atipiche del gruppo. Si può concludere che contatti positivi con dei membri
dell’outgroup non conducono a un cambiamento dell’immagine del gruppo nel suo complesso.
ROTHBART E JOHN. Gli individui non cambiano idea su un gruppo sociale nel suo complesso, anche quando
incontrano esemplari di persone che disconfermano gli stereotipi a proposito del gruppo; vengono invece
isolati e trattati come eccezioni.
WILDER ha messo in luce il diverso peso degli esempi tipici e atipici di una categoria sociale. Il
comportamento di una persona tipica dell’outgroup veniva considerato un buon predittore di come si
sarebbe comportato il gruppo nel suo complesso, mentre ciò non era vero se lo stesso comportamento
veniva messo in atto da una persona atipica.
ROTHBART E LEWIS. Presentarono a un gruppo di partecipanti descrizioni di membri delle associazioni
studentesche dei campus americani. Quando una caratteristica o un comportamento controstereotipico
veniva associato a una persona per altri versi tipica del gruppo, ci era una maggiore probabilità che quel
comportamento o caratteristica atipica venisse attribuita al gruppo nel suo complesso.
HEWSTONE E BROWN. Esisterebbe un continuum concettuale, lungo il quale si possono collocare i diversi
tipi di relazioni fra gli individui. A un estremo si collocano gli incontri fra i membri di due diversi gruppi
sociali che avvengono a livello interpersonale. In tal caso le persone agiscono in quanto individui, con le
loro caratteristiche. Alla polarità opposta del continuum vi sono invece le relazioni intergruppo, la cui
qualità è interamente determinata dall’appartenenza categoriale delle persone. Le persone agiscono in
quanto membri di un gruppo.
Secondo Hewstone e Brown, soltanto se le relazioni sociali avvengono a livello intergruppo è possibile
modificare gli stereotipi.

ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI CONTROSTEREOTIPICHE IN PRESENZA DI INTERLOCUTORI DIVERSI


Quali sono i processi di elaborazione delle informazioni su cui poggia la percezione privilegiata delle
caratteristiche controstereotipiche?
CARNAGHI e colleghi hanno rilevato sperimentalmente l’andamento della percezione delle caratteristiche
stereotipiche e controstereotipiche di un singolo individuo, a seconda che i partecipanti immaginaginassero
di dover esprimere le loro valutazioni avendo interlocutori diversi.
A degli studenti di psicologia si diceva che lo scopo della ricerca era quello di indagare il modo in cui
comunichiamo a un interlocutore gli esiti del processo di costruzione di una impressione di personalità. In
una condizione sperimentale si diceva che gli interlocutori a cui comunicare l’impressione erano degli
studenti di psicologia, e in questo caso si trattava di interlocutori conosciuti. In una seconda condizione si
diceva che gli interlocutori erano persona qualsiasi. Infine, in una condizione di controllo non veniva fatto
alcun accenno a proposito di eventuali interlocutori a cui comunicare l’impressione.
Veniva presentata la descrizione di una persona omosessuale caratterizzata da quattro comportamenti
coerenti con i tratti stereotipici dei gay, due positivi e due negativi; e quattro comportamenti coerenti con i
tratti controstereotipici dei gay, due positivi e due negativi. Successivamente alla letture delle descrizioni
dei comportamenti, i partecipanti avevano il compito di valutare in quale misura ciascun tratto fosse tipico
dell’individuo target. Veniva chiesto di stimare in quale misura gli interlocutori a cui si stavano rivolgendo
avrebbero dato risposte simili alle proprie.
I partecipanti si ritenevano in grado di anticipare lo stereotipo sugli omosessuali posseduto dai propri
interlocutori, prevedendo che vi fosse un accordo maggiore con il gruppo degli studenti nel caso di
audience conosciuta rispetto alla condizione di audience sconosciuta. Inoltre l’utilizzazione di caratteristiche
stereotipiche dell’individuo omosessuale fu massima nella condizione di audience conosciuta, in cui i
partecipanti potevano presumere di condividere con gli interlocutori lo stereotipo dell’omosessuale, e
minima nella condizione di audience sconosciuta.
Tale studio dimostra che per quanto possibile le persone si allineano con quella che ritengono essere
l’opinione dell’ingroup; solo quando prevedono di confrontarsi con credenze non necessariamente simili
alle proprie presteranno grande attenzione alle informazioni riguardanti lo specifico individuo.

STEREOTIPI E CONSENSO SOCIALE


Le persone tendono a credere e a fare proprie le credenze sociali elaborate a proposito dei gruppi.
SECHRIST E STANGOR. Sono le informazioni provenienti dall’ingroup, più di quelle provenienti
dall’outgroup, ad avere maggiore influenza nell’organizzare gli stereotipi. A un gruppo di partecipanti,
studenti, venivano proposte due parti di uno stesso studio realizzate in due momenti diversi e
apparentemente prive di collegamento. Nella prima parte, si chiedeva di stimare la percentuale di
afroamericani che possiedono tutti i tratti stereotipici attribuiti al gruppo, metà dei quali erano positivi e
l’altra metà negativi. Nel secondo esperimento aveva luogo la manipolazione sperimentale. Erano stati
calcolati i valori medi dei giudizi di probabilità emessi dal campione degli studenti che ritenevano gli
afroamericani in possesso di tutti i tratti positivi e negativi in questione. A tali medie veniva aggiunto il
valore di 20 per i tratti positivi e sottratto lo stesso valore per i tratti negativi in modo da ottenere un
giudizio sugli afroamericani più favorevole. A metà dei partecipanti venivano proposti tali valori come se
provenissero dall’ingroup, mentre all’altra metà si diceva che i dati erano stati raccolti in una università
vicina, in competizione. Si chiedeva ai partecipanti di esprimere un giudizio su una scala da 1 a 9 sugli
afroamericani nel loro complesso. I partecipanti nella condizione ingroup feedback, alle prese con valori
ottimisti sugli afroamericani, espressero giudizi decisamente più favorevoli di quelli nella condizione
outgroup feedback.
 Sarebbe soprattutto l’ingroup, rispetto all’ougroup, a indirizzare i giudizi delle persona e a
contribuire alla realizzazione del consenso sociale nella direzione del conformismo.

IL CONFORMISMO IMPLICITO: “L’EFFETTO TIEPOLO”


CASTELLI e colleghi. Nell’odierna società è considerato politicamente corretto giudicare negativamente una
persona solo perché appartiene a un gruppo discriminato.
I partecipanti ricevevano la descrizione fornita da Marco, un membro dell’ingroup, a proposito di Almad, un
giovane magrebino che Marco conosceva. Il partecipante doveva formarsi a sua volta un’impressione di
Almad. A metà dei partecipanti si forniva una descrizione che includeva 10 tratti stereotipici e 10 tratti
irrilevanti rispetto allo stereotipo sui nordafricani; all’altra metà dei partecipanti si presentavano 10 tratti
controstereotipici. Mentre Marco forniva la lista dei tratti attribuiti ad Almad, sullo schermo del computer,
tra la presentazione di un tratto e l’altro, comparivano delle affermazioni a cui il partecipante doveva
fornire una risposta. Le domande erano impegnative e il partecipante doveva decidere se la frase proposta
era vera o falsa, avendo anche il riferimento che Marco aveva giudicato la frase vera o falsa. Se Marco
forniva una descrizione di Almad basata su tratti stereotipici, aumentava il numero di volte in cui il
partecipante faceva riferimento e si conformava alle risposte di vero o falso date da Marco alle affermazioni
di cultura generale proposte.
 Un membro dell’ingroup che utilizza stereotipi viene considerato più affidabile rispetto a un
individuo che non ne fa uso.
EFFETTO TIEPOLO: effetto di conformismo.

LA DECATEORIZZAZIONE COME MEZZO PER LA RIDUZIONE DEGLI STEREOTIPI


HEWSTONE E BROWN, BREWER E MILLER ritengono che siano necessarie interazioni a livello personale
affinchè il contatto fra i gruppi conduca a un’accettazione reciproca e a una riduzione del conflitto.
LEVY E GUTTLAN trovarono che il 67% dei membri di un gruppo di studenti ebrei delle scuole superiori, che
avevano avuto incontri scolastici con studenti arabi rivelatisi spiacevoli, riferiva di odiare tale gruppo; al
contrario, fra gli studenti che non avevano avuto alcun contatto con l’outgroup, solo il 37% diceva di odiare
gli arabi.
Per verificare la validità dell’ipotesi, secondo la quale le relazioni personalizzate condurrebbero a un
miglioramento dei rapporti fra i gruppi, BETTENCOURT e colleghi fecero lavorare in modo indipendente due
gruppi di partecipanti impegnati nella realizzazione di un compito. I gruppi di lavoro ricevettero istruzioni
diverse che influenzarono i risultati nel seguente modo:
a) La condizione di cooperazione portò a una riduzione del favoritismo intragruppo rispetto alla
condizione di competizione;
b) Un orientamento di tipo interpersonale durante il compito portò a un miglioramento delle relazioni
intergruppo, rispetto a una situazione in cui l’attenzione era rivolta esclusivamente al compito;
c) La combinazione di cooperazione e orientamento interpersonale portò minore livello di favoritismo
intragruppo.
Secondo BREWER E MILLER, per ottenere dei cambiamenti nelle relazioni intergruppo, è importante
indebolire i confini intergruppo secondo un processo che gli autori definiscono DECATEGORIZZAZIONE.

TECNICHE PER LA RIDUZIONE DEGLI STEREOTIPI E DEL FAVORITISMO INTRAGRUPPO


CATEGORIE INCROCIATE
Numerosi studi hanno dimostrato come una categorizzazione originale possa venire indebolita mediante
l’introduzione di una nuova e indipendente dimensione categoriale.
DESCHAMPS E DOISE E COMMINS E LOCKWOOD hanno introdotto una nuova dimensione, utilizzando il
paradigma del gruppo minimo. I partecipanti dell’esperimento erano membri di due gruppi religiosi. I
partecipanti erano impegnati in un compito percettivo basato sulla stima di frequenza di puntini che
apparivano su uno schermo. A meà dei partecipanti veniva detto che essi avevano la tendenza a
sovrastimare il numero di puntini apparsi sullo schermo, mentre all’altra metà veniva detto che essi
avevano una tendenza opposta.
Metà dei partecipanti del gruppo dei protestanti veniva assegnato al gruppo dei sovraestimatori mentre
l’altra metà veniva assegnata al gruppo dei sottoestimatori; lo stesso per il gruppo dei cattolici.
La tendenza alla discriminazione su base religiosa nei confronti dell’outgroup diminuiva quando veniva
introdotto il nuovo criterio di categorizzazione su base percettiva.
Ricerche successive di ARCURI confermano che l’appartenenza incrociata indebolisce la discriminazione tra
i gruppi.
Non siamo in grado di escludere però che un certo grado di favoritismo, a vantaggio del proprio gruppo di
appartenenza, si sarebbe verificato nel nuovo contesto di confronto tra sovra e sottoestimatori.
Lo scopo della categorizzazione incrociata è proprio quello di indebolire le barriere intergruppo originalim
evitando però di sostituire il vecchio pregiudizio con uno nuovo.

SOMIGLIANZA INTERGRUPPO E SOMIGLIANZA INTRAGRUPPO


Un altro modo per ridurre le tendenze sistematiche che si verificano nella percezione intergruppo è quello
di aumentare il grado di somiglianza percepita tra i due gruppo.
WILDER conclude che questo metodo è molto efficace in alcuni casi.
TURNER ha trovato che quando un outgroup era confrontabile all’ingroup, e tale somiglianza veniva
percepita come stabile, il favoritismo intragruppo tendeva ad aumentare.
BAR-TAL ha rivolto la sua attenzione a quelle situazioni di conflitto polarizzato fra i gruppi sociali che
portano a delegittimare i membri dell’outgroup, al punto da non riconoscerne la condizione di esseri umani.
I gruppi che vengono più facilmente scelti come capri espiatori tendono ad essere quelli diversi dal proprio
gruppo di appartenenza.
Anche la somiglianza intragruppo può essere rilevante nella determinazione del livello di discriminazione
intergruppo.
ALLEN E WILDER. Nell’ambito del paradigma del gruppo minimo vi è una diminuzione del bias intergruppo,
quando si fa credere ai partecipanti che la somiglianza fra loro e gli altri membri dell’ingroup è bassa.

ASSIMILAZIONE-CONTRASTO
Un outgroup diventa più accettabile quando viene confrontato con un secondo outgroup, ancora più
diverso del primo rispetto al gruppo di appartenenza. Nello studio condotto da DOISE i partecipanti erano
un gruppo di bambini svizzeri, i quali giudicarono i diversi gruppi etnici svizzeri più simili fra loro, quando
era presente nella situazione di giudizio anche un gruppo etnico non svizzero.

RICATEGORIZZAZIONE ATTRAVERSO LA FORMAZIONE DI CATEGORIE SUPERORDINATE


GAERTNER E DOVIDIO. Al posto di considerare i due gruppi come distinti si può immaginare che questi
siano tra loro interconnessi, per da luogo a un singolo gruppo superordinato.
Gaertner e colleghi hanno manipolato la percezione dei membri di due gruppi composti da tre persone
ciascuno. I soggetti furono indotti a considerarsi come un unico gruppo di sei persone. In un’altra
condizione furono portati a considerarsi come individui singoli; nella condizione di controllo come due
gruppi composti da tre persone. I risultati misero in luce una riduzione della tendenza sistematica nei
confronti degli individui facenti parte del vecchio outgroup da parte dei partecipanti che erano stati
categorizzati come facenti parte di un gruppo unico oppure come singoli individui.

FORMAZIONE DI SOTTOTIPI O SOTTOGRUPPI


La piacevolezza del contatto è stata proposta come una delle condizioni che contribuiscono al
miglioramento delle relazioni intergruppo.
In alcuni casi queste persone vengono raggruppate mentalmente, andando a costituire un sottotipo e
lasciando inalterata la percezione globale negativa del gruppo.
MAURER, PARK E ROTHBART hanno proposto la distinzione fra SOTTOTIPI E SOTTOGRUPPI. La creazione di
sottotipi porta al raggruppamento di esempi controstereotipici.
La creazione di sottogruppi porterebbe alla collocazione di individui facenti parte della categoria generale
entro gruppi formati da persone simili fra loro.
L’organizzazione degli individui in sottogruppi porterebbe a percepire la categoria generale in modo più
variabile, poiché renderebbe le persone consapevoli della grande diversità esistente fra i membri della
categoria.
MAURER, PARK E ROTHBART. Veniva chiesto di suddividere i membri di un gruppo di individui secondo due
modalità. Nel primo caso si chiedeva ai partecipanti di differenziare gli individui, le cui caratteristiche erano
coerenti con quelle del gruppo nel suo complesso, da quelli con caratteristiche non coerenti. Nel secondo
caso si chiedeva ai partecipanti di dividere gli individui in diversi gruppi sulla base delle somiglianze e
differenze. In una condizione di controllo, non veniva dato ai partecipanti alcun compito di suddivisione. I
partecipanti nella condizione sottotipi giudicarono il gruppo nel suo complesso in odo maggiormente
stereotipico e omogeneo, seguiti dai partecipanti nella condizione di controllo e da quelli nella condizione
sottogruppi.
La rappresentazione di un gruppo può variare nel tempo. Con l’acquisizione di nuove informazioni si
verrebbero a formare molteplici sottogruppi, dando luogo a una visione più articolata del gruppo nel suo
complesso.

ASPETTI AFFETTIVI NEL CONTATTO INTEGRUPPI


In previsione di un contatto con membri dell’outgroup si avrebbe a che fare con uno stato di ansia legata al
possibile incontro con estranei. Quest’ansia anticipatoria condurrebbe in molti casi proprio a evitare il
contatto al fine di ristabilire uno stato emotivo positivo.
STEPHAN E STEPHAN avevano dimostrato che l’ansia generata dalla situazione di confronto intergruppi può
ostacolare lo stabilirsi di buone relazioni fra i membri di due gruppi contrapposti.
In una ricerca condotta in Italia, in ambito lavorativo ospedaliero, venne registrata la frequenza e il tipo di
contatto che si realizzava fra lavoratori italiani e lavoratori stranieri.
Gli autori si sono proposti di misurare il livello della salienza che caratterizzava l’esperienza intergruppi da
parte dei lavoratori italiani.
È stata confermata l’ipotesi che il contatto intergruppi realizzato rispettando le condizioni positive riduce il
livello di ansia e ciò a sua volta porta a una riduzione del pregiudizio.
Un modo efficace per affrontare il problema della generalizzazione nella riduzione degli stereotipi è
appunto quello di creare situazioni di contatto positivo, in cui la salienza dell’ingroup e dell’outgroup venga
mantanuta elevata. Con il ridimensionamento della variabile affettiva dell’ansia hanno potuto prendere
corpo atteggiamenti più favorevoli nei confronti degli outgroups. Un’altra variabile di tipo affettivo è
risultata l’empatia. Quanto più le persone di dimostrano empatiche nei confronti dei gruppi esterni, tanto
più favorevoli saranno gli atteggiamenti nei loro confronti.

CAPITOLO 7
L’OMOGENEITA’ PERCEPITA DELL’OUTGROUP
Il gruppo sociale al quale apparteniamo ci appare complesso, composto da persone diverse e non
assimilabili tra loro, mentre i gruppi sociali esterni ci sembrano omogenei, compatti.
Una possibile spiegazione del fenomeno viene proposta da PARK E ROTHBART.
Nel codificare i comportamenti dei membri dell’ingroup e quelli dell’outgroup, sono impiegati livelli diversi
di categorizzazione. Ai partecipanti veniva fornita una serie di affermazioni d’opinione e frasi che
esprimevano preferenze tipicamente maschili o femminili. Veniva chiesto di stimare la percentuale di
studentesse, oppure studenti, all’interno della facoltà di fisica e di danza che sarebbero state d’accordo con
le affermazioni presentate. I soggetti sottostimavano la percentuale dei membri dell’ingroup ce sarebbero
state d’accordo con le affermazioni stereotipiche e sovrastimavano la percentuale di membri dell’outgroup
controstereotipici (giudizio sulle studentesse, viste come meno stereotipiche dalle femmine anziché dai
maschi).
I gruppi venivano visti in modo meno stereotipico dai soggetti appartenenti all’ingroup, soprattutto quando
frequentavano un tipo di facoltà che era giudicata contraddire lo stereotipo corrente.
I membri dell’ingroup erano visti come più o meno stereotipici a seconda del tipo di facoltà frequentata,
mentre i membri dell’outgroup erano sempre visti come più stereotipici, al di là della facoltà frequentata. È
più probabile che un membro dell’outgroup venga codificato nei termini di categorie di tipo generale,
mentre per un membro dell’ingroup sono maggiormente disponibili categorie di tipo specifico.
LINVILLE, FISCHER E SALOVEY ritengono che alla radice del fenomeno ci sia la maggiore familiarità che le
persone hanno con i membri dell’ingroup.
Il minore contatto con i membri dei gruppi esterni porterebbe a una visione omogenea e semplificata del
gruppo nel suo complesso.
L’omogeneità dell’outgroup dipende da una scarsa familiarità che le persone hanno con i gruppi esterni.
Esso infatti suggerisce che il livello di variabilità percepita di una categoria sociale sia direttamente
proporzionale alla quantità di elementi che il soggetto ha a disposzione, nel processo di formazione
dell’immagine del gruppo.
Altri studi sembrano indicare che la familiarità non è l’elemento determinante.
JUDD E PARK. I soggetti venivano classificati in due gruppi distinti e ricevevano poi una serie di infromazioni
sui membri dell’ingroup e dell’outgroup. Nonostante il fatto che la quantità di infromazioni ricevuta dai
soggetti fosse la stessa per i due gruppi, si verificò la tendenza a considerare la variabilità dell’ingroup
maggiore di quella dell’outgroup.
Judd e park ritengono perciò che la spiegazione vada cercata facendo riferimento al ruolo dell’immagine
che si sé hanno i soggetti, quando si rappresentano i due gruppi. Le informazioni sul sé vengono utilizzate
quando una persona pensa all’ingroup; un tale confronto sarebbe invece assente quando ci si rappresenta
un gruppo esterno.

IL PROCESSO DI STEREOTIPIZZAZIONE DEL SE’


CADINU, LATROFA E CARNAGHI. È stato analizzato il processo di attribuzione a sé di tratti giudicati
caratteristici del gruppo di appartenenza da parte ci partecipanti maschi e femmine.
I partecipanti dovevano da un lato, registrare il loro grado di identificazione con il genere sessuale di
appartenenza, ed esprimere una serie di giudizi attribuzionali nei confronti dei seguenti bersagli: il gruppo
delle donne in generale, il gruppo degli uomini in generale, una specifica donna conosciuta, uno specifico
uomo conosciuto e il sé. Avevano a disposizione una serie di tratti stati definiti stereotipici,
controstereotipici o irrilevanti rispetto agli stereotipi di genere sessuale. L’indice di stereotipizzazione era
basato sul grado di correlazione fra giudizio espresso nei confronti del gruppo di genere di appartenenza
formulato nei confronti di un singolo individuo, che poteva essere, a seconda dei casi, un uomo, una donna,
il sé.
I partecipanti maschi presentavano valori di stereotipizzazione maggiori per l’outgroup rispetto all’ingroup,
anche l’indice di stereotipizzazione del sé registrato nel campione maschile è particolarmente basso.
Per le partecipanti femmine prevalenza della stereotipizzazione del sé, seguita dalla stereotipizzazione
dell’ingroup e per ultimo, dell’outgroup.
È stato riscontrato un maggiore livello di identificazione con l’ingroup nelle femmine rispetto ai maschi.
Questi risultati sono stati interpretati come una conferma della teoria dell’autocategorizzazione del sé: dal
punto di vista delle minoranze assume valore cruciale e di forte salienza la categoria dell’ingroup, i cui
membri vengono visti come esemplari fra loro interscambiabili e portatori di pari dignità. Questo
aiuterebbe i membri dei gruppi di minoranza a considerarsi come un corpo unitario.

CAPITOLO 8
Il linguaggio assolve tre diverse funzioni in relazione agli stereotipi:
a) Quella della loro trasmissione
b) Quella dell’organizzazione delle conoscenze nella mente degli individui
c) Quella di esprimere le identità sociali dei gruppi
Il linguaggio ha la funzione di garantire la trasmissione culturale dei contenuti associati agli stereotipi.
Le etichette linguistiche per categorizzare persone ed eventi non rimangono stabili nel tempo: esse sono
soggette a lente ma significative modificazioni che denotano cambiamenti culturali e spostamenti di
prospettiva.
Le scelte di tipo linguistico hanno un impatto notevole sul modo in cui il gruppo sociale così denominato
viene percepito in termini sociali. Se per denominare una persona usate un termine che induce disprezzo,
quell’etichetta linguistica sarà in grado di attivare in maniera automatica una serie di associazioni negative
ce influenzeranno l’impressione generale a proposito della persona descritta.

ETICHETTE LINGUISTICHE E ORGANIZZAZIONE DELLE CONOSCENZE STEREOTIPICHE


Se un individuo usa una etichetta linguistica dal marcato valore denigratorio per descrivere un gruppo
sociale, questo termine sarà così potente nell’indurre in maniera automatica associazioni negative e
nell’evocare valutazioni spiacevoli da influenzare il giudizio sociale anche di chi dichiara di non possedere
stereotipi negativi nei confronti del gruppo descritto.
Un filone interessante di risultati di ricerca è quello che deriva dal priming semantico. Alcuni modelli
ipotizzano che i tratti di personalità o le informazioni che riguardano le modalità di comportamento dei
membri di una categoria sociale siano collegati all’etichetta linguistica che serve per denominare il gruppo
in oggetto e che tale sistema di collegamenti costituisca una sorta di struttura associativa della memoria.
Ogniqualvolta l’etichetta viene attivata, entrano in risonanza tutte le componenti della struttura
associaativa più direttamente connesse al nodo concettuale di partenza.
PERDUE E GURTMAN hanno condotto uno studio sugli anziani. Per scoprire in che modo gli stereotipi
negativi a proposito degli anziani emergevano anche in soggetti che formalmente accettavano la norma
morale, in base alla quale gli anziani vanno rispettati, Perdue e Gurtman presentarono ai propri partecipanti
36 aggettivi, 18 positivi e 18 negativi. Gli aggettivi comparivano uno dopo l’altro, in ordine casuale, sullo
schermo, ciascun preceduto dalla parola o “giovane” o “vecchio”. Queste due parole avevano la funzione di
prime e apparivano per 55ms per essere poi mascherate e seguite da uno degli aggettivi di cui i soggetti
dovevano via via stabilire la valenza. Le ipotesi formulate facevano prevedere che la parola “vecchio”
facilitasse i giudizi inerenti gli aggettivi negativi, mentre la parola “giovane” avesse un identico effetto sugli
aggettivi positivi. I giudizi più rapidi si ebbero in risposta alle associazioni “vecchio – aggettivo negativo” e
“giovane – aggettivo positivo”. Al termine dell’esperimento nessuno dei soggetti riuscì, data la brevità
dell’esposizione, a indovinare quali fossero le parole che per così poco tempo erano apparse sullo schermo.
Perdue e colleghi estesero l’ampiezza del fenomeno indagato al più vasto ambito delle relazioni
intergruppo. Anche in questo caso, dopo la comparsa del termine prime per un tempo molto breve, i
soggetti dovevano giudicare il più rapidamente possibile la valenza di aggettivi che comparivano subito
dopo e che descrivevano tratti di personalità. I termini che funzionavano da prime erano semplicemente
dei pronomi personali o possessivi che si riferivano in maniera generale, all’area del noi e del loro. Il prime
che rimandava all’ingroup facilitava il riconoscimento e la categorizzazione di tratti positivi, mentre i tratti
negativi diventavano più accessibili se comparivano dopo un prime che rimandava all’outgroup.
I processi di attivazione semantica indotti dalla comparsa di un termine linguistico che si riferisce a una
categoria sociale significativa per l’individuo hanno importanti conseguenze sul modo in cui egli è in grado
di elaborare le informazioni associate in termini stereotipici a quell’etichetta.
Questa asimmetria di impiego si verifica soprattutto nel caso del linguaggio che rimanda al genere sessuale.
STAHLBERG e colleghi hanno manipolato del materiale di cronaca a proposito di un convegno scientifico di
geofisica di cui vennero costruite tre versioni. Nella prima si citavano i partecipanti alla conferenza, dicendo
che si trattava di ricercatrici e ricercatori. Nella seconda i partecipanti erano descritti come persone
coinvolte nella ricerca, nella terza si parlava genericamente di ricercatori. Ai soggetti era chiesto di stimare
la percentuale di donne di scienza al convegno. La percentuale di donne era stimata più alta nel caso in cui
fossero stati usati termini che esplicitamente si riferivano a maschi e femmine, per poi diminuire nel caso in
cui si fosse usato il termine neutrale, fino ad arrivare al valore più basso, nel caso in cui fosse usato il
generico maschile.
L’uso delle etichette linguistiche non si traduce solo in un problema di denominazione di una categoria di
persone o di comportamenti, ma ha dei risvolti importanti, anche se sotterranei e indiretti, per il tipo di
conoscenze, di implicazioni, di immagini stereotipiche che l’etichetta è in grado di attivare.

IL FAVORITISMO NEI CONFRONTI DEL PROPRIO GRUPPO


Il modo in cui stampa e televisione possono realizzare il favoritismo per l’ingroup può avvenire secondo
diverse modalità: una prima maniera ha a che fare con l’attenzione dedicata agli avvenimenti che
interessano l’ingroup o l’outgroup. I servizi giornalistici coprono gli avvenimenti interni con maggiore
frequenza e dedicandovi più spazio. Il tono valutativo generale è più positivo se l’avvenimento descritto
riguarda l’ingroup.
Gli individui attribuiscono i comportamenti positivi del proprio gruppo più a cause interne di quanto non
facciano per i comportamenti positivi messi in atto dall’outgroup, mentre il contrario capita per i
comportamenti negativi. Dalle analisi linguistiche sul materiale di cronaca, è plausibile ritenere che questo
fenomeno di asimmetria attribuzionale si verifichi allorché il giornalista descrive successi o insuccessi del
proprio gruppo o del gruppo avversario. I comportamenti positivi dell’ingroup e i comportamenti negativi
dell’outgroup sono descritti in termini più astratti che non i comportamenti negativi dell’ingroup e positivi
dell’outgroup. Le descrizioni astratte presuppongono che il comportamento sia relativamente stabile e
tipico di chi lo mette in atto, le descrizioni concrete presuppongono invece che il comportamento sia di
breve durata e poco rappresentativo di quale è la normale condotta dell’individuo.
L’USO TENDENZIOSO DEL LINGUAGGIO NELLE RELAZIONI INTERGRUPPO: LA SCELTA DEL LIVELLO DI
ASTRAZIONE
I comportamenti positivi dell’ingroup e negativi dell’outgroup tendono a essere descritti in termini
relativamente astratti, sottintendendo implicitamente che lo specifico episodio è manifestazione di una più
generale modalità di comportamento del protagonista. I comportamenti negativi dell’ingroup e quelli
positivi dell’outgroup tendono a essere descritti in termini relativamente concreti, ossia in termini che
escludono o rendono poco probabile una generalizzazione, al di là dello specifico episodio.
SEMIN E FIELDER hanno dimostrato che quanto più la formula linguistica è astratta, tanto più implica una
stabilità nel tempo e risulta informativa circa le caratteristiche dell’attore. Quanto più invece la formula
linguistica è di tipo concreto, tanto più è informativa della situazione e la sua corrispondenza descrittiva è
facilmente controllabile.

CAPITOLO 9
DEVINE. Le risposte fornite sulla base dell’appartenenza di gruppo della persona stimolo sono la
combinazione, da un lato, delle credenze che l’individuo possiede in maniera consapevole a proposito dei
gruppi sociali e, dall’altro, dei processi di attivazione dello stereotipo che hanno luogo in una fase che
precede la consapevolezza.
Secondo questi modelli di tipo duale, i processi automatici si attivano senza l’intervento dell’intenzione, in
maniera inconsapevole. I processi controllati sono invece considerati intenzionali, tali cioè da richiedere
risorse cognitive, impegno di attivazione e piena consapevolezza durante la loro realizzazione. Sebbene i
processi di tipo consapevole siano considerati a capacità limitata, essi vengono concepiti come
maggiormente flessibili di quelli automatici.
Durante il periodo di socializzazione dell’individuo le credenze associate a specifici gruppi sociali sono
frequentemente attivate. Il risultato a cui questo processo dà luogo sarebbe l’attivazione automatica degli
stereotipi radicati nelle zone profonde del sistema di credenze e il manifestarsi di valutazioni tendenziose.
Le credenze fatte proprie a livello personale e proposito dei gruppi oggetto di stigmatizzazione sono meno
accessibili e non necessariamente coerenti con le credenze stereotipiche che si manifestano in maniera
automatica. Come fa allora l’individuo a contrastare l’influenza degli stereotipi attivati in maniera
automatica? Grazie a una elaborazione di tipo controllato che richiede l’inibizione intenzionale degli
stereotipi.
Se una persona ha preso la decisione di liberarsi di uno stereotipo culturalmente acquisito, la capacità di
esercitare un controllo coronato sa successo richiede almeno tre condizioni: a) che la persona sia corretta
costantemente da una motivazione a dare risposte non viziate da tendenze sistematiche; b) che la persona
abbia la consapevolezza che lo stereotipo e i suoi contenuti sono in agguato; c) che la persona sia in grado
di destinare le risorse cognitive disponibili per inibire l’influenza dello stereotipo.
Il contributo di ricerca e di riflessione teorica proposto dalla Devine per rendere conto dei processi
automatici e controllati nell’attivazione e nella gestione delle credenza stereotipiche era inizialmente
largamente influenzato dal odo in cui i modelli duali di derivazione cognitiva avevano affrontato il
problema. Si trattava di considerare i due processi come mutuamente esclusivi. Questa netta distinzione è
progressivamente entrata in crisi: si proponeva che lo sviluppo della ricerca sugli stereotipi dovesse
centrarsi sull’analisi delle forme di interazione che legano i processi automatici e controllati nel dare luogo
a pensieri. Lo stereotipo sociale è considerato il frutto di una varia combinazione di processi automatici e
controllati.

ATTIVAZIONE AUTOMATICA DELLO STEREOTIPO: LE EVIDENZE EMPIRICHE


Per dimostrare sperimentalmente come gli stereotipi possono essere attivati in maniera automatica, sono
stati impiegati compiti di priming semantico. È stato dimostrato che anche i partecipanti che
personalmente rifiutano, a livello consapevole, lo stereotipo tradizionale dell’afroamericano ne sono
influenzati quando devono esprimere un giudizio a proposito di un’azione che può essere interpretata in
termini positivi o negativi.

FATTORI DI MODERAZIONE
LE RISORSE ATTENTIVE
Un fattore che sembra moderare in maniera significativa il carattere ineluttabile dell’attivazione automatica
dello stereotipo è la quantità di risorse di attenzione di cui dispone l’individuo. Se egli è occupato in altre
faccende gli indici percettivi che rimandano all’appartenenza categoriale della persona da giudicare non
sono in grado di attivare automaticamente lo stereotipo.
I partecipanti dovevano eseguire un compito di completamento di parole in due possibili condizioni:
quando erano cognitivamente impegnati in un altro compito, oppure quando tutte le risorse cognitive
erano a loro disposizione. I frammenti di parola da completare erano presentati da un’assistente di ricerca
di etnia asiatica. GILBERT E HOXON scoprirono che i partecipanti impegnati in un compito interferente
completavano con frequenza significativamente minore le parole in senso stereotipico rispetto ai
partecipanti non cognitivamente impegnati.

IL RUOLO DEL CONTESTO SOCIALE


WITTENBRINK, JUDD E PARK hanno proposto ai partecipanti un video che mostrava degli afroamericani alle
prese con situazioni di via positive e culturalmente accettate. In un’altra condizione gli afroamericani erano
presentati nel contesto di un quartiere urbano degradato. Il gruppo bersaglio era lo stesso ma nel primo
caso l’attivazione dello stereotipo era molto meno tendenziosa e meno associata ai tratti negativi
tradizionalmente legati alla categoria sociale considerata.
Un indicatore sociale non è un costrutto di tipo statico associato in maniera stabile ad uno stereotipo dai
contenuti immutabili. Il significato che attribuiamo alle caratteristiche di una persona di cui conosciamo
l’appartenenza di gruppo e i cambiamenti nello stereotipo associato a tale appartenenza dipendono dalle
informazioni di contesto che costituiscono la cornice entro cui il giudizio viene espresso.

LE DIFFERENZE INDIVIDUALI
Devine e collegh. Distinzione nella motivazione che guida i partecipanti a rispondere senza atteggiamento di
pregiudizio nei confronti dei gruppi sociali. Distinzione tra MOTIVAZIONE INTERNA, guidata da istanze
personali, e MOTIVAZIONE ESTERNA, guidata da istanze di tipo normativo. Una particolare categoria di
partecipanti presentava i valori più bassi di associazione tra parole negative e volti di afroamericani: si
trattava di coloro che avevano riportato contemporaneamente i più alti livelli di motivazione interna e i più
basi livelli di motivazione normativa nell’evitare gli stereotipi di tipo razziale.
FAZIO e colleghi hanno condotto degli studi per verificare quali variabili erano in grado di prevedere
atteggiamenti razziali manifestati in maniera esplicita. I dati ottenuti hanno consentito ai ricercatori di
distinguere tre categorie di partecipanti bianchi. Coloro che possono essere definiti genuinamente esenti da
pregiudizio, coloro definibili come genuinamente affetti da pregiudizio, coloro che manifestano valutazioni
negative automaticamente attivate dall’incontro con persone di colore, ma contemporaneamente
esprimono anche la motivazione di controllare e impedire gli effetti di questi stereotipi.

MODIFICABILITA’ DELL’ATTIVAZIONE AUTOMATICA DEGLI STEREOTIPI


Alcune manipolazioni situazionali possono essere efficaci nel produrre cambiamenti e significative riduzioni
nell’attivazione degli stereotipi.
RUDMAN, ASHMORE E GARY hanno messo in luce un cambiamento nell’attivazione degli stereotipi in
studenti che avevano frequentato un corso sul pregiudizio e sul conflitto tra i gruppi.

QUANDO L’ATTIVAZIONE DEGLI STEREOTIPI SEMBRA INELUTTABILE


I partecipanti con atteggiamento di pregiudizio etnico sono portati a riconoscere una emozione
potenzialmente pericolosa come la rabbia più precocemente nel volto degli afroamericani che non in quello
dei bianchi e questo fenomeno è un indice dell’attivazione non controllata dello stereotipo del nerom
centrata sul tratto dell’aggressività.

LE ATTIVITA’ DI CONTROLLO
Come è possibile operare correzioni grazie a processi maggiormente controllati sulle modalità di
elaborazione dell’informazione sociale che avvengono in maniera automatica?
Possibili strategie:
- INDIVIDUAZIONE. Il soggetto percipiente di solito muove da impressioni che riguardano una intera
categoria sociale e procede per formarsi impressioni che riguardano il singolo individuo solo
quando è sufficientemente motivato.
- CORREZIONE. Processo controllato il cui obiettivo è quello di regolare il possibile impatto delle
valutazioni tendenziose attivate in maniera automatica, in modo da correggere la loro influenza sui
giudizi e i comportamenti. Si tratta di un meccanismo di correzione che non interviene nella fase di
elaborazione del pensiero stereotipico, ma che si prende carico dei risultati distorti ai quali tale
processo può portare. L’attivazione automatica degli stereotipi non può essere evitata ma la
persona può operare gli opportuni aggiustamenti delle risposte che sta emettendo in modo da
correggere in corso d’opera i prodotti del pensiero stereotipico.
- SOPPRESSIONE. In alcune situazioni la persona consapevole di possedere stereotipi riguardanti
gruppi sociali può tentare di cancellare in maniera deliberata pensieri e sentimenti poco graditi e di
rimpiazzare il materiale rifiutato con pensieri più desiderabili.
WEGNER. Modello a due fasi. nel processo di controllo c’è la FASE DI MONITORAGGIO, in cui viene
realizzata una scansione dei contenuti mentali presenti nel sistema. FASE OPERATIVA, mediante la
quale i contenuti di pensiero non desiderati e precedentemente riconosciuti vengono presi in carico
per essere eliminati.
Il processo di controllo avviene per larga parte in maniera automatica ed è in grado di rilevare la
presenza di concezioni stereotipiche prima che queste abbiano raggiunto il livello di attenzione
necessario oltre il quale diventano patrimonio della consapevolezza dell’individuo.
Quando i pensieri non desiderati rischiano di raggiungere la consapevolezza, il processo di
monitoraggio innesca l’attivazione della fase operativa, mediante la quale viene evitata l’intrusione
di elementi cognitivi indesiderati. La fase operativa è caratterizzata da un processo che richiede
impegno, per certi versi consapevole. La fase operativa è dipendente dalle risorse cognitive di cui
l’individuo dispone in quel momento. Mentre la fase di monitoraggio può realizzarsi
indipendentemente dalle risorse attentive a disposizione.
Se la strategia adottata non funziona, si realizza il risultato paradossale che i pensieri posseduti dal
soggetto sono destinati a ricomparire più tendenziosi di prima.
Studio condotto da Wegner. Ai partecipanti erano proposte delle frasi che essi dovevano
completare scegliendo tra le alternative quella che ritenevano la più adeguata. Alcuni item erano
delle frasi estrapolate da una scala di atteggiamento nei confronti delle donne e le alternative
scelte per il loro completamento erano indicative di un atteggiamento relativamente sessista
oppure non sessista.
Ai membri di un gruppo sperimentale era stato richiesto esplicitamente di evitare atteggiamenti
sessisti nel completare le frasi proposte, mentre un altro gruppo era stato lasciato libero di
rispondere nella maniera ritenuta più opportuna. A metà dei partecipanti era stato chiesto di
operare in una condizione di pressione temporale, l’altra metà non avevi motivi di fretta. Nel caso
dei partecipanti sottoposti a pressione temporale, tale condizione avrebbe impedito una corretta
esecuzione della fase operativa del processo e i pensieri sessisti si sarebbero resi disponibili proprio
per coloro che erano attivamente impegnati a non esserlo. Coloro che erano stati fatti operare in
una condizione di pressione temporale, sceglievano risposte sessiste con una frequenza addirittura
maggiore rispetto al gruppo di controllo.
L’EFFETTO DI RIMBALZO. MACRAE ha ipotizzato che l’intenzione di sopprimere i pensieri
stereotipici possa produrre effetti paradossali anche in assenza di sovraccarichi cognitivi. La fase
operativa del processo di controllo può estinguersi anche con il trascorrere del tempo. Una volta
che la motivazione a dare la caccia ai pensieri indesiderati è venuta meno, tali pensieri ritornano ad
agire nella mente e nel comportamento con maggiore energia ed efficacia.
MACRAE e colleghi. I partecipanti erano invitati a comporre un breve brano in prosa in cui
dovevano descrivere la giornata tipo di una persona di cui era loro presentata la foto e che era uno
skinhead. A metà dei partecipanti era data la consegna di realizzare la breve cronaca sollecitandoli
a non usare i luoghi comuni che di solito la gente impiega quando parla degli skinhead; l’altra metà
dei partecipanti non riceveva questa raccomandazione. Successivamente i partecipanti svolgevano
un compito di decisione lessicale: sullo schermo di un computer compariva una stringa di lettere e il
partecipante doveva decidere il più rapidamente possibile se la stringa era una parola legale della
lingua inglese o una sequenza di lettere senza senso. Metà degli stimoli era costituito da parole
dotate di senso: il 50% era formato da parole giudicate come particolarmente associate allo
stereotipo dello skinhead, il rimanente 50% era costituito da distrattori. L’ipotesi era che se il
processo di soppressione portava a un’accessibilità sproporzionata dei pensieri stereotipici, ciò
avrebbe dovuto produrre una maggior rapidità nei confronti di decisione lessicale riguardanti le
parole collegate allo stereotipo dello skinhead, proprio per i partecipanti soppressori. I risultati
confermarono queste previsioni.
MONTEITH, SHERMAN E DEVINE. Gli individui caratterizzati da un basso livello di pregiudizio sono
meno influenzati da meccanismo di rimbalzo successivi ai tentativi di soppressione.
- ATTIVAZIONE NON INTENZIONALE DI STRATEGIE DI CONTROLLO. Strategia che viene attivate grazie
al ricorso a un processo definibile come inibizione laterale. Tale processo opera quando una
persona potrebbe essere classificata in maniera stereotipica facendo ricorso a criteri diversi. In tali
circostanza possono simultaneamente attivarsi due diverse rappresentazioni stereotipiche,
ciascuna delle quali può esercitare un ruolo inibitorio nei confronti dell’altra.
MACRAE, CBODENHAUSEN E MILNE. Ai partecipanti era presentato il filmato di una donna cinese e
successivamente veniva registrata l’attivazione automatica dello stereotipo della donna e della
cinese. In una condizione il filmato presentava l’immagine di una donna cinese che si truccava il
viso, in un’altra condizione la stessa donna stava usando dei bastoncini per mangiare. Coloro che
erano stati esposti al filmato della persona ce si truccava erano più rapidi a rispondere a tratti
stereotipici legati alla donna. Coloro che erano stati esposti al filmato della donna che usava i
bastoncini mettevano in luce tendenze di risposta che andavano in direzione opposta: più veloci le
risposte a tratti stereotipici del cinese.
- INIBIZIONE INTENZIONALE DELLE RISPOSTE STEREOTIPICHE E LORO RIMPIAZZO. I valori morali e
sociali che la persona a interiorizzato rappresentano una sorta di filtro capace di stabilire cosa si
intende per comportamento accettabile: ogni risposta, sia di pensiero, sia di sentimento, che entri
in conflitto con tali valori è considerata inaccettabile e destinata a essere eliminata.
la Devine ha riscontrato che le persone caratterizzata da basso livello di pregiudizio erano in grado
di produrre descrizioni non stereotipiche e bassate su valori egualitari delle loro credenze a
proposito delle persone di colore, a condizione di poter contare sui dovuti margini di tempo per
emettere la risposta. Se però essi non avevano tempo, non erano in grado di evitare l’applicazione
degli stereotipi.
QUANDO LE COMPONENTI DI AUOMATICITA’ E DI CONTROLLO SI INTEGRANO.
Dissociazione dei processi. Ai partecipanti veniva proposto un compito di priming per mettere in luce
l’influenza delle caratteristiche etniche del volto di una persona sulle risposte di tipo percettivo
nell’individuazione di un’arma. Nella fase di presentazione il volto di un afroamericano oppure di un bianco
erano i prime mentre il successivo stimolo (un’arma o un utensile) era il target. Le risposte che i
partecipanti emettono riflettono una combinazione di processi automatici e controllati.
Nel compito di rilevazione di un’arma, quando la risposta corretta p coerente con le tendenze automatiche,
i processi automatici e controllati agiscono in maniera concorde. Quando invece una risposta corretta è
incongruente con le tendenze automatiche, i processi automatici e controllati agiscono in opposizione l’uno
all’altro.
CORRELL, URLAND E ITO volevano accertare se l’allenamento aveva influenza sui processi ti tipo automatico
oppure i processi di tipo controllato. Con una partica di allenamento le tendenze automatiche tendevano a
scomparire. Nell’attivazione dello stereotipo le tendenze di tipo automatico non devono essere considerato
come inevitabili.

CAPITOLO 10
USARE GLI STEREOTIPI, SUBIRE GLI STEREOTIPI
Non è necessario interagire direttamente con chi è portatore di stereotipi per dare vita a comportamenti
che ne costituiscono la conferma. È sufficiente che la persona bersaglio dello stereotipo manifesti
consapevolezza per le credenze culturalmente condivise a proposito dei comportamenti attesi dal proprio
gruppo di appartenenza per avvertirne spesso in maniera stringente l’influenza e la pressione.
LO STIGMA
Abbiamo a che fare con il fenomeno dello stigma quando in una società sono consolidate e culturalmente
condivise delle credenze che assegnano ad alcuni gruppi una posizione di inferiorità e li fanno oggetto di
espressioni di disprezzo. Lo stigma è un attributo e caratteristica che veicola un’identità sociale valutata
negativamente in un determinato contesto sociale.
Quali sono le conseguenze dell’appartenenza a un gruppo sociale stigmatizzato?
Le persone che si trovano in una condizione di svalutazione sociale legata allo stigma corrono il grave
rischio di vedere la propria autostima indebolita. Indagini empiriche condotte negli ultimi decenni hanno
messo in discussione tale interpretazione. È stato dimostrato che l’autostima individuale degli
afroamericani è simile, se non superiore, a quella degli americani bianchi.
Il livello di autostima dei membri di gruppi di minoranza non è così basso come ci si potrebbe aspettare
sulla base della loro condizione non valorizzata. Il livello di autostima può variare a seconda del contesto
sociale in cui tale costrutto viene registrato.
STRATEGIE PER SALVAGUARDARE LA PROPRIA AUTOSTIMA
1) ATTRIBUZIONE ALLA DISCRIMINAZIONE. Attribuzione causale. Es. afroamericano ad un colloquio di
lavoro. Risultato negativo. Per attribuire una causa al risultati, se l’obiettivo principale è difendere
la propria autostima, il candidato attribuirà la mancata assunzione al pregiudizio dell’intervistatore.
Questo percorso è generalmente efficace nel breve periodo e risolleva il candidato dalla condizione
di sconforto. È importante sottolineare i potenziali rischi. È infatti possibile che una mancata
assunzione non sia frutto di discriminazione, ma costituisca l’esito di un’accurata valutazione. La
cosa migliore che il candidato può fare è quella di rivedere la propria preparazione. Una decisione
come questa rappresenta una strategia a lungo termine.
Cedendo alla tentazione di considerarsi costantemente vittima di comportamenti discriminatori, si
corre il rischio di perdere la fiducia nell’attendibilità di qualsiasi risultato ottenuto.
2) CONFRONTO ALL’INTERNO DELL’INGROUP. Le persone sono spinte dal bisogno di conoscersi e per
raggiungere tale obiettivo si confrontano con altri simili a loro. La nostra autostima risulta protetta
da confronti con persone simili a noi. In uno studio emerse che gli scolari afroamericani che si
confrontavano con i compagni neri avevano un’autostima migliore di quelli che si confrontavano
con studenti bianchi.
3) OCCULTAMENTO. Per evitare le conseguenze di un’identità sociale negativa, alcuni individui
appartenenti a gruppi svantaggiati tendono ad allontanarsi dall’ingroup. Per esempio, alcuni
afroamericani di pelle chiara, che per tale motivo possono essere considerati bianchi, cercano di
occultare le loro origini adottando anche lo stile di vita e la cultura propria del gruppo dei bianchi.
4) IDENTIFICAZIONE CON L’INGROUP. È stato chiaramente dimostrato che le persone tendono a
mantenere un’immagine di sé positiva e amano definirsi in termini di gruppo soprattutto quando
ciò li pone in buona luce. I membri dei gruppi di minoranza mostrano un forte attaccamento
all’ingroup rispetto ai membri dei gruppi di maggioranza, come se la consapevolezza di appartenere
a un gruppo svalutato portasse paradossalmente i suoi membri ad accentuare il bisogno di
identificarsi con esso. Alcuni studi hanno addirittura dimostrato che le persone che si identificano
fortemente con l’ingroup rispondono alle minacce di cui il gruppo è oggetto identificandosi ancora
più fortemente con il gruppo piuttosto che cercare di distaccarsi da esso. A tali persone il gruppo
può offrire un aiuto concreto, fornire sostegno psicologico, dare consenso sociale, validare le
proprie credenze, aiutare a difendersi dal pregiudizio. L’identificazione con l’ingroup è infatti
positivamente correlata con il livello di autostima dei membri dei gruppi di minoranza.
5) RIVALUTARE LE DIMENSIONI SOCIALI. Una strategia tradizionalmente utilizzata dai membri dei
gruppi di minoranza è quella di rivalutare l’importanza e la centralità di quelle caratteristiche che
sono tipiche del proprio gruppo. È grazie a queste dimensioni rivalutate che si rafforza l’identità
sociale che deriva dall’appartenenza q un gruppo di minoranza e ci si confronta con gli altri.
LA MINACCIA DELLO STEREOTIPO
STEELE E ARONSON. Il modello dello STEREOTYPE THREAT. Appartenere a un gruppo stigmatizzato porta
con sé una condizione di minaccia legata al timore di confermare lo stereotipo negativo associato al gruppo
a cui si appartiene. Le persone che fanno parte di un gruppo socialmente svantaggiato, e nei confronti del
quale esiste uno stereotipo negativo, vivono in uno stato di apprensione che deriva dal timore di
confermare lo stereotipo che la società manifesta nei loro confronti.
Steele e Aronson manipolarono la variabile “presentazione del compito”. Nella condizione sperimentale ai
partecipanti veniva esplicitamente detto che si trattava di un compito diagnostico dell’abilità di tipo
verbale. Questa informazione esplicitamente richiamava i contenuti negativi di uno stereotipo sulla cui base
gli afroamericani sono associati a prestazioni scadenti nelle capacità di tipo verbale. Nella condizione di
controllo, il compito era presentato come una semplice attività di problem – solving. Quando lo stereotipo
non veniva attivato le prestazioni dei partecipanti afroamericani erano equivalenti a quelle dei partecipanti
americani di origine europea; nella condizione sperimentale la prestazione degli afroamericani subiva un
decremento rispetto a quella di controllo e a quella dei partecipanti bianchi nella stessa condizione.
SPENCER, STEELE E QUINN. Gruppo di studenti universitari. Poco prima dello svolgimento di una prova di
matematica veniva detto che sulla base di questo test non erano fino a quel momento emerse differenze
fra uomini e donne. A un secondo gruppo di partecipanti invece veniva fatto credere che la prova in
questione aveva rivelato nel passato differenze di prestazione fra donne e uomini. Era in questa specifica
condizione che gli autori ipotizzavano uno stato di minaccia per le studentesse. Le ragazze nella situazione
“differenze di genere” mostrarono un calo di prestazione rispetto alla condizione “senza differenze”. Per gli
studenti maschi non emersero differenze significative.
Quali sono i fattori responsabili del calo di prestazione che si verifica nella condizione in cui viene attivato lo
stereotipo? CADINU e colleghi. Modificando il disegno sperimentale di Spencer, Steele, Quinn, trenta
ragazze vennero assegnate alla condizione “differenze di genere” mentre altre trenta entrarono a far parte
della condizione “senza differenze di genere”. Il compito di matematica era costituito da sette difficili
esercizi, ciascuno dei quali era stampato su una pagina separata e preceduto da un pagina che chiedeva di
scrivere tutto quello che passava per la mente al partecipante. I risultati mostrarono che le ragazze nella
condizione di stereotype threat riportarono un maggior numero di pensieri negativi legati alla matematica
rispetto alle ragazze del gruppo di controllo e che tali intrusioni svolgevano il ruolo di mediazione fra la
condizione di minaccia e la scarsa prestazione delle ragazze.
Gli stereotipi regolano in modo implicito i giudizi e i comportamenti delle persone. Anche quando entrano
in gioco in forma più sottile gli stereotipi possono avere un ruolo altrettanto potente nel regolare le
interazioni sociali.
Cadinu e colleghi. La semplice etichetta verbale associata a un compito di matematica sarebbe in grado di
provocare gli effetti negativi sulla prestazione delle donne previsti dal modello dello stereotype threat. A un
gruppo di studenti, frequentanti l’ultimo anno di liceo scientifico, veniva presentato un compito che
metteva alla prova le capacità logiche dei partecipanti: era composto da una serie di problemi di
ragionamento inseriti in un contesto di situazioni sociali. A un primo gruppo di partecipanti venne detto che
si trattava di un compito di intelligenza logica; a un secondo gruppo che si trattava di un compito di
intelligenza sociale; a un terzo gruppo non venne data nessuna indicazione. Le ragazze ottennero la
prestazione peggiore nella condizione di intelligenza logica, ossia quando il compito era coerente con lo
stereotipo negativo riguardante il loro gruppo di appartenenza. I ragazzi subirono un calo di prestazione
nella condizione di intelligenza sociale. I partecipanti di ambedue i generi mostrarono un calo di
prestazione solo in compiti minaccia. Lo stesso compito cognitivo veniva affrontato con maggiore o minore
successo a seconda dell’etichetta che a esso era legata.
ASPETTI EVOLUTIVI DELLO STEREOTYPE THREAT.
Andamento evolutivo del fenomeno della minaccia legata allo stereotipo.
AMBADY, KIM E PITTINSKY. Bambine asiatiche che vivevano negli Stati Uniti venivano assegnate alle
seguenti condizioni sperimentali: nella prima condizione, prima di svolgere un compito di matematica, si
chiedeva alle bambine di fare un disegno volto ad attivare la categoria maschio – femmina, rendendo
quindi saliente l’appartenenza delle bambine al genere femminile. Nella seconda condizione veniva invece
resa saliente l’appartenenza al gruppo etnico che, nello stereotipo statunitense, è positivamente associato
alla matematica. Nella terza condizione non veniva resa saliente né l’una né l’altra delle due categorie
sociali. I risultati ottenuti nelle condizioni sperimentali mostrano un calo di prestazione nel test di
matematica quando era attivata la categoria “genere”, ma un miglioramento nel caso in cui era la categoria
“asiatico” a essere resa saliente. Gli stereotipi positivi, quindi, possono contribuire ad un miglioramento
della prestazione.
Fino a quando i gruppi minoritari saranno bersaglio di stereotipi che li associano a prestazioni inferiori in
certi campi, i membri di tali gruppi si sentiranno plausibilmente inadeguati.

CAPITOLO 11
ASPETTI EVOLUTIVI DEGLI STEREOTIPI
STEREOTIPI DI TIPO ETNOCENTRICO
Gli stereotipi di tipi etnocentrico cominciano tra i 3 e i 5 anni. I gruppi esterni, sono visti in modo piuttosto
negativo mentre la rappresentazione del proprio gruppo di appartenenza è molto favorevole. Questa
tendenza si attenua dopo i 7 anni di età: i bambini continuano a preferire il proprio gruppo, ma la
favorevolezza di tale giudizio è meno marcata. Particolarmente interessanti i dati relativi agli stereotipi
posseduti dai bambini appartenenti a gruppi di minoranza. Fino ai 7 anni di età, le risposte dei bambini neri
variano fortemente da un bambino all’altro: mentre alcuni di loro mostravano una netta preferenza per il
loro gruppo, altri dichiaravano di preferire i bambini o le bambole di pelle chiara. Molti dei bambini
intervistati sembravano preferire il gruppo sociale dominante. Questa tendenza si modifica a partire dai 10
anni di età: emerge una chiara preferenza per il proprio gruppo etnico.
A partire dagli anni ’70, si assiste a una maggiore tendenza al favoritismo per il proprio gruppo da parte dei
bambini appartenenti a gruppi etnici di status sociale svantaggiato. Stereotipi sociali sono in gran parte
appresi e i valori dominanti vengono interiorizzati dai bambini nel corso del processo di socializzazione.
È necessaria una conoscenza dei singoli tratti che caratterizzano i gruppi sociali al fine di raggiungere una
rappresentazione più favorevole dell’ingroup rispetto all’outgroup oppure tale preferenza si verifica al di là
delle conoscenze possedute?
CASTELLI e colleghi. A gruppi di bambini e ragazzi italiani di 6, 9, 12 e 15 anni venivano presentate delle
coppie di cartoncini contenenti dei tratti di personalità. Sia in riferimento al gruppo degli italiano sia
riguardo ad altri quattro gruppi nazionali europei, veniva chiesto ai soggetti di scegliere uno dei due
cartoncini o entrambi al fine di descrivere il gruppo in questione. Si chiedeva inoltre ai bambini di esprimere
il grado di piacevolezza di ciascun gruppo nel suo insieme.
Con l’aumentare dell’età, le valutazioni globali dei gruppi esterni rimanevano sostanzialmente inalterate
mentre l’ingroup veniva considerato in modo progressivamente meno favorevole. Le scelte dei bambini
diventavano sempre più coerenti con gli stereotipi tipicamente associati ai vari paesi. A questo aumento
della conoscenza stereotipica si accompagnava una stabilità nella favorevolezza dei gruppi esterni.
STEREOTIPI LEGATI AL SESSO DELLE PERSONE
L’ambito del sistema di categorizzazione sociale in cui la distinzione fra “noi” e “loro” si sviluppa in maniera
precoce è quello legato al genere sessuale.
Gradualmente i bambini acquisiscono la conoscenza delle caratteristiche tipicamente associate ai maschi e
alle femmine, ovvero si impadroniscono degli stereotipi prevalenti nella società in cui vivono.
BERNDT E HELLER. Ai partecipanti di diverse età, venivano presentate delle situazioni in cui un bambino o
una bambina mostravano di preferire un’attività stereotipica o controstereotipica in relazione la suo sesso.
Veniva chiesto ai partecipanti di prevedere una serie di comportamenti futuri da parte dello stesso
bambino e la scelta avveniva ancora una volta fra comportamenti stereotipici e controstereotipici. I
comportamenti indicati dai partecipanti erano coerenti con quelli precedentemente associati al bambino in
questione. Un’eccezione è rappresentata dal gruppo di bambini di 8 anni, i quali fecero delle previsioni di
tipo stereotipico anche quando il bambino era stato presentato come atipico.
STEREOTIPI DI GENERE E MATEMATICA
Un ambito particolarmente importante nel processo di acquisizione degli stereotipi di genere è quello
legato alla matematica. I bambini in età scolare sia maschi che femmine concordano nel ritenere che la
matematica sia una faccenda prettamente maschile. Uno studio recente in cui è stato analizzato il rapporto
tra l’evoluzione degli stereotipi di genere e le prestazioni dei bambini in matematica nel contesto italiano è
stato condotto da MUZZATTI E AGNOLI.
A 476 bambini italiani frequentanti le classi dalla seconda alla quinta elementare, è stato proposto un
compito articolato in due fasi. nella prima parte, venivano misurati gli stereotipi di genere legati alle
prestazioni in matematica. Le bambine di seconda elementare consideravano il proprio gruppo come
superiore a quello dei maschi mentre questi ultimi non manifestavano di credere a differenze fra i due
generi. Il quadro era diverso per i bambini di terza, con i maschi che iniziavano a ritenersi superiori alle
femmine e queste ultime che non riportavano differenze fra i due generi. Tale concezione di differenziava
ulteriormente a partire dalla quarta elementare e si rafforzava in quinta, età in cui sia i maschi che le
femmine ritenevano i maschi migliori in matematica. A due settimane di distanza la seconda fase dello
studio. Agli stessi bambini venivano presentati, nella condizione sperimentale, dieci volti di matematici,
nove maschi e una donna; nella condizione di controllo nove fiori e un frutto. I bambini dovevano contare
gli elementi oppure calcolare delle proporzioni. A questo punto i bambini dovevano svolgere un compito di
matematica adatta alla loro età. Il risultato fu che i dati dei bambini di quinta elementare rivelarono che
mentre per il maschi non si rilevarono differenze statisticamente significative fra la condizione sperimentale
e quella di controllo, le femmine mostravano una prestazione inferiore nella condizione di stereotype
threat rispetto a quella di controllo.
I ricercatori hanno elaborato un GENDER GAP, calcolato individuando una serie di fattori che rendono
operativo il grado di emancipazione femminile. Si tratta di punteggi che esprimono il livello di
partecipazione delle donne nel mondo del lavoro, il loro impegno nel mondo delle istituzioni politiche, la
loro presenza in ruoli di alto status sociale.
L’Italia occupa uno degli ultimi posti in graduatoria.
STEREOTIPI LEGATI AD ALTRE CATEGORIE SOCIALI
POWLISHTA e colleghi dimostrarono l’esistenza di considerevoli forme di pregiudizio nei confronti di diversi
gruppi esterni utilizzando un campione di bambini e ragazzi canadesi fra i 5 e i 13 anni. Emersero biases nei
confronti delle persone di sesso opposto, le persone che parlano una lingua diversa e le persone obese. I
bambini dai 5 ai 9 anni mostrarono le forme di pregiudizio più accentuate, mentre un’attenuazione della
discriminazione intergruppo venne osservata nelle valutazioni dei soggetti più grandi. Un dato interessante
fu l’assenza di correlazione fra le tendenze al pregiudizio nei confronti dei diversi gruppi sociali. La tendenza
al pregiudizio non è un tratto di personalità dei soggetti, che si può immaginare avere un effetto costante
nei diversi contesti di giudizio, ma varia in funzione del gruppo sociale da valutare.
Ma il modo in cui i bambini percepiscono e giudicano gli altri bambini è, a sua volta, in grado di influenzare i
loro comportamenti e le loro interazioni, al punto da modificare il comportamento dei bambini oggetto di
aspettative?
HARRRIS, MILICH E CORBITT. Ciascun partecipante all’esperimento veniva fatto interagire con un altro
bambino, il quale a detta degli sperimentatori, soffriva di un disordine da iperattività e deficit attentivo
(ADHD). I soggetti del gruppo di controllo partecipavano anch’essi a delle interazioni, ma non veniva fornita
loro alcuna indicazione. I bambini appartenenti al gruppo sperimentale, rispetto ai soggetti del gruppo di
controllo, tendevano a parlare di meno e a essere meno socievoli nei confronti del bambino con ADHD. Coe
reazione, i bambini oggetto di pregiudizio affermavano di avere avuto delle interazioni meno piacevoli.
LA CORRELAZIONE ILLUSORIA IN ETA’ EVOLUTIVA
Il fenomeno della correlazione illusoria può contribuire alla rappresentazione stereotipica dei gruppi di
maggioranza e di minoranza. PRIMI E AGNOLI si sono proposte di verificare se anche i bambini siano
propensi a individuare correlazioni illusorie fra appartenenza di gruppo e comportamenti sociali, quando sia
i primi che i secondi siano caratterizzati da una scarsa frequenza. A un gruppo di bambini di età compresa
tra i 6 e i 10 anni vennero presentati dei cartoncini raffiguranti i membri di due gruppi, i quali mettevano in
atto comportamenti socialmente desiderabili o indesiderabili. Ciascuna vignetta era accompagnata dalla
descrizione verbale del comportamento e dall’appartenenza di gruppo. Successivamente, venivano
presentati ai partecipanti gli stessi cartoncini con l’unica differenza che il nome del gruppo veniva eliminato.
Veniva chiesto ai soggetti di ricordare a quale gruppo appartenesse il bambino raffigurato nel disegno. I
risultati mostrarono che i soggetti tendevano ad attribuire i comportamenti negativi in modo
sproporzionatamente più frequente ai bambini del gruppo di minoranza. Sia i comportamenti positivi che
quelli negativi messi in atto dai membri del gruppo di minoranza vennero sovrastimati, risultato contrario
alle previsioni basate sulla correlazione illusoria. I risultati divennero più chiaramente indicativi quando si
chiedeva ai bambini di fornire delle stime globali sui due gruppi. Quando veniva chiesto ai soggetti di
stimare il numero complessivo di bambini di ciascun gruppo che aveva mostrato comportamenti positivi o
negativi, essi sovrastimarono il numero di comportamenti positivi. Inoltre, quando veniva chiesto ai
partecipanti di giudicare i due gruppi lungo una serie di tratti di personalità, il gruppo di minoranza veniva
valutato in modo più negativo.
Il bias della correlazione illusoria venne osservato anche in assenza di stimoli socialmente significativi.
Si può concludere che il bias della correlazione illusoria nelle stime di frequenza è presente anche in
soggetti in età evolutiva. I processi cognitivi legati alla percezione della covariazione tra variabili possono
facilitare la formazione di rappresentazioni negative a proposito di gruppi sociali minoritari.

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