Deumanizzare significa negare l’umanità dell’altro introducendo asimmetria tra chi gode delle qualità
dell’umano e chi ne è considerato carente. Ciò significa avere un’idea su ciò che è umano:
1. In antichità l’umano era lo spazio intermedio tra divinità e animalità. Nella cima della scala
gerarchica c’era l’uomo maschio, adulto, greo, abitante della polis e dedito all’otium;
4. ‘600-700: razzismo contro i neri, tratta schiavi e asserzione della semi-animalità dei neri;
6. 1812: Jefferson indiani incivili e dovevano essere cacciati come le bestie (massacro di Sand Creek);
Nel nord America ci fu de umanizzazione sia a carattere subumano che sovraumano: la cultura religiosa
dei
coloni inglesi fece una fusione tra l’immagine dei nativi e l’elemento satanico (diavoli rossi).
La psicologia delle folle (Tarde) ereditò tale prospettiva dicendo che la folla è una patologia urbana. E’
segno
della riapparizione di una bestie impulsiva e maniaca, prigioniera di istinti nell’uomo civilizzato.
Altri territori della de umanizzazione sono quelli della lotta culturale, religiosa e politica de
umanizzazione
dell’avversario per giustificare le atrocità su di lui.
Biologizzazione: nasce dal concetto spagnolo del ‘500 della “limpieza de sangre”. Si è imposto con il
razzismo scientifico, il darwinismo sociale e l’eugenetica.
Ciò che accomuna le espressioni statiche della de umanizzazione è il loro essere strumenti di oppressione
sociale e psicologica, usati dai gruppi potenti per sfruttare, umiliare i gruppi deboli. Si può esercitare in
modi
espliciti (strategie che negano apertamente l’umanità di altri individui per giustificare le carenze) o
impliciti
(de umanizzazione quotidiana che erodono in modo sottile e inconsapevole l’altrui umanità). Ciascuna
metafora ha significati precisi e conseguenze. Paragonare i membri di gruppi estranei a diavoli, mostri o
microbi porta alla paura dell’ignoto e a livelli intollerabili di percezione di minacciosità del gruppo
nemico.
Se si considera l’altro un oggetto ciò comporta la mercificazione.
Ma perché è parlare di bestialità pensando a un genocidio quando gli animali non fanno ciò? Perché
indicare
il prototipo dell’umano tramite Eistein e non Hitler? Bisogna capire come viene costruita e decostruita
l’immagine dell’uomo. Bisogna ricordare che la definizione del proprio gruppo come prototipo
dell’umano
non implica necessariamente la degradazione degli altri gruppi. Quindi bisogna capire quali sono le
condizioni nelle quali la de umanizzazione diventa un fenomeno con conseguenze severe nella vita
sociale.
1. Identità sociale di Tajfel: le interazioni sociali possono essere definite mediante un continuum
interpersonale/intergruppi. Il primo è il polo in cui gli incontri si basano su partecipanti che
interagiscono sulla base delle loro caratteristiche personali, nel secondo polo gli incontri dei
partecipanti essi entrano in relazione in base alle loro appartenenze categoriali (molto comuni).
2. Depersonalizzazione del gruppo estraneo che può preludere a una loro de umanizzazione. E’ diversa
dalla de umanizzazione perché implica la categorizzazione del sé. In tale teoria la
depersonalizzazione non è riferita al gruppo estraneo, ma quella del sé e dei membri del proprio
gruppo;
3. Deindividuazione: indebolimento della salienza dell’identità personale in cui le persone non sono
viste come entità individuabili e responsabili, ma confuse con un aggregato anonimo. Zimbardo dice
che questo fenomeno favorisce lo scatenarsi di comportamenti aggressivi.
DEUMANIZZAZIONE ESPLICITA
Il concetto di umano si fonda su una contrapposizione con l’animale. Quando l’uomo compie il male,
perde
se stesso e si riduce a bestia. Nella storia della nostra specie de umanizzare serve a pensare l’altro come
“minus habens” ossia un essere umano incompleto. La degradazione dell’altro è percorso obbligato per
varcare la soglia che porta al massacro e allo sterminio di massa.
Genocidio in 5 fasi (Hilberg):
• Definizione legislativa degli ebrei come sottouomini;
• Espropriazione beni;
• Concentrazione nei ghetti
• Campi
• Sterminio
Gli studi psicosociali hanno analizzato diversi punti della deumanizzazione esplicita:
- meccanismi di disimpegno morale che permettono all’individuo di comportarsi contrariamente ai suoi
principi etici, senza soffrire poi di stress o disagio psicologici
• Determinanti ambientali che lo fanno diventare così
• De umanizzazione come legittimazione che pone il gruppo deumanizzato fuori dalla cerchia dei
gruppi con cui si intrattengono relazioni;
• A cosa servono i processi di deumanizzazione;
• Studio sul vissuto delle vittime per capire come venga interiorizzata e diventi una lente di lettura di
sé e del mondo.
ESCLUSIONE MORALE
La deumanizzazione è uno dei processi necessari alla produzione di atrocità sociali, assieme
all’autorizzazione alla violenza (da parte di autorità legittime) e la routinizzazione nell’esecuzione dei
compiti. Essa sottrae all’uomo delle qualità che lo definiscono tale: identità e comunità (la prima è ciò che
fa
vedere l’altro come persona autonoma e indipendente; la seconda al fatto di essere in una rete sociale di
individui che si prendono cura degli altri). Privare la persona di ciò, significa permettere che sia trattata
come
un oggetto.
Gli individui interiorizzano standard etici che sono linee guida del comportamento. Quando essi compiono
azioni che contraddicono gli standard, si innescano forme di disimpegno morale che rendono accettabili le
condotte riprovate. La prima forma è costituita da ristrutturazioni cognitive (che ridefiniscono
comportamenti negativi , giustificandoli), la seconda minimizza il ruolo dell’agente, attribuendo
all’autorità
il peso delle azioni compiute. La terza forma indebolisce il controllo sociale, distorcendo o minimizzando
le
conseguenze degli atti compiuti. L’ultima riguarda le vittime, che vengono incolpate e deumanizzate.
Quando vediamo l’altro “umano” proviamo empatia e ciò rende difficile fargli del male senza poi provare
disagio. Se lo deumanizziamo tali sensazioni sono ridotti o inibiti. Opotow ha ripreso gli studi di Bandura
e
ha definito i processi di esclusione morale come processi che intervengono quando individui o gruppi
sono
posti fuori dai confini in cui si applicano valori morali. Coloro che sono moralmente esclusi son percepiti
come entità non meritevoli a cui è giusto fare del male. Questo processo ha il compito di rendere normale
l’ingiusto. Esso è verificato sia in modi sottili che severi e in entrambi i casi si usa l’allontanamento
psicologico e sociale delle vittime.
Il sintomo più estremo dell’esclusione morale è la deumanizzazione, definita come ripudio dell’umanità
dell’altro. Uno degli aspetti chiave è il DINIEGO, ossia una forma di disattenzione selettiva che protegge
le
persone di fronte a situazioni intollerabili. Ne esistono di tre tipi: diniego che esclude gli altri (si manifesta
con la deumanizzazione e denigrazione), diniego che esclude il sé (de individuazione, ossia credere che il
proprio contributo non sia individuabile, dislocazione di responsabilità e diffusione di reciprocità) e il
diniego che minimizza l’azione (uso di eufemismi, isolamento temporale, nascondere effetti di un atto).
Nel 2004 i media hanno spesso mostrato le immagini dei prigionieri torturati: tale ripetitività ha appiattito
le
reazioni provocate dalla prima visione. Il potere militare e politico usa strategie per influenzare l’opinione
pubblica. Ad esempio la censura. Quando essa non funziona si trasmettono ripetutamente poche immagini
per normalizzare i contenuti.
• Espulsione sociale: membri del gruppo delegittimato considerati come violatori delle norme;
• Caratterizzazione in tratti: membri del gruppo definiti da tratti fisici o di personalità negativi;
• Uso di etichette politiche: categorizzati in gruppi politici considerati inaccettabili nella società;
In “Difesa della razza” di Hitler, è emerso che egli deumanizzava ossessivamente i gruppi nemici. Ad
es. deumanizzazione dei popoli di colore conosce solo il registro dell’animalità (mezze scimmie), mentre
la deumanizzazione per i gruppi ritenuti pericolosi, come gli ebrei e marxisti, non usa solo termini
animali ma anche il registro biologico (pestilenza, veleno) e morale (immoralità, rozzezza). Sono anche
paragonati a potenze negative di ordine sovrannaturale (demoni e mostri). Le immagini della rivista
erano volte a dimostrare l’idea di normalità dei campi, contenitori appropriati per essere dall’umanità
incerta, per rendere accettabile la persecuzione.
Le sue funzioni ricordano quelle sociali degli stereotipi: fornire spiegazioni condivise di eventi sociali
complessi, attribuire al proprio gruppo caratteristiche che gli permettono di differenziarsi positivamente
dagli altri gruppi, giustificare azioni nei confronti di gruppi percepiti come nemici. I gruppi de
umanizzano per giustificare la violenza e per legittimare il posto in esso ricoperto. C’è un terzo fattore
che compare negli ambiti lavorativi e stressanti che richiedono a chi opera al loro interno di prendere le
distanze dalla situazione. La deumanizzazione permette di eliminare emozioni di empatia e compassione
che proviamo quando vediamo qualcuno soffrire.
Staub ha confrontato i genocidi e a suo parere, nell’evoluzione della violenza collettiva, assume rilievo la
giustificazione di azioni commesse mediante il biasimo delle vittime e percepite meno umane, escluse
dalla morale. Ad esempio dopo l’11 settembre si è dimostrato come la deumanizzazione abbia costruito
consenso alla guerra al terrore: etichetta creata dal governo statunitense per costruire l’immagine del
nemico (terroristi). Il termine terrorista ha creato una categoria di individui ai quali non sono applicati i
diritti riconosciuti internazionalmente agli esseri umani, che possono essere uccisi fuori dalle azioni
militari e possono essere rinchiusi in lager. Molti studi sulle metafore de umanizzanti impiegate dai
media occidentali per descrivere la guerra al terrore, hanno dimostrato la similarità di tali metafore
(malattia, mostri)a quelle usate dai nazisti per descrivere gli ebrei e dagli americani per descrivere i
giapponesi. Nonostante le metafore operino nell’immaginario, i loro effetti influiscono sul reale e sui
significati con cui le persone interpretano il mondo e le loro azioni. Tutto ciò è accompagnato da foto in
cui sono esposti i corpi feriti o uccisi dal nemico, mentre i “nostri corpi” vengono protetti con atto di
rispetto e non al di fuori del gruppo.
La seconda funzione è la definizione dello status quo. Deumanizzazione poveri e sfortunati è consolante
per chi non lo è. Aiuta a pensare che meritino il poco che hanno e che non bisogni dividere con loro
risorse. In questo senso ha una funzione rassicurante per i gruppi favoriti: serve a credere che non
saranno toccati da sorte analoga.
Per quanto riguarda la deumanizzazione posta in atto da chi ricopre una posizione di potere e deve
prendere decisioni pericolose e dolorose per gli altri umani, ha funzione difensiva e perfette a operatori
sociali (polizia) di intervenire in situazioni rischiose e prendere decisioni difficili all’interno di relazioni
lavorative pesanti. Lammers e Stapel hanno analizzato il rapporto tra potere e deumanizzazione,
mostrando come questa sia facilitata dalla percezione di avere potere. Sono partiti dalla definizione di
potere (capacità di prendere decisioni che coinvolgono altre persone) ed esperimenti dimostrano come il
potere diminuisca l’inclinazione ad adottare la prospettiva altrui. Quindi in questo caso la
deumanizzazione ha la unzione di aiutare le persone che devono prendere decisioni difficili a
giustificare, mettendo in secondo piano la sofferenza altrui.
3. Deumanizzazione descritta da Levi è complessa: non comprende solo la perdita delle caratteristiche
individuali subita dai membri del gruppo perseguitato, ma si estende a tutti coloro che esercitano un
ruolo nell’universo concentrazionario. Ogni attore sociale è irrigidito dalla sua appartenenza
categoriale. Per Levi la deumanizzazione coinvolge aggressori e vittime, perché entrambi subiscono
un impoverimento della loro personalità: la deumanizzazione deumanizza chi la compie.
DEUMANIZZAZIONE SOTTILE
Forme più sottili e quotidiane che ci portano a percepire gli atri non come animali o mostri, ma come
individui un po’ meno umani di noi. Questa non ha bisogno di situazioni espliciti di ostilità sociale per
manifestarsi.
INFRA-UMANIZZAZIONE (LEYENS)
“Infra” indica il processo in cui le persone sono inclini a percepire coloro di gruppi estranei come meno
umani degli appartenenti al proprio gruppo. Leyens ha iniziato chiedendo all’opinione pubblica cosa
definisce un umano e le risposte sono: pensiero, linguaggio e sentimenti. Gli studiosi si sono focalizzati
sul
terzo fattore. La teoria dell’infra-deumanizzazione si basa sulla distinzione tra emozioni primarie e
secondarie. Le prime fanno parte del patrimonio biologico dell’uomo e testimoniano la continuità tra
specie
umana e mondo animale e sono universali. Le secondarie sono specifiche della specie umana e sono
diverse
da cultura a cultura. Le emozioni primarie (sorpresa, rabbia, piacere) vengono attribuite ai membri del
proprio e dell’altro gruppo; le secondarie (tenerezza, amore, speranza…) sono attribuite all’ingroup.
Quindi
l’outgroup viene considerato meno umano.
L’infra-deumanizzazione è una forma di etnocentrismo che non nega in modo assoluto l’umanità
dell’altro e
non è accompagnato da reazioni affettive e comportamentali estreme. Non è nemmeno una forma di
favoritismo dell’ingroup. Può essere considerato un fenomeno che coniuga aspetti di favoritismo per
l’ingroup e di svalutazione per l’outgroup. Inoltre non esclude l’altro dalla sfera morale, ma ha comunque
delle conseguenze tra i membri di uno stesso gruppo il ricordo a emozioni umane attiva una percezione di
similarità che produce solidarietà; tra i membri di gruppi diversi esse sono percepite come minaccia alla
istintività dell’ingroup e innescano l’evitamento.
Nel momento in cui si fa presente all’ingroup i misfatti compiuti ci possono essere conseguenze diverse: il
gruppo può riconoscere le proprie responsabilità e provare empatia per l’outgroup o scattano reazioni
difensive. Altre reazioni difensive consentono nel legittimare le azioni compiute dal proprio gruppo
invocando ragioni ideali o politiche; dichiarare che non si è stati i soli a comportarsi cosi o percepire di
aver
sofferto più delle vittime (vittimizzazione competitiva) come se fosse una gara a chi ha sofferto di più.
Delgado ha ipotizzato che l’infra-deumanizzazione possa essere innescata dalla mera esposizione della
violenza, anche nei casi in cui l’outgroup non sia direttamente implicato (se nell’esperimento i sogg.
Vedevano immagini violente contro umani avveniva l’infra.deumanizzazione per l’outgroup non molto
rilevante).
I modi sottili di de umanizzare esistono pure nei media, che aggirano la consapevolezza dei fruitori. Tali
forme sono più pericolose di quelle esplicite, emergono e possono essere oggetto di dibattito. L’umanità
risiede nel dettaglio della narrazione, dell’individualità. La deumanizzazione risiede nei numeri, nella
trattazione impersonale, nella generalità. La questione più rilevante è la sua ubiquità: se i gruppi non
sempre
infradeumanizzano altri gruppi, bisogna individuare le determinanti del fenomeno.
Leyens ha definito famigliarità e status come condizioni non sufficienti a provocare il fenomeno. Per
quanto
riguarda la famigliarità i membri dell’ingroup non attribuiscono emozioni secondarie più a se stesse che
agli
altri membri dell’ingroup.
Nel caso dello status, i gruppi dominanti e dominati possono essere entrambi dominati da un altro che si
sente superiore. Secondo Layens l’infra-deumanizzazione è una delle strategie previste dalla teoria
dell’identità sociale: i gruppi a basso status tentano di cambiare situazione sociale e pensare algi altri
come
esseri meno umani può aiutarli a rafforzare la loro id. sociale. Con i gruppi ad alto status può servire a non
percepire l’emergere dei gruppi competitori, ma ciò porta alla loro decadenza. Il conflitto è una
condizione
non necessaria ma sufficiente per l’infra-deumanizzazione. Condizione necessaria ma insufficiente è
l’identificazione con l’ingroup. Leyens conclude che non ci sono ancora condizioni necessarie e
sufficienti
alla produzione del fenomeno, ma si può affermare che l’infra-deumanizzazione si produce quando il
rapporto tra i due gruppi è significativo la categorizzazione non è sufficiente, si infradeumanizza il gruppo
al
quale non si vorrebbe appartenere.
RAGIONI DELL’INFRADEUMANIZZAZIONE
Una ragione è l’umana propensione all’essenzialismo, ossia credere che i gruppi sociali siano entità
naturali
e non costruzioni culturali. Le differenze tra alcuni gruppi vengono interpretare come manifestazioni
naturali.
Alle due dimensioni sono legate forme di negazione dell’umanità: deumanizzazione animalistica e
deumanizzazione meccanicistica.
Per quanto riguarda la prima gli individui privi di tratti umani sono considerati incolti e incapaci di
autocontrollo, il loro comportamento è istintivo e immorale. Si basa sul confronto con animali.
Essa suscita in coloro che la subiscono emozioni di umiliazione ed è accompagnata da disgusto e
disprezzo
per chi la compie. Gli esempi sono conflitti tra etnie , classi e nazioni.
La seconda si riferisce alla negazione degli aspetti di emozionalità e gli individui che ne sono privi sono
considerati freddi e rigidi. Vengono oggettivati, ossia considerati macchine con mancanza di empatia.
Si è visto che il riconoscimento di immagini di scimmie è più rapido se i partecipanti avevano ricevuto un
prime con volti di neri. In un altro esperimento hanno somministrato un prime subliminale con parole
associate a scimmie e invitavano a guardare un video in cui poliziotti picchiavano un sospettato nero uno
bianco. Come sospettato i partecipanti che avevano ricevuto il prime giustificavano di più la violenza nei
confronti del nero.
Altre ricerche hanno suggerito che l’associazione tra l’outgroup e l’animale è un fenomeno generale e che
i
processi di umanizzazione dell’ingroup coesistono.
Capozza e collaboratori hanno creato un nuovo paradigma ispirato agli studi sull’effetto di sovra-
esclusione
dall’ingroup. Si riferisce alla tendenza a classificare più facilmente individui sconosciuti come membri
dell’outgroup spinti dal desiderio di evitare che nell’ingroup siano inclusi estranei che possano snaturarlo.
Quindi le forme sottili di deumanizzazione sono forme di sottrazione più che di colpevolizzazione.
OGGETTIVAZIONE
PROCESSI DI OGGETTIVAZIONE
E’ una forma di deumanizzazione che fa si che l’individuo sia pensato e trattato come oggetto, strumento
e
merce. Consiste nella divisione della persona in parti che servono per scopi e funzioni dell’osservatore. La
figura tipica è quella dello schiavo.
Marx ha analizzato l’alienazione del lavoro sostenendo che nel sistema capitalista il lavoro non è più
un’attività libera e consapevole, ma un’imposizione esterna. Quindi l’uomo si sentirà libero solo
immaginando o procreando espressioni della sua parte animale, mentre si sentirà una bestia in quella che
dovrebbe essere manifestazione della sua umanità. Secondo Nussbaum l’oggettivazione comprende 7
dimensioni:
• Strumentalità: oggetto è strumento per sopi
• Negazione autonomia
• Inerzia: oggetto non è attivo
• Fungibilità: oggetto è interscambiabile
• Violabilità: oggetto può essere fatto a pezzi
• Proprietà: oggetto può essere venduto e comprato
• Negazione soggettività: oggetto non ha sentimenti
Per lei la dimensione più pericolosa è la strumentale. Quando un individuo è strumento, serve per uno
scopo.
Questa qualità lo rende attraente per coloro che sono interessati allo scopo. L’oggettivazione strumentale
comporta l’avvicinamento dell’individuo oggettivato (diverso dalla deumanizzazione).
Esiste l’oggettivazione sessuale Kant indica la riduzione di una persona a strumento di desideri attivi. Ciò
è
stato approfondito dal pensiero femminista (riduzione donna a oggetto sessuale). Sessualizzazione è la
situazione in cui la persona è confinata alla sua capacità di attrazione sessuale, a esclusione di altre
caratteristiche. La persona è vista come strumento di piacere altrui e non come un essere autonomo e
capace
di decidere. Le donne sono sottoposte a una frammentazione analoga a quella dei lavoratori, ai quali viene
sottratto il prodotto del loro lavoro.
Gruenfeld e colleghi hanno fatto studi nei quali hanno posto in luce il potere e come sia fondamentale nei
processi di oggettivazione: esso altera la percezione sociale. Più si ha potere più si trattano gli altri in
modo
strumentale. Altri studiosi hanno indagato su come l’oggettivazione incida sulla percezione di umanità:
quando gli osservatori si focalizzano sull’aspetto fisico della donna, la giudicano meno umana. Altre
ricerche
hanno approfondito il legame tra oggettivazione e depersonalizzazione (negazione soggettività). L’ipotesi
degli studiosi era che gli individui avrebbero depersonalizzato altri presentati in modo oggettivato,
attribuendo le loro ridotte capacità morali e mentali. Gli esperimenti confermarono l’ipotesi e aggiunsero
che
gli individui oggettivati sono ritenuti meno sensibili al dolore o che ci si preoccupa meno delle loro
sofferenze.
Conseguenza 1 I costi più alti sono quelli su benessere psicofisico: scatena emozioni negative, riduce le
esperienze motivazionali, riduce consapevolezza degli stati interni, contribuisce alla diffusione di stati
depressivi e disordini alimentari. Ad es. le donne sono esposte a modelli irraggiungibili di corpi femminili
perfetti e ciò provoca ansia e vergogna. Sono emozioni che emergono quando si percepisce la propria
incapacità di conformarsi agli standard culturali generalmente accettati (Prima conseguenza di emozioni
negative).
Conseguenza 2 momenti in cui siamo completamente assorbiti da un’attività mentale o fisica che ci
impegna
al massimo e ci dà la sensazione di essere vivi. Sono momenti rari in cui percepiamo libertà dal controllo
altrui. Il continuo richiamo di uno sguardo sull’aspetto fisico interrompe la concentrazione (Riduzione
esperienze motivazionali)
Conseguenza 3 ridotta la capacità di individuare e interpretare le proprie sensazioni fisiche perché troppo
concentrate sull’aspetto esteriore (No consapevolezza stati interni).
Il lavoro di Friedrickson e colleghi ha confermato il legame tra auto- oggettivazione, emozioni negative e
diminuzione prestazioni cognitive. Altri studi hanno indagato quali esperienze di oggettivazione sessuale
siano antecedenti dell’auto-oggettivazione. Sono state indagate forme aperte (molestie, abusi, pressione a
essere magri) e forme sottili (sguardi, commenti inappropriati). L’esposizione sperimentale a
manifestazioni
di oggettivazione sessuale, come lo sguardo maschile o commenti, aumenta i sentimenti di ansia e
vergogna
per l’aspetto fisico. Altri studi hanno considerato che l’auto-oggettivazione riduce l’interesse per la
sessualità
e la vergogna per il proprio aspetto è legata a comportamenti sessuali a rischio, preoccupazione nei
momenti
di intimità e livelli inferiori di eccitazione.
OGGETTIVAZIONE MASCHILE
Anche se gli uomini riportano livelli minori di auto-oggettivazione, sono stati individuate somiglianze:
anche
per gli uomini la vergogna del corpo è legata a una maggior preoccupazione per il proprio aspetto durante
gli
incontri sessuali e a livelli più bassi di eccitazione. Tali somiglianze sono dovute al fatto che anche per gli
uomini si assiste a un incremento di modelli oggettivanti. Ad esempio i mass-media mostrano la figura di
uomo legata alla forza fisica, negazione delle emozioni ,alla dominanza sessuale. Una conseguenza del
nuovo modello è l’anoressia al contrario, ossia l’ossessione per la potenza muscolare. L’auto-
oggettivazione
può essere indotta negli uomini dalla lettura di riviste dedicate al fitness.
Studi successivi hanno mostrato come le donne nere presentino la minor rilevanza facciale cosi come le
donne politiche più giovani rispetto alle colleghe più mature. Un’altra corrente di studi ha indagato il
legame
tra oggettivazione e media che si ostinano a proporre modelli di bellezza irraggiungibili. L’esposizione
passiva al modello mediatico dominante porta le donne a preoccuparsi del loro aspetto fisico, peso,
accentuano la discrepanza tra il proprio aspetto e lo standard socialmente accettato (auto-oggettivazione).
Studiosi hanno dimostrato come le riviste femminili abbiano messaggi collegati all’aspetto fisico, mentre
quelli maschili parlino di hobby e divertimenti. Altri studi hanno dimostrato come immagini rivolte a
un’audience bianca tendevano a ritratte le donne in ruoli con caratteristiche di dipendenza e sottomissione;
le
immagini per l’audience nera ritraevano donne indipendenti. Gli studi hanno rilevato anche che
l’esposizione
ai media è predittore dell’insoddisfazione per il corpo e disturbi alimentari.
Altri studi sono incentrati sulle conseguenze della sessualizzazione mediatica delle donne. Ciò facilita
risposte maschili a parole sessiste, acquisizione di info stereotipate, aumenta il comportamento
sessualizzato.
Ciò contribuisce al mantenimento della disuguaglianza tra i generi e alla diffusione di atteggiamenti e
comportamenti sessisti. Ciò causa anche un’accentuata tolleranza degli stereotipi di genere, del mito dello
stupro, delle molestie. Il fatto che le donne provochino lo stupro per il loro comportamento. C’è un ambito
in
cui l’oggettivazione sessuale diviene paradigma dominante e la deumanizzazione della donna appare nella
sua brutalità: la porngografia. La donna diventa oggetto che non gode di altra considerazione morale e ciò
giustifica qualsiasi aggressione sessuale nei suoi confronti. Il pensiero femminista sottolinea la
pericolosità
della presentazione della deumanizzazione pornografica come atto legittimo e divertente. Le immagini
porno sessualizzano la donna e ciò permane al di fuori del contesto specifico e informa atteggiamenti e
comportamenti quotidiani.
Studi sperimentali dimostrano che il consumo di materiale porno porta gli uomini a giudicare meno
attraenti
le loro partner, a essere meno soddisfatti delle loro prestazioni e desiderare incontri sessuali privi di
coinvolgimenti emotivi. La pornografia violenta altera la percezione e comportamenti e riduce la
sensibilità
alla sofferenza altrui, aumenta l’accettazione di pratiche degradanti e alla credenza che lo stupro non porti
conseguenze per le vittime. Ciò è allarmante per gli adolescenti soprattutto. Accanto alla pornografia c’è
lo
smembramento su internet, in cui non vengono mostrati atti sessuali espliciti. Il materiale viene dalla
programmazione televisiva e può essere vissuto come normale. Esistono siti che ospitano immagini
statiche
o brevi video in cui i corpi di donne sono catalogati in base alle parti anatomiche o alle performance
eseguite. Sono immagini che documentano l’oggettivazione del corpo femminile.
La fascia più sensibile è l’adolescenza, in cui ci sono abbassamenti di autostima. Il rapporto col corpo e le
sue trasformazioni incide sull’identità degli adolescenti: autostima e percezioni fisiche sono legate.
Secondo
gli studiosi le caratteristiche di personalità che distinguono ragazzi e ragazze rischiano per facilitare
l’innesco di disturbi psicologici. Durante la pubertà il corpo della donna diventa pubblico, guardato e
valutato. In un mondo mediatico che propone modelli irraggiungibili, le ragazze imparano che il loro
corpo
appartiene a loro sempre di meno e di più agli altri e che molti attorno valutano l’aspetto fisico e non la
persona. Le adolescente vengono iniziate alla cultura dell’oggettivazione sessuale.
Molte ricerche hanno evidenziato come la sessualizzazione abbia effetti sul funzionamento cognitivo,
salute
fisica e mentale, sessualità, atteggiamenti e credenze.
Una conseguenza è la frammentazione della coscienza che incide su prestazioni cognitive e fisiche.
Pensare
ossessivamente al corpo lascia poche risorse cognitive per altre attività mentali e fisiche. I ragazzi di oggi
sono esposti a immagini sessualizzate che insegnano a pensare alle persone come oggetti sessuali.
Esistono anche videogame che presentano banalizzandoli contenuti di estrema violenza contro le donne,
come stupri. Quando una persona è trattata come oggetto è difficile provare empatia per questa. Appunto
se
le ragazze sono viste come oggetti sessuali è difficile stabilire con loto relazioni diverse da quelle
strumentali.
1. Cognitiva : antropomorfizzare significa usare conoscenze relative all’umano per fare inferenze a
proposito di ciò che non è umano.
Hams e Fisk hanno esaminato attivazione cerebrale di 10 persone mentre vedevano foto di gruppi sociali e
di
altri 12 che vedevano foto di oggetti. L’analisi ha dimostrato che l’attivazione della MPFC per la visione
dei
gruppi e non per gli oggetti. Ma alcuni come la foto di drogati hanno provocato un’attivazione ridotta
dell’are e un’attivazione dell’amigdala e dell’insula solitamente associate ì a stati d’animo di vigilanza e
allarme e emozioni negative. Processore di individui appartenenti a gruppi marginali riduce l’attivazione
della mpfc, area del cervello che si attiva se si pensa alle persone e non a oggetti e ciò suggerisce gli gli
outgroup siano processati come oggetti.
STRATEGIE DI RESISTENZA
E’ importante l’apporto a livello istituzionale, politico e mass media. nessuna strategia ha successo se non
è
sostenuta da autorità con provvedimenti adeguati. Le strategie sono:
• Riconoscimento fenomeno
• Impegno in strategie di umanizzazione, che individualizzano gli appartenenti ai gruppi de umanizzati
focalizzandosi sulle esperienze dei singoli. L’umanizzazione influisce positivamente sul
comportamento sociale
• Strategie di categorizzazione: la deumanizzazione si basa su processi di categorizzazione sociale che
sanciscono l’esclusione di individui dalla comunità umana. Sono utili strategie simili per migliorare
le relazioni tra i gruppi in conflitto, come l’incremento del contatto tra i gruppi, con attenzione sulla
qualità del contatto
• Incremento dell’empatia: l’empatia ha efficacia anche nel miglioramento della relazione tra gruppi.
DIREZIONI RICERCA
Mancano studi che definiscono il passaggio tra le forme sottili e esplicite di deumanizzazione. Sono pochi
gli
studi sui vissuti delle vittime e sui processi di auto-deumanizzazione. Poche ricerche hanno indagato la
deumanizzazione basata sulla mancata condivisione di aspetti morali. Per quanto riguarda l’oggettivazione
manca la comprensione del fenomeno a partire dalla distinzione tra l’oggetto che vede l’atto come
intralcio
e l’oggetto che vede l’altro come strumento. Nel primo esso è qualcosa da eliminare nel secondo è da
usare.
Le ricerche hanno escluso l’oggetto in ambito lavorativo. Manca la deumanizzazione per invisibilità e
deriva
da una collusione tra forme esplicite e implicite, che permettoo alla società di distogliere lo sguardo e non
assumersi responsabilità per la deprivazione di umanità. La deumanizzazione della specie di animali
diversi
dalla nostra può essere l’inizio del fenomeno radicale. Possiamo ipotizzare che le prime de umanizzazioni
abbiano riguardato l’incontro tra la nostra specie e altri ominidi che mancano di riconoscimento di una
comune umanità e ciò abbia concorso all’estinzione delle altre specie e alla costruzione della nostra come
di
un unicum. Per capire la deumanizzazione si ha bisogno di uno sforzo congiunto di tutte le discipline.