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Prof. L. Janiri
Università Cattolica del Sacro Cuore – Policlinico “A.Gemelli” Roma
Identità: definizione
• Il concetto di Identità si può riferire a individui, gruppi,
culture, società e nazioni.
• La Psichiatria si è centrata sui Disturbi dell’Identità
Personale ovvero sulle alterazioni di quella forma di Identità
che caratterizza i singoli individui.
• L’Identità per quanto nozione semplice ed evidente nella
nostra quotidianità, si mostra come un complesso percorso
che unisce aspetti e momenti diversi lungo l’intera esistenza.
• L’Identità è un vissuto soggettivo ma è anche un dato
stabilito con gli altri e dagli altri, nel “ruolo” che il contesto
propone.
Sviluppo storico del concetto di Identità
La Psicopatologia tradizionale, nella sua fondazione
jaspersiana, si è occupata del “sentimento di
esistere” più che dell’Identità.
Bisogna giungere alla Psicopatologia più recente per
veder nascere un’attenzione particolare al tema
dell’Identità e al suo coinvolgimento nella
patologia mentale.
L’Identità per Jaspers
Jaspers nella Psicopatologia Generale nel paragrafo sulla
Coscienza dell’Io, si sofferma sul tema dell’Identità e appare
centrale che: “il fatto che lo psichico, sia esso percezione,
sensazione del corpo, ricordo, rappresentazione, pensiero,
sentimento, acquisti questo speciale tono del Mio, dell’Io,
del Personale, del proprio operare”.
Inoltre per Jaspers la “Coscienza dell’Identità” è la
“Coscienza di essere identici nel susseguirsi del tempo”:
l’Identità infatti può entrare in crisi per il proporsi di un
elemento diverso, di un cambiamento troppo rilevante e
repentino per essere riassorbito e rielaborato.
Dall’ “Io sono” al “Chi sono”
Il sentimento di essere è il presupposto di ogni
specificazione di Identità: è cruciale dunque il passaggio
dall’ “Io sono” alla domanda sul “Chi sono”.
Con l’ “Io sono” si assume la coscienza di esistere, nella
modalità immediata del Cogito cartesiano: si tratta
dunque di un aspetto dell’ Identità a-storica del riconoscersi
in ogni frangente come l’agente dei propri atti psichici.
Con il “Chi e cosa sono io” ci si addentra in un percorso che
terrà conto di quel che è, quel che è stato e di quel che potrà
essere di me: assumere la dimensione del tempo come
costitutiva della mia identità e farne il “Mio tempo”.
Un raccordo tra l’Identità-Idem e l’Identità-
Ipse
Il filosofo Ricoeur (1990) si è soffermato sull’Identità del Sé
offrendoci degli spunti per un confronto con quanto accade
nella patologia dell’Identità umana.
Necessario un incontro tra Identità-Idem e Identità Ipse,
ovvero tra “essere gli stessi” ed “essere se stessi”: “ Una vita è
la storia di questa vita, Comprendere se stesso equivale ad
essere capace di raccontare su se stesso delle storie
intellegibili e accettabili alla ricerca di narrazione.”.
Questo ci rimanda alle forme psicotiche più gravi: nella
Psicosi si può giungere al delirio sulla propria identità ma si
tratta ancora di una narrazione sul Sé solo che totalmente
“inaccettabile”.
Identità di Genere: definizione
L’ Identità di Genere si incarna nel senso profondo e
intimo della propria individualità esperita e conosciuta
come maschile o femminile.
Non è assimilabile all’Identità di Ruolo, ovvero alla
semplice assunzione degli stereotipi estetici e
comportamentali che in un particolare contesto socio-
culturale, vengono attribuiti al genere maschile o
femminile (espressione sociale dell’Identità di genere).
Va distinta inoltre dall’orientamento sessuale che
qualifica ciò che risulta eroticamente attraente per
l’individuo.
Disturbi dell’Identità di Genere
I soggetti con disturbi dell’Identità di Genere
mostrano una profonda identificazione con il sesso
opposto al loro sesso anatomico e un intenso e
persistente disagio rispetto alle caratteristiche
anatomiche di tipo sessuale che, per convenzione
socio-culturale, sono distintive del proprio genere.
Rientrano in questa definizione: il travestitismo a
ruolo doppio e il transessualismo.
Sviluppo storico dei Disturbi dell’Identità di
Genere
Condizioni riferibili a disturbi dell’Identità di Genere
sono state riportate sin dall’antichità e rientrano in
diverse culture senza cadere necessariamente nella
definizione di fenomeni patologici.
Nel 1887 Von Krafft-Ebing indicò un possibile legame
tra disturbi della sessualità e psicopatologia.
Hirschfeld fu il primo a occuparsi dei disturbi
dell’Identità di Genere coniando nel 1910 il termine di
“Travestitismo” per tratteggiare casi oggi inquadrabili
come Travestitismo e Transessualismo.
Sviluppo storico dei Disturbi dell’identità di
Genere
Cauldwell usò per primo il termine “Transessuale” nel
1949 e Benjamin tra gli anni ‘50 e ‘60 diede un
inquadramento accettato e condiviso ai disturbi
dell’Identità di Genere.
L’espressione “Identità di Genere” apparve per la prima
volta nel 1966 in un comunicato stampa sulla prima
clinica per transessuali al Johns Hopkins Hospital di
Baltimora.
La categoria dei Disturbi dell’Identità di Genere rientrò
ufficialmente tra i disturbi mentali nel 1980 col DSM-
III.
Disturbi dell’Identità di Genere: dal DSM-IV
al DSM-5
Classe neo istituita centrata sull’incongruenza di genere,
piuttosto che sull’identificazione cross-gender.
Parafilie, disturbi della sfera sessuale e disturbi dell’identità di
genere, fusi nel DSM-IV trovano dignità di diagnosi
indipendenti nel DSM-5.
In particolare, la “gender dysphoria” si configura, pur a
fronte di trattamenti per lo più endocrinologici e chirurgici,
quale disturbo mentale di nuova definizione, in cui
l’identificazione cross gender (crit.A) e l’avversione contro il
proprio genere (crit.B) vengono fusi. Necessario per la
diagnosi è il desiderio di appartenere o la tendenza ad
identificarsi precocemente nell’altro genere(crit.B1).
Travestitismo e Transessualismo
Il Travestitismo a ruolo doppio consiste nell’indossare
abiti dell’altro sesso per provare temporaneamente
l’esperienza di appartenervi, in assenza di un fine
sessuale e del desiderio di una modificazione
permanente del proprio sesso anatomico.
Il Transessualismo corrisponde al desiderio di vivere
ed essere accettato come membro del sesso opposto e
di adeguare ad esso il più possibile il proprio corpo con
trattamenti ormonali e/o chirurgici. Il termine
“Transessualismo” è stato abolito nel DSM IV e figura
solo nell’ICD-10.
Disturbi dell’Identità di Genere
Caratteristica centrale è l’incongruenza tra il sesso
biologico e l’identità di genere. Questa si definisce
nella prima infanzia come maschile o femminile ma in
alcuni casi si riscontra un sentimento di disagio e di
inadeguatezza riguardo al proprio sesso biologico che
si manifesta con un intenso desiderio di appartenere
al sesso opposto, rinnegando la propria anatomia.
Sviluppo e mantenimento dei Disturbi
dell’Identità di Genere
Si tratta di un processo articolato e complesso in cui
fattori biologici e psicologici individuali agiscono
in sinergia con fattori familiari e socio-culturali.
La familiarità è stata descritta ma risulta essere debole.
Sembra che i livelli ormonali in epoca prenatale
possano operare un modellamento sui comportamenti
di genere e probabilmente anche l’orientamento
sessuale. È stato riportato il ruolo di una resistenza
ormonale a livello cerebrale in caso di mutazioni
genetiche del recettore per gli androgeni.
Differenziazione sessuale del cervello
Differenze riguardo al sesso e al genere sono state
riportate nella dimensione e nel numero di cellule in
vari nuclei ipotalamici (detti nuclei sessualmente
dimorfici).
La differenziazione sessuale cerebrale prosegue ben
oltre la nascita e una moltitudine di fattori ambientali
e socio-culturali possono condizionarla
profondamente assieme a fattori genetici e biologici.
Sviluppo di un disturbo dell’Identità di
Genere
Questi soggetti nell’infanzia possono aver attuato
comportamenti stereotipati tipici dell’altro sesso e
averne preferito gli abiti.
La maggior parte di questi bambini sviluppa poi nella
vita adulta una normale identità di genere e un
normale comportamento sessuale; una minoranza
sviluppa un orientamento prevalentemente
omosessuale e una percentuale ancora inferiore si
stabilizza nel transessualismo da adulti.
Transessualismo: ipotesi psicodinamiche
La persona che soffre di questo disturbo vive la
sensazione che sarebbe dovuta appartenere all’altro
sesso: “uno spirito femminile intrappolato in un corpo
da uomo” (Morris, 1974).
Il transessuale ha un’idea prevalente/dominante spesso
sostenuta fino a un grado estremo: può cambiare il
nome sui documenti con uno femminile, cambiare la
descrizione del proprio sesso sui documenti lavorativi
e richiedere un intervento chirurgico per realizzare “la
restituzione all’aspetto giusto”.
Transessualismo: ipotesi psicodinamiche
I transessuali descrivono i sentimenti nei confronti del
loro corpo come già presenti nell’infanzia: la sensazione
di comodità e “giustezza” nell’indossare i vestiti delle
sorelle come sentirsi “naturalmente” orientati verso
interessi e obiettivi femminili.
La percezione della differenza tra l’immagine di sé e il
sesso biologico è nei loro racconti stabilita fin dalla
pubertà.
Nello sviluppo di questa condizione sono stati riportati
una relazione di reciproca interdipendenza dalla madre
e un padre assente.
Tansessualismo: teorie psicodinamiche e
teorie dell’apprendimento
Sono state invocate esperienze traumatiche a carico
dell’Io corporeo e del senso arcaico di sè, risalenti a un
alterato processo di separazione-individuazione e alla
persistenza di spinte fusionali per compensare la
mancanza o la distanza fisica e/o carenze psicologiche
di una o entrambe le figure genitoriali.
Secondo le teorie dell’apprendimento
l’incoraggiamento ad assumere comportamenti del
sesso opposto o la loro mancata soppressione da parte
dei genitori, potrebbero interferire con il consolidarsi
dell’identità di genere.
Psicopatologia associata a Disturbi
dell’Identità di Genere
Molti transessuali sperimentano un disagio nella loro vita derivante
da un disturbo di personalità ma il transessualismo è anche
compatibile con uno stile di vita stabile.
I transessuali mostrano sovente difficoltà di adattamento a scuola e
tendono ad avere un lavoro al di sotto delle loro capacità intellettive.
I disturbi psicotici dell’identità di genere non sono rari: nella
schizofrenia il disturbo dell’immagine di sé è globale e
potenzialmente incrinerebbe i sentimenti riguardo al sesso e al
genere. Spesso sono descritti deliri e allucinazioni a contenuto
sessuale: spesso credono di essere in procinto di cambiare sesso, di
essere omosessuali o credono che altri li ritengano tali.
Deliri depressivi possono nascere in relazione al genere di
appartenenza e assumerebbero un contenuto nichilistico o di colpa.
Il Sé e i Disturbi del Sè
Il concetto del Sé è di grande interesse nella Filosofia e
nelle scienze della mente ovvero nelle Scienze
Cognitive, nelle Neuroscienze e nella Psichiatria.
Si è tuttora lontani da un consenso su cosa significhi
esattamente il Sé.
Il Sé definito da un punto di vista fenomenologico è:
un polo soggettivo di esperienza ed azione che non è
soltanto un costrutto astratto o illusorio ma è vissuto
come un’autopresenza corporeizzata.
Sviluppo storico
La Fenomenologia moderna nella nozione del Sé si è
ispirata a Cartesio: “Cogito ergo sum”. Da allora vi è la
consapevolezza che ogni atto della soggettività
(pensare, immaginare, sentire, volere ovvero tutte
varianti del Cogito) porta con sé una prospettiva
esistenziale soggettiva.
Kant vedeva nel Sé una condizione trascendentale di
possibilità per ogni esperienza. Diversamente da
questa interpretazione, l’approccio fenomenologico
attribuisce al Sé una realtà esperenziale,
fenomenicamente manifesta.
Distinzione tra Sé Nucleare e Sé Narrativo
La Fenomenologia distingue tra il Sé Nucleare (o
minimale) e il Sé Narrativo (o esteso) riferendosi ai
limiti esperenziali del Sé.
Il Sé Nucleare racchiude alcune caratteristiche
strutturali dell’esperienza, senza le quali questa non
avrebbe il suo carattere soggettivo.
Il Sé Narrativo corrisponde al concetto di persona, di
essere umano che insieme comprende aspetti
esperenziali dell’Io, elementi linguistici, disposizioni
cognitive ed emotive (temperamento, carattere,
personalità, abitudini, valori e ideali).
Il Sé Nucleare
Il Sé Nucleare a cui ci si riferisce anche come “Ipseità” è la
configurazione di base del flusso della coscienza, che a sua
volta comprende l’auto-coscienza e la prospettiva in prima
persona (entrambi sono aspetti di un unico insieme). È il
requisito minimo perché un’esperienza possa definirsi
soggettiva ovvero l’esperienza di qualcuno.
Il termine auto-coscienza fa riferimento al fatto che
l’esperienza è familiare con se stessa o che come tale si
riconosce, cioè si automanifesta.
La prospettiva in prima persona è una modalità caratteristica
per cui l’esperienza assume sempre un carattere personale:
“Meità”.
Il Sé Narrativo
L’Identità del Sé Narrativo è quella di un’unità costruita su basi
culturali come prodotto delle interazioni sociali dipendenti dal
linguaggio.
Deriva dal concepire e organizzare la propria vita in un certo
modo. Quando ci chiediamo “chi sono io?”, raccontiamo una
storia, valorizziamo gli aspetti che riteniamo rilevanti, il
leitmotif della nostra vita, quello che definisce chi siamo, ciò
che offriamo agli altri per il loro riconoscimento e la loro
approvazione.
Parte dell’essere umano è cercare una narrativa che sia il più
possibile coerente e integrata.
I concetti di immagine di Sé, di auto-rappresentazione e di auto-
stima appartengono tutti al dominio del Sé Narrativo.
I Disturbi del Sè
La Psicopatologia descrittiva definisce i Disturbi del
Sé o Disturbi dell’Io come esperienze interiori
anomale dell’interezza del Sé e dei suoi domini che si
riscontrano nei disturbi psichiatrici.
Queste esperienze possono avvenire nello stato di
consapevolezza interiore del paziente, in modo
indipendente dagli eventuali cambiamenti che questi
può mostrare nella propria esperienza o nei propri
atteggiamenti riguardo il mondo esterno.
Le dimensioni della consapevolezza di Sè
Jaspers descrisse la consapevolezza di Sé come la capacità di
distinguere l’Io dal non io, con quattro caratteristiche formali alle quali
Scharfetter aggiunse una quinta dimensione, la vitalità dell’io. Oggi visto
che la vitalità viene fatta rientrare nella consapevolezza di esistere e nella
consapevolezza dell’attività, si distinguono 5 dimensioni del Sé che sono:
1. il sentimento della consapevolezza di esistere,
2. il sentimento di consapevolezza dell’attività dell’Io,
3. la consapevolezza di unicità,
4. la consapevolezza di identità,
5. la consapevolezza dei confini del Sé.
Distinguiamo dunque i Disturbi del Sé in relazione a quali delle
suddette dimensioni risultano alterate.
1.Disturbi della consapevolezza di esistere
L’esperienza che un paziente fa della sua esistenza può
essere alterata, questo avviene nei deliri nichilistici
che possiamo osservare nelle psicosi affettive:“Io non
esisto, qui non c’è nulla”.
Ideazioni nichilistiche meno accentuate (non
deliranti) si possono riscontrare in alcune forme di
depersonalizzazione in cui si ha un’alterazione
dell’esperienza di Sé, accompagnata dal sentimento di
un mutamento o di una perdita del significato
attribuito al Sé: “Mi sento irreale, confuso, come se non
fossi più certo di essere ancora me stesso”.
2.Disturbi della consapevolezza dell’attività
dell’Io
Il movimento può mostrare delle anomalie che osserviamo
nell’esperienza di passività o nei deliri di controllo dei pazienti affetti
da schizofrenia.
La memoria e l’immaginazione possono essere alterate nel paziente
affetto da depressione che avverte la propria incapacità a innescare il
ricordo o la fantasia, come anche nel paziente affetto da schizofrenia
che può sentire che le sue azioni non sono avviate da se stesso bensì
dall’esterno.
La volontà può essere compromessa nel paziente schizofrenico che
non esperisce più la sua volontà come propria, come anche nel
paziente depresso che descrive la sua incapacità a iniziare un’attività
accanto a una sensazione di inadeguatezza di fronte alle vicissitudini
della vita fino ad arrivare a un delirio nichilistico in cui ci si ritiene
incapaci di fare qualsiasi cosa.
3.Disturbi della consapevolezza della
propria unicità
Rientrano in questi disturbi:
a)l’ Autoscopia,