Sei sulla pagina 1di 248

A nonna,

Mio punto di riferimento speciale.

1  
 
Indice

Indice……………………………………………………………………………….....2

Introduzione …………………………………………………………………….........4

Capitolo 1 - Introduzione All’omosessualità’ …………………………..........7

1.1. Le differenze di genere ……………………………………………………….....7

1.2. L'acquisizione dell'identità sessuale …………………………………………....18

1.3.La formazione dell’identità omosessuale ………………………………………31

1.4. Omosessualità e i principali approcci sociologici ……………………………..35

1.5. Il coming- out ………………………………………………………………......44

Capitolo 2- Omofobia E Società ………………………………………….....50

2.1. Storia e critica del termine omofobia…………………………………………..50

2.2. Maschilità e Omofobia ………………………………………………………...56

2.3. Minority stress ………………………………………………………………....63

2.4. L'omofobia interiorizzata ………………………………………………………66

2.5. Conseguenze sociali dell’omofobia ……………………………………………70

Capitolo3- Il Progetto Di Ricerca Sull’omofobia ………………………….75


3.1. Metodologia della ricerca e approccio biografico ……………………………..75
3.2. L’utilizzo della Grounded Theory nella metodologia di analisi dei dati……….81
3.3. Descrizione del campione ……………………………………………………...83
3.4. Analisi dei racconti di vita …………………………………………………......86
3.5. Criticità emerse nella ricerca sul campo ……………………………………...127

2  
 
Conclusioni………………………………………………………………………...133
Appendice ………………………………………………………………………....136
Bibliografia ………………………………………………………………………..239
Sitografia…………………………………………………………………………...243

3  
 
Introduzione

L’idea per questo progetto di tesi è nata da una duplice motivazione, una è
conseguente al mio carattere e alla mia sensibilità che mi porta a rifiutare ogni forma
di discriminazione e in questo caso, l’ostilità basata sulle preferenze sessuali, la
seconda è che credo possa essere utile e interessante approfondire analiticamente e
sperimentalmente attraverso la ricerca sul campo, quale sia il grado di omofobia nella
società odierna.

Per introdurre la mia tesi, penso sia necessario innanzitutto chiarire la


distanza che intercorre fra tre concetti chiave del nostro discorso, ossia quelli di
sesso, genere e orientamento sessuale. Il termine “sesso” indica l’appartenenza a una
categoria biologica o anatomica, mentre la parola “genere” sposta l’attenzione sul
piano psicologico, indicando come il soggetto percepisce se stesso e quindi se si
riconosce maggiormente come uomo o donna (Lingiardi V. e Luci M., in Rigliano P.
e Graglia M. 2006, pag. 1). L’orientamento sessuale invece, tema su cui ci
soffermeremo, non è in relazione con i connotati biologici dell’individuo o con la
categoria sociale in cui si riconosce, riguarda invece l’oggetto verso il quale
s’indirizzano le sue pulsioni sessuali. Spesso nella società emerge molta confusione
rispetto alle differenze fra i tre concetti, confusione che si delinea nettamente
osservando gli stereotipi del tutto errati a cui gli omosessuali vengono ricondotti.
Ormai si possono vedere ovunque: nei discorsi intrisi d’odio irrazionale dei
compagni di scuola, negli insulti che giovani e adulti si rivolgono nei momenti d’ira,
nelle peggiori paure di ogni genitore che non sia informato o consapevole di cosa
significhi essere gay, lesbica, bisessuale o transessuale. In tali stereotipi,
l’omosessuale maschio è sempre ricondotto a una femminuccia priva di virilità,
l’omosessuale femmina, invece, a un maschiaccio incapace di ogni femminilità. Tale
fraintendimento nasce dall’ingenuità e da modalità di pensiero difensive, in sostanza,
da una rigidità di pensiero che impone ordine e simmetria in un campo dove non ve
ne sono mai stati, cioè nella sessualità umana, che appare così vincolata alle rigide

4  
 
categorie binarie di maschio/femmina, uomo/donna, attivo/passivo (Lingiardi V.
2007, Pag. 47-48).

Nel 1973 l’omosessualità è stata rimossa dalla lista delle malattie mentali, il
Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders, dell’ American Psychiatric
Association, ed è stata riconosciuta la natura dell’omosessualità come una variante
non patologica del comportamento sessuale. Nel 1993, questa decisione è stata
ufficialmente condivisa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Montano, 2007).

In Italia, il divario tra quanto diciamo ogni giorno sugli omosessuali e quanto
sappiamo su di loro è ormai profondo. I giornali e la TV dedicano sempre più spazio
ai gay e alle lesbiche, ma il mondo accademico non mostra alcun interesse. Così in
mancanza di dati e di conoscenze solide, nei servizi dei mass media e nelle
conversazioni private, dominano i luoghi comuni, gli stereotipi e i pregiudizi. Questo
porta ad alimentare il fenomeno dell’omofobia (Barbagli, Colombo, 2001, p.10).

Il termine “omofobia” fu coniato da Weinberg nel 1972 che lo usò per


indicare la paura degli eterosessuali di trovarsi a stretto contatto con gli omosessuali,
e il disgusto verso se stessi, da parte degli omosessuali. In seguito diversi autori
hanno sottolineato la scarsa appropriatezza del termine. Infatti, Szymanski (2004)
sostiene che gli atteggiamenti contro i gay e lesbiche non sono necessariamente
irrazionali o il riflesso di una paura, ma possono essere delle scelte intenzionali
contro la minaccia di una minoranza percepita dal gruppo dominante o comunque
finalizzata ad imporre valori culturali e religiosi.

Anche secondo Ross e Rosser (1996) il termine “omofobia” indica una


concezione negativa dell’omosessualità, piuttosto che denotare una fobia o la paura
degli omosessuali. Sono state quindi proposte delle parole che sostituissero il termine
di omofobia, come per esempio, eterosessismo, omosessismo, omonegativismo, con
l’obiettivo di includere in un unico insieme tutti gli atteggiamenti negativi verso
l’omosessualità e le persone omosessuali.

5  
 
Nonostante questo, il termine omofobia ha continuato a essere utilizzato nella
letteratura scientifica, e ormai occupa uno spazio specifico anche all’interno delle
scienze sociali (Montano, 2007). Kimmel (1996) sostiene che l'omofobia sia
strettamente correlata sia al sessismo sia al razzismo. Infatti, la paura di essere
percepiti come degli effeminati, o come dei gay, costringe gli uomini ad eseguire
tutti i tipi di atteggiamenti e comportamenti conformi alla mascolinità, in modo che
nessuno possa farsi un'idea sbagliata sulla loro identità sessuale. Quindi la virilità
diventa una sorta di arma di difesa contro la minaccia di umiliazione da parte di
alcuni uomini verso altri uomini.

Nel progetto di ricerca sull’omofobia è stato eseguito il campionamento


attraverso cinque interviste biografiche somministrate a giovani maschi residenti in
alcuni paesi dell’entroterra della Sardegna (Anglona), di un’età compresa tra i 25 e i
35 anni. Le interviste sono state svolte nel mese di maggio 2011. Il mio obiettivo è stato
quello di analizzare le testimonianze, comportamenti, atteggiamenti e opinioni degli
intervistati. Per rispondere alla “sfida” dei metodi qualitativi, ho deciso, convinta
dell’alta potenzialità metodologica di svolgere la ricerca empirica attraverso quello che
definiamo un “incontro sinergico e complementare” tra l’approccio biografico e la
Grounded Theory (Chicchi, 2000).

Con il mio lavoro di tesi spero di smuovere nel mio piccolo le coscienze
verso questo tipo di discriminazione perché gli studi e le ricerche in questo campo,
sin quando saranno presenti episodi omofobici, non saranno mai abbastanza. Perché
una società per evolversi e cambiare, deve sapersi raccontare, e per fare questo deve
cercare di affrontare i propri limiti.

6  
 
Capitolo 1.

Introduzione all’omosessualità

1.1. Le differenze di genere

Con il termine genere si indica “il modo sessuato con il quale gli esseri umani si
presentano nel mondo e sono percepiti nella società”. Il termine segnala la duplice
presenza degli uomini e delle donne e anche l’insieme dei processi con i quali ogni
società trasforma la sessualità biologica in prodotti dell’attività umana e costruisce la
vita e l’esperienza di uomini e donne differenziandoli l’uno dall’altro (Piccone Stella,
2007, p.2).

Nella vita di tutti i giorni, il genere è qualcosa che diamo per scontato, perché
identifichiamo istantaneamente una persona come maschia o femmina, donna o
uomo, ragazzo o ragazza, e organizziamo gran parte della nostra giornata sulla base
di questa distinzione (Connell, 2006, p.30).
Questo termine deriva da un’antica radice indoeuropea che significa “produrre”.
Nella grammatica inglese, s’iniziò a utilizzare il termine “gender” in riferimento a
una specifica distinzione tra classi di nomi, come riporta l’ Oxford English
Dictionary del XIX secolo. Molte altre lingue invece hanno adottato una
suddivisione di genere tripartita: il maschile, il femminile e il neutro. La maggior
parte dei dibattiti contemporanei sul genere, tralascia, però la terza categoria e rende
evidente la dicotomia maschio/ femmina.
Nella sua accezione più comune, il termine “genere” indica la differenza
culturale tra uomini e donne basata sulla distinzione biologica tra maschile e
femminile. Questa definizione però presenta forti obiezioni:
• La vita umana non si divide unicamente in due sfere. Anche se la nostra
rappresentazione del genere è spesso dicotomica, la realtà invece non lo è.

7  
 
• Una definizione che si basa sulla differenza implica che dove non possiamo
vederla, non possiamo vedere nemmeno il genere. In questa prospettiva non
potremmo riconoscere come il genere influenzi il desiderio lesbico o gay.
• Una definizione basata sulla dicotomia esclude dal concetto di genere
modelli che prevedono una differenza tra donne e donne, o tra uomini e
uomini.
• Una definizione basata su caratteristiche personali ignora i processi che si
svolgono in una dimensione superiore a quella individuale, in altre parole
quei processi sociali che si basano su capacità condivise da uomini e donne
più che da differenze esistenti tra loro.

Con lo sviluppo delle scienze sociali si è trovato un modo per superare queste
difficoltà. Il passo fondamentale è stato quello di spostare l’obiettivo dalla
differenza alle relazioni: il genere, infatti, riguarda soprattutto le relazioni sociali,
all’interno delle quali agiscono gli individui e i gruppi.
Le relazioni sociali rappresentano ciò che la teoria chiama “struttura”. Connell
afferma che il genere deve essere concepito come una struttura sociale. Esso non è
espressione della biologia, né rappresenta una dicotomia immutabile, ma una
rappresentazione della nostra organizzazione sociale. E’ altrettanto vero però che
il genere rappresenta una struttura sociale di tipo particolare, perché implica una
forte relazione con il corpo. Quest’aspetto è riconosciuto nella comune
definizione del genere come espressione tra corpo maschile e corpo femminile.
Quello che c’è di sbagliato in questa formulazione non sta nell’importanza che
essa attribuisce al corpo, bensì nell’idea che certi schemi culturali possano
semplicemente esprimere delle differenze corporee.
Quello che invece possiamo dire è che in modi differenti, la società fa
riferimento al corpo e chiama in causa la differenza riproduttiva.

8  
 
Non esiste nessuna base biologica fissa nei processi sociali che riguardano il
genere. Per Connell esiste invece un’arena in cui i corpi sono coinvolti nei
processi sociali che è denominata “arena riproduttiva”.
Questo permette quindi di dare una definizione del genere che evita i
paradossi della differenza: “Il genere è quella struttura delle relazioni sociali che
è incentrata sull’arena riproduttiva, e quell’insieme di pratiche, regolate da
questa stessa struttura, che fanno rientrare le differenze riproduttive dei corpi nei
processi sociali”.
Le differenze di genere sono concetti relativamente nuovi nella riflessione
sociologica: infatti, sono state sempre considerate delle variabili strutturali
all’interno d’indagini empiriche, piuttosto che delle vere e proprie categorie
analitiche in grado di orientare e costruire una conoscenza sociologica. Alcuni
studiosi hanno dovuto ammettere, nel corso degli ultimi decenni, che nessuna
lettura della società contemporanea può fare a meno di tener conto delle
differenze di genere, considerandole come degli aspetti cruciali del processo del
mutamento sociale, proprio perché leggono i fenomeni sociali considerando, in
prima istanza, il continuo accrescere della differenziazione sociale, caratteristica
delle società complesse (Cesareo, 1998, p. 147). Anche gli stessi Marx, Durkheim
e Weber, si rivelano, nei loro scritti, influenzati dalla concezione, ancorata al
pensiero del XIX secolo che le differenze di genere fossero assunte nel loro
aspetto biologico; per esempio Durkheim sostiene che mentre l’uomo è per lo più
un prodotto sociale, la donna è, di fatto, molto più legata a fattori di ordine
naturale.

Le differenze di genere, successivamente esplorate nell’ambito sociologico


sono state legate a tematiche quali la famiglia, con maggiore attenzione al fatto
che il nucleo familiare fosse un mondo tipicamente femminile; di fatto, in altre
aree in cui la sociologia andava impegnandosi nel secondo dopoguerra, quali
devianza, o la nascita di nuove forme di comunicazione, la presenza delle donne è
stata quasi sempre ignorata. E’ grazie alla “seconda ondata” del femminismo,

9  
 
sviluppatasi negli anni Settanta, che il “gender”, inteso come costruzione sociale
dell’identità sessuale maschile e femminile, entra a pieno titolo del dibattito
teorico delle scienze sociali.

Nella riflessione femminista, il “genere” acquisisce una precisa caratteristica,


ovvero, quella di svolgere un ruolo decisivo nel descrivere il punto di vista delle
differenze in generale; l’idea del “genere” come fattore determinante nella
formazione delle disuguaglianze sociali nasce, infatti, in un movimento che si
affaccia sulle scene con lo slogan “personal is political”.

Le differenze di genere indicano la diversa costruzione sociale dell’identità


maschile e femminile. Esse non fanno quindi riferimento a una differenza
biologica, quanto piuttosto alle asimmetrie che, sia sul piano della
concettualizzazione, sia su quello della ricerca empirica, si verificano
nell’esperienza degli uomini e delle donne.

In conformità a quest’affermazione, volta alla costruzione di una nuova


identità femminile, prende il via tutta una serie di studi e ricerche sull’esperienza
femminile e sul ruolo sociale delle donne in ambito fino ad allora poco studiati.

Il genere, così come maturato nel pensiero femminista, porta la ricerca


sociologica, unitamente a quella antropologica, filosofica e psicanalitica, a
lavorare non più sulla differenza sessuale come naturalmente data, ma sulla
valenza simbolica, in altre parole, a considerarla come struttura culturale che
organizza le relazioni sociali e sessuali tra uomini e donne.
Le differenze di genere sono, attualmente, al centro di un dibattito che da un
lato, viene portato avanti sotto la spinta del movimento femminista, soprattutto in
campo accademico; dall’altro, trova forti riscontri nell’interesse della pubblica
opinione e nell’attenzione dedicata a queste tematiche dai mass media: si pensi
per esempio, alle polemiche suscitate dall’introduzione del termine gender come
sostitutivo di sex nel documento finale della IV Conferenza ONU sulle donne a
Pechino, nel settembre 1995.

10  
 
La riflessione teorica contemporanea sulle differenze di genere si è
gradualmente spostata verso la loro analisi in rapporto ad altri aspetti delle
diseguaglianze sociali, specialmente per quanto riguarda il concetto di
orientamento sessuale. Difatti le differenze di genere giocano un ruolo decisivo
in ogni aspetto della vita sociale e culturale, poiché il genere è una delle categorie
fondamentali attraverso cui codifichiamo l’esperienza, all’interno della quale sia
gli aspetti naturali sia quelli sociali del nostro quotidiano acquistano un
significato (Cesareo, 1998, p.155).

Fra tutte le scuole di pensiero delle scienze sociali, la psicoanalisi è quella che
più si è occupata del tema delle differenze di genere. Secondo Freud (1948),
l’identità infantile di genere si fonda sul riconoscimento di avere un pene nel
bambino o di non averlo nella bambina. Nel bambino, il pene costituisce il
simbolo dell’identità maschile, l’elemento garante del suo futuro ingresso a pieno
titolo nel potente mondo degli uomini. Sia i bambini sia le bambine crederebbero
sia la mancanza del pene sia l’esito della castrazione. Nel corso della fase
edipica, tra il terzo e il quinto anno di età, la crescente consapevolezza sessuale
del bambino teme di essere punito con la castrazione del suo più potente rivale, il
padre. Questo conflitto troverà soluzione attraverso la rimozione dei sentimenti
nei confronti della madre e mediante l’identificazione del padre, il bambino
interiorizzerà ciò che la sua figura simboleggia: autorità, norme e costumi sociali.
Secondo Freud, è questa introiezione a spiegare la presenza nell’uomo di una
coscienza e di un senso”ideale” molto sviluppato. Al contrario le bambine
sapendo che la loro condizione di “castrazione” le rende dei soggetti di secondo
piano, inevitabilmente vedranno nelle madri dei soggetti che ricopriranno una
posizione subalterna.

Quindi identificandosi con la madre, la bambina finisce con assumere un


atteggiamento di sottomissione fondato sul riconoscimento del proprio status
d’inferiorità. Inoltre, non avendo risolto, a differenza del bambino, il proprio
conflitto edipico, la bambina non raggiungerà mai la stessa forma di carattere e la

11  
 
saldezza d’ideali del maschio. La teoria Freudiana sul genere valorizza con
chiarezza la mascolinità, ma non riconosce chiaramente il valore della
femminilità. E nonostante le numerose obiezioni, le teorie di Freud hanno
esercitato notevole influenza, specialmente in medicina e psichiatria (Freud,
1948, p.35).

Vivien Burr (1998), afferma che il “genere” sia il significato sociale assunto
dalle differenze sessuali. Il termine designa l’insieme di caratteristiche e
comportamenti che finiscono per essere rispettivamente associati ai maschi e alle
femmine e perciò da loro attesi all’interno di una determinata società. Il termine
“genere” designa appunto i concetti di mascolinità e femminilità e le loro
differenze, siano esse realmente presenti o supposte tali. Le “differenze sessuali”
invece designano il corpus di ricerche che ha cercato di valutare la natura e
l’estensione delle differenze psicologiche fra i sessi. Uno studio classico è quello
di Maccoby e Jacklin (1974). La differenziazione di genere è l’enfatizzazione di
differenze reali fra uomini e donne o la creazione di differenze non presenti in
natura (attraverso l’uso di capi di abbigliamento di colori diversi, acconciature
diverse, pronomi personali diversi per i due sessi, ecc). Le differenze di
comportamento e di trattamento tra uomini e donne, sono continuamente
sottolineate e messe in discussione. Difatti sappiamo quali sono i giochi ritenuti
più adatti per i bambini e per le bambine. Conosciamo anche le differenze nei
ruoli espressi dalle donne e dagli uomini nella famiglia, nella carriera.

Quindi il genere si esprime nelle nostre vite in modo multiforme. Ecco alcuni
esempi:

• Uomini e donne utilizzano differenti linguaggi del corpo. Adottano diverse


posture quando parlano, e utilizzano gesti ed espressioni diverse quando
parlano.
• Anche nel conversare si esprimono differenze delle quali non sempre si è
consapevoli a livello conscio. Nei gruppi misti, gli uomini tendono ad

12  
 
intervenire di più con affermazioni e richieste dirette ad interrompere di più
gli interlocutori. Le donne, invece, tendono ad essere interrotte, a formulare
richieste indirette.
• Quando per esempio osserviamo per la prima volta una grafia sconosciuta,
abbiamo la sensazione di poter risalire dalla forma e dal tratto al sesso dello
scrivente. Noi tendiamo a interpretare attività quotidiane come lo scrivere, in
termini di genere.
• Vivien Burr (1998) sostiene che tendiamo a sottolineare continuamente la
nostra appartenenza sessuale nella scelta degli oggetti, anche quando questa
sottolineatura non sembrerebbe avere ragioni concrete. Le notevoli differenze
di dimensione o di stile che distinguono gli orologi da polso, le calze, le
pantofole, i gioielli, non possono dipendere unicamente dalle differenze
fisiche fra i due sessi. Queste differenze sono sottili, ma non banali, perché
dimostrano che la nostra vita quotidiana contiene tantissimi messaggi sulle
differenze sessuali. Il linguaggio corporeo maschile e femminile e il modo in
cui essi interagiscono, non sono semplice espressione di differenze
convenzionali di stile, ma sono dei messaggi importanti sul modo in cui gli
interlocutori sentono di poter occupare lo spazio fisico e comunicativo
all’interno di una società
I termini “mascolinità” e “femminilità” si riferiscono alle attese
sociali e culturali nei confronti della donna e dell’uomo e coprono ogni
aspetto dell’esistenza, dal pensiero alla condotta, dagli ideali all’aspetto
fisico. Queste attese, sono continuamente riprodotte dai membri di una stessa
cultura, esse variano nel tempo e nei luoghi e non sono sempre uguali a se
stesse. Per esempio, come la bellezza classica di Rubens sarebbe oggi
considerata poco attraente perché troppo abbondante di forme, anche la pelle
abbronzata, oggi divenuta uno status, solo un secolo fa era considerata
volgare e poco femminile. Questi esempi illustrano il legame fra gli standard

13  
 
di femminilità e le condizioni di vita e di distribuzione della ricchezza .
(Burr,1998, p. 24)
Le “differenze sessuali” sono state indagate, come abbiamo detto, in
maniera approfondita dalla psicologia,a partire dai primi del ‘900. La ricerca
sulle differenze sessuali è però un settore caotico e confuso, privo d’indirizzi
precisi. Questo stato di cose dipende, almeno in parte, dal fatto che, in molti
casi, le differenze segnalate costituiscono risultati secondari di ricerche
progettate per rispondere a questioni del tutto diverse.
Fra le indagini che sono state compiute per rivedere quest’insieme di dati di
ricerca allo scopo di individuare eventuali temi comuni, la più conosciuta è
rappresentata dalla rassegna di Maccoby e Jacklin (1974).
Maccoby e Jacklin, con la ricerca Psychology of Sex Differences del
1975, affermano che “le società abbiano la possibilità di minimizzare,
anziché massimizzare le differenze tra i due sessi, attraverso le loro pratiche
di socializzazione. Una società potrebbe, per esempio, spendere le proprie
energie più a moderare l’aggressività maschile che a preparare le donne a
sottomettersi a questa stessa aggressività, oppure a incoraggiare gli uomini a
dedicarsi alle attività di cura degli altri anziché ostacolarli in questo”
(Connell, 2006, p.86).
Dopo aver passato in rassegna un enorme numero di studi di ricerca
aventi come oggetto un’ampia varietà di comportamenti, caratteristiche e
abilità, questi autori hanno concluso il loro studio osservando che i dati
disponibili consentivano di affermare la presenza di differenze fra i due sessi
rispetto a quattro settori:
• Capacità verbale: nel corso della crescita, le ragazze acquistano una
competenza verbale maggiore dei ragazzi, misurabili attraverso prove
di fluidità, di comprensione, di scrittura verbale, ecc.

14  
 
• Capacità visuospaziali: con la crescita, i ragazzi riescono meglio delle
ragazze nell’esecuzione di compiti visuospaziali come il test delle
figure sovrapposte (Embedded Figures Test).
• Capacità matematiche: dopo i dodici anni, i ragazzi dimostrano
capacità matematiche superiori alle ragazze. Secondo numerosi
ricercatori, questa superiorità deriverebbe dal possesso di superiori
capacità visuospaziali che avvantaggiano i maschi nella risoluzione di
problemi che contengono rappresentazioni geometriche.
• Aggressività: è l’area dove si manifesta più chiaramente una
differenza fra i due sessi. Fin dalla prima infanzia, i ragazzi si
dimostrano più aggressivi delle ragazze tanto su un piano verbale,
quanto su un piano fisico e tendono ad abbandonarsi più
frequentemente a giochi di lotta e a fantasie aggressive.

La conclusione di Maccoby e Jacklin è che le differenze stereotipiche fra i


due sessi comunemente rilevate non siano in molti casi supportate da
adeguate prove empiriche. Le differenze fra i due sessi nelle quattro aree
citate, pur rilevanti, sono modeste a dimostrazione di una tendenza comune a
sottolineare le differenze e minimizzare i punti di contatto fra i sessi.
Generalmente, rispetto alle dimensioni studiate si osserva una grande
omogeneità che induce a pensare che le differenze all’interno dei sessi
possano essere altrettanto marcate di quelle fra i sessi.

I dati di ricerca raccolti dagli studi sulle differenze sessuali vanno però
presi con cautela. Difatti gran parte del comportamento umano dipende
fortemente dal contesto sociale nel quale si esprime (è cioè “specifico”
rispetto alla situazione). Se le cose stanno così l’aggressività, la generosità e
la timidezza dei bambini varia a seconda del contesto in cui si trovano: la
casa, la scuola, il parco cittadino e anche a seconda di chi è presente e
osserva. Questo non significa ignorare i risultati della ricerca sulle differenze

15  
 
sessuali. I dati sull’aggressività sembrerebbero sostenuti da un’ampia serie di
fenomeni della vita sociale. Si sa, per esempio che la violenza negli stadi, le
liti domestiche, gli stupri sono commessi soprattutto da uomini. Sappiamo
anche che le differenze riscontrate a livello delle abilità spaziali e di quelle
linguistiche sono coerenti con le scelte scolastiche dei due sessi
nell’educazione superiore. Nonostante i limiti evidenziati, è ragionevole
ipotizzare che i due sessi si differenzino rispetto ad alcune caratteristiche
psicologiche. Le decisioni e le politiche sociali in vari settori, da quello
educativo a quello penale, dalla salute fisica a quella mentale risentono
profondamente delle credenze correnti circa le determinazioni biologiche e
ambientali dei comportamenti. Si ritiene che le influenze biologiche abbiano
maggior forza e profondità delle forze sociali. Non solo si sostiene la
superiorità delle forze biologiche su quelle sociali, ma si tende anche a
sopravalutare l’elemento naturale rispetto a quello culturale. Nella società
occidentale contemporanea, l’elemento naturale ha acquisito non soltanto un
valore estetico positivo, ma anche un valore morale. Naturale è divenuto
sinonimo di giusto. Per esempio, coloro che non riconoscono
nell’omosessualità una forma legittima di esistenza spesso sottolineano il
carattere innaturale e sentono con chiarezza che dimostrando l’innaturalità del
comportamento omosessuale se ne dimostra l’illegittimità. Analogamente, la
tesi della naturalità delle differenze di genere ha assunto il peso di un
imperativo morale: se gli uomini e le donne sono diversi per natura, queste
differenze devono essere giuste. Freud (1905), inoltre sostiene che la a
sessualità non può essere considerata come un’entità a sé state, ma va
inquadrata nel contesto globale della personalità, come ha dimostrato la
psicoanalisi che, attraverso la scoperta delle sue origini nell’infanzia, da un
lato ne ha sottolineato il significato centrale nello sviluppo umano, dall’altro
ha dimostrato i rapporti tra i disturbi sessuali e sessualità “normale”. Freud
(1920), ha distinto nella sessualità tre ordini di fattori: le caratteristiche
sessuali fisiche e psichiche e il tipo di scelta oggettuale. Le classificazioni più

16  
 
recenti, al di là della diversa terminologia, rintracciano nella componente
psicologica un elemento interno, ossia l’identità di genere, e un elemento
esterno, il comportamento sessuale (Burr V., 1998, p.39).

Connell (2006) afferma che essere “uomo” o “donna” non è quindi una
condizione stabilita in modo definitivo, ma il risultato di un continuo
mutamento.
Simone de Beauvoir, femminista francese definiva questo processo con una
definizione divenuta oramai classica: “donna non si nasce, si diventa”.
Questa considerazione include anche gli uomini. Perciò non possiamo
pensare all’essere uomo o donna come a una condizione stabilita dalla natura.
Allo stesso tempo, però non dovremmo considerarla una condizione che è
imposta dall’esterno, dalle norme sociali o dalla pressione delle autorità. Sono
le persone stesse a costruirsi maschili o femminili. La maggior parte delle
persone, lo fa di buon grado, per esempio, indossando una giacca di pelle e
stivali da motociclista, dichiarandosi felicemente maschile. Oppure al
contrario, indossando una camicetta con pizzo e tacchi alti, il corpo si
dichiara felicemente femminile. Dobbiamo considerare però che le ambiguità
di genere non sono così rare. Esistono donne mascoline e uomini con
atteggiamenti femminili.
Esistono movimenti sociali rivolti a ristabilire la “famiglia tradizionale”, a
recuperare i temperamenti maschili e femminili tradizionali. Lo sforzo che
queste associazioni fanno per difendere le categorie tradizionali, finisce però,
per sostenere anche le relazioni che intercorrono tra loro, e per avallare, di
conseguenza, le diseguaglianze e i danni che queste producono. I ragazzi e gli
adulti che si discostano dalle definizioni dominanti della maschilità poiché
omosessuali, effeminati, diventano spesso oggetto di offese verbali e
discriminazioni. Allo stesso tempo, anche gli uomini che si conformano alle
definizioni dominati della maschilità possono finire per pagarne un prezzo.

17  
 
Una ricerca sulla salute maschile ha rivelato che, rispetto alle donne, gli
uomini hanno un tasso più alto d’infortuni sul lavoro, di morte per cause
violente e di abuso di alcolici. I ragazzi e gli adulti che si discostano dalle
definizioni dominanti della maschilità poiché omosessuali, effeminati,
diventano spesso oggetto di offese verbali e discriminazioni. Allo stesso
tempo, anche gli uomini che si conformano alle definizioni dominati della
maschilità possono finire per pagarne un prezzo. Una ricerca sulla salute
maschile ha rivelato che, rispetto alle donne, gli uomini hanno un tasso più
alto d’infortuni sul lavoro, di morte per cause violente e di abuso di alcolici.
La disuguaglianza e l’oppressione verso queste categorie hanno portato alla
nascita di movimenti di riforma, come per esempio le lotte del XIX secolo per i
diritti di proprietà delle donne sposate e per il voto femminile, o quelle del XX
secolo per un cambiamento delle leggi sull’omosessualità e delle pari opportunità
del pubblico impiego e sulla violenza domestica.
Ci sono state anche iniziative politiche che invece hanno cercato di resistere a
questi cambiamenti e che hanno promosso delle controriforme, come per
esempio, le campagne contro gli omosessuali o contro l’aborto. Il Movimento di
Liberazione della donna e quello omosessuale degli anni Sessanta e Settanta
hanno avuto un ruolo centrale. Certo, non sono riusciti a realizzare tutti gli
obiettivi politici che si erano prefissati, ma hanno avuto un importante impatto
culturale su una larga fetta della popolazione. Questo ha rappresentato il punto di
partenza della ricerca di genere contemporanea (Connell, 2006, p.87).

1.2. L’acquisizione dell’identità sessuale

Le concezioni di senso comune sul genere ruotano attorno alla differenza tra
uomini e donne. Gli esseri umani condividono con molte specie vegetali e
animali il sistema della riproduzione sessuale, che è un prodotto dell’evoluzione
che ha avuto inizio circa quattrocento milioni di anni fa. L’informazione genetica

18  
 
è codificata nel DNA ed è contenuta nei cromosomi. Nella riproduzione sessuale,
l’informazione che viene combinata con la fecondazione deriva per metà dalla
femmina, dal nucleo dell’uovo, per metà dal maschio, dal nucleo dello
spermatozoo. Le cellule umane hanno quarantasei cromosomi, appaiati tra loro a
due a due. Una coppia di questi, i cromosomi sessuali, influenzano lo sviluppo
delle caratteristiche sessuali maschili e femminili di un corpo. Sulla base di
queste informazioni genetiche, i corpi maschili e i corpi femminili sviluppano
organi specifici, come l’utero, il seno, i testicoli, che produrranno un certo
equilibrio degli ormoni che circolano nel sangue.
Le differenze fisiche tra maschi e femmine cambiano nel corso della vita. Nelle
prime fasi dello sviluppo, i corpi sono relativamente simili. Ma anche all’inizio
dell’età adulta, le caratteristiche fisiche degli uomini nel loro insieme e delle
donne nel loro insieme, coincidono ampiamente.
L’esistenza di una differenza riproduttiva tra maschi e femmine negli esseri
umani non è oggetto di controversia; lo è, però, l’importanza che a essa è
attribuita. Ed è proprio su questa questione che le prospettive sul genere
divergono.
Connell (2006) descrive tre grandi linee:
• Quella della differenza naturale che considera il corpo come una macchina.
• Quella della separazione della sfera del genere da quella del sesso.
• Quella che concepisce il genere come un sistema simbolico e considera i
corpi come una tela che sarà poi la società a dover dipingere.

In molti dibattiti sul genere si suppone che la differenza riproduttiva tra maschi e
femmine si rifletta in tutta una serie di altre differenze: nella prestanza fisica,
nella velocità, nell’abilità manuale, nel desiderio sessuale (Connell, 2006, p.68).

Sesso e genere sono concetti strettamente correlati perché traducono le due


dimensioni dell’essere donna e dell’essere uomo, ossia la sfera biologia e quella
sociale e culturale. Il sesso è un dato biologico su cui la società ha costruito un

19  
 
potente sistema di ruoli che è rappresentato dalle differenze, ossia il genere. Per
Ruspini, con identità di genere s’intende “la percezione sessuata di sé e del
proprio comportamento, acquisita attraverso l’esperienza personale e collettiva,
che rende gli individui capaci di relazionarsi tra loro. L’identità di genere è una
delle componenti fondamentali del processo di costruzione dell’identità
caratterizzata da un processo dinamico. Esso è modellato dalle relazioni sociali,
non è immutabile e può andare incontro a delle modifiche nel corso della vita”.
La costruzione dell’identità di genere inizia con l’assegnazione a una categoria
sessuale in base all’aspetto degli organi genitali. Infatti, al momento della nascita
ogni bambino viene indicato come femmina o maschio mediante l’osservazione
dei genitali esterni. Questo riconoscimento è di fondamentale importanza perché
costituisce la base in cui andrà a costruirsi il processo di apprendimento
dell’identità di genere. Lo sviluppo psicologico e sessuale viene dunque connesso
sia alle caratteristiche fisiche che all’educazione e alla socializzazione.
Lorber (1995) afferma che bambini e bambine, ragazzi e ragazze sono
incoraggiati a comportarsi in modi differenti, imparano a camminare, parlare,
atteggiarsi nel modo prestabilito per il proprio genere e secondo le aspettative del
gruppo sociale di appartenenza.
Quindi il processo di acquisizione dell’identità di genere è strettamente connesso
alla definizione di ruoli di genere, cioè modelli che includono comportamenti,
doveri, aspettative sociali. Le donne e gli uomini devono conformarsi a questi
ruoli (Ruspini E., 2003, p.16).
Maschi e femmine, quindi, sono biologicamente differenti. Sebbene l’anatomia e
la fisiologia non costituiscano di per sé un destino, è molto probabile che queste
differenze biologiche influenzino la psicologia del maschio e della femmina. Non
considerare le differenze sessuali biologiche significherebbe disincarnare la
personalità e provare gli individui di una componente significativa della loro
identità.

20  
 
Quando esaminiamo le tematiche connesse alle differenze sessuali biologiche, è
necessario ricordare che l’essere biologico si sviluppa in un ambiente sociale. Il
significato di mascolinità e della femminilità biologica è socialmente e
culturalmente determinato, e quindi, deve essere inteso come il concerto della
biologia e della socializzazione che cooperano insieme. Quindi è necessario
adottare una prospettiva bio-psico-sociale per capire i legami che conducono
dalle differenze sessuali biologiche al comportamento, la costruzione del sesso
come categoria sociale biologicamente fondata e il senso che tutte le persone
danno alla propria mascolinità o femminilità. In particolare l’identità sessuale
costituisce il culmine di molteplici processi che si estendono “dagli ormoni
prenatali a quelli puberali, dalla morfologia de corpo all’immagine del corpo e
dall’influenza ormonale sul cervello nel periodo prenatale all’assimilazione post-
natale degli stereotipi culturali del maschio e della femmina.

Senza dubbio le influenze ormonali contribuiscono alle differenze psicologiche


tra i sessi, ma appare un compito arduo stabilire l’esatto legame che intercorre tra
ormoni e comportamento sociale. Buchanan (1992) sostiene che durante
l’infanzia e la prima adolescenza, gli ormoni maschili sono in grado di predire
l’aggressività delle ragazze ma non dei ragazzi. Nella tarda adolescenza e in età
adulta, al contrario, gli ormoni maschili sono strettamente legati alla condotta
aggressiva e antisociale nei maschi, ma non delle femmine.

Gli omosessuali, le lesbiche e i transessuali pongono delle nuove sfide allo


svelamento dei misteri del sesso e della versatilità della personalità umana. A
questo proposito si può citare la frase di Money (1987) : “Le differenze tra il
maschio e la femmina sono qualcosa che tutti avvertono ma che nessuno
conosce”. Molte delle credenze accettate sulle differenze sessuali e sullo sviluppo
della sessualità sono state messe in dubbio. Era opinione comune che lo sviluppo
dell’attrazione sessuale avesse luogo durante la pubertà.

Ma una ricerca condotta da McClintock e Herdt (1996) ha riscontrato due limiti:

21  
 
• E’ risultato che non esistono differenze sessuali in relazione all’età in cui si
manifesta per la prima volta l’attrazione sessuale, nonostante che la pubertà
abbia inizio in età diverse.
• E’ risultato che l’età dichiarata della prima attrazione sessuale è dieci anni,
un’età che precede la pubertà sia nei ragazzi sia nelle ragazze.

Questi risultati valgono sia per gli individui eterosessuali sia omosessuali e le
lesbiche. E’ dunque probabile che l’attrazione sessuale derivi, più che dai
cambiamenti fisiologici della pubertà, dalla maturazione, all’età di 10 anni, delle
ghiandole surrenali, che producono steroidi sessuali.

Quando si considera il ruolo dei fattori ormonali nelle differenze sessuali, è bene
tener presente che oggi il sesso biologico è una caratteristica dei destini
individuali molto meno importante rispetto al passato. Difatti i ruoli del maschio
e della femmina sono drasticamente cambiati con il cambiamento delle
condizioni sociali ed economiche (Caprara V.; Cervone D., p.210). Il percorso
della formazione della propria identità è sicuramente un processo che dura tutta
la vita, ma alcuni periodi sono particolarmente importanti, tra questi, quello
adolescenziale e in particolare la cosiddetta prima adolescenza, caratterizzata da
importanti cambiamenti fisici e psicologici. Il processo della costruzione
dell’identità a volte non procede in maniera lineare, ma può andare incontro a
rischi e blocchi. Una precisazione accurata dei disturbi dell’identità e sulle
conseguenze che possono avere è stata realizzata da Higgins (1987). Secondo lo
studioso, ogni soggetto pensa di sé nei termini del Sé reale (come sono), del Sé
ideale (come mi piacerebbe essere) e del Sé normativo (come dovrei essere).

E’ evidente che nell’esperienza di tutti, sono avvertite delle discrepanze tra


questi diversi stati di Sé. Ogni discrepanza provoca un coinvolgimento emotivo
più o meno rilevate del soggetto; Sé la discrepanza tra i Sé reale e il Sé ideale non
è superata, il soggetto vive emozioni più o meno intense caratterizzate da
delusione, scoraggiamento e insoddisfazione. Se invece non è superata la

22  
 
discrepanza tra il Sé normativo e il Sé reale, il soggetto proverà emozioni
caratterizzate da agitazione, paura e ansia.

Higgins sostiene che la “diffusione dell’identità” è lo stato cui il soggetto giunge


quando non s superara la divergenza tra Sé reale e Sé normativo e che lo “ stato
di moratoria” sia lo stato in cui il soggetto si sforza di colmare la discrepanza tra
Sé reale e Sé ideale.

Sul tema dell’acquisizione dell’identità, Marcia (1980) ha mostrato quali possono


essere i risultati di un processo non riuscito di costruzione dell’identità
focalizzando la sua attenzione sulla fase dell’esplorazione delle alternative
possibili di scelta che l’adolescente si ritrova a vivere nell’area del lavoro, della
politica, della religione, dei ruoli sessuali e della sessualità.

I soggetti che si trovano sia nello stato di “acquisizione dell’identità” sia in quello
di “blocco dell’identità” hanno tutti assunto impegni in rapporto ai ruoli sociali:
mentre i primi hanno tutti assunto il loro impegno dopo un’esperienza di
esplorazione che spesso si è concretizzata in crisi, quelli in stato di blocco hanno
invece evitato questa fase e hanno adottato dei ruoli ispirati alle figure di
identificazione infantile.

All’interno del complesso processo di costruzione della propria identità, l’identità


sessuale costituisce un pezzo non trascurabile di questo mosaico. Rifelli (1998)
sostiene che l’identità sessuale si realizza attraverso molteplici processi di
unione, integrazione e interazione tra le varie componenti, e ricorda due aspetti
fondamentali nel procedere evolutivo dell’essere sessuato. In primo luogo, la
costruzione dell’identità sessuale non è rigidamente predeterminata, ma riconosce
un principio d’imprevedibilità e variabilità. In secondo luogo, non tende a un
prodotto finale passando attraverso forme parziali; in altre parole, non raggiunge
un’ipotetica maturità dopo fasi d’immaturità. L’identità sessuale è quindi una
struttura psichica che muta le sue caratteristiche in relazione all’ambiente esterno
e non procede in senso evoluzionistico verso una meta di maturità finale ma si

23  
 
riconosce in diverse forme e manifestazioni. Nella prospettiva “essenzialista” il
rapporto tra appartenenza sessuale e costruzione dell’Io personale si sviluppa
all’interno di uno schema considerato naturale e obbligato secondo modelli
consolidati. Nella prospettiva “socio-costruzionista”, la differenziazione dei ruoli
di genere è in tutte le società fortemente marcata sia da ragioni materiali che da
ragioni culturali trasmesse sin dall’infanzia e considerate invalicabili. Questa
differenziazione ha avuto un duplice carattere. In primo luogo la differenziazione
è stata strutturata sulla base di una concezione gerarchica del rapporto uomo-
donna; questo ha favorito un sentimento di sicurezza personale,di autonomia a
favore dell’uomo, e di contro una disponibilità alla subordinazione, alla
dipendenza,per quanto riguarda la donna. In secondo luogo si è espressa
attraverso una delimitazione di modi di essere, comportamenti, oltre che di ruoli,
che hanno costituito un vincolo per entrambi i sessi:un vincolo garantito e
controllato (Pietrantoni, 1999, p.48).

Dettore (2007) sostiene che l’orientamento sessuale sia la tendenza a reagire a


certi stimoli sessuali, che sono costituiti dagli oggetti (persone o, talora, anche
cose o situazioni) che riescono a indurre nel soggetto attivazione e interesse
sessuale.
Questa classe di stimoli riguarda ovviamente il fatto che la persona si definisca
eterosessuale, omosessuale o bisessuale. Esso è in parte ma non del tutto legato
all’identità e al ruolo di genere e ne è altrettanto dipendente in un circuito
riverberante di cui è impossibile determinare il punto d’inizio. È fondamentale,
però, non associare completamente il concetto di orientamento sessuale a quello
d’identità di genere; infatti, il primo è un elemento del secondo, ma questo non
coincide con quello e il loro rapporto reciproco è assai complesso e non ancora
ben chiarito (Dettore, 200, p.2).

Oggi gli omosessuali, i gay, le lesbiche, ossia, coloro che si riconoscono nella
categoria “transgender” e “queer”, occupano uno spazio molto importante nei
dibattiti e nelle ricerche sul genere, alimentando sempre nuove teorie. Il

24  
 
cambiamento, tuttavia, non è stato indolore; è passato attraverso la
rivendicazione identitaria, talvolta aggressiva, talvolta conflittuale, nei confronti
di questi individui. Il ripensamento delle categorie di base si è realizzato
attraverso la polemica e l’opposizione contro una conoscenza che era ritenuta
troppo “naturalizzata” del genere (il maschile esprime il maschio, il femminile
esprime la femmina) ed era percepita come autoritaria e dispotica. Le pratiche
sessuali omosessuali, sono state a lungo escluse dal discorso eterosessuale
predominante (Piccone Stella, 2007, p.5).

Una persona, per esempio, potrebbe essere eccitata in modo predominante da


stimoli omosessuali, eppure non considerarsi per una qualunque ragione
“omosessuale”. Alcuni sociologi hanno posto l’accento su questo punto,
sostenendo che l’incorporazione dell’orientamento sessuale nel proprio senso
d’identità è un fenomeno relativamente contemporaneo, culturalmente variabile,
che costituisce il risultato di un gioco complesso di eventi sociali. Dunque,
contrariamente all’andamento bipolare dell’orientamento sessuale descritto dalla
“Scala Kinsey” pur molto avanzata per la sua epoca, poiché introduce “il
concetto di un continuum che si estende fra i due poli opposti di omosessualità ed
eterosessualità pure, attualmente l’orientamento sessuale viene concettualizzato
in modo multidimensionale, come dimostrano i due fondamentali modelli di
Klein e Coleman”.

Lo psichiatra Fritz Klein (1993) ha proposto una griglia di valutazione


dell’orientamento sessuale, denominata Klein Sexual Orientation Grid (KSOG)
che, accanto alla misurazione del comportamento sessuale, pone altre sei
variabili: l’attrazione e le fantasie sessuali, le preferenze sociali ed emotive,
l’auto-identificazione e lo stile di vita.

Queste variabili vengono valutate in relazione al passato, al presente ed alla


dimensione ideale. Viene così a crearsi una griglia costituita da 21 caselle
all’interno della quale le sette variabili sono valutate su di una scala da 1 a 7,

25  
 
simile a quella da 0 a 6 della Scala Kinsey, con la quale si intende cogliere la
fusione eterosessuale - omosessuale. Con la stessa intenzione, lo psicologo
Coleman (1987) ha costruito uno strumento di assessment dell’orientamento
sessuale nell’ambito dell’intervista clinica comprensivo di nove dimensioni:

1) Presenza o assenza di una relazione nella vita attuale della persona;


2) Auto - identificazione attuale per quanto riguarda l’orientamento sessuale;
3) Auto - identificazione ideale relativa all’orientamento sessuale;
4) Grado di auto-accettazione riguardo all’integrazione nella propria identità
sessuale dell’orientamento sessuale;
5) Identità fisica, con riferimento alla dotazione cromosomica;
6) Identità di genere, cioè il senso psicologico o le convinzioni di base di
essere un maschio o una femmina;
7) Ruolo sessuale, vale a dire la maggiore o minore aderenza alle norme
culturalmente stabilite di atteggiamenti e comportamenti appropriati maschili
e femminili;
8) Identità di orientamento sessuale, che viene valutata tramite misurazioni
distinte del comportamento sessuale, delle fantasie sessuali e
dell’attaccamento emotivo;
9) Identità sessuale ideale, che comprende la valutazione dei quattro elementi
appena descritti in relazione ad un ideale futuro, così da potere appurare il
grado di permanenza nel tempo dell’orientamento e ulteriormente stimare
l’auto-accettazione del soggetto.
Risulta, dunque, possibile un’ampia varianza dell’orientamento sessuale, che
pone come rilevante la questione delle modalità mediante cui esso si
consolida in modi più o meno esclusivi e stabili nel tempo.
Il fissarsi delle preferenze sessuali non dipende, molto probabilmente, solo da
processi geneticamente innati; possono intervenire e collaborare in modo
potente anche fattori legati a processi di apprendimento.

26  
 
Ramsey (1943), lavorando con Kinsey, ha evidenziato che i ragazzi pre-
adolescenti, possono provare in genere erezioni dinanzi a una varietà di
stimoli non sessuali ma attivanti (eccitanti o piacevolmente spaventosi, come
l’essere inseguiti, compiere salti elevati, andare in altalena, eccetera). Tale
reattività generalizzata cala verso i 12-13 anni; Ma in alcuni casi,
particolarmente in soggetti isolati da gruppi di coetanei, stimoli non sessuali
possono essere sessualizzati, così da formare preferenze sessuali anormali,
portando a orientamenti sessuali varianti o a parafilie. A questo proposito può
esservi un’importante differenza fra i sessi. Contrariamente ai maschi, nella
ragazza pre-adolescente e adolescente le risposte genitali, in seguito al fatto
che avvengono interiormente, possono non essere riconosciute, per cui la
sessualità femminile è molto meno orientata “genitalmente” durante questa
fase cruciale per lo stabilirsi delle preferenze sessuali. McGuire et al. (1965)
hanno elaborato un’ipotesi interpretativa della fissazione delle preferenze
sessuali, che si basa su processi di condizionamento strumentale durante
fantasie elaborate nel corso di masturbazione: l’oggetto della fantasia sessuale
immediatamente precedente l’orgasmo verrebbe rinforzato da questo e quindi
la fantasia di masturbazione costituirebbe la prima vera esperienza di
eccitamento sessuale. Ciò non spiega, però, come viene indotto il primo
eccitamento sessuale. L’ipotesi sopra esposta potrebbe contribuire a colmare
la lacuna. Poiché, com’è ben noto i maschi presentano, molto probabilmente
su base innata, livelli più elevati di desiderio sessuale e più alti tassi di
masturbazione, il condizionamento durante tali pratiche solitarie potrebbe
coinvolgere più spesso nel genere maschile aspetti non prettamente sessuali o
comunque sessualmente alternativi, portando così alla più frequente presenza
in questo genere di omosessualità e parafilie.
Un ultimo aspetto che riteniamo particolarmente importante nel produrre le
differenze che si riferiscono alla maggiore frequenza di moduli di
orientamento sessuale alternativi nei maschi è costituito dalla più elevata
rigidità dei ruoli di genere, che sono culturalmente imposti agli uomini. Nella

27  
 
nostra società, le donne sono allevate in un modo meno focalizzato rispetto al
sesso in confronto agli uomini. Relativamente ai ragazzi, le ragazze sono
meno punite per comportamenti non conformi al proprio sesso e, come
rilevano Bell et al. (1981), tendono a impegnarsi in attività tipiche ma anche
non tipiche rispetto al sesso e ad avere compagni di gioco di entrambi i sessi,
aspetti che sono invece molto meno frequenti nei ragazzi. Ciò implica che le
ragazze hanno minori occasioni di sentirsi diverse dai coetanei dello stesso e
dell’opposto sesso, con molto probabili conseguenze sullo sviluppo
dell’orientamento sessuale. Proprio a questo proposito, ci sembra rilevante
porre in relazione tali osservazioni con un abbastanza recente contributo in
cui le variabili biologiche vengono considerate interagire con i fattori
socioculturali e l’esperienza nell’influenzare l’orientamento sessuale appunto.
Si tratta della cosiddetta teoria EBE (Exotic-Becomes-Erotic, l’esotico
diviene erotico) proposta da Bem (1996). Essa prende in considerazione i
passaggi sotto elencati:

• Variabili biologiche: in base alla teoria, le variabili biologiche (i geni


o gli ormoni prenatali) non influenzano l’orientamento sessuale
direttamente, ma tramite il tipo di temperamento esibito dal bambino
(soprattutto rispetto alle sue tendenze comportamentali rispetto alle
condotte aggressive e al livello esibito di attività);

• Temperamento infantile: tali aspetti temperamentali predispongono il


piccolo a preferire certe attività a discapito di altre, come il gioco
attivo e violento e gli sport competitivi (attività tipicamente maschili)
oppure la tranquilla socializzazione e giochi più calmi (attività
tipicamente femminili);

28  
 
• Preferenze per attività tipiche o atipiche rispetto al sesso di
appartenenza (conformità o non conformità di genere): i bambini
prediligono condividere tali attività con i coetanei che mostrano le
stesse loro preferenze e quindi quelli che amano attività tipiche del
proprio sesso e giocano con compagni del proprio stesso sesso, sono
considerati conformi rispetto al genere, mentre quelli che scelgono
attività non tipiche del proprio sesso e giocano con i coetanei
dell’altro sesso, sono detti non conformi rispetto al genere;

• Sentirsi diversi dai coetanei del sesso opposto o del proprio stesso
sesso: i bambini conformi rispetto al genere si sentono differenti dai
coetanei dell’altro sesso, mentre quelli non conformi rispetto al
genere provano una sensazione di diversità rispetto ai coetanei del
proprio stesso sesso;

• Attivazione fisiologica dinanzi ai coetanei del sesso opposto o del


proprio stesso sesso: questi sentimenti di diversità producono
un’elevazione nei livelli di attivazione fisiologica; i bambini
conformi rispetto al genere provano tale attivazione nei confronti di
quelli di sesso opposto (i maschietti disprezzano le femminucce;
mentre queste possono sentirsi timide o impaurite di fronte ai primi);
i bambini invece non conformi rispetto al genere possono provare
paura e rabbia nei confronti dei coetanei del proprio stesso sesso, che
li prendono di solito in giro poiché appunto non conformi alle attività
tipiche del loro sesso;

• Attrazione erotica verso le persone del sesso opposto o del proprio


stesso sesso: tale attivazione, che in origine non è colorata
affettivamente né percepita coscientemente, viene a poco a poco

29  
 
trasformata in attrazione erotica, mutando così le sensazioni di non
conformità (di essere “esotico” appunto) in sentimenti connotati
eroticamente.

Tale recente teoria ha avuto una conferma dal lavoro di Dunne et al. (2000),
che hanno studiato un campione di ben 4.901 gemelli omozigoti adulti di età
compresa fra i 19 e i 52 anni, appurandone, mediante questionari
specificamente elaborati, le condotte e l’orientamento sessuale, correlandole
con misure di non conformità di genere durante l’infanzia. Tali autori hanno
posto in evidenza che la non conformità di genere nel corso dell’infanzia è
massimamente elevata in coloro (sia maschi sia femmine) che si dichiaravano
omosessuali, raggiunge valori intermedi in quanti riferivano occasionali
condotte omosessuali o di essersi sentiti talora attratti sessualmente da
persone del proprio stesso sesso, e mostra i valori meno elevati nelle persone
che si definivano come nettamente eterosessuali. In base a tale teoria, si può
dedurre che le ragazze, essendo allevate in modo meno accentrato rispetto al
sesso in confronto ai ragazzi, hanno minori probabilità di sentirsi differenti e
atipiche nei loro comportamenti relativamente ai coetanei del proprio sesso e
quindi di sviluppare orientamenti di tipo non eterosessuale.

Tale ipotesi è confermata anche dal fatto che l’orientamento sessuale delle
donne appare più fluido di quello degli uomini. Diversi studi (fra cui quello
importante di Laumann et al., 1994 ripreso da hanno posto in luce che è più
probabile che le donne siano bisessuali piuttosto che esclusivamente
omosessuali, mentre negli uomini si verifica il contrario. Le donne non
eterosessuali tendono maggiormente a considerare il proprio orientamento
sessuale come flessibile, addirittura in taluni casi come “prescelto”, mentre
gli uomini più spesso lo vivono come innato e immutabile (Dettore, 2007,
p.8)

30  
 
1.3. La formazione dell’identità omosessuale

Comprendere la formazione dell’identità omosessuale richiede una


consapevolezza delle dinamiche sessuali e affettive tipiche dell’adolescenza e
contemporaneamente una conoscenza delle più comuni strategie messe in atto
nelle varie fasi del riconoscimento della propria omosessualità. L’adolescenza è
un periodo di esplorazione e sperimentazione, in cui l’incertezza della propria
identità sessuale è comune, ed è per questo che è difficile interpretare la relazione
tra attività e identità sessuale negli adolescenti. Secondo l’indagine dell’ISPES
(1991) la maggioranza degli adulti omosessuali dichiara di aver avuto relazioni
eterosessuali in adolescenza, così una proporzione considerevole di adulti
eterosessuali ha avuto rapporti sessuali con persone dello stesso sesso.

Gli adolescenti omosessuali degli anni ’90, rispetto agli adolescenti omosessuali
di 30-40 anni fa, hanno maggiori possibilità di accedere alla rete di aggregazione
omosessuale che si è sviluppata ultimamente. Gli adolescenti gay devono però
fronteggiare una serie di sfide interpersonali il cui esito è una situazione di crisi
nel processo di formazione dell’identità, che spesso sfocia in una sfiducia di base
nella propria identità sessuale e psichica.

Savin e Williams (1998) sostengono che all’inizio gli adolescenti omosessuali


sviluppano la consapevolezza di essere diversi e possono comprendere la natura
sessuale o il preciso significato del loro essere diversi ma apprendono
rapidamente che questa differenza è connotata negativamente. Quando
l’adolescente confronta la propria esperienza con quell’“oggetto misterioso”
socialmente riconosciuto come una patologia, una reazione comune, è il senso di
estraneità, che porta a una sorta di clandestinità cronica del proprio orientamento
sessuale (Pietrantoni, 1999, p.49).

Secondo studi americani, il 49% della popolazione ha attuato in adolescenza, i


giochi ed esplorazioni sessuali con amici del proprio sesso. Queste attività sono

31  
 
spesso accompagnate da una forte angoscia, ma solo una piccola percentuale di
questi adolescenti svilupperà più avanti un’identità omosessuale. La formazione di
questa identità segue una linea di sviluppo che può essere efficacemente descritta
dal modello proposto da Coleman, anche se non tutti i soggetti ne ripercorrono
interamente gli stadi. L’identità di genere è appresa nelle relazioni familiari,
secondo regole che esistono nei fatti concreti dell’agire quotidiano. Quando un
bambino comincia a opporsi dentro di sé a queste regole (pre-coming-out), si
sente “diverso” e i sentimenti omosessuali vengono negati o repressi . L’umore ne
risente e il soggetto, inconsapevole dei suoi sentimenti omosessuali, non sa dire
cosa non vada, ma solo che qualcosa non va e lo esprime in vari modi, con
comportamenti conflittuali, sintomatologia psicosomatica, fino ad arrivare, nei
casi più gravi, a tentativi di suicidio. Più tardi inizierà a riconoscere prima le
fantasie o pensieri, senza averne però una comprensione vera: questo momento è
caratterizzato da confusione, in cui il soggetto non si autodefinisce gay. Solo a
poco a poco riconoscerà i suoi sentimenti omosessuali come tali, consentendosi di
rivelarli a qualcun altro e affrontando il rischio del rifiuto. Questo stadio viene
denominato Coming Out (Solfaroli Camillocci, 1999, p.63).

Anche Castañeda (2006) afferma che l’omosessuale prende coscienza del suo
orientamento durante l’adolescenza o nell’età adulta. Quindi non è cresciuto nel
suo ruolo; non è stato educato a essere omosessuale. Gli mancano ogni genere di
abilità e codici sociali di cui avrà bisogno nel mondo omosessuale di cui andrà a
far parte. Quando scopre, infine, il suo orientamento sessuale, deve riapprendere
tutte le regole dell’amore, dell’amicizia e della convivenza. Non si tratta
d’immaturità, bensì di carenza di apprendimento. L’identità omosessuale non è
innata. Si costruisce poco a poco e non si esprime nello stesso modo: cambia a
seconda del contesto e del momento della vita. L’omosessuale non è dunque
omosessuale nello stesso modo in cui l’eterosessuale è eterosessuale. Le relazioni
con gli altri e con se stesso sono molto differenti; in questo senso, si potrebbe dire
che l’omosessuale vive un universo interiore molto diverso, che non traspare, per

32  
 
la maggior parte del tempo all’esterno. Molti omosessuali cercano, in effetti, di
rendersi invisibili e di passare per eterosessuali di fronte alla società, alla famiglia
e agli amici. Tutto ciò influenza inevitabilmente il loro modo di essere. Abituati a
nascondere una parte essenziale del loro sé, dei loro desideri e bisogni affettivi,
mostrano spesso un aspetto superficiale di se stessi. Nascondono la loro realtà
quotidiana, e questo può causare dei problemi sia nella vita sociale sia nella sfera
privata. In realtà, il problema non è il loro rifiuto della società, quanto il rifiuto da
parte di quest’ultima verso di loro. A partire dalla rivoluzione sessuale di
liberazione gay degli anni 70 e 80, esiste nei paesi sviluppati un atteggiamento
molto più aperto e tollerante nei confronti dell’omosessualità. Non è più
considerata un crimine o una malattia e un numero sempre maggiore di
omosessuali compiono il coming-out sia nella sfera pubblica sia privata
(Castañeda, 2006, p.16).

Troiden et al (1989), hanno ricostruito gli stadi dell’acquisizione dell’identità


omosessuale, presentandola come una delle diverse possibili identità sessuali che
possono essere assunte nella società contemporanea. Va evidenziato che vi è un
rilevante cambiamento nel passare dal concetto d’identità a quello d’identità di
genere o identità sessuale. Il concetto d’identità viene quindi utilizzato sempre più
spesso per rivendicare chi e che cosa sono. Questo fattore è correlato alla crescita
delle politiche identitarie (negli Stati Uniti) sviluppatesi con il declino dei
movimenti socialisti e di quelli basati sulla divisione in classi che si ponevano
obiettivi universali. Si diventa membri di un movimento sociale rivendicando
l’identità che quel movimento rappresenta. La politica “queer” a questo proposito
ha fatto fare un passo avanti a questo processo, poiché i suoi attivisti hanno
lanciato una sfida a tutte quelle comunità d’individui che vengono date per
scontate mettendo in luce proprio la diversità che si trova al loro interno:
sottolineando, per esempio, la presenza di lesbiche nere in comunità lesbiche
dominate da bianche. Nell’estremizzazione di questa logica, il concetto d’identità
diventa un modo per dare un nome a quello che il singolo ha di specifico,

33  
 
piuttosto che a quello che condivide con un insieme di persone. Uno studio
condotto da Arne Nilsson nel 1998 sulla storia degli omosessuali nella città di
Goteborg, in Svezia, individua tre modi diversi di essere omosessuali:

• I so, normalmente un po’ effemminati.


• I real men, giovani della classe operaia
• I fjollor, ossia le drag queens.

Nisson mostra come questi tre modelli di vita omosessuale fossero radicati nella
struttura della città industriale marittima. Tra le condizioni che influenzavano le
pratiche sessuali vi erano case affollate, una divisione netta tra i generi di lavoro,
la povertà dei giovani, che potevano stabilire per un certo periodo relazioni
omosessuali per poi distanziarsene. Le diverse forme di pratica omosessuale
cambiarono al mutare di queste condizioni: gli anni Cinquanta conobbero
l’aumento della ricchezza del paese, la costruzione di case per la classe operaia
nelle periferie, la crescita dello stato sociale, e un allarmismo intorno alla
corruzione sessuale dei giovani. A una sempre maggiore privatizzazione della
condotta sessuale, seguì una distinzione culturale più netta tra eterosessuali e
omosessuali.

Perciò, quelle configurazioni di pratiche sessuali e sociali che potrebbero


facilmente essere lette come identità, dipendevano invece da condizioni
transitorie, e rappresentavano solo una frazione limitata della loro vita.

Guy Hocquenghem (1972), uno dei più brillanti teorici della liberazione gay,
sosteneva che il desiderio omosessuale fosse in linea di principio “un flusso allo
stato originario, impersonale e non una singola entità individuale, ossia il
desiderio che si sottrae alla “strutturazione edipica”, ovvero all’organizzazione
dell’ordine sociale patriarcale (Connell, 2006, p.158).

34  
 
1.4. Omosessualità e i principali approcci sociologici

Il termine “ omosessuale” è stato inventato nel 1869 dallo scrittore ungherese


Karoly Mària Kertbeny che lo usò in uno scritto anonimo, contro l’introduzione da
parte del ministero della giustizia prussiano, di una legge che puniva gli atti sessuali
tra persone di sesso maschile. Non che prima non ci fossero “pederasti”, “sodomiti” e
“invertiti”. Essi sono sempre esistiti, ma è solo verso la fine del 1800 che il mondo
occidentale viene diviso in omosessuali ed eterosessuali. Anche il termine
“eterosessuale” è stato ideato nel 1868: viene inserito per la prima volta nel Nuovo
Dizionario Internazionale “Merriam - Webster” come termine medico per indicare
una “passione sessuale morbosa per una persona del sesso opposto”, ma nella
Seconda edizione del 1934 diventa una “manifestazione di passione sessuale per una
persona del sesso opposto, ossia, sessualità normale”.

Michael Foucault (1976a, 1984b) nella Storia della sessualità, sottolinea come
l’interesse scientifico positivista per la varietà di comportamenti sessuali abbia
implicato una “specificazione nuova degli individui”. “ Fino ad allora, la sodomia,
era un tipo particolare di atti vietati; L’omosessuale del XIX secolo, invece, diventa
un personaggio, con un passato, una storia, un’infanzia, un modo di vivere”.

Nel passaggio dallo stato religioso allo stato terapeutico, ciò che appare
“naturale” (l’eterosessualità) finisce col diventare “normale”, e quindi normativo.
L’omosessualità non è più una pratica immorale, ma una condizione psico-pato-
logica. Il sodomita non è più un peccatore, ma il rappresentante di una “specie
deviata”: gli omosessuali.

Con Freud (1905), l’eterosessuale e l’omosessuale fanno il loro ingresso nella


sfera pubblica. Freud, mostra un atteggiamento duplice. Se da una parte
patologizza l’omosessualità come una fissazione dello sviluppo psicosessuale,
dall’altra afferma che “non può essere classificata come malattia, ma come una
variante della funzione sessuale”.

35  
 
Quindi l’omosessualità, in passato era vista come un comportamento da
organizzare socialmente, un peccato, un vizio, una patologia, mentre oggi
l’omosessualità è vista come una variante del comportamento sessuale umano su
cui incidono dimensioni biologiche, genetiche, psicologiche, politiche, storiche e
culturali.

Le espressioni culturali e di conseguenza quelle giuridiche delle persone che


hanno comportamenti omosessuali o s’identificano come gay o lesbiche variano
enormemente nelle diverse parti del mondo e nelle diverse epoche. Havelock
Ellis, uno dei pionieri degli studi sulla sessualità umana, diceva: “ Omosessualità
è un termine barbaramente ibrido del quale non mi assumo alcuna responsabilità”
(Lingiardi, 2007, p.18).

A differenza di quanto accade in altri paesi, la storiografia italiana continua a


dedicare scarsa attenzione all’omosessualità, tanto che i pochi studi
sull’argomento sono stati condotti quasi esclusivamente da sociologi, storici della
letteratura o militanti dei movimenti GLBT (gay, lesbiche, bisessuali, tra sessuali-
trans gender). Anche l’editoria ha praticamente ignorato le opere in lingua
straniera sulla storia dell’omosessualità, i cui testi principali di riferimento
continuano a non essere tradotti in italiano.

Un periodo su cui si è soffermata invece l’attenzione degli storici, riguarda l’età


classica, e in particolar modo la civiltà greca e romana, nonostante le differenze
tra “il rituale educativo della pederastia greca e l’omosessualità di stupro della più
antica cultura romana”.

Il fatto che nel mondo antico, amare una persona non costituisse un divieto, ha
favorito l’indagine sul significato culturale e pedagogico attribuito
all’omosessualità. Ed è proprio l’importanza sociale data dai comportamenti
sessuali che ha portato a rilevare come nell’antichità non esistesse una divisione
tra omosessualità ed eterosessualità, ma tra passivo e attivo, giovane e adulto,
libero e schiavo. Insomma, era considerata contro natura solo l’assunzione del

36  
 
ruolo passivo in età adulta. La divisione del ruolo attivo e passivo non aveva
quindi a che fare con l’identità sessuale, bensì con quella sociale; era un modo per
rimarcare una gerarchia, una differenza di ruolo, di status e di età. La storia
dell’antichità ha perciò permesso di analizzare l’omosessualità all’interno di un
contesto più ampio, intrecciando arte, letteratura, diritto, cultura e politica,
superando allo stesso tempo la divisione dicotomica tra eterosessualità e
omosessualità. Nella storia contemporanea si sono invece troppo a lungo separati
questi due aspetti, senza riuscire a cogliere pienamente il loro reciproco
condizionamento.

Rimane però ancora aperta la spiegazione del motivo per cui nell’alto impero
romano, dal III secolo d.C. in poi, si siano inaspriti i provvedimenti legislativi
contro l’omosessualità passiva, fino a estenderli, a poco a poco, anche agli
omosessuali attivi. Secondo Michel Foucault (1982), Paul Veyne (1983) e Aline
Rousselle (1985) un simile cambiamento fu determinato da fattori interni alla
società pagana che diedero vita a un vero e proprio “puritanesimo della virilità”;
più condivisa è però la tesi di chi fa risalire questa novità principalmente
all’influsso della morale giudaico-cristiana (Benadusi, 2007).

In seguito, la civiltà romana, iniziò a preoccuparsi e a cercare rimedi per


fronteggiare una progressiva decadenza, che si riteneva fosse dovuta al declino
della virilità imperiale e alla rilassatezza dei costumi. Così, s’iniziò a separare la
sessualità dal piacere, per ricondurla esclusivamente alla procreazione all’interno
del matrimonio. Questo, di conseguenza, amplificò l’ostracismo nei confronti
della sodomia. Inoltre, a prescindere dalla sua origine, il cristianesimo fornì a
questa nuova visione della sessualità una giustificazione trascendente,
ancorandola a un rigido quadro concettuale e cercò di attivare una serie di
strumenti per imporre il controllo sociale, tra cui lo stretto legame tra carne e
peccato. Con la nascita del matrimonio cristiano monogamico e indissolubile,
cessò quindi anche quel minimo di indulgenza concessa dalla Chiesa, almeno
nella pratica, all’omosessualità. La sodomia diventò il peccato “contro natura” per

37  
 
eccellenza e, fu sostituita l’antica opposizione attività/passività con la nuova
dicotomia eterosessualità/omosessualità. La relazione tra due uomini fu quindi,
condannata globalmente in tutte le sue manifestazioni (Benadusi, 2007).

Nel corso del XIX secolo, alla Chiesa si affiancarono anche la medicina e la
psichiatria, trasferendo il discorso dell’omosessualità dall’ambito del peccato a
quello della patologia. Queste discipline hanno ampiamente contribuito allo sforzo
di introdurre norme e prescrizioni intorno alle espressioni di sessualità, dando
luogo a un vero e proprio mutamento paradigmatico. All’inizio del secolo, non
tutti gli studiosi erano d’accordo sulla natura patologica dell’omosessualità. Per
esempio, in Germania, Hirschfeld fondava nel 1898 un comitato scientifico per
studiare l’omosessualità e per abolirne la penalizzazione. Von Kraft-Ebing, nel
trattato “Psychopathia Sexualis”, descriveva l’omosessualità come una malattia
degenerativa, mentre Freud proponeva visioni più aperte. Egli, in una famosa
lettera del 1935 inviata a una madre americana, spiegava “ che l’omosessualità
non deve essere vista come un vizio o una vergogna e non può essere classificata
come una malattia, bensì come una variazione della funzione sessuale prodotta da
qualche arresto dello sviluppo psicosessuale”. In seguito, gran parte degli
psicanalisti hanno contestato il pensiero di Freud, qualificando l’omosessualità
come fosse una risposta fobica ai componenti dell’altro sesso o come il risultato di
relazioni patologiche familiari. Queste teorie hanno influenzato enormemente la
cultura popolare, anche se raramente sono stati svolti degli studi empirici che
dimostrassero questo. Difatti le ricerche che avevano lo scopo di dimostrare la
relazione tra omosessualità e disturbi della personalità, presentarono enormi
fallacie metodologiche e pregiudizi nell’interpretazione dei dati. Un approccio più
disponibile verso l’omosessualità è stato adottato da invece da Kinsey, sessuologo
statunitense. Egli studiò empiricamente le abitudini sessuali degli americani negli
anni Cinquanta, ed ebbe modo di verificare l’alta frequenza delle fantasie
omosessuali nella popolazione generale. Sempre negli anni Cinquanta, Ford e
Beach (1951) mostrarono che il comportamento omosessuale è diffuso anche nelle

38  
 
specie animali. Il primo studio innovativo nell’ambito della psicologia è stato fatto
da Evelyn Hooker, psicologa statunitense, che nel 1957, somministrò dei test
proiettivi a gruppi omosessuali ed eterosessuali per esaminare se differivano nel
funzionamento psicologico. Hooker ne dedusse che l’omosessualità non
costituisce un’entità clinica uniforme e non intrinsecamente associata alla
psicopatologia. Nel 1952 è stato pubblicato il primo DSM-I (Diagnostical and
Statistical Manual of Mental Disorder), il Manuale dei disturbi mentali, pubblicato
dall’Associazione Psichiatria Americana (APA), che elencava l’omosessualità
nella categoria dei “disturbi sociopatici di personalità”, presupponendo che sia
una volontà da parte degli omosessuali di opporsi alla società e alle tradizioni
morali. Nel 1968, venne pubblicato il DSM-II, e l’omosessualità fu inserita come
deviazione sessuale nella categoria dei “disturbi mentali non psicotici” insieme
alla pedofilia, necrofilia, feticismo e transessualismo. Nel 1973 la commissione
dei tredici membri dell’APA decise unanimemente di rimuovere “l’omosessualità
ego sintonica” dalla lista dei disturbi psicosessuali”. Questa decisione provocò
diverse polemiche, e venne perciò introdotta la distinzione tra omosessualità ego
sintonica ed ego distonica (letteralmente significano in sintonia e in distonia con il
proprio Io). Questa definizione venne successivamente inserita della terza
edizione del DSM nel 1974. Infine nel 1987, l’APA eliminò anche
l’omosessualità ego distonica dall’edizione del DSM-III.

Come abbiamo visto, nel corso del ventesimo secolo, la concezione


patologica dell’omosessualità si è articolata attraverso studi e teorie in campo
accademico, ed è stata parte integrante anche del contesto popolare e quotidiano.

Il tema dell’omosessualità ha ricevuto, negli ultimi anni, un forte aumento di


attenzione da parte dell’opinione pubblica e dei mezzi d’informazione. Tuttavia,
la condizione delle persone omosessuali in Italia è ancora fonte di pregiudizi
diffusi e di discriminazioni sociali che mettono a dura prova la possibilità di
un’effettiva esplicazione dei propri diritti di cittadinanza da parte di una

39  
 
componente della popolazione che, secondo i dati forniti dall’Organizzazione
Mondiale della Sanità supera il 5% della popolazione (Pietrantoni, 1999, p.26).

Le ipotesi formulate sull’origine dell’omosessualità, sono numerose. Le


ricerche sui fattori genetici hanno richiamato l’attenzione da parte dei mass media,
anche se i risultati delle indagini sono controversi. Gli studi sulle origini
biologiche e fisiologiche dell’orientamento sessuale hanno riscontrato differenze
nel numero di cellule ipotalamiche di uomini omosessuali e eterosessuali, anche
se i dati presentano delle incertezze. Isay (1996) ha recentemente proposto una
teoria sull’origine dell’omosessualità maschile rivedendo i tradizionali modelli sui
rapporti edipici genitoriali in una prospettiva non patologica, analizzando in
particolar modo il rapporto dell’adolescente gay con il padre. Secondo Garnets e
Kimmel (1993), tutte le ipotesi che sono state formulate, hanno dimostrato di
essere parziali e di spiegare solo in parte l’orientamento omosessuale. La maggior
parte degli studiosi è concorde sul fatto che l’orientamento sessuale si formi
tramite complesse interazioni di fattori biologici, sociali e psicologici. L’insieme
di questi fattori cambia da individuo a individuo e va a costituire la sessualità
specifica di ogni persona. Da alcuni studi condotti su persone omosessuali,
l’orientamento sessuale sembra stabilirsi prima dell’adolescenza e prima
dell’inizio dell’attività sessuale, in genere preceduta da una consapevolezza
dell’attrazione verso persone dello stesso sesso (Pietrantoni, 1999, p.28).
Alcuni autori datano l’avvio dei “Gay and Lesbian Studies” tra la fine del XIX
secolo e l’inizio del XX. La pubblicazione dei primi lavori sociologici riguardanti
l’omosessualità risale agli anni Cinquanta. Si tratta d’indagini sull’organizzazione
delle comunità gay all’interno delle grandi città del Canada e degli Stati Uniti,
mirate a sottolineare la stigmatizzazione degli omosessuali. L’orientamento di
base di questi primi studi è collegato all’approccio funzionalista che da un lato
mette in luce il sostegno psicologico e materiale che le comunità offrono a gay,
dall’ altro lo sguardo si dirige verso le funzioni che gli omosessuali svolgono nei
confronti dei gruppi sociali esterni alle loro comunità e con i quali intrattengono

40  
 
scambi sessuali. Dalla fine degli anni Sessanta, la sociologia attraversa uno dei
momenti di maggiore importanza, e conquista una posizione centrale all’interno
degli studi gay e lesbici. L’avvio di questa fase è dovuto alla pubblicazione
dell’articolo della sociologa inglese Mary McIntosh (1968) che evidenzia in
maniera eccelsa il tema dell’omosessualità. A quest’articolo seguono numerose
ricerche di altri autori che nutrono forte interesse verso la vita quotidiana delle
persone omosessuali. Da queste ricerche emergono due orientamenti che
prendono spunto dall’elaborazione dell’interazionismo simbolico della Scuola di
Chicago. In un primo caso, l’indagine si dirige verso le modalità attraverso le
quali i soggetti attribuiscono significato ai loro desideri e alle proprie condotte
sessuali interagendo con i diversi interlocutori del loro ambiente di vita (la
famiglia di origine, il mondo del lavoro, la comunità omosessuale). Questo primo
approccio permise a Richard Troiden di formulare il suo modello di formazione
dell’identità omosessuale.

In un secondo caso, l’attenzione dei ricercatori si sposta verso le variabili storico-


sociali che favoriscono o ostacolano le relazioni affettive e sessuali tra persone
omosessuali. A questo proposito i diversi studiosi hanno messo l’accento sulle
trasformazioni indotte dall’industrializzazione e dall’urbanizzazione,
sull’affievolirsi del controllo sociale esercitato dalla famiglia e dalla comunità, sul
mutamento delle relazioni tra uomini e donne in seguito all’emancipazione
femminile. Progressivamente si è sviluppata una disparità nel modo in cui gay e
lesbiche articolano l’approccio costruttivista. I primi appaiono più interessati a
indagare come le definizioni della sessualità e delle identità sessuali si
trasformano in relazione al mutamento delle forme del condizionamento sociale.
Le seconde, invece, sono maggiormente interessate a far emergere le connessioni
tra la norma eterosessuale e le asimmetrie sociali tra uomini e donne. Da questo
punto di vista la costruzione sociale dell’identità omosessuale appare una
conseguenza dell’espressione del dominio maschile. Nel corso degli anni Ottanta,
alcuni fattori hanno portato al ridimensionamento dell’importanza della ricerca

41  
 
sociologica e all’attuale predominio delle discipline umanistiche nell’ambito dei
“Gay and Lesbian Studies”. Il primo di essi è la drammatica diffusione dell’
AIDS che ha indotto ad assegnare priorità agli studi di Social and health policy e
all’indagine medica. Un secondo elemento di rilievo è rappresentato dalla
diffusione accademica dell’approccio post-strutturalista. A esso si può attribuire il
passaggio dall’interesse verso i processi sociali a quello per le narrazioni testuali,
come evidenzia il successo ottenuto dai “Cultural Studies” e dai “Queer studies”
(Rizzo, 2006). La teoria queer e gli studi queer possono essere visti come
un’articolazione di riflessioni teoriche e d’indagini culturali interdisciplinari,
legate al terreno degli studi sulla sessualità, e in particolare agli studi gay e lesbici.
Nel 1990 Teresa de Lauretis ha proposto il termine “teoria queer” come termine
che doveva servire a problematizzare la formula di studi gay e lesbici. La
utilizzare la parola queer indica una svolta linguistica, una focalizzazione sulla
sessualità non in quanto realtà oggettiva, bensì come un terreno mutevole e quindi
non neutra. Nel corso della storia, si è passati da invertito a omosessuale, da
omosessuale a gay e lesbica, sino ad arrivare a queer. Questi nomi sono stati la
base delle identificazioni e di politiche sociali molto diverse. Neppure il nome gay
è puramente descrittivo, ma è il segno storico di una auto-nominazione legata alla
positività e all’orgoglio del movimento post- Stonewall.

L’utilizzo del termine queer dunque è rilevante per due motivi: è un termine che
nella lingua inglese del Novecento si è connotato come forma hate speech
(discorsi di incitamento all’odio), la cui aggressiva riappropriazione è segnale di
una strategia d’attacco all’omofobia; in secondo luogo, è un termine che si
riferisce indistintamente a gay e lesbiche e a ogni altro soggetto sessuale percepito
come perverso e anormale. Quindi opera come termine inclusivo e trasversale che
non ubbidisce al binarismo eterosessuale/omosessuale.

Foucault afferma che “il termine queer significa solo introdurre una differenza,
ma moltiplicare il discorso delle differenze, non solo le differenze tra gay e
lesbiche, ma anche la differenze tra categorie sessuali naturalizzate dalla

42  
 
sessuologia positivista, secondo quella che Foucault ha definito una volontà si
sapere”. Anche se la teoria queer viene elaborata a partire dagli anni Novanta in
ambito americano il precedente di Foucault è di grande importanza, perché egli
aveva preparato il terreno metodologico per poter studiare la storia delle identità
sessuali con uno sguardo più attento a non considerarle come un dato scontato da
cui partire, ma semmai la questione stessa (Pustianaz, 2004, p.3).

Rizzo (2006) afferma che il ritardo della sociologia italiana invece è legato alla
mancanza di una tradizione di ricerca empirica sull’omosessualità, e forse
soprattutto all’apparente disinteresse verso l’elaborazione teorica. E’ significativo
infatti che, in una delle rare traduzioni apparse, il mercato editoriale nazionale si
sia rivolto al lavoro empirico di William Simon e John H. Gagnon (1972) e non al
loro approccio interazionista allo studio sessualità e della omosessualità. Nelle
rare indagini rivolte all’omosessualità, i sociologi italiani hanno distribuito la loro
attenzione su tre aspetti principali:

• In un primo caso essi hanno preferito le forme della disuguaglianza e della


stigmatizzazione ai danni delle persone omosessuali. Le ricerche che possono essere
capite all’interno di questa tipologia hanno indagato la discriminazione dei luoghi di
lavoro, e in particolare la condizione degli omosessuali nel Sud dell’Italia e le
percezioni dell’identità omosessuale nella popolazione italiana;

• In un secondo caso le ricerche si sono concentrate sulle comunità omosessuali,


indagando le condotte sessuali dei soggetti che le compongono, il modo in cui si
organizzano gli scambi e le pratiche di socializzazione.

• Nel terzo caso, l’attenzione dei ricercatori italiani si focalizza nei processi di
costruzione sociale dell’identità omosessuale. Quest’ultimo aspetto mette in luce tre
elementi che sono connessi tra loro. In primo luogo appare evidente come il timido
sviluppo della ricerca italiana sull’omosessualità stia seguendo le fasi che hanno
caratterizzato la produzione internazionale. Infatti, i sociologi italiani si sono
concentrati prima sul tema della stigmatizzazione e in un secondo momento su quello

43  
 
della costruzione sociale dell’identità omosessuale. L’esiguo numero di ricerche
condotte all’interno di questi due filoni lascia molte domande prive di risposta, ma
ciò non oscura che si siano gettate le basi su cui costruire una tradizione di ricerca.
Una seconda caratteristica della produzione italiana è legata alla debolezza
dell’analisi dell’omosessualità attraverso le categorie concettuali considerate tipiche
del dibattito sul multiculturalismo e sulla post-modernità. Un’ultima caratteristica
della sociologia italiana sull’omosessualità è rintracciabile nella posizione centrale
occupata dall’approccio positivista. La maggior parte dei dati empirici in questo
momento disponibili sulle comunità omosessuali si riferiscono alla dimensione
pubblica e soprattutto privata di chi si definisce gay o lesbica secondo il modo più
diffuso di identità omosessuale (Rizzo, 2006, p.8).

1.5. Il Coming Out

Il coming out è ricavato dall’espressione inglese “to come out of the closet”,
ossia “uscire fuori dall’armadio”, e corrisponde al momento in cui un individuo
omosessuale sceglie, volontariamente, di rivelare la propria tendenza omosessuale
alla propria cerchia familiare (contrariamente all’outing, che corrisponde allo
svelamento pubblico dell’omosessualità da parte di una persona contro la sua
volontà). La rivelazione della propria tendenza omosessuale ai propri genitori
costituisce spesso per i gay una tappa molto importante e significativa. Per Didier
Eribon, in Le dictionnaire des cultures gay set lesbiennes, il Comig out “ è
considerato nello stesso tempo come un gesto necessario al benessere psicologico
personale dei gay e delle lesbiche, che posso così vivere serenamente e liberamente
ciò che sono, e come un gesto soprattutto politico, poiché il fatto che centinaia di
migliaia di gay e di lesbiche siano visibili in quanto tali non può mancare d’avere
effetti sulla società e sulla cultura in generale.

Il coming out è una tappa molto importante anche per molti genitori che vivono
questa esperienza come una rottura (De Laroque, 2006, p.90). La formazione

44  
 
dell’identità omosessuale è stata oggetto di molti studi. Cass, nel 1978 ha formulato
il processo di “coming out” attraverso sei fasi:

1. Confusione d’identità (chi sono?): I sentimenti di differenza con i pari sono


accompagnati ad un senso di alienazione personale. La persona inizia ad essere
cosciente dei desideri verso le persone dello stesso sesso.
2. Comparazione (sono diverso/a): La persona prova un forte senso di isolamento, sente
di non appartenere a nessuna categoria, e ha di fronte quattro opzioni: può reagire
positivamente al suo sentirsi diverso accettando la situazione; può accettare l’idea di
un comportamento omosessuale, ma trovare inaccettabile l’immagine di sé come
omosessuale; può accettare l’idea di essere omosessuale ma vedere inaccettabile il
comportamento omosessuale; può vedere inaccettabile sia l’immagine di sé sia il
comportamento omosessuale e volerli cambiare entrambi.
3. Tolleranza (probabilmente sono gay): la persona inizia a contattare altre persone
omosessuali per identificarsi con i sentimenti di alienazione e isolamento. Questa
fase è molto importante perché se l’impatto con gli altri omosessuali è positivo, la
persona può tollerare maggiormente l’idea di essere omosessuale, se è negativo,
svaluterà il mondo dei gay.
4. Accettazione (sono gay): la persona accetta e non più tollera un’immagine di se come
gay o lesbica. In questa fase può svelare il proprio orientamento sessuale a qualche
persona eterosessuale che ritiene importante.
5. Orgoglio (sono gay!): la persona è sempre più consapevole dell’incongruenza tra il
concetto positivo che ha acquisito di se stesso e il rifiuto della società. Egli tende a
svalutare molte istituzioni tradizionali che non riconoscono la sua posizione, es. la
chiesa.
6. Sintesi (la mia omosessualità è parte di me): la persona attenua la rabbia e la
provocazione liberatoria. L’incongruenza tra il rifiuto sociale e l’essere gay non è più
enfatizzato. L’essere gay diventa un aspetto importante della struttura della persona.

45  
 
Anche Troiden nel 1979, ha costruito un modello molto simile a quello di Cass, che
spiega il processo di coming out. Il sociologo evidenzia come il processo non sia
lineare, ma si svolga come una spirale con continui avanzamenti e arretramenti
attraverso quattro fasi:

1. Sensazione: Questo stadio avviene prima della pubertà ed è caratterizzato da


sentimenti d’isolamento, marginalità e alienazione.
2. Confusione d’identità: Questo stadio corrisponde generalmente al periodo
adolescenziale, quando i ragazzi gay e lesbiche iniziano a riflettere sull’idea che i
loro comportamenti e sentimenti riguardino l’omosessualità. Questa è una fase di
confusione in cui la persone non si percepisce totalmente come omosessuale ma
contemporaneamente è sempre più convinta di non essere eterosessuale.
3. Assunzione d’identità: in questa fase, l’identità omosessuale diventa maggiormente
riferita sia a sé sia agli altri. Nel frattempo, la persona s’inserisce nella comunità gay
e ricerca la compagnia di altri omosessuali, fonte di supporto sociale ed emotivo.
4. Partecipazione: Questo ultimo stadio descrive la piena integrazione dell’omosessuale
nell’immagine di sé. E’ caratterizzata dall’auto accettazione e dalla serenità con la
propria identità sessuale. Spesso questa fase coincide con l’inizio di una relazione
amorosa con una persona gay.

Durante il processo di coming out, come già accennato, gay e lesbiche provano il
desiderio di svelare il loro orientamento sessuale a gruppi di persone, come amici
eterosessuali, familiari e colleghi. Quando una persona dichiara di essere
omosessuale agli altri, è un momento molto significativo per la ridefinizione della
propria immagine pubblica, perché nel decidere se dirlo o meno si scontrano con i
problemi di marginalizzazione sociale. Possono aspettarsi reazioni negative,
discriminazioni e pregiudizi. Il processo di coming out, dura tutta la vita, poiché la
decisione di “dirlo o non dirlo” avviene quotidianamente. Lo svelamento più difficile
e allo stesso tempo coinvolgente è sicuramente quello con la propria famiglia. Questo

46  
 
evento, nella maggioranza dei casi è critico e problematico all’interno del nucleo
familiare.

Il timore che i genitori possano scoprire l’omosessualità del proprio/a figlio/a è a


volte così intenso che molte persone omosessuali adottano strategie per difendersi
dall’eventuale disagio di svelamento, tra le più comuni vi è la distanza geografica e
quindi emotiva. Infatti, trasferirsi in un posto lontano dai genitori consente di evitare
in qualche maniera che si sappia.

Se esaminiamo la prospettiva dalla parte dei genitori, si nota che il processo che
segue di coming out è analogo alla famosa elaborazione del lutto. Il genitore ha
bisogno di elaborare la perdita del figlio “sperato”. Difatti la prima reazione alla
conoscenza dell’omosessualità del proprio figlio è uno stato di shock, dolore, e
disorientamento. All’interno di questo sconvolgimento emotivo vengono attivati
spesso stati di alienazione in cui i membri della famiglia hanno una temporanea
difficoltà a conoscere il/la figlio/a come quello/a di prima, e spiegano
l’omosessualità come un errore, una fase passeggera. Una seconda reazione comune
è il senso di colpa e di fallimento per il ruolo parentale. I genitori, infatti, si sentono
in qualche modo responsabili dell’omosessualità del proprio/a figlio/a. I genitori si
rendono conto che le aspettative che avevano riversato sul figlio saranno disattese: il
matrimonio, la vita coniugale, i nipoti. Questa reazione può essere caratterizzata
anche da sentimenti di rabbia, sconforto, minaccia. I genitori non sanno a chi dirlo e
a chi chiedere aiuto. Per raggiungere uno stato di piena accettazione, i genitori hanno
bisogno di ricostruire nuove aspettative, nuovi modelli e valori che andranno a far
parte della vita del figlio. I genitori, con l’aiuto di strumenti conoscitivi e di supporto
sociale saranno capaci di ristabilire una nuova vita familiare e condividere insieme al
figlio/a una nuova vita affettiva e sociale. (Pietrantoni, 1999, p.58).

Nel gergo omosessuale è definito “velato” chi mantiene invece nascosto il proprio
orientamento sessuale, mentre, come già detto, chi si è dichiarato è “uscito allo
scoperto”. La maggioranza dei gay e delle lesbiche seleziona accuratamente i propri

47  
 
interlocutori. Essi non escono allo scoperto indistintamente con tutti, ma tracciano
dei confini tra diversi contesti. La maggior parte tiene separata la sfera familiare da
quella professionale, e da quella delle amicizie. La scelta della prima persona con cui
condividere un aspetto di sé fino a poco tempo prima tenuto segreto segue due criteri
contrapposti. Da un lato, chi decide di dichiararsi è alla ricerca di un interlocutore
vicino, caro, disponibile. Dall’altro, persegue l’obiettivo di non turbare relazioni
affettive fondamentali e insostituibili.

Molti però preferiscono non affrontare mai il tema, pur essendo convinti che i
genitori sappiano, ma fingano di non sapere, contribuendo così a definire una sorta di
“zona smilitarizzata” delle relazioni familiari, in cui vige un accordo tacito a non
affrontare il tema. Tutte le ricerche più recenti convergono su un risultato, cioè che le
madri sono a conoscenza dell’omosessualità dei figli più spesso dei padri. Questo è
vero anche in Italia, e le differenze non sono da trascurare, poiché questi risultati
sono riconducibili al ruolo di cura e di ascolto generalmente attribuito alle madri.

Abbiamo detto che dichiararsi costituisce un rito di passaggio di grande importanza


per tutti gli omosessuali. Tuttavia però esiste una minoranza di omosessuale che non
si è mai dichiarata a nessuno, e un’altra minoranza che ha deciso di mantenere il
segreto a pochissime persone. Sono molti gli ambiti extrafamiliari in cui il controllo
delle informazioni sulla propria vita è cruciale, ma tra questi, una posizione di rilievo
è rappresentata dal lavoro. Ed è, infatti, in quest’ambito che molti omosessuali
percepiscono maggiori rischi di una reazione negativa, infatti, possono subire delle
discriminazioni, ostacoli per gli avanzamenti di carriera o essere emarginati dai
colleghi o subire ricatti. Tuttavia le reazioni variano da un contesto lavorativo
all’altro. Generalmente sono due le strade che vengono seguite per nascondere la
propria omosessualità. La prima, meno frequente è quella di comportarsi seguendo i
copioni di genere tradizionali, facendosi passare per eterosessuali. Gli uomini, per
esempio, parleranno di calcio, motori, fidanzate e a volte faranno battute verso gli
omosessuali. Le donne parleranno di un fidanzato, e di altri interessi femminili. Ma
come già accennato questo modello è minoritario, e nella maggior parte dei casi è

48  
 
temporaneo e viene presto abbandonato. La seconda alternativa è più diffusa. Gli
omosessuali, pur non facendo nulla per evitare di essere identificato come gay, si
preoccupano soprattutto di tenere una netta separazione tra la sfera lavorativa e la
sfera privata. (Barbagli M.; Colombo A. 2001, p.65).

49  
 
Capitolo 2.

Omofobia E Società

2.1. Storia e critica del termine omofobia

Il termine “omofobia” fu coniato da Weinberg nel 1972, che lo usò per


indicare la “paura degli eterosessuali di trovarsi a stretto contatto con gli omosessuali
e il disgusto per se stessi (selfloathing) degli omosessuali medesimi”. L’introduzione
di tale concetto, nel suo duplice significato, ebbe una funzione pionieristica nelle
scienze sociali degli anni Settanta che si occupavano di omosessualità (Montano,
2007, p.5). Dal “problema sociale” rappresentato dall’omosessualità, Weinberg
sposta l’attenzione verso l’aspetto psicologico e individuale degli atteggiamenti verso
di essa, privilegiando gli aspetti emotivi dell’omofobo più di quelli cognitivi. Egli
parte dal presupposto che se è stato possibile “costruire una malattia e chiamarla
omosessualità”, quindi, è altrettanto possibile costruire un’altra malattia e
denominarla omofobia. Sia come atteggiamento psicologico alimentato dalla cultura,
sia come attitudine patologica, l’omofobia è nel DNA delle nostre tradizioni sociali,
religiose e politiche. Dalla fine degli anni Sessanta, l’atteggiamento di ostilità e
avversione nei confronti delle persone omosessuali e dell’omosessualità è diventato
oggetto di studio della ricerca scientifica. Churchill nel 1967 ha coniato il termine di
“omoerotofobia” per descrivere una paura prevalentemente culturale che vede i
rapporti erotici tra persone dello stesso sesso come una minaccia per la società
(Lingiardi, 2007, p.48). Tuttavia, in seguito diversi studiosi, hanno posto l’accento
sulla scarsa appropriatezza del termine. Le ricerche empiriche che si sono susseguite
negli anni successivi, infatti, non hanno confermato la classificazione degli
atteggiamenti anti-gay degli eterosessuali come riferibili a una fobia in senso clinico.
Inoltre, il suffisso “fobia”, indica una serie di reazioni fisiologiche e psicologiche
spiacevoli e involontarie in presenza di persone omosessuali, a cui possono far

50  
 
seguito sentimenti ostili. Inoltre il termine “fobia” rimanda indirettamente alla
diagnosi psicologica di un tratto clinico individuale e trascura la natura funzionale
dell’ideologia etero sessista come fenomeno sociale e politico, e come struttura
culturale oppressiva (Lingiardi, 2007, p.45). Anche Morin e Garfinkle (1978) sono
stati tra i primi a evidenziare come nelle società contemporanee, l’omofobia si
presenti non solo come fenomeno individuale, ma soprattutto come fenomeno
condiviso culturalmente e socialmente. Ad essi va il merito di aver ampliato l’iniziale
definizione di omofobia di Weinberg (Rizzo, 2006, p.58).

Essi affermano che “ l’omofobia può essere definita come un sistema di credenze e
stereotipi che mantiene giustificabile e plausibile la discriminazione sulla base
dell’orientamento sessuale”. Gli atteggiamenti negativi contro i gay e le lesbiche non
sono necessariamente irrazionali o il riflesso di una paura, ma possono anche essere
delle scelte intenzionali e razionali contro la minaccia di una minoranza percepita dal
gruppo dominante o comunque finalizzate a imporre valori culturali e religiosi
(Montano, 2007, p.7). Anche secondo Ross e Rosser (1996) il termine omofobia
indica una concezione negativa dell’omosessualità, piuttosto che denotare una fobia
o la paura per gli omosessuali. Sono state quindi proposte da alcuni autori delle
espressioni sostitutive, come “omonegativismo”, “omosessismo”, “eterosessismo”,
per esprimere una designazione inclusiva dell’intera sfera di atteggiamenti negativi
verso l’omosessualità e le persone omosessuali (dal pregiudizio individuale alla
violenza personale sino alla discriminazione istituzionalizzata). Ciò nonostante, il
termine omofobia ha continuato a essere largamente utilizzato nella letteratura
scientifica, e ormai occupa un posto specifico e definito all’interno delle scienze
sociali.

Con il termine “omofobia” Herek (1988) ha inteso “il pregiudizio individuale e


istituzionale contro lesbiche e gay” che si esprime come “disgusto, ostilità o
condanna dell’omosessualità e delle lesbiche e dei gay”. Per Herek gli atteggiamenti
che riguardano la sessualità e l’orientamento sessuale vengono appresi e sono frutto
di una costruzione sociale. Secondo lo studioso, l’omofobia può avere una funzione

51  
 
sociale, un eterosessuale esprime i suoi pregiudizi verso un omosessuale per
conquistare l’approvazione degli altri, e accrescere così la fiducia in se stesso
(Badinter, 1993, p.156). Le variabili demografiche, sociali e psicologiche associate a
un atteggiamento omofobico negli eterosessuali sono numerose e comprendono:

• Risedere in aree geografiche di opinione conservatrice;

• Essere anziani e poco istruiti dal punto di vista scolastico;

• Seguire un’ideologia religiosa di stampo conservatrice;

• Non avere contatti personali con gay e lesbiche;

• Non aver vissuto esperienze omosessuali;

• Avere atteggiamenti tradizionali rispetto ai ruoli sessuali e manifestare i sensi


di colpa e sentimenti di negatività nei confronti della sessualità in genere;

• Avere dei tratti di personalità, con alti livelli di autoritarismo.

Da i risultati di quest’indagine è stato verificato che gli atteggiamenti negativi sono


più probabili tra maschi che non tra le femmine, e che, in genere le persone
eterosessuali hanno atteggiamenti più negativi verso le persone omosessuali del
proprio sesso.(Pietrantoni, 1999, p.84). Herek afferma che l’“eterosessismo” sia “ il
sistema ideologico che rifiuta, denigra ed etichetta ogni forma di comportamento,
identità, relazione o comunità di tipo non eterosessuale”. Esso si manifesta sia a
livello individuale sia a livello culturale, penetrando attraverso i costumi e le
istituzioni sociali. Ne sono espressione i sistemi giuridici che non riconoscono alle
coppie omosessuali gli stessi diritti civili di quelle eterosessuali, la differenziazione
nell’accesso ai servizi sociali, la discriminazione nelle carriere militari e nel lavoro.
Gli effetti dell’omofobia sociale incidono fortemente sulla qualità della vita delle
persone omosessuali. In un’importante indagine telefonica nazionale condotta negli

52  
 
Stati Uniti nel 1989, il 5% degli uomini gay intervistati e il 10% delle donne lesbiche
riferivano di aver subito degli abusi fisici o di essere stati violentati nell’anno
precedente a causa del fatto di essere omosessuali. Quasi la metà (47%) riferiva di
aver vissuto una qualche forma di discriminazione nel corso della vita come effetto
del proprio orientamento sessuale. Diverse ricerche empiriche hanno, in effetti,
evidenziato che gli attacchi di cui spesso sono vittime gli omosessuali nell’arco della
loro vita a causa del proprio orientamento sessuale variano dall’offesa verbale fino
all’aggressione fisica. I soggetti hanno subito molestie fisiche hanno riportato una
più bassa autostima, maggiore isolamento, peggiori condizioni di salute mentale, più
frequenti tentativi di suicidio (Montano, 2007, p.6). Il termine omofobia è definito
anche dallo Zingarelli come “avversione per l’omosessualità e gli omosessuali”.
Tutt’oggi il concetto di omofobia ha retto agli attacchi, e ha trovato larga diffusione,
andando a rappresentare sentimenti di disgusto, repulsione nei confronti degli
omosessuali. Questi sentimenti, tuttora molto diffusi, possono trovare delle
manifestazioni concrete sottoforma di violenza simbolica: dal sorrisetto malizioso,
alla battutina, agli attacchi verbali in forma anonima da sconosciuti, per esempio per
strada, fino a episodi di discriminazione esplicita, emarginazione, allontanamento dal
contesto sociale e violenza fisica. Questi comportamenti variano dall’ambiente di
lavoro, alla strada, alla scuola, locali pubblici. In alcuni casi persino la famiglia può
essere il fulcro di espressione di questi sentimenti (Ruspini, 2005, p.87). Come già
accennato, però il termine omofobia non è un termine soddisfacente poiché focalizza
l’attenzione soprattutto sulle cause individuali, trascurando la componente culturale e
le radici sociali di altre intolleranze come il razzismo e la misoginia. Come il
razzista, infatti, l’omofobo di solito si rifà a una serie di credenze. Egli ritiene di
doversi difendere dalla minaccia di soggetti che considera pericolosi.

Raja e Stokes (1998) hanno progettato la Modern Homophobia Scale, una scala
psicologica usata dai ricercatori per misurare il grado di omofobia individuale che
prevede tre dimensioni:

53  
 
• Devianza: quando l’intervistato associa l’omosessualità maschile e femminile
a un comportamento deviante e patologico;

• Socializzazione: si riferisce alla sensazione di disagio nei confronti di gay e


lesbiche;

• Diritti: si riferiscono alle opinioni sulla discriminazione istituzionale nei


confronti di persone gay e lesbiche;

Secondo Blumenfeld, invece, si possono riconoscere diversi livelli di omofobia:

• Personale: che riguarda i pregiudizi individuali verso gli omosessuali;

• Interpersonale: si manifesta quando le persone traducono in comportamenti


concreti i loro pregiudizi;

• Istituzionale: si riferisce alle politiche discriminatorie delle istituzioni


(governi, aziende, organizzazioni religiose, ecc);

• Sociale: che si esprime attraverso i comuni stereotipi verso gay e lesbiche e il


conseguente allontanamento di questi dalle rappresentazioni culturali e
collettive.

Tra i criteri necessari per fare una diagnosi clinica di “fobia” indicano la
consapevolezza che la paura è eccessiva, irrazionale rispetto alle circostanze, e il
conseguente desiderio da parte del fobico di liberarsene.

Tuttavia nessuno di questi criteri sembra soddisfatto dall’omofobia comunemente


intesa, poiché:

• L’omofobo ritiene normale e giustificata la sua reazione negativa nei


confronti della persona omosessuale;

54  
 
• Diversamente dalle fobie comuni, l’omofobia non compromette
necessariamente il funzionamento sociale del soggetto;

• L’omofobo non vive con disagio la propria fobia, e tenderà ad evitare


l’omosessuale con comportamenti di avversione e aggressività.

Quindi i tentativi di classificare tutti gli atteggiamenti “omonegativi” nell’unico


concetto di omofobia sono impropri. Molti studiosi preferiscono, infatti, il concetto
multidimensionale di “omonegatività” secondo il quale, l’omofobia in senso stretto
sarebbe “un fattore nel contesto più ampio di atteggiamenti che coinvolgono il piano
sociale, culturale, legale e morale”. Nel 1993 Herek ha proposto di utilizzare il
termine di “etero sessismo” intendendo “ un sistema ideologico che nega, denigra ed
stigmatizza, ogni forma di comportamento, identità, relazione o comunità non
eterosessuali”. Egli in questo modo volle ribadire come il pregiudizio
antiomosessuale non sia solo un’entità individuale e clinica, ma un fenomeno sociale,
le cui radici sono rintracciabili nelle ideologie culturali. Alla base di numerosi
atteggiamenti omofobici c’è anche la paura di essere identificati come omosessuali.
La convinzione implicita è che, esprimendo un punto di vista o degli atteggiamenti
antiomosessuali, l’omofobo non solo esterna i suoi pensieri riguardo alle persone gay
e lesbiche, ma sta anche segnalando la sua distanza dalla categoria degli omosessuali.
In questo modo afferma la propria posizione eterosessuale nel contesto sociale
approvato dalla maggioranza. L’identità eterosessuale, infatti, è assegnata prima
ancora che l’individuo sia al mondo; lo spazio per la sessualità è occupato da
un’eterosessualità data per scontata. Judith Butler, teorica americana, esprime il
concetto di “identificazione rifiutata” che costringe il soggetto alla “forclusione”
(stato di cose in cui tutto si svolge per il soggetto come se questo nome non
esistesse), alla cancellazione definitiva dell’omosessualità: essa non sarebbe
eliminata dalla psiche del soggetto, custodita nella sua stessa interdizione.

55  
 
Herek (1999), per conciliare le diverse dimensioni dell’atteggiamento negativo nei
confronti delle persone omosessuali, propone l’espressione “pregiudizio sessuale”.
Questa è un’espressione generica e colloca lo studio degli atteggiamenti nei confronti
degli orientamenti sessuali nel più ampio contesto della ricerca sociale sulla
formazione del pregiudizio. Nonostante le diverse critiche, “omofobia” però rimane
il termine più diffuso a indicare una disposizione negativa, personale e collettiva,
psicologica o sociale, nei confronti delle persone e delle esperienze omosessuali
(Lingiardi, 2007, p.46). Per il Nouveau Petit Robert, dizionario di lingua francese:
“L’omofobia è il rifiuto dell’omosessualità, l’ostilità sistematica nei confronti degli
omosessuali”. Se la componente primaria dell’omofobia è il rifiuto irrazionale o
addirittura l’odio verso gay e lesbiche, essa non può essere ridotta solo a questo.
Come la xenofobia, il razzismo o l’antisemitismo, l’omofobia è una manifestazione
arbitraria che consiste nel definire l’altro come inferiore e anomalo. L’omosessuale
viene giudicato come emarginato, eccentrico e fuori dal comune. La differenza
omo/etero non viene solo constatata, ma serve soprattutto a costruire un regime delle
sessualità in cui i comportamenti eterosessuali meritano di essere considerati un
modello sociale di riferimento per ogni altra forma di sessualità. Così il sesso
biologico (maschio/femmina) determina al tempo stesso un unico desiderio sessuale
univoco, ossia eterosessuale e un comportamento sessuale specifico
(maschile/femminile).

2.2. Maschilità e Omofobia

Sessismo e omofobia appaiono quindi come le componenti necessarie del regime


binario delle sessualità. La divisione dei generi e il desiderio eterosessuale
funzionano sempre come dispositivi di riproduzione dell’ordine sociale prima ancora
di essere dispositivi di riproduzione biologica delle specie (Borrillo, 2009, p.7). La
maschilità, in quanto, rappresentazione omo-sociale è associata al pericolo, al rischio
di fallimento e alla paura da parte degli individui eterosessuali di non essere accettati.

56  
 
Nel modello di Freud, la paura del potere del padre terrorizza il bambino al punto da
indurlo a rinunciare al desiderio che prova per la madre, identificandosi col padre. In
questo modello, l’identità di genere è legata all’orientamento sessuale. Innanzitutto
l’identificazione del bambino con il padre (diventando maschio) gli consente di
impegnarsi in relazioni sessuali con individui appartenenti all’altro sesso, diventando
così eterosessuale. In secondo luogo, il timore che il bambino prova non lo indice a
rifugiarsi correndo tra le braccia della madre perché essa lo protegga dal padre, ma lo
incita a pensare di poter superare le proprie paure attraverso l’identificazione con il
padre. Per Freud si diventa uomini identificandosi con il proprio “oppressore”. Il
bambino, identificandosi con la madre nella fase pre-edipica, “vede il mondo
attraverso gli occhi di lei”. Di conseguenza, quando stabilisce il contatto col padre
nella fase della crisi edipica, il bambino nutre sentimenti contrastanti come timore,
terrore, desiderio. Contemporaneamente il bambino vede il padre come lui, ma
vorrebbe vederlo non come oggetto del desiderio, ma di emulazione. Quindi il
bambino deve reprimere questo desiderio nei confronti del padre.

Il desiderio omo-erotico del bambino viene quindi rifiutato in quanto desiderio


femminile nei confronti di altri uomini. Freud afferma che l’omofobia è lo sforzo di
reprimere questo tipo di desiderio, di purificare le relazioni con gli altri uomini, con
le donne, con altri bambini in modo da assicurarsi di non poter essere considerato
min nessun modo omosessuale. Il rifiuto omofobico nell’intimità con gli altri uomini
equivale alla negazione dell’omosessualità latente, che non è mai compiuta e deve
quindi essere rinnovata in ogni relazione omosociale. L’omofobia è il principale
organizzatore centrale della nostra definizione culturale di maschilità, ed è qualcosa
di più del timore irrazionale dell’omosessualità, però trae origine dal timore che altri
uomini possano smascherare altri uomini, e così mettere in discussione la loro
maschilità.

L’omofobia è profondamente legata sia al sessismo sia al razzismo. Il timore che


qualcuno possa considerare alcuni come omosessuali spinge gli uomini ad adottare
comportamenti virili, in moda da assicurarsi che nessuno si faccia idee sbagliate sul

57  
 
loro conto. Uno dei principi della maschilità estrema è proprio la denigrazione nei
confronti delle donne, sia attraverso la loro esclusione dalla sfera pubblica sia
attraversi i discorsi che si fanno quotidianamente verso le donne. Quindi le donne e i
gay diventano l’ “altro” contro il quale gli uomini eterosessuali presentano le loro
identità di mascolinità superiore (Kimmell, 1997). La maggior parte delle società
patriarcali identifica mascolinità ed eterosessualità. Finché continueremo a definire il
genere attraverso il comportamento sessuale, e la mascolinità attraverso
l’opposizione alla femminilità, sarà innegabile che l’omofobia e la misoginia avranno
dei ruoli importanti nel sentimento dell’identità maschile. Sia omofobia sia misoginia
puntano su due facce della stessa medaglia. L’omofobia è l’odio delle qualità
femminili negli uomini, mentre la misoginia è l’odio delle qualità femminile nelle
donne. Non c’è dubbio sul fatto che la mascolinità eterosessuale comporti anche
degli aspetti positivi, come lo status, il successo, il dominio sociale di uomini su altri
uomini ecc. Essere uomo significa non essere femminile, non essere omosessuale;
non essere sottomesso, non essere dolce, sono essere dipendente, non avere rapporti
intimi con altri uomini, non essere impotente con le donne. Tutte queste negazioni
sono tipiche della mascolinità tradizionale.

L’omofobia è parte integrante della mascolinità eterosessuale che assolve un ruolo


psicologico di estrema importanza perché evidenzia chi è eterosessuale e addita chi è
omosessuale (Badinter, 1993, p.116). Il termine è inteso come carattere costitutivo
della mascolinità contemporanea occidentale. L'omofobia investe propriamente il
terreno della rappresentazione della sessualità, nel senso di un ambito di discorso che
oltrepassa le pratiche sessuali o i caratteri sessuali reali dei soggetti; si discrimina un
uomo come effeminato, ad esempio, a prescindere dalla circostanza reale che egli
abbia davvero un comportamento omosessuale. Ciò che si sanziona è la devianza da
un modello eterosessuale ortodosso i cui elementi solo in parte hanno a che fare con
la sfera, concreta della sessualità (Bellassai, 2001). Reynaud ha sostenuto alcune tesi
sull’omofobia, affermando che “nel linguaggio corrente, l’omosessuale non è tanto
l’uomo che ha un rapporto sessuale con un altro uomo, quanto colui che ha il ruolo

58  
 
passivo. L’omosessuale difatti è quello che è ritenuto la “femminella” o la dama,
insomma, la donna”. Nella sua forma attiva, l’omosessualità può essere considerata
dall’uomo, un mezzo per affermare il proprio dominio e potenza. In alcuni uomini,
l’omosessualità suscita una sorta di paura, disprezzo, aggressività. L’omofobia
riguarda però solo una minoranza di persone. Essa è legata ad altre paure, in
particolare a quella dell’uguaglianza dei sessi. Gli omofobi sono persone
conservatrici, rigide, favorevoli al mantenimento dei ruoli tradizionali. In alcuni casi,
l’omofobia rimanda alla paura segreta dei propri desideri omosessuali. Vedere un
uomo effeminato suscita un’angoscia terribile in molti uomini perché provoca una
presa di coscienza delle loro stesse caratteristiche femminili, come la sensibilità,
passività, che considerano segni di debolezza. Essa è dunque un meccanismo di
difesa psichico (Badinter, 1993, p.157).

In Italia il concetto di omofobia è stato poco studiato sia per la mancanza di una
definizione in grado di soddisfare le esigenze della ricerca, sia per la scarsa
propensione della comunità accademica a occuparsi di questo tema. Attualmente le
ricerche più importanti sono state condotte negli Stati Uniti, dove l’atteggiamento di
ostilità e avversione nei confronti degli omosessuali è stato oggetto di ricerca sin
dagli anni Sessanta. Come già detto, la definizione di Weinberg del 1972 presenta dei
limiti. Egli, pur includendo l’omofobia tra le “fobie classiche”, ne riconosceva la
portata sociale distruttiva e la propensione a convertirsi in violenza, da qui ne deduce
la qualifica di “fobia atipica”. Anche Haaga (1991) è dello stesso pensiero, e mette in
luce la componente di pregiudizio in quanto:

• Le emozioni associate alla fobia sono paura e ansia, mentre quelle associate
al pregiudizio sono l’odio e la rabbia;

• Le persone fobiche vivono la loro paura come irragionevole, mentre le


persone con pregiudizi credono che la loro ostilità nei confronti di una certa
categoria di persone sia giustificata e condivisibile, concludendo che non si
tratta di una fobia, ma di una atteggiamento pregiudiziale.

59  
 
Altri studiosi sono in linea con queste riflessioni e hanno sostenuto che gli
atteggiamenti omofobici sarebbero più indicativi di pregiudizio che di paura, e hanno
suggerito di sostituire il termine di “omofobia” con altri termini che siano capaci di
correggere questo tipo di limiti, e di dare il giusto peso al contesto socio- culturale
(Rizzo, 2006, p.61).

Omofobia e omosessualità sono tradizionalmente legate. Anche se gli studi


sull’omofobia non sono numerosi nella letteratura scientifica, le diverse definizioni
che propongono sono unanimi. Omofobia è una forma di sessismo contro le persone
che hanno un orientamento sessuale diverso. Alcuni, a loro volta, definiscono “etero
sessismo” la tendenza delle istituzioni a porre in evidenza questa “differenza”, a
screditare la sessualità degli uomini che fanno l’amore tra di loro e quella delle
donne che fanno l’amore tra di loro. Secondo Welzer-Lang (2006), l’omofobia
corrisponderebbe al sessismo esercitato nei confronti degli omosessuali, e
l’eterosessismo corrisponderebbe al fatto di affermare che solo l’eterosessualità è
normale.

Welzer-Lang e Dutey hanno cercato di tracciare i criteri d’individuazione


dell’omosessualità, di stabilire quali erano gli individui che, una volta identificati
come omosessuali, potevano subire aggressioni omofobe. Durante la loro ricerca,
hanno invitato uomini e donne che facevano in genere professione di eterosessualità
a rispondere a due quesiti:

• “Avete già incontrato per strada persone che vi hanno fatto dire: questa
persona è omosessuale?”

• “Se si, da che cosa l’avete capito?”

Delle circa 500 persone interrogate, più del 95% ha dichiarato di aver identificato per
strada degli omosessuali e ne ha tracciato i criteri di individuazione come per
esempio, abbigliamento, i gesti, gli atteggiamenti. Tutti questi elementi hanno messo
in evidenza forme di femminilizzazione. Da questa indagine si è dedotto che quelli
identificati come omosessuali sono quelli che assomigliano alle donne.

60  
 
La stigmatizzazione non ha un legame diretto con la sessualità vera degli uomini che
la subiscono. Un omosessuale che si nasconde, o che presenta tutti i segni della
virilità, non è chiamato in causa. Quanto all’omosessualità femminile, sembra
invisibile agli occhi degli uomini, come se l’assenza del pene significasse l’assenza
di una vera sessualità. L’omofobia si riferisce al “ genere” e alle sue costruzioni
sociali. Possiamo definirla la discriminazione verso le persone che mostrano o alle
quali si attribuiscono certe qualità o difetti attribuiti all’altro genere. Sessismo e
omofobia risultano abbinati, ma possono anche presentarsi come contradditori.
Perciò il fatto di stigmatizzare una donna mascolina implica sia l’omofobia contro le
donne che non adottano degli atteggiamenti femminili “tradizionali”, sia l’ordinario
sessismo degli uomini verso le donne mascoline o eterosessuali.

Quanto all’omofobia “particolare”, quella che si esercita nei confronti dei soli
omosessuali è sicuramente un prodotto congiunto dell’omofobia e
dell’eterosessismo. La sovrapposizione di omofobia ed etero sessismo si manifesta
nei modi che hanno gli uomini di creare delle categorie. Quindi comprendere
l’omofobia da un punto di vista socio-antropologico, implica dunque “ comprendere
come le nostre società modellano i loro uomini e il loro maschile”.

L’omofobia è una forma di controllo sociale che si esercita su tutti gli uomini, fin dai
primi passi dell’educazione maschile. L’eterosessismo, ossia la discriminazione
esercitata nei confronti degli uomini e delle donne omosessuali, chiamata anche
“l’omofobia particolare” è il prodotto di quell’omofobia che ogni uomo gay o meno
subisce fin dalla nascita. Omofobia e dominio sulle donne sono le due facce di una
stessa medaglia. L’omofobia costringe gli uomini e le donne omosessuali ad adottare
codici virili (Welzer-Lang, 2006, p.212).

L’omofobia è diventata attualmente un termine “ombrello” omnicomprensivo per


indicare sia una valutazione, sia un’emozionalità negativa, sia un atteggiamento
individuale, sia un clima culturale. Importanti studi hanno cercato di capire le
caratteristiche socie demografiche e di personalità delle persone che riportano

61  
 
atteggiamenti più negativi verso il gruppo omosessuale. Alcuni sociologi
appartenenti alla nuova corrente di studi sul genere denominata “ Men studies” hanno
analizzato la relazione tra omofobia e socializzazione maschile nelle società
occidentali. Essi hanno preso in considerazione gli aspetti culturali e antropologici
nella costruzione dell’identità maschile e del rapporto tra i sessi. In quest’approccio,
Connell (1997) sostiene che l’omofobia, alla pari del sessismo assolva un ruolo
importante nel sentimento d’identità maschile: il rafforzamento della maschilità, il
non essere identificabile né come gay né come donna, diventano forze di
socializzazione critiche nella vita di un ragazzo. Secondo le teorie di Connell (1997)
nelle società occidentali, “ imparare ad essere uomo significa imparare a non essere
femminile a non essere omosessuale, ossia non essere docile, dipendente,
sottomesso, effeminato nell’aspetto fisiche e nei comportamenti e impotente con le
donne”. L’omofobia è quindi parte integrante della rappresentazione sociale della
mascolinità eterosessuale. A questo proposito Badinter (1991) fa notare che le radici
dell’omofobia si possono ascrivere ai processi di subalternità tra i generi della
dicotomia tra maschile/attivo e femminile/passivo. Nel linguaggio attuale, il maschio
omosessuale non è tanto l’uomo che ha un rapporto con una altro uomo, ma lui che è
ritenuto sessualmente passivo; se nella forma attiva, l’omosessualità attiva è un modo
per poter affermare la propria potenza, nella forma passiva diventa espressione di
subordinazione.

Un’altra indagine si è occupata di come gli uomini percepiscono invece


l’omosessualità femminile, evidenziando il cosiddetto fenomeno di “erotizzazione”
del lesbismo da parte di uomini eterosessuali, testimoniato anche dalla relativa
diffusione e utilizzo di materiale erotico raffigurante rapporti tra lesbiche. Secondo
Kate e Whitley (1996), quest’analisi si spiega attraverso un altro processo importante
nella socializzazione maschile, denominato “sessualizzazione della figura
femminile”, ossia la tendenza a percepire rappresentati dell’altro sesso attraverso
caratteristiche più sessualmente orientate. Questo significato positivo attribuito

62  
 
all’erotismo tra donne, spiega le valutazioni più positive che danno gli uomini
sull’omosessualità femminile (Pietrantoni, 1999, p.85).

2.3. Minority Stress

Un numero crescente di ricerche rivelano che il pregiudizio e la discriminazione


siano dei fattori rilevanti di stress. In particolare, queste ricerche mostrano come lo
sviluppo psicologico della maggior parte delle persone omosessuali sia segnato da
una dimensione di stress continuativo, conseguenza di ambienti ostili con episodi di
violenza e stigmatizzazione. Questo fenomeno è denominato Minority Stress.

Lo psichiatra Lingiardi, definisce minority stress: “ una dimensione di stress


continuativo, macro e micro traumatico, conseguenza di ambienti ostili o indifferenti,
episodi di stigmatizzazione, casi di violenza” ossia, stress legato all’appartenere a
una minoranza (Burgio, 2008, p.37).
Quella omosessuale, è una minoranza un po’ diversa dalle altre, perché non può
contare su modelli positivi di riferimento, e difficilmente trova il sostegno nella
propria famiglia, che può anzi assumere atteggiamenti ostili. Tutt’oggi l’adolescente
omosessuale cresce isolato, alla ricerca della comprensione e la conoscenza di sé nei
media, e nell’ambiente che lo circonda. Per le persone omosessuali, il minority stress
ha delle caratteristiche specifiche: per esempio, gli studi che mettono a confronto
popolazione bianca con minoranze razziali discriminate, non evidenziano differenze
rilevanti in termini di salute mentale, mentre le ricerche che hanno confrontato
eterosessuali e omosessuali hanno rivelato che questi ultimi hanno dei problemi
psicologici, non attribuibili al loro orientamento sessuale, bensì all’omofobia sociale.
Ilan Meyer, docente di scienze sociali, sostiene che il minority stress si componga di
tre dimensioni:

• Omofobia interiorizzata: intesa come atteggiamento negativo che la persona


omosessuale ha verso le proprie fantasie e desideri omoerotici;

63  
 
• Stigma percepito: quanto maggiore sarà la percezione del rifiuto sociale, tanto
maggiori saranno la sensibilità all’ambiente, il livello di vigilanza riguardante
la paura di essere etichettato omosessuale, il ricorso a strategie difensive
inadeguate;
• Esperienze vissute di discriminazione: Per esempio, un’esperienza di
classificazione acuta potrebbe essere quella di una ragazza che, dopo aver
superato in modo brillante un colloquio di lavoro, ottiene una posizione
professionale, che però le viene revocata una volta si scopre che è lesbica.

Le esperienze omofobiche spesso avvengono in un contesto socio-culturale


indifferente, o addirittura collusivo, e su gli omosessuali che ne rimangono vittime,
suscitano un impatto negativo molto forte. Meyer ha svolto una ricerca su 741
soggetti omosessuali, e ha mostrato una correlazione tra le tre dimensioni del
minority stress cinque indicatori di disagio psicologico: sintomi depressivi, sensi si
colpa, problemi sessuali, approcci distorti verso l’epidemia dell’Aids,
pensieri/tentativi di suicidio. I risultati confermarono l’ipotesi di un’influenza
negativa del minority stress sulla salute mentale delle persone gay e lesbiche.

Una variabile che può influenzare il livello di minority stress è il livello di coming
out, ossia il grado di visibilità del proprio orientamento sessuale, che è spesso
correlato al livello di omofobia interiorizzata. Una persona, ad esempio, che tiene
nascosto agli amici il proprio orientamento sessuale, sarà meno soggetta a esperienze
dirette di omofobia, ma allo stesso tempo, vivrà sottoposta al continuo stress di
essere scoperta. Al contrario, una persona che non nasconde la propria omosessualità
sarà più esposta ad attacchi omofobici, ma potrà contare su un’identità più strutturata
e riconosciuta nel proprio contesto affettivo.

Tra le variabili del minority stress, vi sono il contesto e il privilegio sociale. Quando
la dimensione della discriminazione attiva e violenta presente nel fenomeno del
minority stress riguarda l’infanzia o l’adolescenza, si parla di bullismo omofobico. I
bambini vittime di bullismo omofobico possono andare incontro a dei rischi di

64  
 
diversa natura: abbandono scolastico, isolamento e auto-emarginazione, alterazioni
nella sfera delle relazioni affettive, problemi psicosomatici, depressione, ansia,
insonnia, e comportamenti distruttivi, sino ad arrivare al suicidio.

Il fenomeno del bullismo omofobico presenta alcune caratteristiche:

• Le prepotenze chiamano sempre in causa una dimensione sessuale: difatti non


è attaccato solamente il soggetto in quanto tale, ma soprattutto la sua
sessualità e identità di genere.
• La vittima può incontrare particolari difficoltà a chiedere aiuto agli adulti: se
già nel bullismo comune, la vittima ha difficoltà a rivolgersi agli insegnanti o
ai genitori per chiedere aiuto, chiedere un supporto perché si è vittime,
secondo   Welzer-Lang, di bullismo omofobico, equivale a richiamare
l’attenzione sulla propria sessualità, con le relative sensazioni di ansia,
vergogna e timore di deludere le aspettative dei genitori e degli insegnanti.
• Il bambino vittima può incontrare difficoltà a individuare figure di sostegno e
protezione fra i suoi coetanei: difatti il numero di coetanei che potrebbero
difendere la vittima, si abbassa ulteriormente dei casi di bullismo omofobico,
perché comporta il rischio che anche loro vengano etichettati come
omosessuali (Lingiardi, 2007, p.80).

In conclusione, Lingiardi (2007), afferma che il mancato riconoscimento di un


legame affettivo produce nelle persone omosessuali un danno psicologico:

• L’esperienza amorosa e la costruzione dei legami affettivi avvengono nel


contesto delle relazioni sociali e nel territorio della storia e della cultura: il
concetto di famiglia non è unico e immodificabile e la politica deve
prenderne atto;

• Come stabilito anche dall’American Psychiatric Association, il mancato


riconoscimento (simbolico, giuridico e pubblico) di un legame affettivo tra
due persone libere che lo richiedono, e il rifiuto di riconoscere la loro

65  
 
esistenza come nucleo sociale, può danneggiare il benessere psicologico, la
vita di relazione e la salute mentale;

• L’implicita delegittimazione delle persone gay e lesbiche, che finiscono per


trovarsi confinate in una zona grigia, a un livello di “cittadinanza minore”,
favorisce la svalutazione, il disprezzo e la discriminazione da parte della
società, ma anche di se stessi: l’omonegatività, compreso il fenomeno
emergente del bullismo omonegativo, si alimenta anche del mancato
riconoscimento di un pieno diritto di cittadinanza alle persone omosessuali,
legittimando implicitamente pensieri come: “Se la Chiesa considera queste
persone immeritevoli di formare una famiglia, e se lo Stato ne tollera la
convivenza, purché senza celebrazioni, diritti e tutele, allora vorrà dire che in
fondo, davanti a Dio e agli uomini, questi omosessuali non sono proprio
cittadini come gli altri”.

2.4. L’omofobia interiorizzata

Con l’espressione “omofobia interiorizzata” (internalized homophobia) ci si


riferisce alla presenza nei gay e nelle lesbiche di atteggiamenti negativi nei confronti
dell’omosessualità, cioè verso i comportamenti omosessuali, le relazioni tra persone
dello stesso sesso, l’auto definizione come gay o lesbica.

L’omofobia interiorizzata “ è l’insieme di sentimenti e atteggiamenti negativi verso


le caratteristiche omosessuali in se stessi e verso l’omosessualità nelle altre persone
da parte degli stessi omosessuali” (Pietrantoni, 1999, p.86). Alcuni autori però
preferiscono l’espressione “eterosessismo interiorizzata”. Sebbene sia stato scritto
molto sull’omofobia interiorizzata, non si può non rimarcare un’oggettiva mancanza
di dati empirici sulla sua effettiva diffusione nella popolazione omosessuale. Molti
degli studi disponibili, eseguiti negli Stati Uniti, inoltre, appaiono viziati da difetti
metodologici non irrilevanti. In un vasto studio su più di 1.000 gay e lesbiche

66  
 
residenti nell’area della Baia di San Francisco, risultò che circa il 28% dei gay
bianchi e quasi il 50% dei gay neri intervistati riportavano “un po’ di senso di colpa”
per le loro attività sessuali con altri uomini; circa il 25% dei gay bianchi e neri
riferivano di considerare l’omosessualità come un “disturbo emotivo”. I dati riferiti
alle donne erano leggermente più bassi, con il 20% delle lesbiche bianche e il 33%
delle lesbiche nere che riferivano senso di colpa a causa delle loro attività sessuali
con altre donne, e con meno del 25% di entrambi i gruppi di lesbiche che
considerava l’omosessualità come un disturbo. È probabile che esista una grande
variabilità nell’intensità dell’omofobia interiorizzata nella popolazione gay e lesbica.
Possono giocare un ruolo variabili sociali come l’area geografica di provenienza, il
contesto urbano o rurale di residenza, l’etnia, il livello di istruzione, la classe sociale,
fattori familiari, come il livello di omofobia dei genitori e di altre figure parentali
rilevanti. Possono avere una grossa influenza anche variabili psicologiche personali,
come la bassa autostima, la vulnerabilità ai condizionamenti ambientali, le strategie
difensive adottate.

Ross (1985) ha tuttavia segnalato che il disadattamento psicologico tra gli


omosessuali è maggiormente dipendente dall’anticipazione del rifiuto sociale che
non da un’oppressione sociale effettiva, indicando con ciò che gli antecedenti di tale
processo d’introiezione sono maggiormente legati a variabili psicologiche interne che
non a variabili sociali esterne. L’omofobia interiorizzata gioca un ruolo cruciale
come fattore patogeno nel processo evolutivo di gay e lesbiche, essendo
determinante nell’insorgenza di diversi disturbi emotivi, e può incidere sia
sull’evoluzione della malattia che sulle scelte di prevenzione e cura. Per Malyon
(1982) la psicologia affermativa dell’omosessualità “considera l’omofobia come la
principale variabile patologica nello sviluppo di alcune condizioni sintomatiche nei
gay”. Alti livelli di omofobia interiorizzata sono significativamente associati a
condizioni generali di disagio psicologico, bassa autostima, scarso supporto sociale,
oltre che a numerosi problemi specifici, e possono rallentare, arrestare
temporaneamente o compromettere il processo evolutivo di formazione dell’identità

67  
 
omosessuale. Esistono numerosi studi su campioni di gay in base ai quali risulta che
l’omofobia interiorizzata può causare disagio psicologico. Meyer (1995) in uno
studio su oltre 700 gay ha verificato che elevati livelli di omofobia interiorizzata
erano associati ad alti livelli di disagio psicologico. Alexander (1986) in uno studio
su 109 gay ha dimostrato la relazione tra depressione ed elevati livelli di omofobia
interiorizzata. Cabaj (1988) ha descritto numerose variabili psicologiche associate
all’omofobia interiorizzata, tra cui bassi livelli di accettazione di sé e di autostima, e
l’incapacità di svelare agli altri il proprio orientamento sessuale. Romance (1988) in
uno studio su 86 gay ha dimostrato che bassi livelli di omofobia interiorizzata erano
associati ad alti livelli di autostima e di soddisfazione per le relazioni con partner
dello stesso sesso. Altri autori hanno verificato che avere sentimenti positivi verso se
stessi come omosessuali era associato ad alti livelli di autostima complessiva e a
migliori condizioni di salute mentale. Inoltre, è stato dimostrato anche che
l’omofobia interiorizzata tra i gay era legata alla percezione della scarsa disponibilità
di supporto sociale. Risultati simili sono stati riscontrati nelle ricerche di McGregor,
con riferimento alle lesbiche. Queste ricerche hanno evidenziato che l’eterosessismo
interiorizzato è correlato a una varietà di difficoltà psicologiche, come la
depressione, la mancanza di supporto sociale e la bassa autostima in lesbiche e donne
bisessuali. Altre variabili associate all’interiorizzazione di atteggiamenti omofobici
nei gay e nelle lesbiche riguardano la presenza di alti livelli di religiosità e di senso
di colpa. Lo stress legato alla condizione di omosessuale sembra incidere, inoltre,
sulla frequenza dei tentativi di suicidio di giovani gay e lesbiche quando durante
l’adolescenza si rendono conto dei loro desideri omoerotici, sperimentano reazioni
negative al loro coming-out, o subiscono vittimizzazioni a causa del loro
orientamento sessuale. È per questo che per un gay o per una lesbica svelare il
proprio orientamento sessuale, benché li esponga al rischio concreto di essere
respinti dalla famiglia, di avere problemi con il lavoro, di essere esposti a
stigmatizzazione e discriminazione, abusi verbali e atti di violenza anche fisica, può
comunque accrescere il loro benessere psicologico, come dimostrano diversi studi. In
definitiva, Shildo (1994) ha sostenuto la validità e la significatività dell’omofobia

68  
 
interiorizzata per comprendere pienamente la psicologia di gay e lesbiche, e la ritiene
una componente centrale per la conduzione di una psicoterapia affermativa con
clienti gay e lesbiche. Kahn (1991) sostiene che la risoluzione della formazione
dell’identità omosessuale dipende dal superamento dell’omofobia interiorizzata. Un
primo studio empirico sui gay che esaminava le credenze e gli atteggiamenti del
soggetto verso il proprio orientamento omosessuale e verso l’omosessualità in
generale fu condotto da Weinberg e Williams nel 1974 (Montano, 2007, p.8). In
quell’occasione fu utilizzato uno strumento di misurazione denominato Internalized
Homophobia Questionnaire (IHQ) articolato in quattro sotto-scale composti di undici
elementi:

• ansia riguardante l’omosessualità;


• coinvolgimento come omosessuale;
• concezione dell’omosessualità come malattia;
• concezione dell’omosessualità come scelta.

Il soggetto doveva esprimere il proprio grado di accordo con le affermazioni su una


scala a 5 livelli (da “fortemente d’accordo” a “fortemente contrario”). (Montano,
2007). Le persone omosessuali, nel corso dei processi di socializzazione, sono
continuamente esposte a frasi denigrazione dell’omosessualità ed essendo si auto-
convincono che le relazioni omosessuali siano sbagliate, ossia che tra due uomini
non può esistere l’amore, oppure, che dichiararsi sia una forma di esibizionismo.
Quest’insieme di atteggiamenti, viene assimilato nell’immagine di sé, determinando
una suddivisione degli aspetti sessuali e affettivi che interferiscono con il processo
evolutivo. Fattori sociali come la regione di provenienza, fattori familiari come
l’omofobia genitoriale, influenzano i livelli di omofobia interiorizzata. Un altro
elemento che influenza l’omofobia interiorizzata, è il confronto con le proprie
convenzioni religiose. Gli adolescenti omosessuali molti religiosi hanno più
difficoltà a integrare le sensazioni che sentono verso individui dello stesso sesso, con
le proprie convinzioni religiose.

69  
 
L’omofobia interiorizzata ha un impatto deleterio a livello psicologico di gay e
lesbiche, e può causare depressione, ansia e a volte il suicidio. In alcuni casi la
persona si accusa di essere sbagliata o inferiore a causa della sua omosessualità. Il
soggetto mette in atto una serie di meccanismi di difesa con l’obiettivo di allontanare
le fantasie omosessuali. Miceli e Castelfranchi (1995) espongono un’interessante
analisi sul funzionamento dei meccanismi di difesa dei soggetti omosessuali, e
mostrano le varie forme che può assumere tale negazione della propria identità
sessuale. Essi individuano cinque strategie cognitive inconsapevoli per negare la loro
ipotetica omosessualità:

• La negazione della premessa: “non è vero che mi piace guadare gli


uomini”;

• La ricerca di una conseguenza negativa: “se mi piace guardare gli


uomini, è perché sono un esteta e non un omosessuale”;

• La ricerca di una premessa che neghi la conseguenza: “siccome corteggio


le donne, non sono un omosessuale”;

• La negazione del rapporto d’implicazione: “è un errore credere che se un


uomo guarda altri uomini allora questo è considerato omosessuale”;

• La ricerca di una premessa aggiuntiva: “non basta guardare gli uomini


per essere omosessuale, si deve anche desiderare di avere rapporti
sessuali con loro”;

A volte, i meccanismi di negazione sono mantenuti per anni, cosicché molti


adolescenti gay raggiungono l’età adulta inconsapevoli ed estranei alla loro vita
emotiva intima (Pietrantoni, 1999, p.53).

2.5. Conseguenze sociali dell’omofobia


Per quanto più socialmente accettata, o forse meglio tollerata di un tempo,
l’omosessualità continua a essere un’esperienza rischiosa per chi la vive. L’aver

70  
 
subito almeno una volta manifestazioni violente di omofobia è un fenomeno molto
diffuso tra gay e lesbiche. In una ricerca effettuata a Torino, la maggioranza degli
uomini omosessuali intervistati, e un terzo delle donne lesbiche, hanno denunciato di
aver subito almeno un episodio di violenza, solo per il fatto di essere omosessuale,
sotto forma di aggressione fisica o verbale. Il disagio espresso per il solo fatto di
essere giudicati diversi non sembra solo legato alle esperienze di ostilità, ma sembra
derivare da quello che si percepisce nel contesto culturale (Saraceno, 2003, p.123).
Le violenze su giovani lesbiche e giovani gay sembrano continuare in un contesto di
silenzio sociale, dovuto sia all’ignoranza che al pregiudizio omofobico. La nostra
società non condanna l’omofobia e spesso, non si percepisce. Lavorare contro la
violenza che colpisce gli omosessuali, significa innanzitutto mettere in atto una
campagna contro gli stereotipi e l’ignoranza che ancora riguardano la maggior parte
della popolazione. Diventa quindi fondamentale rompere questo muro di omertà
lavorando sul pregiudizio e sull’ignoranza (Pedote P.; Poidimani 2007, p.100).

Per stereotipo s’intende “un insieme coerente e abbastanza rigido di credenze


negative che un certo gruppo condivide rispetto a un altro gruppo o categoria
sociale”.

Mentre per pregiudizio s’intende “la tendenza a considerare in modo


ingiustificatamente sfavorevole le persone che appartengono ad un determinato
gruppo sociale”.

Come indica l’etimologia della parola “stereotipo” (stereos significa rigido, tupos
significa impronta), si considera “stereotipato un modo di pensare rigido, ripetitivo,
che applica le medesime categorie per rappresentare il reale senza tener conto della
sua varietà e mutevolezza”. La stessa parola gay, per esempio, è di origine inglese e
significa “gioioso”, e indica persone con preferenze sessuali verso individui dello
stesso sesso. E’ stata coniata alla metà del XX secolo proprio per sostituire una
parola positiva alle offese negative e denigratorie che erano state utilizzate in
precedenza. Se pensiamo alle parole che esistono e che vengono utilizzate per
indicare un omosessuale, solo alcune sono neutrali nel significato che veicolano. La

71  
 
maggior parte contengono riferimenti di carattere negativo. Alcuni esempi possono
essere: “lesbicona”, “finocchio”, “è uno dell’altra sponda”, “è un ricchione”, e così
via. Questi nomi, e questo tipo di offese non sono utilizzati solo per definire gli
omosessuali, ma per descrivere negativamente comportamenti poco accettati, o
rifiutati dall’ambiente culturale. Il processo di apprendimento di un bambino che
sente ripetere continuamente questo tipo di espressioni, non assocerà, la parola
“finocchio” a una persona che “ama” una persona dello stesso sesso, bensì, il
bambino saprà sicuramente che questa parola, designerà sicuramente qualcosa di
negativo e indesiderabile. Anche se non ha mai conosciuto una persona omosessuale,
sarà portato ad aspettarsi delle persone dagli atteggiamenti devianti e anomali, e a
evitare con il proprio comportamento tutto quello che può richiamare a questo
comportamento negativo.

Oltre ai discorsi quotidiani, anche i mezzi di comunicazione di massa sono un


potente veicolo di trasmissione di stereotipi. Per esempio, a volte viene utilizzato il
termine omosessuale in correlazione alla pedofilia, trasgressione ed esibizionismo.
Le scelte di tipo linguistico hanno un impatto potente sul gruppo sociale. Un
individuo usa un determinato termine con valore denigratorio per indicare un gruppo
sociale. Questo termine, di conseguenza, sarà così potente nell’indurre, in maniera
automatica associazioni negative e creare situazioni spiacevoli da influenzare
l’interazione sociale. Le ricerche psicologiche, che studiano l’atteggiamento delle
persone verso gli omosessuali, si trovano di fronte ad una prima difficoltà. Difatti la
parola “omosessuale” ha già di per sé una forte stereo tipizzazione, ossia, l’implicita
declinazione al maschile. Il termine è spesso interpretato per indicare i maschi
omosessuali e questa tendenza sembra essere prevalente più negli uomini che nelle
donne. Una ricerca effettuata da Black e Stevenson nel 1084, ha dimostrato che le
persone che interpretavano il termine omosessuale al maschile, avevano un
atteggiamento più negativo delle persone che invece lo interpretavano sia in maniera
maschile sia femminile. Gli stereotipi sulle persone omosessuali sono numerosi, e
vengono divisi in quattro categorie:

72  
 
• Gli stereotipi che si riferiscono alla non conformità del ruolo di genere;

• Gli stereotipi che si riferiscono al ruolo sociale;

• Gli stereotipi che si riferiscono alle relazioni e al comportamento sessuale;

• Gli stereotipi che si riferiscono alle cause dell’omosessualità;

Gli stereotipi più comuni, attribuiscono alle persone omosessuali caratteristiche


dell’altro sesso, ed è per questo che vengono collegate alla categoria della non
conformità al ruolo di genere: gli uomini gay hanno, quindi, comportamenti,
atteggiamenti e abitudini tipici del sesso femminile e le lesbiche presentano
atteggiamenti mascolini. Le persone omosessuali sono anche caratterizzate da
tratti della personalità “devianti”, poiché sono viste come persone trasgressive,
deboli, insicure, disturbate etc. Alcuni stereotipi riguardano il comportamento
sessuale. Una convinzione comune descrive le persone omosessuali come
desiderose di corteggiare, o addirittura convertire le persone eterosessuali. Infine
una serie di convinzioni stereotipiche riguarda la causa dell’omosessualità, ossia
che alcuni sostengono che le persone omosessuali siano diventate tali a causa di
traumi infantili oppure del desiderio genitoriale di avere figli dell’altro sesso, o
sono frutto di un’educazione scorretta. Uno stereotipo sull’omosessualità molto
radicato nella cultura è che quello che vede l’omosessualità maschile associata
alla pedofilia. Quindi gli omosessuali sono visti come una minaccia per le
persone più vulnerabili della società, i bambini.

Ma quali relazioni esistono tra stereotipi e pregiudizi?

Considerando il pregiudizio verso il target omosessuale, una prima serie di studi


ha indagato la relazione tra processi di stereo tipizzazione e atteggiamento
negativo verso l’outgroup. In una ricerca di Laner e Laner (1980), se il target era
una donna omosessuale descritta in modo stereotipico (ipofemminile, mascoline,
e senza trucco) il punteggio valutativo, su una scala piacere/dispiacere era
peggiore rispetto ad un target lesbico non stereotipico e ad un target non lesbico.

73  
 
Jackson e Sullivan (1990) hanno riscontrato in un’indagine che i partecipanti di
sesso maschile che condividevano delle convenzioni stereotipiche, sia positive
sia negative (creativi e immorali), rispetto all’omosessualità maschile, erano più
propensi ad assegnare un peggior voto al target omosessuale ad un esame
universitario rispetto ad un target eterosessuale. In uno studio di Gentry (1987), i
soggetti che mostravano maggiore astio nei confronti degli omosessuali,
condividevano affermazioni come: “i gay molestano i bambini e non dovrebbero
stare con loro” oppure “gli omosessuali sono disturbati e hanno bisogno di cure
psichiatriche”.

Un altro filone di ricerche ha analizzato in che misura le opinioni degli individui


si associno alla messa in atto di veri e propri comportamenti di odio. La storia
occidentale, infatti è piena di casi discriminazioni e violenze nei confronti di gay
e lesbiche, spesso ufficialmente legittimate. Solo nel XX secolo, circa 50.000
omosessuali, oltre a migliaia di ebrei che sono stati barbaramente uccisi durante il
periodo nazifascista. Lo studioso Maas (1991), ha esaminato i processi che
impediscono o facilitano l’espressione comportamentale del pregiudizio fa
riferimento al concetto di “ambiguità attribuzionale”: le reazioni negative verso
l’outgroup si trasformeranno in comportamenti manifesti soprattutto quando sono
attribuibili a fattori diversi dalla categoria sociale (Pietrantoni, 1999, p.78).

74  
 
Capitolo 3

Il progetto di ricerca sull’omofobia

3.1. Metodologia della ricerca e approccio biografico


Come già spiegato nel primo capitolo del lavoro, “genere” è un concetto
culturalmente specifico, che può mutare nel tempo, “relazionale” e che esprime
l’organizzazione sociale alle relazioni di genere e in particolare a quelle di potere.
Inoltre, nasconde una gerarchia connessa alle relazioni di genere e in particolare a
quelle di potere. Ecco che lo sviluppo di pratiche di ricerca sensibili alle differenze di
genere richiede un percorso di riflessione che riempia di senso e al contempo vada al
di là della semplice “disaggregazione per sesso” (Ruspini, 2006, p.111). Nella nostra
società, oltre ad una rappresentazione della sessualità, esiste un insieme di
convinzioni, valori e costumi condivisi sulla “maschilità” e “femminilità”. I bambini
interiorizzano le regole del comportamento prescritte dalla società nel corso della
definizione dell’identità e ruolo di genere. Poiché i comportamenti di genere sono
appresi in età infantile, i significati attribuiti alla mascolinità e femminilità appaiono
di conseguenza come “naturali” e non come costruiti socialmente. Sebbene l’identità
di genere e il ruolo di genere siano distinti dall’orientamento sessuale, le due sono
culturalmente associate: l’eterosessualità equivale a una normale “maschilità” e a una
normale “femminilità” mentre l’omosessualità equivale a una violazione delle norme
di genere.

Il legame ideologico tra sessualità e genere ha due conseguenze negative. In primo


luogo, poiché, l’omosessualità è associata alla deviazione di qualcosa di “naturale”
come la maschilità e la femminilità, la sua etichetta di “anormalità” è come se
ricevesse ulteriori giustificazioni. In secondo luogo, le persone che non sono
conformi ai ruoli di genere, di là del loro reale orientamento sessuale, vengono
spesso etichettate come omosessuali e sono discriminate; si stabiliscono così
pressanti meccanismi di controllo sociale affinché le persone eterosessuali e

75  
 
omosessuali controllino attentamente il loro comportamento con l’intento di evitare
una qualsiasi apparenza di non conformità di genere. Nella letteratura scientifica
sono numerose le ricerche sulle caratteristiche del pregiudizio verso gli omosessuali
nella popolazione adulta e adolescenziale. Per quanto riguarda il progetto di ricerca,
è da sottolineare l’importanza che ho voluto conferire alla tematica dell’omofobia
presente nei giovani che hanno voluto raccontare la loro vita. Comprendere il
fenomeno del pregiudizio è interessante perché apre uno squarcio sui meccanismi di
formazione dell’apprendimento degli stereotipi e perché la costruzione dell’identità
sessuale gioca un ruolo rilevante nella formulazione delle proprie opinioni
(Pietrantoni, 1999, p.76). A questo proposito si deve evidenziare il contributo della
ricerca a orientamento qualitativo. Mentre la ricerca quantitativa è associata ai
processi d’induzione, standardizzazione, oggettività e generalizzabilità, il paradigma
qualitativo mira ad approfondire tematiche delicate che toccano la sfera personale e
dei valori e che, dunque, richiedono un approccio che scenda in profondità, ed è
caratterizzato da una componente interpretativa, che si presta molto bene all’analisi
dei processi di socializzazione al genere, della componente dinamica delle relazioni
di genere e delle trasformazioni subìte dalle diverse forme di maschilità e
femminilità (Ruspini, 2006, p.113). Nel progetto di ricerca il paradigma qualitativo è
stat preferito a quello quantitativo per diversi motivi. In primo luogo, mentre l’analisi
quantitativa procede per tappe fissate in modo più rigido, nella ricerca qualitativa la
procedura è più flessibile. Per quanto riguarda la scelta del tema da analizzare, la
ricerca qualitativa tende a essere inquadrata piuttosto in una relazione a un problema
empirico, che a un problema teorico. Inoltre, se nella ricerca quantitativa, teorie e
concetti pre-esistono all’analisi empirica, nella ricerca qualitativa essi sono costruiti
nel corso della ricerca stessa. Diversamente che nella ricerca quantitativa, lo
strumento per la raccolta dei dati nella ricerca qualitativa non è standardizzato.
Mentre la ricerca quantitativa assume un’indipendenza dei casi e una loro
aggregazione per variabili, la ricerca qualitativa ha una visione più olistica e dà più
importanza ai processi di interazione sociale. Difatti una certa empatia è considerata
non solo inevitabile ma auspicabile. Mentre nella ricerca quantitativa il ricercatore è

76  
 
percepito come distante dall’oggetto di studio, in quella qualitativa, si presuppone
una cerca vicinanza tra ricercatore e soggetto della ricerca (in particolare tra
intervistatore e intervistato). Le procedure per l’analisi dei dati sono più codificate
nella ricerca quantitativa, che è orientata a testare relazioni causali, che in quella
qualitativa, che mira invece a una comprensione più generale. Infine nella
presentazione delle informazioni, mentre la ricerca quantitativa permette di
sintetizzare i dati in numeri e di ricorrere alla statistica, la ricerca qualitativa
favorisce la narrazione e, con essa, una comprensione del significato che gli attori
stessi danno di una certa realtà (Della Porta, 2010, p.14). Prendendo in
considerazione il progetto di ricerca sull’omofobia, si è scelto di utilizzare lo
strumento dell’intervista biografica.

Un’intervista è biografica “quando a partire da una traccia di intervista strutturata,


non viene direttamente somministrata, ma si svolge all’interno di una situazione
sociale particolare, “la situazione dell’intervista”, intesa come atto di ricerca, ossia
l’insieme degli avvenimenti che consentono lo sviluppo di un’azione sociale
complessa, costruita dialogicamente da due o più attori durante la quale viene
prodotta l’intervista stessa, con l’apporto di un basso grado di direttività e dunque a
basso grado di standardizzazione”. Le interviste biografiche sono di due tipi: il
racconto di vita e la storia di vita, che si differenziano tra loro solo per ciò che
riguarda la direttività. Il grado di questa proprietà è differente perché nelle due forme
cambia la “consigne de départ”, la domanda “fondatrice” o “inaugurale”, lo stimolo
iniziale che dà il via all’intervista (Bichi, 2007, p.78). La “consegna iniziale” orienta
il colloquio. Il racconto e la storia di vita hanno due livelli di direttività diversi. Nel
caso del racconto, la consegna iniziale indirizza il colloquio verso un tema specifico,
ritagliano uno spazio narrativo limitato sin dal principio. Nel caso della storia di vita,
al contrario, l’invito è a parlare dell’intero percorso biografico, lasciando libero
l’intervistato di scegliere qualsiasi direzione da dare al discorso. In questo progetto di
ricerca è stata utilizzata una sorta di fusione tra storie e racconti di vita. Difatti sia nel
racconto che nella storia di vita, chi intervista ha interessi conoscitivi delimitati e li

77  
 
metterà in campo in itinere, attraverso le modalità della sua conduzione. L’intervista
biografica è quindi orientata dall’intenzione di conoscenza del ricercatore. Essa è
quindi un’azione sociale, nella quale due attori (intervistato-intervistatore) agiscono
intenzionalmente con riferimento all’altro. Il risultato finale dipenderà anche dallo
scambio relazionale che i due attori hanno costruito in interazione. Questo significa
che ogni intervista è diversa dalle altre, con un andamento singolare e irripetibile
(Bichi, 2007, p.51).

I racconti di vita hanno tre principali funzioni:

• Funzione esplorativa

• Funzione esplicativa o analitica

• Funzione espressiva

La funzione esplorativa implica una metodologia della ricerca particolare: cercare di


ottenere informazioni già illustrative e interpretative, stabilendo contatti diretti,
seguendo un percorso aperto a variazioni e aggiustamenti, partendo da un’idea-guida
plausibile più che da un’ipotesi da verificare.
Per questa ragione ho preparato una traccia d’intervista nella quale ogni dialogo ha
seguito un percorso autonomo (con sporadici momenti d' impasse). Successivamente
sono tornata alla traccia precedentemente designata, modificandola più volte.
Durante ogni intervista, che in media durava un’ora, ho utilizzato un registratore
digitale. Questo nuovo supporto ritengo abbia il vantaggio di essere meno invasivo
rispetto ad altri dispositivi. Ho utilizzato uno stile che favorisse la libera espressione
dell’intervistato, intervenendo attraverso conferme verbali e non verbali, richieste di
precisazioni, riformulando per esempio un enunciato con l’obiettivo di dimostrare di
aver capito.

Quello che ho ricevuto è stato un flusso di parole, silenzi, balbettii. Il registratore


purtroppo trattiene solo una parte di queste informazioni poiché non è una
videocamera. Si sono persi così sguardi, postura, gesti etc. Ma il lato negativo
dell’utilizzo della videocamera però è che questa avrebbe limitato ulteriormente la

78  
 
spontaneità creando più imbarazzo di un registratore. Bisogna evidenziare anche il
fatto che attraverso la trascrizione delle interviste non viene conservata la voce, ma
quello che rimane non è certo poco. Difatti viene “congelata” la trascrizione
dell’intervista che consente di cogliere quella ricchezza di informazioni che durante
l’intervista non era possibile cogliere (Burgio, 2008, p.53). L’intervista biografica
cominciava solitamente con questa introduzione: “Salve, innanzitutto ti ringrazio per
la tua disponibilità a essere intervistato. Come avrai saputo sono una studentessa di
Scienze della Comunicazione dell’Università di Sassari, e sto svolgendo un progetto
di ricerca sull’identità di genere, e quindi mi piacerebbe fare una conversazione con
te sull’importanza che ha avuto sia il genere maschile sia femminile nel corso della
tua vita. Il colloquio durerà circa un’ora, e se per te è possibile, vorrei utilizzare
questo registratore digitale, in modo da non poter perdere informazioni importanti.
L’intervista è anonima e saranno utilizzati degli pseudonimi. Inoltre saranno
camuffati tutti quegli elementi che potrebbero ricondurre a te. Infine tutto quello che
mi dirai, dovrà essere utilizzato solo ai fini della mia ricerca universitaria. E’
comunque da rilevare la scelta di non voler rivelare agli intervistati che l’obiettivo
della ricerca fosse quello di analizzare il livello di omofobia e questo non a causa di
una scorrettezza deontologica, quanto al tentativo di non creare un pregiudizio e
falsificare così i dati biografici.

La seconda funzione dei racconti di vita è quella analitica. L’analisi evidenzia le


tappe cronologiche di un’esistenza, le scelte e gli eventi significativi, le esperienze
vissute e le azioni, ma anche le relazioni interpersonali e la loro natura, nonché il

mondo delle argomentazioni, i giudizi, le credenze, le valutazioni attraverso cui si


forma l’esperienza di vita. In maniera coerente con i presupposti metodologici, ho
tralasciato volutamente l’ambito dell’analisi psicologica perché ho sentito che non
fosse rispettoso nei confronti della relazione instaurata con gli intervistati. L’analisi
si è quindi concentrata all’elaborazione sistemica dell’esperienza vissuta (Burgio,
2008, p.52).

79  
 
La terza funzione è quella espressiva. Difatti “pubblicando un racconto di vita in
extenso gli si attribuisce non una funzione di ricerca, ma una funzione di
comunicazione”. La fedeltà della trascrizione è, infatti, fedeltà alla relazione
instaurata. Un interesse primario dei ragazzi che mi hanno affidato le loro storie era
proprio poter interagire con la ricerca scientifica, poterla orientare, farla agire in
maniera rispettosa del loro vissuto e della loro esperienza. (Burgio, 2008, p. 51).

All’approccio biografico è stata integrata la Grounded Theory, ossia un metodo


d’indagine che porta alla scoperta di una teoria dai dati empirici che sono stati
sistematicamente raccolti attraverso la ricerca. Le life stories, o racconti di vita, sono
tradizionalmente considerate come il resoconto che un individuo dà della propria
vita. Nelle storie di vita l’intervistatore ha, infatti, un ruolo attivo. Becker (2002)
afferma che il sociologo che raccoglie una storia di vita compie passi per assicurarsi
che questa comprenda tutto ciò che vuole conoscere, che fatti o eventi significativi
non siano trascurati, che ciò che viene rappresentato come fatto sia suffragato da
altre prove disponibili e che le interpretazioni siano presentate dal soggetto in modo
onesto. I racconti di vita mirano a una ricostruzione biografica, piuttosto che alla
testimonianza su avvenimenti storici. La registrazione del racconto è, infatti, un
mezzo per conoscere la società attraverso l’immagine che viene data nella narrazione
dell’intervistato. I racconti di vita hanno inoltre il merito di affrontare tematiche di
importanza crescente, che altri metodi lascerebbero nell’ombra. Lo studio di
mentalità, rappresentazioni collettive può infatti offrire contributi significativi per la
comprensione di società in rapida trasformazione. Infine riflettono la convinzione
che la storia sia fatta dalle persone normali e non solo dalle elitès, ponendo
l’attenzione su gente comune (Della Porta, 2010, p.36).

80  
 
3.2. L’utilizzo della Grounded Theory nella metodologia di analisi
dei dati
Di fronte a un insieme d’interviste di ricerca prodotte nel modo più
controllato possibile per chiarire una questione o comprendere un problema a partire
dalla soggettività delle persone coinvolte, ho cercato di scoprire la varietà dei punti
di vista e tentato di introdurvi un ordine fondato sui materiali raccolti. Al nocciolo
della pratica dell’intervista di ricerca vi è la preoccupazione di aiutare con ogni
mezzo il soggetto a esprimere, il più liberamente possibile, le sue ragioni, le sue idee,
i suoi sentimenti. L’intervista non è strutturata perché è incentrata sul soggetto, ossia
destinata a facilitare la libera espressione in modo da costruire la situazione, di
ricostruire le sue esperienze passate e anticipare i suoi futuri possibili (Demazière,
Dubar, 2000, p. 105). Più specificatamente, anche per rispondere alla “sfida” dei
metodi qualitativi, ho deciso, convinta dell’alta potenzialità metodologica (e quindi
dell’opportunità euristica) di svolgere la ricerca empirica attraverso quello che
definiamo un “incontro sinergico e complementare” tra l’approccio biografico e la
Grounded Theory (Chicchi, 2000).
La Grounded Theory è stata formulata per la prima volta nella seconda metà degli
anni sessanta da due studiosi americani, Barney G. Glaser e Anselm L. Strauss, che
con lo scopo di fornire un metodo di analisi sistematico capace di legittimare
scientificamente il trattamento dei dati empirici qualitativi, ne elaborarono
l'impostazione teorica e svolsero una serie di studi empirici sulla base della nuova
metodologia. In questa sede ci riferiremo a tale originaria formulazione che in
seguito ha visto l'emergere di nuove interpretazioni da essa derivate, sia per mano dei
suoi autori sia attraverso la loro collaborazione con altri studiosi.
Il fondamento teorico-metodologico che regge le procedure della Grounded Theory
risiede, da un lato, nell’impostazione metodologica della “corrente” sociologica
dell'interazionismo simbolico così com’è stata indicata dai suoi esponenti più
importanti e cioè la considerazione che l'accesso al “mondo-della-vita” degli
individui è una condizione imprescindibile della ricerca sociologica; e dall’altro,

81  
 
nell’ottica scientifica weberiana che prevede non solo un’accurata descrizione
dell’agire sociale ma anche la sua spiegazione causale attraverso teorie astratte. La
metodologia della Grounded Theory è inoltre fondata su di un processo di ricerca di
carattere prevalentemente (ma non esclusivamente) induttivo in cui viene privilegiato
il rapporto, svincolato il più possibile da presupposti teorici, del ricercatore con i dati
empirici che egli incontra e codifica durante tutto il suo lavoro di ricerca sul campo.
Glaser e Strauss affermano in proposito che “generare una teoria partendo dai dati
significa che molte ipotesi e concetti, non solo provengono dai dati, ma sono
sistematicamente estrapolati in relazione ai dati durante il corso della ricerca.
Generare una teoria implica un processo di ricerca”.
Questo processo di ricerca ha dunque alla sua base i dati su cui poggiano
l'enunciazione teorica e quindi la conoscenza scientifica. “La raccolta dei dati è una
premessa fondamentale, cui fa riferimento il ragionare teorico per raggiungere alla
cogenza della validità scientifica e per usufruire di un'autorevole plausibilità dei
risultati” (Chicchi, 2000).

La Grounded Theory viene individuata come uno dei due versanti dell’analisi
qualitativa delle scienze sociali, quello della costruzione della teoria sociologica a
partire dai dati, mentre l’altro è identificato con lo studio etnografico, che privilegia
la descrizione accurata dei fenomeni sociali invece che la costruzione teorica. La
Grounded Theory è “la costruzione teorica che non è frutto del processo logico-
deduttivo, che non è originata dal procedimento speculativo- astratto che prende
spunto da riflessioni pre-esistenti, sia pure riformulandole, e che non assegna ai dati
il valore di prova empirica utile per verificare ed illustrare le suddette speculazioni”.
Essa vede nei dati la fonte della teoria che dà loro il senso, l’origine e la ragione di
quest’ultima, e assegna ai dati medesimi uno statuto teorico ben diverso da quello di
meri elementi utili perla verifica di teorie formulate a partire da altro, invece che da
essi stessi.
Una Grounded Theory elaborata sulla base dell’analisi dei dati qualitativi è spesso
presentata in modo abbastanza plausibile da soddisfare la maggior parte dei lettori.

82  
 
La teoria così presentata può essere adattata e trasferita a molte situazioni con
esattezza sufficiente a indirizzare il pensiero, la comprensione da parte di chi legge.
L’applicazione pratica di una teoria sociologica, prevede che abbia almeno quattro
proprietà fra loro strettamente collegate. La prima caratteristica è che una teoria deve
essere aderente ed essere adeguata all’area sostantiva in cui sarà utilizzata. La
seconda caratteristica è che questa dovrà essere facilmente comprensibile da chi non
è esperto della ricerca. La terza è che essa dovrà essere formulata in termini generali
da poter essere applicata non solo a uno specifico tipo di situazioni, ma a una varietà
di situazioni quotidiane differenti all’interno della medesima area sostantiva. Infine
la quarta caratteristica si riferisce al fatto che la teoria deve consentire a chi la
utilizza di poter parzialmente avere il controllo della struttura e del processo che
regolano situazioni ordinarie e del loro modo di cambiare attraverso il tempo (Glaser,
Strauss, 1967; p.6).

Tutte queste caratteristiche, come vedremo nell’analisi dei racconti biografici sono
comprese nella Grounded Theory.

3.3 Descrizione del campione


I criteri di selezione delle persone intervistate, all’interno di un percorso di
ricerca biografica, organizzano la cosiddetta costruzione del campione. Si parla di
campione perché le persone così selezionate formano un insieme che, come ogni
campione della ricerca sociale, è un sotto-insieme della più vasta popolazione di
riferimento (Bichi 2007, p.78).

La ricerca qualitativa presta molta attenzione al campionamento, normalmente


orientato a scegliere un campione rappresentativo del progetto di ricerca. Scelti i tipi
di persone che si vorrebbero intervistare, occorre convincerle a partecipare. Le
strategie di reclutamento variano a seconda delle reti di relazioni personali in cui
l’intervistatore è inserito. Dato che in alcuni casi le interviste qualitative tendono a

83  
 
essere un po’ invasive rispetto alla vita privata, è molto importante raggiungere un
accordo chiaro con l’intervistato sui modi di garantire l’anonimato.

In precedenza erano state inviate delle lettere che hanno spiegato (Della Porta, 2010,
p.66):

• Chi fossi;

• A quale istituzione appartenessi;

• Lo scopo dell’intervista;

• La durata dell’intervista;

• Come sono stati selezionati gli intervistati;

• Il grado di anonimità garantito;

• L’uso esclusivamente a fini scientifici delle interviste;

Il theoretical sampling (campionamento teorico), è uno degli atti fondamentali della


Grounded theory. Esso consiste nel dirigere lo sviluppo del campione verso quelle
parti che possono colmare i vuoti nella teoria, la quale comincia a profilarsi
nell’analisi. Il theoretical sampling quindi allarga il campione non sulla base delle
esigenze statistiche, ma seguendo lo sviluppo delle idee (Tarozzi, 2007, p.22). Esso è
un processo di raccolta di dati in cui il ricercatore contemporaneamente raccoglie,
codifica e analizza i propri dati e, in base a ciò, decide quali ulteriori dati raccogliere
e dove trovarli, al fine di sviluppare la teoria nel momento in cui emerge (Strati,
2009, p.75).

Nel progetto di ricerca sull’omofobia è stato eseguito il campionamento teorico


attraverso cinque interviste biografiche somministrate a giovani maschi, di un’età
compresa tra i 25 e i 35 anni, residenti nella provincia di Sassari. Le interviste sono
state svolte nel mese di maggio 2011. Sono persone con le quali non avevo molta
confidenza, in quanto avrebbero potuto manipolare i dati dei racconti di vita. I cinque
giovani non dovevano possedere una laurea ed erano dipendenti di una pubblica

84  
 
amministrazione. I soggetti che hanno partecipato alla ricerca sono stati reclutati
tramite dei “mediatori”. Nel progetto di ricerca sull’omofobia i mediatori sono stati
cinque. Essi sono stati in grado di capire ogni mia esigenza, in quanto, ognuno di essi
ha mediato per ciascun intervistato. Grazie al loro intervento, la mia ricerca è stata
“legittimata” e ho acquisito credibilità da parte degli intervistati.

Ecco una breve descrizione dei giovani che hanno effettuato le interviste biografiche:

• Francesco ha 26 anni, fa il geometra in un comune della provincia di Sassari,


vive da solo da quando ha iniziato a lavorare. La sua famiglia d’origine è
composta: dai suoi genitori, da due fratelli e una sorella maggiori. Al
momento dell’intervista si è dichiarato single, e non ha intenzione per ora di
avere dei figli. L’intervistato è apparso quasi subito appassionato agli attuali
argomenti, ed stato molto chiaro nelle risposte alle varie domande.

• Riccardo ha 34 anni, fa l’impiegato in un comune della provincia di Sassari.


Vive con la sorella. La famiglia d’origine è composta dai suoi genitori e da
una sorella minore. Prima che iniziasse l’intervista, è sembrato un po’ turbato
e spaventato. Ma sono bastati alcuni chiarimenti per rassicurarlo al punto che
dopo il primo minuto d’intervista, è sembrato molto a suo agio e aperto nelle
risposte. Al momento si è dichiarato single, e sostiene di non aver pensato
all’eventualità futura di avere dei figli.

• Stefano ha 26 anni e svolge il lavoro di geometra in un comune della


provincia di Sassari con contratto a progetto. La sua famiglia d’origine è
composta dalla madre e dai nonni. Ha avuto una situazione familiare
complicata, infatti, nel racconto di vita è emersa la sua sofferenza per la
prematura perdita del padre e l’assenza della figura materna per motivi
lavorativi. Ora convive da quattro anni con la sua fidanzata.

• Giampaolo ha 31 anni e lavora nell’ufficio tecnico di un comune della


provincia di Sassari. Vive da solo da quando ha iniziato a lavorare. Ha una
relazione stabile da diversi anni. La sua famiglia di origine è composta: dai

85  
 
genitori, un fratello e due sorelle minori. Ho dovuto fissare due volte
l’appuntamento perché la prima volta ha dovuto disdire per motivi lavorativi.
Il suo racconto biografico è stato quello più lungo, e durante l’intervista ho
avuto l’impressione che gli facesse piacere raccontare la sua vita.

• Gianluca ha 33 anni, e lavora come impiegato in una pubblica


amministrazione. Si è dichiarato single e vede la realizzazione di una famiglia
come un’imposizione del contesto sociale. Vive con i genitori, anche se ha
affermato di possedere una casa dove trascorre la maggior parte del tempo
libero. Si è rivelata una persona molto disponibile, anche se nel corso
dell’intervista, è stato un po’ reticente nel raccontarmi alcuni aspetti
particolari della sua vita.

3.4. Analisi dei racconti di vita


Nell’analisi dei dati qualitativi si procede in maniera molto differente rispetto
alle analisi quantitative, le quali prevedono il testing di una serie d’ipotesi in maniera
sequenziale utilizzando dei test statistici; l’analisi qualitativa procede di pari passo
con la raccolta dei dati: lo scopo della raccolta dei dati è fornire un’accurata
rappresentazione del fenomeno in studio usando una “rappresentazione dettagliata”,
ossia la Grounded Theory   (Chicchi, 2000).   Secondo questa teoria, le categorie e le
interpretazioni sono già presenti al momento della raccolta del dato, in quanto il dato
stesso è già un’interpretazione della realtà: "La fase di raccolta dei dati e quella
dell’analisi non sono separate in maniera netta: s’inizia ad analizzare i dati non
appena sono disponibili, ossia nel corso del processo della ricerca. La relazione che
c’è tra raccolta e analisi è a spirale e gli autori suggeriscono di cominciare subito ad
analizzare i dati, costruire una prima interpretazione provvisoria, poi andare avanti,
raccogliere altri dati per verificare questa formulazione che si modifica alla luce dei
dati trovando un’altra teoria riveduta, poi di nuovo si torna ai dati, in un processo
quindi di tipo circolare che termina quando la formulazione che si ottiene sarà
giudicata sufficiente per spiegare i dati disponibili (Chicchi, 2000). Il tema

86  
 
dell’omosocialità, delle differenze di genere, lo stereotipo maschile della civiltà
occidentale, rappresentano quella che la Grounded Theory indica come Core
category, ossia le categorie più importanti, alle quali tutte le altre sono collegate
attraverso delle relazioni di diversa natura. In seguito alla loro identificazione si
procede alla formulazione della teoria. (Strati, 2009, p.250).
L’omosocialità designa i rapporti socialmente strutturati tra persone dello stesso
sesso. Tre intervistati, hanno almeno un fratello maschio. Quest’ aspetto li ha
condotti ad una sorta di omosocialità indotta.
Ecco alcune testimonianze che riguardano i rapporti tra fratelli:

D: quando eri piccolo c’era qualcosa che facevi insieme a tuo fratello o a tuo padre
o insieme tutti e tre?

R: beh, da giovane sì. Giocavamo anche a bocce, oltre a vari hobby legati
all’informatica. Poi in linea di massima, io per le mie iniziative sono sempre stato
abbastanza indipendente dalla famiglia.

D: dividevi la camera con tuo fratello?

R: sì

D: e che rapporto hai con lui? Quanti anni ha tuo fratello?

R: lui è dell’82. Non avevamo praticamente mai un problema. Lui era un po’ più
turbolento..

D: come sono un po’ tutti i rapporti tra fratelli

R: però è stata insomma..ha anche un carattere con cui viene male non andarci
d’accordo.

D: giocavate insieme quando eravate piccoli? Insieme a tuo fratello?

87  
 
R: abbastanza poco, perché nel senso che tutte quelle attività, quando ero ragazzino,
poi non so se..ho sempre, in linea di massima non l’ho mai coinvolto tantissimo nelle
mie iniziative.

D: quando eri piccolo c’era qualcosa che facevi spesso insieme solo con tuo fratello
o con tua sorella oppure per esempio c’erano giochi che non facevi con le tue
sorelle?

R: si

D: parlamene

R: un po’ per sentito dire dai miei genitori, un po’ perché me lo ricordo, un po’
perché vedi proprio le foto di quando ero piccolo, quando ancora eravamo io e mia
sorella, ho un anno e mezzo da me a mia sorella, da Laura a Davide un altro anno e
mezzo e poi 14 anni da me a Eleonora e così via no … quindi nel frattempo che
Davide era ancora piccolino io giocavo con il triciclo … che non la volevo mai …
mai però ce l’avevo sempre attaccata perché lei era la sorellina più piccola …
portami lì, portami la … io non la volevo assolutamente quindi tu vedi quattro –
cinque foto che la sto spingendo fuori dal triciclo poi fuori dalla bicicletta, fuori
dalla macchinina con i pedali, io non la volevo mai!
Un altro aspetto rilevante che riguarda la categoria dell’omosocialità è il rapporto
padre/figlio. Dai racconti di vita è emerso che il padre viene indicato più volte dai
vari intervistati come punto di riferimento. Ecco alcune parole dei giovani che
riguardano il loro rapporto con il padre:
D: allora cambiamo nuovamente argomento...che rapporto hai con i tuoi genitori?
R: Da piccolo io ero molto più attaccato a mio padre che a mia madre per una
questione di confidenza e di amicizia eh! Diciamo che non era proprio un rapporto
padre e figlio … non solo c’era proprio un rapporto di fiducia e di amicizia che
andava oltre quello che era un rapporto tra genitore e figlio. Con me e mamma c’è
sempre stato un normalissimo rapporto di madre e figlio, non ho avuto sicuramente

88  
 
quella confidenza che ho avuto con mio padre però tutto sommato ho sempre avuto
un buon rapporto con entrambi!

D: e secondo te questa differenza a che cosa può essere legata? Alla differenza dei
ruoli?
R: no, nel mio caso era legata alla differenza di carattere … mio padre aveva un
carattere molto più simile al mio e io al suo mettiamola così, mentre era molto
differente a quello di mia madre per cui molte volte dicono – gli opposti si
attraggono – e invece nel mio caso è stato il contrario

R: ho un buon rapporto, molto diverso rispetto a mamma e a babbo cioè con mamma
condivido più cose, e con babbo un po’ meno... ma diciamo ho un buon rapporto
tutto sommato...

D: che tipo di padre ti piacerebbe essere?

R: ne più ne meno quello che è stato mio padre, non ho niente da rimproverargli,
anzi ….

D: quindi rimane un tuo punto di riferimento …

R:certo un modello quando io deciderò di farmi un figlio capito? Una persona di


poche parole ma che quando apre bocca tranquillo che ti siedi e stai zitto!

D: quindi tu giustamente vorresti percorrere le orme di tuo padre?

R: si perché io non sono così io sono troppo chiacchierone, sono molto loquace …
invece a volte avrei preferito essere più taciturno, più silenzioso, pensare di più e
parlare di meno...
In un solo caso, l’intervistato cita la figura del padre assente, evidenziando la
mancanza di un punto di riferimento paterno, sostituito però da altre figure maschili,
come il nonno e il padrino:

89  
 
D: quali sono stati i modelli e i tuoi punti di riferimento nel corso della tua vita?

R: punti di riferimento … e prima magari stravedevo per dei miei parenti magari per
il mio padrino che poi non si è rivelato quello che pensavo … sai crescendo poi ti
accorgi di che persona è … magari per quello poi per mio zio che tuttora lo valuto
una bravissima persona

D: quindi sono cambiate le tue figure di …

R: oppure mio nonno … io reputavo mio nonno come mio padre, mio nonno che
stava a Torino purtroppo è morto anche lui qualche anno fa … settant’anni era
giovane anche lui quindi il punto di riferimento diciamo che era mio nonno che
aveva più voce in capitolo anche di mia madre, come mi chiamava lui da Torino …

D: era legge

R: era legge

D: senti … e quindi nel corso della tua vita sono cambiati i punti di riferimento?

R: si …

D: adesso quali sarebbero?

R: adesso punti di riferimento non ne ho, non ne ho punto solo su me stesso...

D: te lo stavo per dire io … e secondo te …

R: … secondo me … si, si io devo ringraziare il mio carattere soprattutto penso, mi


sono trovato in situazioni molto, molto brutte che sono riuscito a dire di no e tuttora
son contento di me stesso perché ora sarei stato nella merda! In gergo parlando
scusa!

90  
 
D: si, si ma non ti preoccupare...

R: però mi accorgo che … mi accorgo si ho fatto molte rinunce ho preso per il culo
tutti … sei la pecora nera perché non fai determinate cose...però mi accorgo adesso
son contento di me stesso che, mi accorgo che determinate persone che facevano
cose non giuste, adesso non le vedo molto bene io …. Sto benissimo anzi ….

D: è quella lì alla fine la soddisfazione pensare di …

R: avendo anche poca … cioè la mancanza di un padre secondo me conta molto


sull’educazione di un bambino secondo me anche se mio nonno si … però non era
presente, mia nonna e mia madre stava sempre facendo le stagioni anche se adesso
ha trovato un posto fisso da tanti anni come ferroviera, però diciamo che son
cresciuto io con mia nonna e io … bho non lo so … mi sentivo magari più maturo
degli altri …

D: ti sei sentito di farti forza da solo...

R: si autoeducazione … ma di sbagli li ho fatti anch’io e li faccio tuttora chi è che


non li fa … però...

D: ma li farai nella tua vita però come dici tu magari questi sbagli ti aiuteranno cioè
… questi sbagli li farai perché hai deciso tu determinate cose ….

R. certo …

Il rapporto padre/figlio conduce due degli intervistati (nello specifico quelli che
hanno una relazione sentimentale) alla voglia di paternità, per poter rivivere i
momenti gioiosi col proprio bambino. Ecco alcune testimonianze:

D: parliamo del futuro invece … ti piacerebbe avere un figlio?

R: si … due

91  
 
D: vorresti di più un figlio o una figlia

R: vorrei … te lo dico proprio in maniera dettagliata un maschio e una femmina, il


primogenito maschio il secondo una femmina …

D: perché?

R: perché … mi piacerebbe così, il maschio perché è quello che sogno, avere un


figlio al quale andare a giocare a pallone, fare le cose che mio padre ha insegnato a
me, vivere una vita da maschietto come l’ho vissuta io e la femmina perché vorrei
una coppia e quindi …

D: che tipo di padre ti piacerebbe essere?

R: ne più ne meno quello che è stato mio padre, non ho niente da rimproverargli,
anzi ….

D: quindi rimane un tuo punto di riferimento …

R:certo un modello quando io deciderò di farmi un figlio capito? Una persona di


poche parole ma che quando apre bocca tranquillo che ti siedi e stai zitto!

D: quindi tu giustamente vorresti percorrere le orme di tuo padre?

R: si perché io non sono così io sono troppo chiacchierone, sono molto loquace
….invece a volte avrei preferito essere più taciturno, più silenzioso, pensare di più e
parlare di meno...

Nel caso invece degli intervistati “single”, dall’analisi dei racconti di vita è emersa la
loro volontà di non creare una famiglia:

… per il futuro vorresti avere dei figli?

92  
 
R: i figli … in questo momento non è una ….

D: priorità!

R: no, non sento la necessità di crearmi una famiglia in questo momento…R: cose di
cui penso più spesso..non ho lo stimolo per esempio di..quello di fare subito una
famiglia..però più passa il tempo più vedo la famiglia non come obiettivo, ma
secondo me è quasi un’alternativa, con famiglia o senza, perchè più passa il tempo e
più tra i vari obiettivi..io vedo tutti i miei amici, chi ci ha pensato da tempo e c’è chi
ci sta pensando adesso, e anche chi si sta riaggiustando una casa..più passa il tempo
e più invece vedo sparire come obbiettivi quello della famiglia, non so..

D: però magari ci pensi e vedi invece i tuoi amici che seguono quel tipo di strada
preimpostata diciamo...

R: la vedo ora come una strada pre-impostata. Prima la vedevo così, non è
che..adesso non è che non vedo la famiglia, per carità, è che la vedo una cosa in più.
Cioè, vedo un percorso e nel percorso c’è anche quello di fare una famiglia....però
non è più la famiglia l’obiettivo..non ha molto senso. Penso che sia quello il senso
più di sopravvivenza, 2000 anni fa, 10000 anni fa..

D: penso che se tu la vedi così non è assolutamente storta come cosa, è la tua visione
di vita ed è giusto che la porti avanti così...

R: io penso che non è che ho tolto importanza alla famiglia, per carità, però è una
cosa cui uno se ne può far carico se ne ha piacere ed è una cosa in più che porta più
gioia o più sofferenza, questo non lo so, però la sto vedendo come una cosa in più.
Cioè, l’ho semplicemente spostata dal cassetto degli obiettivi e l’ho messa nel
cassetto delle cose che potrebbero capitare, degli imprevisti. L’ho messa nel cassetto
degli imprevisti!

Un ulteriore dato interessante emerso dalle interviste riguarda le differenze di genere.

93  
 
I sociologi usano i termini di sesso e genere per distinguere l’identità biologica dai
ruoli di genere. Per i sociologi quest’ultimo è il concetto più significativo perché è
l’insieme delle aspettative e dei comportamenti socialmente appresi e associati a
ciascun sesso. Maschi e femmine si nasce, ma uomini e donne si diventa attraverso il
processo di socializzazione che si prospetta diverso per i due sessi (Lombardi, 2005,
p.21). Nei racconti di vita di tutti gli intervistati, il tema delle differenze di genere li
accompagna sin dall’infanzia:

D: con chi vivi a Sassari?

R: in questo momento con mia sorella

D: che rapporto hai con lei?

R: diciamo un buon rapporto nel senso di … nel senso non molto confidenziale però
un buon rapporto!

D: come son divisi i ruoli a casa?

R: io cucino e lei fa tutto il resto...

D: quindi lei si occupa delle faccende femminili?

R: si a parte ti ripeto che io cucino e lei fa tutto il resto!

e dividevi la camera con tua sorella quando eri piccolo?

R: quando ero piccolo no …

D: non l’avete mai divisa?

R: non l’abbiamo mai divisa

D: e tua sorella quanti anni ha?

94  
 
R: è dell’ottanta

D: c’erano anche delle bambine nel vostro gruppo quando eravate piccolini?

R: si … vabè … è troppo difficile dirti tutto così … va bè dipende... la sera si giocava


in strada … si … la notte ...mentre di giorno quando si andava a giocare a pallone
c’erano solo “uomini”, poi il gruppo era molto diviso tra uomini e donne anche in
Chiesa, uomini da una parte e donne dall’altra.

D: perché?

R: non so … da noi era così, da noi si usa tanto anche nelle cene si usa tanto non so
se a te è capitato questa divisione che avviene in automatico comunque in chiesa era
maschi da una parte e donne dall’altra

D: e perché la sera stavate sempre insieme?

R: perché la sera non potevi allontanarti più di un certo tot e quindi in strada
giocavi con tutti quelli che erano li ragazzi e ragazze che erano in strada diciamo
così …

D: come sono divisi i ruoli in casa? Ti occupi anche delle faccende domestiche?

R: si niente … praticamente lei si occupa … diciamo che è una casalinga perché lei
purtroppo ha un problema familiare...perchè ha la mamma che è malata, ha avuto
un tumore al cervello quindici anni fa e diciamo che si sono invertiti i ruoli, lei fa da
mamma a sua madre e quindi lei ….la mamma abita su ….abbiamo un appartamento
nostro, una casa bifamiliare, i miei suoceri su e noi giù con un vano scala che le
collega e lei sale sempre anche se da qualche tempo abbiamo una badante che ci da
una mano già da qualche anno … due anni forse, e niente … lei si occupa di tutto,
casa, mangiare e tutto … comunque a parte questo quando lei non c’è ed esce

95  
 
qualsiasi cosa ci sia da fare lo faccio... anche di pulire il bagno cioè … mi arrangio
anche per cucinare …

D:quando eri piccolo avevi amici soprattutto maschi ?oppure nella tua compagnia
c’erano anche femminucce?

R: soprattutto maschi, poi femminucce si magari qualcuna … ma amici , amici


maschi diciamo...

D: e cosa pensavate del fatto che magari qualche femminuccia venisse a giocare con
voi, volevate restare soli solo maschietti oppure …

R: no assolutamente no … che mi ricordi io no!

D: quindi più che altro ricordi che non la volevi perché lei essendo piccolina era
sempre attaccata a te …

R: e poi dicevi … è inutile nasconderlo … è femmina … è femmina anche perché


nella mia via eravamo tanti maschietti e lei era l’unica femminuccia dell’età più o
meno nostra, quindi quando noi andavamo a giocare a pallone lei si aggregava e a
me dava fastidio anche perché era come un senso di protezione perché portarla a
giocare in mezzo ai bambini a me non mi piaceva l’idea però era anche un
riconoscere che una bambina lì in quel contesto non ci faceva niente in un contesto
sportivo che poteva essere ora a calcio ora …

D: più che altro uno sport che poteva coinvolgere solo … maschietti...

R: una cosa che poteva anche fargli male si … comunque uno sport prettamente per
maschietti dai … non per femminucce!

D: il contrario … e … senti, quando frequentavi le scuole elementari, c’erano anche


delle bambine nel tuo gruppo?

96  
 
R: devo dire anche le mie ex fidanzatine? Si c’erano certo che c’erano, nella mia
classe ce n’erano sette – otto!

D: giocavate insieme oppure … divisi?

R: si … ricordo … no, no specialmente durante l’ora di ricreazione, schiaffi, pizzichi


erano all’ordine del giorno!

D: e frequentavi anche compagni d’asilo oltre i compagni delle elementari per


esempio erano soprattutto maschietti o femminucce?

R: maschietti, a parte Sara che era la bambina della nostra età che era la nostra
vicina di casa e ogni tanto s’intrometteva ma riceveva lo stesso trattamento che
riceveva mia sorella … non dico calci in culo però … però non è che l’accoglievamo
a braccia aperte và!

D: veniva esclusa …

R: esatto … le ricordavamo che lei era … aveva un gran possedimento di Barbie …


quindi di andare ad usarle perché era un peccato tenerle lì inutilizzate!

D: quando eri piccolino, c’erano anche delle bambine nel tuo gruppo di gioco
oppure più che altro eravate maschietti?

R: guarda, ti dico la verità. In linea di massima, per come eravamo noi, pessimi dal
punto di vista..fino a prima media, seconda media, proprio quando eravamo
ragazzini stavamo insieme anche alle ragazze e compagne. Poi pian piano la greffa è
diventata sempre più maschile. La maggior parte delle volte eravamo con le ragazze,
però nell’infanzia.

D: perché secondo te?

97  
 
R: in linea di massima perché comunque....quell’età si pensa più al divertimento, ad
altre cose, ai ragazzi eccetera. Poi non so perché, non so neanche se è una cosa
naturale, però ricordo che veniva spontaneo non stare con loro, pure perché la
maggior parte delle iniziative per le ragazze, alcune delle ragazze, quindi tendevamo
un po’ a farle fuori.

D: perché proprio…

R: perlomeno evidente, non è che soffrivo della compagnia delle ragazze..anzi, molte
ragazze con cui non uscivamo mi piacevano pure magari come ragazze, però poi
all’interno dell’ambito dei giochi, delle uscite, spesso si stava soli...

I rapporti con il genere femminile sono cambiati durante l’adolescenza. Questo


perché aumenta la curiosità nei confronti dell’altro sesso:

D: allora, parliamo un po' di adolescenza, a questa età si comincia ad essere un


pochino più indipendenti e a uscire con gli amici, parlami un po' della scuola media,
che rapporti avevi con i tuoi compagni di classe, con le ragazze?

R: tranquillo... diciamo che caratterialmente sono stato una persona sempre molto
socievole per cui forse all’interno della classe ero quello che trascinava un po’ il
gruppo per il modo di fare abbastanza ben inserito sia con maschi sia con femmine
...

D: e voi essendo appunto una compagnia di soli maschi alle scuole medie, volevate
le ragazzine nella vostra compagnia?

R: si, si a quell’età inizi già a cercarle anzi se vedi che non ti danno retta ti
infastidisci e … inizi a provocarle, le prendi in giro per avvicinarle, non sempre il
risultato era quello di avvicinarle però … qualche cosa … qualche effetto lo sortiva!

98  
 
D: e senti … durante le scuole medie quando si faceva educazione fisica, si giocava
tutti insieme maschi e femmine oppure le bambine erano divise dai maschi?

D: durante per esempio le scuole medie, uscivi anche con le tue compagne di classe,
facevate gruppi fissi misti oppure le ragazze ugualmente non venivano incluse..cioè
avevate dei gruppi differenti più che altro

R: in linea di massima sì, anche se comunque uscivamo abbastanza spesso con le


compagne di classe, non erano la peste in questo senso. È che da quell’età in poi
pian piano, mentre fino all’età delle medie diciamo si usciva assieme, poi pian piano
gli interessi sembra quasi che abbiano portato, non solo a me ma un po’ a tutta la
combriccola, un po’ fuori. Ma fondamentalmente comunque stavamo sempre con le
compagne di classe. Secondo me è stato pian piano un allontanarsi nell’adolescenza,
da 13 fino a 16-17 praticamente ci siamo staccati, non so per quale motivo…

La scuola ha assunto un ruolo determinante nella formazione degli intervistati.


Infatti, nel corso della scuola media superiore alcune classi erano prevalentemente
maschili. Tuttavia è durante l’ora di educazione fisica che si assiste a una
suddivisione dei ruoli:

D: e tipo durante le scuole medie quando facevate l’educazione fisica, facevate tipo
giochi misti oppure facevate i maschi da una parte e le femmine dall’altra?

R: si questo me lo ricordo … i maschi da una parte e le femmine dall’altra perché


avevamo dei pessimi professori perché ai maschi a noi ci facevano giocare a pallone
e le ragazze da parte giocavano a pallavolo... questo me lo ricordo molto bene ...

Dai racconti di vita si è potuto notare che in almeno quattro degli intervistati, tra le
attività che permettono agli uomini di socializzare vi è il calcio.

Ecco alcune testimonianze:

99  
 
R: si vabè … il calcio … mi è bastata questa passione poi … si vabè ne ho diverse
passioni … viaggiare è forse la passione più grossa che ho in questo … periodo poi
… questo poi il lavoro che ho perché il lavoro è una passione ...

D: e cosa ti piaceva fare in quel periodo avevi qualche hobby oppure hai avuto degli
hobby che poi ...

R: ho perso

D: hai perso … o hai ancora ….

R: io purtroppo ho perso un hobby che era … facevo arti marziali da quando ero
alle elementari e ho fatto quasi dodici anni di arti marziali ho preso la cintura nera
di “taekwondo” e a diciotto anni me ne sono andato da stronzo … sai il calcio, tutti i
miei amici giocavano a calcio, vieni con noi …. Io facevo uno e l’altro, magari non
potevo rinunciare …. Se c’era un allenamento di calcio con l’amicata a Sedini non
potevo andare all’allenamento, mi bisticciavo con mia madre perché mia madre
voleva che andassi a fare “taekwondo” perché il calcio eh … cioè le solite … e
allora ho mollato il “taekwondo” purtroppo adesso ho mollato una e l’altra e faccio
più o meno … ogni tanto gioco a calcio … quest’anno ho giocato...

D: allora, puoi raccontarmi come trascorri il tempo libero cosa ti piace fare… con
chi ti piace divertirti…

R: mi piace molto e … allora il tempo libero … mi piace molto internet sono molto
sul computer mi piace molto Sky, calcio seguo molto il calcio, lo sport (…)

D: parlami un po’ anche del tuo hobby … del calcio …

R: il mio hobby del calcio, continuo a praticarlo, il pallone … faccio il calciatore …


logicamente ho cercato di diminuire un po’ il gravo dell’impegno... nel senso che
non vado più a giocare la domenica ma mi limito a giocare con le squadre che

100  
 
giocano il sabato in maniera più amatoriale.... e poi da quest’anno ho iniziato questa
bella esperienza con i bambini ne senso un po’ per gioco e per scherzo ….mi hanno
detto se mi interessava e io ho provato, mi è piaciuto tantissimo e … credo che sia
una cosa …

D: ma la squadra che stai seguendo ci sono anche delle bambine?

R: no, sono tutti maschietti

D: ma perché è stata una vostra scelta oppure perché non ce ne sono state?

R: no perché purtroppo viviamo in una realtà dove veramente non ci sono più
bambini nel senso che io per avere … io alleno la categoria “micro” sarebbero i
bambini da 6 a 9 anni, allora io per raggiungere 11 di questi bambini ho bambini
dai 5 anni ai 10 anni nel senso che abbiamo fatto il campionato fuori classifica
proprio perché c’è carenza di materia prima, non ci sono bambini, Sedini è un paese
… è una realtà …

D: e se si fossero iscritte delle bambine, tu le avresti volute?

R: assolutamente si perché è una cosa fattibile è una cosa che si fa già e nelle altre
squadre giocano bambine e solo nella nostra non ce né proprio perché mancano non
perché non le vogliamo anzi a questa età le bambine sono più sveglie e più
sviluppate fisicamente dei bambini quindi una ci farebbe anche comodo …

Come già accennato, il ruolo femminile è stato più volte ripetuto all’interno dei
racconti vita. Sono state somministrate delle domande specifiche ai giovani
intervistati riguardo il ruolo delle donne in politica e nell’ambito lavorativo. Per essi,
l’assunzione di ruolo della donna non deve essere determinato dal suo genere, ma
dalle effettive capacità che essa è in grado di dimostrare.

101  
 
Ecco alcune testimonianze degli intervistati, relative al ruolo della donna in politica
e nel lavoro:

D: cosa pensi del ruolo della donna in politica?

R: la donna in politica … non sono maschilista, ma faccio un ragionamento molto


semplice, io odio … odio … proprio non lo sopporto perché penso che sia un’offesa
per una donna ecco … quando si dice che si ha la necessità di avere la quota rosa
della metà dei posti del Parlamento... oppure uno come Vendola che alle ultime
elezioni ha vinto dice che la metà del piccolo parlamento pugliese deve essere
composto da donne … perché? Perché per metà da donne? Può essere composto
anche tutto da donne, però le donne devono vincere le elezioni cioè si devono
candidare e devono porre la propria idea e di fronte a quell’idea devono ottenere i
voti, non è che tu glieli dai d’ufficio la metà dei seggi, perché cos’è gli stai facendo
una concessione? Nella politica la donna ha un’intelligenza che non credo che sia
superiore a quella dell’uomo, come quella dell’uomo non credo che sia superiore a
quella della donna, c’è la donna intelligente come c’è la donna meno intelligente,
come c’è l’uomo più intelligente e meno intelligente, ognuno deve valere per quello
che è non perché è donna o perché è uomo, la donna nella politica vale quanto vale
un uomo ne più e ne meno, uguale … forza più debole … forse prima adesso non
credo ...

D: quindi non pensi che magari la scusa della quota rosa sia stata fatta per
agevolare in maniera positiva la presenza femminile nella politica?

R: e perché non sarebbero potute entrare?

D: perché magari la donna ha sempre avuto un ruolo subordinato nei confronti


dell’uomo...

102  
 
R: io non credo … abbiamo la Marcegaglia Presidente di Confindustria in Italia che
è una donna …

D: quindi è come dici tu è più legata al passato questa cosa …

R: si secondo me si … forse in altri tempi avrebbe avuto un senso, oggi la vedo più
come un’offesa se devo dirti la verità perché la donna ormai … grossi manager
industriali … io anche nel mio lavoro, collaboro con molte donne.

D: quindi tu intendi che il ruolo delle donne in politica sia legato più che altro ad
una discriminazione al contrario … cioè il fatto che per agevolarla quasi gli stai
concedendo cose che giustamente deve avere se se lo merita se no … no

R: diciamo che io lo vedo più come un modo poco elegante di farsi pubblicità
basandosi sull’ideologia dei vecchi tempi … ecco … questo secondo me … perché
quando tu mi dici - la metà del Parlamento deve essere composto da donne – nel
2011 secondo me stai sfruttando l’idea di prima in un contesto che oggi non è
assolutamente attuale … non è attuale per niente ...perché oggi le donne non penso
che siano discriminate rispetto a …. Possono essere discriminate nel mondo del
lavoro per questione di assunzione perché c’è il problema della maternità, quello
son d’accordo ma non in politica, in politica hanno talmente tanti di quei privilegi
sia maschi che femmine che il problema non è la maternità sicuramente, nel mondo
del lavoro forse si … nel mondo del lavoro forse si …

D: e … senti a livello locale invece in politica cosa pensi del ruolo della donna? Per
quanto riguarda per esempio anche Valledoria?

R: sicuramente sono sempre stato dell’idea che ci sono delle tematiche, degli
argomenti che … nei quali la donna ha più sensibilità e che quindi secondo me
possono essere gestiti in maniera più … in maniera migliore da una donna piuttosto
che da un uomo, la differenza qual è? È che una donna … se sono lavori pubblici la

103  
 
potrei anche vedere, laureata magari in ingegneria non solo ma anche un geometra
… diplomata in geometra, potrebbe secondo me tranquillamente affrontare un
assessorato di quel tipo e gestirlo … un uomo a gestire i servizi sociali lo potrebbe
anche fare ma lo vedo più impedito sinceramente … quindi a livello locale è molto
importante che ci sia però sempre in base a quel criterio che ti ho detto ...

D: e in base appunto a questa formazione che hai appena descritto, dove vedresti
impedito il ruolo della donna dato che hai visto impedito il ruolo dell’uomo nei
servizi sociali

R: no … non lo vedo … sinceramente non lo vedo

D: che cosa pensi del ruolo della donna nel tuo ambito lavorativo e soprattutto in
generale nell’ambito lavorativo?

R: parliamo in questo caso nel mio … se becchi la donna giusta come una delle mie
colleghe è anche meglio dell’uomo può fare meglio ….

D: e cosa pensi invece della donna in politica?

R: la donna in politica penso che sono troppo poche e che il motivo … la colpa è
delle donne stesse che sono le prime che poi non si toccano tra virgolette tra di loro,
dovrebbero avere ruoli più importanti nel senso che la donna decisa … in Italia no
… e uno dei mali è quello

D: quindi attribuisci la colpa della poca presenza delle donne

R: solo alle donne

D: solo alle donne? Non al fatto che magari molte istituzioni siano comandate da
soli uomini e che quindi …

104  
 
R: assolutamente … basta mettere la “X” con la matita …. il 50% delle donne
sarebbe eletto...e risolto il problema per cui non … non sono d’accordo con le quote
rosa assolutamente ….

D: perché?

R: perché è una forma di … come si dice? Di …

D: discriminazione al contrario?

R: … no ma nei confronti delle donne eh!! Cioè penso che non deve essere tipo una
categoria protetta cioè come il posto per i portatori di handicap non è che per forza
le donne … se son brave vanno tutte donne, se non son brave … non è che per forza
di cose devono andare in percentuale … non sono d’accordo...

D: cosa pensi del ruolo delle donne in politica, in generale?

R: ci deve essere, ci deve essere anche perché le donne io le considero uguale


all’uomo, hanno gli stessi diritti anzi sono proprio loro che portano avanti il
mondo… e quindi secondo me il governo italiano dovrebbe essere 50 e 50 fatto da 50
donne 50 uomini ...

D: quindi sei d’accordo tipo con la quota rosa?

R: assolutamente si

D: e cosa pensi invece del ruolo della donna a livello locale? Tipo a livello di Bulzi?

R: comunale?

D: si

105  
 
R: certo ci deve essere, una cosa che non mi piace, adesso faccio una rivelazione,
stiamo facendo una lista , una cosa che a me non piace ma anche perché non è
fattibile a Bulzi è che minimo ci devono essere tre donne, però io dico ma perché su
dodici persone, dodici candidati ci devono essere solo tre donne, non parliamo più di
uguaglianza, però purtroppo a Bulzi di donne che potrebbero fare o che gli
interesserebbe candidarsi non ce né quindi son già troppe tre dicono, ma anche
perché non ne troviamo purtroppo, comunque secondo me ha molta importanza a
livello comunale...

D: e … hai avuto colleghe donne?

R: si

D: com’era il rapporto con loro?

R: si buono … molto buono…

D: cosa pensi del ruolo delle donne in politica in generale?

R: ci sono quelle che meritano di stare in politica e quelle che no come gli uomini
del resto no? Non è una discriminante uomo – donna … una discriminante
meritevole o non meritevole…

D: invece a livello locale?

R: ne abbiamo poche nel senso che abbiamo qualche assessore donna o qualche
consigliere e sono persone validissime anzi … persone che meritano di essere li,
forse anche più in alto, per il resto non abbiamo tanti parametri sui quali … nel
senso che le persone donne di Sedini che sono arrivate in alto in politica non ci sono
quindi per il quale riferirci o per la quale avere un metro di confronto capito?

106  
 
D: allora, come mi stavi dicendo, lavori in Comune, da quanto tempo? Dimmi se ti
piace il lavoro parlami de tuo lavoro in Comune!

R: si, mi piace è un lavoro che ha avuto un carico di responsabilità oltre ogni


aspettativa, mi piace, mi sta impegnando faccio anche più di quello che dovrei fare
nel senso che se c’è da fermarmi un’ora la sera lo faccio e ho un ottimo rapporto
con tutti i colleghi ...

D: fammi qualche esempio di quello che succede in ufficio per esempio …

R: ci sono tante cose da gestire quindi … i lavori più svariati nel senso che io devo
gestire il personale delle pulizie … poi devo gestire il personale che si occupa del
verde pubblico, della mondezza, la ditta di quelli che ritirano la mondezza, abbiamo
anche il cantiere forestale, il piano occupazionale, ci sono tante persone da seguire
quindi diciamo che la maggior parte del tempo lo passi ad avere a che fare con
persone che devi indirizzarle, fornirgli il materiale per poter lavorare al meglio …
ho questo compito qua …

D: e hai delle colleghe donne?

R: non dentro il mio ufficio però dentro il Comune si...

D: e com’è il rapporto con loro?

R: ottimo

D: hai anche … il tuo superiore è una donna per esempio?

R: no il mio superiore è un uomo!

D: cosa pensi del ruolo della donna in politica?

107  
 
R:La politica avrebbe bisogno di donne intelligenti sicuramente, ma anche votate
alla politica. Cercare di portare avanti le iniziative, questa è l’unica cosa che serve,
l’unica cosa che manca adesso. Poi, per quanto riguarda..

D: invece a livello locale, cosa pensi della donna in politica?

R: diciamo che probabilmente la donna, a livello locale, ha una caratteristica in più:


solitamente le donne hanno una cosa, veramente..a livello locale credo che le donne
siano, a parte molto portate per il lavoro..riescono a metterci quell’impegno che ci
mettono in più nelle loro iniziative. Solitamente, le donne le vedo un po’ più dure,
mentre forse anche meglio nella politica…

L’obiettivo della ricerca è stato quello di comprendere le dimensioni cognitive,


emozionali e comportamentali dell’atteggiamento verso gli omosessuali tra i giovani.

Gli omosessuali e i diritti che rivendicano stanno al centro di diversi dibattiti.

Barbagli e Colombo (2001) sostengono che il vivere in una regione dell’Italia


meridionale rappresenta, a causa dei condizionamenti ambientali, un elemento che
rallenta o ostacola gli omosessuali nel percorso di auto-accettazione. Il contesto
meridionale è cosi difficile da provocare un vero e proprio esodo di omosessuali che,
quattro volte più frequentemente dei loro coetanei eterosessuali (tra i diciotto e i
ventiquattro anni), si spostano verso il Nord Italia, pensando che sia più facile vivere
la propria omosessualità. Ciò fa si che il tasso di omosessuali dichiarati a Bologna sia
dieci volte superiore, ad esempio, a quello di Palermo. Il Sud d’Italia è un luogo dal
quale gli omosessuali, se ne hanno la possibilità fuggono. L’indagine dell’ISPES ha
confermato i dati riferiti al Sud e alle Isole dove veniva disegnata una situazione più
grave rispetto al resto d’Italia, dove maggiori appaiono le sensazioni di colpevolezza,
d’infelicità e paura (Burgio, 2008, p.39).

L’argomento dell’omosessualità è stato affrontato solo una volta durante i colloqui


biografici. In quasi tutti i casi, l’omosessualità viene “tollerata”, anche se i giovani
hanno dichiarato senza messi termini di “provare fastidio”, oppure “brividi lungo la

108  
 
schiena” pensando agli omosessuali (Garelli, 2011). Nel corso del colloquio, si è
registrato inizialmente una sorta di disagio nell’introdurre l’argomento
Omosessualità.

Ecco alcune testimonianze:

D: eh … cambiamo nuovamente argomento … mmm … nel corso della tua vita hai
conosciuto qualche persona omosessuale?

R: no .. no cioè sicuramente non che me l’abbia detto, poi magari l’ho anche
pensato... ma lui non che me l’abbia detto...

D: quindi pensi che a Valledoria ci siano ma che non si espongano?

R: viviamo in paesi che … è l’Italia stessa che è un paese che non porta a fare
liberamente quello che uno effettivamente è … è una brutta situazione sicuramente
però non sono neanche così aperto nelle vedute neppure io o perlomeno non sono
così aperto come in altri paesi per esempio... sono d'accordissimo che si faccia la
legge che regola e che consenta alle coppie di fatto di potersi unire, non lo chiamo
matrimonio, lo chiamo unione per il semplice fatto che vengono riconosciuti i diritti
civili che secondo me gli spettano perché comunque non possiamo far finta che non
ci siano le persone omosessuali, ci sono ed è giusto che abbiano dei diritti per
esempio, faccio un esempio banalissimo … uno dei due … vivono trent’anni insieme
e uno dei due per un incidente va a finire in rianimazione e ci rimane un mese, il
compagno non può entrare perché non è un parente stretto, non è giusto perché
hanno vissuto trent’anni insieme, non è corretto e … così un sacco di altre cose cioè
nella vita quotidiana, semplice come è giusto che ci sia…

D: bene … allora, parlando come ti dicevo appunto dei rapporti di genere maschile
e femminile, nei rapporti di genere ci sono anche gli omosessuali, tu conosci qualche
omosessuale?

109  
 
R: si li conosco bene e non riesco a spiegarmi il perché io abbia un ascendente nei
loro confronti... nel senso che spesso e volentieri il primo rapporto con un
omosessuale è proprio quello fisico nel senso che vengono a propormi … non dico di
fare sesso per carità, non sono mai arrivato a quei punti però vengono, si presentano
e non si nascondono per quello che sono cioè più di una volta mi è capitato … mi è
capitato tre anni di fare a Porto Cervo la stagione estiva e lì guarda mi capitava
all’ordine del giorno sia in hotel dove lavoravo, al villaggio che fuori di essere
avvicinato da persone gay …

D: e a te irritava o più semplicemente prendevi questa cosa come una cosa che … -
“ok non mi interessa, sono eterosessuale” –

R: inizialmente hai … io ho sempre avuto questo tipo di risposta nel senso – guarda
sono dell’altra sponda sono felice di esserlo, tu sei libero di vivere la tua vita,
piacere di averti conosciuto! Possiamo anche andare a bere una cosa insieme però
… non sono discriminante o razzista in quel senso lì … la cosa diventa pesante se ad
un tuo rifiuto o comunque ad un tuo mettere le cose in chiaro l’altra parte si
appesantisce nel senso che comunque non va via, continua a ripetere le stesse cose...
comunque ti mette anche una mano nel sedere, allora diventa fastidioso...

D: perchè per esempio, vedendo per esempio un ragazzo, quindi lo vedresti molto
femminile. E invece tipo di una ragazza?

R: una ragazza che la vedo mascolina, cosa penso? Una ragazza mascolina, se è una
ragazza che a suo modo può essere carina, addirittura si può pensare che gli stia
bene il fatto di essere così caratterialmente. Un’altra magari puoi dire grezza subito,
non te lo so dire.

D: e secondo te cosa c’è di diverso tra un ragazzo eterosessuale e un omosessuale?

110  
 
R: fondamentalmente, il problema si pone, nel senso che..il modo di vivere la
sessualità di una persona..cioè, il legittimo..la differenza è che non ha senso neanche
vedere le differenze..ci son modi di vivere comunque, età che possono essere diciamo
condivisibili o meno a livello di..però finchè non si creano problemi ad altri, finchè
non si va ad irritare la sfera di chi..il problema non si pone, ognuno ha il diritto di
vivere come vuole. Poi è difficile capirlo chiaramente, perchè io non riesco ad
immaginarmi..quindi veramente mi viene difficile, riuscire a capirli, lo trovo
impossibile.

D: dovessi vedere anche a Sassari..io credo che. Due ragazzi mano a mano..come la
vedresti dato che tipo ci sono diverse persone che come abbiamo visto anche
ultimamente, come mi hai detto poco fa, segui moltissimo, ti informi tantissimo e
quindi ultimamente, soprattutto, ci sono stati degli episodi di omofobia.
Come..cos’hai pensato di questi episodi?

R: guarda, io ti dico la verità. Per come la penso io, non mi immischio. Com’era alle
scuole così è adesso. Cioè, io non ne subisco nessun danno e non mi crea nessun
problema il fatto che due..certo, non ti debbo negare che se io dovessi trovarmi in un
bar ad un tavolino, oltre che a mano a mano magari si scambiano anche dei baci di
fianco a me, mi dà una certa sensazione che ti assicuro potrebbe anche spingere a..
non lo nego. E che..non è..io forse non ho nessun problema con loro, però
probabilmente ho qualche certo fastidio..il problema me lo crea comunque, non è
che non me lo crea....

In una delle interviste somministrate agli interlocutori, è emersa l’accettazione


dell’omosessualità in genere, ma con un particolare ostilità nei confronti delle coppie
gay che decidono di contrarre l’adozione.

non sono d’accordo assolutamente che gli omosessuali possano adottare i figli come
in Spagna. In Spagna secondo me sono partiti bene e hanno finito male … poi quella
lì è una mia idea ma … comunque …

111  
 
D: perché?

R: perché non ritengo che possano … non voler bene ai figli … secondo me non
possono dargli quel fattore di libertà di scelta che invece il ragazzo avrebbe in
condizioni di famiglia uomo – donna secondo me ….

D: quindi secondo te …

R: non è che sia destinato a diventare omosessuale … attenzione … però ha più


probabilità secondo me … di un altro perché lui andrà a vedere la normalità in
quello … non è che voglio dire che la normalità sia uomo donna però di fatto
l’unione è quella....

D: quindi secondo te l’omosessualità è legata ad un fattore soprattutto sociologico


cioè di società … se un bambino vive con una coppia omosessuale per te ha più
probabilità di “diventare” omosessuale?

R: per me ha più probabilità … non è detto... ma ha più probabilità....

D: quindi non ha cause biologiche?

R: no a quello non ci credo assolutamente, anche se ci sono molte teorie che


sostengono quello... non ci credo, secondo me no!

D: quindi è solo una cosa sociologica, solo dovuta a fattori sociologici?

R: si, di carattere come una persona che nasce di carattere più forte rispetto ad
un’altra ...anche due fratelli per dirti, in una famiglia uno nasce … cosa vuoi che ti
dica, uno nasce omosessuale e l’altro no però non è … secondo me non è una
questione genetica è una questione sociologica secondo me … non penso che lo
sappia nessuno qual è il caso proprio perché ognuno dice la sua però … dipende

112  
 
dall’educazione, dipende dal contesto, dipende da qualche fattore particolare che ha
segnato l’infanzia di una persona, non credo che uno nasca omosessuale...

D: quindi non sei neanche d’accordo con la teoria che appunto dice che ci sia un
terzo sesso cioè col fatto che ci sia l’eterosessuale uomo, l’eterosessuale donna e
l’omosessuale uomo, omosessuale donna...

R: si ma non che nasce però … no, no che nasce no

D: ho capito! Ti è mai capitato di vedere un ragazzo o una ragazza pensare …

R: ma il bambino … scusa se … il bambino quando nasce vuol giocare con le


bambole perché è un gioco da bambina perché magari gioca con la sorella o con la
cuginetta, cosa sanno cioè … sanno la differenza da bambini di chi è maschio e di
chi è femmina a parte quella fisica, mentalmente non credo, è dopo che si manifesta
mano a mano che si forma il carattere anche nel bambino e così credo che sia lo
stesso fattore per quanto riguarda l’essere eterosessuale e essere omosessuale,
penso … poi … non so è una mia idea penso che sia così…

D: perché? Che cosa ti ha fatto pensare al fatto che fosse omosessuale?

R: dagli atteggiamenti … nel senso …

D: in questo caso dei maschi?

R: dei maschi si … anche di qualche donna

D: Che cosa hai pensato? …

R_: il modo di vestire, che hanno anche n gusto abbastanza affinato nel senso … che
comunque sono … il modo con cui l’uomo … molte volte si … e spesso ci ho
azzeccato!

113  
 
D: e per quanto riguarda invece le donne i sei mai accorto e avrai mai pensato –
quella sicuramente è omosessuale – perché che cosa ti ha fatto pensare quello?

R: si si!! anche loro da alcuni atteggiamenti di mascolinità ecc … ecc … per le


donne forse è più facile degli uomini accorgersi di una donna che …

D: si … perché?

R: perché appunto … il loro atteggiamento è più … l’aspetto proprio

D: quindi pensi che se le donne sono … hanno atteggiamenti mascolini, i maschi al


contrario ce li hanno femminili?

R: no ma non solo l’atteggiamento, il modo di porsi cioè nel senso che il porsi molte
volte nella donna … comunque la donna ha il suo stile ...la sua … questo è il quadro
normalmente è così a occhio e croce hanno il loro stile e … adesso rispetto a …

D: appunto che cosa c’è di diverso tra un ragazzo eterosessuale e omosessuale,


quando lo vedi?

R: attenzione è un argomento un po’ particolare nel senso che comunque mi ha


aperto un po’ la mente, prima ero abbastanza … tassativo adesso son più … mi sono
documentato ecc … ecc .. ma una differenza tra virgolette non ce né ...cioè non è che
c’è una differenza stampata però anche perché ti ripeto un argomento molto
complesso dove ci sono da quello che ho letto omosessuali e omosessuali nel senso
che c’è quello che tra virgolette è tranquillo e quello che invece un pochettino lo
fanno anche per ostentare questa femminilità che io non … non voglio entrare nei
termini particolari … così quelli che chiamano le “checche” … cioè è brutto anche
per loro stessi penso per la …

D: poco fa hai detto che hai praticamente idea, prima come la pensavi? Cioè qual è
la differenza?

114  
 
R: … no ma siamo in un paese ristretto come mentalità ma … posto culturalmente
molto limitato da quel punto di vista, tieni presente che a Nulvi, un paese di tremila
abitanti nessuno sa che ci sia un omosessuale ... io penso che ce ne siano ma non si
sa … forse hanno paura di … la Sardegna da questo punto di vista … mi metto nei
panni loro …

D: perché secondo te hanno paura e nessuno si fa vedere ?

R: perché abbiamo una mentalità contorta dovuta alla storia per tante cose, non è
una cosa di adesso comunque dovuta a un fatto culturale … che io sono stato in
Spagna diverse volte e lì è proprio decisamente normalissimo vedere due che si
baciano, due uomini e due donne, vai a Madrid c’è il quartiere …. proprio una cosa
normale, qua in paese vedi due che si baciano e trovi qualcuno che ti alza pure le
mani ….sappiamo tutti che la Sardegna è molto chiusa...

D: e invece oggi come la pensi?

R: oggi penso di … un cosa tra virgolette normale cioè … una cosa … che uno ha i
gusti sessuali che meglio crede … basta...

Alcuni intervistati sostengono che non sopportano l’effeminatezza e l’omosessualità


ostentata. Haider-Markel e Joslyn (2008) hanno indagato la relazione fra credenze
rispetto all’origine dell'omosessualità e atteggiamenti verso gli omosessuali e i loro
diritti; a una credenza di verificabilità (cioè quando si pensa che l'omosessualità
derivi da fattori contestuali e da scelte individuali) si associa un atteggiamento
negativo e una mancanza di sostegno verso gli omosessuali. La non verificabilità
(cioè l'idea che abbia origini biologiche), invece, si associa a un comportamento più
positivo e di supporto (Prati, 2009, p. 237). L’omofobia è un fenomeno complesso e
vario, che ritroviamo nelle battute volgari attraverso le quali si prendono di mira
l’“effeminato” (Borrillo, 2009, p. 19).

115  
 
D: ti è mai capitato di vedere un ragazzo e pensare – “questo è omosessuale” - ?

R: l’ho pensato anch’io

D: e da che cosa lo hai capito?

R: ma perché magari molte volte si tende a vedere un atteggiamento un po’ più …


volgarmente dicendo “effeminato” e si pensa … non necessariamente per quello,
credo che ci siano omosessuali che non si veda neppure. Io una cosa che odio
dell’omosessualità è quando si vuole ostentare di esserlo, si vuole … per esempio io
sono molto contrario ai Gay Pride non li sopporto, ma se io sono eterosessuale non
vado a sfilare e dire che sono eterosessuale, vogliono ottenere un diritto, secondo me
non è il modo migliore per ottenerlo anzi creano il contrario cioè devono portare a
far vedere che è una normalità anche quella non che è una differenza dicendo che è
migliore o accettarli per forza … no …

D: e se dovessi vedere … dato che Sassari è una città abbastanza piccola di


dimensioni, due omosessuali baciarsi in pubblico …

R: non ti nascondo che … mi sembrerebbe strano però … allo stesso tempo non mi
farebbe particolarmente effetto ecco …

D: qua a Sassari hanno organizzato una manifestazione contro l’omofobia, era una
sorta di sfilata dove tutti hanno manifestato contro l’omofobia e il razzismo e tutte le
discriminazioni, tu cosa pensi delle organizzazioni di questo tipo di eventi?

R: allora, se mi parli del Gay Pride sono contrario!

D: perché?

R: perché è una pagliacciata! perché secondo me queste cose si difendono in altro


modo … poi vuoi mettere una manifestazione per … fatta in un modo tra virgolette

116  
 
tranquilla può essere … ti ripeto … ancora è … molto, molto … c’è molto da
scoprire … la gente deve aprirsi la mente verso queste persone che non sono diverse
assolutamente ma sono ….

R: no del mio paese no, conosco un amico di Dalia ….per esempio lui è dichiarato,
non ho niente contro gli omosessuali ...

D: e ti è mai capitato di vedere anche in giro oltre Bulzi degli omosessuali e pensare
– questo è sicuramente un omosessuale –

R: si all’inizio sono stato in un locale si chiama “La Scala” forse

D: si

R: … e ho assistito delle scene … vedi l’unica cosa che non mi piace degli
omosessuali è che secondo me molti di loro fanno determinate cose tipo rapporti....
proprio baciarsi e lo fanno davanti solo per fare esibizionismo.... molti di loro
secondo me, l’unica cosa che non mi piace perché io sono molto riservato per
esempio con la mia ragazza non mi piace farmi la pomiciata proprio parlando …
davanti a tutti perché non lo so …

D: quindi non ti piace più che altro l’esibizionismo in generale che sia eterosessuale
e che sia omosessuale

R: tipo come nei Gay Pride … io queste cose non … non mi piacciono

: quando vedi un omosessuale, da cosa ti accorgi se è maschio per esempio che è


omosessuale?

R: magari dagli atteggiamenti

D: e che tipo di atteggiamenti ha secondo te

117  
 
R: guarda e … gli atteggiamenti … non lo so … femminili magari … sicuramente!

D: e se invece è femmina?

R: si conosco giocatrici di pallone della Torres, le conosco indirettamente non è che


le conosco e ti accorgi dagli atteggiamenti forse maschili…

D: e tu nel tuo piccolo che cosa vorresti fare per cambiare appunto questo tipo di
società?

R: la società sta già cambiando da sola, siamo già più aperti a queste cose, io
vent’anni fa avendo la stessa età di oggi non ti avrei mai parlato di questo caso di
Sedini come te ne ho parlato adesso con assoluta obbiettività, oggettività e
nell’accettare le scelte di un altro, questo non l’avrei fatto ….quindi la società sta
cambiando però bisogna sempre un attimino accettare tutto e tutti il loro modo di
essere però … e che non si scantoni troppo nel senso che io non sono d’accordo con
un gay pride …..dove inneggiano al culto dell'uomo-donna… quindi perché tu
omosessuale … ok sei omosessuale, ti abbiamo accettato basta.... non devi andare a
manifestare, poi come lo devi manifestare perché fin che è una manifestazione
pacifica e non uno show …..va bene io non ho niente da dire ….ma nel momento in
cui tu vai li solo per esibirti per farti vedere che stai pomiciando con la lingua di
fuori con il tuo compagno allora … cioè non lo fanno gli etero perché lo devi fare
tu?

D: quindi più che altro a te da fastidio l’esibizionismo in generale?

R: esatto

D: per esempio a Sassari da poco è stata organizzata una manifestazione contro


l’omofobia, razzismo e ogni tipo di discriminazione ….

R: e come è finita? Minimo è finita con un’orgia in Piazza Italia!

118  
 
D: no, no, no è stata una manifestazione organizzata molto bene, dove erano
presenti anche delle famiglie con i bambini, dove c'era gente di varie nazionalità, è
stata una manifestazione molto....

R: ordinata.... allora ben vengano le manifestazioni così!

D: … le manifestazioni siano tranquille?

R: no tranquille ma …. Quanto meno attinenti al senso della manifestazione, ok sei


gay stai manifestando che sei gay e ci sei fatti la passeggiata e poi torna a casa...
non c’è nessun problema... ma se tu sei gay e vuoi far vedere le porcherie che fai
davanti a tutti ...allora non sei gay sei uno stupido perché a questo punto …

D: e se invece dovessi vedere … o a Sedini o a Sassari due ragazzi che si baciano


oppure due ragazzi mano nella mano come reagiresti? …

R: mano nella mano non mi da fastidio assolutamente, baciandosi nemmeno... se poi


mi capita di vederli come li ho visti a Vienna, ci rimani male... nel senso che erano
talmente belli entrambe questi ragazzi... perché stiamo parlando di nordici in
Austria ero in vacanza... … a Karlsplatz...avevamo visto da dietro queste due teste
bionde limonare e pomiciare sicchè poi facendo il giro abbiamo visto che erano due
uomini e li ci sono rimasto un po’ … cioè nel senso che non me lo sarei aspettato
capito?

D: ma anche perché non siamo preparati...

R: non siamo … al tempo avevo 16 anni, 17 anni non eravamo così …

D: ma neanche adesso la società sarebbe preparata o no?

119  
 
R: si un po’ ti fermeresti a guardarli due uomini che si baciano per strada... però
oramai ne abbiamo viste talmente tante, televisione, giornali non fa più tutto questo
effetto … il clamore che poteva fare 15 anni fa ...

Durante le interviste ho potuto notare una maggiore intolleranza da parte degli


uomini eterosessuali nei confronti degli omosessuali maschi. Essi, infatti,
sottolineano di non nutrire nessun disappunto nei confronti delle lesbiche:

D: e di una ragazza invece?

R: di una ragazza … per ignoranza non riesco ad attribuirgli lo stesso peso


sinceramente …

D: perché?

R: non lo so perché l’omosessuale … io son maschio per cui l’omosessuale maschio


lo vedo diverso da me e ripeto non sto giudicando eh... una donna che vada con un
uomo o che vada con una donna non riesco a vedere la differenza per me rimane
sempre una donna … capito? La differenza sarà dentro anche da lei probabilmente,
interiormente... non culturalmente ma il modo di vedere se stessa però non .. io da
esterno non riesco a vederla la differenza, riesco a vedere che un omosessuale è
diverso da me e ti ripeto non dico migliore o peggiore …

D: diverso!?

R: diverso … quello si … probabilmente tu che sei donna riuscirai a vedere una


differenza tra una eterosessuale e una omosessuale, io quella differenza non riesco a
vederla sinceramente…

R: sì, non mi dà fastidio vedere due ragazze. Sarà..prendimi per scemo, però...

120  
 
D: non sei assolutamente scemo, sei come il 98% dei ragazzi. Non ho sentito un
ragazzo pensarla diversamente da te...

R: te lo giuro, io non ho niente con loro, però ti assicuro che vederli baciare a fianco
a me mi disturberebbe. Ma è una cosa che sento dentro, non è un preconcetto,
capito?

D: Ho capito benissimo! Invece delle ragazze no, o almeno non ti darebbero quel
fastidio perchè magari associ il fatto che loro abbiano degli atteggiamenti femminili,
quello che sono, e che magari li vedresti contrastanti col ruolo di maschio, capito?

R: io veramente, se dovessi vedere due ragazzi a fianco a me, ti assicuro devo


resistere per rimanere tranquillo…

Il sociologo francese Welzer Lang è stato il primo a estendere la nozione di


omofobia a discorsi e comportamenti che, andando di là della semplice diffidenza
verso i gay e lesbiche, esprimono una forma generale d’ostilità nei confronti di
comportamenti opposti ai ruoli socio sessuali prestabiliti (Borrillo, 2009, p.20). Agli
intervistati è stato chiesto di spiegare la loro ipotetica reazione nel caso in cui
avessero avuto un figlio omosessuale:

D: e se dovessi avere un figlio omosessuale come la prenderesti tu padre?

R: bho! Non lo so …

D: però che idea hai? Poi magari quando succederà cambierai idea nel bene o nel
male...

R: lo accetterò comunque per essere mio figlio, poi ti devi trovare in una situazione
del genere, sicuramente non lo ammazzo … ci mancherebbe proprio non … è una
sua scelta gli vorrò bene comunque, quello sicuro … sicuramente si creeranno
inevitabilmente delle situazioni anche antipatiche perché è normale che si

121  
 
verifichino, non credo ti ripeto che ci possa essere un cambiamento di apertura
culturale in tempi così brevi penso che ci vogliano molti decenni prima di arrivare
ad accettare una cosa del genere forse per ignoranza un po’ di tutti compresa la mia
… però da genitore non penso che la differenza sia … preferirei più omosessuale che
malato, quello poco ma è sicuro ….

D: e se tu dovessi avere un figlio omosessuale, come la prenderesti da babbo?

R:domanda difficile cioè nel senso che così a bruciapelo ti direi che per opinione …
preferirei di no, se dovesse capitare bho … secondo me bisognerebbe ….

D: preferiresti di no per te stesso oppure per la società .. per il fatto che lui vivrà
una vita diciamo difficile per via dei pregiudizi sociali?

R: per tutto però soprattutto egoisticamente per me … penso che preferirei avere un
figlio eterosessuale... poi ti ripeto se ti capita però non è una cosa facile … non è
facile rispondere è un po’ complicata la cosa ...

D: si perché rifletti la tua esperienza personale su vari avvenimenti che possono


esserci, torniamo un pochettino indietro,. Se un tuo figlio in futuro e stiamo parlando
vabè ipoteticamente dovesse dichiararsi omosessuale tu come la prenderesti?

R: non lo so … io penso cioè il figlio è …

D: soprattutto in un paese piccolino come può essere Sedini o Bulzi ...

R: guarda io ti dico una cosa a me delle persone non mi è mai fregato niente, io se
ho un figlio sono sicuro di amarlo e quindi ...è la sua vita è giusto … io lo devo
accettare per quello che è anche se ti dico la verità non è che mi farebbe tanto
piacere purtroppo però lo accetterei …

122  
 
D: non ti farebbe piacere per te stesso oppure per quello che potrebbe pensare la
società

R: no ti ripeto per la società non me ne frega niente, nulla non me ne mai fregato
niente della società…

D: e … tipo … stiamo parlando sempre a livello ipotetico, se tuo figlio un domani


dovesse venire a dirti o tua figlia, - sono omosessuale – tu padre come la
prenderesti?

R: io credo di avere una … un concetto che secondo me sta alla base, la famiglia,
quindi se tu lo educhi in una tale maniera... il 90% dei casi ti esce uguale se
proviene da una famiglia eterosessuale, invece un bambino che viene adottato da
una coppia gay è molto più facile che anche il bambino diventi gay...

D: quindi tu pensi che magari il fatto che una persona possa diventare gay dipenda
dal contesto socio culturale e non a livello biologico...

R: quelli sono i casi veramente omosessuali, sono rari secondo me ….però ci sono,
se dovesse nascere un figlio così ...devi accettare sempre tuo figlio, devi accettarlo
per quello che è ….e che diventerà poi logicamente, magari in un primo momento
potresti rimanerci male però poi … ripeto ….tu desideri inizialmente un maschio e
una femmina se poi hai una femmina e un maschio che diventa femmina son sempre i
tuoi figli non è che … però è troppo facile dirlo adesso …

D: se io dovessi venire da te un domani, dovessi dirti “Babbo, mi sento..sento di


essere omosessuale”. Tu padre come la prenderesti?

R: è una delle domande più difficili che hai fatto, perchè..guarda, alla fine non lo so.
Credo che la reazione..credo di rimanere sul momento calmo, però nel
profondo..spero non sia così, non so perchè, ma spero che non sia così....

123  
 
D: ma tu speri che non sia così per via appunto della società, che poi andrà a
giudicarli male, oppure per te stesso? Perchè magari un domani non potresti avere
dei nipoti..per tante cose

R: beh, allora, il primo motivo per cui spero che non vada così, è perchè comunque,
non so quando avrò un figlio, comunque adesso, comunque in questa società
determinati pregiudizi ci sono e quindi so già per certo comunque che lui ne soffrirà
e quelle cose comunque cadranno addosso. Quindi, già intravedo comunque
problemi in più rispetto all’ordinario, che ce ne sono tanti, non ne faccio un
discorso..io potessi avere la certezza che mio figlio alla nascita, alla morte, viva una
vita felice, probabilmente..è che ora vedo male questa cosa nel senso che comunque
non posso neanche..come sono adesso le cose ne soffrirebbe...

Nel corso delle interviste si è manifestata naturalmente l’esigenza di porre una


domanda riguardo all’opinione che la Chiesa nutre nei confronti dell’omosessualità:

D: cosa pensi del fatto che anche la Chiesa giudichi in maniera sbagliata gli
omosessuali? Dato che hai parlato della Chiesa in questo momento?

R: e … che tra virgolette la Chiesa … anche loro sono retrogradi su … però su certe
tematiche dovute appunto a quando sono nate, adesso è giusto che si aggiornino
anche loro anche perché da quello che si dice anche qualche prete che … con tutto
quello scandalo che è successo forse è giusto che guardino dentro casa loro …
prima di giudicare gli altri… come il fatto di essere un buon credente o un buon …
quello che è …

D: alcuni … per esempio molti cattolici ritengono che l'omosessulità sia una
malattia, tu ritieni che sia una malattia?

R: assolutamente no! Ti ripeto è una tematica molto complessa però non è … io ti


dico la verità non lo so cos’è cioè nel senso che comunque io in questo momento no

124  
 
mi sento di dire … non sono molto amante ti ripeto nello studio di questo fenomeno
però non lo so cos’è, molti dicono una malattia molti dicono che è un vizio.. ecc …
ecc … e invece niente nasce così e basta...

Nel corso del colloquio è stata chiesta ai giovani intervistati la loro percezione
riguardo al tema dell’omosessualità, in particolare la sua accettazione nei piccoli
centri della provincia di Sassari:

R: allora, che non ci siano forse non lo so perché ci sono voci sai come nei paesi che
magari qualcuno c’è … però non lo so … cioè penso che qualcuno ci sia forse …
però nel senso che ti dico quello è gay non te lo so dire...

D: perché magari sono omosessuali mascherati che hanno paura di dichiararsi e


quindi vivono magari la loro vita da eterosessuali anche se tu pensi …

R: possono essere anche bisessuali

D: e perché secondo te fanno questo … perchè nascondono la loro condizione di


omosessualità?

R: magari per il giudizio degli altri anche....

D: e quindi secondo te è giusto il giudizio …

R: la gente assolutamente no purtroppo no però si sa soprattutto in un paese piccolo


le voci corrono e … cioè uno ti dice la cosa e la persona … sembra trasformarsi la
cosa crescendo e peggiorando hai capito come viene a sapere una determinata cosa
e quella lì è già … chissà quante balle ci sono in mezzo capito? Purtroppo nei paesi
si vive così …

125  
 
D: infatti si parla sempre a livello ipotetico … visto appunto che vivi in un paesino
piccolino e nel tuo paese magari … in teoria non ci sono, non ci sarebbero
omosessuali, da che cosa è dato questo?

R: e invece … da un aspetto sociale nel senso che è un paese meno viziato rispetto ad
una grande città, per esempio New York … dove lì si diventa gay anche a 40 anni
per vizio cioè persone ricche, straricche che hanno avuto tutto che non sanno più
cosa provare diventano gay e poi magari gli piace nel senso che gli piace essere
trasgressivi, nel nostro paese ci sono dei casi di realtà omosessuale vera nel senso
che la storia di una persona che è nata uomo ed è convintissimo sin da piccolo che è
una donna chiusa in un corpo da uomo, va portando avanti la sua idea io la rispetto
nonostante tutto il paese …

D: va contro …

R: e bè certo

D: quindi non pensi che magari a volte non ci siano degli omosessuali che si sono
dichiarati sia dato dal fatto che hanno paura di essere giudicati dal contesto socio –
culturale a livello appunto del paese?

R: assolutamente si nei paesi piccoli specialmente nel meridione come i nostri


ancora la vergogna, il senso di vergogna, di pudore, di offendere le famiglie, parlare
male, l’amico che … c’è questa paura, paura di uscire allo scoperto però …

D: e senti..tipo, vivendo a Sedini, che è un paese piccolino, tu pensi che ci siano


omosessuali a Sedini?

R: probabilmente sì

D: e secondo te perchè non si fanno vedere, perchè hanno paura di quello che
potrebbe pensare la gente?

126  
 
R: sì

D: e quindi dai più che altro la colpa alla società?

R: sono..i preconcetti ci sono e sicuramente chi è nella loro posizione li avverte,


quindi sicuramente non si fanno vedere per quello. Certo è che viene..cioè, come
tutte le cose diverse, io non riesco..non mi interessa se uno è omosessuale, non mi
turba se un amico che ho è omosessuale, però veramente non riesco a capire cosa
può essere l’attrazione sessuale per un uomo verso un altro uomo, e quindi non
riesco ad immedesimarmi. Non si capisce mai se il confine tra essere diverso da quel
punto di vista oppure essere stravagante. Cioè, questi son stravaganti, ormai ci son
le mode eterosessuali, bisessuali..e quindi, forse anche per quello la gente li
vede..perchè li etichetta, è difficile immaginare se lo vivono così o se sono
stravaganti.

Nei giovani intervistati prevale l’immagine di una condizione omosessuale


attraversata da tensioni e contraddizioni, imputabili sia a problemi d’identità e di
accettazione sia riguardanti il contesto socio-culturale. Dall’analisi dei racconti di
vita emerge che quella omosessuale, sia una condizione problematica sia per
l’identità sessuale irrisolta, sia per il rifiuto della realtà sociale. Da questo dipende un
giudizio critico nei confronti dell’omosessualità, che in alcuni casi porta a reazioni
di fastidio ed estraneità culturale. Essa viene espressa da soggetti che guardano
all’eterosessualità in termini esclusivi e ritengono che gli omosessuali abbiano delle
preferenze sessuali discutibili (Garelli, 2001, p.198).

3.5. Criticità emerse nella ricerca sul campo


Fare ricerca significa confrontarsi con ambiti e tematiche che suscitano il nostro
interesse ma che fino a poco tempo prima si trovavano mescolate e nascoste tra altre
mille sfaccettature è posare l’attenzione su vari aspetti e studiarli affinché assumano

127  
 
una fisionomia riconoscibile (Tusini, 2006, p.10). Dall’esito delle osservazioni
rilevate nell’ambito del progetto di ricerca sull’omofobia, è stato rilevato un elenco
di criticità. Esse sono raggruppabili nelle seguenti categorie:

• Complessità nel reclutare i giovani da intervistare;

• Importanza della comunicazione non verbale;

• Durante i racconti di vita sono emersi degli argomenti che hanno messo in
soggezione alcuni dei giovani intervistati;

Come già detto nel terzo capitolo, i soggetti da intervistare sarebbero dovuti essere
dei giovani occupati nella Pubblica Amministrazione, non laureati, con un età
compresa tra i 25 e 35 anni. L’utilizzo del theoretical sampling è uno degli atti
fondamentali della Grounded Theory. Esso consiste nel dirigere lo sviluppo del
campione verso quelle parti che possono colmare mancanza, salti nella teoria che
comincia a profilarsi nell’analisi. Inizialmente le interviste da fare dovevano essere
dieci ma ho riscontrato delle difficoltà nella ricerca degli intervistati, e questo a causa
del limitato numero di giovani dipendenti della Pubblica Amministrazione privi di
laurea. A questo proposito, ho dovuto diminuire il numero degli intervistati.

Il rapporto fiduciario è assolutamente centrale nel rapporto tra


intervistatore/intervistato; soprattutto il giovane intervistato deve fare un’apertura di
credito molto ampia in quanto deve accogliere in casa propria, per esempio, una
persona che non conosce personalmente e che per di più gli porrà delle domande
chiedendo di esprimerne un parere personale o lo solleciterà a raccontare parti della
sua vita. Questa modalità presuppone anche un altro elemento: la volontarietà delle
persone. Infatti, mentre l’intervistatore acquisisce non solo le informazioni fornite
dall’intervistato, ma anche il suo tempo e la sua attenzione, quest’ultimo,
apparentemente non ha niente da guadagnare da una simile interazione e
sottoponendosi all’intervista esercita appunto un’attività volontaria. Nonostante
questo, alcuni all’inizio erano disposti a voler fare l’intervista, ma appena dicevo loro
che riguardava i rapporti di genere, cambiavano idea. Un giovane addirittura,

128  
 
all’inizio sembrava propenso a voler fare l’intervista ma due ore prima
dell’appuntamento previsto, ha declinato l’invito perché si sentiva a disagio nel
parlare della sua famiglia e di se stesso. E’ però evidente che tali reazioni possono
nascondere altri moventi come una certa diffidenza nei confronti dell’intervistatore,
l’ansia di non sentirsi all’altezza del compito, la convinzione che il proprio parere sia
ininfluente, diffuse resistenze culturali e così via. Subire dei rifiuti e non trovare le
persone con cui si era preso un appuntamento, può rivelarsi frustrante per
l’intervistatore. Questo provoca conseguenze importanti sulla composizione del
campione poiché le persone che rifiutano, presentano caratteristiche sicuramente
differenti da quelli che invece accettano di sottoporsi all’intervista, anche se nel
progetto di ricerca sull’omofobia, una parte delle interviste sono andate a buon fine
grazie alla mediazione di “terze persone” che hanno segnalato persone disposte a
farsi intervistare (Tusini, 2006, p.13).

Nella trascrizione il ricercatore deve essere attento a non smarrire quegli atti di
comunicazione non verbale che possono chiarire il senso di parti importanti della
conversazione (silenzi, tono di voce, linguaggio del corpo, ecc).

A tal proposito, costituisce una fonte non secondaria d’informazione che per essere
colta in pieno ha bisogno di una particolare attenzione da parte dell’intervistatore. La
registrazione delle interviste con supporto audio ha potuto permettere da un lato di
concentrarci meglio su tali aspetti. Sarebbe opportuna però una certa cautela
epistemologica. Difatti l’intervista non è un interrogatorio che mira a raccogliere dati
“morti” ma un’interazione che si costituisce nel corso del suo farsi, configurando e
riconfigurando aspetti dell’identità dei due attori.

Come già accennato in precedenza, il registratore purtroppo trattiene solo una parte
di queste informazioni poiché non è una videocamera. In questo modo si perdono,
sguardi, postura, gesti etc. Purtroppo però, il lato negativo della videocamera è che
questa avrebbe limitato ulteriormente la spontaneità creando più imbarazzo di un
registratore. Bisogna porre l’accento anche il fatto che attraverso la trascrizione delle
interviste non viene conservata la voce. Ma quello che rimane non è certo da

129  
 
sottovalutare. Pertanto viene “congelata” la trascrizione dell’intervista che consente
di cogliere quella ricchezza d’informazioni che durante l’intervista non era possibile
cogliere (Burgio, 2008, p.53).

L’ultima categoria di criticità riscontrate nei racconti di vita si riferisce ai temi che
hanno messo in soggezione alcuni intervistati. Questo potrebbe essere riconducibile a
una questione di privacy, oppure, all’imbarazzo di poter esporre le loro idee riguardo
il tema dell’omosessualità. Un giovane, come già accennato nel corso dell’analisi
delle interviste, ha avuto difficoltà a raccontare di un lutto familiare. Altri giovani
hanno dimostrato un po’ d’imbarazzo quando gli è stata posta la domanda se
avessero voluto creare in futuro una famiglia. I “single” si sono invece mostrati più
reticenti nel raccontare le proprie esperienze sentimentali. Quasi tutti si sono
dimostrati all’inizio un po’ titubanti quando è stato introdotto il tema
dell’omosessualità. Alcuni hanno esitato a fornire una risposta esauriente non appena
gli è stato chiesto quale reazione avrebbero avuto in caso di un eventuale figlio
omosessuale. Nonostante tutto è da evidenziare che tutti, indistintamente, si sono
dichiarati tolleranti verso l’omosessualità. In realtà, l’atteggiamento dei giovani nei
confronti dell’omosessualità risulta più articolato e sfumato di quanto appaia a prima
vista. Ciò in quanto, anche le posizioni più tolleranti si caratterizzano per vari
distinguo e per non poche incongruenze.

Rientrano tra le incongruenze alcuni incisi capaci di stravolgere il senso del discorso
o l’introduzione di termini del tutto impropri rispetto alle posizioni che si stanno
sostenendo. Così, anche tra i giovani convinti della normalità della condizione
omosessuale, c’è chi si lascia sfuggire qualche battuta negativa. Altri ritengono di
non avere difficoltà ad accettare gli omosessuali, anche se si tratta di una tolleranza
“a distanza”, per la lontananza del fenomeno dalla loro esperienza personale (Garelli,
2001, p. 234).

Il pregiudizio verso gli omosessuali fonda le sue basi nel contesto socioculturale e
nei valori e idee che veicola sulla sessualità e sul genere sessuale. L’identità
omosessuale è rappresentata negativamente perché è associata a violazioni

130  
 
dell’ordine sociale e simbolico. Spesso si sentono frasi del tipo “gli omosessuali
sarebbero più accettati se non ostentassero la loro omosessualità” o ancora “i gay
hanno il diritto di fare ciò che vogliono basta che non lo mostrino in pubblico”.
Questi commenti riflettono la convinzione che la sessualità appartenga solo alla sfera
personale e privata della propria vita. La dicotomia culturale tra sfere pubbliche e
private, con la relegazione dell’intimità e del piacere sessuale si è posta in termini
recenti nella storia. L’eterosessualità privata, infatti, ha una sua controparte pubblica
attraverso la quale è implicitamente affermata: l’istituzione del matrimonio
pubblicamente legittima le relazioni eterosessuali attraverso meccanismi quali i
rituali nuziali, le garanzie legali, il sostegno delle famiglie d’origine; l’istituzione
della genitorialità e della famiglia è pubblica ed identificata in senso eterosessuale.

L’omosessualità, al contrario, non ha le corrispondenti istituzioni pubbliche dato che


le unioni tra persone dello stesso sesso sono prive di riconoscimento legale e molte
relazioni gay rimangono nascoste. Quando le persone omosessuali intraprendono
comportamenti parallelamente concessi alle persone eterosessuali, rendono pubblico
ciò che la società prescrive debba essere privato.

Il pregiudizio anti-omosessuale può essere spiegato anche all’interno dell’accezione


culturale negativa conferita a particolari forme di sessualità. Rifelli (1998) sostiene
che nella nostra società esiste un’idea condivisa di ciò che dovrebbe essere la
sessualità “normale” in base alle prescrizioni della morale sessuale. Ad esempio,
dovrebbe avvenire tra persone dello stesso sesso coniugate e monogamiche, avere dei
fini procreativi e non commerciali; l’atto sessuale dovrebbe essere compiuto da una
coppia e praticato dentro le mura domestiche , non dovrebbe richiedere l’uso di
materiale pornografico o di oggetti sessuali, e non ci dovrebbero essere altri ruoli che
quelli del maschio e della femmina. La sessualità tra persone dello stesso sesso
trasgredisce invece alcune di queste regole. Difatti la relazione tra gay non è
riproduttiva per definizione, alcune relazioni non sono sessualmente esclusive e
alcuni uomini omosessuali si incontrano in aree semi-pubbliche per rapporti sessuali.
A causa quindi del costante sospetto verso le espressioni sessuali meno tradizionali,

131  
 
la sessualità tra persone dello stesso sesso è descritta come “innaturale”, “anormale”,
“finalizzata al solo piacere sessuale” (Pietrantoni, 1999, p. 76).

Dall’analisi dei colloqui biografici emerge l’ipotesi secondo la quale l’eterocentrismo


sia alla base degli stereotipi e pregiudizi che caratterizzano i racconti degli
intervistati. Questo collega eterocentrismo al fenomeno dell’omofobia. Nei rapporti
sociali di sesso tra uomini l’omofobia è un operatore gerarchico. Determina chi
appartiene al gruppo dei “veri” uomini, chi ne è escluso e chi può legittimamente
approfittare dei privilegi sia con donne che con uomini (Welzer-Lang 2006, p.264).

L’omofobia quindi rafforza la fragile eterosessualità di molti uomini. Essa è dunque


un meccanismo di difesa psichico; una strategia per evitare il riconoscimento di una
parte inaccettabile di sé. Secondo Herek, l’omofobia può anche avere una funzione
sociale: “un eterosessuale esprime i propri pregiudizi contro i gay per conquistare
l’approvazione degli altri e accrescere allo stesso tempo la fiducia in sé” (Badinter,
1993, p. 153).

132  
 
Conclusioni

Il mio corso di studi mi ha progressivamente convinto che gran parte del


comportamento umano dipende fortemente dal contesto socio-culturale. In questi
ultimi decenni, abbiamo assistito a notevoli cambiamenti storico-culturali nella
visione e nell’atteggiamento verso la sessualità e in particolare verso l’omosessualità.
In seguito alla rivolta di Stonewall avvenuta a New York nel 1969, il movimento
omosessuale in Italia è via via cresciuto negli anni, diventando sempre più complesso
e organizzato, accompagnato anche da una fiorente proliferazione di strutture
commerciali finalizzate alla socialità tra persone omosessuali (bar, discoteche,
librerie etc). Si sono, inoltre, consolidati eventi e manifestazioni annuali di stampo
politico o culturale (rassegne cinematografiche, Gay Pride, etc). La comunità
omosessuale si è costituita progressivamente come forza di azione politica e gruppo
di minoranza. Le persone omosessuali hanno cominciato a riconoscere pian piano la
dimensione “pubblica” della propria identità e a diventare sempre più visibili a vari
livelli del sociale. Sempre più personaggi famosi hanno dichiarato la loro
omosessualità, e i mass media hanno modificato la rappresentazione della figura
omosessuale. Anche le relazioni, le coppie e le famiglie gay e lesbiche sono diventate
sempre più visibili; in numerosi Stati Europei sono state approvate leggi che tutelano
giuridicamente le cosiddette “coppie di fatto” e anche in Italia il dibattito
sociopolitico è molto vivace. Il cambiamento del pregiudizio è una sfida non facile
che necessita di interventi sia a livelli micro che macro. I mass media, ad esempio,
così come contribuiscono a formare stereotipi di gruppo, possono esercitare
un’influenza positiva comunicando informazioni che migliorino le immagini
dell’outgroup. Una legge che punisca la discriminazione sulla base dell’orientamento
sessua