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Introduzione.
La ricerca è considerato un ingrediente indispensabile per la costruzione attiva del sapere, attraverso un
teorico prassico e un fare agire scoprire continuo. Il concetto di ricerca è da coniugare a quello di
formazione. Sappiamo che il metodo della ricerca può spaziare da quella sperimentale e ad altre forme
metodologiche. Qui lo sguardo è rivolto all’analisi delle potenzialità plurimetodologiche della ricerca e delle
potenzialità cognitive e sociocognitive del modello educativo laboriale. Queste potenzialità sono
implementabili con l’uso del metodo della ricerca-azione, ossia della ricerca come laboratorio. Bisogna
perciò recuperare il senso del ‘’fare ricerca’’ all’interno di una cornice di pensiero nuova, e ricerca contesti
comunitari in cui la mano e la testa possano riscoprire la loro unità e la loro reciproca funzionalità: la mano
per agire e la testa per riflettere. Perciò, il metodo qui privilegiato è quello dell’apprendistato, un modello
di ricerca e apprendimento che pone le sue basi sull’imitare e lo stare insieme al maestro, per condividere
ogni aspetto vitale e in un clima relazionale autorevole e formativo.
Questo schema è prettamente processuale, perciò adattabile alle reali necessità della situazione educativa
contingente. Tuttavia, è sempre implicito il mantenimento di un corretto rigore applicativo che non deluda
la natura logica insista nel processo della ricerca.
La ricerca-azione nella complessità educativa.
Nel settore della ricerca pedagogica si fa sempre più presente la convinzione che il recente modello della r-
a consenta di attualizzare le potenzialità metodologico-didattiche e formative. Un crescente utilizzo di
questo modello permette di affrontare efficacemente le complessità pedagogiche e utile per educare nel
tempo delle complessità in quanto elastico, aperto alle possibilità e non schematico. È quindi ritenuto un
efficace strumento di potenziamento delle strategie di intervento didattico, proprio per il suo essere un
metodo di ricerca-calda. Il laboratorio e il metodo della r-a possono incontrarsi al fine reciproco di
potenziare le qualità cognitive normalmente coinvolte nel processo acquisitivo.
I requisiti metodologici che fondano la r-a possono essere così riassunti: sinergia tra teoria e pratica, che
comporta la fusione della ricerca con l’azione di tutti i protagonisti. Questo conduce all’elaborazione di
decisioni auto valutative e autoriflessive finalizzate a una progressiva crescita emancipativa di tutti i soggetti
coinvolti. Inoltre, permette la creazione di condizioni ambientali idonei alle fasi del gioco e dell’intelligenza
corporeo-cintestica.
La r-a è quindi in grado di produrre una sorta di equilibrio tra interesse cognitivo e interesse formativo.
Comprendere la complessità.
I sistemi educativi dovrebbero essere in grado di sorreggere l’uso diffuso e trasversale del laboratorio nei
diversi contesti educativi, in quanto il concetto stesso di laboratorio può considerarsi un concetto intriso di
complessità: può assumere molteplici sfaccettature a seconda dell’attività svolta.
Il concretizzarsi dell’imparare facendo di Dewey pone l’individuo nella condizione di apprendere in modo
diretto e di verificare la fondatezza delle proprie rappresentazioni mentali: lo studente, davanti a situazioni
reali, sperimenta quanto appreso e mette alla prova le sue abilità. perciò la conoscenza acquisita
implementa un processo di ricostruzione e trasformazione continua della conoscenza stessa, che da statica
diventa dinamica. La mente del soggetto, nell’interagire attivamente con l’oggetto dell’apprendimento,
impara ad imparare e ad aprire la mente verso orizzonti cognitivi più ampi.
Osservando l’attuale sistema scolastico emergono due contraddizioni: la prima si evince dalle difficoltà che
gli studenti incontrano nell’avvicinarsi alle discipline, soprattutto se sono messe a confronto con
l’apprendimento prescolare intuitivo e naturale della mente infantile, che risulta più leggero e resistente al
cambiamento. infatti, i bambini, costruiscono il conoscere in una struttura di senso comune iniziale, volto a
trasformarsi in un senso comune illuminato quando si stabiliscono relazioni significative. Nei primi anni di
scuola i bambini acquistano una conoscenza protodisciplinare (derivante dall’acquisizione di alcune
abitudini), destinata poi a trasformarsi in un sapere disciplinare normale. Solo in seguito, si possono
raggiungere saperi di tipo multidisciplinare e metadisciplinare, che un approccio laboratoriale può facilitare.
Già dal suo primo ingresso a scuola il bambino è in grado di utilizzare le conoscenze intuitive derivante
dall’interazione tra le esperienze sensomotorie e i simboli di primo livello, consentendogli di gestire
l’ambiente. Si tratta di saperi che ruotano intorno a ciò che riguarda la materia, cioè il mondo fisico, la vita.
L’apprendimento formale dovrebbe tenere in considerazione queste due dinamiche allo scopo di superare
le concezioni errate e di integrare quelle scientificamente corrette: ma è possibile osservare che
l’insegnamento spesso è ostacolato dalla forza delle ipotesi formulate dalla mente ingenua.
La seconda contraddizione fa emergere alcuni interrogativi sul modo di formare gli apprendimenti durante
l’esperienza scolastica. Morin sottolinea la necessità di evitare la semplice accumulazione di saperi che non
siano sostenuti da una tensione organizzazionale capace di dare un senso al tutto. L’organizzazione
dovrebbe costruire il fulcro di un processo trasformativo che includa momenti di separazione e di
interconnessione, di analisi e di sintesi: perciò la conoscenza dovrebbe essere legata al contesto. All’interno
di questo processo di stabilisce una reciproca influenza tra conoscenza e contesto – e l’interconnessione
rappresenta quel principio organizzatore delle conoscenze che permette di superare ogni dualismo.
Da ciò, risulta evidente la necessità di costruire un sistema educativo in grado di favorire una reale
comprensione, comprensione che permette di applicare in situazioni nuove ciò che si è appreso in un
ambiente formale.
Il processo di comprensione incontra spesso dei fraintendimenti anche da parte degli insegnanti: ad
esempio Gardner individua un modus operandi pregno di contraddizioni osservabili nelle modalità con cui
sono somministrate le prove, nel fatto che gran parte della progettazione risponde all’urgenza di
concludere il programma nei tempi stabiliti (ciò induce a trascurare alcuni aspetti didattici) ecc.
Perciò l’insegnante dovrebbe fondare il proprio operato su alcuni presupposti:
- identificazione di concetti ricchi e fecondi
- realizzazione di una didattica che faccia leva su una pluralità di linguaggi
- valutazione continua in grado di coinvolgere tutti i protagonisti – Gardner avvalora l’uso della valutazione
contestualizzata e che mette in discussione il classico approccio.
In questo quadro la formazione di una competenza appare come il risultato dell’interazione che si stabilisce
tra l’individuo, l’ambito conoscitivo deputato ad attivare le capacità e il campo.
Gardner si chiede quali siano le intelligenze da attivare, e se queste siano intese come un mezzo per
acquisire in formazione o come materiale da padroneggiare, suggerendo così di analizzare le modalità di
acquisizione delle competenze, che dovrebbero realizzarsi attraverso un apprendimento diretto (non
mediato). Una determinata abilità si acquisisce attraverso la semplice osservazione, e questo percorso si
svolge nel luogo in cui l’abilità viene abitualmente impiegata e coinvolge l’intelligenza corporea, spaziale,
interpersonale e linguistica.
Oltre a questa forma, esiste la possibilità di acquisire abilità al di fuori del contesto, in quanto i luoghi
deputati all’insegnamento possono variare tra loro e differenziarsi rispetto agli strumenti utilizzati e agli
agenti particolari che svolgono l’attività di insegnamento.
Gardner cita tre metodi educativi diversi dall’apprendimento attraverso l’osservazione, e si tratta di metodi
che anticipano i processi di scolarizzazione formalizzata e che consistono nei: riti di iniziazione, scuola della
boscaglia e nell’apprendistato. Possiamo quindi evidenziare lo sviluppo di nuove metodologie didattiche
finalizzate all’acquisizione di competenze.
Questo percorso arriva ai sistemi scolastici formali, alle scuole decontestualizzate, che presentano tra gli
obiettivi l’alfabetizzazione, l’apprendimento dei sistemi notazionali e l’acquisizione dei contenuti
disciplinari.
Per la creazione di un ambiente cognitivo ideale e un’educazione al comprendere ideale Gardner propone
alcune linee-guida strutturate in quattro fasi e adattabili alle situazioni laboratoriali:
- vanno definiti gli obiettivi di comprensione riferiti alle singole unità didattiche
- si devono identificare i temi generativi centrali nelle lezioni
- chiarire le prestazioni qualificabili come comprensione: gli studenti devono sapere cosa ci si aspettare da
loro
- valutazioni in itinere e di carattere formativo
Gli attori di questo programma sono dei docenti preparati ed entusiasti, degli alunni motivati e una
comunità sensibile alle esigenze della scuola.
La descrizione di questi punti sembra concordare con un contesto scolastico-educativo caratterizzato
dall’agire empirico-sperimentale del laboratorio. Perciò queste linee guida possono partecipare alla
costruzione di un contesto scolastico-laboratoriale.
Il significato educativo-formativo dell’apprendistato.
Nel modello proposto da Gardner un importante auspicio progettuale consiste nella creazione di apposite
istituzioni scolastiche che impieghino il metodo dell’apprendistato. L’apprendistato può rappresentare
notevoli vantaggi se viene ripensato e ricontestualizzato alla luce di un rinnovamento generale, che
Gardner individua nel pericolo da parte dell’insegnante di sfruttare l’allievo.
In generale, l’apprendistato non viene considerato adatto alle esigenze dell’attuale collettività, in quanto
rappresenta una forma di insegnamento ereditata dal passato e utilizzata soprattutto per acquisire
competenze legate a mestieri artigianali. Per questo motivo si tende a proporre, come alternativa, un
curricolo scolastico che sembra offrire maggiori garanzie professionali.
Oggi ci si chiede se sia possibile eliminare questo stereotipo filtrando la natura di questo metodo con una
rinnovata prospettiva: tra queste si può individuare la possibilità di lavorare per progetti: forme di tirocinio
che vedevano l’apprendista coinvolto nel lavoro del docente.
Le ragioni che inducono Gardner a considerare in maniera positiva questo metodo sono molteplici:
vengono favoriti atteggiamenti cooperativi volti a rispettare le competenze di ogni bambino, è possibile
coinvolgere tutti i partecipanti e far sì che si attivino processi di riflessione capaci di realizzare una
valutazione in itinere.
Un secondo elemento a favore dell’apprendistato è la sua possibilità di dare luogo a un processo di
apprendimento contestualizzato, ossia capace di rendere evidenti le motivazioni per le quali è messo in
pratico un determinato insegnamento. Inoltre, l’apprendista impara in un contesto che lo pone di fronte a
prove concrete atte a verificare il raggiungimento delle competenze, e allo stesso tempo ha l’occasione di
lavorare con soggetti che possiedono una preparazione professionale.
Per Gardner, non meno importanti, sono le esperienze sensomotorie e l’uso contestualizzato di forme di
simbolizzazione di primo livello, come il linguaggio naturale o semplici disegni.
Quando Gardner si occupa dei vantaggi che derivano dall’apprendistato, focalizza la sua attenzione sulle
qualità caratterizzanti la relazione allievo-maestro e sul contesto perché questa relazione possa svolgersi.
Infatti, la possibilità di superare la condizione d’apprendista dipende dall’aver appreso le lezioni e
dall’essere riusciti legare rapporti sociali interpersonali (particolare attenzione al contatto).
Alcuni esempi di esperienze educative in cui è promossa il metodo dell’apprendistato: scuole di Reggio
Emilia. Queste scuole rappresentano un esempio in cui i bambini del nido e dell’infanzia sono chiamati a
prendere parte a progetti capaci di suscitare un forte coinvolgimento emotivo e un profondo interesse ad
apprendere, in quanto si promuovono progetti legati alla scoperta del mondo relazionale e naturali. Gli
insegnanti favoriscono la socializzazione dell’esperienza e la estendono all’intera comunità. In questi
ambienti si verifica la nascita della partecipazione periferica legittima, che consiste nel mondo in cui i
bambini, osservando gli adulti competenti impegnati in un lavoro, ne sono coinvolti direttamente in
maniera naturale grazie ad una prima fase di osservazione e ad una seguente fase di partecipazione
periferica guidata.
La possibilità di vivere un apprendistato in chiave di progetto rappresenta quindi un modo per utilizzare le
conoscenze già acquisiste in una situazione nuova.
Il laboratorio del ‘’rinchiudersi liberatorio’’ del Closlieu.
Un caso particolare di apprendistato laboratoriale, in cui è fondamentale la relazione allievo-maestro, è
rappresentato dall’atelier di Arno Stern: il Closlieu, un laboratorio di pittura per i soggetti da 0 a 80 anni.
Qui, il maestro diventa un sollecitatore/osservatore che induce il soggetto a disegnare e a dipingere
liberamente e ha l’unica funzione di servire le richieste dei pittori. Una delle idee-guida di questo
laboratorio consiste nella libera espressione creativa del bambino, che viene invitato a guidare egli stesso il
percorso formativo. In questo spazio l’espressione del soggetto diventa inesauribile in quanto si trova in un
ambiente accogliente, non giudicante e non competitivo, e fondato su un continuo scambio di sollecitazioni
e solidarietà. Il contesto è quindi rassicurante e tende a valorizzare tutte le manifestazioni irrazionali del
soggetto, facendo in modo che questo le possa liberamente far emergere attraverso la ‘’Formulazione’’:
costituita da 70 elementi, si esprime attraverso le leggi evolutive universali riscontrabili in tutti gli individui
come manifestazioni della memoria organica (quando gli individui sono lasciati liberi di esprimersi tendono
a riproporre un medesimo processo grafico articolato su tre livelli).
Stern individua in vari posti del mondo che la nascita della Formulazione è un evento naturale, e proprio in
questo sta la proprietà essenziale della Formulazione. Infine, egli promuove una pittura verticale, la quale
permette un migliore controllo dei movimenti degli arti superiori e inferiori e che ciò è legato soprattutto
dalla posizione assunta dal bambino. il risveglio dell’impulso creativo ha dato ai piccoli pittori la forza di
esplorare lo spazio e di misurarsi con esso.
Ovviamente l’attività lavorativa e l’uso della tecnologia non escludono il linguaggio e la sua funzione
formativa: infatti, si pensa ad un’associazione diretta tra il linguaggio verbale e conoscenze ampie e generali
– e linguaggio non verbale e conoscenze particolari. Affinché questo accada alcuni studi hanno rilevato
l’importanza della narrazione di storie: conversazioni, racconti realizzati intorno a situazioni problematiche.
Nell’apprendistato non esiste una forma di linguaggio utilizzata appositamente per gli apprendisti come
accade negli istituti scolastici, ma è previsto un uso del linguaggio inteso come parlare di sé e parlare
all’interno della pratica.
L’ultimo ambito di analisi riguarda l’apparente contraddizione tra partecipazione periferica legittima vista
come strumento di continuità tra generazioni, e la progressiva sostituzione dei nuovi arrivati una volta
diventati anziani. In realtà, tale apparente incoerenza è fondamentale per il cambiamento sociale, in
quanto i nuovi arrivati hanno bisogno di entrare in relazione con la cultura sedimentata nel tempo e
contemporaneamente tendono a fare in modo che questa evolva. Questo fa intendere in senso dinamico la
comunità, in cui le competenze acquistano una dimensione più specialistica, ottenuta grazie alla capacità
degli anziani di utilizzare le risorse dei nuovi arrivati.