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I MODELLI E I CONTESTI EDUCATIVI DELLA RICERCA

Introduzione.
La ricerca è considerato un ingrediente indispensabile per la costruzione attiva del sapere, attraverso un
teorico prassico e un fare agire scoprire continuo. Il concetto di ricerca è da coniugare a quello di
formazione. Sappiamo che il metodo della ricerca può spaziare da quella sperimentale e ad altre forme
metodologiche. Qui lo sguardo è rivolto all’analisi delle potenzialità plurimetodologiche della ricerca e delle
potenzialità cognitive e sociocognitive del modello educativo laboriale. Queste potenzialità sono
implementabili con l’uso del metodo della ricerca-azione, ossia della ricerca come laboratorio. Bisogna
perciò recuperare il senso del ‘’fare ricerca’’ all’interno di una cornice di pensiero nuova, e ricerca contesti
comunitari in cui la mano e la testa possano riscoprire la loro unità e la loro reciproca funzionalità: la mano
per agire e la testa per riflettere. Perciò, il metodo qui privilegiato è quello dell’apprendistato, un modello
di ricerca e apprendimento che pone le sue basi sull’imitare e lo stare insieme al maestro, per condividere
ogni aspetto vitale e in un clima relazionale autorevole e formativo.

Cap 1. Le potenzialità della ricerca educativa.


Tra ricerca sperimentale e ricerca azione in educazione.
Si può ricorrere all’immagine di un continum in cui ai poli opposti porre le due metodologie: dalla ricerca
sperimentale (più deduttiva e quantitativa) alla ricerca-azione (più qualitativa, induttiva e attenta alle
dimensioni particolari). Quest’ultima tende a privilegiare il qualitativo al quantitativo, l’idiografico al
nomotetico, l’empirismo allo sperimentalismo. La ricerca azione trova maggior addentellati nella linea
teorica progressista, tanto che con essa all’immobilismo succede il cambiamento, e all’idea di universalità
razionale della conoscenza l’idea di continua ricostruzione dell’esperienza.

La sperimentazione tradizionale in ambito educativo ha vissuto e vive problematiche metodologiche


complesse non di facile risoluzione, e il metodo sperimentale del laboratorio è attualmente oggetto di
grandi critiche. Sulla base di questo assunto, gli studiosi dello sperimentalismo si mostrano favorevoli al
connubio tra gli aspetti qualitativi e quantitativi della ricerca.

Il metodo sperimentale nel campo educativo.


Si può ricorrere al seguente schema processuale: fase iniziale o esplorativa in cui si determina il problema e
si formulano delle ipotesi, fase successiva in cui si sceglie il campione e le tecniche di misurazione; quindi, si
raccolgono i dati che permettono di giungere a delle ipotesi iniziali: procedimento inizialmente descrittivo e
poi analitico. L’intento del ricercatore è quello di generalizzare i risultati ottenuti, ed è riconducibile al
costrutto impostato da Buyse. La fase esplorativa è definita come una delle fasi più delicate dalla quale
dipenderanno le successive e l’esito della ricerca stessa. Le fasi:
a. raccolta delle teorie e dei dati bibliografici necessari (materiale teorico preesistente)
b. formazione di un quadro problematico della ricerca (analizzare il problema in modo preciso,
individuandolo all’interno del suo contesto) utilizzando l’osservazione sistematica.
c. scelta del campione in cui si costruisce una situazione sperimentale che permette di concretizzare la
condizione desiderata e garantire un buon grado di probabilità di verifica dell’ipotesi.
d. strutturazione del piano della ricerca in cui si crea un disegno sperimentale ben strutturato e flessibile.
e. scelta e uso di strumenti di conoscenza del contesto da analizzare, con l’obiettivo di raccogliere tutte le
informazioni che occorrono (con intervista).
f. descrizione e interpretazione dei dati + elaborazione degli stessi: questi avvengono in due momenti divisi.

g) conclusioni, in cui si valutano i dati emersi ed elaborativi.

Questo schema è prettamente processuale, perciò adattabile alle reali necessità della situazione educativa
contingente. Tuttavia, è sempre implicito il mantenimento di un corretto rigore applicativo che non deluda
la natura logica insista nel processo della ricerca.
La ricerca-azione nella complessità educativa.
Nel settore della ricerca pedagogica si fa sempre più presente la convinzione che il recente modello della r-
a consenta di attualizzare le potenzialità metodologico-didattiche e formative. Un crescente utilizzo di
questo modello permette di affrontare efficacemente le complessità pedagogiche e utile per educare nel
tempo delle complessità in quanto elastico, aperto alle possibilità e non schematico. È quindi ritenuto un
efficace strumento di potenziamento delle strategie di intervento didattico, proprio per il suo essere un
metodo di ricerca-calda. Il laboratorio e il metodo della r-a possono incontrarsi al fine reciproco di
potenziare le qualità cognitive normalmente coinvolte nel processo acquisitivo.
I requisiti metodologici che fondano la r-a possono essere così riassunti: sinergia tra teoria e pratica, che
comporta la fusione della ricerca con l’azione di tutti i protagonisti. Questo conduce all’elaborazione di
decisioni auto valutative e autoriflessive finalizzate a una progressiva crescita emancipativa di tutti i soggetti
coinvolti. Inoltre, permette la creazione di condizioni ambientali idonei alle fasi del gioco e dell’intelligenza
corporeo-cintestica.

Le potenzialità formative della r-a.


a. Sinergia teoria pratica: vediamo che il ricercatore si affianca al docente, e finisce spesso per coincidere
con la figura del docente-ricercatore, comportando l’interazione sinergica tra piano teorico e pratico. Essi
agiscono insieme in termini cooperativi.
b. tutti sono attori: la partecipazione teorico-pratica rende attivo il suo intervento nel costruire le
esperienze della classe, infatti, si inserisce nelle scene educative, interagisce in modo attivo con tutti i
protagonisti, i quali a loro volta intervengono nel processo di ricerca.
c. coinvolgimento emotivo-affettivo: l’azione di ciascun attore comporta un immergersi nel vivo dei processi
educativi con un alto coinvolgimento emotivo e affettivo, questo dà vista ad un’operazione circolare di
metaconoscenza.
d. riabilitazione delle fasi primarie del gioco: durante la libera manifestazione degli stati emotivi-affettivi
viene sollecitata l’emersione degli stati immaginativi individuali e di gruppo mediante l’attivazione delle
rappresentazioni cognitive che contraddistingue le fasi primarie del gioco, come le attività ludiche (attività
in grado di mantenere vive le caratteristiche primarie della mente infantile).
e. decisioni autovalutative e autoriflessive: i processi di valutazione delle decisioni prese sono attivati
dall’interno del campo proprio da coloro che devono metterle o le hanno già messe in atto. La decisione è
sottoposta alla valutazione di tutti gli attori per una riflessione collegiale sulle operazioni concrete da
attivare.
f. socializzazione metacomunicativa: tra gli attori si crea una circolarità che induce a rafforzare i legami
comunicativi del gruppo, e questi sono atti a ridurre la distanza tra gli individui e a incentivare la
comunicazione stessa. Si viene a generare quindi un rapporto di parità.
g. conflitto relazionale: la discussione metacomunicativa agevola la libera espressione di contenuti, il che
significa che possono liberarsi anche stati conflittuali tra le persone coinvolte. Questo potrebbe diventare
occasione di implementare un percorso di educazione al conflitto.
h. crescita emancipativa degli attori: l’elaborazione delle trasformazioni ha per scopo quello di ottimizzare
la qualità relazionale del soggetto con l’ambiente circostante, inducendolo a crescere in termini di
consapevolezza emotiva e cognitiva.
i) processo dinamico-cognitivo della ricerca: lo sviluppo emancipativo è favorito da una processualità
circolare della ricerca che si innesta e dinamizza i vari momenti esperienziali: insorgenza del problema,
formulazione delle soluzioni ecc.
l) apparente disordine orientativo: il modello circolare della r-a fa leva sull’uso calibrato di una flessibilità
orientativa che potrebbe aprire la porta al disordine e al caos. Bisogna capire che questi elementi sono
apprezzati come costrutti di base del paradigma stesso della complessità, per il quale all’ordine deve
esistere un disordine distruttivo, ma anche una strutturale spinta in grado di ripristinare la realtà.
m) scelte pragmatiche: durante il percorso i cambiamenti dovrebbero seguire l’andamento delle necessità
pratiche.
n) raccolta dei dati corretta, funzionale e pertinente: per raggiungere il massimo dei risultati è auspicabile
che la raccolta dei dati segua alcuni criteri della sperimentazione tradizionale. Perciò bisogna tenere in
considerazione che molti dei dati scaturiscono dalle interazioni che si stabiliscono tra gli attori, e i dati di
queste interazioni devono essere considerati secondo precise modalità.
o) interrogazione fluida: la raccolta dei dati deve avvenire mediante un lavoro coerente e integrato in grado
di appellarsi ad una interrogazione sui fatti che possa essere anche fluida, ossia disposta a subire
modificazioni dei dati osservati.
p) pianificazione a medio o breve termine: la composizione flessibile delle azioni comporta un impianto
organizzativo che non può precludere la possibilità di svolgere pianificazioni a medio o breve termine.
q) opera processuale e collegiale di riflessione: l’autoriflessione individuale può essere potenziata
dall’incontro comunicativo con gli altri protagonisti, il cui confronto agevole la produzione di processi
mentali di autorappresentazione regolativa dell’azione.
r) competenza interdisciplinare e pratica: è importante che il livello culturale del ricercatore sia il risultato
di una preparazione teorico pratica, grazie alla quale un realismo critico possa prevalere.
s) rivalutazione delle manifestazioni corporee: le modalità con cui vengono svolte le operazioni della r-a
facilitano le manifestazioni attive del corpo (come il movimento nello spazio, l’espressività creativa).
t) incremento dei potenziali cognitivi: quanto finora descritto fa risaltare l’emergenza di due tensioni
cognitive: l’una interdipendente dall’altra: una conoscenza per trasformare, che consiste nella capacità di
autoregolarsi e una conoscenza partecipativa, risultante dalla creazione di saperi di vasta portata.

La r-a è quindi in grado di produrre una sorta di equilibrio tra interesse cognitivo e interesse formativo.

La ricerca attiva negli spazi educativo-laboratoriali.


Tra le potenzialità cognitive alla realtà del laboratorio e a quelle del metodo della r-a si può trovare un
denominatore comune: il contesto (il laboratorio) e dall’altra il metodo (la r-a) potrebbero rappresentare
un fertile connubio di reciproco arricchimento teorico-pratico.
Bisogna considerare che il conoscere facendo necessita di contesti applicativi che il laboratorio potrebbe
delineare in termini concreti: la richiesta di un collettivo agire indagatorio richiede un’organizzazione di
tempi e spazi condivisi. Il bipolarismo contesto/metodo tende a rafforzare quindi:
- l’attività cognitiva: la mente è resa attiva dall’indagare e dal ricostruire in modo funzionale l’oggetto
conoscitivo. Si realizzerà quindi un ambiente ideale per l’attualizzarsi della comprensione come prestazione,
dove la comprensione e la prestazione vengono considerate momenti espressivi appartenenti ad un’unica
fase.
- la socializzazione operativa: l’incontro tra più menti crea una coralità di intenti confluenti
nell’articolazione di scopi comuni e dove ognuno è protagonista.
- la pluralità dei saperi: le diverse abilità intellettive trovano conforto nell’assunto cognitivo pluralista,
rendendo complessa la visione disciplinare dei saperi.
la comunicazione didattica: i ruoli del ricercatore/discente/docente perdono la loro rigidità in virtù di una
condivisione comunicativa in cui trovano posto i linguaggi di ciascuno.
- l’emancipazione degli attori: i soggetti coinvolti nelle azioni laboratoriali sono sollecitati a sviluppare
conoscenze e competenze in termini autoformativi e eteroformativi.
- la transizione degli spazi e dei tempi cognitivi: la transizione spazio-temporale tra vita scolastica ed
extrascolastica coinvolge sia le azioni quotidiane, sia le dinamiche psicoevolutive relative ai rapporti
interpersonali, consentendo di superare le barriere di spazio e tempo tradizionalmente poste.
Cap 2. Le potenzialità educativo-cognitive della r-a nel contesto laboratoriale.
Il contesto educativo-laboratoriale.
La letteratura pedagogica presenta il laboratorio come una risorsa pedagogica di sempre maggior interesse
per il suo porsi in modo trasversale, rispetto quindi ai modi tradizionali di fare educazione. Il laboratorio è
considerato come una crescente forza epistemologica alternativa all’aula e ai contesti tradizionali della
lezione frontale. Questo ambiente sollecita qualità cognitive e relazionali del mondo scolastico che
abitualmente non risultano attive nei normali processi di alfabetizzazione.
Le idee di Dewey relative al conoscere e imparare facendo sembrano idonee a descrivere le potenzialità del
laboratorio come contesto in cui apprendere-conoscere attraverso l’esperienza: esperienza perché si
sperimenta, si agisce, esperienza perché azione concreta e diretta finalizzata al conoscere. Questo
comporta l’impiego di un atteggiamento mentale di attiva ricerca/costruzione della conoscenza nella
relazione con l’oggetto laboratoriale da parte del discente e del docente. Importante è anche l’innescarsi di
una relazione circolare tra il soggetto e l’oggetto dell’apprendimento. L’oggetto laboratoriale su cui si è
indotti a lavorare sollecita la messa in campo di molteplici risorse cognitive: quelle manuali, narrative,
teatrali, musicali, e quelle più espressive, creative o tecniche.
Viene qui utilizzato un metodo indagatorio che presuppone l’uso di entrambe le tensioni cognitive
(convergenti/divergenti).
Le problematiche sorte nell’esperienza laboratoriale producono l’attivazione di proprietà cognitive
necessarie al superamento dei problemi e alla conseguente costruzione di una realtà oggettuale rinnovata.
Dewey intende il pensiero riflessivo come lo strumento essenziale per la formazione di una conoscenza
attiva che sia in grado di evolversi formulando ipotesi risolutorie, di una intellettualizzazione, di una loro
adeguata selezione e il successivo controllo delle ipotesi mediante una loro verifica fattuale.
In questo caso, la scelta di appropriati metodi e materiali educativi si fa vitale per indurre i protagonisti
dell’insegnamento-apprendimento a costruire e produrre scopi utilitari e artistici. Infine, l’esortazione
cognitiva che ci si attende dai contesti laboratoriali scaturisce dalla relazione che i soggetti sono indotti a
costruire con i diversi oggetti conoscitivi, relazione grazie alla quale è facilitato l’attivarsi di plurime forme
cognitive: la modifica degli schemi rappresentazionali della mente dinamizza i processi interpretativi ed
elaborativi del soggetto, sollecitandolo a proporre nuovi schemi della realtà e incentivandolo ad acquisire
nuove competenze.

Il complesso postmoderno della ricerca nei contesti educativi.


Il paradigma della complessità è un’ottima chiave di lettura per interpretare le molteplici potenzialità della
ricerca educativa, soprattutto nel trasmettere i saperi contemporanei e nel trasformarli in competenze. Il
laboratorio può essere considerato quindi come il contesto educativo ideale per comprendere la
complessità e svolgere attività di ricerca.
Il presupposto teorico dettato da Edgar Morin con l’obiettivo di evidenziare che la natura umana è unitaria
e molteplice può apprezzarsi come un’appropriata cornice interpretative al discorso sulle potenzialità del
laboratorio. Infatti, se si considerano i fenomeni attuali come la globalizzazione, un’educazione impostata
sul laboratorio può rendersi efficace nell’affrontare temi e problematiche attuali (la concezione stessa
dell’uomo subisce una trasformazione: dimensione umana proiettata verso una ipercomplessità da indurre
il ricercatore a fronteggiare il paradosso dell’unità del molteplice e della molteplicità dell’uno. L’uomo oggi,
è complesso perché con un’identità molteplice, e da ciò discende che il processo di comprensione sia
interpretabile in modo più complesso rispetto al passato, comportando la necessità di produrre una
comprensione della comprensione.

Comprendere la complessità.
I sistemi educativi dovrebbero essere in grado di sorreggere l’uso diffuso e trasversale del laboratorio nei
diversi contesti educativi, in quanto il concetto stesso di laboratorio può considerarsi un concetto intriso di
complessità: può assumere molteplici sfaccettature a seconda dell’attività svolta.
Il concretizzarsi dell’imparare facendo di Dewey pone l’individuo nella condizione di apprendere in modo
diretto e di verificare la fondatezza delle proprie rappresentazioni mentali: lo studente, davanti a situazioni
reali, sperimenta quanto appreso e mette alla prova le sue abilità. perciò la conoscenza acquisita
implementa un processo di ricostruzione e trasformazione continua della conoscenza stessa, che da statica
diventa dinamica. La mente del soggetto, nell’interagire attivamente con l’oggetto dell’apprendimento,
impara ad imparare e ad aprire la mente verso orizzonti cognitivi più ampi.

La complessificazione del sapere.


Le molteplici potenzialità del laboratorio possono fungere da antidoto alle molteplici difficoltà scolastiche
ed educative nascenti dal progressivo processo di globalizzazione dell’uomo. Oggi, il compito urgente è
aiutare l’alunno a percepirsi come un’identità multipla, e la scuola dovrebbe garantire lo sviluppo di questo
processo con metodologie mirate a sostenere un progetto formativo allargato che educhi il cittadino alla
complessità. I saperi odierni si sono moltiplicati e trasformati, e perciò implicano la necessità di luoghi e
spazi idonei al loro sviluppo, della loro applicabilità e della comprensione della loro complessità. Perciò, il
laboratorio rappresenta un’ideale linea didattica di confine tra il teorico e il pratico, tra il sapere e il saper
fare.

La formazione delle competenze.


Nel laboratorio il possesso di una competenza scaturisce dall’apprendimento attivo di una conoscenza
specifica, e questo comporta il possesso cognitivo-operativo di un sapere che da teorico diventa pratico. Lo
spazio laboratoriale diventa il principale contesto formativo e creativo delle competenze, questo perché il
laboratorio è un luogo che facilita la comprensione dei legami tra le diverse conoscenze, per il fatto che se
ne fa un’esperienza diretta e concreta e perché si possono sondare nuove vie di interazione dei saperi. I
saperi vengono collegati e costruiti all’interno di un’unità molteplice della conoscenza: l’unità è
rappresentata dal contesto laboratoriale – il molteplice è l’insieme degli oggetti conoscitivi che sono
osservati dal soggetto. L’ambiente cognitivo prodotto in laboratorio è costruito quindi per attivare un
adeguato processo di metacomprensione, favorendo l’emergere di concrete possibilità creative della mente
e una nuova forma del sapere: il soggetto ricombina le proprie rappresentazioni dell’osservare e risolvere
certe problematiche rispetto ad un dato sapere con cui è chiamato a interagire. Egli è indotto a porlo in
diretta transazione con l’attuale contesto socioculturale e con le proprie disposizioni intellettive. Perciò, le
capacità individuali possono trasformarsi in abilità/competenze, ma anche metacompetenze.

I potenziali socio cognitivi della ricerca in laboratorio.


Le attività collaborative stimolano la mente ad apprendere e ad allargare il proprio campo cognitivo grazie
all’attivarsi dell’intelligenza interpersonale: le reciproche sollecitazioni cognitive consentono di co-costruire
saperi nuovi, favorendo la trasformazione delle idee e di aprire le menti. Dewey, individua nell’istinto
sociale uno dei primi impulsi di fondo del bambino, perciò la scuola dovrebbe imparare a soddisfare questo
istinto con modalità attive e laboratoriali. Questo impulso primario rappresenta la forma più semplice
dell’espressione sociale del fanciullo, ecco perché è la più grande risorsa dell’educazione.
Il linguaggio dovrebbe esser sollecitato in modo sociale al fine di un continuo contatto con la realtà. Anche
Bruner afferma che il linguaggio è una componente fondamentale per l’apprendimento, e individua tre
caratteristiche del linguaggio preverbale (abilità comunicative generalizzate + tendenza ad esprimersi
mediate un processo pratico + stretta interdipendenza con il contesto). Perciò secondo Bruner le capacità
umane dipendono dalla pratica e dal modellamento successivo mediante l’uso, che consiste nella
regolazione delle relazioni sociali del bambino con l’ambiente in cui vive. Bruner quado parla di
predisposizione al linguaggio si riferisce ad una ricerca innata del significato, che è una spinta innata verso
la cultura e che consente il plasmarsi dell’individuo con l’ambiente.
La relazione con la realtà prassico-sociale, quindi con la cultura di appartenenza, si pone come una
componente formativa essenziale dei processi educativi, determinando un a priori volto a lasciar sullo
sfondo la disciplina in virtù di un rapporto tra la scuola e la vita effettiva.
Il laboratorio si pone quindi come luogo transazionale tra il dentro e il fuori della scuola, facilitando i
processi di socializzazione e diventando il luogo dell’apprendere collettivo. L’azione diventa interazione tra
soggetti e motivazione ad apprendere. Dewey, con il termine ‘transazione’’ indica la diretta relazione tra il
soggetto e l’oggetto, tra il dato e l’ambiente. Perciò il laboratorio si può considerare anche con un sito di
elaborazione dei processi maturativi dei soggetti coinvolti, che grazie allo stare insieme godono la
possibilità di maturare le istanze cognitive del vivere la comunità.

Il costruirsi dell’intelligenza collettiva.


Un progetto auspicabile oggi è la realizzazione di un’intelligenza collettiva fondata su una ingegneria del
legame sociale, che valorizzi al massimo la diversità delle qualità umane. In questo spazio la mente del
singolo si pluralizza grazie ad un’organizzazione della conoscenza che si fa enciclopedica e le mente si
raccordano in virtù di un medesimo spazio e progetto, creando una grande azione sociale simile alla
cooperazione sociali. Qui, la mente del singolo si sintonizza con una pluralità di menti, perciò non è più
pensabile ad una sola dimensione, ma a una mente pluridimensionale abitata da una pluralità di punti di
vista. In questo spazio si fabbrica un sapere complesso, collegiale ed eterogeneo.

L’intelligenza interpersonale in azione.


Nel laboratorio l’intelligenza diviene collettiva e sociale, quindi interpersonale. Infatti, lo stare e l’agire
insieme comporta la costruzione aggregata di un insieme di rappresentazioni mentali diverse, di mondi
individuali eterogenei. Ad esempio, Gardner, riunisce nelle intelligenze personali anche l’intelligenza
interpersonale, per il fatto che nessuna delle due forme di intelligenza può svilupparsi senza l’altra. Infatti, il
mondo interiore è influenzato dal contatto con gli altri, tanto quanto la conoscenza degli altri è filtrata dalle
nostre capacità di discriminazione interiore. L’individuo sarà in grado di conoscere sé stesso e i meccanismi
interni che lo motivano solo la forma mentis deputata a concentrarsi sulla vita di relazione di specializza
nella regolazione dei rapporti umani e sociali. Gardner considera questa abilità come la capacità di capire le
intenzioni e i desideri degli altri: abilità adatta per venditori, leader e attori, ma è auspicabile trovarla anche
negli insegnanti e negli alunni. Gli alunni, se dotati di questa capacità, saranno in grado di comprendere la
gente e spesso diventeranno dei leader in grado di organizzare e comunicare.
Sia l’intelligenza intrapersonale che interpersonale vengono considerate qualità di base dell’intelligenza
emotiva. Gardner individua uno stato iniziale dell’intelligenza interpersonale: essa può manifestarsi come
una semplice capacità di discriminare il sé dal tu e di comprendere le espressioni emotive dell’altro.
Ovviamente, le potenzialità del laboratorio possono favorire lo sviluppo e l’intensificarsi espressivo-
relazionale di questa intelligenza.

La verifica dello sviluppo sociocognitivo della ricerca in laboratorio.


Ci siamo chieste se l’attività continua e sistematica della ricerca nello spazio del laboratorio sia
effettivamente in grado di potenziare il livello degli studenti mentre apprendono attraverso un’indagine sul
campo: un istituto scolastico che si pone in modo innovativo verso lo studente e verso i processi di
insegnamento, focalizzando le sue attività sulla ricerca in laboratorio. La scuola ha attivato due corsi
differenziati: uno con tempo normale in cui ci si dedica di più all’attività didattica, l’altro con un tempo
prolungato durante l’attività laboratoriale assume notevole importanza. I dati emersi permettono di
osservare che durante i laboratori gli alunni rafforzano i sentimenti di amicizia e consolidano il rapporto con
gli insegnanti, collaborano e rispettano le regole. Inoltre, il laboratorio facilita l’aumento dell’autostima
individuale e collettiva. Inoltre, si è visto come la ricerca nel laboratorio riesce a dare luce al soggetto nella
sua individualità: attraverso il fare riesce ad esprimere il proprio valore e le sue capacità.

Cap 3. Il modello dell’apprendistato.


Il problema e i metodi del comprendere.
Una branca della pedagogia contemporanea cerca di individuare i modi educativi più consoni a superare la
dicotomia tra apprendimento formale e apprendimento pratico, allo scopo di formare persone in grado di
sviluppare le loro potenzialità e condurre un’esistenza attiva.
Le radici filosofiche-storiche dell’educazione formalizzata sono ancora oggi vitali e favoriscono lo sviluppo
degli aspetti intellettuali e verbali del sapere e della sua trasmissione.

La scissione della mente dal corpo è corresponsabile dell’antinomia educazione intellettuale/educazione


pratica, e nasce nell’epoca rinascimentale a causa dell’invenzione della stampa e della diffusione del libro,
che è corrispondente all’immagine fisica e simbolica di un sapere intellettualizzato, astratto e portato
lontano dai suoi luoghi d’origine: il libro detta il sapere in modo autoritario e unidirezionale. La
scolarizzazione fa eclissare il metodo dell’apprendistato: dal metodo induttivo si passa a quello deduttivo,
che implica processi logici di apprendimento piuttosto che metodi esperienziali, quindi modifica il rapporto
maestro-allievo, che diventa uguale per tutti e emotivamente distaccato.
Il tentativo di riabilitare oggi l’apprendistato finisce per contrastare con la burocratizzazione dei processi
scolastici. Nonostante questo, è fondamentale sottolineare che cogliere i nessi tra le conoscenze acquisiste
e applicarle in modo funzionale a situazioni nuove è un anelito pedagogico che rientra nel concetto
dell’educazione al comprendere: infatti, Gardner, si rende conto che la scuola non favorisce, e anzi
ostacola, la formazione di un pensiero globale. Egli osserva che nemmeno i studenti migliori riescono ad
applicare i contenuti appresi in situazioni extrascolastiche, in quanto scivolano in stereotipi mentali. Solo
l’individuo esperto è in grado di usare le proprie conoscenze in modo opportuno, e questo è possibile solo
attraverso il tirocinio tradizionale, che è centrato sull’applicazione di due determinanti pedagogiche:
- l’eliminazione di atteggiamenti stereotipati
- la costruzione di atteggiamenti adeguati alle pratiche sociali attuali.
Perciò, Gardner evidenzia la necessità di affrontare un’importante sfida per la costruzione di una società in
grado di comprendere, e questo attraverso il rispetto di quattro indicazioni progettuali:
- apprendere in apposite istituzioni
- verificare in modo diretto le conoscenze erronee
- creare un adeguato ambiente cognitivo
- moltiplicare i punti di accesso al comprendere.
Questo modello viene incorniciato all’interno della teoria pluralista dell’intelligenza, con cui Gardner ha
formalizzato una rinnovata idea di intelligenza. Questa concezione si pone in antitesi alla convinzione
dell’intelligenza unica, innata e quantificabile, comprovando l’esistenza di competenze intellettive umane
relativamente autonome (cioè facoltà distinte).

Osservando l’attuale sistema scolastico emergono due contraddizioni: la prima si evince dalle difficoltà che
gli studenti incontrano nell’avvicinarsi alle discipline, soprattutto se sono messe a confronto con
l’apprendimento prescolare intuitivo e naturale della mente infantile, che risulta più leggero e resistente al
cambiamento. infatti, i bambini, costruiscono il conoscere in una struttura di senso comune iniziale, volto a
trasformarsi in un senso comune illuminato quando si stabiliscono relazioni significative. Nei primi anni di
scuola i bambini acquistano una conoscenza protodisciplinare (derivante dall’acquisizione di alcune
abitudini), destinata poi a trasformarsi in un sapere disciplinare normale. Solo in seguito, si possono
raggiungere saperi di tipo multidisciplinare e metadisciplinare, che un approccio laboratoriale può facilitare.

Già dal suo primo ingresso a scuola il bambino è in grado di utilizzare le conoscenze intuitive derivante
dall’interazione tra le esperienze sensomotorie e i simboli di primo livello, consentendogli di gestire
l’ambiente. Si tratta di saperi che ruotano intorno a ciò che riguarda la materia, cioè il mondo fisico, la vita.
L’apprendimento formale dovrebbe tenere in considerazione queste due dinamiche allo scopo di superare
le concezioni errate e di integrare quelle scientificamente corrette: ma è possibile osservare che
l’insegnamento spesso è ostacolato dalla forza delle ipotesi formulate dalla mente ingenua.

La seconda contraddizione fa emergere alcuni interrogativi sul modo di formare gli apprendimenti durante
l’esperienza scolastica. Morin sottolinea la necessità di evitare la semplice accumulazione di saperi che non
siano sostenuti da una tensione organizzazionale capace di dare un senso al tutto. L’organizzazione
dovrebbe costruire il fulcro di un processo trasformativo che includa momenti di separazione e di
interconnessione, di analisi e di sintesi: perciò la conoscenza dovrebbe essere legata al contesto. All’interno
di questo processo di stabilisce una reciproca influenza tra conoscenza e contesto – e l’interconnessione
rappresenta quel principio organizzatore delle conoscenze che permette di superare ogni dualismo.
Da ciò, risulta evidente la necessità di costruire un sistema educativo in grado di favorire una reale
comprensione, comprensione che permette di applicare in situazioni nuove ciò che si è appreso in un
ambiente formale.
Il processo di comprensione incontra spesso dei fraintendimenti anche da parte degli insegnanti: ad
esempio Gardner individua un modus operandi pregno di contraddizioni osservabili nelle modalità con cui
sono somministrate le prove, nel fatto che gran parte della progettazione risponde all’urgenza di
concludere il programma nei tempi stabiliti (ciò induce a trascurare alcuni aspetti didattici) ecc.
Perciò l’insegnante dovrebbe fondare il proprio operato su alcuni presupposti:
- identificazione di concetti ricchi e fecondi
- realizzazione di una didattica che faccia leva su una pluralità di linguaggi
- valutazione continua in grado di coinvolgere tutti i protagonisti – Gardner avvalora l’uso della valutazione
contestualizzata e che mette in discussione il classico approccio.
In questo quadro la formazione di una competenza appare come il risultato dell’interazione che si stabilisce
tra l’individuo, l’ambito conoscitivo deputato ad attivare le capacità e il campo.

Gardner si chiede quali siano le intelligenze da attivare, e se queste siano intese come un mezzo per
acquisire in formazione o come materiale da padroneggiare, suggerendo così di analizzare le modalità di
acquisizione delle competenze, che dovrebbero realizzarsi attraverso un apprendimento diretto (non
mediato). Una determinata abilità si acquisisce attraverso la semplice osservazione, e questo percorso si
svolge nel luogo in cui l’abilità viene abitualmente impiegata e coinvolge l’intelligenza corporea, spaziale,
interpersonale e linguistica.
Oltre a questa forma, esiste la possibilità di acquisire abilità al di fuori del contesto, in quanto i luoghi
deputati all’insegnamento possono variare tra loro e differenziarsi rispetto agli strumenti utilizzati e agli
agenti particolari che svolgono l’attività di insegnamento.

Gardner cita tre metodi educativi diversi dall’apprendimento attraverso l’osservazione, e si tratta di metodi
che anticipano i processi di scolarizzazione formalizzata e che consistono nei: riti di iniziazione, scuola della
boscaglia e nell’apprendistato. Possiamo quindi evidenziare lo sviluppo di nuove metodologie didattiche
finalizzate all’acquisizione di competenze.
Questo percorso arriva ai sistemi scolastici formali, alle scuole decontestualizzate, che presentano tra gli
obiettivi l’alfabetizzazione, l’apprendimento dei sistemi notazionali e l’acquisizione dei contenuti
disciplinari.

Per la creazione di un ambiente cognitivo ideale e un’educazione al comprendere ideale Gardner propone
alcune linee-guida strutturate in quattro fasi e adattabili alle situazioni laboratoriali:
- vanno definiti gli obiettivi di comprensione riferiti alle singole unità didattiche
- si devono identificare i temi generativi centrali nelle lezioni
- chiarire le prestazioni qualificabili come comprensione: gli studenti devono sapere cosa ci si aspettare da
loro
- valutazioni in itinere e di carattere formativo
Gli attori di questo programma sono dei docenti preparati ed entusiasti, degli alunni motivati e una
comunità sensibile alle esigenze della scuola.
La descrizione di questi punti sembra concordare con un contesto scolastico-educativo caratterizzato
dall’agire empirico-sperimentale del laboratorio. Perciò queste linee guida possono partecipare alla
costruzione di un contesto scolastico-laboratoriale.
Il significato educativo-formativo dell’apprendistato.
Nel modello proposto da Gardner un importante auspicio progettuale consiste nella creazione di apposite
istituzioni scolastiche che impieghino il metodo dell’apprendistato. L’apprendistato può rappresentare
notevoli vantaggi se viene ripensato e ricontestualizzato alla luce di un rinnovamento generale, che
Gardner individua nel pericolo da parte dell’insegnante di sfruttare l’allievo.
In generale, l’apprendistato non viene considerato adatto alle esigenze dell’attuale collettività, in quanto
rappresenta una forma di insegnamento ereditata dal passato e utilizzata soprattutto per acquisire
competenze legate a mestieri artigianali. Per questo motivo si tende a proporre, come alternativa, un
curricolo scolastico che sembra offrire maggiori garanzie professionali.
Oggi ci si chiede se sia possibile eliminare questo stereotipo filtrando la natura di questo metodo con una
rinnovata prospettiva: tra queste si può individuare la possibilità di lavorare per progetti: forme di tirocinio
che vedevano l’apprendista coinvolto nel lavoro del docente.
Le ragioni che inducono Gardner a considerare in maniera positiva questo metodo sono molteplici:
vengono favoriti atteggiamenti cooperativi volti a rispettare le competenze di ogni bambino, è possibile
coinvolgere tutti i partecipanti e far sì che si attivino processi di riflessione capaci di realizzare una
valutazione in itinere.
Un secondo elemento a favore dell’apprendistato è la sua possibilità di dare luogo a un processo di
apprendimento contestualizzato, ossia capace di rendere evidenti le motivazioni per le quali è messo in
pratico un determinato insegnamento. Inoltre, l’apprendista impara in un contesto che lo pone di fronte a
prove concrete atte a verificare il raggiungimento delle competenze, e allo stesso tempo ha l’occasione di
lavorare con soggetti che possiedono una preparazione professionale.
Per Gardner, non meno importanti, sono le esperienze sensomotorie e l’uso contestualizzato di forme di
simbolizzazione di primo livello, come il linguaggio naturale o semplici disegni.

Quando Gardner si occupa dei vantaggi che derivano dall’apprendistato, focalizza la sua attenzione sulle
qualità caratterizzanti la relazione allievo-maestro e sul contesto perché questa relazione possa svolgersi.
Infatti, la possibilità di superare la condizione d’apprendista dipende dall’aver appreso le lezioni e
dall’essere riusciti legare rapporti sociali interpersonali (particolare attenzione al contatto).

Sperimentazioni dell’apprendistato educativo-formale.


Gardner riconosce la positività delle caratteristiche derivanti dal modello dell’apprendistato, che individua:
- nella ricca informazione ricevuta dal giovane spendibile in modo concreto,
- nell’avanzamento della conoscenza per tappe intermedie,
- nella possibilità concessa agli allievi di istruirsi reciprocamente,
- nella motivazione che spinge il giovane ad apprendere,
- nella solidità e utilità del sapere trasmesso.

Alcuni esempi di esperienze educative in cui è promossa il metodo dell’apprendistato: scuole di Reggio
Emilia. Queste scuole rappresentano un esempio in cui i bambini del nido e dell’infanzia sono chiamati a
prendere parte a progetti capaci di suscitare un forte coinvolgimento emotivo e un profondo interesse ad
apprendere, in quanto si promuovono progetti legati alla scoperta del mondo relazionale e naturali. Gli
insegnanti favoriscono la socializzazione dell’esperienza e la estendono all’intera comunità. In questi
ambienti si verifica la nascita della partecipazione periferica legittima, che consiste nel mondo in cui i
bambini, osservando gli adulti competenti impegnati in un lavoro, ne sono coinvolti direttamente in
maniera naturale grazie ad una prima fase di osservazione e ad una seguente fase di partecipazione
periferica guidata.

La possibilità di vivere un apprendistato in chiave di progetto rappresenta quindi un modo per utilizzare le
conoscenze già acquisiste in una situazione nuova.
Il laboratorio del ‘’rinchiudersi liberatorio’’ del Closlieu.
Un caso particolare di apprendistato laboratoriale, in cui è fondamentale la relazione allievo-maestro, è
rappresentato dall’atelier di Arno Stern: il Closlieu, un laboratorio di pittura per i soggetti da 0 a 80 anni.
Qui, il maestro diventa un sollecitatore/osservatore che induce il soggetto a disegnare e a dipingere
liberamente e ha l’unica funzione di servire le richieste dei pittori. Una delle idee-guida di questo
laboratorio consiste nella libera espressione creativa del bambino, che viene invitato a guidare egli stesso il
percorso formativo. In questo spazio l’espressione del soggetto diventa inesauribile in quanto si trova in un
ambiente accogliente, non giudicante e non competitivo, e fondato su un continuo scambio di sollecitazioni
e solidarietà. Il contesto è quindi rassicurante e tende a valorizzare tutte le manifestazioni irrazionali del
soggetto, facendo in modo che questo le possa liberamente far emergere attraverso la ‘’Formulazione’’:
costituita da 70 elementi, si esprime attraverso le leggi evolutive universali riscontrabili in tutti gli individui
come manifestazioni della memoria organica (quando gli individui sono lasciati liberi di esprimersi tendono
a riproporre un medesimo processo grafico articolato su tre livelli).
Stern individua in vari posti del mondo che la nascita della Formulazione è un evento naturale, e proprio in
questo sta la proprietà essenziale della Formulazione. Infine, egli promuove una pittura verticale, la quale
permette un migliore controllo dei movimenti degli arti superiori e inferiori e che ciò è legato soprattutto
dalla posizione assunta dal bambino. il risveglio dell’impulso creativo ha dato ai piccoli pittori la forza di
esplorare lo spazio e di misurarsi con esso.

L’apprendimento situato e partecipato dell’apprendistato.


A questo punto è interessante approfondire due concetti su cui il metodo dell’apprendistato si regge:
apprendimento situato e partecipazione periferica legittima.
La partecipazione periferica legittima viene vista come una prospettiva analitica capace di evidenziare che
l’apprendimento è una parte costitutiva delle dinamiche sociali: quindi l’acquisizione di conoscenze in un
contesto sociale è il risultato di una serie di condizioni psico-socio-didattiche determinate. Quindi la
formazione di una persona è il risultato di un suo coinvolgimento nel processo interattivo tra la sua mente e
l’ambiente.
Il nesso tra apprendimento situato e partecipazione periferica legittima confluisce in un apprendimento che
fonda la sua portata formativa sulla pratica e sulla partecipazione sociale alla comunità – e per questo
motivo l’idea di partecipazione periferica legittima ha permesso di descrivere e analizzare le diverse forme
possibili di apprendistato.
L’apprendimento situato può essere ricondotto alla modalità curricolare: curricolo di apprendimento
(anziché curricolo di insegnamento) in quanto strettamente legato alle dinamiche relazionali e sociali della
comunità. Perciò l’apprendimento situato presume la partecipazione a una comunità in cui si condivide una
stessa rappresentazione di ciò che si sta facendo. Da ciò, l’aspetto relazionale diviene un elemento
fondamentale della conoscenza in quanto permette di darle senso e di mantenerla nel tempo.
La partecipazione periferica si riferisce a una persona che non perde la propria identità, ma al contrario
questa evolve grazie alle relazioni stabilite con la comunità circostante. Perciò è qui sottolineata
l’importanza della comunità che accoglie il soggetto e della dimensione relazionale dell’apprendimento
stesso. Da ciò discendono quesiti sulle modalità organizzative dello spazio sociale della comunità in cui si
pratica l’apprendistato: si osserva l’esistenza di un sistema di relazione triadico composto da apprendisti,
giovani maestri e maestri i cui apprendisti sono diventati maestri a loro volta.

All’interno di una comunità di pratica il lavoro è certamente un’importante opportunità di apprendimento:


gli apprendisti lavorano accanto a persone impegnate in un’attività e il fatto di essere accettati e di
interagire arricchisce la loro esperienza. Da questo punto di vista anche le semplici commissioni hanno un
significato formativo rilevante, in quanto permettono di costruire un’idea generale di ciò che caratterizza la
comunità di pratica. Questo processo di insegnamento-apprendimento prevede una forma di
autovalutazione per far si che l’apprendista sia in grado di comprendere fino a che punto sono utili i suoi
contributi. Un altro strumento di analisi è la motivazione, che consiste nell’opportunità di divenire parte di
una comunità.

Ovviamente l’attività lavorativa e l’uso della tecnologia non escludono il linguaggio e la sua funzione
formativa: infatti, si pensa ad un’associazione diretta tra il linguaggio verbale e conoscenze ampie e generali
– e linguaggio non verbale e conoscenze particolari. Affinché questo accada alcuni studi hanno rilevato
l’importanza della narrazione di storie: conversazioni, racconti realizzati intorno a situazioni problematiche.
Nell’apprendistato non esiste una forma di linguaggio utilizzata appositamente per gli apprendisti come
accade negli istituti scolastici, ma è previsto un uso del linguaggio inteso come parlare di sé e parlare
all’interno della pratica.

L’ultimo ambito di analisi riguarda l’apparente contraddizione tra partecipazione periferica legittima vista
come strumento di continuità tra generazioni, e la progressiva sostituzione dei nuovi arrivati una volta
diventati anziani. In realtà, tale apparente incoerenza è fondamentale per il cambiamento sociale, in
quanto i nuovi arrivati hanno bisogno di entrare in relazione con la cultura sedimentata nel tempo e
contemporaneamente tendono a fare in modo che questa evolva. Questo fa intendere in senso dinamico la
comunità, in cui le competenze acquistano una dimensione più specialistica, ottenuta grazie alla capacità
degli anziani di utilizzare le risorse dei nuovi arrivati.

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