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PER UNA PEDAGOGIA DELLA MOTIVAZIONE

Il processo di apprendimento-insegnamento pone al centro il bambino e prevede necessariamente di porsi


domande relative alla motivazione e al suo processo espressivo. La motivazione fa parte del corredo
biopsicologico dell’individuo. Il soggetto entra in relazione con l’ambiente mediante processi di
assimilazione e accomodamento mentre l’educatore deve sostenere l’interesse a creare delle situazioni
adeguate mediante un agire non direttivo. Gli educatori sono chiamati in un nuovo ruolo che deve volgere
l’attenzione verso una pedagogia della motivazione che riconosca una forma mentis per favorire una
naturale spinta all’autorealizzazione. È importante approdare a una pedagogia della spontaneità che
sostiene un contatto profondo con sé stessi. La metodologia della ricerca-azione grazie alla sua flessibilità
offre a tutti i protagonisti la possibilità di affrontare la complessità dei modi di comprendere, dalla
prospettiva del mondo educante sia da quella del mondo discente.

CAPITOLO 1
SGUARDI PEDAGOGICI SUL RAPPORTO TRA BISOGNO E MOTIVAZIONE

1) Il bisogno di apprendere. Le profonde spinte biologiche al conoscere.

Già dai tempi dell’attivismo pedagogico, Dewey ne faceva una questione biologica, legata alla necessità di
soddisfare particolari istinti. Il bambino dai 4 agli 8 anni è mosso da quattro istinti fondamentali: istinto del
sociale, del fare, dell’investigazione e dell’espressione.
Questi impulsi sono risorse naturali che il bambino deve poter soddisfare, una “buona scuola” dovrebbe
dirigere l’alunno verso un appagamento autonomo di queste risorse piuttosto che agire dall’esterno.
Dovrebbe quindi metterlo nelle condizioni educative idonee per essere guidato in autonomia da queste
forti spinte biologiche verso la conoscenza.

La visione Dewyana sembra invertire il processo di apprendimento che da essoterico (esterno) si fa


esoterico (interno)  da apprendimento che viene dall’ambiente a apprendimento che viene da spinte
innate. LA MOTIVAZIONE AD APPRENDERE (intrinseca) è posta in primo piano. Si ritiene che il materiale
innato e quello acquisito sono in un rapporto di interazione costruttiva, per questo è inevitabile che
l’orientamento dell’apprendimento si sposti dall’esterno all’interno.

1.2) Le basi neurologiche della motivazione ad apprendere.

Le attuali neuroscienze sostengono che esiste una coscienza implicita della gestione dei processi vitali
localizzata all’interno del nostro corredo biologico e finalizzata al raggiungimento di un obiettivo
omeostatico (ricerca di equilibrio) questa coscienza precede l’esperienza stessa. Non si devono mettere da
parte emozioni e sentimenti, perché sono componenti umane destinate a occupare una parte integrante
dell’educazione.

2) Le nuove frontiere del cognitivismo pedagogico

Individuiamo alcune componenti “attive” al modello cognitivista cercando di:


- cogliere una relazione tra mente e idea di educazione attiva
- le suggestive proprietà metodologiche del modello ricerca-azione
- interrogarci sull’eventualità di una possibile cultura dell’apprendimento passivo e una pratica educativa
efficace e funzionale.
La proposta è di un uso modulare delle conoscenze, rese interattive da un uso trasversale dell’oggetto
cognitivo.

2.1) Le critiche all’arco riflessivo: la mente innata è davvero passiva?

La rivoluzione attivista ha cercato di valorizzare elementi già presenti nella mente del discente, il cui
fondamento è genetico  elementi intrinseci che l’educazione ha il compito di far emerger e sviluppare nel
modo più funzionale possibile, ossia spontaneo.
John Watson, padre del behaviorismo afferma che le predisposizioni presenti nel bambino non sono
orientate dall’ambiente esterno. Gli istinti non esistono perché sono parte di un addestramento, di un
comportamento appreso.
Da questo punto di vista il comportamento è il frutto di incessanti condizionamenti sociali.
LE NEUROSCIENZE ci dicono invece che i talenti innati esistono e le teorie educative non devono trascurare
le basi genetiche di questi talenti.
Da questo punto di vista le motivazioni ad apprendere non possono che essere estrinseche, dettate da
volontà esterne del soggetto. L’espressione individuale è opera dei condizionamenti esterni. La sfida
cognitivista ha rinnovato la fiducia nelle capacità intrinseche della mente. C’è una vera e propria rinascita
dei valori umani, un ritorno alla soggettività.

3) L’attività motivazionale al comprendere

Partendo sempre da Dewey possiamo delineare un’educazione intorno alla figura del bambino che
apprende attivamente che è posto nella condizione di dirigere le azioni didattico-educative.
EDUARD CLAPAREDE  si fa carico di costruire un’educazione su misura per orientare e individualizzare i
percorsi didattici, valorizzando il bambino, ottimizzando il rendimento con un emergente interesse al
comprendere. “Bisogna obbedire alla natura del fanciullo, se si vuole tirarne fuori qualcosa.”
Bisogna quindi seguire gli elementi già fisiologicamente presenti nella mente del bambino e questo porta
l’educatore a conformare il più possibile l’azione educativa ai processi naturali che regolano le istanze
biologiche dell’alunno all’apprendimento. Pone la prima legge del comportamento: IL BISOGNO, che
provoca le reazioni necessarie per soddisfarlo. Il bisogno è il motore dell’attività umana e della
conoscenza, è il fulcro dei processi di apprendimento.
Il principio di libertà poggia sulla possibile costruzione di una disciplina attiva, raggiungibile grazie ad un
contesto educativo adatto che non soffochi i movimenti spontanei dei bambini ma li aiuti invece a
coordinarsi in azioni funzionali. I docenti devono raccogliere la verità, cogliere quanto è espresso dal
bambino attivamente quando sono lasciati agire in modo autonomo. La tendenza spesso è quella di
mettersi al loro posto.
Lo stesso autore aveva dimostrato che da un bisogno organico nasce un interesse, un desiderio di
comprendere la realtà oggettuale che sia in grado di soddisfare il bisogno stesso.

3.1) Apprendere in modo naturale

FREINET  afferma che il docente è chiamato a progettare percorsi didattici in grado di mantenere una
continuità con le conoscenze pregresse degli alunni, in modo da aiutarli ad entrare in contatto con il nuovo
contesto educativo mantenendo la libertà già costruita. Questo tentativo cerca di introdurre elementi nuovi
rispetto alla didattica tradizionale per cercare di collegare la scuola alla vita attraverso:
- la creazione di un clima relazionale cooperativo centrato sull’interesse
che emerge con le esperienze di vita quotidiana vissute fino a quel momento.
La ripetizione dell’esperienza lascia una traccia che permette all’azione di divenire un comportamento
automatico. Questo non deve essere sostituito con le teorie del comportamentismo dove il rinforzo è
talmente importante da divenire un elemento esterno e manipolabile da altri per ottenere il
comportamento desiderato. Il metodo naturale di Freinet, ha un percorso di permeabilità dell’esperienza,
che trasforma l’azione meccanica in intelligente in quanto induce il soggetto a tener conto degli effetti
dell’esperienza stessa e di modificare quindi il proprio comportamento. Questo ci suggerisce che non ci
sono azioni poste con premi o punizioni, ma che queste azioni sono la conseguenza di una motivazione
intrinseca a svolgere un’esperienza significativa.

3.2) L’espressione delle predisposizioni innate


 Bisogni naturali che l’individuo deve poter soddisfare in modo pienamente gratificante e vengono
chiamate “attività spontanee del fanciullo che emana dal loro essere intimo.”
ROGER COUSINET: fa una distinzione tra - bisogni artificiali, fantastici
- bisogni naturali, veri: bisogno di crescere, di scoperta, di sicurezza, di libertà.
L’autore ritiene che l’educazione nuova deve mettere il bambino nella condizione di soddisfare in tutta
autonomia le sue forze interiori, quindi i bisogni veri. Se questi bisogni non vengono soddisfatti portano
all’insorgenza di frustrazioni, traducibili in disturbi della personalità. Questi sono l’effetto di una condizione
scolastica autoritaria che ostacola il bambino a seguire i propri interessi, nel porre domande per svolgere
un’attività vivente.
La scuola attiva agisce in senso non direttivo, i bambini acquisiscono gli apprendimenti necessari senza
l’intervento degli insegnanti, seguendo la pratica della libertà.

3.3) Le leggi claparediane della condotta

CLAPAREDE secondo la sua prospettiva il sistema vitale va considerato come un insieme unito al suo
interno, biologicamente e psicologicamente, mosso continuamente da bisogni che attivano l’individuo alla
ricerca di un costante equilibrio (OMEOSTASI), rendendo possibile un processo di adattamento funzionale
dell’ambiente e una continua evoluzione del sistema.
L’INTERESSE si pone da intermediario tra organismo e il suo ambiente, divenendo una colla fra corpo e
mente. Il bisogno organico mobilita l’interesse che a sua volta mobilita l’individuo alla ricerca dell’oggetto
utile alla soddisfazione del bisogno stesso.
Quando il bisogno non è soddisfatto si tende a ricorrere alla legge della compensazione.
Il bisogno mancato quindi provoca una reazione antagonista, l’ambiente è causa di frustrazioni nei
confronti dei bisogni. Quando c’è un disequilibrio si attiva la legge della presa di coscienza dove il soggetto è
indotto a riflettere e problematizzare la realtà.
Con la legge dell’autonomia funzionale l’individuo diviene un soggetto autonomo capace di reagire in modo
adeguato davanti ai propri bisogni.
L’individuo ha bisogno di un conforto ambientale alla naturale attivazione dei bisogni intrinseci.
L’educazione deve orientare, differenziare i percorsi formativi tenendo conto degli interessi individuali e
creare possibilità di autentico apprendimento.

4) Verso la metacognizione

VISALBERGHI  afferma che l’apprendimento precede sempre e necessariamente l’insegnamento efficace.


Il ruolo dell’insegnante si basa sulla consapevolezza del modo in cui costruisce i presupposti didattici per
indurre l’alunno ad emanciparsi sul piano cognitivo, mediando tra la sua natura e gli oggetti simbolici della
cultura, con pratiche atte a sollecitare un apprendimento “metacognitivo” = che gli consenta di riflettere
sulle modalità del suo apprendere, di conoscere la conoscenza, facendo uso delle sue potenzialità.

4.1) Per un’educazione metacognitiva

Il passaggio da behaviorismo a cognitivismo induce a considerare saliente il processo di trasformazione


interiore che si svolge durante e per effetto della comprensione stessa da parte del discente. È necessario
quindi aspirare a procedure didattiche che abilitino l’alunno ad imparare ad apprendere. La mente viene
vista quindi come una rappresentazione mentale impegnata a costruire e trasformare le sollecitazioni
dell’ambiente mediante un processo di costruzione fenomenica della realtà. Nelle idee cognitiviste (che
riprendono Dewey e Claparede) ritengono rilevante il piano cognitivo ma si centrano sull’idea di
un’educazione funzionale e attiva, soprattutto sugli studi di correlazione tra motivazione, interesse attivo
del fanciullo e la facilità nell’apprendere e nel conoscere.
4.2) La formazione metacognitiva dell’alunno e dell’insegnante

Questo impianto fondato sulla scienza cognitiva deve legittimare una formazione/maturazione del corpo
insegnante che deve attivarsi nel considerare diversamente l’alunno, le sue modalità e possibilità di
apprendimento al fine di studiare le potenzialità che emergono. Tutto questo per attuare un’opera di
programmazione, diversificazione del lavoro didattico. Questa attenzione alle specifiche predisposizioni
degli alunni è necessaria per accendere la spinta motivazionale all’apprendimento significativo.
LA TEORIA DELLE INTELLIGENZE MULTIPLE (Gardner)  ci fa ritenere che il docente debba svolgere un
compito duplice: applicazione di una didattica
-individualizzata
- orientata a trasmettere una gamma di saperi.
Gli insegnanti dovrebbero potenziare le aree di forza di ogni alunno, individuando dove è distribuita la sua
intelligenza. L’educazione ha il compito di sradicare le convinzioni forvianti attraverso una proposta che
faciliti la possibilità di apprendere in modo scientifico e oggettivo. Il docente deve porsi in classe con una
disponibilità d’animo e non trasmettere le nozioni in modo meccanico  questo è possibile tramite una
metodologia didattico-speculativa che sia funzionale sulla scoperta e conoscenza.
Gardner si pone il problema di far interagire costruttivamente esigenze individuali e culturali. Chi insegna
non deve rinunciare a una forma mentis per un’educazione metacognitiva, in grado di mediare la voce del
contesto culturale. Si deve focalizzare sulle necessità pratiche per creare un anello curricolare tra teoria-
azione-contesto (educazione attiva, metodo adeguato di ricerca e costruzione del sapere atto a generare
metacognizione). Nel rapporto tra educatore-educando è necessario produrre co-scienza e co-noscenza in
un’attiva relazione didattica.

5) Motivazione intrinseca e comprensione: la non-linearità nella costruzione della conoscenza

Il riconoscimento dell’esistenza di rappresentazioni mentali ha indotto a interpretare il processo di


apprendimento come un cammino complesso dove queste rappresentazioni si arricchiscono con fattori
esterni cognitivi ed emotivi. La motivazione a cui facciamo riferimento è intrinseca, è il piacere derivante
dall’esecuzione di attività in grado di coinvolgere l’individuo globalmente. La persona motivata mostra
impegno davanti a situazioni difficoltose ma attiva tutte le risorse naturali al fine di superarle, è impegnata
nell’apprendimento anche quando non sono suscitati da una necessità.
BRUNER  evidenzia che l’apprendimento è complesso ed è necessario aggiungere l’idea di una
motivazione alla competenza che ci permette di rapportarci con la realtà esterna per assumerne le
caratteristiche simboliche e culturali. L’agire educativo tende a trasformare la motivazione da intrinseca ad
estrinseca dove ci sono premi e punizioni. Una sfida nell’educazione consiste proprio nel cercare gli
elementi metodologici più adeguati in modo da mantenere una motivazione al piacere di apprendere
(presente in età prescolare). GARDNER  ci indica il percorso ideale attraverso le prime esperienza ludiche
dove il bambino è sollecitato in attività esplorative guidate da un impegno e concentrazione nell’azione
intrapresa. Tutto questo aiutato da un adulto che semplificano lo svolgimento. Afferma che favorire nel
bambino atteggiamenti che lo porteranno alla costruzione personale della conoscenza permette di evitare
di attivare le sue risorse solo ed esclusivamente per rispondere alle aspettative degli adulti: attività di
restituzione e non di elaborazione. È L’APPROCCIO ALLA CONOSCENZA A FARE LA DIFFERENZA RISPETTO
ALLA MOTIVAZIONE: SE C’E’ UN ORIENTAMENTO ALLA SCOPERTA IL BAMBINO E’ STIMOLATO A LAVORARE
IN AUTONOMIA PERCHE’ GRATIFICATO DALL’ATTIVITA’ ESTRINSECA IN SE’.

5.1) Il comprendere gardneriano

La comprensione rappresenta un’esperienza significativa di apprendimento. Il percorso scolastico che segue


la via della comprensione consente di acquisire delle strategie di pensiero e di assumere delle mentalità
disciplinari, pensare in modo disciplinare (osservare i particolari aspetti della realtà da parte degli esperti).
Una testa “ben fatta” è l’espressione dell’attitudine a problematizzare la realtà e costruire legami che
collegano il sapere, bisogna esercitare l’esercizio del gruppo, la capacità di condurre argomentazioni
attraverso intuizione, flessibilità e capacità di affrontare gli imprevisti. La progettazione deve essere
indirizzata all’individuazione di argomenti significativi e rilevanti che consentano di compiere
approfondimenti.

5.2) La flessibilità creativa del pensiero narrativo-immaginativo

BRUNER La costruzione della realtà e significati consente all’individuo di adattarsi al sistema. Oltre ad un
pensiero logico-scientifico (fondamentale per la costruzione di categorizzazioni) esiste anche un pensiero
narrativo che non si deve sottovalutare. Un’ipotesi scientifica prima di essere verificata è una costruzione
creativa della realtà, perché necessita di un’immaginazione paradigmatica. Quindi questi abiti mentali sono
prodotti artificiali della mente e sono dei mondi possibili grazie ai quali il soggetto è in grado di attribuirne
senso e significato e dare motivazioni al suo agire.

5.3) Dall’interazione disciplinare all’ecologizzazione del sapere

Nell’ambito educativo-scolastico si può sostenere che le discipline propongono un aspetto particolarmente


ottimale quando entrano in relazione tra loro. C’è quindi l’esigenza di non perdere l’idea dell’oggetto
d’indagine anche se osservato da prospettive diverse.
GARDNER  promuove un approccio interdisciplinare che consenta di avvalersi di quadri concettuali,
strumenti e metodologie che offrono maggiori possibilità. È importante trovare una convergenza su un
comune modo di concepire la mente umana secondo un approccio alla teoria delle intelligenze multiple,
considerando le differenti potenzialità cognitive della singolarità.

CAPITOLO 2
EDUCARE ALL’AUTOREALIZZAZIONE

1) Educare alla motivazione (a all’autorealizzazione)

Non c’è comportamento umano che non sia motivato, nella sua espressione è sempre mosso da qualche
istanza motivazionale anche se nascosta e non sempre percettibile.
Il motivo è implicito (piegato assieme) e si vuole aprire in modo che quello che è contenuto sia manifestato
e quindi l’esoterico si fa manifesto.
All’origine di un comportamento c’è un motus=movimento interno, il motore che precede l’azione. Non
esiste una realtà che non abbia una motivazione. Per esempio la scarsezza di interesse è comunque
derivante da una precisa motivazione (individuabile in una debole potenzialità cognitiva) e quindi queste
cause derivano sempre da un motivo.
GARDNER  consiglia di stimolare una forma mentis forte per orientarla verso un’area intellettiva debole
che, con un’adeguata esercitazione può essere notevolmente potenziata. Qui ci si riferisce spostamento
dell’asse motivazionale, si agisce sul contesto educativo il quale ha agito su motivazioni realmente esistenti
ma nascoste.

2) La pedagogia dell’autorealizzazione

La motivazione coinvolge l’energia del soggetto, i suoi bisogni, le pulsioni e quanto più si è in accordo con le
motivazioni, tanto meno saranno i conflitti con le richieste sociali.
Bisogni e motivazione sono in stretta correlazione, rapporto con l’orientamento del comportamento
individuale verso la realizzazione di un obiettivo.
Il termine autorealizzazione è molto complesso e se ne parla in corrispondenza di concetti come benessere,
emozioni positive, esperienza di flusso che fanno parte della psicologia del benessere. MASLOW  progetta
la piramide dei bisogni dove afferma che è necessario soddisfare prima di tutto i bisogni fisiologici
(sicurezza e protezione), bisogni di amore (appartenenza e relazioni sociali), bisogni di stima ed autostima e
solo allora si può accedere alla soddisfazione dei propri bisogni reali che sono autentici.
Lo studioso si era mosso al suo tempo in contrapposizione con il behaviorismo che collegava ogni
motivazione alle sollecitazioni dell’ambiente esterno.

In realtà dipende dalla motivazione di fondo che spinge un soggetto ad agire in una certa direzione, è
difficile credere a questa consequenzialità.
KENRICK  riformulano la piramide. Secondo questa gerarchia l’autorealizzazione è sostituita dal bisogno
evolutivo, dall’esperienza relazionale sessuale e alla genitorialità. Qui vediamo che non è neanche
menzionata e va a finire nello sfondo. Si dà molta importanza all’ambiente sociale.

In nessuna delle due piramidi è indicato il bisogno di apprendere anche se dovrebbe essere considerato una
priorità.
L’educazione ha il compito di orientare alla base del bisogno evolutivo di apprendere.

2.1) L’autorealizzazione dell’ “IO SONO”

È uno stato perenne nel quale si è in ogni istante, che scaturisce dal nulla, assume manifestazioni
fenomeniche per poi tornare al nulla. Le distrazioni continue, le sollecitazioni esterne distolgono
l’attenzione da questo stato e soprattutto le diverse forme dell’identificazione dell’io creano un’illusione
della separatezza (tra il sé e l’ambiente). Questo è determinante nel processo evolutivo e nella progressiva
costruzione della personalità durante le diverse esperienze dell’età evolutiva. L’attaccamento alle idee che
ci siamo costruiti e in cui ci identifichiamo non aiuta a distendere l’essere e a vivere pienamente.
AUTO (qualità specifica di autonomia) REALIZZAZIONE (fare diventare reale qualcosa)  essere ora, nel
momento presente in rapporto con quanto è ora realmente presente.
MASLOW  Il desiderio dell’uomo di autocompiacimento è quella tendenza ad attualizzare ciò che è
potenziale. A divenire quindi tutto ciò si è capaci di diventare utilizzando risorse latenti e potenzialità.
L’educatore non deve sostituirsi all’educando e agire per suo conto. L’oggetto della realizzazione è proprio
il sé, il processo si fa esoterico dove l’individuo pone l’attenzione su sé stesso, si cura di sé. Attraverso la via
dell’abbandono si possono trovare le proprie radici, il proprio essere autentico e trovare l’armonia con le
proprie motivazioni più profonde, è necessario quindi stabilizzarsi nello stato di umiltà = educazione alla
realtà dell’adesso, alla presa di coscienza dei limiti personali.

2.2) Il superamento del dualismo tra natura e cultura

Si deve ammettere l’esistenza di una sostanziale continuità tra la dimensione fisica naturale (corporea) e
quella mentale culturale (mentale), la cui interdipendenza ha un carattere pratico e strumentale.
L’educazione corporea è stata rimossa e considerata inopportuna. Il piano mentale è una continuazione del
piano corporeo, è un’espressione mediata e socialmente utile. Gli opposti sono un grande mistero della
natura, sono interrelati tra loro, uniti e l’uno non potrebbe esistere senza l’altro. Le categorizzazioni sono il
prodotto di un processo mentale che tende ad essere tanto più complesso quanto più è evoluta la struttura
mentale e neuropsicologica dell’uomo. Questa separazione tra natura e cultura risale a una precisa storia
del pensiero filosofico occidentale che ha esaltato le istanze speculative ella mente in una posizione di
superiorità rispetto alle istanze sensoriali e involontarie del corpo.

2.3) Anche se non penso, sono

LOWEN  afferma che la rottura tra io e corpo è una problematica esistenziale e sembra irreparabile.
L’esistenza degli opposti è forse la causa principale dell’infelicità umana, soprattutto quando essi non sono
percepiti come parti complementari di un’organica unità (BALSENKAR)
L’educazione moderna mira allo sviluppo unilaterale dell’intelletto e ignora la possibilità di sfruttare
l’inconscio. In realtà è quando la mente è vuota dai pensieri che si pone allo stato reale delle sensazioni. Si
educa in modo standardizzato, non si fa uso di un’educazione attiva, si impiega un linguaggio formale
attento ai processi razionali e non si è orientati allo sviluppo di dinamiche non verbali che sono funzionali
per l’espressione dei potenziali di ciascun individuo. Nella struttura bio-psicologica dell’individuo poggiano
radici dell’essere dove agiscono le motivazioni che solo per lo più inconsce, qui c’è la terza persona. Se
queste radici non vengono ascoltate si crea un mondo immaginario prodotto da una idealizzazione
(produzione di idee sul mondo) credendo che quel mondo sia oggettivo. In realtà tutte le nostre esperienze
sono soggettive ed è mediata quindi dai nostri sensi.

3) Dal percepire all’appercepire

Dagli studi della Gestalt possiamo affermare che non vediamo gli oggetti in quanto tali, ma i processi
mentali costruiscono dentro di noi delle immagini mentali che cercano di fornire delle risposte alle
informazioni dell’ambiente. Il percorso percettivo induce a formare immagini del mondo senza però che
quanto è percepito sia uguale allo stimolo proveniente dall’ambiente.
BATESON  afferma che siamo liberi di credere a ciò che ci dicono i nostri sentimenti.
Spesso per avvicinarsi di più alla creatività e per esaltare i sensi si fa uso di sostanze stupefacenti, in realtà
l’esperienza visionaria (indotta dalle droghe) non è la stessa esperienza mistica (percettiva). L’uso di questi
espedienti esterni al soggetto quindi può facilitare l’emersione di certi stati immaginativi ma con il tempo il
soggetto si allontana gradualmente dal sé e dal suo benessere esistenziale, dalla concreta possibilità di
vivere l’esperienza di autocoscienza = consapevolezza di sé stessi. La portata pedagogica della rottura
corpo/mente che si identificano nei valori razionalistici dell’io.

CAPITOLO 3
LA PEDAGOGIA DELLA SPONTANEITA’ TRA OTIUM E LENTEZZA

1) Il non-fare educativo

Un qualsiasi soggetto è attivo quanto più sollecitato dall’ambiente educativo ad esprimere naturalmente i
propri talenti innati. Tutto questo dovrebbe avvenire secondo le leggi della spontaneità, di un’educazione
motivata a rivolgersi al discente in modo naturale per orientarlo alla vita.

1.1) La pedagogia della spontaneità

SPONTANEO  volontà, impulso. La radice “spa” = muovere verso.


Il moto che spinge all’azione risiede nel mondo interno e può intendersi come lo spontaneo motore
dell’agire individuale che nasce da un’intenzione profonda del soggetto verso un suo bisogno spinto dalla
motivazione. Il moto spontaneo quindi è fine e mezzo dell’azione. È la diretta conseguenza delle forze
interne dell’individuo, in continuo dialogo con le sollecitazioni dell’ambiente. Questa azione si svolge
spontaneamente senza alcuno sforzo.
I diversi significati della spontaneità:
- ciò che procede da un principio interno
- ciò che è determinato da cause naturali, senza l’intervento di mezzi artificiali che avviene o si produce da

- compiuto volontariamente, con autonoma determinazione, scelto liberamente
- innato, insisto nella natura umana indipendentemente dai condizionamenti esterni
 I DIVERSI SIGNIFICATI CONVERGONO TUTTI NEL SOTTOLINEARE FORZE, MOTI, MOVIMENTI NON
INDOTTI DA VOLONTA’ ESTERNE A QUELLE SOGGETTIVE MA ATTINGENDO DAL PROFONDO DELLA PROPRIA
REALTA’.
Questo io impersonale agisce senza esserci, sta sullo sfondo, osserva ciò che accade nell’essere spontaneo.
1.2) Uno sguardo critico allo spontaneismo

La spontaneità non si deve confondere con lo spontaneismo. Questo termine ha legami semantici col
mondo politico anche se in pedagogia è un termine osservato in modo critico.
Questo termine è ricondotto al concetto di lassismo = rifiuto di ogni legame con principi teorici. Lo
spontaneismo nelle scuole attive facilita chi ha ricevuto un’adeguata educazione disciplinare provenendo
da contesti benestanti, facilita meno invece chi proviene da contesti depravati.
La spontaneità = non significa improvvisazione.
Spontaneismo = non fa rima con disordine o impulsività sfrenata.

1.3) Le ragioni (pedagogiche) della spontaneità

La spontaneità è in stretto rapporto con le sensazioni, è un’esperienza interiore. Un medesimo stimolo può
provocare risonanze diverse negli individui, l’importante è cogliere il fondamento vitale e sensibile con cui
esso entra in relazione.
“Ciò che è spontaneo è qualcosa che si sente. È il ki. È l’invisibile che cerca di prendere una forma
tangibile”. È il non forale che prende forma a seconda di necessità adattive dell’essere in virtù delle
sollecitazioni ambientali.
IL KI  è uno stato energetico interno alla struttura psicofisica, una forza vitale. È una sorta di atmosfera
che si crea nell’ambiente e che si concretizza nelle sensazioni. Quando questa energia tende ad espandersi
viene nei fatti costretta e limitata, il ki si contrae e si polarizza creando un blocco. L’educatore deve creare
l’ambiente educativo più idoneo per un’ottimale espansione del ki. Questa forza tocca anche l’aspetto
cognitivo del conoscere e dell’apprendere, le corde motivazionali e i processi di
insegnamento/apprendimento.

2) Elogio all’ozio e alla lentezza

Per far sì che possa emergere il potenziale interiore di ognuno l’ambiente educativo non dovrebbe mettersi
al suo posto con l’intento di:
- sostituirsi al potenziale con richieste pressanti
- negare i diritti dell’infanzia al gioco, all’apprendimento spontaneo e naturale
- negare il piacere automotivante
rischia così di modificarne la natura profonda e di non considerare le forme di costruzione attiva della
conoscenza. Tutto questo non agevola il rapporto dell’individuo con sé stesso e non ne facilita le
espressioni delle sue autentiche ragioni esistenziali.
C’è un eccessivo uso consumistico che crea uno stile di vita esageratamente produttivo e accelerato, il
cittadino deve rispondere alle richieste della comunità per non sentirsi solo ed emarginato.

3) Verso l’ipotesi paradigmatica di una pedagogia del non-fare

Lentezza ed ozio possono essere collocati all’interno della pedagogia del non-fare che si pone come un
possibile paradigma pedagogico al fine di divenire una premessa per rivoluzionare il pensiero pedagogico
educativo.
L’attivismo sollecita un apprendimento derivante dall’azione legata all’esperienza del soggetto che
apprende. È un’azione che deve scaturire dal soggetto, con la propria attività interiore.
In antitesi con l’intellettualismo di una tradizionale scuola formale che rimane astratta e meccanica,
fondata sul sapere teorico lontano dalla pratica.
FROMM  distingue l’attività dalla passività. Il comportamento manifesto potrebbe dare l’impressione di
attività, quando in realtà si agisce in virtù di richieste forzate e non per l spinte esistenziali, è un’attività
alienata e non spontanea. L’individuo vive in una condizione di separatezza dalla propria forza interiore
motivante. (educazione artificiale)
L’attività non alienata consente all’individuo di sperimentare sé stesso come soggetto della propria attività.
(educazione naturale)
L’idea dell’autore si avvicina a quella di HODGKINSON che parla di ozio evocante il senso di uno stato
mentale volto alla riflessione e contemplazione per trovare la libertà ed allontanarsi dalla compulsione
alienante del fare.

4) Dal mondo ludico al mondo lavorativo

Nella maggior parte dei casi il lavoro mantiene raramente un sano legame con la dimensione ludica perché
non assume connotazioni ludiformi.
I luoghi dell’apprendimento non formare e informale sono quelli in cui avvengono le principali attività
ludico-esplorative automotivate. Il transito da ludico a ludiforme, dal gioco all’attività che mantengono le
caratteristiche del gioco ma che sono più strutturate.
VISALBERGHI  individua nel momento del lavoro il principale motivo della rottura tra l’automotivazione
del gioco e l’eteromotivazione del lavoro.

5) Le virtù dell’ozio educativo

HODGKINSON  parla di ozio, un non-fare creativo, un modo di pensare, uno stile di vita. L’ozio coinvolge
la sfera privata intima, riguarda l’essere, è lo spazio per dedicarsi a sé stessi. L’uomo tende a conformarsi ad
autorità esterne che causano una sensazione di impotenza che lo allontana dall’attività spontanea della
personalità, dalla possibilità di essere sé stesso, l’io è sempre insoddisfatto.
Il legame tra ozio e libertà è stretto, entrambi sono stati esistenziali e riguardano calma e tranquillità,
apertura mentale. Il processo di disidentificazione dall’io socializzato appare un passo necessario per
intraprendere un cammino di profonda relazione con il mondo.

5.1) Imparare oziando: intervenire il meno possibile e solo quando è strettamente necessario

WU WEI = non-fare, non azione.


Rosseau  afferma nell’Emilio: “l’infanzia è pensabile come un processo evolutivo tanto naturale quanto lo
è quello agricolo”.
L’educatore deve lasciare in pace e fidarsi totalmente dei propri bambini e non interferire con il loro
naturale processo evolutivo-maturativo. La modernità spinge l’uomo a finalizzare le azioni verso il
guadagno e mai a godere di quello che fa. Il lavoro è stressante e spinge l’uomo a vivere piaceri passivi ed a
rinunciare a piaceri attivi. Il lavoro non deve diventare un luogo mentale di distrazione da sé stessi e dalle
proprie forze esistenziali, deviazioni di sé.

5.2) L’esperienza sensoriale

DEWEY  La sua idea sprona lo studente a vivere fino in fondo le potenzialità implicite nell’esperienza
presente e invita l’educatore a creare le condizioni perché questo possa avvenire concretamente
riorganizzando quindi un’educazione globale centrata sul piacere automotivante ad apprendere e formarsi.

L’universo sensoriale e percettivo del soggetto può essere frequentato solo se i ritmi di apprendimento
individuali sono rispettati.

6) Il tempo educativo: le virtù della lentezza

Kairos  tempo soggettivo, qualitativo. La società in preda ai ritmi incessanti del lavoro dimentica di
apprezzare i potenziali esistenziali del tempo presente, l’adesso. Questi ritmi ci inducono a pensare al
futuro in virtù del passato, trascurando così il presente.
Per concretizzare e vivere il presente bisognerebbe essere indotti a farlo mediante un dispositivo educativo
commisurato alla individuale dimensione interiore e profonda dell’essere, a tutto l’universo sensoriale.
DEWEY  Parla di esperienza presente dell’allievo, una continua processualità del presente, che gli
permette di maturare la sua esistenza immergendosi nell’esperienza con tutto sé stesso, indotto a trarne
insegnamenti in modo autonomo e diretto. La mente dell’allievo ha tutti i requisiti necessari per ricevere,
scoprire o costruire la conoscenza. QUALSIASI ESPERIENZA COMPORTA IN S’ IMPLICITI POTENZIALI
EVOLUTIVI E TRASFORMATIVI.
Questo è necessario svincolandosi da passato e futuro andando verso un’educazione al presente che
diventa educazione permanente. Rallentare i ritmi di apprendimento e aderire ad un’educazione lenta aiuta
a comprendere meglio il senso del presente educativo.

6.1) Il piacere della lentezza

Lo spostamento dal tempo oggettivo e quantitativo a quello soggettivo e qualitativo riconsegna il reale
tempo esistenziale ai bambini e mette in primo piano i bambini con i propri ritmi di apprendimento e
comprensione. La percezione soggettivo del tempo è molto variabile a seconda dell’esperienza che si sta
vivendo. L’azione piacevole innesca processi cognitivi maggiormente funzionali all’apprendimento.
LOWEN  propone l’equazione tra piacere e creatività, tra modo delle sensazioni e dell’esperienza
piacevole. Non vi può essere creatività se non c’è piacere psicosomatico vissuto dal soggetto durante lo
svolgimento dell’azione, il piacere fornisce la forza che da motivazione al processo creativo, è il prodotto di
tale processo. La creatività è un approccio esistenziale che coinvolge ogni individuo. Quando ci sono
eccessive richieste dall’ambiente è difficile apprezzare il piacere, c’è un senso del dovere che inibisce le
motivazioni all’azione, qui la sensazione di piacere è limitata.
La pedagogia lenta è un sano ristabilizzatore del fare educativo. Le attività educative devono definire il
proprio tempo, l’educazione è un processo qualitativo, ogni persona ha bisogno del proprio tempo e
momento per apprendere. Questa visione è in sintonia con gli attivisti e cognitivisti che mettono in prima
luce i tempi esistenziali del bambino seguendo le sue necessità. L’educazione deve apprendere in
profondità, i tempi non sono programmabili perché non prevedibili.

6.2) La pedagogia della lumaca

Questa prospettiva suggerisce di offrire strategie didattiche di rallentamento, allenando i sensi per non
reprimere la creatività dei bambini. Vorrebbe che gli insegnanti abbiano il coraggio di perdere tempo per
dedicarsi totalmente ai propri studenti, per conoscerli meglio e costruire un percorso di apprendimento
condiviso. La scuola deve insegnare a ciascun studente ad imparare ad apprendere un sapere realizzato
intorno ai propri interessi. L’attività laboratoriale consente il coinvolgimento totale della mente e corpo e
c’è il tempo necessario per apprendere attraverso errore e gioco.

CAPITOLO 4
LE ODIERNE CRITICITA’ DELLA PEDAGOGIA BIANCA

1) Le possibili forme della pedagogia bianca nell’educazione formale

L’ambito formativo tradizionale della scuola attinge a linee guida da un pensiero educativo antico di vecchie
idee che rischiano di inibire le potenzialità autorealizzative e creative. Questo agire scolastico potrebbe
ripercuotersi sulla personalità infantile.

1.1) L’assetto fisico e simbolico della classe

L’allievo è posto in una posizione subordinata e passiva rispetto all’agire direttivo del docente che è
incaricato di trasmettere le conoscenze. quest’ultimo viene visto come un detentore di un potere
programmatico che rischia di condizionare i processi di apprendimento.
Uno stereotipo pedagogico vuole che il docente sappia più dell’alunno e che sia lì per trasmettergli il sapere
secondo l’idea che la mente discente è una mente vuota da riempire.
La visuale del bambino non può che osservare la scuola da una posizione di inferiorità.
La classe appare come la chiara risposta simbolica ad un ideale pedagogico di vecchio stampo
immergendosi in una didattica passiva e meccanica. Il sapere proviene dall’alto e si presuppone una
frontalità didattica, rigido ordine dell’insegnante. Qui le idee degli attivisti cognitivisti sono molto lontane in
quanto non ci sono tracce di una continuità tra scuola e ambiente, c’è uno scollamento.

1.2) L’implicito attuale autoritarismo del passato: la motivazione estrinseca

La psicologia dell’educazione e una sana storiografia pedagogica hanno evidenziato la negatività di passati
metodi pregiudizievoli per un sano sviluppo esistenziale e cognitivo del discente. Questa viene chiamata
pedagogia nera ed esalta la punizione, l’umiliazione, la rinuncia di sé stesso e l’inibizione dei sentimenti. Le
idee sulla mente erano distorte e gli ideali educativi che la governavano la conducevano forzatamente ad
un ideale superiore. Tutti questi atteggiamenti dal carattere distruttivo sono stati di tratti narcisistici della
personalità.

2) Le intolleranze educativo-scolastiche nelle tracce del passato

Il sapere viene percepito in una posizione elevata, in direzione unilaterale dall’insegnante all’allievo,
tramite la lezione frontale.
MILLER  identifica una pedagogia bianca che è il frutto di insoddisfazioni degli educatori e manifestazione
di richieste non sensibili alle necessità individuali. L’educatore continua ad essere al centro delle scene
educative e il sapere invece di essere un costrutto attivo e collaborativo, è riprodotto meccanicamente dal
solo docente. L’insegnante non impostando una didattica attiva e creativa del sapere potrebbe imporre
manifestazioni di potere e di controllo sulla classe.

2.1) Le soggiacenti tensioni nelle attuali relazioni educative

Questo ambiente educativo è poco propenso a sollecitare l’emersione delle spinte autorealizzative, queste
anzi sono controllate e ricattate. La comunicazione è ambigua, non ci sono i presupposti relazionali per un
reale interesse dell’altro, le attività sono costruite artificialmente derivanti da un passivo adeguamento del
docente alle attese sociali e istituzionali. L’azione didattica limita la natura dell’espansione e la creatività
dell’alunno. Il contesto umano che da vita alla classe non è in linea con i metodi della ricerca costruttiva del
sapere, della collaborazione e dell’apprendimento attivo.

CAPITOLO 5
RICERCARE E COSTRUIRE IL SAPERE

1) La scoperta del sapere

È importante abituare gli studenti a gestire autonomamente la qualità della loro formazione adeguandola
alla realtà che è in continua trasformazione. Per farlo è necessario che imparino a valutare e controllare i
passaggi dell’intero processo, mostrando di possedere una reale competenza metacognitiva. La
disponibilità all’apprendere è sempre più necessaria, è come una seconda natura in grado di accompagnare
il soggetto per tutta la vita.
Il processo formativo richiede una particolare capacità orientativa nella complessità del sapere che è spesso
disorientante, bisognerebbe riuscire ad operare efficaci sintesi rispetto ai diversi ambiti della conoscenza.
Un’organizzazione disciplinar nasce dalla necessità di circoscrivere gli oggetti della conoscenza operando
una formale separazione della realtà, anche se questo comporta molti rischi, come perdere di vista il fatto
che l’oggetto è un’estrapolazione di una realtà molto più complessa. È necessario descrivere l’ambito da
trattare per fare un’esplorazione, trasformando il problema in una possibilità di lavoro dal carattere ludico,
finalizzato al suo superamento.

2) Le potenzialità motivanti della ricerca-azione

Questo modello offre una libertà nelle scelte del compiersi circo l’approccio metodologico ritenuto più
idoneo per un certo ambiente fisico e si pone in contrapposizione con il modello sperimentale classico. La
sperimentazione (neopositivista) ha una metodologia precostruita definita ancora prima di conoscere il
problema. Nel modello ricerca-azione c’è una prospettiva opposta perché la riflessione condotta è presente
contemporaneamente all’azione. L’insegnante deve costruirsi le sue conoscenze grazie ad un continuo
lavoro cognitivo in collaborazione con gli alunni. Diventa un attore del suo programma, si conosce e
conosce tutto il resto. Il piano teorico deve fondersi con quello pratico della ricerca, per far ciò è necessario
avvalersi di un impianto metodologico (come quello della ricerca-azione) che è flessibile alle esigenze
educative e sinergico rispetto ai protagonisti.

3) Flessibilità, dinamismo e pluralismo in pedagogia

La flessibilità  implica la possibilità di spostarsi da una dimensione all’altra delle realtà educative. È un
concetto da ricondurre ad un postulato modulare e interattivo di ricerca.
Dinamismo  comporta le condizioni di ritmo, intensità e organizzazione necessari per orientarsi in modo
adeguato nel contesto.
Questi due termini sono indispensabili per un’operazione di ricerca costruttiva.
Lo scambio di discipline permette di favorire una più ampia comprensione dei problemi educativi.

3.1) La ricerca educativa tra dubbio e pluralismo metodologico

La ricerca di soluzioni comporta il dubbio dove c’è un adattamento alla realtà empirica. Per ammettere la
possibilità di passaggi interattivi dalle possibili espressioni della ricerca alle forme sperimentali. La
letteratura pedagogica considera l’approccio ricerca-azione come un pluralismo metodologico, grazie al
quale l’interazione delle attività dei protagonisti delle scene educative consente la condivisione delle
competenze per la realizzazione di un progetto di ricerca/conoscenza comune. I punti fermi da individuare
sono configurabili nelle competenze individuali, nella progettualità dei protagonisti e nel rispetto dei ruoli.

4) La creatività del processo educativo: la formazione di insegnanti creativi e rigorosi per mezzo della
ricerca-azione

BRUNER  afferma che la predisposizione all’apprendimento sia la coniugazione di più istanze (culturali,
motivazionali e personali) in cui entra in gioco la qualità della relazione tra chi apprende e chi assume il
ruolo di insegnare stabilendo una relazione di autorità che influenza l’alunno rispetto alla disponibilità nelle
sue possibilità di apprendimento.
Tutti i soggetti sono intrinsecamente motivati ad apprendere, esistono delle energie naturali che lo
permettono come la curiosità, il bisogno di sentirsi competenti e identificarsi con un modello. Le
motivazioni esterne (lodi, voti) non assumono significato perché sono ritenute capaci di sostenere azoni a
breve termine ma non per l’intero processo di apprendimento. È necessario tener conto di fattori come: la
disposizione, la struttura, l’ordine di presentazione dei contenuti e il rinforzo. La ricerca-azione può
rappresentare una proposta adatta a divenire strumento di costruzione delle conoscenze per gli alunni e
anche strumento di lavoro e formazione per gli insegnanti. Questa flessibilità nella metodologia valorizza
l’esperienza degli alunni e sostiene il processo creativo di costruzione della conoscenza, c’è una libertà
rispetto alle azioni e scelte da compiere.

4.1) La cornice epistemologica della ricerca-azione

R-A  famiglia di approcci investigativi che condividono l’orientamento pratico e il taglio qualitativo.

L’esplorazione rappresenta la possibilità di progettare le azioni, di ricavare i dati su cui compiere le


riflessioni per progettare nuovamente. La formulazione che accomuna gli approcci ricerca-azione
rappresenta un processo ciclico che permette di giungere ad una cognizione della situazione attraverso una
problematizzazione, azione. C’è una connessione tra l’attività intellettuale e l’azione dove si percepisce la
necessità di qualcosa di problematico.
- identificazione e chiarificazione dell’idea generale = affermazione che collega l’idea all’azione.
- ricognizione = elaborata da una descrizione della situazione e della sua spiegazione, una riflessione critica.
Questo permette uno scambio di idee che formulano ipotesi che verranno verificate.
- costruzione del piano generale di azione = precisazione degli elementi che si vogliono migliorare.
- sviluppo delle successive fasi di azione = si decide tra le azioni delineate quelle che verranno realizzate.
- attuazione della fase di azione

C’è la necessità di rivalutare la posizione assunta dai protagonisti che svolgono un ruolo sempre più attivo
all’interno della ricerca, il problema è messo in relazione a tutto il contesto. La circolarità tra riflessione e
azione avviene durante tutto il processo, rende possibile modificare l’idea e ipotesi con un percorso
osservativo e con la capacità del ricercatore di scegliere con flessibilità gli strumenti più idonei.

4.2) Le problematiche relative a momento valutativo

La valutazione rappresentala fase più critica della ricerca in quanto valutazione soggettiva e oggettiva si
confondono e si sovrappongono. È necessario quindi fotografare la situazione iniziale e quella finale
attraverso la documentazione di ogni cambiamento osservabile nei soggetti coinvolti, chiarire gli strumenti
utilizzati e delle scelte metodologiche, quindi la realizzazione dei risultati auspicati. La R-A espone all’azione
e all’osservazione. Si tende ad osservare gli effetti auspicati e non quelli inattesi, quando in realtà questi
svolgono un’importante funzione. Non pretendono di pervenire ad una verità ma di favorire un
ampliamento di possibilità attraverso una prospettiva che metta in relazione i protagonisti e l’ambiente. Il
ricercatore si deve interrogare durante tutto il suo divenire e la valutazione deve essere svolta in itinere con
un puntuale controllo dell’azione. La valutazione è un percorso intrapreso da una pluralità di attori
disponibili che diventano un’unità organica, che prendono decisioni, e hanno la consapevolezza che
possono modificare ogni componente.

4.3) I termini del cambiamento da parte dei soggetti coinvolti nella ricerca

La R-A rende tutti i soggetti protagonisti attivi del processo e fa riflettere e valutare il proprio agire
mettendo in atto un processo metacognitivo in grado di determinare un arricchimento personale dato da
un nuovo sapere, una conoscenza costruita e vissuta. Il cambiamento nasce dal rapporto con i soggetti
interessati perché si considerano tutti nella loro interezza.
- coinvolgimento esistenziale si raggiunge con la possibilità di condividere liberamente la propria
prospettiva e il proprio punto di vista
- riabilitazione dell’affettività e dell’immaginario permettono di assecondare l’emozione e di stabilire un
confronto con gli altri. grazie a questo gli attori raggiungono la propria emancipazione che gli permette di
prendere decisioni riguardanti gli interventi che si andranno a realizzare.

4.4) La formazione degli insegnanti

È necessaria un’interazione tra teoria, pratica e attività riflessiva a sostegno di una professionalità legata
all’agire quotidiano, in grado di prendere decisioni, operare in un contesto regolato.
Gli insegnanti possiedono come abito mentale la capacità di rapportarsi alla realtà educativa attraverso un
pensiero riflessivo che evita di basare il suo operato sul senso comune. Sono consigliati percorsi di
formazione-aggiornamento che permettano di acquisire nuove conoscenze rispetto ai contenuti specifici
con un atteggiamento investigativo. È necessario che gli insegnanti correggano alcuni atteggiamenti e
interpretazioni rispetto all’esperienza educativa e ne acquistino delle altre attraverso un’attività di
autoriflessione che sottoponga a continua verifica le scelte e le azioni compiute attraverso l’osservazione
degli effetti prodotti e il confronto con altri soggetti coinvolti. Per fare ciò è necessario possedere la
capacità di riuscire ad abbinare elasticità mentale e flessibilità personale al rigore metodologico 
coniugare la dimensione creativa dell’attività ad una struttura metodologica delineata.
CAPITOLO 5
ESPERIENZE EDUCATIVE: VERSO L’AUTOMOTIVAZIONE

1) Il progetto degli angoli speciali: un sistema di laboratori basato sull’apprendimento attivo e cooperativo

L’attivismo pedagogico riveste un’importanza rilevante e influenza ancora la scuola italiana. Le scuole attive
sono rintracciabili nelle Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia.
Qui si afferma che l’apprendimento avviene attraverso l’azione e la cooperazione, l’organizzazione degli
spazi e dei tempi diventa elemento di qualità pedagogica dell’ambiente educativo.
I bambini devono essere protagonisti attivi del proprio apprendimento, in realtà le attività ludiche proposte
sono guidate dall’insegnante, e il loro ruolo risulta centrale per lo svolgimento della stessa. È necessario
mettere il bambino al centro, offrirgli un contesto stimolante in grado di favorire lo sviluppo del suo
pensiero critico e di conseguenza lo sviluppo della sua personalità. Le esperienze sono sempre concrete e
significative ma sono gestite dall’insegnante, quindi c’è una motivazione estrinseca che nasce dal desiderio
di soddisfare le richieste dell’insegnante.
Progettare un sistema di laboratori consente di offrire ai bambini occasioni di apprendimento, attivo,
favorendo lo sviluppo del pensiero critico e creativo, capacità di problem solving. L’ambiente deve essere
interessante e ricco di stimoli così i bambini possono apprendere facendo e cooperando con i compagni per
risolvere problemi o creare qualcosa di nuovo. L’insegnante quindi organizza situazioni di apprendimento
problematiche e durante le attività si limita ad osservare. L’esperienza immediata è sempre seguita da una
riflessione, momento fondamentale per aiutare i bambini a ragionare sull’esperienza vissuta. Grazie ai
laboratori si stimola l’automotivazione degli alunni.

1.2) Spazi: gli angoli speciali (esempio di attività in scuola a Cesenatico)

Le insegnanti hanno deciso di strutturare all’interno dell’ambiente 6 nuovi angoli: ognuna di loro ha scelto
un angolo da allestire e gestire nel corso dell’anno, occupandosi della progettazione, preparazione
dell’attività. Hanno quindi deciso di bilanciare il metodo tradizionale e il metodo degli angoli, secondo loro
devono integrarsi a vicenda. Il martedì è il giorno della riunione degli angoli, dove i bambini decidono in
quale angolo giocheranno il giorno seguente.

1.3) Spazi: gli angoli speciali

- L’angolo della natura  collocato negli spazi esterni (giardino, pineta e spiaggia)
- L’angolo motorio  palestra
- L’angolo del suono  stanza adiacente alla palestra
- L’angolo delle scoperte, l’angolo dell’arte, l’angolo del riuso  allestito in un carrellino che è mobile e può
essere spostato

ANGOLO DELLE SCOPERTE: angolo scientifico, dove i bambini possono fare esperimenti. Questo angolo è
mobile: è situato su un carrello che è possibile spostare da una sezione all’altra. I materiali sono di recupero
come stoffe, pezzi di carta, candele, legno, cannucce, tappi, bottiglie etc… questi materiali sono sempre
presenti, alcuni cambiano per stimolare il bambino ad esplorare.
ANGOLO DEL RIUSO: dove i bambini possono giocare con oggetti naturali e di recupero sperimentando i
diversi materiali a disposizione attraverso il pensiero creativo e riflessivo. Questo angolo è mobile, formato
da un carrello composto da due ripiani, dove si possono trovare tanti materiali che l’insegnante sostituisce
in modo tale da tenere vivo l’interesse dei bambini. Possono essere artificiali (tubi di scottex, fili di lana,
mollette), oppure naturali (foglie, rametti, sassi, sabbia).
ANGOLO DELL’ARTE: i bambini si trasformano in piccoli artisti e possono sperimentare i materiali e
strumenti a disposizione per dipingere. Questo angolo è mobile ed è composto da due piani, quello in alto
facilmente accessibile dai bambini (barattoli di tempere, tappi di sughero, spugna, pennelli) mentre il piano
sottostante contiene (tovaglie, bottiglie d’acqua e un barattolo per i pennelli).
L’ANGOLO DEL SUONO: qui si gioca con la musica e si scoprono i rumori e suoni. I bambini hanno
l’opportunità di esplorare il paesaggio sonoro che li circonda, di creare suoni con oggetti. L’insegnante ha
allestito la stanza con tutto ciò che può produrre un suono. C’è un percorso strutturato in diversi scatoloni
che contengono oggetti e strumenti che producono suoni e rumori diversi.
L’ANGOLO MOTORIO: ogni bambino può scegliere liberamente con quali attrezzi giocare, i materiali a
disposizione non devono essere utilizzati obbligatoriamente in maniera convenzionale ma sperimentati in
tanti altri modi.
L’ANGOLO DELLS NATURA: l’insegnante ha deciso di utilizzare una cassetta di legno verde, all’interno dei
quali ha collocato attrezzi necessari per le attività all’esterno (corda verde, campanaccio di mucca,
binocolo). Questo angolo viene utilizzato anche quando piove o nevica in quanto dispone di competi
antipioggia.

1.4) Curricolo condiviso

È fondamentale programmare i momenti di incontro e di confronto tra scuola e famiglia finalizzati alla
costruzione di un’alleanza educativa e di una continuità orizzontale. È importante condividere le scelte
progettuali con gli alunni per stimolare lo sviluppo del pensiero riflessivo dei bambini che riflettono sul
senso delle esperienze che vivono. Le insegnanti hanno presentato il progetto e i sei centri d’interesse sia
alle famiglie che agli alunni.

1.5) Metodologia: esperienza immediata ed esperienza riflessiva

ESPERIENZA IMMEDIATA  momento in cui il bambino svolge un’attività vera e propria nell’angolo,
l’insegnante si limita a documentarla. Dopo l’attività la maestra chiede loro di raccontare cosa hanno fatto e
conduce la conversazione in modo tale da aiutare i bambini a ragionare sull’esperienza appena vissuta, su
ciò che hanno imparato. Consiste in un processo di costruzione del sapere con metodo prova ed errore.
ESPERIENZA RIFLESSIVA  cambiamento della qualità dell’esperienza affinchè questa risulti realmente
significativa occorre che ci siano entrambi i momenti.

1.6) Documentazione del progetto: cosa e come documentare

Sono le esperienze vissute dai bambini a raccontare la loro crescita, come le fotografie, i filmati e i disegni
documentano ciò che il bambino ha imparato, testimoniano il processo di crescita che ha avuto attraverso
le attività ludico-didattiche svolte. È necessario quindi ciò che i bambini hanno imparato, abilità e
competenze acquisite che vanno documentate e testimoniate. La realizzazione della documentazione è
importante perché i bambini possono rivivere l’esperienza osservando la fotografia, l’educatrice li stimola a
raccontare l’esperienza aiutandoli a riflettere sulla loro crescita. Si è deciso di consegnare la
documentazione ai genitori una settimana prima della riunione chiedendo loro di sfogliarla con i bambini e
di farsi raccontare ciò che hanno fatto e imparato.

1.7) Verifica di apprendimento e gradimento

Nella scuola dell’infanzia la valutazione, osservazione e documentazione sono strettamente collegate.


L’obiettivo delle insegnanti era quello di verificare se il progetto degli angoli favorisce realmente
socializzazione, collaborazione e tutoring attraverso l’osservazione del comportamento e le conversazioni
nel circe-time. Le insegnanti hanno ritenuto utile stabilire incontri di confronto e autoverifica ogni 4
settimane per valutare se apportare dei cambiamenti nell’organizzazione e per condividere le osservazioni.

1.8) Conclusioni

Queste attività sono riuscite a rafforzare nei bambini il senso di appartenenza alla comunità scolastica,
favorendo la socializzazione tra alunni di sezioni diverse e diverse età. Durante le riunioni le maestre si
confrontano sugli alunni, condividendo problemi e affrontandoli insieme.
PUNTI FORZA:
- si favorisce tutoraggio e cooperazione tra bambini che giocano collaborando
- i grandi si prendono cura dei compagni più piccoli e li aiutano a lavorare
- si valorizza l’automotivazione e lo sviluppo delle capacità pro-sociali,
- si apprende facendo e si usa il pensiero critico per risolvere una situazione problematica
- i bambini diventano protagonisti del proprio apprendimento e della propria crescita.
- le insegnanti hanno un ruolo passivo e hanno il tempo per dedicarsi all’osservazione e alla
documentazione delle esperienze
PUNTI DEBOLI:
- il tempo
- le attività durano soltanto 1 ora e mezza
- non è possibile continuare e terminare l’esperienza il giorno successivo
- le maestre sono vincolate nel gestire il tempo che diventa rigido
- penalizzano l’autonomia e il coinvolgimento dei bambini

Per perseguire le indicazioni nazionali è opportuno pianificare molteplici proposte di lavoro con bambini in
diversi contesti di apprendimento. La soluzione è quella di inserire ogni bambino in due gruppi: quello dei
pari e quello misto. Nel gruppo dei pari il bambino avrà la possibilità di raggiungere gli obiettivi prefissati
per la sua età mentre nel gruppo misto potrà lavorare insieme ai compagni più grandi sperimentando
esperienze nuove di apprendimento attivo e cooperativo, necessarie per lo sviluppo dell’identità personale.
L’ambiente deve offrire ai bambini esperienze di gioco, di scoperta e di ricerca, esso deve modificarsi e
prendere forma in relazione ai progetti e alle esperienze di apprendimento.

2) Ripensare agli spazi alla luce delle esperienze di Maria Montessori, Emmi Pikler ed Elinor Goldschimed

Il processo di apprendimento assunto da un’equipe educativa può essere realizzato grazie ad una stressa
connessione tra riflessione teorica e decisione-azione
- come strumento per eseguire approfondimenti rispetto a contenuti teorici
- stimolo per un percorso emotivo rispetto ad un agire educativo supportato da teorie implicite
I soggetti coinvolti assumono un ruolo attivo per le scelte operate e all’individuazione delle problematiche
da affrontare.

2.1) Le fasi e i contenuti del percorso di formazione

Maria Montessori, Emmi Pikler ed Elinor Goldschimed mettono in primo piano la centralità dell’autonomia
nella convinzione secondo la quale il bambino per crescere deve essere inserito in un ambiente educativo
che gli permetta di fare delle cose.

EMMI PIKLER  afferma che il bambino fin dalla nascita possiede una sua individualità rispetto quale
l’educazione deve confrontarsi, riconoscendo il bagaglio di competenze che il bambino possiede dalla
nascita e che è predisposto ad accrescere grazie allo “scambio con l’adulto”. È quindi necessario stabilire un
equilibrio nel rapporto adulto-bambino in grado di rispettare il bisogno di cure e dipendenza con il
riconoscimento del suo essere protagonista attivo della sua crescita. Per far sì che questo avvenga il
bambino deve ritrovare nell’ambiente in cui vive una sicurezza affettiva, occasioni di socializzazione e che
abbia la possibilità di sperimentare una libertà al proprio agire in modo da confrontarsi con il mondo per
comprendere le possibilità e i limiti. Il bambino possiede una disposizione naturale a sperimentare, l’adulto
deve rimuovere ciò che ostacola questo suo agire. Il lavoro della pedagogista pone importanza
all’atteggiamento assunto dall’adulto che deve rappresentare una figura interessata alle espressioni del
bambino ed essere disponibile, una presenza rassicurante per favorire l’esplorazione.
La professionalità delle educatrici
Gli adulti devono saper utilizzare le risorse esterne e i materiali a disposizioni come strumenti di una
relazione di scambio con il bambino. È una relazione asimmetrica ma anche cooperativa, l’adulto non agisce
sul bambino, ma con il bambino. La motivazione all’apprendimento si verifica grazie all’impegno dell’adulto
verso l’ambiente e l’esperienza emotiva, il bambino apprende perché si trova in una condizione di
benessere, agisce autonomamente perché prova piacere per l’azione che sta eseguendo. Nel processo di
crescita è importante rispondere ai reali bisogni facendo attenzione alla cura del linguaggio non verbale
racchiuso nelle singole azioni le quali permettono di veicolare i messaggi da parte dell’adulto circa le sue
intenzioni avviando un’autentica comunicazione.

La pedagogia del movimento  prevede un certo atteggiamento da parte dell’adulto e una specifica
organizzazione per consentire al bambino di sperimentare l’autonomia (imparare da solo). Il bambino
attraverso gesti e movimenti è in grado di comunicare con l’adulto, infatti la motricità rappresenta
l’espressione complessiva del percorso di crescita del bambino. Il bambino ha bisogno dell’adulto ma anche
di sperimentarsi da solo.

MARIA MONTESSORI  ritiene che il bambino è in grado id costruire attivamente e autonomamente i


propri apprendimenti grazie ad un’attività che chiama “lavoro”. L’autonomia risiede nella possibilità che egli
ha di muoversi e agire nel proprio ambiente ed eventualmente se ci fosse il bisogno di modificarlo a suo
piacimento, così dimostra di provare piacere per ciò che sta facendo e di sapersi autoregolare. Le
esperienze consentono al bambino di attivare i sensi. L’ambiente deve essere attento ai materiali di
sviluppo, mentre l’insegnante si occupa di creare le occasioni e le possibilità di gioco aderenti alle reali
necessità dei bambini. La disposizione del materiale ha una funzione importante, deve essere raggruppato
secondo i livelli di competenza, deve essere sempre a disposizione affinchè autonomamente egli possa
proseguire nel suo percorso di apprendimento. L’idea di autoeducazione assume un ruolo centrale per la
Montessori rovesciando il modo di concepire la relazione adulto-bambino, dove l’adulto interviene sulla
formazione del bambino.

ELINOR GOLDSCHIMIED afferma che la cura nelle scelte possano influenzare le esperienze dei bambini e
degli adulti che trascorrono molto tempo al nido. Il bambino dovrebbe avere la possibilità di confrontarsi
con le opportunità che l’ambiente gli offre in autonomia, senza che l’adulto assuma atteggiamenti
invadenti. L’adulto deve mettere in atto:
- un’azione di facilitazione dell’esperienza con un incoraggiamento emotivo
- attività organizzate in termini di spazio e tempo
- promozione o avvio di un’attività con un intervento diretto
L’attenzione è posta all’ambiente interno ma anche a quello esterno. Nell’interno si predispone il materiale
e i giocattoli che devono essere all’altezza del bambino e in contenitori maneggevoli affinchè possano
scegliere da soli che cosa fare in uno spazio delimitato. All’esterno si comprende il valore del giardino che
risulta un’occasione formativa insostituibile, si esplora il mondo attraverso la manipolazione. Tutto questo
racchiuso in una cornice dove si favoriscono gli scambi tra coetanei, in cui l’adulto svolge funzioni di regia e
sostegno.

Che cos’è cambiato rispetto al modo di pensare lo spazio?


Dall’analisi delle relazioni presentate dalle 3 educatrici si sono evidenziati 4 punti:

1) Descrive com’è andata a modificarsi nel tempo l’idea che uno spazio è funzionale all’esperienza del
bambino mentre ora il bambino ha maggior bisogno di ambienti raccolti.
La sicurezza e la voglia di fare del bambino derivano da un’esperienza interna di sicurezza che può
essere favorita da uno spazio controllabile.
2) Riguarda la riflessione sulla scelta o meno di arredi o mobili che garantiscono la sicurezza dei
bambini ma al tempo stesso ne impediscono determinati movimenti
3) Riguarda l’apprezzamento sempre maggiore verso i materiali poveri a discapito di quelli strutturati
4) Emerge la considerazione di come si possa scegliere di utilizzare i materiali d’arredo anche oltre la
loro funzione originaria. Affinchè i bambini trascorrano bene il loro tempo e in sicurezza non
occorre che l’adulto li contenga o li limiti.
 L’INTERESSE DELLE EDUCATRICI SI E’ SPOSTATO DALLA STIMOLAZIONE AL SOSTEGNO
ALL’INIZIATIVA DA PARTE DEL BAMBINO NELLA QUOTIDIANITA’.

PIKLER E MONTESSORI  sostengono entrambe l’iniziativa del bambino, non prevedendo in nessun modo
l’intervento dell’educatore. Sottolineano inoltre che i bambini devono avere dei posti per far qualcosa di
piccolo e contenuto, di giocare con le mani e qualche oggetto, in uno spazio però che consenta loro di farlo
con una certa tranquillità.

Le criticità

C’è una distinzione tra le esperienze vissute all’interno delle sezioni suddivide in angoli che non prevedono
grandi movimenti, e quelle favorite negli spazi all’esterno dove ci sono grandi movimenti. C’è una scarsa
continuità tra le due esperienze mentre gli educatori dovrebbero rispondere a un’idea di “unitarietà
dell’esperienza del bambino”. L’uso dell’atelier permette ai bambini di sperimentare attività diverse tra
loro. Questo richiede un’azione diretta da parte dell’educatore chiamata a scegliere quale attività
organizzare contraddicendo così il principio di adesione all’idea che L’AMBIENTE POSSA COSTRUIRE
UN’OCCASIONE DI CRESCITA.

Il riferimento alle 3 educatrici ha rappresentato un momento di riflessione. La significatività


dell’organizzazione degli spazi non può essere svincolata dalla qualità della relazione stabilita tra bambino e
adulto, qualità determinata dalla fiducia nell’infanzia. Questo permette all’adulto di svolgere un’azione di
mediazione nei confronti dell’ambiente, predisponendolo affinchè il bambino possa mettere in campo le
proprie risorse ed attivare percorsi originali di apprendimento e di confronto con quanto lo circonda, non
c’è bisogno dell’intervento perché il bambino è coinvolto completamente e autonomamente.

CAPITOLO 6
LA NARRAZIONE COME MOTIVAZIONE AD APPRENDERE

L’istinto narrativo è un bisogno primordiale di costruire e ascoltare storie per vivere in una situazione di
benessere. Ognuno di noi sente il bisogno di narrarsi in maniera differente e originale, di comunicare
esperienze vissute in prima persona, un “pensiero autobiografico”. La narrazione nasce dal bisogno di
autodeterminazione dove l’individuo esprime la sua capacità attraverso il compimento di scelte autonome
e responsabili, narrare nasce dalla capacità di riflettere su noi stessi e dare equilibrio alla propria esistenza.
Per i bambini la narrazione è fondamentale, sono esperienze semplici e apparentemente scontate ma in
realtà basilari per il bambino. L’insegnante può considerarle come un fondamento utile per facilitare il
processo di apprendimento. La costruzione di storie è fondamentale nel campo delle emozioni.

La mente ha il potere di costruire storie collegando: azione, parole, immagini, ricordi emozioni, che non
avrebbero senso prese singolarmente. L’essere umano dipende per molti aspetti dalla narrazione:
attraverso le storie i bambini imparano a gestire dinamiche relazionali, a immaginarsi mondi fantastici e
situazioni alternative rischiose se vissute realmente, allontanando emozioni spiacevoli. Il bisogno di narrare
nasce dalla risoluzione di problematiche, si tratta della crisi legata alle difficoltà del vivere quotidiano, alle
paure o alle condizioni di instabilità esistenziale. Le storie presentano una doppia struttura: reale e
metaforica.

La finzione consente al nostro cervello di fare esercizio con le reazioni alle sfide e preoccupazioni.
DEWEY  afferma che i quattro istinti-bisogni del bambino costituiscono la radice dell’innato processo
auto-motivazionale ad apprendere e comprendere. Questi impulsi possono trovare una manifestazione
concreta e funzionale all’attività narrativa mediante laboratori e atelier. Qualsiasi attività è suscitata da una
necessità biologica che a sua volta risponde ad uno specifico interesse. L’ambiente educativo dovrebbe
consentire al bambino di esprimersi liberamente tramite l’azione diretta e concreta, evitando azioni inibenti
ma promuovendo esperienze narrative che sostengano la motivazione a narrare le sue storie.

La motivazione intrinseca coincide con la capacità di ognuno di noi di riuscire a cogliere la necessità e
l’importanza di apprendere = piacere di apprendere. Le storie creano motivazione in quanto aiutano i
bambini a gestire emozioni e sentimenti, a creare condizioni di benessere grazie ad un linguaggio semplice.
Il processo che attiva la narrazione è la relazione tra alunno e insegnante, che cominciano ad esplorarsi a
vicenda. L’esperienza narrativa diviene per il bambino una pratica di autorivelazione e cura di sé, gli
permette di conoscere sé stesso e i suoi vissuti e di entrare in contatto con le parti più intime. Secondo la
teoria dell’autodeterminazione l’essere umano presenta una predisposizione innata a sviluppare un senso
del sé unitario, a sviluppare armonicamente i vari aspetti della propria personalità ed a stabilire relazioni
positive con gi altri anche attraverso la narrazione. L’ambiente può sostenere o bloccare tale
predisposizione. I 3 bisogni di autonomia, competenza e relazione con gli altri sono innati e fungono da
base nel modello dell’autodeterminazione, per la costruzione del benessere della persona. La narrazione
come motivazione ad apprendere rimanda all’importanza del ruolo attivo dell’alunno, sorge nel momento
in cui l’individuo si pone degli obiettivi, si rappresenta dei risultati che vuole raggiungere o evitare. L’alunno
parte da una spinta interiore, agisce sulla realtà stabilendo la capacità personale di azione e obiettivi
attraverso i mezzi che ha a disposizione.

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