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Gadamer è stato un allievo di Heidegger e ha frequentato tutte le sue lezioni a Marburgo (questi
sono gli anni in cui Heidegger tiene le lezioni sugli argomenti di cui sarà il precipitato Essere e
Tempo). Gadamer ha inoltre avuto formazione antica, greca in quanto proveniva da Natorp
(grande grecista, rappresentante del neokantismo). Egli rimarrà in Germania durante gli anni della
guerra, non emigrerà come fecero invece tanti altri ma resta in contatto con alcuni filosofi che
andarono via. Fra tutti spicca il nome di Lowit, il loro rapporto infatti è stato importante anche
sotto il punto di vista filosofico, di fatto la loro concezione della storia sarà molto simile.
1945 Diventa rettore dell’Università di Lipsia ma ben presto si sposta a Aiderberg? Dove
riceve una cattedra, che aveva rifiutato di assumere Jasper perché lasciava la Germania.
Gadamer inoltre parteciperà, insieme a Lowith, al convegno dei filosofi che si riunirono
dopo la Seconda Guerra Mondiale in Argentina, a cui presero parte pochissimi tedeschi.
Seguirà poi un lungo periodo di quiete nel quale G. si ritirerà per scrivere e per viaggiare.
Quindi ricapitolando:
1930-40: G. scrive poco, soprattutto articoli.
1945: Diventa rettore, poi va via.
1950-60: Scrive Verità e Metodo (sarà l’opera che inaugurerà l’ermeneutica filosofica.)
1968: Va in pensione, comincia a ricevere inviti dalle università americane, in particolare da
parte della facoltà di teologia. Gadamer aveva frequentato il teologo Bustman, aveva per
questo una formazione teologica. Egli scriverà ad Heidegger dicendogli che sarebbe patito
per questi convegni non tanto perché ci fosse un reale interesse per lui, ma perché
avvertivano in Verità e Metodo un’attualità, una legittimazione delle loro esigenze
filosofiche. Bisogna tenere presente che al tempo negli Stati Uniti l’indirizzo filosofico
predominante era la filosofia analitica.
Questo viaggio ha un grande significato perché porta la filosofia di Heidegger negli Stati
Uniti. Gadamer è un rappresentante della filosofia continentale, diventerà quindi in
America un esponente di un’alternativa alla filosofia analitica.
VERITÀ E METODO
È un titolo che Gadamer non voleva, lui ne aveva scelto un altro (Lineamenti di una ermeneutica
filosofica) che però verrà bocciato dall’editore Klosterman perché al tempo l’aggettivo
“ermeneutico” era bizzarro. Il titolo originale, quindi, diventerà il sottotitolo dell’opera che
conosciamo oggi come Verità e Metodo.
“Verità e Metodo” è un titolo fuorviante per due motivi:
1. Perché, dato che la prima parola è “verità” potrebbe dare l’impressione che il libro
contenga una teoria della verità, una guida metodologica alla verità.
2. Anche il termine “metodo” può risultare ingannevole perché trasmette l’idea che ci sia una
sorta di contrapposizione tra verità e metodo o verità o metodo.
Gadamer chiarirà i fraintendimenti nati nel dibattito pubblico sul titolo in una prefazione alla
seconda edizione. Gadamer dunque integrerà l’originale introduzione, scritta quando il libro è
stato pubblicato, con delle pagine in cui chiarirà l’equivoco sorto dal titolo.
Gadamer affermerà che non era sua intenzione mettere in discussione il metodo scientifico.
Quest’ultimo, secondo Gadamer, ha una sua validità e legittimità. Quello che invece mette in
discussione è il ricorso a questo metodo in quegli ambiti che non ricadono nelle scienze, ci sono
degli ambiti, di quello che Husserl aveva chiamato il mondo della vita (l’impostazione di Husserl
sarà fondamentale per G., non si può pensare all’ermeneutica filosofica senza fenomenologia),
dove questo metodo non può essere applicato. Ci sono degli ambiti che si sottraggono
all’applicabilità del metodo scientifico, dove viene alla luce l’esperienza, l’evento della verità.
Questo metodo, per esempio, non vale nella politica o nell’esistenza, la scienza infatti non ci può
dare indicazioni su come comportarci in politica, non c’è l’esatta soluzione ai problemi politici, né a
quelli esistenziali.
Questi ambiti vengono denominati da Gianni Vattimo “extra-metodici”, è un aggettivo riduttivo
però perché così sembra che queste esperienze è come se si definissero a partire dal metodo, è
come se fossero secondari al metodo, quando in realtà sono prioritari.
C’è poi un altro equivoco legato al titolo: sembra che Gadamer stia cercando di difendere le
discipline umanistiche contro quelle scientifiche. Gadamer interverrà anche su questo
sottolineando che V. e M. non è un’opera il cui scopo è rilanciare lo statuto delle discipline
umanistiche.
Per capire veramente quest’opera dovremmo soffermarci sul significato della parola
“comprendere”, G. infatti non parla tanto di verità quanto di comprensione. L’autore, infatti, si
riallaccia esplicitamente al circolo ermeneutico heideggeriano, il cui significato è che le parti di un
testo si capiscono solo alla luce del tutto, ma che il tutto è compreso solo alla luce delle parti.
1. La prima parte è dedicata all’esperienza estetica. Questa parte avrà una grande “storia
degli effetti”, Benedetto Croce direbbe che con quest’espressione s’intende la fortuna di
un’opera, il modo in cui viene recepita un’opera. Ciò significa che la nostra visione della
storia è mutevole, il passato non è rigido, cambia a seconda di come viene interpretato
nelle diverse epoche. Verità e Metodo è u libro sulla tradizione, nel senso della
trasmissione della storia.
2. La seconda è dedicata alla storia, è una critica alla coscienza storica
3. L’ultima sezione è dedicata al tema del linguaggio. È la parte più importante perché il
linguaggio è il medium del comprendere e l’ermeneutica ha a che fare con il comprendere.
Anche la comprensione ha a che fare con la comprensione. Verità e Metodo è un’opera
sulla trasmissione storica in quanto è trasmissione linguistica.
Come abbiamo detto, nella prefazione alla seconda edizione G. ribadisce la rilevanza del metodo
scientifico e la sua applicazione nelle scienze della natura e nelle scienze esatte. Ciò non significa
che da una parte ci siano le scienze della natura e dall’altra quelle dello spirito, G. in quest’opera
non si propone una difesa delle “scienze dello spirito”, cioè delle materie umanistiche.
INTRODUZIONE
Il problema ermeneutico riguarda il fenomeno della comprensione e della retta interpretazione
del compreso l’ermeneutica ha a che fare con il comprendere, questo non è solo un problema
specialistico di metodologi delle scienze umanistiche, ma qui si tratta di mettere allo scoperto la
finitezza dell’Esserci (ciò che caratterizza l’ermeneutica di Gadamer rispetto a quella di Heidegger è
l’estraneità).
1. Lutero;
È il fondatore del protestantesimo ed è colui che traduce la Bibbia in tedesco (questo
rappresenta l’atto di nascita del tedesco come lingua).
Introduce inoltre il principio di sola scriptura per protesta contro il papismo del cattolicesimo
romano che prevede una mediazione tra lo scritto sacro e il fedele da parte della chiesa
cattolica. Il principio di sola scriptura difende invece un’interpretazione liberata da ogni
autorità, un’esegesi autonoma a cui ogni fedele può accedere senza aver bisogno della
mediazione di terzi. Questa emancipazione è molto importante per l’ermeneutica in quanto
consente lo sviluppo della capacità ermeneutica del singolo che viene spinto ad interpretare la
Bibbia.
3. Wilhem Dilthey;
Amplia l’ermeneutica in una metodologia delle scienze dello spirito. D. legge Vico e rilancia
la separazione tra scienze della natura e dello spirito. D. si pone il problema della
conoscenza storica. Come conosciamo la storia? Viene messa in discussione la visione
illuministica che vede la storia come un costante progresso, un miglioramento continuo. La
storia comincerà a non essere più letta come un percorso lineare, positivo, di
autochiarimento della coscienza storica ma bensì come un percorso segmentato, con tante
interruzioni. Gadamer, in dialogo con Dilthey, si pone questi grandi problemi riprendendo
anche il prospettivismo nietzschiano e il pensiero di Heidegger. Noi siamo situati nella
storia, abbiamo di conseguenza una coscienza storica determinata, cioè guardiamo alla
storia da un determinato punto di vita, da un’angolazione. Torna qui la questione della
finitezza dell’Esserci, di un soggetto che non può più porsi l’oggetto Storia dinnanzi per
conoscerlo oggettivamente perché vi è già sempre immerso dentro e non può uscirne (ciò
accade anche con il linguaggio, la ragione non può trascendere il linguaggio per giudicarlo).
Alla luce di questa riflessione, cosa significa comprendere la storia?
La storia non è fissa ma cambia a seconda delle generazioni, il passato viene riscritto ogni
giorno e non è sempre lo stesso.
Esempio della scoperta d’America in principio veniva vista come una grande epopea.
Adesso viene vista dalla prospettiva dell’altro, viene problematizzata. Un evento passato
viene visto in modo diverso a seconda dei valori morali della società interpretante.
Il circolo ermeneutico
Il circolo ermeneutico è una delle dottrine più basilari e controverse della teoria ermeneutica.
Partiamo da qui: Heidegger scorgere nel comprendere il movimento stesso dell’esserci e ne
individua nella circolarità la caratteristica fondamentale.
Ma che vuol dire comprendere, o meglio ancora, pre-comprendere?
Vuol dire che, al contrario di quel che sosteneva l’ermeneutica romantica, la comprensione
costituisce un fenomeno originario nel quale l’Esserci già sempre è gettato e da cui il non-
comprendere e il fraintendere sono fenomeni derivati, essi hanno luogo nell’ambito del
comprendere, e non al di fuori. Solo in quanto comprendo posso anche non comprendere o
fraintendere.
Sin dall’antica retorica il comprendere è stato rappresentato dalla figura del circolo che è poi
passata all’ermeneutica. Il circolo disegna il movimento che va dalle parti al tutto e dal tutto alle
parti. Necessariamente parti e tutto si presuppongono e si condizionano reciprocamente. Ciò
significa che la comprensione della singola frase presuppone quella del testo, ma a sua volta la
comprensione del testo può scaturire solo da quella delle frasi.
La circolarità esclude la linearità, nel comprendere infatti non c’è né un inizio né una fine ma siamo
già sempre nel mezzo. Nel fenomeno della comprensione vi è dunque una chiara assenza di
fondamento. (Circolo ermeneutico: si passa dalla pre comprensione alla articolazione conoscitiva
intesa come interpretazione, c’è una circolarità perché nulla ha inizio e nulla ha fine essendo un
percorso non definito)
Heidegger però vuole portare il circolo al di là dell’“interpretazione filologica”: il circolo ha
acquistato un valore esistenziale. Il comprendere è il modo d’essere dell’esserci. Il circolo si
disegna nel modo in cui l’esistenza si comprende e comprendendosi esiste. Gettato nel mondo
l’esserci si pro-getta ogni volta sulla base delle proprie precomprensioni anticipanti. Così si prende
cura del proprio futuro aprendosi alle proprie possibilità. “A questo sviluppo della comprensione
diamo il nome interpretazione”. Interpretare non vuol dire solo assumere ciò che è compreso, ma
dispiegarlo e articolarlo (dalla pre comprensione all’interpretazione).
Il rischio che corre il circolo è quello di venir definito circolus vitiosus. Se il vizio consiste nel
presupporre ciò che deve dimostrare, la circolarità del comprendere sembra esibire questo vizio.
Ma solo se si assume la prospettiva cartesiana della linearità, si cade in questo errore di giudizio.
L’ideale della linearità del conoscere si può mantenere ma sapendo che è secondario e derivato
dalla originaria circolarità del comprendere.
Il circolo è quello del tutto e delle sue parti: possiamo comprendere le parti di un testo o di
qualsiasi significato solo a partire da un’idea generale dell’intero, ma possiamo acquisire questa
comprensione del tutto solo capendo le sue parti. L’idea di base è che non esiste una
comprensione senza presupposti (non si può partire dal non comprendere per poi giungere al
comprendere), la comprensione è dunque fondata sulla presupposizione delle parti. Heidegger
parlava della ‘struttura anticipatrice’ essenziale (Vorstruktur) della comprensione; Gadamer dei
‘pregiudizi’, che potrebbero essere produttivi o fuorvianti. Come considerare questi presupposti?
Questa è la questione. Un’ermeneutica tradizionale, maggiormente curvata in senso sistematico, li
vedeva con sospetto e si sforzava di eliminarli in nome dell’obiettività. L’obiettivo dell’ermeneutica
classica e metodica era effettivamente quello di evitare il circolo ermeneutico di
un’interpretazione che fosse inquinata dalle sue presupposizioni, dalle sue premesse o da erronee
assunzioni sull’intero o sull’intento di un lavoro. Due pensatori ermeneutici come Heidegger e
Gadamer considerano più favorevolmente il circolo ermeneutico, poiché costituisce per loro un
elemento inevitabile e positivo della comprensione: come esseri finiti e storici, noi
‘comprendiamo’ perché siamo guidati da anticipazioni, aspettative e domande.
A differenza di tutti quei procedimenti logici (es. deduzione) finalizzati ad un procedere lineare che
hanno un punto di inizio e un punto di arrivo, all’ermeneutica manca sia un principio che una fine,
o meglio, essi si presuppongono reciprocamente di continuo. Il prius è il comprendere e ci si
muove verso il non comprendere ma questo movimento non è lineare.
Ciò significa che dato un testo da interpretare, si evidenzia come l'approccio dello studioso non
può che risultare caratterizzato da una ineludibile pre comprensione del testo data dall'ambiente
storico e culturale in cui vive. La conoscenza è così necessariamente situata entro un determinato
orizzonte storico e psicologico, il frutto di una stratificazione circolare di nozioni. Secondo
Heidegger la pre comprensione dell’Esserci trova una spiegazione nel fatto che egli è già sempre
situato nella circolarità, l’individuo riconosce di essere un progetto gettato e progettandosi nel
futuro si comprende. Gadamer però interviene su questo punto, è importante che l’Esserci si
proietti nel futuro tanto quanto il suo passato, la sua storicità, cioè la sua appartenenza a un
contesto di provenienza. Il progettarsi dell’Esserci non è messo in discussione ma è più
ermeneuticamente rilevante il passato dell’Esserci.
Heidegger: Da priorità ermeneutica al futuro, l’esserci si comprende oltrepassandosi.
L’esserci si comprende (esistenza autentica) nel momento in cui prende atto di non
essere uno dei tanti enti intramondani di cui è circondato che vivono nella mera
presenza. Comprende piuttosto che il suo essere si compie nella progettualità, nel non
chiudersi mai in sé stesso (in una definizione) ma di vivere come una possibilità di sé
stesso.
Gadamer: Da priorità ermeneutica al passato, dimensione che fa parte dell’esserci in
modo “altrettanto originario ed essenziale”, infatti l’esserci che si progetta sulle sue
possibilità è già sempre “stato”. Per progettarsi e proiettarsi nel futuro deve muovere
da ciò che ha compreso. Ma il già compreso è già stato, è passato.
Il circolo è la figura del comprendere inteso però sempre più come partecipazione e
condivisione in cui chi comprende è già sempre com-preso. Il comprendere sé e il
comprendere altro fanno parte di uno stesso processo. L’esserci si comprende comprendendo
gli oggetti, enti intramondani.
Sui pregiudizi
Gadamer comincia a precisare il circolo ermeneutico affermando che la pre comprensione da cui
muove chi comprende è il complesso dei suoi “pregiudizi”; dunque, bisogna riconoscere “il
carattere costitutivo che ha il pregiudizio in ogni comprendere”. Gadamer vuole riabilitare lo
statuto del pregiudizio attraverso una critica all’illuminismo, fautore di quella che possiamo
definire una “svalutazione del pregiudizio”, di un “pregiudizio sul pregiudizio”.
Il termine “pregiudizio” non ha di per sé né un valore negativo né un valore positivo, è solo a
partire dall’illuminismo che acquista l’accezione negativa che ha tutt’oggi e viene a significare
“giudizio infondato” in quanto viene considerato falso perché non trova legittimità in una
fondazione certa e obiettiva. L’illuminismo chiede che la tradizione sia valutata senza pregiudizi
davanti al tribunale della ragione, in un certo senso l’Illuminismo stesso è a sua volta un
pregiudizio contro i pregiudizi, è una pretesa pregiudiziale di liberare la ragione dai pregiudizi. È da
qui che nasce la scienza storica che presume di conoscere obiettivamente il mondo del passato, si
crede alla possibilità di un soggetto che, prescindendo dall’appartenenza che come interprete lo
lega all’interpretato, si erge al di sopra della storia, della tradizione storica, dei propri pregiudizi, e
facendosi specchio di sé conosca e giudichi con obiettiva razionalità. Ma questo significa non voler
ammettere che la ragione umana, lungi dall’essere assoluta, è finita e storica. Si apre la questione
della fondatezza e della presunzione di un soggetto che pretende di essere autonomo e che non
accetta la sua appartenenza storica e la sua finitezza e fatticità. Chi sono io per pretendere di dire
che non ho pregiudizi? Sono sempre storicamente influenzato, gettato.
Tradizione e ragione
Tradizione e ragione non vanno intesi come due opposti, da una parte la tradizione che dev’essere
illuminata e dall’altra la ragione che si erge a istanza suprema. Gadamer lega la tradizione e la
ragione. Nella tradizione c’è già sempre la ragione. Questo ha inevitabilmente una ricaduta nel
paradigma gnoseologico e nel modo stesso di intendere la storia.
Cos’è la tradizione? Potremmo dire che Verità e Metodo è un libro sulla tradizione, ma cosa
intende Gadamer con questo termine?
Con i pregiudizi ha dato un nome alla precomprensione da cui muove chi comprende. Ma è
evidente che nel circolo devono entrare in gioco altre precomprensioni, questa volta non di chi
comprende, ma di ciò che viene compreso.
Con tradizione si deve intendere ciò che è di immemoriale vi è nel comprendere.
Immemoriale rinvia a due significati:
1. Rinvia all’impossibilità per chi comprende di poter liberamente disporre
dell’immemoriale costituito da tutte le pre comprensioni sedimentate dalla tradizione.
2. Rinvia all’assenza di una fondazione ultima, infatti non tutto ciò che vale per tradizione
può essere ricondotto ad una fondazione ultima.
Come può allora imporsi la tradizione se non ha quella validità razionale che deriva da una
fondazione ultima? È vero che la tradizione si impone senza essere vagliata dalla ragione ma è
altrettanto vero che sarebbe un errore considerare la tradizione un potere irrazionale e
autoritario. Gadamer parla di una tradizione “liberamente” accettata.
Tradizione e ragione hanno bisogno l’una dell’altra. La ragione non può fare a meno della
tradizione, perché quest’ultima costituisce il fondamento più “fondamentale” di tutti i progetti
razionali e di tutte le fondazioni lineari. La tradizione non può fare a meno della ragione perché per
perpetuarsi ha bisogno ogni volta di un libero assenso della ragione. È in questo senso che si deve
parlare di una razionalità della tradizione che si mantiene rinnovandosi attraverso la ragione.
La continuità non è scontata e richiede sempre una conferma. Si potrebbero addurre molti
esempi. Basterà pensare all’assenso che diamo quando usiamo le formule tradizionali di
saluto o ringraziamento. Se un inglese dice you’re welcome, che corrisponde al nostro
“prego”, ma letteralmente vuol dire “sei gradito, sei benvenuto”, non impiega solo una
formula, ma perpetua una tradizione di cui riconosce la razionalità. Quindi la ragione non
opera solo rinnovando o sovvertendo, ma anche conservando.
Tradizione e trasmissione
È inoltre importante sottolineare l’importanza che riveste il termine tradizione (Tradition) accanto
a quello di trasmissione (Uberlieferung). Non c’è tradizione senza trasmissione. La tradizione non
può essere intesa staticamente perché è il processo di trasmissione storica del passato. Gadamer
scrive che “noi siamo costantemente in trasmissione”. Il che vuol dire che prendiamo parte ad un
dialogo ininterrotto in cui può perpetuarsi la tradizione, e che il nostro essere si definisce in questa
partecipazione. La nostra coscienza storica è sempre attraversata da “una molteplicità di voci nelle
quali risuona il passato”. Dato che è storica, la coscienza non è propria ma è già sempre estranea.
La coscienza è dentro la storia, non al di fuori; dunque, essa non è un oggetto che ci poniamo
davanti in quanto soggetti, la storia ci contamina ed è sempre operante in noi. La nostra coscienza
è giocata dalla storia. Di conseguenza la storia umana non si lascia integrare da un soggetto
assoluto, la nostra coscienza non essendo trasparente a sé stessa non può delineare l’andamento
della storia.
In questa nuova prospettiva la storia viene intesa come “trasmissione linguistica”, cioè come
aperto dialogo con il passato.
La questione qui è quella del congedo dalla fondazione ultima metafisica, del soggetto autonomo,
verso una coscienza situata nell’intrigo della storia che si riconosce come finita. Di conseguenza
viene meno anche la presunzione di possedere una verità assoluta, sciolta e svincolata dal
linguaggio. Così come ciascuno di noi è un esserci situato e finito, la mia verità non può essere
assoluta e sciolta dalla storia e dal linguaggio ma sarà sempre una verità che si dà nella
trasmissione linguistica della storia. Non c’è una mia verità assoluta che si oppone alla tua, c’è
piuttosto una verità che abbiamo in comune, che si dà nella nostra comunità storica e linguistica.