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GeORGe ROBeRt StOwe MeAD

LA GNOSI DELLA MENTE


Saggio di epistemologia ermetica
Introduzione, traduzione e cura di Daniela Boccassini

Introduzione

Difficilmente il contributo di Mead allo studio così della sapienza ermetica come dello
gnosticismo tardo-antico potrebbe essere sottovalutato, nonostante che tale contributo sia
stato per tutto il secolo scorso, e a tutt’oggi rimanga, largamente misconosciuto nel mondo
accademico. Il recente moltiplicarsi di traduzioni, edizioni e studi della letteratura ermetica
e della trattatistica gnostica a seguito delle scoperte di Nag Hammadi (1945) rende tale
oblio sempre più incomprensibile, e sempre meno giustificato: a molte delle deduzioni cui
le scoperte e gli studi più recenti hanno condotto (e talvolta costretto) gli studiosi, infatti,
Mead era giunto già più di un secolo fa.
Guardando più specificamente alle sue ricerche nell’ambito dell’ermetismo tardo-antico,
Mead aveva basato la propria lettura su un ascolto attento dei testi ermetici e una valuta-
zione equanime così della testimonianza di Giamblico, come dei pareri “controcorrente”
espressi da Louis Ménard (1866) e da Richard Reitzenstein (1904, il cui studio era apparso
a stampa quando ormai le sue fatiche giungevano a termine).
La conclusione di cui Mead si era convinto quanto all’origine e al valore storico (dunque
quanto all’autenticità) dei testi ermetici era univoca, e inequivocabile:

Più si studiano i migliori fra questi sermoni mistici accantonando ogni pregiudizio e cer-
cando di sentire e pensare all’unisono con questi scrittori, più ci si rende conto di avvicinarsi
alla soglia di quello che è legittimo ritenere fosse il vero Adytum dell’eccellenza nelle tradi-
zioni misteriche antiche. Innumerevoli sono gli accenni alla grandezza e alle immensità che
si estendono oltre quella soglia – e tra questi gioielli vi è in particolare la visione della chiave
della sapienza egizia (TGH i: 30; miei corsivo e traduzione).1

«Sentire e pensare all’unisono»: una lettura, quella di Mead, apertamente simpatetica,


che nel proporsi di far convergere il rigore della ricerca accademica con l’intento divulga-
tivo si fondava sulla convinzione che il contenuto degli scritti sapienziali ermetici fosse

1 Conclusioni già espresse chiaramente nel rendiconto del 1899 per la Theosophical Review (pri-
ma cioè che Reitzenstein pubblicasse i suoi studi), come ricordato dai Goodrick-Clarke (2005:
17). Inoltre, Mead diede pieno rilievo alla scoperta di Reitzenstein relativa al prototipo egizio
della cosmogenesi del Poimandro, giungendo alla conclusione che «le idee di base del “Poe-
mandres” sono Egizie, e che la teoria della contraffazione Neoplatonica dev’essere definitiva-
mente abbandonata» (TGH i: 95).

Quaderni di Studi Indo-Mediterranei X (2017): 49-75


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ancora insegnamento vivo per l’umanità, e dunque richiedesse, come ogni espressione di
alta coscienza spirituale, un approccio di permeabile disponibilità. Nell’introduzione alla
sua edizione dei testi ermetici Mead affermava infatti:

Sebbene il materiale che abbiamo raccolto sia stato esaminato, nei suoi aspetti formali,
secondo le nostre capacità, in base ai metodi della filologia e della critica, gli è stato al con-
tempo concesso di manifestarsi come esternazione di un’impresa davvero vitale di immenso
interesse e valore per coloro che siano disposti a simpatizzare con essa. Seguendo il filo della
tradizione Trismegistica, infatti, ci si può far condurre indietro nel tempo verso il santuario
della Sapienza dell’Antico Egitto. Lo studio simpatetico di questo materiale potrà rivelarsi
un processo iniziatico in vista della comprensione di quella Gnosi Arcaica. (TGH, i: xiii;
miei corsivi e traduzione)2

Nel tradurre, commentare e ricreare i testi del Corpus Hermeticum e quelli ad esso docu-
mentariamente attinenti in modo da “simpatizzare con essi” Mead si mostrava pienamente
consapevole della natura intrinsecamente ermeneutica di tale gnosi/sapienza come dato
storico. Il suo modo inusitato di procedere, agli albori del XX secolo, si poneva cioè come
gesto di consapevole translatio moderna della tradizione antica, cui solo così poteva essere
dato di tornare a vivere, anziché restare oggetto di esangue, se non inane, speculazione.3 In
questo modo Mead si proponeva, consapevolmente, di ripiantare i semi dell’antica gnosi/
sapienza ermetica nel terreno di un Occidente all’epoca pochissimo disposto ad accoglierli.
Ma se quei semi parvero non germogliare allora, oggi possiamo meglio misurare quanto
pionieristica fosse la sua opera, in relazione all’impatto che la riscoperta dei testi di Nag
Hammadi ha avuto sulla nostra comprensione del significato, della portata e della natura
stessa dell’ermetismo e dello gnosticismo tardo-antichi.
Non foss’altro, dunque, che per onorare l’acume antesignano di Mead, ingiustamente
negletto nei decenni in cui le teorie di Padre Festugière ricevevano gli onori del mondo acca-
demico (decenni, non si può non ricordarlo, al contempo portatori delle due guerre mondiali
e “fondatori” del sistema culturale di cui vediamo e viviamo oggi il portato),4 questo breve

2 Mead dichiara di aver mantenuto quel medesimo atteggiamento nei confronti così dei testi
gnostici come di quelli ermetici da lui tradotti e pubblicati in quegli anni. Tale atteggiamento,
indubbiamente ispirato da una visione teosofica, portava Mead a rivendicare la necessità dello
studio comparato delle religioni secondo principi che travalicano quelli della Teosofia blavat-
skyana e di cui Schleiermacher e Rudolf Otto furono fra i principali teorizzatori in epoche e
contesti “non sospetti”. Così il pensiero di Schleiermacher come l’importanza dello studio com-
parato delle religioni in prospettiva “simpatetica” furono componenti di gnosi ermetica basilari
della visione e della ricerca di Henry Corbin (v. infra) e in generale degli animatori degli in-
contri di Eranos, dove proprio queste correnti non allineate alla teosofia blavatskiana ebbero un
ruolo di assoluto primo piano. Risulta peraltro che Mead fu tra coloro che Olga Fröbe-Kapteyn
avrebbe voluto veder partecipare alle Tagungen di Eranos, senza tuttavia riuscire nell’intento
(Hakl 2013: 30).
3 Il lettore troverà nelle pagine del saggio qui riprodotto la presentazione da parte di Mead dei
meriti e dei rischi di questo modo di procedere, che già caratterizzò la trasmissione tardo-antica
della gnosi egizia. Sulla traduzione come atto di trasmissione proprio della tradizione ermetica
v. Kingsley 2000a.
4 È rimasta celebre la sprezzante indifferenza con cui Festugière reagì alla scoperta dei testi di
Nag Hammadi; v. in proposito Kingsley 2000a.
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saggio ricreativo della gnosi/sapienza ermetica composto da Mead quasi come un canto
estatico agli albori del XX secolo merita dunque di essere infine per la prima volta proposto
all’attenzione del pubblico italiano. Quasi come un canto estatico: è questa particolare decli-
nazione del testo, questo suo “entusiasmo”, che in definitiva giustifica l’inclusione a pieno
titolo di questo saggio nel presente volume. Al termine del suo lavoro di traduzione degli
scritti ermetici fino ad allora noti, Mead aveva infatti inteso inaugurare proprio con questo
scritto la serie dei cosiddetti Echi dalla Gnosi. Con tale serie egli si proponeva di dar forma
a un tipo di espressione divulgativa della gnosi/sapienza tardoantica, che non è indebito
definire “ri-creativa”. Proprio questo approccio filologicamente impeccabile e al contempo
volutamente rivitalizzante del dettato arcaico (“originale” non è parola che consuoni con
lo statuto complesso di quei testi per definizione stratificati) è stato a lungo censurato in
ambienti preoccupati soprattutto di decoro accademico. Oggi, a distanza di oltre un secolo,
l’approccio filologico e insieme intuitivo di Mead richiede di essere a sua volta inteso in
prospettiva storica, e come tale accolto in quegli stessi ambienti accademici che sono stati
troppo a lungo e ingiustificatamente critici di esso.5
Oggi sappiamo infatti che proprio il metodo “visionario” con intento ricreativo esplo-
rato da Mead fu di cardinale importanza per C.G. Jung, proprio negli anni in cui l’esperi-
mento del Libro Rosso prendeva forma, cioè un decennio o meno dopo l’operato di Mead.
Certo il rapporto tra Jung e Mead resta ancora tutto da esplorare;6 ma anche in base a
quel poco che ci è dato di intravedere allo stato attuale della documentazione disponibile,
non v’è dubbio che a partire forse già dal 1912, ma sicuramente dal 1915, Jung si servì
delle traduzioni e “ri-creazioni” di Mead per il proprio studio, intenzionalmente ricrea-
tivo, e dello gnosticismo e dell’ermetismo. Certo i lavori di Schultz, Creuzer, Bachofen,
Dieterich o anche di Nietzsche offrivano a Jung il supporto erudito di cui abbisognava;
al contempo però, le traduzioni filologicamente ineccepibili eppure apertamente ispirate
di Mead gli permettevano di entrare in contatto ben altrimenti diretto con la foma mentis
tramandata dai testi gnostici ed ermetici antichi. Non solo; risulta dal catalogo della bi-

5 Cf. il paragrafo introduttivo a ciascuno degli undici volumetti che andarono a comporre la serie
(un dodicesimo pare fosse stato inizialmente previsto, ma non fu mai realizzato): «Echi dalla
gnosi. Sotto questo titolo generale ci si propone di pubblicare una serie di brevi volumi tratti da,
o basati su, gli scritti mistici, teosofici e gnostici degli antichi, al fine di trasmettere alla sempre
più vasta cerchia degli appassionati di tali argomenti una qualche eco delle esperienze mistiche
e della tradizione iniziatica proprie all’ascendenza spirituale di costoro. Molti sono coloro che
si appassionano alla vita dello spirito, e che aspirano alla luce dell’illuminazione gnostica, ma
mancano della preparazione necessaria a studiare in prima persona gli scritti degli antichi o a
seguire autonomamente le fatiche degli studiosi. Questi volumetti si propongono pertanto di
servire da introduzione allo studio della letteratura specialistica sull’argomento, e al contempo
ci si auspica che essi possano fungere, per coloro che della gnosi ancora ignorano l’esistenza,
da viatico verso mete più elevate [scil.: la lettura in prima persona, più ardua e specialistica, dei
testi originali antichi].» Sull’atteggiamento censorio operato dall’accademia riguardo all’ap-
proccio simpatetico ai testi di esoterismo e/o spiritualità v. ora la stringente critica di Versluis
2017 (capitolo 4: «The Externalist Fallacy»).
6 I riferimenti bibliografici interni agli scritti di Jung comprovano il fatto che il suo interesse per
l’attività di Mead non venne meno nel corso degli anni. Pur mancando, per ora, di documen-
tazione specifica, sappiamo che il rispetto di Jung per l’opera di Mead si espresse anche in un
rapporto epistolare e in almeno un incontro personale (v. Goodrick-Clarke 2005: 31; Hauck
2013: 307 n. 10; Owens 2013: 17-20; e Tilton infra).
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blioteca di Jung che egli fu particolarmente attento proprio ai volumi della serie Echoes
from the Gnosis, nei quali Mead aveva raccolto un largo ventaglio di testi tardo-antichi,
combinando in essi traduzione e commento.7
Come è stato da alcuni notato, nei suoi esperimenti di discesa nell’inconscio quali li re-
gistrò così nel Libro Rosso come nei Sette Sermoni ai morti, «Jung in realtà seguiva lo stile
retorico di GRS Mead … In più di un modo, lo stile e l’argomento di Mead diventavano
propri a Jung» (Bair 2003: 295-96; mia traduzione). Ma non si tratta solo di una questione
di oratoria, o di stile. Sono le origini della cosiddetta tecnica dell’immaginazione attiva che
potrebbero trovare nella scrittura “ri-creativa” di Mead il loro humus originario. Potrebbe
cioè essere stato proprio l’esempio di Mead a guidare, se non gli esperimenti di esplora-
zione dell’inconscio di Jung, quantomeno la forma espressiva particolare – attivamente
ricreativa anziché blandamente espositiva – che Jung scelse di dare ai propri esperimenti
(esperimenti che avvennero comunque, va ricordato, a ridosso dei suoi approfonditi studi
della gnosi tardo-antica: v. Ribi-Owens 2013).
Stabiliamo a questo punto un’ulteriore connessione. Se accettiamo che la tecnica
dell’immaginazione attiva teorizzata da Jung possa essere stata almeno in parte ispirata
dal particolare lavoro di ascolto ermeneutico condotto da Mead, non è indebito avvicina-
re e questa e quello alla «symbolique» di Schwaller, radicata a sua volta così nello studio
della tradizione ermetica dell’antico Egitto come nell’approccio teosofico ad essa. Come
bene dice il suo breve saggio sulla simbolica, Schwaller vedeva nel “diventare la cosa
stessa” mediante il confondimento con essa la via da seguire per interrompere il processo
reificante messo in atto dal pensiero analitico nel suo costante tentativo di usurpazione
del mondo. Solo la coltivazione di un atteggiamento integralmente empatico avrebbe
potuto annullare, secondo Schwaller, la separatezza dell’essere umano rispetto al resto
del mondo vivente. Ed è questo diverso modo di relazionarsi al mondo, fondato sull’in-
telligenza del cuore come principio costitutivo della gnosi ermetica egizia e del percorso
iniziatico, ad ingenerare una versione realmente trasformativa dell’esperienza esistenzia-
le. Se a tale esperienza questi esploratori dell’universo gnostico-ermetico tardo-antico
diedero nomi diversi, è oggi più facile vedere come a sottenderli tutti fosse una comune
ricerca di rapporto immediato tra la psiche umana e quella cosmica.
Quanto a Mead in particolare, nella sua “ri-creazione” del dettato ermetico egli ebbe
cura di mettere in chiaro come ogni dualismo epistemologico o cosmogonico origini dalla
limitata prospettiva di una visione umana che oggi definiremmo egocentrica e logocentrica:
«È la piccola mente, la mente umana, il pupazzo-del-fato a creare il dualismo esteriore;
la Grande Mente sa che il dentro e il fuori sono due in uno, autodeterminati complemen-
tari, l’uno dentro l’altro e fuori dall’altro al contempo» (p. 13-14 dell’originale). Anche il
dualismo dunque appartiene a un’istanza più vasta, che con Corbin potremmo chiamare di
“dualitudine”; in tale prospettiva, la mente umana alla ricerca di se stessa compie la propria
cerca all’interno di una dimensione cosmica che è essa stessa Mente, e null’altro che Mente
– la quale si manifesta a sé medesima in modi organicamente infiniti e infinitamente rinno-
vantisi, cui Mead dà il nome di Mistero (v. p. 14-16 dell’originale). Non solo. Mead seppe

7 Su un totale di undici volumetti che formano la serie, mancano alla biblioteca di Jung solo i pri-
mi due («The Gnosis of the Mind» e «The Hymns of Hermes», cioè la sintesi dei testi gnostici
ed ermetici, di cui Jung possedeva i volumi delle traduzioni integrali di Mead) e il quinto («The
Mysteries of Mithra», assenza più difficile da spiegare; v. i riferimenti in Tilton, infra).
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anche riconoscere, e indicare, come la concezione della natura propria al pensiero ermetico
fosse, contrariamente a quella moderna, fondata sulla visione di un cosmo integralmente
animato: «nella loro concezione della natura vivente – in tutto e per tutto opposta alle nostre
moderne opinioni fondate sulle morte parvenze delle cose – [gli ermetici sono] stati per
certi versi ben più vicini alla verità di quanto non lo siamo noi in questa magnificata epoca
di illuminato decoro» (p. 32 dell’originale).
È nostra responsabilità, io credo, riconoscere oggi le fondamentali consonanze tra questi
principi ermetici antichi, la lettura offertane da Mead (e con Mead da altri, quali appunto
Jung, o gli Schwaller, i quali a loro volta ritrovavano consonanze inequivocabili tra la
visione ermetica antica e quelle tramandatesi nel Medioevo e nel Rinascimento, fino a
Paracelso, a Spinoza, a Goethe) e i nostri odierni approcci fenomenologici alla biosfera, da
cui procedono le molteplici espressioni di una comune intenzione etica ed epistemologica,
che questo volume ha inteso raggruppare sotto il termine-ombrello il più possibile neutro
ed ecumenico di ecofilosofia. Mead stesso, d’altronde, aveva delineato con chiarezza (p. 45
dell’originale) il rapporto da instaurare tra il presente e il passato nel riconoscimento del
fatto che questa Gnosi vive appunto di una sua continua trasformazione ermeneutica.

***

Il titolo dato da Mead a questo primo saggio nella serie Echoes from the Gnosis, «The
Gnosis of the Mind», è la traduzione del greco νοῦ ἐπιστήμη, espressione che compare nel
quarto dei trattati del Corpus Hermeticum (IV.5), in un passo citato da Mead nelle ultime pa-
gine di questo scritto. Mentre νοῦς può essere tradotto univocamente in inglese con «mind»,
in italiano sia mente che intelletto sono in uso, fin dai tempi di Dante. Quanto a ἐπιστήμη,
i suoi rapporti di stretta dipendenza da una sapienza “che non è di questo mondo” (γνῶσις)
sono esplicitati in un altro dei trattati ermetici (CH X.9), e anche questo passo è citato da
Mead. Nella sua traduzione, Valeria Schiavone ha optato per «la scienza dell’intelletto» (CH
2001) e tale scelta è ovviamente ineccepibile anche se, temo, sviante. Io ho preferito seguire
più da vicino Mead, perché dopotutto è il testo di Mead, corredato degli estratti dalle sue
traduzioni, che si tratta di riproporre qui. Lascio quindi in italiano, come sceglie di fare lui
in inglese, il termine Gnosi (con la maiuscola), senza mai renderlo come “scienza” o “co-
noscenza”. Ricordo comunque ai lettori che Gnosi qui va inteso come “sapienza”: sia per
evitare nei limiti del possibile una forse indebita sovrapposizione tra la sapienza ermetica
di origini egizie e l’epistemologia sapienziale dello gnosticismo tardo-antico, soprattutto
nelle sue espressioni cristianizzate, sia perché Sapienza-Sofia diverrà figura emblematica
del pensiero di Jung e di Corbin (v. oltre il contributo di Corbin e la mia introduzione ad
esso). Quanto a νοῦς la mia scelta va verso il lemma «mente» perché mi pare che a tutt’oggi
la parola conservi una maggiore autonomia rispetto alla sfera della ragione discorsiva, cui
l’intelletto ha finito per essere quasi sempre assimilato, soprattutto a seguito dell’uso, nel
nostro mondo, di espressioni come “intellettuale” e “gli intellettuali” che ovviamente con
l’intelletto in senso di “gnosi/sapienza della mente” non hanno nulla a che vedere.8 La ripro-

8 «… la parola greca nous non significa solo intelligenza o intelletto, ma anche coscienza, com-
prensione e le facoltà di percezione e riconoscimento… per gli Egizi il cuore era la sede della
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va sta nel fatto che nessuno oggi, di primo acchito, capisce cosa intendesse Dante dicendo
«Donne che avete intelletto d’amore».
In questo suo saggio e altrove, Mead fa abbondante uso di maiuscole, che ho deciso di
preservare nella traduzione: a modo loro, attraggono l’attenzione sui concetti-chiave, ed era
certo questo uno degli intendimenti originari dell’autore, seguendo un uso corrente all’epo-
ca (Bonardel 2002: 13). Mi è parso doveroso trasmettere questa scelta formale congiunta-
mente alla traduzione del testo, a dispetto della preferenza che la nostra sensibilità odierna
esibisce per una maggiore sobrietà espressiva – il cui rischio, naturalmente, è l’indifferenza
che ci caratterizza come collettività, immersi come siamo in un magma pseudo-egualitario
in cui tutto è fungibile proprio perché ci rifiutiamo di sviluppare interiormente quella ca-
pacità di discrimine che ci porterebbe a riconoscere, ermeticamente, l’individualità di ogni
cosa nel momento in cui scegliamo di “confonderci” con essa. Ma proprio questo provoche-
rebbe il crollo di tutto il sistema di rapporti di forza, e di illusioni, su cui si fonda la nostra
cosiddetta società del benessere.
I miei ringraziamenti a Tommaso Priviero, per il lavoro da lui svolto con generoso entu-
siasmo nella prima versione della presente traduzione.

facoltà della comprensione e dell’intelligenza – così come per i Greci tradizionalmente era la
sede dell’intelligenza o nous» (Kingsley 2000a: 49, 51; mia traduzione).
La Gnosi della Mente 55

LA GNOSI DELLA MENTE1

Per anni ho passato molto del mio tempo in un mondo di straordinaria bellezza di pen-
siero e purezza di sentimento, frutto della devozione e dell’intelligenza di una fra le molte
fratellanze teosofiche del mondo antico. Si facevano chiamare discepoli di Hermes Tri-
smegisto, e accadeva che parlassero della loro fede come della religione della Mente.
Vissero in Egitto, e furono predecessori e contemporanei delle origini e dei primissimi
secoli del Cristianesimo.
Quanto rimane dei loro scritti e risulta comprensibile del loro adoperarsi [p. 8] è stato di
recente <da me> reso disponibile in lingua inglese, per quel che mi è stato possibile nel ripro-
durne il pensiero e interpretarlo. Le fatiche di molti mesi sono concluse; compiuta è l’incom-
benza della trascrizione, e le orecchie inglesi possono <ora> udire gli echi della gnosi di Her-
mes Trismegisto attraverso i secoli a volume più alto di prima e, mi auguro, più chiaramente.
Non è cosa da poco, questa Gnosi di Hermes infinitamente grande, come afferma Zosi-
mo nel trasporto dell’entusiasmo.2 Giacché essa pone a suo fondamento il Solo Amore per
Dio, e si sforza di basarsi sulla Vera Filosofia e sulla Pura Scienza così della Natura come
dell’Uomo; è indubbiamente una fra le più belle forme della Gnosi Perenne. Impregnata di
Sapienza divina (Theosofia) e divina Devozione (Theosebeia) tra loro in armonia, è, questa,
la religione della Mente. Ai suoi inizi essa è Religione, [p. 9] veritiera devozione e pietà e
adorazione, basata sulla retta attività e passività della Mente; mentre il suo fine è la Gnosi
delle cose-che-sono e la Via del Bene che conduce l’uomo a Dio.
Presumo forse troppo per la Gnosi di Hermes Trismegisto? Non faccio <in realtà> che
riecheggiare i Suoi insegnamenti, servendomi delle Sue stesse parole (o meglio di quelle
dei Suoi discepoli) tradotte in lingua inglese. La rivendicazione riguarda la Gnosi, non le
forme di cui i suoi discenti o ascoltatori si servono per esprimerla. Tali forme, infatti, i molti
sermoni o sacri discorsi dei discepoli di questa Via, non sono che mezzi intesi a condurre
l’umanità verso la Gnosi, ma non sono la Gnosi. Indubbiamente, molto di quanto è enun-
ciato mi pare espresso in modo straordinario, e ho gioito di moltissimi dei pensieri e delle
espressioni trasmessici nel bell’idioma greco da questi anonimi scrittori e pensatori del

1 Echi dalla gnosi, vol.1. Londra e Benares: Theosophical Society, 1906. Riporto tra parentesi
angolari < > le mie aggiunte, intese a facilitare la lettura del testo, e tra parentesi quadrate [ ] la
paginazione dell’edizione originale; le parentesi tonde ( ) sono parte dell’originale. Tutte le note
al testo sono mie.
2 Nel «Commentario alla lettera Omega», par. 8. V. TGH iii: 276 [181]. Per l’edizione italiana v.
Zosimo di Panopoli 2004: 155.
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passato [p. 10]; e tuttavia tutto ciò è come una veste che nasconde la perfetta forma naturale
e lo splendore della Verità.
L’essenziale è quanto tutti questi teosofi della tradizione trismegistica unanimemen-
te dichiarano – con voce suadente, che porta seco convinzione interiore per il verace
sapiente della nostra anima più intima: v’è Gnosi e v’è Certezza, piena e inesauribile,
nonostante che la mente dubbiosa, l’opinione, la mente contraffatta, intessa a noi dat-
torno il suo incantesimo di apparenze opposte.
Pertanto, avvedendomi che avevo chiaro in mente molto di quanto è stato scritto di que-
sta Religione della Mente, mi è parso opportuno appuntare alcuni pensieri in proposito così
come mi si presentano, una o due impressioni <fra quelle> che la contemplazione dei bei
sermoni dei discepoli della Mente Sovrana ha inciso nella mia memoria.3

***

[p. 11] Desidero innanzitutto dire quanto grande mi paia il privilegio concessomi dagli
Dèi di poter trasmettere, per quanto modestamente, queste cose meravigliose; poiché è
certo un grande privilegio e sommo onore poter, come che sia, contribuire a facilitare la
rivelazione delle bellezze della Gnosi nel cuore del nostro prossimo – fosse pure in modo
così infimo come traducendo e commentando quanto secoli orsono è già stato esposto in-
finitamente meglio da menti sommamente più grandi. Si prova un sentimento di gioia e di
riconoscenza all’idea che la Provvidenza divina ci abbia affidato un compito così grato,
come tregua lungo il cammino (per usare un’espressione plotiniana).4 Pertanto, come in
ogni sacro agire, iniziamo rendendo lodi e grazie a Dio, così come insegnatoci da Hermes.
Ma esiste (obietterebbe il discepolo del Maestro) un agire che non [p. 12] sia sacro,
per chi sia “essere umano” e non “pupazzo del Fato”?5 Colui che giunge a se stesso, che
dall’inconscio e di fra i morti principia a tornare alla coscienza e ad ascendere alla vita,
auto-consacra ogni suo singolo gesto per poter pervenire a una sempre più profonda com-
prensione del mistero della propria natura divina; ha cessato di essere un embrione nel
grembo di Madre-Anima, da lei nutrito in tutto e per tutto, per farsi uomo-infante neo-nato,
che respira lo spirito più libero di una vita più vasta, l’aria cosmica del Padre-Mente. Ed
è così che ogni atto e funzione corporale dovrebbe venir consacrato ad Anima e Mente;6

3 Ecco dunque, dopo la breve introduzione contestualizzante, l’inizio della “ri-creazione”, di cui
il lettore può seguire l’evolversi fino ai prossimi asterischi; l’ultima parte del saggio è strutturata
come un commento ravvicinato, un’esegesi, di alcuni passi-chiave del Corpus Hermeticum.
4 Non sono riuscita a identificare il riferimento testuale di questa allusione.
5 Questa espressione, in greco πομπάς – letteralmente “processione” così come Mead qui e altrove
traduce – proviene da CH IV.7: «come le processioni avanzano in mezzo alla folla, senza essere
capaci di produrre un qualche effetto di per se stesse, ma non senza <ostacolare> la marcia degli
altri, così questi uomini non fanno altro che processioni (πομπάς) nel mondo, trascinati dai piaceri
corporei» (tr. Tonelli in Zosimo 2004). L’immagine è ripresa anche da Zosimo nello scritto sopra
ricordato. Nella nota relativa (TGH iii: 273 [179]) Mead cita per esteso e commenta l’immagine,
e così fa Tonelli, che sostituisce l’enigmatico “processione” con un più pregnante “pupazzo”,
chiarendo così le ragioni della scelta: «Per la traduzione di πομπάς, accolgo il suggerimento di
Festugière […] di intenderlo come il termine tecnico con cui si designavano i pupazzi che veniva-
no portati nei cortei religiosi» (147, n.12); accolgo a mia volta la scelta di Tonelli.
6 Da notare qui la doppia consacrazione, così al principio femminile come a quello maschile.
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il viaggiatore incamminatosi lungo questa Via dovrebbe pregare ininterrottamente, con-


sacrando ogni suo gesto al suo Dio; pensando mentre mangia: Come questo pane nutre il
corpo, così possa il Pane di Sapienza nutrire la mente; o mentre si lava: Come quest’acqua
purifica il corpo, così possa l’Acqua della Vita [p. 13] vivificare la mente; o mentre libera
il corpo dalle impurità: come queste impurità si allontanano dal corpo, così possano i rifiuti
dell’opinione allontanarsi dalla mente!
Ciò non significa tuttavia che costui debba credere che le cose di per sé siano impure
o triviali, giacché tutto procede dalla sostanza divina e da madre-materia; questo egli già
sa nel profondo del proprio cuore, ma i suoi organi inferiori ancora mancano di coesione
armonica; sono cioè ancora sconnessi, non centrati nella perfezione d’insieme. Vede ancora
le cose da un unico punto; non ha ancora compreso che il Punto è ovunque, e che per ogni
cosa vi è un punto di vista dal quale essa è vera e giusta e bella e buona. Quel punto di vi-
sta onnicomprensivo è il senso – senso totale, senso comune, senso intellettuale nel quale
sensibile e intelligibile sono la medesima cosa, non cose separate. È la piccola mente, [p.
14] la mente umana, il pupazzo-del-fato a creare il dualismo esteriore; la Grande Mente sa
che il dentro e il fuori sono due in uno, autodeterminati complementari, l’uno dentro l’altro
e fuori dall’altro al contempo.7
In tale Religione della Mente non vi è opposizione tra cuore e ragione. Non è il credo del
solo intelletto, né il credo del solo sentimento; è la Via della Devozione e della Gnosi inse-
parabilmente riunite, il vero e proprio Sacro Sposalizio di Anima e Mente, di Vita e Luce,
l’ineffabile unione di Dio Madre e Dio Padre nell’Uomo Divino, il Logos, l’Autogenito8 del
Mistero dei Misteri, il Tutto e Uno, l’Ineffabile e l’Effabile eternamente nella simultaneità
di Azione e Passione.
Voleste voi obiettare all’uso della parola Mente ad esclusione di altri nomi altrettanto
[p. 15] elevati, sappiate che anche di questo hanno reiteratamente discettato i discepoli di
Hermes Trismegisto.
Egli non ha nome, perché è l’Uno dai molti nomi, anzi è l’Uno di ogni nome, giacché Egli
è Nome e insieme ogni altra cosa, e non v’è cosa che non sia Lui. Né Egli è solo Uno, benché
sia l’Uno e il Solo, giacché Egli è Tutto e Nulla, a supporre che il nulla in quanto tale esista.
Ma siamo noi, in ragione della nostra ignoranza, a chiamarLo Mente, perché Mente è
ciò che conosce,9 e l’ignoranza è costantemente in cerca del suo alter ego, e l’alter ego
dell’ignoranza è la Gnosi. E in questa cerca della Gnosi, sia che ami o che aborra la propria
erronea visione di ciò di cui va in cerca, l’ignoranza continuamente si tramuta in una qual-
che forma di conoscenza, facendo esperienza di questa o di quella novità come meglio può,
ignara del fatto che è di sé stessa che sta facendo esperienza. Tuttavia, Mente non è solo ciò
che conosce; è anche [p. 16] l’oggetto di ogni conoscenza; poiché essa sola si conosce, non

7 Di contro alle accuse di dualismo radicale mosse alla gnosi ermetica dall’ermeneutica cristiana,
Mead mostra di intendere come a fondamento di quella concezione del mondo sarebbe invece
un non-dualismo radicale: la realizzazione del Sé, l’interdipendenza di sensibile e intelligibile,
che è anche alla base delle odierne concezioni ecologiche e di molte culture ancestrali.
8 Cf. G.R.S. Mead, «The Hymn of Jesus»: «The Alone-begotten – that is, Begotten-from-Himself-
Alone, or Self-begotten» (EFG 4: 50 [147]).
9 V. infra, p. 27 dell’originale, passo che chiarisce perché sia necessario usare il termine “cono-
scere” anziché “sapere” (sia l’inglese “to know” che l’italiano “conoscere” sono etimologica-
mente legati a γνῶσις).
58 George Robert Stowe Mead

essendovi null’altro da conoscere, o che possa conoscere, se non la Mente. Essa si auto-ge-
nera per conoscersi, e per potersi conoscere deve prima ignorarsi. La Mente dunque genera
così l’ignoranza come la Gnosi, ma non è, in quanto tale, né ignoranza né Gnosi. Di per sé
essa è il Mistero che produce ogni possibile mistero, al fine di potersi auto-iniziare in tutto.
Così ci viene insegnato che la Mente <il νοῦς>, il Grande Iniziatore, è il Maestro di ogni
maestria, Maestro così di ogni ignoranza come di ogni sapere. Così vediamo il Supremo
rivolgersi a uno dei suoi Beneamati Figli che ha raggiunto la padronanza di sé chiamandolo
«Anima della mia Anima e Mente della mia stessa Mente».10
La Religione della Mente è una religione preminentemente iniziatica, di continuo perfe-
zionamento. Le possibilità che si aprono agli occhi della mente del neofita relativamente a
questi sacri riti [p. 17] superano l’immaginazione. Sempre e di nuovo ci si chiede: È davve-
ro possibile che sia così? Pare un bene eccessivo per essere vero.
Ma come potrebbe trattarsi di un «bene eccessivo» (il Maestro sorridendo risponde),
quando l’inevitabile fine di ogni cosa è la Perfezione della perfezione, il Bene Stesso?
Non può trattarsi di un bene eccessivo, poiché ciò che eccede esula da se stesso; ma nel
Bene non vi è né eccesso né carenza, bensì Perfezione.
Cos’è l’imperfezione, allora? chiediamo flebilmente. E al cospetto del Maestro non
possiamo che rispondere: È il dubbio «pare un bene eccessivo» a costituire l’imperfe-
zione della nostra natura; temiamo che quel bene non sia per noi, ignari del fatto che il
“piccolo” che intravede la prospettiva, l’anticipo della Visione di Gloria, non vede alcun-
ché di esteriore, bensì ciò che gli sta dentro. Lì tutto è in potenza, la piena Figliolanza
del Padre, la quale è [p. 18] lì e qui e ovunque, perché tale è la natura del nostro essere
essenziale.
È l’immediata Presenza e Gloria del Maestro a condurre la coscienza del discepolo a ciò
pronto alla prefigurazione di tale Divina possibilità, secondo quanto attestato dai seguaci
della Religione della Mente. Ma chi è il Maestro? È forse qualcuno al di fuori di noi, un
essere altro da noi, un qualche insegnante che impartisce istruzioni formali?
Assolutamente no. «Questa razza – cioè di quelli che nascono così naturalmente – non
riceve mai insegnamenti, ma quando i tempi sono maturi, la memoria viene ristabilita loro
da Dio.»11 Non si tratta quindi di qualcosa di nuovo; del divenire di questo o di quello; ma
del ritorno al medesimo, diventiamo ciò che da sempre siamo. È posto fine al sogno, così
che ci risvegliamo alla vita.
Ecco dunque che in una di quelle straordinarie [p. 19] descrizioni di iniziazione traman-
date dai sermoni trismegistici in cui l’adepto rinasce, o nasce alla Mente, costui si stupisce
che il suo “padre” e iniziatore di quaggiù rimanga lì dinanzi a lui identico a come era sem-
pre stato nella sua forma consueta, mentre porta a compimento il rito efficace. Il “padre”

10 V. TGH iii: 104, 141 [65, 85]. Mead doveva citare a memoria, perché la frase esatta, che si
riferisce a Hermes, «the beloved son and messenger of the Supreme» è: «soul of My Soul, and
holy mind of My own Mind» («The Virgin of the World» [Kore Kosmou] I.16).
11 V. TGH ii: 221, 241 [140, 152]: CH XIII.2, «The Secret Sermon on the Mountain». Anche qui
vi è una piccola discordanza nella citazione: «This is a Race, not an individual; it is We and no
longer I. This is the Race of the Logos; the Self-taught Race of Philo; or, as Hermes says: “This
Race, my son, is never taught, but when He willeth it, its memory is restored by God.” This is
the ἀνάμνησις of Pythagoras and Plato – the regaining of the consciousness of the Divine State;
it must be self-perceived» (241 [152]).
La Gnosi della Mente 59

di tale “figlio” è il collegamento, il canale della Gnosi; ad officiare la vera iniziazione è il


Grande Iniziatore, la Mente.
E che sia proprio così lo apprendiamo da un altro sermone, nel quale un discepolo di
grado superiore viene iniziato senza collegamento intermedio alcuno; da sé, e da solo
quanto alla presenza fisica di un altro, costui viene avvolto dalla Grande Presenza e istru-
ito nel mistero.12
Il compito del “padre” è di portare il “figlio” all’unione con sé medesimo, così che egli
possa dall’ignoranza nascere alla Gnosi, alla Mente, al suo [p. 20] Sé supremo, divenendo
così vero Figlio del Padre.
L’aspetto più straordinario di tutta la tradizione della dottrina della Mente è il suo caratte-
re impersonale. Da questo punto di vista essa si erge in netto contrasto con il Cristianesimo
popolare e altri culti salvifici ad essa contemporanei. Certo i sermoni si presentano perlopiù
come insegnamenti di un maestro a un discepolo. Prendiamo ad amare Hermes e Asclepio e
Tat e Ammone, e a turno diveniamo amici di ciascuno di loro; ci paiono esseri umani viven-
ti, dotati di un carattere ben definito. Ma non si tratta di personaggi storici, bensì di tipi. In
ognuno di noi alberga un Ammone, un Tat, un Asclepio e un Hermes, ed è questa la ragione
per cui prendiamo ad amarli. Il “santo quaternio” vive nel santuario del nostro cuore; ma a
trascenderlo e ad abbracciarlo è il Pastore dell’umanità tutta, quel Divino [p. 21] Amore che
per bocca del nostro Hermes ci istruisce – in quanto Asclepio o Tat o Ammone – a seconda
delle orecchie che abbiamo per udire le parole della potenza, o degli occhi che abbiamo per
vedere il fulgore gnostico dell’insegnamento.
Ma non è tutto. Per quanto mirabile e verace, tale insegnamento non rappresenta il ma-
gistero supremo della Mente. Chi è nato nella Mente, dalla Mente riceve insegnamenti
attraverso ciascuno dei suoi gesti, e pensieri e sensazioni. Incessantemente la Mente istru-
isce l’essere umano per il tramite di anima corpo e mente; ed ecco che l’individuo inizia
a conoscere attraverso ciascuna di queste <sue componenti>, poiché dal minuscolo anima
corpo e mente che era, si trasforma nel Grande Anima e Grande Corpo e Grande Mente
del Grande Uomo.13 Non è più alla ricerca di un maestro, in quanto che l’Unico Maestro lo
ammaestra per mezzo del tutto. Tutto quanto esiste si trasforma per costui nella natura della
Gnosi del Bene.
[p. 22] Non più un uditore, bensì l’Uditore; poiché ha orecchie in ogni luogo per udire la
voce di Natura, Consorte del Divino, in tutto quanto spira e in ciò che pare inanime – ad un
tempo l’inverno e l’estate del Signore.
Non più un vedente, bensì il Veggente; poiché ha occhi ovunque per contemplare la bel-
lezza del tutto, e vedere lo splendore nell’immondo.
Non più un operatore, bensì il Fattore; poiché tutto ciò che fa è consacrato al Signore il
quale si dedica ad agire nell’essere umano.

12 Forse un riferimento a CH I, «Poemandres».


13 Ancora una volta, non solo il rifiuto di ogni dualismo, ma l’integrazione di ognuno degli
aspetti dell’esperienza umana: fisico, psichico, intellettuale. Il Grande Uomo è l’ἄνθρωπος, o
uomo cosmico, al quale Mead dedica tutto un capitolo del primo volume di TGH (VII. «The
Myth of Man in the Mysteries»); v. infra, n. 26. Nei primi decenni del secolo scorso, fu in uso
il termine Superuomo, che venne malauguratamente a essere combinato con una lettura “del-
la potenza”, che va dissociata nel modo più fermo possibile dalla tradizione dell’ ἄνθρωπος
nella gnosi ermetica.
60 George Robert Stowe Mead

Pertanto tutti i suoi sensi e tutte le sue energie sono concentrati sulla Grande Opera
dell’auto-iniziazione nei Misteri di Dio; la sua esistenza risplende della gloria di un conti-
nuo perfezionamento, e non pensa più di esser mai stato altro da ciò che è ora. La memoria
gli è infatti costantemente presente, giacché la memoria della Mente è consustanziale [p.
23] all’eternità, che trascende il tempo e discerne tutto il passato e futuro e tutto il presente
nell’istante che perdura infinitamente.
E quali sono gli insegnamenti della Religione della Mente riguardo a Dio, all’universo
e all’uomo? Ve ne sono molti solenni e di buon auspicio; ma ve n’è uno particolarmente
degno di nota, e cioè l’incapacità del linguaggio umano a rivelare il mistero. Ogni essere
umano infatti è solo una lettera nell’idioma degli Dèi; ragion per cui qualsiasi cosa questi
scriva, per quanto fornita possa essere la sua mente di sistemi teologici o mondani, o del-
la scienza dello stato umano; per quanto esattamente questi riesca a riprodurre il proprio
pensiero e a trasporlo magicamente in splendido linguaggio umano – tutto quanto questi
riesce a esprimere non sarà che un’unica lettera del Verbo. Le Parole di Dio sono scritte con
gli atti intenzionali [p. 24] della collettività degli uomini, non enunciate dai loro discorsi
individuali né formulate per iscritto. Il Verbo divino si esprime nel dinamismo della Natura,
e non sta scritto sulla superficie delle cose, la quale è invece piena di scarabocchi, di false
apparenze che le menti inavvedute degli uomini su di essa proiettano.
Come possono pertanto gli uomini descrivere l’universo, se non iscrivendo sé medesimi
negli ambiti dello spazio? Per poter descrivere l’universo così com’è essi devono diventare
l’universo, e allora descriveranno sé medesimi; e per descrivere sé medesimi non troveran-
no altro modo se non quello con cui l’universo esprime se stesso.14 La Lingua Universale
parla incessantemente il Linguaggio degli Dèi, poiché è Dio che in eterno si esprime al
cospetto di Se stesso.
La Lingua dell’Eterno è la Mente [p. 25] di Dio. È con la Mente, la Ragione della Sua
Auto-sussistenza, che Egli perpetuamente proferisce ogni cosa.
Così apprendiamo che la Religione della Mente è eminentemente la Religione del Logos,
e nell’insieme dei trattati trismegistici non vi è nome che ci si presenti con maggior fre-
quenza della parola Logos. Logos è infatti il Verbo di Dio, non nel senso di un Verbo unico,
ma il Verbo nel senso della Scrittura Universale di tutti i mondi e di tutti gli esseri umani.
E così accade che Hermes sia lo Scriba degli Dèi. Non che Hermes sia uno degli Dèi che
agisce da scriba per conto degli altri, come se quelli non sapessero scrivere; Hermes è il
Logos di Dio, e le Parole che scrive sono Dèi.
Noi esseri umani siamo lettere del nostro Verbo o Dio nostro; gli uomini infatti hanno
dinanzi a sé un glorioso destino, o meglio, già ora ne hanno l’attualità nella loro natura
universale, di essere Dèi, [p. 26] Esseri Divini, la cui natura è Gnosi e Gioia e Sussistenza.
Quel Verbo si è ripetutamente iscritto nel mondo, ora una lettera, ora un’altra; si formula in
molti modi diversi, in sequenze di vite umane, e di vite altre dalle umane.
Verrà un giorno in cui ogni Verbo-Dio, ciascuno a sua volta, risuonerà in tutta la sua
gloria, non lettera per lettera, ma come Parola tutta simultaneamente in terra; e un Cristo
nascerà e la Natura tutta si rallegrerà, e il mondo degli uomini comprenderà o ignorerà se-
condo la natura dei tempi e il modo d’espressione del Verbo.
Ecco dunque alcune delle idee suscitate da alcuni dei principali concetti della Religione

14 Per illuminanti quanto inattesi parallelismi, suggerisco al lettore di affiancare questo testo di
Mead a quello di David Abram, infra.
La Gnosi della Mente 61

della Mente, o Pura Filosofia, o Solo Amore, come i discepoli di Hermes Trismegisto deno-
minavano la loro Teosofia, diciannove secoli fa all’incirca.
[p. 27] Il termine più generale con cui designavano la loro scienza e filosofia e religione,
tuttavia, era quello di Gnosi; esso ritorna in quasi tutti i sermoni ed estratti e frammenti
della loro letteratura pervenutici. La dottrina e disciplina della Mente, che nutre gli uomini
e come Pastore veglia sull’anima umana culminano in questa straordinaria parola – Gnosi.
Soffermiamoci dunque a considerare il significato della parola così come i seguaci di que-
sta Via la intesero. Gnosi è Conoscenza (Knowledge); ma non conoscenza discorsiva relativa
al genere delle svariate arti e scienze note a quell’epoca o nella nostra. A quel “clamore di
parole”, a quei molteplici saperi delle apparenze delle cose e delle sterili opinioni, i seguaci
della Vera Scienza e Pura Filosofia guardavano con rassegnazione; i novizi invece erano al
riguardo assai meno tolleranti, [p. 28] e asserivano che tali cose andavano lasciate ai “Gre-
ci”; per gli “Egizi”, naturalmente, solo la Sapienza (Wisdom) era fonte di appagamento.15
Questi sono, in ogni caso, i termini in cui si esprime uno dei meno edotti redattori di una
delle raccolte dei nostri sermoni. Per costui l’Egitto era la Terra Santa e gli Egiziani la Raz-
za Eletta; i Greci erano invece arrivisti e superficiali argomentatori. D’altra parte gli Ebrei
dell’epoca similmente chiamavano “Egitto” il corpo, mentre la Giudea era la Terra Santa,
la Palestina la Terra Promessa e Israele il popolo Eletto di Dio; così la storia continuava a
ripetersi allegramente, e continua a tutt’oggi.
I veri scrittori dei sermoni erano invece di ben altro parere. Ritenevano la Gnosi al di so-
pra di ogni distinzione di razza; giacché lo Gnostico era precisamente il rinato, il rigenerato,
nella Razza, la Razza dei veri amanti di Sapienza, la Famiglia [p. 29] della Divina Paternità.
La Gnosi per loro aveva inizio con la Conoscenza dell’Uomo, il cui compimento avviene
a conclusione del perfezionamento operato dalla Conoscenza di Dio o Divina Sapienza.
Questa Conoscenza era tutt’altra cosa dalla conoscenza o scienza mondana. Non che
quest’ultima fosse da disdegnare, dato che ogni cosa è vera o falsa relativamente al nostro
punto di vista. Se la nostra prospettiva è saldamente incentrata nel Vero, ogni cosa è leg-
gibile nella sua essenziale veracità; ma se divaghiamo nell’errore, ogni cosa, anche la più
verace, diviene ingannevole.
La Gnosi aveva inizio, proseguiva e terminava nella conoscenza di sé come riflesso <o rispec-
chiamento> (reflection) della Conoscenza del Sé Unico, del Sé Tutto. Per cui se diciamo che la
Gnosi era altro dalla scienza mondana, ciò non significa che essa escludesse alcunché, ma solo
che considerava tutte [p. 30] le arti e le scienze umane come insufficienti, incomplete, imperfette.
È infatti per ogni parte palese che, nell’esporre le loro intuizioni delle cose-che-
sono, e nell’esprimere le idee viventi che sorgevano loro nella mente e nel cuore, gli
scrittori dei trattati trismegistici si servivano della filosofia, della scienza e delle arti del
loro tempo. E che così abbiano fatto è precisamente uno dei meriti della loro impresa;

15 Il riferimento qui è a CH XVI.1-2, il discorso (λόγος) di Asclepio al re Ammone preceduto dalla


celebre richiesta che esso venga preservato nella lingua egizia originale, in grado di preservarne
l’ἐνέργεια, e non tradotto in greco: «I Greci infatti, o re, fanno discorsi vuoti, adatti a produrre
dimostrazioni, e questa è la loro filosofia: un rumore di parole. Noi invece non ci serviamo di
parole, ma di suoni ricchi di azione.» Cf. Plotino, Enneadi 5.8.6 e Giamblico, Misteri 7.4.254-6.
Questo era un punto fondamentale anche della concezione degli Schwaller, che trova riscontro
in quanto oggi meglio comprendiamo della trasmissione orale della gnosi anche in tradizioni
aborigene, ancora vitalmente legate all’ἐνέργεια delle parole.
62 George Robert Stowe Mead

perché così facendo mettevano le grandi verità della vita interiore a diretto contatto con
il pensiero dei loro tempi.
Sussiste pur sempre un rischio, in ogni tentativo di questo genere; comparativamen-
te infatti, nell’implicare le superiori intuizioni dell’anima e le apocalissi della mente alle
opinioni correnti facciamo sì che l’espressione dei misteri abbandoni il livello di sacra
scrittura per precipitare nella mutevolezza di concetti effimeri. [p. 31] La scienza umana è
in continuo mutamento; e se esponiamo quei pochi barlumi delle salde idee e verità viventi
della Gnosi che siamo riusciti a intendere nelle mutevoli forme della scienza in divenire,
possiamo certo contribuire molto alla divulgazione della nostra intuizione dei misteri nel
presente del nostro tempo; ma i posteri ci accuseranno di aver rivestito di stracci la Bellezza
della Verità, rispetto alle più splendide vesti delle loro più sofisticate opinioni.
I documenti pervenutici dagli scriptoria della tradizione trismegistica sono opera di mol-
te mani e frutto di molte menti. Talvolta risultano <essere> così profondamente partecipi
della scienza dei loro tempi che l’opinione corrente del ventesimo secolo se ne ritrae con un
senso di superiore disdegno; d’altra parte non di rado permangono nel solco della chiarezza
dell’esposizione, offrendoci [p. 32] una visuale perfettamente libera sui <vasti> orizzonti
della Landa della Verità. Ma anche quando restano vicini alle visioni del mondo e ai saperi
umani dei loro tempi non sono privi d’interesse; è possibile infatti che nella loro concezione
della natura vivente – in tutto e per tutto opposta alle nostre moderne opinioni fondate sulle
morte parvenze delle cose16 – siano stati per certi versi ben più vicini alla verità di quanto
non lo siamo noi in questa magnificata epoca di illuminato decoro.
Come che sia, molti sono gli esempi di trasparenza e lucidità del pensiero nei logoi
o sacri sermoni, o discorsi, o enunciati, della Scuola; e uno degli aspetti più allettanti di
questa disciplina è che il discepolo veniva incoraggiato a riflettere e a interrogarsi. La
ragione era tenuta in altissima considerazione; l’uso appropriato della ragione, o meglio,
della vera ragione anziché della sua contraffazione, l’opinione, [p. 33] era il più prezioso
strumento di conoscenza dell’uomo e del cosmo, e mezzo di auto-realizzazione in quel
Bene Supremo noto, fra i molti suoi altri nomi di sublime elevatezza, come la Buona
Mente17 o Ragione (Logos) di Dio.
Tutta questa teoria della realizzazione si basava sul presupposto che l’essere umano in
corpo anima e mente sia in sé stesso un mondo – un piccolo mondo, invero, fintanto che
si accontenta di giocare il ruolo di “pupazzo del Fato”;18 ma il suo Destino trascende quel
Fato, o per meglio dire, se la sua Nescienza è Fato, la sua Coscienza sarà il suo Destino.
L’essere umano è un piccolo mondo, piccolo nel senso di personale, individuale, separato;
ma comunque un mondo – una monade. E il suo destino consiste nel diventare Monade
delle monadi, o Mente divina – il Cosmo stesso, non solo così come è percepito dai [p.
34] sensi in quanto totalità di ciò che esiste, in quanto mobile e immobile, ovvero il Macro
Corpo e la Macro Anima delle cose; ma anche così come è concepito dalla mente, in quanto
Magnificenza di tutte le magnificenze, Idea di tutte le idee, Mente e Ragione di Dio Stesso,
il Suo stesso Figlio da sé creato, l’Auto-genito, il Beneamato.

16 Cf. infra, i paragrafi d’apertura del saggio di David Abram, e in generale tutta la sezione VI.
della presente raccolta.
17 Greco: ευ-νοῦς. Non si può non pensare a Dante e alla sua “invenzione” del fiume Eunoè (v.
infra, n. 30).
18 A proposito di questa espressione e del suo significato in ambito ermetico v. supra, n. 5.
La Gnosi della Mente 63

È su questo trascendente fatto primordiale che si fonda l’intera disciplina e metodo


della Gnosi della Mente. Il Mistero primordiale è l’Uomo o la Mente. Ma questo modo
di denominare il Mistero non va inteso a esclusione dell’Anima e del Corpo. La Mente è
la Persona primordiale, la Presenza di tutte le presenze. Tempo, spazio e causalità sono
condizionati dalla Mente. Ma questa Mente, l’Uomo Vero, non è la mente asservita a cau-
salità, spazio e tempo. D’atra parte, è proprio la mente schiava, il “pupazzo del Fato”, la
“forma del servo” [p. 35] a costituire l’apparenza sotto cui si cela la possibilità di divenire
il Tutto, di divenire l’Eone, la Presenza – cioè la Sussistenza di tutto quanto è presente, in
ogni istante temporale, in ogni punto spaziale, nell’immediatezza di ogni causa-ed-effetto
in Seno al Tempo. Indubbiamente nell’ambito dell’opinione, corpo anima e mente paiono
separati e distinti; sono mantenuti tali dall’uomo in quanto categorie principiali del suo
esistere; e a ragione, giacché costituiscono le premesse per l’ex-istenza, per il trovarsi al
di fuori dell’Essere, l’ambiente per eccellenza dell’incompletezza – il cui complemento o
compimento è ec-stasi, laddove l’essere umano fuoriesce dalle sue limitazioni per unire
se stesso al Sé medesimo, raggiungendo così quella Soddisfazione e Pienezza cui i nostri
Gnostici danno il nome di Pleroma quando sia contrapposta al concetto di spazio, di Eone
quando sia contrapposta [p. 36] all’idea di tempo, e di Bene quando sia in contrasto con
la nozione di Fato.
Ma l’Essere è il Tri-Uno, Mente, Anima e Corpo – Luce, Vita e Sostanza, unitamente
co-eterni e co-eguali.
Ne consegue che l’aspirante Gnostico non deve stoltamente scindere dentro di sé il mi-
stero del triplo Consorzio, i Tre Poteri o Divina Triade. Per costui il fine del suo adoperarsi
è di consumare il Matrimonio Sacro al proprio interno, là dove i Tre devono “congiungersi”
per creare; così da potersi unire al suo Sé Massimo e farsi tutt’uno con Dio. Occorre che
corpo, anima e mente (o spirito, giacché in codesta Gnosi lo spirito è spesso sinonimo di
mente) operino congiuntamente in intima unione per causa di giustizia.
Il corpo umano va considerato un tempio di santità, un santuario del Divino – la più
straordinaria Casa di Dio che [p. 37] vi sia, infinitamente più bella del più bello dei templi
eretti da mano d’uomo. Giacché questo tempio naturale creato dalla Divinità come dimora
per i Suoi figli beneamati è la copia della Grande Immagine, del Tempio dell’Universo in
cui ha dimora l’Uomo, il Figlio di Dio.
Ogni atomo e raggruppamento di atomi, ogni arto e articolazione e organo è disposto in
base al Piano Divino; il corpo è immagine del Grande Sigillo, Cielo-e-Terra, uomo-donna
in uno.
Ma ben pochi sono coloro che conoscono o anche solo immaginano le potenzialità di
questo tempio vivente del Divino! Siamo sepolcri, tombe di morti; giacché i nostri corpi
sono per metà atrofizzati, vivi solo alle cose della Morte, morti alle cose della Vita.
La Gnosi della Mente ci insegna pertanto a lasciar fluire la Vita nei morti canali della
nostra natura corporea, a invocare il Santo Soffio di Dio affinché ravvivi [p. 38] la sostanza
della nostra struttura, così che il Divino Animatore possa innanzitutto far nascere in noi il
nostro complemento divino, il nostro altro sé, la consorte da tempo perduta, così che noi
stessi poi possiamo amandola e corteggiandola lealmente dar vita al nostro sé veritiero,
divenendo così rigenerati o rinati – una trinità dell’Essere, non un’unità di esistenza vege-
tativa, o una dualità di natura animale-umana, bensì il Perfetto Triangolo adorno di tutte e
tre le faville della compiuta umanità.
64 George Robert Stowe Mead

È quindi evidente che, qualora l’idea di questa Gnosi venisse posta in atto conseguen-
temente, l’ascoltatore di questa Mathesis dovrebbe sforzarsi di metterne in atto la Parola,
autorealizzandosi così in ogni aspetto del proprio essere. L’obiettivo cui costui mira è l’in-
tensificazione dell’intera sua natura. Ciò non significa compartimentalizzare il proprio uni-
verso o se stessi in svariate suddivisioni, bensì adoperarsi per restituirsi [p. 39] a un’unione
sempre più intima con se stessi – cioè a dire con la propria onnipresente coscienza; giacché
non v’è nulla realmente che noi non siamo.
Certamente una delle peculiarità più attraenti della Gnosi Trismegistica, o per meglio
dire, la sua principale peculiarità, che la rende particolarmente consona ai nostri tempi,
è il suo essere supremamente ragionevole in tutto e per tutto. Continuamente incoraggia
il discepolo a pensare e a far domande e a ragionare; non intendo dire che incoraggi la
critica allo scopo di cavillare pedantemente, o di far domande al fine di soddisfare futili
curiosità, ma che pone l’accento sul giusto uso di una ragione depurata, sull’impegno a
purificare mente anima e corpo, così che possano diventare un prisma cristallino attra-
verso il quale il Singolo Raggio del Logos, il Fulgore Totale, come dice Filone, possa
risplendere liberamente di colori puri [p. 40] e chiari in conformità con la natura del vero
quale si manifesta.
Giunti a questo punto, potremmo tentare un confronto, senza alcuna intenzione contra-
stiva a discredito dell’una o dell’altra parte, fra la superiore semplicità della Gnosi del-
la Mente e l’abbagliante molteplicità e le infinite estensioni delle rivelazioni della Gnosi
Cristianizzata, con la quale è possibile che i miei lettori abbiano maggiore dimestichezza.
Sono, queste, due facce dello stesso Mistero; ma allorché la prima dipende dalla lucidità
del ragionamento filosofico costitutivo in particolare della Logica di Platone, e rifiuta ogni
separazione dalle cose-che-sono “qui” come “là”, la seconda invece si invola verso trascen-
denti sommità visionarie e apocalittiche, fino a perdersi in rapimenti estatici non registrabili
dalla coscienza di veglia.
Personalmente, mi appassiono a tentare di seguire [p. 41] i visionari della Gnosi Cri-
stiana nelle loro ascesi e conquiste celesti, a immergermi negli abissi e nella vastità delle
loro intuizioni spirituali; ciò nonostante non si può non ammettere che questo inebriamento
dello spirito costituisce un serio pericolo per menti che non siano più che equilibrate. È anzi
altamente probabile che tali sfrenate esternazioni di delirio divino quali occorrono in alcune
delle Apocalissi Cristiane Gnostiche non fossero destinate a circolare se non fra coloro che
avevano già dato prova di un totale auto-controllo nel più pieno significato del termine.
I sermoni Trismegistici comprovano che tali rapimenti e visioni erano ugualmente prero-
gativa di “coloro che sono nella Gnosi”; ma non per questo divulgavano le rivelazioni di tali
misteri; e per quanto raccomandassero al discepolo di osare in tutto, in termini così arditi
che difficilmente se ne trova analoga testimonianza in altre scritture, [p. 42] continuamente
impongono al discepolo di ricondurre tutto alla controprova della ragione pratica, così che
la sostanza vitale ricevuta dall’alto possa essere correttamente assimilata dalla mente pura
e idoneamente utilizzata per nutrire la natura inferiore.
Quanto a noi che siamo ascoltatori19 della Gnosi, della Teosofia, dovunque la si possa

19 Qui come altrove, ascoltatore è terminus technicus: indica cioè coloro che si sono avvicinati con
simpatia agli insegnamenti, ma non sono (ancora) discepoli, entrati nel noviziato vero e proprio,
e quindi non hanno ancora realizzato l’aspetto “interiore” degli insegnamenti. Cf. infra, p. 68
dell’ed. originale e per un’utile illustrazione introduttiva v. Govinda 1957: lxii: «Listening,
La Gnosi della Mente 65

trovare, saremmo incauti a respingere una qualsiasi delle esperienze di coloro che ci hanno
preceduti nel Cammino. Poco importa se la denominiamo Gnosi della Mente con i seguaci
di Hermes Trismegisto, o Gnosi della Verità come fa Marco, o con uno qualsiasi dei molti
altri nomi conferitigli dagli Gnostici dell’epoca; l’essenziale è che la Gnosi esiste, e molti ne
hanno toccato le sante vesti guarendo così dai vizi dell’anima; e il principale di tali vizi, come
dice Hermes, è l’ignoranza. Che non è ignoranza delle arti [p. 43] e scienze o quant’altro, ma
ignoranza di Dio; è il vero a-teismo, la radicale superstizione della mente e del cuore, – l’illu-
sione che ci impedisce di comprendere l’unità del nostro sé verace con il Divino.
L’affiorare di questa sacra persuasione, la nascita di codesta vera fede segna l’inizio
della Gnosi; è la Buona Novella, la Gnosi di Gioia,20 dinanzi al cui splendore il Rammarico
prende la fuga. Questo è l’Evangelo, così come lo concepì Basilide lo Gnostico, il Sole di
Giustizia dalle ali risanatrici; vale a dire, il Padre nelle sembianze di colomba – il Padre di
Luce che aleggia sul sacro vaso, o calice divino o coppa, la natura spirituale risvegliata del
figlio neo-nato.
Questo è il vero battesimo, nonché il primo miracolo, come attestato dalla Gnosi del
Quarto Vangelo, allorché l’acqua delle sfere acquee viene trasformata nel vino [p. 44] dello
spirito al momento del “primo matrimonio”.
Forse i miei lettori obietteranno: Ma questa è la Gnosi Cristiana, non la Gnosi della
Mente! Miei cari amici (se permettete, risponderei), non vi è una Gnosi Cristiana e una
Gnosi Trismegistica, bensì solo un’unica Gnosi. E se tale Gnosi venne o per determinati
scopi associata al nome e alla persona mistica del Grande Maestro noto come Gesù di
Nazareth, o trasmessa mediante la personalità tipologica del Grande Hermes, non sta a noi
di mantener divise con la mente e col cuore queste due correnti in compartimenti stagni.
Queste due tradizioni infatti si interpretano e completano a vicenda. Sono contemporanee;
sono entrambe parti integranti della medesima Economia. Leggete i frammenti di queste
due fedi dimenticate, o meglio i frammenti delle due manifestazioni di questa [p. 45] fede
dimenticata, e ve ne renderete conto da voi stessi.
E d’altra parte vi è chi potrebbe obiettare (e in diversi hanno infatti già obiettato): Cosa ce
ne facciamo di una fede dimenticata, sia essa frammentaria o meno? Viviamo nel ventesimo

reflecting and meditating are the three stages of discipleship. [… listener] refers to one who has
accepted this teaching in his heart and has made it his own. Thus the word “listening”, in this
connection, implies “hearing with one’s heart”, that is, with sincere faith (sraddha). This rep-
resents the first stage of discipleship. In the second stage, this intuitive attitude is transformed
into understanding through reason; while, in the third stage, the disciple’s intuitive feeling, as
well as intellectual understanding, are transformed into living reality through direct experience.
Thus intellectual conviction grows into spiritual certainty, into a knowing [gnosis] in which the
knower is one with the known.» V. le tre facoltà ermetiche: gnosis, logos, nous (Mahé 2000:
102) e i tre stadi dell’iniziazione misterica: katharmos, paradosis, epopteia. Questo corrisponde
a ciò che Jung, nel commento al Fiore d’Oro, esprime come la realizzazione della coscienza
passiva: «Non sono io a vivere, vengo vissuto» (1932: 131), che Corbin commenta così: «la
trasmutazione del soggetto si esprimerebbe con la sostituzione sorprendente di ego vivo con
un ego vivor, “vengo vissuto”» (Corbin 2014: 91) fino alla sostituzione del «cogito ergo sum»
cartesiano con la realizzazione propriamente gnostica di un «cogitor ergo sum», fondato sul
riconoscimento dell’unica realtà veramente metafisica: «la psiche è un mondo nel quale l’ego è
contenuto» (Jung in 1932, ibid.).
20 Non pare indebito qui fare un rimando al «gai saber» dei Provenzali, espressione forse di origi-
ne catara, e dunque “gnostica”.
66 George Robert Stowe Mead

secolo; non intendiamo regredire ai modi di pensare di duemila anni fa; possiamo dar vita a
una nuova Gnosi che possa render conto dei fatti dell’odierna scienza e filosofia e religione.
Anche io con trepidazione attendo l’alba di tale Nuova Era; ma non credo che la Gnosi
della Nuova Era sarà nuova. Certo verrà presentata in forme nuove, perché le forme posso-
no essere infinite. La Gnosi in quanto tale è al di là dei condizionamenti spazio-temporali;
siamo noi a essere condizionati da tali forme della manifestazione. Colui che rinasce nella
Gnosi diviene, per quanto mi è dato comprendere, Dominatore del tempo e dello spazio, e
transisce dallo stato umano a quello Sovra-umano e [p. 46] Cristico, o di Demone e Dio,
come un Hermes avrebbe detto duemila anni fa, o di Bodhisattva e Buddha, secondo la
formulazione di cinquecento anni prima di allora.
Se vedo bene, l’essenza stessa della Gnosi consiste nel credere che l’uomo sia in grado di
trascendere i limiti del dualismo che lo rende tale, per divenire un essere consapevolmente di-
vino. I problemi che è chiamato a risolvere sono quelli del suo tempo, deve trascendere i limiti
della sua contingenza. Il modo per farlo, se mi è consentito dirlo, non è di magnificare le cono-
scenze scientifiche e filosofiche o religiose del momento presente a discapito di quel poco che
si può apprendere dell’imperfetta tradizione religiosa e filosofica e scientifica del passato, tra-
smessaci dall’oblio di una serie di generazioni ignoranti e incuranti. Nutrire la nostra vanaglo-
ria presente con i resti dei [p. 47] banchetti passati è dieta inadeguata per un aspirante Gnostico.
Non c’è dubbio che, in generale, abbiamo maggiori conoscenze in materia di osservazione,
analisi e classificazione fisica, in ambito di teoria della conoscenza e di molte altre cose relative
al mondo inferiore delle apparenze; ma abbiamo <davvero> maggiori conoscenze in materia
di religione come esperienza vissuta di quante ne avessero le grandi figure del passato? Ne
sappiamo di più della Gnosi di quanto ne sapessero gli Gnostici dei tempi andati? Ne dubito.
Stiamo nuovamente iniziando a volgere la nostra attenzione verso i Misteri Maggiori; i
cicli dell’Eone sono, a mio parere, nuovamente configurati in modo affine a quella modalità
del Tempo Mentale che rende tale illuminazione possibile per molti individui, e non solo
per qualche anima errante. Ma le condizioni per ricevere tale illuminazione [p. 48] sono
oggi quelle di sempre; e una di tali condizioni è la capacità di ascendere oltre le opinioni
dell’Ora per accedere alla Gnosi dell’Eone Sempiterno.
Ne consegue pertanto, se la mia ipotesi è corretta, che la principale illusione da superare
è quella del Signore dell’Ora; la quale altro non è che l’insieme delle comuni opinioni e
presupposizioni e prevenzioni del nostro tempo contro cui dobbiamo guardarci con vigi-
lanza estrema.21 Vi sono specifiche modalità del sapere, della religione e della filosofia che
dominano su ogni età e ogni tempo; il loro potere è straordinario perché si nutrono della fede
di milioni di individui; di conseguenza, può essere che incontreremo minori difficoltà, nel
nostro sforzo di perforare le nubi dell’opinione per raggiungere l’aldilà delle idee viventi,
se ci applichiamo allo studio di forme ormai depurate dalle [p. 49] passioni umane – da quel
deposito di speranze e timori proprio delle menti incarnate, al cui urto ben pochi sono forti
abbastanza da resistere. È dunque possibile che le forme della Gnosi del passato si prestino
a essere lette in modo più imparziale e che si riesca a vedere meglio attraverso quei testi.
Ad ogni modo, sarebbe ovviamente assurdo far ritorno al passato limitandoci a rimodel-
larci su queste antiche forme; ciò significherebbe la morte nonché una reincarnazione men-
tale e spirituale “a ritroso”, per così dire. È proprio questa l’assurdità che molti letteralisti

21 Cf. Jung, che nel Libro Rosso fa riferimento allo spirito di questo tempo di contro allo spirito del
profondo.
La Gnosi della Mente 67

tentano di mettere in opera in ambito teologico, per poi ritrovarsi incagliati tra forme morte,
con l’alta marea della vita spirituale ormai al largo.
D’altro canto, può esserci chi ritiene che quanto detto in precedenza comporti il rischio
che l’artista e l’amante del Bello in noi vengano interamente sacrificati ai [p. 50] Filistei.
Indubbiamente le Sacre Scritture esistono, così come vi sono libri migliori di altri. Non re-
fert quam multos sed quam bonos libros legas;22 vale la qualità, non la quantità dei libri che
leggiamo. La Gnosi è custodita in sacre scritture, in bibbie, non in libri. E sono certo che a
tutt’oggi v’è tra noi un numero sufficiente di amanti di bibbie, nel più ampio significato del
termine, in grado di apprezzare ciò che v’è di bello e di durevole in letteratura.
I sermoni Trismegistici condividono con i redattori dei libri del Nuovo Testamento un
medesimo linguaggio, e si servono ugualmente del linguaggio di Platone. Pertanto, difficil-
mente potrebbero essere considerati obsoleti dal punto di vista formale; quanto al contenu-
to, alle loro idee portanti, oso affermare che appartengono ai grandi libri del mondo, fanno
parte del patrimonio mondiale delle scritture.
[p. 51] Chi pertanto volesse farsi un’idea della Gnosi della Mente, non avrebbe nulla
da perdere nel leggere ciò che ci è stato trasmesso dai seguaci di questa forma di Tradi-
zione Sapienziale. Potrà preferire una presentazione più moderna, o potrà trovare che altre
scritture del passato sono più confacenti alle sue necessità; ma se si interessa di teosofia
comparata, ed è convinto che chi conosce una forma sola di teosofia in realtà non conosce
la teosofia, così come chi conosce una lingua sola in realtà non ne conosce nessuna, potrà
apprendere molto confrontando la teosofia degli Gnostici Ermetici con quella degli Gnosti-
ci Cristiani, o dei seguaci Buddisti o Bramanici della Gnosi.

***

Per concludere, citerò alcuni passi relativi alla Gnosi tratti dai sermoni Trismegistici;
perché, [p. 52] come afferma il Padre della Chiesa Lattanzio a proposito del Santo Scriba
che ha ispirato queste scritture:

Scrisse libri, molti libri, relativi alla Gnosi (cognitionem) delle cose divine, in cui asseri-
sce la Grandezza dell’Altissimo e Unico e Solo Dio. (iii: 233 [149])23

Proprio così, Costui scrisse molti libri, che lo si chiami col nome di Hermes o con uno
qualsiasi dei Suoi molti altri nomi. Poiché come afferma in un’altra scrittura a proposito di
quel Giorno del Sole, riferendosi alla storia interiore del Mistero Cristico molto probabil-
mente ben prima che alcuna scrittura Cristiana fosse stata prodotta:

Pertanto, inviami, o Padre!


Sigilli alle mani, discenderò;
Di fra gli Eoni universali, traccerò un Cammino;

22 Seneca, Epistulae morales ad Lucillum, 45, 1; passo evidentemente citato a memoria, perché
l’originale ha «habeas» e non «legas».
23 Qui e a seguire i riferimenti delle citazioni sono ai tre volumi del TGH di Mead; riporto in
parentesi tonde il riferimento alla paginazione dell’edizione originale del 1906 e in parentesi
quadre il riferimento alla paginazione dell’edizione attualmente in commercio.
68 George Robert Stowe Mead

Di fra i Misteri tutti aprirò una Via!


E manifesterò le Forme Divine;
Trasmetterò i segreti della Via Santa, [p. 53]
E darò loro nome Gnosi. (i: 192 [132-33])24

Proprio così, scrisse molti libri, molti sermoni e discorsi sacri, con molti titoli diversi, tra
cui uno intitolato precisamente: «Introduzione alla Gnosi della Natura Universale» (ii: 68
[40; CH II, «Ad Asclepio»]).
Non che la Gnosi abbia un preciso punto d’inizio, o che vi sia una qualche particolare in-
troduzione limitata a un insegnamento formale; la Gnosi può essere presentata al discepolo
e all’uditore in modi infiniti, giacché è ad immagine del suo Grande Originale.
Così leggiamo:

Il bene infatti è impercorribile; è senza limiti; è senza fine; e in Se stesso è anche senza
principio, seppure a noi paia averne uno, nella Gnosi. La Gnosi dunque non è l’inizio del
Bene; piuttosto, la Gnosi [p. 54] ci offre l’inizio del suo farsi conoscere. (ii: 90 [58; CH IV.9,
«Il cratere o la monade»])25

Così ancora troviamo un mistico ebreo, che scrisse appena prima dei tempi di Paolo, il
quale cita una qualche scrittura gnostica (molto probabilmente da uno dei sermoni perduti
della nostra scuola), dove la questione è presentata ancor più chiaramente in questo sor-
prendente aforisma:

La Gnosi dell’Uomo è principio di Perfezione; ma la Gnosi di Dio è Perfezione Perfetta.


(i: 178 [123]).

Nell’insegnare al figlio beneamato, il cercatore, il supplice ascoltatore, come intrapren-


dere la via dell’auto-realizzazione, Hermes indica con sagge e amabili parole il percorso
da seguire:

Indaga intorno a Dio, e così facendo indagherai intorno al bello. Una via sola conduce al
bello – la Devozione (Ευσέβεια) unita alla Gnosi. (ii: 114 [73; CH VI. 5, «Solo in Dio esiste
il bene e in nessun altro luogo»])

E di nuovo definisce i confini [p. 55] della Via dei Buoni Comandamenti con un insegna-
mento ammirevole, dicendo:

I semi di Dio sono pochi, è vero, ma grandi, belli e buoni: virtù, saggezza, devozione. De-
vozione è Gnosi di Dio; e colui che conosce Dio, fattosi ricolmo di ogni bene, pensa pensieri
divini e non quelli pensati dalla moltitudine.

24 Questo testo è citato e analizzato da Mead nel capitolo «The Myth of Man in the Mysteries», nel
quale egli riporta e analizza frammenti di testi pervenuti attraverso i Philosophoumena di Hip-
polytus, con l’intento di identificare le diverse stratificazioni del medesimo, pre- e post-cristiane.
25 Salvo diversa indicazione qui e altrove infra seguo la traduzione italiana del CH di Valeria
Schiavone (CH 2011).
La Gnosi della Mente 69

Per questa ragione coloro che sono Gnostici non piacciono ai molti, e i molti non piac-
ciono loro. Sono ritenuti pazzi e vengono derisi; sono odiati e disprezzati, e talvolta perfino
messi a morte. …
Ma colui che è devoto a Dio sosterrà ogni cosa, avendo intuito la Gnosi. Per costui ogni
cosa è buona, anche se ritenuta cattiva dagli altri; deliberatamente costui riconduce ogni cosa
alla Gnosi. E, cosa straordinaria, è lui il solo [p. 56] a rendere buone le cose cattive. (ii: 131
[84]; CH IX.4, «Intorno all’intelletto e alla sensazione»])

Il devoto a Dio è lo Gnostico, e coloro che sono Gnostici, nell’originale sono «coloro
che sono nella Gnosi». È di notevole interesse confrontare questo semplice resoconto dei
fatti indirizzato a «coloro che sono nella Gnosi» con le ben note parole adattate da qualche
arcaica raccolta di «Logoi del Signore» a beneficio di «coloro che sono nella Fede». Non
sappiamo quale fosse la forma originale dei Detti preservati dal primo e dal terzo evange-
lista, e chissà che un giorno la “discarica” dell’Ossirinco possa fornirci qualche indizio <in
merito>. È probabile che alcuni di questi «Detti del Signore», che nella versione originale
circolavano nelle comunità di adepti, siano stati successivamente adattati al tono profetico
da un evangelista Cristiano anteriormente ai nostri primo e terzo sinottici. Vediamo pertan-
to il redattore del [p. 57] nostro Primo Vangelo trasmettere uno di questi Detti così:

Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di


male contro di voi per causa mia. [Mt. 5.11, trad. Bibbia di Gerusalemme]

Qui, «mentendo» è chiaramente l’interpolazione di un qualche scriba scrupoloso, consa-


pevole del fatto che vi erano cose che avrebbero potuto essere legittimamente dette contro
di loro; il terzo evangelista si mantiene invece più vicino all’originale scrivendo:

Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v’insulteran-
no e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell’Uomo. [Lc. 6.22,
trad. Bibbia di Gerusalemme; corsivi nell’originale]

Ciò nondimeno, sembra comunque esservi stata la fusione di due tradizioni prima che
il Detto giungesse nelle mani del nostro terzo evangelista. L’antitesi fra «gli uomini» e «il
Figlio dell’Uomo» è ben nota nei [p. 58] sermoni Trismegistici, e chiaramente riconoscibi-
le da chiunque sia a conoscenza del «Mito dell’Uomo nei Misteri» (i: 138-98 [96-132]);26
come tale, va ovviamente differenziata dal «per causa mia» del primo evangelista. Laddove
la messa al bando e il rifiuto del nome come scellerato vanno intesi, a mio parere, come
espulsioni di membri dalla comunità e rimozione dei loro nomi dalla lista dei confratelli.
Ma per tornare alla Gnosi. La devozione è Gnosi di Dio. La vera Pietà «non è null’altro se

26 Come già accennato (v. supra, n. 13), nell’introduzione a questo capitolo del primo volume di
TGH, Mead chiarisce: «Quest’Uomo o Anthropos è il Prototipo Spirituale dell’umanità e di
ogni essere umano individuale, ed è termine tecnico rinvenibile in diversi sistemi gnostici cri-
stianizzati» (i: 139 [96]). In sostanza la rivendicazione di questi Gnostici era che «il Cristianesi-
mo, o meglio la Buona Novella del Cristo, rappresentasse il coronamento della dottrina interiore
delle istituzioni Misteriche di tutte le tradizioni, il cui fine ultimo consisteva nella rivelazione
del Mistero dell’Uomo» [97-98].
70 George Robert Stowe Mead

non gnosi di Dio», come Lattanzio, citando Hermes, rende in latino (ii. 243 [153]).27 Questa pie-
tà, tuttavia, è qualcosa di diverso dai pii esercizi e dalla pratica dell’adorazione fervente; condu-
ce alla «completa e perfetta contemplazione», e include «l’apprendimento delle cose-che-sono,
la contemplazione delle loro nature e la [p. 59] conoscenza di Dio» [C.H. I.3, «Poemandres»];
o, in altre parole, il venire «istruito sulla natura del tutto e sulla Visione Suprema.» (ii: 264 [168;
C.H. I.27, «Poemandres»] Ma tale Visione Suprema, se ben intendo, non è un rapimento nelle
regioni sovracelesti, bensì un Vedere il Bene in tutto. Giacché il Maestro di questa Via insegna al
suo discepolo la Gnosi del Bene, cioè a dire la Gnosi di Dio, servendosi di queste parole:

Allora veramente lo vedrai, quando non avrai più niente da dire su di lui, giacché la Gnosi
del Bene è divino silenzio e inazione assoluta di tutti i nostri sensi. [ii: 144 [92; CH X.5, «La
chiave»])

È il conseguimento del “senso totale”, del “senso comune”, del “senso intellettivo”.

Chi ha concepito questo non può più concepire altro, e chi l’ha contemplato non può
contemplare altro, né sentir parlare d’altro. …
[p. 60] E poiché tale luce ha illuminato tutto l’intelletto, infiamma [illumina] anche l’ani-
ma intera, l’attrae attraverso il [fuori dal] corpo e trasforma l’uomo intero in essenza.
È infatti possibile, o figlio, che l’anima umana sia resa divina mentre ancora è nel corpo
se ha contemplato la Bellezza del Bene. (ii: 144 [92-93; CH X.5-6, «La chiave»])28

27 «Pietas autem nihil aliud est quam dei notio»; la traduzione latina di Lattanzio è citata da Mead
in iii: 153 n.
28 Tutte le traduzioni di questo passo, ad eccezione di quella di Mead, mettono l’accento sull’im-
possibilità (adynaton) della deificazione o apoteosi in vita. In nota alla sua traduzione, Valeria
Schiavone commenta: «Viene qui indicato un limite fondamentale dell’esperienza mistica pos-
sibile “quaggiù”. La contemplazione tiene l’uomo come “sospeso” tra terra e cielo: lo attrae e lo
assorbe in modo violento e radicale nella luce, ma solo rispetto alla sua essenza divina, giacché
la trasformazione totale, la divinizzazione autentica non può avvenire finché il corpo vincola
l’uomo alla terra». Commento tanto più inspiegabile e contradditorio in quanto la parte con-
clusiva del sermone, e le note della curatrice, prospettano l’esatto contrario. Dunque, avrebbe
Mead deliberatamente “malinteso” il passo in questione? Io non credo, anzi credo il contrario,
cioè che siano gli altri traduttori ad aver “malinteso” il senso dell’originale – che d’altronde
perderebbe tutto il suo senso, e diverrebbe inspiegabilmente contradditorio, qualora fosse san-
cita l’impossibilità dell’apoteosi in vita. Questo è ovviamente un punto d’importanza capitale,
e da sempre oggetto di scontro tra la concezione gnostica e quella delle religioni monoteistiche.
Invece di mettere l’accento sull’impossibilità di raggiungere l’apoteosi per coloro che in vita
non hanno contemplato la Bellezza del Bene, Mead sceglie di invertire la prospettiva al fine
di rendere impossibile, appunto, ogni malinteso. D’altronde, Mead nelle pagine seguenti cita
quanto Hermes dice poco oltre, riprendendo e riassumendo l’argomento: «la virtù dell’anima è
la Gnosi. Poiché colui che conosce è buono, devoto e già divino [mentre è ancora in terra] …
la conoscenza è il compimento della scienza, e la scienza è dono di Dio» (CH X.9). V. anche
il commento a questo passo, dove Mead sottolinea le assonanze con lo Yoga delle Upanishad
(ii: 103-04) e, in relazione a CH X.9, conclude dicendo: «Gnosi è l’apoteosi della mente, la sua
percezione immediata delle cose-che-sono – cioè il Cosmo Intelligibile» (106). Lettura questa
peraltro confermata dai testi ermetici di Nag Hammadi: «Ciò che importa per l’Ermetista, che
in questo concorda con i mistici di ogni tempo, è che la visione di Dio e l’unione con lui può già
avvenire durante la vita terrena. Tale visione viene vissuta come dono proveniente dall’aldilà,
NHC VI, 57. 29-30: “La potenza che è luce viene verso di noi!”» (Van den Broek 2000: 95).
La Gnosi della Mente 71

È, questa, la “deificazione” o “apoteosi” dell’essere umano, che diviene simile a Dio, in


quanto diviene un Dio. La Bellezza del Bene è l’Ordine Cosmico; e la modalità di medi-
tazione consisteva nell’autorealizzazione per mezzo della quale l’anima veniva portata a
vibrare all’unisono con l’Anima Cosmica.
E così, parlando di una tale anima, di un certo gnostico veramente devoto, Hermes scrive:

Al contrario, l’intelletto entra nell’anima pia e la guida verso la Luce della Gnosi. E tale
anima mai [p. 61] si stanca di lodare Dio, e di benedire tutti gli uomini e di fare del bene a
tutti con atti e parole, a imitazione del Padre. (ii: 155 [98; CH X.21, «La chiave»])

E così nuovamente nelle prediche pubbliche, mettendo le moltitudini in guardia contro


la “forte corrente” dell’ignoranza, il missionario della Gnosi ed evangelista della Salvezza
li esorta, dicendo:

Non lasciatevi dunque trascinare dalla forte corrente, ma sfruttando il riflusso, voi che
potete, approdate al porto della Salvezza e, gettatavi l’ancora, cercate una guida che vi con-
duca per mano alle Porte della Gnosi, là dove è splendore di chiara Luce, depurata da ogni
tenebra, dove nessuno è ubriaco ma tutti in sobrietà contemplano con l’occhio del cuore
Colui che desidera di essere contemplato. Egli infatti non è udibile [con le orecchie], visi-
bile con gli occhi o dicibile [con la parola], [p. 62] ma solo con l’intelletto [νοῦς] e il cuore.
(ii: 121 [77; CH VII.2, «Nessuno degli esseri perisce ed erra chi definisce i cambiamenti
distruzioni e morti»])

Da questa predica apprendiamo l’interessante fatto che vi era una qualche vasta organiz-
zazione che l’evangelista Gnostico considerava essere porto di Salvezza, una rada in cui
rifugiarsi per i più; ma anche quando si fosse al riparo nella quiete di una disciplina in grado
di calmare le onde della forte corrente delle passioni e dell’ignoranza, un’ulteriore avven-
tura attendeva l’anima prima che la Luce di un Nuovo Giorno potesse spuntare. Si rendeva
necessario trovare una guida che fosse a conoscenza della Via che conduce alle Porte del
Sole Spirituale, uno che fosse “nella Gnosi” e non solo “nella Fede”.
La fede infatti dipende dai sentimenti, dai sensi, e non dalla conoscenza; come dice
Hermes:

La Gnosi è tutt’altra cosa dalla sensazione. La sensazione infatti è generata da ciò che ci
domina, allorché la Gnosi è il compimento, il fine della scienza, e la [p. 63] scienza è dono
di Dio. (ii: 147 [94; CH X.9, «La chiave»])

Indubbiamente è possibile trovare riparo nel Porto di Salvezza mediante la Fede; ma la


Salvezza in quanto tale è Gnosi.

Questa è la sola Salvezza per l’essere umano: la Gnosi di Dio. Questa è l’ascesa al Monte
[degli Dei, lett. l’Olimpo]. Solo grazie a Dio <così> l’anima diventa buona, non talvolta
buona, talvolta cattiva, ma buona necessariamente. (ii: 150 [96; CH X.15, «La chiave»])29

29 Anche qui la traduzione di Mead si discosta sostanzialmente da tutte le altre, che dicono:
«Solo così l’anima è buona, ma non rimane buona per sempre, anzi, diventa cattiva e lo di-
venta necessariamente.»
72 George Robert Stowe Mead

E ancora afferma:

La virtù dell’anima è la Gnosi. Poiché colui che conosce è buono, devoto e già divino
[mentre ancora in terra]. (ii: 146 [93; CH X.9, «La chiave»])

In questa visione del mistero infatti, in accordo con gli insegnamenti del Buddha, e con
la teosofia indiana in generale, “l’ignoranza è il vizio dell’anima”. Pertanto vediamo che è
la Gnosi a condurre la serie delle virtù – Gnosi, Gioia, Autocontrollo, Astinenza, Giustizia,
Generosità, [p. 64] Verità; un “settenario” perfettamente compiuto nella divina triade di
Vita, Luce e Bene (ii: 246 [156]). Gnosi infatti è ciò che dispensa vita a tutto, e luce a tutto
e bene a tutto (ii: 296 [188]). Pertanto il Maestro, durante il rito spirituale teurgico nel quale
consacra il suo beneamato figlio alla vita benedetta, dichiara:

La Gnosi di Dio è venuta a noi, e quando giunge, o figlio, l’insipienza è scacciata.


La Gnosi della Gioia è venuta a noi; e giungendo, figlio mio, l’afflizione fuggirà verso
coloro che le danno spazio. (ii: 225 [142; CH XIII.8, «Discorso segreto sulla montagna»])

È infatti grazie a questa “messa in forma secondo la Gnosi” che l’essere umano è reso
conforme all’Uomo Magno, alla Buona Mente30 o Ragione di Dio. Questa Gnosi non è solo
Luce e Vita, la padre-maternità di Dio, ma anche Amore. È questo Amore della Gnosi, di
ciò che dona luce e [p. 65] vita a tutto, a spronare il discepolo; è lo Spirare di Dio stesso a
rinvigorire il cuore, ispirandoci. È la Provvidenza o Antivedere di Dio, lo Spirito Santo. E
pertanto in uno dei discorsi sacri, detto «Sermone Perfetto», leggiamo:

A costoro, con reverenza immersi in appropriato silenzio, l’anima e la mente di ciascuno


pendenti dalle labbra di Hermes, il Divino Amore cominciò così a parlare. (iii: 260 [168; ma
la citazione è in primis da ii, 198; «Asclepius», I])

Per essere Conoscenti dobbiamo essere Amanti; dobbiamo avere «un Solo Amore (di-
lectum simplicem), l’amore per l’amore della sapienza <philosophia>, che consiste unica-
mente nella conoscenza della Divinità mediante contemplazione assidua e santa devozione
(sancta religio)» (ii: 330 [210; «Asclepius» XII]).
In merito a tali Amanti e tali Gnostici leggiamo:

Ma coloro che partecipano del dono di Dio, o figlio, a giudicare dalle loro opere, si sono
resi [p. 66] liberi dal laccio della morte; poiché circomprendono (abbracciano) nel loro in-
telletto [νοῦς] ogni cosa: ogni cosa terrena, celeste e anche ciò che può trovarsi al di sopra
dei cieli. Ed essendosi elevati fin lassù, avvistano il Bene, e avendolo avvistato, considerano
una sventura la loro dimora quaggiù. Disattendendo ogni cosa e corporea e incorporea si
affrettano verso l’Uno e Solo.

Questa, o Tat, è la Gnosi della Mente, visione di cose divine e cognizione di Dio, poiché
divina è la Mente <il cratere>. (ii: 87-88 [57; CH IV.5, «Il cratere o la monade»])

30 Buona Mente traduce ευ-νοῦς, nome che Dante dà al secondo dei fiumi del Paradiso Terrestre
(Eunoè), nelle cui acque deve venire immerso prima di poter accedere ai cieli del Paradiso (v.
infra il contributo di Boccassini).
La Gnosi della Mente 73

Per quanto difficile sia abbandonare «le cose cui siamo abituati» [CH IV.9], le cose della
nostra consuetudine, non vi è alternativa se vogliamo entrare nella Via della Gnosi. Eppure
non è, questa, una Via nuova, un procedere verso terre sconosciute (sebbene possa averne
[p. 67] le parvenze). L’ingresso nella Via della Gnosi è un Recarsi a Casa; è un Ritorno –
un Tornare Indietro (un vero e proprio Pentimento della natura tutta). «Dobbiamo volgerci
all’Antica, Antichissima Via.» (ii: 98 [64, ma anche 58, CH IV.9]31
E coloro che così si “pentono” troveranno promesse e parole di grande consolazione,
pronunciate dalla Mente Stessa, nel Vangelo della Gnosi detto «Il Pastore degli Uomini»32:

Io, la Mente [il νοῦς] sono vicino ai santi, ai buoni, ai puri e misericordiosi, a coloro che
vivono piamente. Per costoro la mia presenza diviene un aiuto, e subito acquisiscono Gnosi
di ogni cosa, e si propiziano l’amore del Padre vivendo una vita pura, e Gli rendono grazie,
benedicendolo e a lui inneggiando, assorti in Lui con amore ardente. (ii: 14 [9; CH I.22,
«Poemandres»])

Alla veridicità di queste parole [p. 68] porta testimonianza uno di quelli nella Gnosi, che
avendo udito, e creduto e compreso, scrive:

Dopo aver reso grazie e lodato il Padre delle Potenze universali,33 fui da lui congedato,
ricolmo dei Poteri che aveva in me riversato, e di quanto mi aveva insegnato sulla natura del
tutto e sulla visione suprema. (ii: 17 [10], CH I.27, «Poemandre»])

In conseguenza di ciò, inizia ad annunciare agli uomini «la Bellezza della Devozione
e della Gnosi» [ibid.], in quanto che non può esimersi dal pronunciare la Parola, essendo
divenuto un conoscitore, un fattore, e non solo un uditore. Non prega più per sé, ma per
poter essere lo strumento mediante il quale il resto dell’umanità possa giungere alla Luce
e alla Vita, dicendo:

Dammi ascolto, a me che chiedo di non venir mai meno nella Gnosi che è la nostra comu-
ne essenza; [p. 69] colmami dei Tuoi Poteri e della Tua Grazia, affinché io possa illuminare
coloro della mia specie34 che sono nell’ignoranza, miei fratelli e Tuoi figli. (ii: 20 [12; CH
I.32, «Poemandres»]).

31 A seguito di questa citazione, in TGH Mead conclude il suo commento a CH IV con la seguente
frase: «E per i seguaci della Dottrina di Hermes Trismegisto, questa Antica, Antichissima Via
non poteva essere altro che la Sapienza Arcaica dell’Antico Egitto. Pertanto la Gnosi era la
Sapienza Egiziana.» (ii, 98 [64]).
32 Cioè a dire CH I, «Poemandres». Sui significati del termine, e sulle origini inoppugnabilmente egizie
della figura del “pastore d’uomini”, attributo di Re e del suo ministro Thot, v. Kingsley 2000b: 57, 61.
33 L’originale dice il Padre di tutte le cose; qui Mead anticipa su quanto viene subito dopo.
34 Greco γένους; la traduzione standard è naturalmente “razza”, termine che ha dato adito a ogni
sorta di abusi. Propongo “gente” per chiarire che l’adepto intende comunicare la luce della
Gnosi ai suoi fratelli, cioè agli esseri umani, e in particolare a quelli fra gli esseri umani che
si dimostrano sensibili a tale annuncio e richiamo (altri, sostengono i trattati del CH, a ciò si
dimostrano refrattari, quantomeno a un certo stadio della loro esistenza). Altri mezzi di comu-
nicazione di tale luce sono all’opera, si potrebbe argomentare, nel cosmo per raggiungere altre
specie di esseri viventi (cf. Dante, Pd 1). Mi pare una lettura maggiormente in linea con lo
spirito della Gnosi, e comunque necessaria per sgombrare il campo, ancora una volta, da quei
74 George Robert Stowe Mead

Su questi accenni relativi alla Gnosi della Mente, estratti da un patrimonio di consimi-
li nobili insegnamenti, concludiamo il primo volume di questi «Echi dalla Gnosi», nella
speranza che vi sia chi si volgerà direttamente verso gli originali per «leggerli, annotarli,
apprenderli e assimilarli».35

Opere citate

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Co.
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–. 2001. Ermete Trismegisto. Corpus Hermeticum, introduzione, traduzione e note di Valeria Schia-
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Mead, G.R.S. EFG. Echoes from the Gnosis. 1. The Gnosis of the Mind. 2. The Hymns of Hermes. 3.
The Vision of Aridæus. 4. The Hymn of Jesus. 5. The Mysteries of Mithra. 6. A Mithraic Ritual. 7.
The Gnostic Crucifixion. 8. The Chaldæan Oracles I. 9. The Chaldæan Oracles II. 10. The Hymn
of the Robe of Glory. 11. The Wedding-Song of Wisdom.
La serie di undici libretti apparve originariamente fra il 1906 e il 1908, e riproduzioni fotografiche
degli originali sono disponibili sullo web. Nel 2006 è stata pubblicata un’edizione commemorativa
in occasione del centenario, con nuova paginazione: Echoes from the Gnosis, ed. by John Algeo,

malintesi razziali di cui è stata afflitta la rilettura dei testi, ermetici e non solo, nei primi decenni
del secolo scorso per ragioni del tutto contingenti a quel tempo, e che nulla, naturalmente, han-
no a che vedere con le intenzioni originali dei testi.
35 Citazione dalla preghiera per la seconda domenica dell’Avvento, dal Book of Common Prayer
(1549, con varie revisioni successive), a tutt’oggi in uso nella Chiesa Anglicana. La preghiera
nel suo insieme recita: «Blessed Lord, who hast caused all holy Scriptures to be written for
our learning: Grant that we may in such wise hear them, read, mark, learn, and inwardly digest
them, that by patience and comfort of thy holy Word, we may embrace and ever hold fast the
blessed hope of everlasting life, which thou hast given us in our Saviour Jesus Christ. Amen.»
La Gnosi della Mente 75

with bibliographical and explanatory introductions by Robert A. Gilbert and Stephan A. Hoeller.
Wheaton ILL: Quest Books, 2006.
–. TGH. Thrice-Greatest Hermes. Studies in Hellenistic Theosophy and Gnosis, being a translation
of the extant sermons and fragments of the Trismegistic literature with prolegomena, commentari-
es and notes by G.R.S. Mead. London: The Theosophical Publishing Company, 1906.
La recente riedizione di Martino Publishing, 2013 si dichiara un reprint di quella originale del
1906, ma non è così, in quanto la paginazione è diversa; sebbene non abbia potuto verificare di
persona, ritengo possa trattarsi della riproduzione dell’edizione 1949 (London: Watkins). Essendo
questa l’unica edizione a stampa attualmente disponibile, ne ho indicato la paginazione tra paren-
tesi quadre; l’originale del 1906, con relativa paginazione, è invece disponibile su diversi siti web.
Owens, Lance S. 2013. «Foreward», in Ribi 2013. 1-36.
Poimandres. 2000. From Poimandres to Jacob Böhme: Gnosis, Hermetism and the Christian Tradi-
tion, ed. by Roelof Van den Broek and Cis Van Heertum. Amsterdam: In de Pelicaan.
Ribi, Alfred. 2013. The Search for Roots. C. G. Jung and the Tradition of Gnosis. Los Angeles and
Salt Lake City: Gnosis Archive Books.
Van den Broek, Roelof. 2000. «Religious Practices in the Hermetic Lodge: New Light from Nag
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Albany NY: SUNY Press.
Zosimo di Panopoli. 2004. Visioni e risvegli, a cura di Angelo Tonelli. Milano: Rizzoli (BUR).

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