Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Con la presente comunicazione vorrei cominciare a mettere a punto una serie di dati sull'origina-
rio assetto complessivo dell'opera di Filodemo di Gadara I vizi e le virtù contrapposte e al tempo stesso
tentare di chiarire una volta per tutte se, come e quanti tra i rotoli ercolanesi via via attribuiti nel corso
dei decenni a questo grosso trattato epicureo si inseriscano effettivamente all'interno di esso. La legitti-
mità di questa puntualizzazione papirologico-bibliologica, alla quale sono stato indotto dallo studio dei
materiali filodemei dedicati all'adulazione, nasce dal fatto che il De vitiis è l'unico dei trattati di ampio
respiro, composti dal Gadarese, di cui, finora, non è stata tentata una complessiva ricostruzione. Una
schizzo di questa opera, rapido ma buono, fu delineato nel 1994 da A. Angeli nell'àmbito di una storia
dello svolgimento dei papiri carbonizzati.1
Credo che ormai nessuno metta più in dubbio che il grosso trattato
-
μ vada assolutamente distinto dall'altro, verosimilmente anch'esso articolato in una serie
di libri, intitolato
(del quale abbiamo il libro dedicato alla libertà di parola nel
P.Herc. 1471), come ha dimostrato il Gigante,2 che ha respinto la tesi di R. Philippson,3 il quale mostrò
di considerare i due titoli varianti di un medesima trattazione etica, sviluppatasi secondo un progetto
espositivo che in un primo momento era limitato solo ai vizi e alla virtù e poi, ampliatosi col tempo,
avrebbe preso in esame anche altri comportamenti che non possono essere compresi tra quelli.4 Oppor-
tunamente lo stesso Gigante ha messo in evidenza come i due trattati vadano distinti dall'altro libro
filodemeo (P.Herc. 182). A suo avviso, infatti, mentre nel
il Gadarese
prendeva in esame i vizi e le virtù ad essi corrispondenti, nel egli esamina i comportamenti,
i modi di vita, tra i quali rientra anche la libertà di parola; l' , a sua volta, non può essere conside-
rata né un vizio né un modo di vita bensì un , vale a dire un'affezione. Non è escluso che
l'epicureo avesse scritto un'opera
, della quale potrebbe aver fatto parte, oltre al libro
sull'ira, quello dedicato all'invidia conservato nel P.Herc. 1678.5
1 A. Angeli, "Lo svolgimento dei papiri carbonizzati," in M. Capasso (ed.), Il rotolo librario: fabbricazione, restauro,
organizzazione interna. Pap.Lup. 3 (Lecce 1994) sp. 76–80.
2 Cf. M. Gigante, Ricerche filodemee (Napoli 1983) 60 s.
3 Cf. R. Philippson, RE s.v. Philodemos, col. 2468 = eund., in C.J. Classen et al. (edd.), Studien zu Epikur und den
Comparetti - G. De Petra (edd.), La Villa Ercolanese dei Pisoni. I suoi monumenti e la sua biblioteca (Torino 1883, rist.
Napoli 1972) 69 s., 72, aveva pensato a qualcosa di analogo. Secondo lo studioso, infatti, è possibile che Filodemo "nello
scrivere vari trattati speciali su taluni vizi e poi anche su qualche virtù, intendesse riunirli in un'opera generale, di cui però
pare che il piano fosse da lui concepito in limiti talvolta meno, talvolta più larghi, fino ad abbracciare tutti i vizi e tutte le
virtù." Per il Comparetti il punto di partenza dell'impresa concepita dall'epicureo sarebbe rappresentato dal
.
5 Il P.Herc. 1678, che W. Crönert, Kolotes und Menedemos (Lipsia 1906, rist. Amsterdam 1965) 176 e D. Bassi,
98 Mario Capasso
Come è noto, il titolo del trattato ci è giunto in quattro differenti versioni, diversamente estese.6
1.
!
!
μ !
!
2.
!
!
3.
!
!
μ !
4.
!7
Le quattro versioni del titolo8 mostrano senza dubbio, come già mi è occorso di osservare,9 che
l'attenzione di Filodemo, philosophus medicans,10 è rivolta essenzialmente ai vizi e alla loro terapia:
l'analisi di un vizio era la cosa principale e ogni riferimento alla virtù ad esso contrapposta era conte-
stuale a questa analisi, non sviluppata in libri a parte, dedicati espressamente alle virtù. Significativa la
versione più estesa del titolo, che tradurrei: I vizi e le contrapposte virtù, ciò di cui essi constano e le
cose ad essi vicine. Dunque Filodemo si propone un esame davvero complessivo dei vizi: essi vengono
analizzati nella loro totalità: in relazione alle virtù ad essi opposte, nella loro struttura costitutiva e,
infine, in rapporto a tutto quanto è variamente legato ad essi; dunque la trattazione comprende anche
ciò che è affine ai vizi, nel senso che l'autore, individuato un vizio, lo esamina a fondo, soffermandosi
su tutti i comportamenti negativi che comunque rientrano nel suo àmbito e perciò possono essere
ritenuti espressione di quello stesso vizio. Il titolo di questo suo trattato ci rivela, dunque, un Filodemo,
per dir così, programmaticamente proiettato nell'osservazione e nella definizione della fenomenologia
di tutte le miserie comportamentali umane e quanto del trattato si è conservato in fondo mostra che
l'autore si è poi davvero impegnato in questo senso. L'ampiezza del progetto espositivo di Filodemo è
confermata del resto dal numero complessivo dei libri in cui il trattato si articolava: almeno dieci; è
noto infatti che alla fine del decimo libro, conservato nel P.Herc. 1008, l'autore dichiara l'intenzione di
aggiungere ad esso (scil. μ
μμ) !
!
μ μ
(col. XXIV 21–26 Jensen), espressione che, da un lato, ancóra una volta chiarisce l'intenzione
"[μ
]," Riv. Indo-Greco-Italica 4 (1920) 65–67, ritennero contenesse un libro -
, contiene, invece, secondo l'ultima sua editrice, A. Tepedino, "Il PHerc. 1678: Filodemo Sull'invidia?," CronErc
15 (1985) 113–125, un'opera !
. In passato si è sostenuto che il libro potesse aver fatto
parte del De vitiis; tale ipotesi, prospettata in qualche modo molto recentemente anche da H. Essler, "Zu den Werktiteln
Philodems," CronErc 37 (2007) 132 è sicuramente da respingere. Sull'ipotesi che Filodemo abbia scritto un !
cf. T. Dorandi, "Filodemo: gli orientamenti della ricerca attuale," ANRW II 36.4 (1990) 2351.
6 Cf. M. Capasso, "Les livres sur la flatterie dans le De vitiis de Philodème," in C. Auvray-Assayas, D. Delattre,
sponde in tutto e per tutto a nessuno dei titoli delle opere dei fondatori del Giardino (katheghemones) a noi noti, ma
richiama quello dell'opera di Epicuro
! ! ricordata da Diogene Laerzio (X 28).
8 Sulle tipologie grafiche in cui tali titoli sono delineati cf. G. Del Mastro, "La subscriptio del PHerc. 1005 e altri titoli
10 Sul ruolo della medicina nella filosofia e sulla filosofia come cura e correzione dei mali nell'epicureismo cf. M.
di fondo di guardare sostanzialmente ai vizi e, dall'altro, fa ritenere che il trattato potrebbe avere avuto
un undicesimo libro.11
Quando fu scritto il De vitiis? Basandosi sull'analisi grafica dei materiali Cavallo pone l'opera,
insieme al
μ
e al , "più o meno oltre la metà del I secolo a.C."12 Egli
infatti riunisce le scritture dei papiri contenenti libri del De vitiis o ad esso attribuiti in un medesimo
gruppo (gruppo P),13 individuando in 16 di essi una medesima mano (scriba XXV).14 Cavallo15 ricono-
sce la difficoltà di datare questa tipologia grafica, caratterizzata "da una semplicità di tracciato e da
una sobrietà di stile [. . .] che tra i papiri letterari greco-egizi non paiono manifestarsi anteriormente al
tardo I secolo d.C., ma che si diffondono solo a partire dal II-III." Egli parla di un possibile "fenomeno
di particolarismo diacronico fra aree diverse" oppure di una ripresa arcaizzante nel II sec. d.C. "di
scritture più antiche finora non restituiteci dall'Egitto ma testimoniate a Ercolano." A me sembra
comunque difficile che un trattato così ampio ed articolato, che rivela un grosso impegno moralizza-
tore di Filodemo e presuppone inevitabilmente una conoscenza non superficiale della società e dei
costumi di Roma, non risalga alla maturità del Gadarese. Di conseguenza, al di là di quello che può
indicare la fenomenologia grafica dei vari rotoli, la possibilità che l'opera si stata scritta intorno alla
metà del I sec. a.C. è senz'altro verosimile.
Complessivamente al De vitiis sono stati in diversi momenti attribuiti i seguenti 23 papiri: P.Herc.
222, 223, 237, 245, 253, 415, 421, 465, 479, 896, 1008, 1077 (frr. 8-10, 12), 1017, 1082, 1089,
1090, 1424, 1457, 1613, 1643, 1645, 1675, Paris 2. È possibile suddividere questi materiali in cinque
gruppi di consistenza diversa:
1. il gruppo e dei vizi affini (P.Herc. 222, 223, 237, 245, 479, 1082, 1089,
1457, 1643, 1645, 1675)
2. il gruppo forse
(P.Herc. 253, 415, 421, 465, 896, 1090, 1613, 1077
frr. 8–10, 12, 1645)
3. il libro IX,
μ (P.Herc. 1424)
4. il libro X,
(P.Herc. 1008)16
5. il libro forse
(P.Herc. Paris 2)
15 Cf. ibid. 54 s.
16 Su questo papiro si veda adesso G. Ranocchia, Aristone Sul modo di liberare dalla superbia nel decimo libro De
vitiis di Filodemo (Firenze 2007) sp. 209–35. In questo volume Ranocchia, purtroppo, continua ad attribuire allo stoico
Aristone di Chio la paternità dello scritto De liberando a superbia di cui Filodemo nel libro riporta i punti salienti; ma
l'autore di quell'opera è sicuramente il peripatetico Aristone di Ceo, come ben vide e dimostrò W. Knögel, Der Peripatetiker
Ariston von Keos bei Philodem (Lipsia 1933). Si vedano da ultimo l'espressione di M. Gigante, "Libri morali di Filodemo,"
CronErc 30 (2000) 122 e di A. Angeli, "Luigi Caterino, editore del decimo libro del trattato filodemeo Sui vizi," in M.
Capasso (ed.), Da Ercolano all'Egitto. V. Ricerche varie di papirologia. Pap.Lup. 15 (2006) 84 s.
100 Mario Capasso
A questi cinque gruppi si potrebbero molto verosimilmente aggiungere un sesto, costituito dal libro
contenuto nel P.Herc. 1017, che dal Bassi17 in poi si è ritenuto contenesse forse un e che
invece sembra trattare di una non meglio identificata virtù politica,18 ed un settimo, rappresentato dal
P.Herc. 1025, che in precedenza si è ritenuto contenesse un
19 ma che più prudente-
mente si pensa avesse un contenuto etico, che ruotava tra l'altro intorno al concetto della .
Nella presente occasione mi soffermerò sui gruppi 1 e 2.
Gruppo 1:
. Sicuramente appartengono alla sezione sull'adulazione i P.Herc.
222, che ha anche il sottotitolo del libro, 1457 e 1675, che trattano dell'argomento ed hanno diversi
titoli. L'attribuzione degli altri papiri a questa sezione è stata fondata sul contenuto e sul fatto che a
trascriverne il testo è stato il medesimo scriba che lavorò su quei tre rotoli. Il titolo iniziale del P.Herc.
222, μ
, ,
- , ci dice che il papiro conteneva il primo libro, consacrato al vizio dell'adulazione: è merito
della Angeli avere letto nel 1994,20 alla l. 3 del titolo, al posto dello , erroneamente delineato dal
disegnatore Francesco Casanova. Una reiterata ispezione dell'originale mi ha permesso di confermare
che il numero è proprio .21 Vorrei che in proposito non ci fosse più alcun dubbio. Il disegnatore fu
ingannato dall'increspatura della superficie del papiro, che, al di sopra e al di sotto dell'asta obliqua,
crea l'effetto di due tratti orizzontali, tratti che sono in realtà solo due ombre e che scompaiono se si
inclina la tavoletta su cui è applicato il papiro. Sino al 1994, anno in cui la Angeli ha reso noto l' nel
titolo del P.Herc. 222, la collocazione dei libri De adulatione all'interno del De vitiis ruotava intorno
allo erroneamente disegnato dal Casanova. Proprio questo indusse nel 1914 D. Bassi a intravedere,
nel titolo finale del P.Herc. 1675, anch'esso dedicato all'adulazione, tracce di uno stigma,22 lettera che
nel 1926 V. De Falco, nella sua edizione di questo stesso papiro, leggeva quasi per intero.23 Lo stesso
De Falco, tendendo conto di queste presunte lettere nei due titoli, proponeva la seguente originaria
articolazione dei libri sull'adulazione all'interno del trattato Sui vizi:
In realtà né lo né lo stigma furono mai scritti nei due papiri. Eppure, malauguratamente, appena
nel 2000, forse con scarsa serenità ed obiettività, si è voluto ripresentare i due titoli con queste due
Questi due libri furono trascritti da una stesso mano, la medesima che delineò i P.Herc. 223, 1082,
1089, 1643. Nei due libri Filodemo affronta la disamina della in tutti i suoi aspetti, percor-
rendo evidentemente la vasta gamma di situazioni e comportamenti cui essa può dar vita, e lo fa in
apertura del suo trattato, evidentemente perché lo ritiene un argomento particolarmente delicato ed
attuale, da affrontare sùbito.
I P.Herc. 237, 245, 479, 1645 furono attribuiti dal Crönert al
sulla base di
qualche frammento di parola individuabile nei rispettivi disegni;27 tuttavia non sembra possibile con-
fermare la proposta dello studioso. Del P.Herc. 237 resta una scorza ridotta in frantumi; il P.Herc. 245
fa invece parte, come intuito dal Sudhaus,28 della Rhetorica;29 il P.Herc. 479, secondo quanto
1457)," Rudiae 7 (1995) 103–111; eund., op.cit. (sopra, n. 6) 187. Sul P.Herc. 1082 cf. adesso R. Janko, "New Fragments
of Epicurus, Metrodorus, Demetrius Laco, Philodemus, the Carmen De bello Actiaco and Other Texts in Oxonian Disegni
of 1788-1782," CronErc 38 (2008) 74–76.
27 Cf. W. Crönert, Memoria Graeca Herculanensis (Lipsia 1903, rist. Hildesheim 1963) 3. L'attribuzione del P.Herc.
479 era avanzata con qualche incertezza. Successivamente il Crönert attribuì il P.Herc. 1645 al
, cf.
infra.
28 Cf. S. Sudhaus, Philodemi Volumina Rhetorica II (Lipsia 1896, rist. Amsterdam 1964) 176–178.
29 Cf. T. Dorandi, "Due 'edizioni' del IV libro della Retorica di Filodemo," ZPE 81 (1990) 33–35.
102 Mario Capasso
dimostrato da Cavallo, è stato vergato da una mano diversa (Anonimo X),30 del tutto assente tra i libri
De vitiis. Il P.Herc. 1645, attribuito dallo stesso Crönert31 al gruppo
, viene fatto
risalire ad un'epoca prefilodemea.32
Gruppo 2: il così detto
. Come è noto, nessun titolo dei papiri filodemei
attesta che uno o più libri del De vitiis fossero dedicati all'avarizia. Fu il Comparetti nel 1883, sulla
base della ricorrente presenza della parola
nei disegni di quattro papiri sottoposti a
scorzatura (P.Herc. 253, 465, 1090, 1613) a prospettare per primo, sia pure in maniera vaga, la
possibile esistenza di un settore
.33 L'ipotesi fu in séguito ripresa più organicamente
da W. Scott,34 secondo il quale i P.Herc. 253, 465 e 1613, vergati da una stessa mano, risalirebbero ad
un medesimo volumen originario, mentre il P.Herc. 1090, delineato da una mano diversa, potrebbe
avere contenuto una seconda copia dello stesso libro. Ad un settore
pensò anche il
Crönert, che affrontando in più di un'occasione l'argomento,35 attribuì ad esso i P.Herc. 253, 415, 421,
1090, 1613, 1645. Un ulteriore contributo fu dato dal Bassi,36 che escluse dal gruppo il P.Herc. 1645,
attribuendolo al
e, nella scia dello Scott, prospettò l'ipotesi di due rotoli De aviditate:
uno costituito dai P.Herc. 253, 465, 896 e 1613, vergati da una stessa mano; e un altro (o anche altri)
formato dai P.Herc. 415, 421 e 1090, trascritti da mani diverse e contenenti "uno o più duplicati" della
medesima opera. Più recentemente ulteriori progressi sono stati fatti dal Dorandi e dallo Spinelli,37 i
quali sono partiti dal fatto che una parte dei papiri, tradizionalmente attribuiti al
,
come mostrato da Cavallo,38 è stata delineata da un medesimo scriba (Anonimo XXV, lo stesso cui si
deve la trascrizione degli altri rotoli ), e precisamente i P.Herc. 253, 465, 896, 1613 e i frr.
8, 9, 10, 12 del P.Herc. 1077, cui a loro parere va aggiunto il P.Herc. 1090, la cui scorza,
tradizionalmente considerata perduta, sarebbe da individuare in tre dei quattro frammenti del P.Herc.
1077. Secondo i due studiosi i P.Herc. 253, 465, 896, 1090 e 1613 "si ricompongono in un rotolo (o
più?) che in origine conservava uno scritto filodemeo il cui argomento verteva sulla discussione del
vizio della
."39 Qualche possibilità di appartenere a questo stesso gruppo essi riconoscono
anche al P.Herc. 415, di cui rimangono la scorza residua, oggi del tutto illeggibile, e 3 disegni, i quali
35 Cf. Crönert, "Fälschungen in den Abschriften der Herkulanensischen Rollen," RhM 53 (1898) 586 s. = E. Livrea
(ed.), Studi ercolanesi (Napoli 1975) 16 s.; eund., "Neues über Epikur und einige herkulanensische Rollen," RhM 56
(1901) 624 = Studi ercolanesi, 122; eund., op.cit. (sopra, n. 27) 4; eund., op.cit. (sopra, n. 5) 176.
36 D. Bassi, "Papiri Ercolanesi inediti," Classici e Neolatini 3 (1908) 6–11.
37 Cf. T. Dorandi e E. Spinelli, "Ancora su PHerc 1077, fr. B," ZPE 77 (1989) 12; eosd., "Un libro di Filodemo
"presentano una tipologia grafica che, nei limiti imposti dagli apografi, richiama molto da vicino quella
dell' Anonimo XXV" mentre "il contenuto del frammento 3 pare riportare nell'àmbito dell'avarizia."
Dei papiri attribuiti al De aviditate i P.Herc. 253, 415, 465, 1090 e 1613 sono delle scorze residue,
mentre il P.Herc. 896 costituisce un midollo di un volumen srotolato con la macchina del Piaggio. Su
quest'ultimo papiro si legge ancora la l. 1 della subscriptio:
μ. Parzialmente conservata, sul
terzo dei 3 pezzi in cui si articola la scorza superstite, è pure quella del P.Herc. 253: combinando la
lettura fatta nel 1907 da Bassi40 con ciò che ancóra si intravede sull'originale, è possibile ricostruirla nel
modo seguente:
[μ
| ][
]
[
| ]
[ μ .41 Secondo
Dorandi e Spinelli42 il terzo pezzo della scorza del P.Herc. 253 con queste tracce del titolo non fa parte
del papiro, ma è la porzione residua di un altro rotolo, come, a loro avviso, testimonierebbe il fatto che
il disegnatore C. Malesci, trascrivendo nel 1827 il P.Herc. 253, abbia trascurato del tutto le tracce
visibili sulla scorza. Questa possibilità coerirebbe, a loro parere, con la presenza del titolo alla fine del
P.Herc. 896, che costituisce il midollo di un originario rotolo, di cui gli altri papiri (compreso il P.Herc.
253), sottoposti a scorzatura, sarebbero ciò che rimane dell'involucro esterno. I due studiosi escludono
che il P.Herc. 896 e 253 contenessero due copie di un medesimo libro, perché "mancano luoghi paral-
leli tra i supposti rotoli."43
Credo che ci troviamo dinanzi ad un tipico caso in cui ciò che sappiamo del procedimento della
scorzatura finisce con l'essere in qualche modo fuorviante.44 I due studiosi hanno ragionato così: dati
un foglio finale con un titolo e un midollo con un titolo, uno dei due è di troppo, vale a dire impedisce
la possibilità che entrambi risalgano allo stesso volumen originario, perciò uno dei due va eliminato, nel
senso che deve appartenere a un altro papiro. Ma non è possibile smembrare i tre pezzi della scorza del
P.Herc. 253: il terzo pezzo, su cui sono i resti del titolo, presenta la stessa carta, intesa come configura-
zione di ordito, lo stesso grado di carbonizzazione e lo stesso colore degli altri due; non solo, ma sul suo
margine sinistro ci sono alcune lettere sovrapposte e bisovrapposte che sono della stessa mano del testo
visibile sugli altri due. Insomma il terzo pezzo appartiene effettivamente al P.Herc. 253 e, come ho già
avuto modo di dimostrare in una precedente occasione,45 costituisce l'estremo foglio risultato dallo
sfogliamento dell'involucro esterno del papiro e reca parte del titolo iniziale, non finale.46 Il Malesci
40 Cf. Bassi, op.cit. (sopra, n. 36) 9 s.; eund., "La sticometria nei Papiri Ercolanesi," RFIC 37 (1909) 489–491. Si veda
anche K. Ohly, "Die Stichometrie der Herculanischen Rollen," APF 7 (1924) 207; M. Capasso, Volumen. Aspetti della
tipologia del rotolo librario antico (Napoli 1995) 122; Angeli, op.cit. (sopra, n. 1) 79; Dorandi e Spinelli (1990), op.cit.
(sopra, n. 37) 54.
41 Cf. M. Capasso, "I titoli nei papiri ercolanesi. IV: altri tre esempi di titoli iniziali," Pap.Lup. 7 (1998) 59–65.
43 Sulla loro scia è la Angeli, op.cit. (sopra, n. 1) 79 s., secondo la quale "il supposto
di Filodemo fu
scorzato parzialmente in senso orizzontale e verticale: la metà superiore di esso è ricostruibile attraverso i PHerc. 415, 465 e
896, che conservano il margine superiore, la metà inferiore attraverso il PHerc. 1613; i PHerc. 253 e 1090, privi di
agraphon superiore e/o inferiore, potrebbero collocarsi nella parte del rotolo prossima alla metà inferiore e/o superiore."
44 Sulla scorzatura totale e parziale dei rotoli ercolanesi cf. M. Capasso, "Introduzione," in A. de Jorio, Officina de'
46 Sui titoli iniziali nei papiri disponiamo adesso della ricerca complessiva di M. Caroli, Il titolo iniziale nel rotolo
104 Mario Capasso
deve aver trascurato queste esili tracce, semplicemente perché, essendo particolarmente sbiadite, gli
sono sfuggite. È perciò possibile che le scorze P.Herc. 253, 415, 465, 1090 e 1613 ed il midollo P.Herc.
896 costituissero originariamente un unico volumen dedicato alla
, sottoposto in tempi
diversi prima ai tagli della scorzatura parziale e quindi allo srotolamento con la macchina del Piaggio.47
Mi pare che la profondità dell'impegno etico di Filodemo venga confermata da questo rapido
esame dell'opera Sui vizi e le contrapposte virtù, un'opera che avvicinerei all'altra composta dal
Gadarese nella sua piena maturità, il
. Se in quest'ultima l'obiettivo dell'autore è
l'individuo visto dinanzi a se stesso, alle sue paure e alle sue angosce esistenziali, nell'altra egli guarda,
senza indulgenza, a ciò che sta fuori all'individuo, al suo rapporto quotidiano con gli altri, gli amici, i
nemici, il potere, la gloria, le ricchezze.48
librario greco-egizio (Bari 2007) su cui si veda N. Pellé, "Rotoli e scribi in Grecia e a Roma. II," SEP 5 (2008) 55–80.
47 Secondo Ranocchia, op.cit. (sopra, n. 16) 218 n. 34 il P.Herc. 253, le cui due colonne superstiti mostrerebbero un
Studies in Ancient Philosophy 21 (2001) 233–258, su cui cf. G. Indelli, "Noterelle ercolanesi," CronErc 33 (2003) 317–
319.