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PAIDEIA

rivista di filologia, ermeneutica e critica letteraria

FONDATA DA

V. PISANI e G. SCARPAT

Estratto da

«Paideia» LXXIII - 2018


Pars secunda (II/III)

EDITRICE STILGRAF
CESENA
LA FORMAZIONE DI UN PLATONICO:
DALLA DIFESA DELLA COMEDIA DI DANTE
ALLA COMPARATIO FRA PLATONE E ARISTOTELE

Abstract
Iacopo Mazzoni’s (Cesena 1548 – 1595) most famous works, the Difesa della
Comedia di Dante and the Comparatio Platonis et Aristotelis, differ in their
topics and aims: the Difesa defends Dante’s poem from the critics it received
during Mazzoni’s times, while the Comparatio asserts that although Plato’s and
Aristotle’s doctrines aren’t in agreement, yet a concordia between them does
exist. This paper provides a reassessment of the philosophical issues at stance in
these works.

Keywords: Mazzoni’s lost Commentary on Plato; Marsilio Ficino; Oracula Chal-


daica; Allegory.

La più importante tra le opere letterarie di Iacopo Mazzoni, ma tuttora


conosciuta solamente in parte (si potrebbe dire quasi esclusivamente per
l’introduzione, che contiene i principi teorici dell’autore sulla poesia
eroica) è quella intitolata Della difesa della Comedia di Dante. Distinta
in sette libri. Nella quale si risponde alle oppositioni fatte al Discorso di m.
Iacopo M., e si tratta pienamente dell’arte poetica e di molt’altre cose per-
tinenti alla philosophia, et alle belle lettere. Fu pubblicata in due momenti1:
i primi tre libri a Cesena presso Benedetto Raverio nel 15872, mentre i ri-
manenti quattro libri rimasero manoscritti, e furono pubblicati soltanto nel
1688, a Cesena, a cura dei sacerdoti Mauro Verdoni e Domenico Buccioli3.

1 Così, dopo altri studiosi, ci informa DALMAS, s.v. Mazzoni Iacopo, DBI, 72, Roma 2009,
pp. 709-714. Per quello che riguarda l’edizione della seconda parte della Difesa, cfr. C. GIGANTE,
Esperienze di filologia cinquecentesca …, Roma 2003, pp. 26-45. Per questa pagina introduttiva
presentiamo quanto già da noi detto altrove (C. MORESCHINI, Un filosofo di Cesena, Iacopo
Mazzoni, «Studi Romagnoli» 62 [2011], 2012, pp. 523-539).
2 I primi tre libri costituiscono da soli un’opera assai voluminosa (738 pagine), della quale il
primo libro è stato edito ad opera di chi scrive e Luigia BUSINAROLO (Cesena 2017), di Sara
PETRI, il secondo (Cesena 2018), di Luigia BUSINAROLO e Sara PETRI il terzo (Cesena 2019).
3 Mazzoni, tuttavia, sperava di pubblicarli a distanza di non molto tempo, stando a quanto dice
alla fine della prefazione («(l’autore) vi promette l’altra metà fra poco, forse più dilettevole, più
fruttuosa e meno imperfetta di questa»). Ai libri che furono pubblicati un secolo più tardi Maz-
zoni fa riferimento già nei primi tre: cfr. I 18, p. 60 (al principio del quarto libro), p. II 7, p. 257
1388 Paideia LXXIII (2018)

Dieci anni più tardi, la Comparatio Platonis et Aristotelis4 procurò a


Mazzoni la fama di filosofo. Le due opere costituiscono, quindi, una
sorta di poli, apparentemente opposti, negli interessi dello scrittore. Ep-
pure la prima, la Difesa della Comedia di Dante, già mostra interessi per
la filosofia, che appariranno pienamente sviluppati nell’opera successiva.
Le pagine che seguono rivolgono la loro attenzione ad alcuni elementi
filosofici presenti nella Difesa e nella Comparatio e che quindi accomu-
nano le due opere.

Perché commentare Platone


Nella Difesa Mazzoni fa riferimento più volte ad un suo Commento
ai Dialoghi di Platone, parti del quale egli aveva già scritto, parti si ri-
prometteva di scrivere in seguito. Tale commento purtroppo non ci è
pervenuto, né il Serassi dà indicazioni circa le biblioteche nelle quali rin-
venirli: dichiara anzi che «forse andarono smarriti, come tant’altre opere
inedite del nostro autore, le quali non si sa, che più esistano»5. Tale com-
mento probabilmente non fu mai pubblicato.
Anna De Pace osserva che si possono ricostruire, almeno in parte, gli
orientamenti di quest’opera sulla base delle linee interpretative che si ri-
cavano dagli scritti posteriori. Già il fatto che Mazzoni si cimentasse in
un’impresa che inevitabilmente richiamava il confronto con l’autorevole
precedente dei commentari ficiniani – osserva la studiosa - è significativo
della sua intenzione di far sentire una voce diversa, una voce che egli ri-
teneva meglio corrispondesse alla lezione autentica del venerando filo-
sofo e fosse sostenuta da una lettura più ampia delle testimonianze
antiche6. Così anche Sara Petri osserva che durante la stesura della Di-
fesa Mazzoni stava raccogliendo materiale e preparando i suoi Com-
mentari a Platone, opera nella quale, evidentemente, si proponeva di
confrontarsi con l’esperienza di Marsilio Ficino, con il quale sembra

e 262 (al quarto libro); II 10, p. 267 (al sesto e al terzo libro); II 12, p. 273 (al quinto libro); II
22, p. 306 (al settimo libro); II 27, p. 318 (al quarto libro); III 42, p. 588 (al quinto libro).
4 Ci riferiamo alla In universam Platonis et Aristotelis philosophiam Praeludia, sive de Compa-
ratione Platonis et Aristotelis, Venetiis 1597, ripubblicata a Napoli, a cura di Anna DE PACE e
Sara MATTEOLI, 2010.
5 Cfr. La vita di Iacopo Mazzoni patrizio cesenate scritta dall’Abate Pierantonio SERASSI e dal
medesimo umiliata alla Santità di nostro Signore Pio Sesto Pontefice Massimo, in Roma, nella
stamperia Pagliarini MDCCXC, pp. 43-44.
6 Cfr. DE PACE, In universam Platonis et Aristotelis, cit. n. 4, pp. XX-XXI.
C. MORESCHINI, La formazione di un platonico 1389

istituire un rapporto di emulazione; non dovevano inoltre mancare gli


intenti polemici, con una netta presa di posizione nei confronti di autori
provenienti dall’area della Riforma, nella quale ovviamente le questioni
culturali si intrecciano indissolubilmente con le tensioni religiose e la ne-
cessità di mostrarsi scrupolosamente fedeli all'ortodossia. Un interes-
sante passo del secondo libro manifesta l’atteggiamento di Mazzoni nei
confronti di Ficino7. Nel dodicesimo capitolo Mazzoni commenta un
passo di difficile interpretazione dell’Ipparco, un dialogo attualmente
giudicato spurio, ma all’epoca attribuito a Platone e per questo motivo
confronta la traduzione di Marsilio Ficino e quella di Jean de Serres8, per
poi proporre una sua interpretazione, rimandando appunto ad una suc-
cessiva, più approfondita, trattazione nei Commentari a Platone9:
Marsilio Ficino, anchora che intendentissimo della dottrina di Platone e
della lingua Greca, le [scil., alcune parole oscure di Platone] ha trasferite
di modo che si vede ch’egli stesso non seppe quello che si volesse dire.
[...] Un altro scrittore moderno che ha trasferiti i Dialoghi di Platone in
lingua Latina, ma poco fidele in questa sua traslatione e molto meno nella
religione, ha scritto [...] Della qual traslatione io non posso fare che non
me ne rida molto. [...] Ma della ignoranza e della impietà di quest’huomo
ragionaremo in molti luoghi ne’ Commentari di Platone (II 12, p. 275).
Marsilio Ficino, quindi, è considerato da Mazzoni come una autorità
fondamentale per gli studi su Platone e la cui competenza, sia per la filo-
sofia platonica che in generale per la conoscenza della lingua greca, non
può essere messa in discussione; del resto nella Difesa Platone è general-
mente citato in greco, ma spesso, comunque, anche nella traduzione latina
di Marsilio Ficino, che era quindi ancora uno strumento di lavoro insosti-
tuibile per avvicinarsi ai suoi testi. Mazzoni però non esita a sollevare obie-
zioni non solo, come qui, sull’interpretazione di passi particolari, ma anche
nell’interpretazione di alcuni aspetti significativi della filosofia platonica10.

7 Presentiamo qui la spiegazione di Sara Petri, ad locum.


8 Jean de Serres collaborò con Henricus Stephanus a quella che è da allora rimasta l’edizione di
riferimento per l’opera di Platone, pubblicata a Ginevra nel 1578.
9 Verisimilmente Mazzoni prenderà una posizione ostile a quello studioso, non foss’altro a causa
della sua ‘empietà’. È un atteggiamento analogo a quello che egli nutre nei confronti del Ca-
stelvetro, del quale nomina più volte il commento alla Poetica di Aristotele, ma di cui non fa
mai il nome, per una forma di damnatio memoriae.
10 È stato osservato che Mazzoni nell’avvicinarsi direttamente alla filosofia di Platone prende
in qualche modo le distanze dal platonismo di età umanistica rappresentato soprattutto proprio
da Marsilio Ficino; cfr. DE PACE, In universam Platonis et Aristotelis, cit. n. 4, pp. XXI-XXIII.
Ne abbiamo parlato anche noi, in C. MORESCHINI, La struttura dell’universo nell’interpreta-
zione di Iacopo Mazzoni, «Accademia» 16, 2014, pp. 9-26, soprattutto pp. 16-22.
1390 Paideia LXXIII (2018)

Alla ricerca del Commento a Platone


Il primo riferimento al Commento si trova nel primo libro della Di-
fesa (cap. 25, p. 84). Mazzoni riferisce che in passato aveva letto il se-
guente passo dell’Eutifrone (2a: «Che cosa di nuovo ci è o Socrate, poi
che tu lasciati gli spacij del Liceo ti ritrovi in questo portico del Re? Io
non credo già, che tu habbia qualche lite innanzi al Re, come io mi trovo
d’havere»): la menzione, che Platone fa in quel passo, di un re gli era ap-
parsa strana, in quanto al tempo di Socrate, che parla nell’Eutifrone,
Atene non fu mai soggetta ad un re. Pertanto Mazzoni aveva pensato che
Platone avesse chiamato ‘re’ il supremo Magistrato degli Ateniesi, alla
maniera di quei popoli che sono effettivamente retti da una monarchia.
Ma successivamente egli aveva mutato parere, perché si era accorto, che

conte βασιλεύς), e che l’esistenza di questo magistrato era confermata da


esisteva effettivamente, ad Atene, un magistrato chiamato “re” (cioè l’ar-

varie testimonianze antiche, che Mazzoni cita. Ne conclude che Platone


nel predetto luogo ha inteso parlare dell’arconte re, «come più a lungo
dichiararemo ne’ commentari di Platone». Queste parole sembrano rife-
rirsi al futuro, ma niente esclude che la ricerca sul passo dell’Eutifrone sia
contemporanea o anche antecedente alla Comedia e che solo la pubblica-
zione sia prevista per il futuro. Sulla base delle parole di Anna De Pace,
che abbiamo citato sopra, apprendiamo che la preparazione di tale com-
mento era cominciata già prima della pubblicazione dei primi tre libri della
Difesa, avvenuta a Cesena nel 1587, per cui è verisimile che alcune osser-
vazioni del commento siano anteriori, altre siano previste per il futuro.
Il secondo riferimento a quei commentari si trova in I 68 (p. 200), ed
è più specificamente filosofico. Mazzoni osserva che Eliano attribuisce
ai Peripatetici l’opinione «che l’anima, come mercenaria si accosta al
corpo nel giorno, là onde non può contemplare la verità, ma che di notte
sciolta da questa servitù, et ridotta circa il petto, diventa più pronta ad
indovinare, et indi nascono li sogni». Eliano attribuisce questa opinione
ai Peripatetici, perché gli «“Academici vecchi”11 furono chiamati in quel
modo, come dimostreremo ne’ Commentari sopra il primo delle Leggi
di Platone». Mazzoni rivela qui il suo interesse per la storia dell’Acca-
demia di Platone, come si legge anche nella Comparatio12. Perché nel
primo libro delle Leggi? Probabilmente perché Mazzoni riteneva che

11 Cioè quelli che attualmente sono chiamati “filosofi dell’Antica Accademia”.


12 Cfr. C. MORESCHINI, Iacopo Mazzoni storico della filosofia antica: la storia dell’Accademia
platonica e Platone cristiano, «Accademia» 13, 2011, pp. 67-83.
C. MORESCHINI, La formazione di un platonico 1391

l’Ateniese che si trova in quell’opera fosse Platone stesso, per cui si giu-
stificava una storia dell’Accademia.
Testimonia l’interesse per la storia dell’Accademia platonica anche il
passo successivo (I 70, p. 202), pure nel quale si fa riferimento ai prole-
gomeni del commento a Platone. In essi, ricorda Mazzoni, «si è diffusa-
mente ragionato della Philosophia Sceptica, e dell’Academia dubbiosa,
e si è insieme dimostrata una grande probabilità, sopra la quale sono
quelle Philosophie fondate», cioè Mazzoni ha parlato sia della Accade-
mia che attualmente si suole ricondurre ad Arcesilao, sia di quella, pro-
babilistica, il cui fondatore sarebbe stato Carneade. E siccome il contesto
della discussione ne offre l’occasione, «non sarà fuori di proposito il tra-
sferire in questa difesa alcune cose pertenenti a quella Philosophia, che
sono nel sopradetto luogo distese in iscrittura assai più copiosamente».
Questa sezione, quindi, sembra essere stata tratta dal commento e inse-
rita nella Difesa della Comedia di Dante. Anche questo passo conferma,
quindi, che i prolegomeni al commento vero e proprio contenevano una
storia della Accademia platonica.
Non possiamo, naturalmente, ripercorrere per intero il ragionamento
che Mazzoni svolge in questo passo a proposito dell’Accademia. Egli ri-
tiene che la filosofia scettica sia uno sviluppo della filosofia di Eraclito,
di cui accentua in senso negativo la convinzione che tutte le cose siano
nascoste nell’oscurità. Infatti, come testimonia Aristotele nel quarto
libro della Metafisica (Aristot., met. 1005b23-25),
pensò Heraclito, che le cose contrarie fossero di modo insieme compli-
cate, ch’elle si trovasseno in ciascun soggetto, e però che non si potesse
dire, che alcuno fosse più vivo, che morto, o più sano, che infermo, e
così de gli altri simili. Ma la Philosophia Sceptica negava tutto quello,
ch’era posto da Heraclito, di maniera che, dove diceva Heraclito: è que-
sto, e quello, overo: non è più questo di quello, diceva Pirrhone: non è
questo, né quello, overo: non è più questo, che quello. La qual proposi-
tione si deve però intendere in senso negativo, come l’ultima d’Heraclito
in senso positivo.
Mazzoni, per mancanza di fonti più attendibili, si basa (e non solo in
questo passo) soprattutto sulle informazioni che poteva ricavare dalla
Suda, un’opera da lui abbondantemente adoperata, a mo’ di enciclopedia,
nella Difesa.
Un approfondimento sul tema della impossibilità della conoscenza
(e quindi in attinenza con la storia dell’Accademia scettica) Mazzoni ri-
cava da un passo di Plutarco (adv. Colot. 1108B), che così traduce e com-
menta:
1392 Paideia LXXIII (2018)

Essendo che uno gonfio per una cotal sua ruvidezza, e buffoneria, et in-
solenza, porse il fieno a Socrate in luogo di pane, e dicendo egli di non
sapere alcuna cosa di certo, lo dimandò perché non si ponesse il cibo
nell’orecchia, ma più tosto nella bocca, volendo perciò farlo confessare
ch’egli sapea per che via si tranguggiasse il cibo.
Ma l’esempio citato non serve a confondere gli scettici, perché è de-
bole ed è stato spiegato dal medesimo Plutarco (adv. Colot. 1122BC):
A quelli, ch’intendono, et ascoltano si dicano queste cose. Essendo tre
specie de’ movimenti dell’anima, l’imaginante, l’appetente, e ‘l consen-
tiente, non si può, con ogni nostro sforzo, in modo alcuno estinguere il
primo. Percioché egli è necessario, che quando l’oggetto s’appresenta,
nasca il concetto nella imaginatione. L’appetente eccitato dalla specie im-
pressa, efficacemente move l’huomo, spinto quasi dal peso, e dal piega-
mento fatto nella parte principale a quelle cose, che gli sono per natura
convenienti. Hora né questo movimento anchora togliono quelli, che
suspendono l’assenso d’ogni cosa, ma usano l’appetito verso di quello
che naturalmente gli conviene. Che cosa fuggono dunque? Quello, a cui
stassi congiunto l’errore, e il falso, cioè l’opinione, che è quando per de-
bolezza si condiscende a quello, ch’appare, e se gli s’accosta, non ne ha-
vendo utilitade alcuna.
Plutarco, quindi, fa capire che gli Scettici non erano «così irresoluti,
e così dubbiosi d’ogni cosa, come communemente vien creduto, ma che
solamente sospendevano l’assenso della opinione, come di cosa, che è
capacissima d’errore» – cioè asserivano che non era possibile enunciare
un giudizio che avesse la pretesa di essere vero, ma solamente un giudizio
probabile, come manifesta la filosofia della “Academia dubbiosa”, nella

Carneade. Tutti questi filosofi, infatti, sostennero la ἀκαταληψία, cioè “la


quale fiorirono principalmente Arcesilao, Lacide, Evandro, Egesino e

non comprensione del vero” e quindi protestarono che ci si dovesse trat-


tenere dall’acconsentire alle conclusioni che altri filosofi (vale a dire, gli
Stoici e gli Epicurei) sostenevano essere vere, e che non era possibile che
fossero false13. Di conseguenza gli Accademici sostennero la necessità
del probabile, pensando che in questo modo si sarebbe evitato di cadere
nell’errore – cosa che è ancora una volta spiegata con una citazione della
Suda14. La conclusione è che l’opinione degli Academici dubbiosi non
fu priva di forza dimostrativa e incapace di difendere se stessa, tanto è

13 È,questa, la formula del giudizio, secondo gli Stoici: cfr. ad esempio SVF II 110-117 Von
Arnim.
14 Sud. s.v. Εὔλογον ἀξίωμα ε 3569.
C. MORESCHINI, La formazione di un platonico 1393

vero che Cicerone parlando di questa Academia disse: Exoratam cupio


ut sileat, submovere non audeo15. Importante è la successiva osserva-
zione, che forse Platone stesso non fu lontano dalle dottrine di questa
Academia: Mazzoni propone, come anche alcuni studiosi moderni,
un’interpretazione scettica di Platone, normalmente considerato dog-
matico e metafisico. E in conclusione Mazzoni ripete che di questo pro-
blema egli discuterà approfonditamente nei Prolegomeni de’ Commen-
tari di Platone, i quali contenevano, quindi, una storia dell’Accademia,
come sopra si è detto.
Sull’argomento Mazzoni torna nel cap. 71, ove si discute «se il non
sapere de gli Academici conceda che si possa sapere il non sapere». Egli
osserva:
Soggiungo appresso, che il dire: “Questa cosa è dubbiosa”, tanto vale,
quanto se si dicesse: “Questa cosa non si sa”. Adunque se gli Sceptici, e
gli Academici havesseno detto, che il sogno fosse stato dubbioso, non
havriano affirmato, ma più tosto negata la scienza del sogno. Hora po-
triano replicare gli Avversari, che il negare di non sapere una cosa sup-
pone la scienza di quella negatione, come ha dichiarato Lucretio in que’
versi:
Denique nil sciri si quis putat, is quoque nescit
An sciri possit, quo se nil scire fatetur16.
E Clemente Alessandrino molto sotilmente (segue citazione)17.
Si vede, dunque, che sebbene gli Scettici e gli Academici avessero af-
fermato che il dubbio domina in tutte le cose, nondimeno essi ponevano
una verità, cioè quella che non si possa sapere cosa alcuna, come aveva
affermato Lucrezio nei versi citati. Quindi, anche se concedessimo che
la filosofia Scettica e quella Accademica sospendevano l’assenso a tutte
le cose, non saremmo per questo costretti ad ammettere che «la deter-
minatione di qualche cosa dubbiosa» fosse in tutto ripugnante ai principi
di quelle filosofie.
Più avanti (III 21, pp. 496-497) troviamo un’altra allusione al Com-
mento ai dialoghi. Mazzoni sta esaminando una caratteristica dell’anima
umana, la quale, in vicinanza della morte, sentendosi libera dalle catene

15 In Lucullo, annota Mazzoni in margine. Come osserva Luigia Businarolo ad locum, in realtà
la citazione di Cicerone proviene da leg. 1,38: quam quidem placare cupio, submovere non
audeo. Probabilmente Mazzoni citava a memoria o da una fonte che non riportava il testo in
forma corretta.
16 Cfr. Lucr. 4,469-470.
17 Cfr. Clem. Alex. Strom. 8, 5,15,2 – 16,1.
1394 Paideia LXXIII (2018)

del corpo, è in grado di vaticinare e prevedere il futuro. In un contesto


in cui si fa riferimento a Zoroastro e agli Oracula Chaldaica, di cui par-
leremo tra breve, Mazzoni conclude informando il lettore che «di questa
dottrina, e della vanità sua ragionaremo a lungo ne’ Commentarii del Phe-
done» (infatti che l’anima vicina alla morte possedesse la preveggenza
del futuro è asserita nel Fedone con l’esempio del cigno, che canta in ma-
niera dolcissima quando si sente vicino a morire18). Da quel medesimo
commento al Fedone è ricavato anche un altro accenno (III 79, p. 727):
in quel commento, asserisce Mazzoni, sarà fatta una digressione a pro-
posito del suicidio, che sarebbe stato permesso da Platone, sempre nel
Fedone19. È probabile che, data l’importanza dell’argomento per la dot-
trina cristiana, Mazzoni volesse dedicarsi ad esso con una più ampia di-
scussione (e probabilmente contestare l’opinione di Platone).
In Difesa II 16, p. 284 Mazzoni sta confutando il dualismo e l’esi-
stenza di due anime cosmiche contrapposte. Tale dualismo sembra essere
stato suffragato da Platone, come del resto ritiene anche la critica moderna,
la quale si basa su Leggi 896de (ove si asserisce l’esistenza di un’anima co-
smica buona e di una malvagia) e 906bc (ove si afferma che il bene e il male
esistono in tutto l’universo). Così annota Mazzoni: «E si crede che questa
opinione prendesse qualche fondamento dall’autorità di Platone che vi
parve consentire nel decimo delle Leggi in quelle parole etc. [...] E fu que-
sto medesimo concetto spiegato da Senophonte nel sesto della Pedia»20.
Segue la citazione greca con la traduzione italiana: «Ma egli è chiaro
che sono due anime, e quando la buona signoreggia si fanno le honeste
cose, e quando la cattiva si fanno le brutte». Mazzoni così prosegue:
E questa pestifera dottrina si dilatò anchora ne’ petti d’alcuni Christiani
Heretici, come di Marcione, di Cerdone, di Valentino, di Tatiano e d’al-
tri. Ma di questa opinione e delle sue false ragioni e del vero senso delle
parole di Platone e di Senophonte ragioneremo diffusamente ne’ Com-
mentari della Republica e delle Leggi di Platone.
Queste osservazioni sulla falsità dell’esistenza di due anime cosmiche,
una buona e una malvagia, in eterno contrasto tra di loro, sarà poi ap-
profondito da Mazzoni nella Comparatio Platonis et Aristotelis. In un
passo di quell’opera Mazzoni mostra di avere chiaro che il problema po-
trebbe trascinare con sé la conseguenza di concepire una materia malva-

18 Cfr. Plat. Phaed. 84e.


19 Cfr. Plat. Phaed. 61-62c.
20 Cfr. Xen. Cyrop. 6,1,41.
C. MORESCHINI, La formazione di un platonico 1395

gia, esistente e operante ab aeterno: tale concezione non era aliena al pen-
siero platonico (ed infatti Mazzoni dichiara che sarà oggetto di una trat-
tazione nei suoi commentari al filosofo), ma ripugnava al Mazzoni tardo,
interessato alla materia da un punto di vista scientifico e non metafisico,
in conformità con gli interessi della filosofia italiana del tardo Cinquecento
e a lui contemporanea. Come abbiamo osservato altrove21, è assai interes-
sante il fatto che Mazzoni abbia un atteggiamento sostanzialmente posi-
tivo verso la materia, che contrasta con quello tradizionale del platonismo,
che pure Mazzoni segue nella Comparatio. Mazzoni intende liberare la
materia dall’accusa, corrente fin dal platonismo tardoantico, che essa fosse
l’origine del male nel mondo. Una tale accusa implica, secondo lui, quello
che alcuni sostengono, cioè che a causa dell’esistenza del male nel mondo,
il demiurgo è malvagio o, almeno, non del tutto separato dalla malvagità.
Ma questo è assurdo. Qual è, dunque, l’origine del male? Egli osserva
(Comparatio, pp. 28-30) che il dubbio su questo problema gli era stato
suscitato dalle affermazioni di Platone e di Senofonte, che l’universo sa-
rebbe stato mosso da due anime contrastanti, una buona e una malvagia:
sono i due stessi autori che Mazzoni cita nella Difesa. Questa duplicità fu
contestata dall’alessandrino Ammonio, che sostenne che non si deve pen-
sare a una duplicità dell’anima, ma a una duplice facoltà dell’anima stessa
(una dottrina che Mazzoni ricavò da uno dei platonici per lui più autore-
voli, cioè Plutarco nel de animae procreatione in Timaeo22).
In conclusione, risulta da alcuni casi di un certo spessore filosofico che
Mazzoni si riserbava, nel suo commento ai Dialoghi di Platone, di pole-
mizzare con il filosofo ateniese e di correggere alcune sue dottrine secondo
la religione cristiana: anche nella Difesa Mazzoni aderiva al criterio del
‘de Platone caute legendo’, non diversamente che nella Comparatio23.

Sulla storia della ‘pia philosophia’

Rientra nella storia della pia philosophia l’importanza che Zoroastro


ebbe nel Rinascimento italiano: essa iniziò con Ficino e proseguì poi con
Steuco per giungere a Francesco Patrizi, contemporaneo di Mazzoni e

21 Ladiscussione di Mazzoni in MORESCHINI, La struttura dell’universo, cit. n. 10, pp. 22-24.


22 Cfr.Plut., de an. procr. in Tim. 1014DE.
23 Esempi di questo atteggiamento in MORESCHINI, La struttura dell’universo, cit. n. 10,
pp. 25-27.
1396 Paideia LXXIII (2018)

da lui ben conosciuto. Mazzoni nel contesto di III 21, il cui titolo ha at-
tinenza puramente con la retorica («Che li Poeti hanno seguite alcune
opinioni de’ scrittori nel Predicamento dell’Attione riputate impossibili
dagli altri scrittori, che sono stati di setta differente») inserisce una breve
divagazione24, suggeritagli dal fatto che Omero, in un passo dell’Iliade
(16,843-854), introduce Patroclo che, in procinto di essere ucciso da Et-
tore, prevede quello che sarebbe successo non molto tempo dopo a Et-
tore stesso, vale a dire di subire la stessa sorte per mano di Achille.
Secondo Mazzoni, Omero, così dicendo, segue l’opinione di Zoroastro
(interessante il fatto che, secondo Mazzoni, non solo i filosofi, come i
pitagorici e i platonici, ma anche un poeta, come Omero, abbia ripreso
le idee di Zoroastro): costui, infatti, credette che l’anima vicino a morte
«fosse capace della scienza del futuro, cominciando già a liberarsi da’ le-
gami del vehicolo ch’i Platonici nomano ostreaceo, et a ritirarsi nel ve-
hicolo ethereo, e celeste». Queste parole riprendono le dottrine di Fici-
no25, secondo il quale due sono i veicoli dell’anima, uno “ostreaceo”,
quello di cui parla il Fedro (ove Socrate dice che l’anima è legata al corpo
alla maniera di un mollusco alla sua conchiglia, ostrakon) (250c: questo
veicolo è da identificarsi con lo spirito, che è di natura corporea), mentre
l’altro è “etereo”, di natura celeste, ed è quello di cui parla Zoroastro.
Platone avrebbe parlato della preveggenza dell’anima vicina a morire
nell’Apologia, là dove Socrate vaticina che, dopo la morte, sarà in com-
pagnia degli illustri Greci del passato. L’opinione di Platone è seguita da
Cicerone (divin. 1,30,64), il quale, basandosi su di un evento riferito da
Posidonio, afferma che coloro che sono vicini a morte sono presaghi del
futuro (divinare morientes). Zoroastro concorda con Platone e Cicerone,
ma sbaglia, perché «l’anima nostra riceve perfettione da questo corpo,
come ha determinato Santa Chiesa nel quinto Concilio Constantinopo-
litano, et è stato detto da Aristotele, e da’ Peripatatetici in infiniti luoghi»
(p. 497) (è tramontata la fama di Zoroastro, che era fiorente ai tempi di
Ficino e di Steuco: ora siamo nel clima della Controriforma): di conse-
guenza, lo stato dell’anima vicino a morte, quando essa si spoglia del
corpo, non è uno stato perfetto: Mazzoni ripete qui quanto aveva già af-
fermato in I 68, p. 200. Comunque fu assai utile per stabilire ‘il credibile

24 È,questo, il suo metodo di indagine, come abbiamo osservato anche altre volte per le sue
opere.
25 Cfr. Theol. Plat. XIII, 4. Sull’argomento cfr. S. FELLINA, Il pensiero filosofico di Francesco
Cattani da Diacceto, Pisa 2017, p. 289.
C. MORESCHINI, La formazione di un platonico 1397

poetico’ – cosa che interessa a Mazzoni – che tale convinzione fosse stata
sostenuta anche da Zoroastro e dagli altri Magi della Persia. Mazzoni
cita quindi i versi di Zoroastro, nei quali il veicolo etereo è chiamato
«fuoco splendido», mentre il veicolo ostraceo è chiamato «corpo mate-
riale». La citazione è costituita da un conglomerato di tre versi degli Ora-
cula Chaldaica, che qui citiamo debitamente corretti (scorrettissimi,
come in generale il greco, e ametrici nell’edizione di Mazzoni26): fr. 96
des Places (ψυχῇ πῦρ δυνάμει πατρὸς οὖσα φαεινόν), fr. 112 (ἡγείσθω ψυχῆς
βάθος ἄμβροτον, ὄμματα δʼἄρδην / πάντʼἐκπέτασον ἄνω) e framm. 158
(μηδὲ τὸ τῆς ὕλης σκύβαλον κρημνῷ καταλήψῃς), e che Mazzoni imme-
diatamente dopo dà in traduzione italiana in versi. Prosegue poi, secondo
il suo solito, aggiungendo altre citazioni antiche del medesimo feno-
meno, che l’anima possiede la capacità di prevedere il futuro nell’immi-
nenza della morte (Virgilio, Ovidio).
A proposito del vehiculum celeste, che si è detto essere una dottrina
ficiniana, Mazzoni fa riferimento anche ad un celebre discepolo di Fi-
cino, Francesco Cattani da Diacceto. Dopo essersi soffermato nel cap.
28 (pp. 534-536) sulla collocazione geografica delle anime dopo la morte
e delle Isole dei beati, Mazzoni cita un passo di una lettera inviata da
Francesco Cattani da Diacceto a Cristoforo Marcello27. Il problema è,
appunto, quello di precisare la sorte delle anime: Lucano, ad esempio,
aveva affermato che l’anima di Pompeo dopo la morte era ascesa vicino
al circolo della luna (vicino, perché le anime risiedono nell’etere): semidei
manes habitant, quos ignea virtus / innocuos vitae patientes aetheris imi /
facit (9,7-9: fecit le edizioni moderne). Mazzoni si pone, quindi, la se-
guente domanda: se l’anima possiede il vehiculum scendendo dal cielo,
dove lo depone durante la sua risalita dopo la morte del corpo? Il pro-
blema era costituito dal fatto che il vehiculum era formato di pneuma, e
quindi era pur sempre materiale. Su questo problema si era espresso
Francesco Cattani da Diacceto, «ottimo filosofo nella via di Platone», il
quale, avendo esaminato in un primo momento i motivi per cui si po-
trebbe credere che, secondo Platone, le anime buone, uscite dai corpi,

26 In ogni caso, citiamo il testo greco così come lo leggeva Mazzoni, non come si legge nelle
edizioni moderne.
27 Cfr. Opera omnia, FRANCISCI CATANEI DIACETII patricii Florentini, philosophi summi, nunc
primum in lucem edita, Basileae, MDLXIII (= Fac-similé de l’édition Basileae, per Henricum
Petri et Petrum Pernam, 1563. Introduction de St. Toussaint … Les Editions du Miraval 2009),
p. 358; più recentemente: FRANCISCI CATANEI DIACETII De Pulchro libri III. Accedunt opuscula
inedita et dispersa necnon testimonia … edidit S. MATTON, Pisa 1986.
1398 Paideia LXXIII (2018)

salissero sopra il cielo (cioè al di là del cielo), ipotizza anche, in senso


contrario, ma sempre secondo il pensiero di Platone («così finalmente
soggiunge in favore della contraria parte, presupponendo di mente di
Platone»), che le nostre anime conservino sempre con sé il veicolo cele-
ste, per cui non possono salire al cielo, ma dovranno confonderlo con la
realtà materiale del cielo stesso, e quindi anch’esse perderanno la loro
identità (III, 44, p. 536). Il Cattani, infatti, osserva (citiamo nella nostra
traduzione):
A me, che esamino questo problema spesso e a fondo, sembra che si
debba dire in modo molto differente. Infatti non si potrebbe evitare che
i corpi divini subissero la distruzione o si compenetrassero l’uno nell’al-
tro, ed io ritengo che siano assurde entrambe le cose. Inoltre, se le nostre
anime sono del genere più basso tra le anime razionali, allora anche i vei-
coli sarebbero del genere più basso tra i corpi divini, perché essi seguono
la natura degli animi a mo’ di simulacri. Ed allora come potrà essere at-
tribuito loro per forza di natura il luogo più in alto, quale che sia il luogo
delle stelle fisse? Questo non sarebbe altro che il fatto che la realtà peg-
giore passasse nella caratteristica della realtà migliore (in potioris inge-
nium). Ma chi potrebbe contestare che per natura il luogo sarebbe la sede
e la patria di ciascun essere? Si potrebbe anche dimostrare, sulla base del
movimento, della grandezza, della luce, della affinità con i corpi caduchi,
che sarebbe impossibile che i nostri veicoli abitino una regione così no-
bile. Ma questi argomenti per ora debbono essere abbandonati. Per que-
sto motivo il mio animo è incline a credere fiduciosamente, sulla base
della dottrina di Platone, che i veicoli degli animi nostri non salgono
sopra la sfera delle realtà generabili miste, come noi abbiamo affermato
a chiara voce nella precedente lettera, e che questo luogo siano le Isole
felici, come è detto nel Simposio, o anche i Campi Elisi, come si è inven-
tata l’antichità28.
In ogni caso, tutte le opinioni dei poeti antichi (che le Isole beate
siano in Egitto o nelle isole Canarie o in cielo) sono inaccettabili.
Un altro riferimento a Zoroastro si trova al cap. 44 dello stesso libro
(pp. 599-600), nel corso di una trattazione sulla metempsicosi pitagorica
e platonica:

28 Cfr. Opera Omnia cit. n. 27, pp. 349-355, p. 351. Il passo citato Da Mazzoni si trova a
pp. 304-305 dell’edizione di Matton; lo scambio epistolare tra il Diacceto e Cristoforo Marcello
comprende due lettere dell’uno e dell’altro corrispondente. Matton pubblica anche (pp. 389-390)
una citazione di Francesco Cattani ad opera di Mazzoni nel De triplici hominum vita, Cesena
1576, ff. 268v – 269r, ove Mazzoni fa un breve riferimento alla Enarratio in Symposium Platonis
di Cattani (pp. 174-175).
C. MORESCHINI, La formazione di un platonico 1399
la trasmigratione dell’anime nostre alla natura bestiale si può intendere
in due modi, cioè interiore, et esteriore. L’esteriore sarebbe quando ve-
ramente l’anima umana si trasferisse nel corpo d’un altro animale, e que-
sta è falsa, favolosa, et impossibile, come appieno ha dichiarato S. Ago-
stino nel decimo libro della città di Dio. E credo che in questo senti-
mento forse non fosse presa da Pithagora istesso, che quanto a Platone
ho ardimento di affirmare per cosa certa, ch’egli non l’intese in questo
senso. L’interiore è quando l’anima nostra soprapresa da vitij, perde l’uso
della ragione, e diventa simile alle fiere, et a’ Demoni, e questa è la tra-

parole: σὺν γὰρ ἀγγεῖον θῆρες χθονὸς οἰχήσουσι (framm. 157 Des Places).
sformatione vera, della quale parlando Zoroastro anchora ha detto queste

L’interesse per il problema della metempsicosi, e per un’interpreta-


zione che porti i più autorevoli filosofi dell’antichità quanto più è pos-
sibile vicino alla ortodossia cristiana, è testimoniato anche dalla Compa-
ratio. Riprendendo la storia dell’Accademia platonica e dei suoi vari mo-
menti, tracciata da Ficino (p. 97 = p. 162 della edizione Matteoli – De
Pace), Mazzoni afferma che nella Accademia di Roma e in quella di Licia,
che derivarono da Plotino e da Proclo, si trova la dottrina non solo della
metempsicosi, ma anche della ‘metensomatosi’ (transcorporatio), la quale

la chiamò παλιγγενεσία, vale a dire ‘rigenerazione’, mentre la metenso-


consiste nel fatto che l’anima trasmigra in un corpo di animale. Zoroastro

matosis è una dottrina comune a quelle due Accademie29. Naturalmente,


Mazzoni anche nella Comparatio cita la metensomatosi puramente come
dottrina antica, non le attribuisce nessuna validità – ma a noi interessa,
qui, il collegamento tra la Comparatio e la Difesa.

Sulla allegoria e la sua utilità

Una sezione importante del terzo libro (capp. 38-42) è costituita da


un’ampia e organica trattazione della funzione dell’allegoria, che, per
lunghissima tradizione risalente fino alla tarda antichità, era impiegata
per molti testi poetici, i quali venivano interpretati, appunto, allegorica-
mente dagli Stoici e dai platonici di ogni epoca (ad esempio, Plutarco
prima, e poi Proclo). Lo sa anche Mazzoni, il quale considera l’allegoria
«come principal cosa che si ricerchi ne’ Poeti», e la ripone nell’ambito
dell’impossibile credibile (p. 564).

29 Est autem μετενσωμάτωσις, secundum quam credebant isti, animam de corpore humano ad
corpus ferinum migrare, quam παλιγγενεσία, id est regenerationem, Zoroaster appellavit, ita
quod metensomatosis sit commune decretum harum duarum Academiarum.
1400 Paideia LXXIII (2018)

Mazzoni imposta la sua discussione su di un autore che gli era servito


fin dall’inizio della Difesa, nell’introduzione dedicata a cosa fosse la poe-
sia, e precisamente a Proclo, il cui Commento alla Repubblica di Platone
era stato un testo rimesso in auge da Mazzoni stesso, accanto alla onni-
presente Poetica di Aristotele. La contrapposizione di Proclo a Platone
in difesa della poesia, che era considerata una valida strada per l’ascesa
dell’uomo, era già stata discussa e approvata nella introduzione. Un
primo esempio di racconto allegorico, secondo Proclo (p. 565), è fornito
dalla vicenda di Elena, che in un primo tempo Stesicoro aveva interpre-
tato alla lettera, suscitando così l’ira degli dèi, che lo avrebbero reso
cieco, come racconta Platone (Phaedr. 243a). La guerra di Troia, che ebbe
Elena come oggetto, afferma Proclo (comm. Resp. 1,175,15 – 176,1

nell’ambito della γένεσις, cioè della realtà destinata alla nascita. Proclo,
Kroll), e Mazzoni con lui, significa la lotta intorno al bello che ha luogo

nella traduzione di Mazzoni, spiega che «la favola d’Helena significa in-
torno a che sia sempre la guerra dell’anime, fin che le più intellettuali ha-
vendo vinta la vita delle più sensuali, trapassano quinci a quel luogo,
onde esse a principio si partiro» – cioè indica il ritorno delle anime al
mondo iperuranio dal quale caddero (Plat., Phaedr. 247a ss.): «questo
periodo dunque si disse che fu di diec’anni (scil., il periodo della guerra
di Troia), cioè di diece mill’anni», come dice Platone (Phaedr. 248e). Per-
tanto Proclo dette tanta importanza all’allegoria nei poemi che considerò
ciechi (come Stesicoro) quelli che non la intendevano, «quasi volesse dire
che questo è l’oggetto, e lo scopo, ove rimira ogni buon Poeta et ove
deve rimirare ciascuno che legge li poemi».
Il ricorso a Proclo continua anche nelle pagine successive (pp. 566-568).
Platone, come è noto, nella Repubblica aveva biasimato Omero perché
aveva rappresentato gli dèi in modo sconveniente, cioè soggetti alle pas-
sioni umane: in particolare, gli dèi erano stati presi dal riso allorquando
avevano visto Vulcano mescere e zoppicare andando dall’uno all’altro
dio (Il. 1,599 ss.). Il filosofo neoplatonico risponde servendosi dell’alle-
goria, ed interpreta il passo di Omero nel senso che gli dèi governano il
mondo con il riso, cioè con diletto (comm. Resp. 1,127,4-11 Kroll).
Un’altra critica (molto più famosa) rivolta a Omero, e non solamente da
Platone, ma anche dagli Stoici, era la descrizione dell’amplesso di Zeus
e di Hera, nel quattordicesimo libro dell’Iliade (315 ss.). Proclo risponde
che il significato di quel passo è allegorico: «che tutte le cagioni feconde,
che sono dopo la prima, chiamata da Platone Uno, e Bene, hanno qual-
che sorte di composizione, nomata da Platone nel Philebo Fine, et Infi-
C. MORESCHINI, La formazione di un platonico 1401

nito, e da altri savi maschio, e femina, impare e pare, padre, e madre»


(1,133,19-23 Kroll). Mazzoni prosegue esponendo dettagliatamente gli
altri particolari di questa interpretazione di Proclo (pp. 566-568) e ter-
mina domandandosi se, adoperando gli stessi criteri, si possa difendere
un passo di Virgilio dalle accuse di Macrobio. Questi, infatti, aveva lo-
dato Omero perché non aveva mai fatto dipendere la guerra di Troia dal
giudizio di Paride sulla bellezza delle tre dee, mentre Virgilio aveva citato
l’ira di Giunone contro Enea, come conseguenza dello sdegno della dea
per essere stata posposta a Venere nel giudizio di Paride (saturn. 5,2,7).
Anche la favola menzionata da Virgilio, quindi, potrebbe essere inter-
pretata in modo diverso, e istruttivo per il lettore, per mezzo dell’alle-
goria, come aveva già fatto nel VI secolo Fabio Planciade Fulgenzio.
Costui aveva individuato nelle tre dee del giudizio di Paride la vita con-
templativa, la vita attiva e quella voluptuaria (mitol. 2,1, pp. 36-37 Helm);
Giove non aveva voluto esercitare personalmente il giudizio, sia perché
i pagani ignoravano che il giudizio divino sul mondo era stato stabilito
in anticipo sia perché credevano che l’uomo possedesse il libero arbitrio
(sive quod praefinitum mundi iudicium ignorabant Ethnici sive quia in
libertate arbitrii constitutum hominem crederent: ibid., p. 37,9-11 Helm).
Se Giove, come se fosse stato Dio, avesse condannato due dee, avrebbe
lasciato alla terra solamente un genere di vita: per questo motivo Giove
(ovverosia Dio) affidò all’uomo il giudizio del libero arbitrio perché sce-
gliesse la vita che voleva vivere. E opportunamente fu scelto un pastore
per giudicare, perché il pastore non fu così intelligente nel giudizio come
era abile nel tirar d’arco e di giavellotto, ma si abbandonò alla stoltezza
bruta e, come son solite fare le bestie, preferì i piaceri (cioè Venere) alla
virtù o alle ricchezze. Questa allegoria, quindi, meritava di essere accolta
da un poeta eroico. In conclusione Mazzoni intende dividere l’allegoria
nelle sue specie e discuterle. Seguendo in parte il commento di Tzetzes ad
Esiodo, Mazzoni divide l’allegoria in contemplativa, morale e ‘negociosa’.
All’allegoria contemplativa Mazzoni dedica il capitolo 39, a quella morale
il 40 e a quella ‘negociosa’ il 41.
Non è il caso che seguiamo Mazzoni dettagliatamente nelle sue di-
mostrazioni. Ma anche nel capitolo 39 propone una allegoria filosofica
per un testo lontanissimo da quegli intenti – un episodio dell’Ariosto.
Questo poeta aveva narrato la «favola» del vecchio che snello e leggero
correva per il cielo della Luna, e sarebbe stato Giovanni l’evangelista30:

30 Cfr. Ludovico ARIOSTO, Orlando Furioso 34, 67 ss.; 92.


1402 Paideia LXXIII (2018)

non si tratta di un’invenzione fantastica, asserisce Mazzoni, ma la favola


deve rispondere alle esigenze del credibile, e poteva farlo solo per mezzo
dell’allegoria. L’allegoria insegna che «sopra il mondo celeste del mondo
intelligibile vi sono le Idee di tutte le cose, come scrisse Timeo e Platone
nel Parmenide e molti altri filosofi» (p. 572), così come Mazzoni spiegherà
poi nella Comparatio31. Qui Mazzoni aggiunge una testimonianza del Ple-
tone, Sulle differenze tra Platone ed Aristotele, la quale asserisce che Dio
«constituisce il Cielo come immagine dell’essemplare intelligibile, e del
mondo ideale»32.
Il capitolo 40 è dedicato alla allegoria morale, e si suddivide in varie
sezioni, conformemente alla mentalità classificatoria di Mazzoni. La
prima allegoria ha luogo quando si confronta il vizio con la virtù, la se-
conda quando si mette in evidenza («si scuopre») la bellezza della virtù
solamente, la terza quando si mette in evidenza la bruttezza del vizio:
per ogni divisione Mazzini adduce delle testimonianze antiche. Egli si
serve, per la prima sezione, di una affermazione tratta dall’opera di Ba-
silio di Cesarea, che ebbe grandissima fama nel Rinascimento fin da
quando fu tradotta in latino da Leonardo Bruni, «come si devono leggere
i libri de’ Gentili» (cioè l’oratio ad iuvenes), che chiama «omelia»
(p. 573), anche se non è tale33. La suddivisione di Mazzoni è certamente
un po’ artificiosa, perché non si capisce per quale stringente motivo si
debba inserire nella terza maniera (quella dedicata al vizio) la discussione
che riguarda le pene dell’inferno (pp. 575-576). Gli antichi, infatti, pro-
segue Mazzoni, poiché furono guidati da un vero lume naturale34, am-
misero l’esistenza della provvidenza di Dio, e quindi delle pene
dell’inferno e del purgatorio. Ora, la descrizione concreta, materiale di
queste pene fu creduta dagli antichi solo in senso allegorico (checché ne
pensasse il Bulgarini), come insegnano varie testimonianze antiche (Ci-
cerone, Giovenale, Ovidio tra i latini, Platone e Proclo tra i Greci). Inol-

31 Cfr. MORESCHINI, La struttura dell’universo, cit. n. 10, pp. 11-15.


32 La citazione non sembra del tutto agevole ad individuarsi con esattezza: cfr. De diff. Plat. et
Arist. 20, PG 160, 915C; 917D. Mazzoni probabilmente si è servito della edizione basileense
del 1574.
33 Cfr. Basil. ad iuv. 5,14-16. Il passo di Basilio è citato in latino, nella traduzione di Leonardo
Bruni.
34 Cfr. anche p. 576: «Platone, constantissimo difensore della provvidenza di Dio, delle pene
de’ peccatori e della mercede de’ giusti» (p. 576). Cfr. anche p. 578, ove si dice che «la setta di
Platone» credette nell’esistenza di quelle pene. Questo ‘lume naturale’ è la dote che permette ai
filosofi antichi di tracciare e proporre una pia philosophia.
C. MORESCHINI, La formazione di un platonico 1403

tre gli antichi aggiunsero anche alcune favole per dimostrare l’esistenza
delle pene infernali, come quella del supplizio di Tantalo. Si tratta di fa-
vole, come dimostra anche l’epicureo Lucrezio, il quale sostiene che
quelle pene infernali sono una allegoria delle pene che soffriamo entro
di noi quando siamo tormentati dai vizi35.
Cosa sia, infine, la “allegoria negociosa” è spiegata all’inizio del cap.
41: essa è «quella che non contiene altra verità, se non quella del fatto e
del negocio istesso, nel modo ch’egli successe, benché ella sia di maniera
ascosa sotto il velame della favola, che non possa in modo alcuno appa-
rere, se non solo a quello che ben fisamente vi guarda». Appartengono
a questo tipo di allegorie gran parte delle interpretazioni dei miti antichi,
composte da Palefato nel libro Delle cose impossibili, nel quale l’autore
mostra che esistono molte favole che, prese alla lettera, sono impossibili,
ma contengono una storia vera se sono lette allegoricamente (p. 580): que-
ste favole sono esposte da Mazzoni nelle pagine successive (pp. 581-584).
A dire la verità, non si capisce quale sia il motivo per un raggruppamento
di questo genere sotto il titolo generale della allegoria: forse esso serve a
preparare un argomento che a Mazzoni interessa di più, vale a dire tro-
vare che anche Aristotele sostenne che esistesse l’allegoria. Questo è af-
fermato nel successivo capitolo 42: dopo aver contestato l’opinione di
Aristarco, che escluse l’esistenza dell’allegoria nei poemi omerici (p. 585),
Mazzoni tira dalla sua parte Aristotele interpretando a suo modo («ha
conceduta l’allegoria nascosa sotto il senso letterale incredibile») il passo

è differente dalle edizioni moderne): ἂν δὲ θῇ καὶ φαίνηται εὐλογώτερον


di Poet. 24,9,1460a35-b2, che così suona nella Difesa della Comedia (ma

ἀποδέχεσθαι καὶ ἄτοπον, ἐπεὶ καὶ τὰ ἐν Ὀδυσσείᾳ ἄλογα, τὰ περὶ τὴν ἔκθε-
σιν, ὡς οὐκ ἂν ἦν ἀνεκτά, δῆλον ἂν γένοιτο, εἰ αὐτὰ φαῦλος ποιητὴς ποιήσῃ.
Νῦν δὲ τοῖς ἄλλοις ἀγαθοῖς ὁ ποιητὴς ἀφανίζει ἡδεύων τὸ ἄτοπον. Questa
la traduzione: «E se parrà che sia più ragionevole ricevere anchora lo
sconvenevole, poiché sono anchora sconvenevoli le cose dette nell’Odis-
sea intorno allo sporre di nave, et è manifesto, che non sariano tolerabili,
se un reo Poeta le facesse. Ma hora con altri beni rendendo il Poeta di-
lettevole la sconvenevolezza la fa sparire» (p. 586).
Con queste parole Mazzoni vuole seguire, stando alle sue parole di
elogio (p. 586), l’interpretazione che di questo passo della Poetica aveva
proposto il Cavallier Leonardo Salviati: il commento di Salviati risale al

35 Perbrevità non indichiamo le citazioni dei poeti latini qui nominati, riserbando l’individua-
zione di esse alla edizione del terzo libro, attualmente in fase di elaborazione.
1404 Paideia LXXIII (2018)

1574 ed è tuttora inedito36. E poiché il testo di Aristotele che Mazzoni


leggeva aggiunge le parole τὰ περὶ τὴν ἔκθεσιν, egli ritiene che esse si ri-
feriscano alla “esposizione” (cioè al trarre dalla nave e deporre sulla
spiaggia) che i naviganti Feaci fecero di Ulisse addormentato, quando la
loro nave giunse a Itaca (Od. 13) («Corfù», dice Mazzoni). Tale esposi-
zione doveva apparire poco giustificata moralmente, per cui Mazzoni si
sofferma (pp. 586-587) a spiegare questa «sconvenevolezza»; essa sa-
rebbe stata spiegata, egli dice, anche da un «commentatore vulgare» di
Aristotele, che Mazzoni cita abbastanza spesso senza nominarlo, perché
in odore di eresia, cioè il Castelvetro. Del resto, un’altra sconvenevolezza
era rappresentata dalla descrizione dell’antro delle ninfe nell’Odissea
(13,102-112), che aveva suscitato l’interpretazione allegorica di Cronio,
di Numenio e, soprattutto, di Porfirio. Mazzoni si dilunga a esporre l’in-
terpretazione di Porfirio (pp. 587-589), mostrando un’attenzione per il
neoplatonico, che rientra, appunto, negli interessi filosofici che si ac-
compagnano a quelli retorici nella Difesa della Comedia, come dicevamo
all’inizio.

[già Università degli Studi di Pisa] CLAUDIO MORESCHINI


cm.moreschini@gmail.com

36 Mazzoni probabilmente la lesse personalmente, e poté ottenerne una copia data la sua amicizia
con l’ambiente fiorentino. Si sa, del resto, che Mazzoni fece vedere la sua Difesa a vari amici,
prima che essa fosse pubblicata. Nominare con ossequio il Salviati, fondatore dell’Accademia
della Crusca, era quasi un obbligo per chi, come Mazzoni, fu nominato ‘cruscante’ con il titolo
di ‘stagionato’.
INDICE DEL VOLUME
(PARS PRIMA – Paideia 73 [I/III])

GIUSEPPINA ALLEGRI, Ai lettori 5

CATULLIANA
Catullo: modelli, tradizione manoscritta, Fortleben

TAMÁS ADAMIK
The Structure and the Function
of Similes in Catullus’ Poetry 9

ANTONELLA BORGO
Villette, ipoteche e debiti:
a proposito di un tema poetico
(Furio Bibaculo frr. 2 e 3 Tr.; Catullo 26) 31

ALBERTO CANOBBIO
Rileggendo il carme 10 di Catullo:
una proposta esegetico-testuale per i versi 9-13 43

GREGSON DAVIS
The text of Catullus Carm. 4,19:
the case for conjectural emendation 57

RITA DEGL’INNOCENTI PIERINI


Per una storia della fortuna catulliana in età imperiale:
riflessioni su Catullo in Seneca 63
1468 Paideia LXXIII (2018)

SIMONE GIBERTINI
Integrazioni alla bibliografia critica
del Codex Traguriensis
(Paris, B. N. F., Latin 7989): 1961-1999 81

ROBERT DREW GRIFFITH


The Clueless Cuckold and the She-Mule’s Shoe
(Catullus 17,23-26) 93

BORIS HOGENMÜLLER
Bemerkungen zur Intra- und Intertextualität
von Cat. c. 68,1-10 103

WOLFGANG HÜBNER
„Katulla“ – Geschlechtsumwandlung bei Catull 117

KONRAD KOKOSZKIEWICZ
A Note on Catullus 68b,157-158 139

DAVID KONSTAN
Two Trips to Bithynia? A Note on Catullus’ Phaselus 147

LEAH KRONENBERG
Catullus 34 and Valerius Cato’s Diana 157

ALFREDO MARIO MORELLI


“Il disunito filo che ci unisce”.
La traduzione catulliana di Enzo Mazza 175

CAMILLO NERI
“Fiamme gemelle”.
Storia di un (possibile) rapporto intertestuale 203

JOHN KEVIN NEWMAN


Catullus and Love Poetry 221

MARIANTONIETTA PALADINI
Ancora sul carme 17 di Catullo:
dai fescennini a Claudiano 245
Indice del volume I/III (Pars prima) 1469

PAOLA PAOLUCCI
L’imbarcazione, il mulattiere ed il fungo 269

MARIA CHIARA SCAPPATICCIO


Sopionibus scribam (Catull. 37,10).
Sacerdote, Petronio, Syneros, Catullo: una nota esegetica 279

MARIA TERESA SCHETTINO


Catullo e i suoi sodales:
una generazione sospesa tra le guerre civili 295

ÉTIENNE WOLFF
Catulle (ou son absence) dans la poésie
de Janus Pannonius (1434-1472) 325

ARTICOLI E NOTE

LUIGI BELLONI
La parola ‘eschilea’ di Ildebrando Pizzetti
in Assassinio nella Cattedrale 335

PAOLO CUGUSI
Osservazioni testuali su carmi epigrafici latini 361

PIERRE-JACQUES DEHON
Priape et les quatre saisons:
un élément pour la chronologie des Priapea? 391

ROBERTA FRANCHI
In bonam et in malam partem:
la simbologia del corvo dalla Bibbia a Boccaccio 407

FABIO GASTI
Aspetti della presenza di Ovidio in Ennodio 431
1470 Paideia LXXIII (2018)

SIMONE GIBERTINI
Properzio 1,1,1 nel ms. Paris, B. N. F., Latin 7989 451

MARIA RITA GRAZIANO


Abstracta e personificazioni in Lucano 463

VINCENZO LOMIENTO
Il discorso di Anchise (Aen. 6,724-751):
l’intreccio e le maglie del testo 489

MASSIMO MAGNANI
L’Eolo di Euripide e le genealogie degli Eoli 511

GRAZIA MARIA MASSELLI


Clizia in fiore: metamorfosi per amore 529

CLAUDIO MICAELLI
Osservazioni sull’Inno VIII
del Cathemerinon di Prudenzio 547

ALESSIA MORIGI
Fuori porta.
Dati inediti sulle ville extraurbane di Parma dagli scavi
e dalle prospezioni in via Forlanini e in via De Chirico 567

RENATO ONIGA
Il latino nella formazione intellettuale europea
in età moderna e contemporanea 593

TIBERIU POPA
Virgil’s Eclogues and the Aesthetics of Symmetry 613

GUALTIERO ROTA
L’Irrisio Gentilium Philosophorum:
“neurospaston” da Clemente al... Pinoculus di Maffacini
(Herm. Irris. 12,4) 631

GUALTIERO ROTA
Michele Psello e un esempio di “risemantizzazione cristiana”:
De omnifaria doctrina 164 651
Indice del volume I/III (Pars prima) 1471

ARIANNA SACERDOTI
A proposito di Antigone
e di “disambientazioni” del personaggio 665

RICCARDO VILLICICH
Teatri di età ellenistica nell’Epiro e nell’Illiria meridionale:
alcune riflessioni 681

LORIANO ZURLI
Alcestis Barcinonensis ed Aegritudo Perdicae.
Considerazioni stravaganti 699
INDICE DEL VOLUME
(PARS SECUNDA – Paideia 73 [II/III])

GIUSEPPINA ALLEGRI, Ai lettori 721

CATULLIANA
Catullo: modelli, tradizione manoscritta, Fortleben

NEIL ADKIN
Cunni(ng) cacemphaton in Catullus 725

EMANUELA ANDREONI FONTECEDRO


Una “citazione” nascosta di Catullo in Cicerone? 733

KRYSTYNA BARTOL
Catullo, 64,19-21: una reminiscenza alcaica? 739

ALESSIA BONADEO
Pranzo al sacco o tenzone poetica?
Una rilettura di Catull. 13 749

GABRIELE BURZACCHINI
Memoria saffica in Catullo: un nuovo caso? 775

MALCOLM DAVIES
Catullus 61: cletic and encomiastic conventions 795

ROSALBA DIMUNDO
Il motivo del verberare puellam negli elegiaci latini 811
1474 Paideia LXXIII (2018)

PAOLO GATTI
Nonio Marcello e Catullo 829

JOHN GODWIN
The Ironic Epicurean in Poems 23, 114, 115 837

STEPHEN HARRISON
Further notes on the text and interpretation of Catullus 853

FREDERICK JONES
Catullus’ libellus and Catullan aesthetics 867

BORIS KAYACHEV
Catullus 64,71: a textual note 891

SEVERIN KOSTER
22: Ein anderer Catull? 895

DAVID KUTZKO
Isolation and Venustas
in Catullus 13 and the Catullan Corpus 903

MIRYAM LIBRÁN MORENO


El ave daulíade: Catul. 65,12-14 y sus precedentes griegos 925

GIANCARLO MAZZOLI
Iam: una particella molto catulliana 937

LUIGI PIACENTE
Catullo a casa Guarini 955

BRUNA PIERI
Nimio Veneris odio: Catullo ‘tragico’ in Seneca ‘lirico’ 967

RÉMY POIGNAULT
Catulle chez Marguerite Yourcenar 989

GIOVANNI POLARA
Il Catullo di Francesco Arnaldi 1003
Indice del volume II/III (Pars secunda) 1475

CHIARA RENDA
Riflessi catulliani nella poetica di Fedro 1025

MARCOS RUIZ SÁNCHEZ


Catulo ante la encrucijada de los géneros 1039

STEFANIA SANTELIA
‘Riusi’ di Orienzio:
saggio di commento a Comm. 1,1-42; 2,1-12 e 407-418 1063

ALDO SETAIOLI
La dedica di Catullo a Cornelio Nepote 1091

GIUSEPPE SOLARO
Cesare, Clodia e quell'eterno tormento 1107

RENZO TOSI
Osservazioni in margine al carme 86 di Catullo 1115

TIMOTHY PETER WISEMAN


Why is Ariadne Naked? Liberior iocus in Catullus 64 1123

ARTICOLI E NOTE

RENATO BADALÌ
Medici poeti 1169

MARIA ANTONIETTA BARBÀRA


L’esegesi di Cantico dei cantici 2,6 e 8,3
di Cirillo di Alessandria 1177

FRANCIS CAIRNS
Epilegomena to Horace Odes 1,38 1201
1476 Paideia LXXIII (2018)

GIOVANNI CIPRIANI - GRAZIA MARIA MASSELLI


Come debellare la febbre malarica in Roma antica:
i magi, i medici e il “buon” uso della parola 1229

PAUL CLAES
Allegory in Horace’s Soracte ode 1261

EDOARDO D’ANGELO
Il motivo della ‘fanciulla perseguitata’
nell’agiografia latina 1269

FRANCESCO DE MARTINO
Filologia e Folklore:
Giorgio Pasquali e le vestigia della “covata” 1285

PAOLO FEDELI
‘Si licet exemplis in parvo grandibus uti’.
Ovidio, all’ombra dei mitici esempi 1307

CRESCENZO FORMICOLA
Vergilium vidi tantum:
intertestualità virgiliana nella poesia ovidiana dell’esilio 1321

ALFREDO GHISELLI
Inno a Roma 1343

GIANNI GUASTELLA
L’Agamennone di Evangelista Fossa
e i primi volgarizzamenti delle tragedie senecane 1353

DAVID PAYNE KUBIAK


The Muses in the Prologue of Cicero’s Aratea 1373

CLAUDIO MORESCHINI
La formazione di un platonico:
dalla Difesa della Comedia di Dante
alla Comparatio fra Platone e Aristotele 1387
Indice del volume II/III (Pars secunda) 1477

ANTONIO VINCENZO NAZZARO


L’immagine salmica delle cetre appese ai salici
nella poesia italiana 1405

MARIA ROSARIA PETRINGA


A proposito di due passi della parafrasi del libro di Giosuè
nel poema dell’Heptateuchos 1423

GIANNA PETRONE
Il volto della maschera.
Su alcuni effetti drammaturgici del teatro senecano 1429

ANTONIO STRAMAGLIA
Si può mentire sotto tortura? Nota a Ps. Quint. decl. 7,6 1455

ANDREA TESSIER
La prefazione di Adrien Tournebus al suo Sofocle (1553) 1459
Finito di stampare nella Stilgraf di Cesena
nel mese di luglio 2018
PAIDEIA QUADERNI DI «PAIDEIA»
rivista di filologia, ermeneutica e critica letteraria collana di studi di antichistica e filologia
PERIODICO ANNUALE

DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Gilberto Biondi


VICEDIRETTORE: Giuseppina Allegri
PAIDEIA
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Simone Gibertini, Massimo Magnani, Grazia Maria Masselli,
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COMITATO SCIENTIFICO INTERNAZIONALE:

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