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Storia della lingua italiana

Prof.ssa Fiammetta Papi


LEZIONE 1 / 27 settembre 2021

Introduzione

Il corso è incentrato sul Paradiso di Dante, anche per celebrare il centenario. Si approfondirà il
rapporto tra la lingua di Dante e la lingua antica: qual è lo scarto e qual è il debito di Dante? Si
noteranno anche, ovviamente, i dantismi, dei quali il Paradiso è particolarmente ricco. Il 60% del
vocabolario fondamentale dell’italiano (circa 2000 parole che ricorrono più frequentemente in ogni
testo scritto o parlato) è già attestato nella Divina Commedia, dato osservato da Tullio Di Mauro. Il
contributo dato da Dante alla lingua italiana si misura anche nel fatto che molti signi cati che le
parole hanno assunto derivano proprio dall’utilizzo dantesco: spesso Dante ha risemantizzato le
parole. Un esempio può essere la parola bolgia: era già di usa, col signi cato di “borsa”, quasi di
“tasca”; le Malebolge sono come delle voragini, più profonde, dell’Inferno; quel signi cato è poi
rimasto nell’italiano contemporaneo, con un ulteriore abbassamento semantico, per indicare una
situazione di confusione.

Testi in esame:

- Testo del Paradiso a cura di Inglese, edito da Carocci. È quella che dà più spazio all’aspetto
linguistico. Può essere a ancata da altre edizioni commentate, tra cui quella a cura di Anna
Maria Chiavacci Leonardi dei Meridiani Mondadori. Cfr. Sito https://dante.dartmouth.edu, su cui
si può indicare un verso e sfogliare tutti i commenti che sono stati fatti, no a quello della
Leonardi. Un’altra edizione è a cura di Mercuri, Einaudi, del 2021, utile soprattutto per la
parafrasi.

- Tutte queste edizioni fanno riferimento al testo a cura di Giorgio Petrocchi, La Commedia
secondo l’antica vulgata. Nel 2001 è però entrata una nuova edizione a cura di Sanguineti, che
si basa su presupposti del tutto diversi. È un’edizione che dà molto spazio ai manoscritti
settentrionali della Commedia, in quanto Dante è morto a Ravenna e ha composto la
Commedia, specialmente il Paradiso, tra Bologna e altre città dell’Italia del Nord. Uno dei rimi
problemi è infatti valutare quanto di orentino sussista nelle prime tradizioni della Commedia. A
breve uscirà anche una nuova edizione critica, che riparte invece dal testo Petrocchi, ma con
una revisione importante dello stemma, a cura di Giorgio Inglese, per la Società Dantesca
Italiana. Molti dei presupposti per questa edizione critica stanno già nell’edizione commentata
in esame.

- Alcuni saggi che si analizzeranno: Un esempio di poesia dantesca di Contini in Varianti e altra
linguistica.

- I. Baldelli, Dante e la lingua italiana.

- Gli ultimi tre (la voce “Dante" di Mirko Tavoni nell’Enciclopedia dell’Italiano https://
www.treccani.it/enciclopedia/dante_%28Enciclopedia-dell%27Italiano%29/; P. Manni, "La
lingua di Dante", il Mulino, 2013, capp. I, II, III, IX-XV; "Dante", a c. di R. Rea e J. Steinberg,
Carocci, 2020, cap. 13) sono molto recenti e servono anche per fare il punto e ripassare alcune
nozioni fondamentali che si devono sapere.

Esame

L’esame di norma è orale (parafrasi di passi letti insieme e domande, speci che sulla lingua, sui
lemmi, sui dantismi). Si è anche pensato di sostituire l’orale con una tesina da consegnare; a
questa non seguirebbe poi un orale, ma sarebbe su ciente. Potrebbe essere la
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contestualizzazione di un certo lemma in un passo del paradiso, con parafrasi e un elenco di fonti
consultate. Verranno date più notizie in seguito.

LEZIONE 2 / 28 settembre 2021

Vediamo il manoscritto più noto e più importante della Divina Commedia, il Manoscritto trivulziano
1080, conservato alla Biblioteca Trivulziana di Milano. La carta che vediamo è l’incipit del
Paradiso. È il più antico manoscritto orentino datato. È stato copiato nel 1337 da Francesco di
Ser Nardo da Barberino. Non è esattamente di Firenze ma proviene da una zona vicina.

Il miniatore è detto Maestro delle e gi domenicane. Nella lettera incipitaria vediamo


l’incoronazione della vergine circondata dagli angeli festanti e musicanti; il freso che corre lungo i
margini rappresenta Dio padre circondato dagli angeli, disposti secondo le gerarchie. I più vicini a
Dio sono i Sera ni in rosso, seguiti dai Cherubini in blu, e così via; in realtà questo ordine non è
esattamente quello di Dante, ma ci sono anche delle a nità linguistiche. La radice ebraica della
parola “sera no” signi ca ardere, e per questo sono colorati di rosso: sono essere che ardono e
godono della vicinanza al Creatore. In fondo alla pagina invece è rappresentato un uomo che
parla e qualcuno dal cielo che lo incorona.

Questo manoscritto è il testo base seguito da Petrocchi per la veste linguistica della Commedia,
in quanto è il manoscritto più antico orentino che possediamo. È seguito per la veste linguistica
anche nell’edizione di Inglese.

Il codice è miniato nei frontespizi delle tre cantiche; si può consultare liberamente.

Struttura del Paradiso


Dante si basa sul sistema aristotelico riletto dalla Scolastica (Tommaso D’Aquino, Averroè,
Boezio, Sant’Agostino). La Terra si trova al centro dei cieli, immobile e creata da Dio. L’Inferno si
apre in una voragine vicino a Gerusalemme e scende no al centro della Terra, dove è con ccato
Lucifero. La Terra è riemersa dalla parte opposta, formando la montagna del Purgatorio, che
culmina nel Paradiso terrestre. Qui Dante ha incontrato Beatrice e con lei sale verso i cieli.

Dio è puro amore; è primo motore o motore immobile ed è fuori dal tempo e dallo spazio. È
qualcosa che non può essere narrato, perché è fuori dalla dimensione umana, e contiene in sé
tutto l’universo.

Da Dio, che muove senza essere mosso, il movimento si propaga al Primo Mobile, che è dalla
prospettiva della Terra l’ultimo cielo e il più lontano, ma è in realtà il più vicino a Dio e il più veloce
perché riceve direttamente il movimento.

Le sfere ruotano in cerchi concentrici intorno alla Terra e la trasmissione del movimento si deve
alle Intelligenze celesti. I nove cieli ruotano intorno alla Terra a velocità decrescente. Ciascuna
schiera o coro angelico muove un cielo.

Dove si collocano i beati che Dante incontrerà a partire dal terzo canto? In realtà, tutti i beati si
trovano nell’Empireo, che potremmo de nire il decimo cielo. Qui godono dell’eterna visione di Dio,
e Dante li ra gura in un grande an teatro celeste, all’interno di una candida rosa. Il fatto che
Dante li incontri invece nei diversi cielo è una strategia di Dante. È come se i beati scendessero
nei diversi cieli per manifestarsi a Dante.

Canto I
- Troviamo un lungo proemio di 36 versi, più lungo delle altre cantiche. Vediamo u’invocazione ad
Apollo e alle Muse; nell’Inferno e nel purgatorio, l’invocazione era solo alle Muse, ma per
l’ultima impresa è necessario ricorrere al dio stesso della poesia.

- Nella seconda parte Dante e Beatrice si innalzano ai cieli.

- Nell’ultima parte c’è una spiegazione di Beatrice.

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I primi tre canti del Paradiso sono importanti perché sono di tre tipi diversi: proemiale il primo,
dottrinale il secondo, narrativo il terzo.

Vv. 1-36

- Nel testo inglese non ci sono virgole tra penetra e risplende; in tutte le altre edizioni che
seguono il testo Petrocchi, c’è una virgola. Ovviamente i manoscritti del primo Trecento non
hanno sistema di punteggiatura, o se lo hanno questo non è accettabile per noi. Inglese non si
discosta dal testo Petrocchi, ma questa virgola sottolineava che la gloria di Dio penetra
nell’universo, ma risplende in alcune parti più che in altre. La gloria di Dio cioè non ammette
gradualità, penetra ovunque nello stesso modo e poi risplende in maniera diversa. Secondo
altri commentatori, invece “penetra e risplende” sarebbe un’endiadi. Questo però sarebbe in
contraddizione con la Dio, dato che la gloria di Dio penetra in tutto l’Universo, contenendolo, e
si manifesta poi in modo diverso nei diversi cieli. Nel canto XXXI del Paradiso “La luce divina è
penetrante per l’universo secondo che è addegno”.

- Citazione della seconda epistola ai Corinzi di San Paolo, in cui si legge: “udii cose di cui non è
lecito parlare”. Dante diventa un secondo Paolo, mentre all’inizio dell’Inferno aveva detto “Io
non Enea né Paolo sono”.

- Profondare è una parola che ricorre anche nel Canto XXVIII, ma solo nel Paradiso. Ci si può
servire del sito https://dantesearch.dantenetwork.it per fare ricerche di questo tipo. Un altro
strumento cui fare riferimento è l’Enciclopedia dantesca, opera in sei volumi uscita tra 1970 e
1978, consultabile ora sul sito della Treccani. È dedicata a tutto l’universo dantesco e ci sono
voci per ogni lemma della Commedia (https://www.treccani.it/enciclopedia/elenco-opere/
Enciclopedia_Dantesca). È tutta consultabile gratuitamente sul sito tranne che l’ultimo volume,
Appendice, dedicato alla lingua, allo stile (sintassi, morfologia). Ma sui lemmi si trova tutto negli
altri volumi.

- Veramente: tuttavia.

- V. 12: “Serà” è la forma del manoscritto trivulziano. Serà con la e è la forma che si usava a
Firenze no alla ne del Duecento, poi sostituita con “sarà”. È possibile che Petrocchi, nella
restituzione del testo abbia uniformato con la forma più vicina all’italiano contemporaneo.
Inglese invece segue ciò che di volta in volta dice il manoscritto. Nella nota, Inglese fa
riferimento a G 587; G è la grammatica storica di inglese. In fondo all’edizione si trovano delle
Note di grammatica storica, in cui si fa riferimento ai fenomeni che troviamo nel testo.

- Dai vv. 13-15 capiamo che nella miniatura l’uomo incoronato era Dante.

- C’è un uso traslato della parola “vaso”, a intendere “ricettore”.

- Aringo è un germanismo e indica l’arena, l’impresa rimasta. Non gli bastano più solo le muse
ma ha bisogno anche di Apollo (gli servono le due vette). Nella miniatura, Dante si trova proprio
tra due montagne, l’Olimpo e il Parnaso.

- A Marsia furono strappate le braccia. Epitesi.

- La vagina delle membra sua: la custodia del suo corpo, cioè la pelle; vagina sta per guaìna. Dal
latino VAGINAM si sono avuti due esiti, che entrambi volevano dire “rivestimento”: una è
vagina, che in italiano antico signi cava quella che oggi chiamiamo “guaina”, che dovremmo
però pronunciare guaìna. La i infatti in latino è lunga. La V era “u”, ed è diventato “gu”, come il
germanico *w (esempio in *werra > guerra).

- V. 27: Che, che potrebbe essere un ché, come quello dell’incipit “che la diritta via era smarrita”,
erede del quod latino. Anche qui rimando alla grammatica storica.

- V. 29: triunfare transitivo.

- “Dovresti essere tanto più lieto, in quanto oggi l’incoronazione poetica è sempre più rara”.

- Cirra: Apollo.

Vv. 37-48

La terza cantica accoglie sempre più latinismi.

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- La lucerna del monte: il sole

- “Ma sorge con migliore corso (in primavera) e sotto migliore stella (la costellazione dell’Ariete),
con quattro cerchi e tre incroci”. È una lunga perifrasi per l’equinozio. Cfr. Nota integrativa
Inglese.

- V. 42: Di là, nell’altro emisfero, quindi sul Paradiso terrestre, mattina, mentre di qua, dove Dante
auctor sta scrivendo, sera. È un viaggio che comincia a mezzogiorno, quando Beatrice si volta
a sinistra e guarda verso il sole.

LEZIONE 3 / 1 ottobre 2021

Recuperare

Uno strumento utile per la lologia dantesca è Dartmouse Dante Project, che raccoglie tutti i
commenti; il primo a proporre l’interpretazione di “peregrino” fu Francesco da Muti; tra i
commentatori più antichi i più autorevoli sono Iacopo della Lana, ?, ?. i commenti antichi sono
importanti, specialmente per i commenti lessicali. Faticano anche loro a interpretare il passo e
riferiscono peregrino al raggio.


Vv. 54-63.

- Bogliente: da buillientem, con jod che si insinua e spiega la palatalizzazione;

- Potenziamento della capacità visiva di Dante gli fa percepire di essere circondato da una
crescente luminosità.

- Sfavillare è un verbo importante. Oggi è un lemma comune, ma nella Commedia rappresenta


una prima attestazione dantesca: non lo troviamo attestato prima di Dante. Questo non
signi ca che non fosse usato, ma è un’informazione comunque signi cativa. Tutto il viaggio di
Dante nel terzo regno è una rappresentazione di luci via via crescenti, astrazione, geometria. Un
verbo come sfavillare è in qualche modo de nitorio della stessa realtà del Paradiso. Questo
verbo, inoltre, veniva usato nell’Inferno, per indicare la cappe dei ? (Min 13-14).

Un altro strumento prezioso è il Vocabolario dantesco. I lemmi sono quasi sempre sempre
accompagnati da una nota che ne discute gli aspetti dal punto di vista lessicale e semantico.

vv. 64-81

- Dante distoglie momentaneamente gli occhi dal sole per contemplare Beatrice;

- Siamo al punto centrale della Commedia: la trasumanazione mortale di Dante, che per
accedere alla visione di Dio. Una volta puri cato, si sente trasformato per oltrepassare i imiti
della vita umana. Trasumanar è il suo neologismo più famoso.

- Glauco, pescatore, aveva ingerito un’erba magica che lo aveva trasformato in divinità marina. È
solo un accenno di Dante per preludere alla propria metamorfosi.

- Poria: condizionale poetico in -ia.

- Altra citazione diretta della seconda Epistola ai Corinzi di Paolo. Paolo è rapito al Cielo ma non
può dire (lo sa Dio) se con il corpo; anche Dante non lo sa.

- Sempiternare: altro neologismo dantesco. “Quando la ruota dei Cieli che tu muovi eternamente,
grazie all’amore che li rende desiderosi di avvicinarsi a te”.

- Sempiternare desiderato: il movimento dei cieli è generato dalle intelligenze celesti, ma la


trasmissione del movimento avviene come causa nale, secondo la meta sica aristotelica. I
movimenti sono causati dal desiderio di ritornare alla fonte d’amore.

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- Trasumanare è formato col pre sso tras- trans-, superare l’umano. Il lessico della Commedia si
può distinguere in diversi componenti: un serbatoio lessicale importante sono i latinismi, che si
trovano soprattutto nel Paradiso, ma non solo, e che mai così tanti troviamo in un testo
letterario; c’è anche una componente di lingua quotidiana (Inferno), poi ci sono i gallicismi e i
germanismi. Tutte queste componenti culminano nelle neoformazioni dantesche, i termini che
crea Dante stesso per dire cose mai dette prima di lui. La maggior parte dei neologismi
danteschi è formata con il pre sso in- (più pornomi: intuarsi, immiarsi, più sostantivi:
imparadisarsi, più numerali: incinquarsi, intrearsi, immillarsi, più avverbi: insemprarsi, indovarsi).
Per la maggior parte sono quindi verbi parasintetici (formati da pre sso e su sso che si
aggiungono a un nome o a un oggettivo, come intavolare. Trans- è il pre sso meno usato, per
questo è ancora più signi cato come neologismo, in una posizione così signi cativa.

Vv. 82-113

- Beatrice ormai legge nella mente di Dante.

- Aprìo deriva da una regolare evoluzione AUDIVIT ?? Min 35 È una forma della lingua dantesca,
del orentino di ne Duecento e inizio Trecento.

- Acume: è un latinismo che non si trova attestato prima di Dante e che è anche, come
sostantivo, molto raro al di fuori di Dante. È il tipico caso di una parola che è diventata comune
dopo di lui e grazie a lui. Molti latinismi avevano un grado di marcatezza molto superiore
rispetto a quello che noi possiamo percepire. La parola latina ACUME prima veniva tradotta
con altre parole, come “sottigliezza”. Quando Dante recupera un latinismo lo fa come scelta
stilistica consapevole. Cfr. Vocabolario dantesco: il signi cato odierno di perspicacia e in parte
anche furbizia viene da un altro uso dantesco, primiera acume come capacità di comprendere e
penetrare. In latino era ACUMEN INGENII. Si è poi di uso poi proprio grazie alla grande fortuna
che ha avuto.

- Beatrice ora spiega cosa è successo a Dante, cioè l’innalzamento al cielo.

- Sorrise: aggettivo. Creazione dantesca.

- Corpi levi: la sfera dell’aria e del fuoco.

- Min 45? :Latinismo attestato soltanto in Dante. Deliro è un altro dantismo.

- Toccata norma: Beatrice che ha toccato il discorso precedente.

- Accline: latinismo.

- Il grande mare dell’essere: l’universo.

vv. 114-142

- Beatrice risponde alla domanda “Com’è possibile che io ascenda verso i cieli?”, dicendo che è
un’inclinazione normale, la stessa che porta il fuoco verso l’alto.

- La provvidenza rende sempre quieto l’Empireo, in cui gira il cielo che è più veloce, cioè il primo
mobile. Stiamo risalendo come se ci avesse saettati un arco verso quello che è il ne di ogni
creatura, cioè Dio.

- Il salire di Dante è naturale come quello di un ume che scende dal monte.

LEZIONE 4 / 5 ottobre 2021

Non ci sono autogra della Commedia, le prime testimonianze manoscritte sono della metà del
Trecento, per quanto delle versioni circolassero già quando Dante era in vita. La Commedia è
un’opera che si è di usa non a partire da Firenze. Sicuramente non circolò nelle tre cantiche
come la conosciamo oggi, ma per singole cantiche o forse, addirittura, per gruppi di canti (così è

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suggerito da Boccaccio). L’Inferno circolò almeno dal 1314, quindi è la di usione di questa
cantica e del Purgatorio fu comunque a partire dalla Toscana. Il Paradiso e la Commedia conclusa
invece si irradiarono dal nord Italia. Probabilmente da Ravenna o Bologna partì la primissima
di usione del Paradiso e della Commedia intera.

La Commedia ebbe un successo immediato, che diede luogo a quella che de niamo oggi una
tradizione sovrabbondante: possediamo circa 800 manoscritti, l’opera in volgare di cui si conosce
il numero più alto di manoscritti. Di questi circa 600 contengono almeno una cantica. Questo è il
primo problema della restituzione del testo critico.

Ci sono poi tre problemi più caratteristici:

- Contaminazione endemica ed estesissima. In una stessa bottega copiavano più copisti,


procedendo per fascicoli, che potevano provenire da rami diversi della tradizione. Inoltre, la
Commedia apparve subito come un capolavoro, quindi un copista che ne realizzò più copie
nella sua vita poteva darsi della propria memoria e inserire lezioni errate nella copia.

- Rarità di errori evidenti della tradizione. Avendo una struttura metrica molto serrata, i copisti
tendono a correggere per congettura e, aiutati dalla musicalità del verso e dalla propria
memoria, possono cercare di aggiustare il verso, alterando la lezione originale.

- Frequenza di errori poligenetici: ripetizioni di parole a breve distanza, errori di anticipo o


posticipo. Tutti, però, che non aiutano una ricostruzione del testo su principi lachmanniani.

Sono molto rari gli errori congiuntivi, come lacune o interpolazioni, perché è un poema in terzine
incatenate. È raro, quindi, accorgersi che manca un verso.

Dal punto di vista lologico, ci sono forti di coltà nella classi cazione dei testimoni, della
ricostruzione del testo critico e della valutazione della veste linguistica. Questo non signi ca che
la lingua di Dante non sia conoscibile. In assenza di autogra , non si possono conoscere gra a,
fonetica e morfologia originarie, ma lessico e sintassi sono d’autore sicuramente. Anche per
quanto riguarda la fonetica e la morfologia, inoltre, la presenza di una struttura metrica così
serrata ci garantisce che le rime, dovendo essere perfette, contengano forme d’autore. Per
esempio, in Paradiso VI troviamo diece / fece in rima. Questo ci garantisce che Dante usa la
forma orentina diece, quella del orentino della sua epoca. Sappiamo quindi che Dante scrive in
orentino, anche perché Dante sceglie la lingua propria e naturale, il volgare che si apprende dai
genitori, come lingua con cui si può cantare qualsiasi materia.

Dalla voce Dante, di Mirko Tavoni in Enciclopedia dell’italiano

I tratti padani potrebbero anche essere dell’autore; si lascia in sospeso la domanda. Sicuramente
non si arriverebbe mai ad una Commedia scritta in padano: ci sono anche tre passi in cui Dante
accredita la propria origine orentina: Inf, X (Farinata), Inf, XXXIII (Ugolino), Par, XXV (Dante

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auspica per sé l’incoronazione poeta a Firenze). Tuttavia, l’esilio portò ad un allargamento degli
orizzonti anche linguistici di Dante.

I manoscritti principali
Codici toscani

- Triv = Milano, Biblioteca Trivulziana 1080. Il più antico manoscritto datato: copiato nel 1337 da
Francesco di per Narso da Barberino. È il testimone privilegiato per la ricostruzione linguistica
nell’edizione Petrocchi.

- Ga = Firenze, Biblioteca Laurenziana; copiata da Francesco di per Narso da Barberino dieci


anni dopo.

- Mart = Milano, Biblioteca Braidense. È un’aldina stampata da Manuzio, che è stata postillata
dal lologo Luca Martini a metà Cinquecento. Le postille registrano delle varianti che derivano,
come lui stesso dichiara, da un manoscritto orentino del 1330-31; è oggi perduto, ma è il
manoscritto più antico conosciuto della Commedia. Triv e Mart sono testualmente molto vicini.

- Ash, Biblioteca Laurenziana. È un codice molto antico, datato 1335, ma da assegnare al 1334,
forse addirittura il più antico datato della Commedia tout court. Non è orentino, ma pisano.
Pare che la data non sia proprio di Ash, ma indicherebbe la data dell’antigrafo; allora Ash
secondo alcuni darebbe della metà del secolo.

- Ham, Berlino, Hamilton 203. È del 1346, trascritto a Pisa da un copista lucchese.

- Gruppo del Cento. Sono circa cinquanta manoscritti, ma sono denominati così per un
aneddoto secondo cui un amanuense avrebbe tratto 100 copie della Commedia guadagnando
così la dote delle glie.

- Vat: Vaticano Latino 3199. Tradizionalmente, si identi ca con quello fatto allestire da Boccaccio
e recato in dono da questi a Petrarca. È stato poi utilizzato da Bembo per curare la stampa
aldina del 1502. Da una copia di Vat, copiò poi di sua mano altri tre manoscritti: il Toledano (To),
il riccardiano (Ri) e il chiniamo (Chig). Secondo Petrocchi, questo segna il con ne dell’antica
vulgata, perché Boccaccio avrebbe poi alterato signi cativamente la tradizione del testo.

Tradizione settentrionale

- La, codice Landiano. È di di cile lettura, perché fu copiato nel 1336 a Genova, ma poi fu
collazionato direttamente sul testo da un’altra mano. Tolto Ash, sarebbe quindi il manoscritto
più antico che possediamo.

- Urb, Urbinate Latino 366 della biblioteca Vaticana, trascritto nel 1342 da un copista romagnolo.
È un testimone antico, che dal punto di vista della lezione è un buon testimone; ma è
ipersettentrionale: per esempio, tutti i pronomi mi, ti sono me, te, con mancata chiusura in
protonia; nell’incipit, scempiamento camin al posto di cammin.

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- Mad, 1354, Madrid

- Rb, Riccardiano-Braidense, smembrato in due parti, una conservata a Firenze e una a Milano.
Contiene il commento di Iacopo della Lana.

Edizioni critiche
- Edizione Petrocchi, in 4 volumi, La commedia secondo l’antica vulgata. La prima edizione esce
a ridosso del centenario della nascita: 1966-67 e in edizione rivista, 1994. La tradizione entro il
1350-55, prima delle copie di Boccaccio. Si fonda sui 27 manoscritti più antichi appartenenti
alla vulgata. Petrocchi o re uno stemma, che non nasce come stemma lachmanniano
propriamente detto: c’è anche una cronologia a lato. È stato obbiettato a Petrocchi che quando

ci sono due varianti tra cui scegliere, si risolve caso per caso, lo stemma non guida in un senso
o in un altro.

- Edizione di Sanguineti, 2001. È un’edizione critica in senso anche più stretto, perché parte da
una collazione di loci critici, già individuati da Michele Barbi, e arriva a costituire uno stemma,
che è una drastica sempli cazione. Ci sono solo 7 codici, che secondo lui sono gli unici
necessari. Il ramo β si riduce al solo Urb, che pesa come tutti gli altri messi insieme; l’edizione,
quindi si basa su Urb, ma deve eliminare tutti i tratti chiaramente settentrionali, con una
retroversione in orentino.

- Edizione Lanza: si basa solo sul manoscritto Triv.

- L’équipe di Trovato sta lavorando alla prossima edizione, che dovrebbe uscire del 2021. È
anche uscita quella di Inglese.

LEZIONE 5 / 8 ottobre 2021

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È un canto dottrinale e loso co, uno dei più ardui da comprendere, per ammissione stessa di
Dante è ancora un canto proemiale, legato al I. È anche inteso in palinodia con il suo trattato
loso co, il Convivio, che ovviamente all’epoca non era conosciuto dal pubblico, dato che non
era nito, ma ci sono molti rimandi.

- L’inicpit ricorda quello del Purgatorio, che aveva la stessa metafora della navigazione. C’è
anche un richiamo al mito di Ulisse; Dante è un anti-Ulisse: mentre questi aveva cercato di
superare i con ni a dandosi solo alla ragione e natura umana; Dante invece è supportato dalla
Fede. Per questo ne supererà l’impresa.

- Seguiti: è un perfetto deponente da sequor traposto in volgare.

- Non vi mettete in pelago, cioè in mare

- Perdendo me: fraintendendomi

- Nove Muse: gli interpreti divergono, perché per alcuni è il numerale, mentre per altri, tra cui
Inglese è “nuove Muse”, cioè quelle adatte a proteggere il poeta in questa impresa.
L’equivocatio, secondo Inglesi, non ha ragione di essere perché le Muse sono ormai impotenti.

- Prima che l’acqua si richiusa: potete seguirmi da vicino, prima che scompaia la scia.

- Il pane degli angeli è la prima criptocitazione del Convivio. Panis angelorum è una metafora
biblica che indica il Verbo, la sapienza divina, la rivelazione. Nel Convivio, Dante la impiegava
per indicare la loso a: era un desiderio connaturato alle facoltà umane, di speculazione; nel II
del Paradiso, invece, il pane degli angeli “di cui non si viene mai sazi” è il desiderio insaziabile
di Dio: un desiderio di attingere alla sapienza divina, che in terra alimenta il nostro desiderio ma
non può saziarlo, perché lo farà solo nella visione di Dio. Passaggio da una dimensione terrena
e loso ca a una divina: questa metafora a inizio canto ci fa già capire la direzione dell’anti-
Ulisse.

- Allusione al mito degli Argonauti, e in particolare alle imprese di Giasone, fra cui domare due
tori mostruosi, mito presente anche nelle Metamorfosi di Ovidio, e questa è la fonte principale
di Dante. È una prosecuzione della metafora della navigazione che segue un percorso mai
tentato prima. Non a caso, questo mito non solo apre il Paradiso, ma lo conclude anche.

- Verbo “ammirare” apre e chiude il Paradiso. Questo proemio è de nitivo di tutta la Cantica.

- Dante e Beatrice ora ascendono verso il cielo della Luna, come già si diceva nel Canto I.

- La sete è metafora del desiderio.

- Lessico ricorre a un termine scolastico come “deiforme”.

- In tutto il movimento ascensionale di Dante nei Cieli c’è sempre il passaggio dagli occhi di
Beatrice.

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- Usteron proteron: la freccia che posa, vola e si dichiava, in ordine invertito. L’e etto è proprio
per ra orzare la velocità con cui Dante vola verso il cielo della Luna.

- Adamante: latinismo dal greco, più raro della forma “diamante”; innalzamento di tono, stile,
lessico.

- Margarita: la luna

- Li accoglie come l’acqua accoglie un raggio di sole.

- Non si può concepire come un corpo ne potesse penetrare un altro.

- Repe è latinismo rarissimo, da “strisciare”.

- v. 41: pronome relativo indeclinato

- La sintassi in tutto il canto è estremamente complessa ed elaborata. Al v. 49 c’è una sorta di


inciso, incassato nella frase: “se ero un corpo, e per l’uomo non è concepibile che un corpo sia
incassato in un altro, cosa che avviene quando un corpo si compenetra con un altro, questa
cosa dovrebbe suscitare in noi ancora di più il desidero di vedere quella essenza (cioè di Cristo)
nella quale si vede come la nostra natura si unì con Dio”.

- Patìo e unìo sono passati remoti in -io, terminazione della lingua antica. Sono in rima, il che ci
garantisce che è un tratto d’autore.

- Sembra quasi un giro di due terzine gratuito, un esercizio di stile così complesso da
scoraggiare il lettore. È in realtà un’a ermazione importante. Sta dicendo che ri ettere su come
un corpo ne possa penetrare un altro deve suscitarci il desiderio di capire il massimo livello di
compenetrazione di due nature, cioè quella umana e divina in Cristo; ci deve far desiderare di
capire l’incarnazione, e non lo capiremo mai.

- Si vede l’a etto di Beatrice per la limitatezza della conoscenza dantesca, che ha bisogno di un
cambio di prospettiva.

- Al v. 37 e al v. 52 si trova la congiunzione “se”: sono le prime due occorrenze di un’anafora che


percorre tutto il canto. L’insistenza sulla congiunzione se e sulle subordinate ipotetiche, che poi
non sono tutte protasi di periodo ipotetico, ci suggeriscono già una struttura sintattica tipica del
ragionamento. C’è un aspetto quasi teatrale della disputatio, della parola di Dante e Beatrice
come un ragionamento che si costruisce via via.

- C’è un passo corrispondente del Convivio, che si vede nel commento di Inglese.

- La materia compatta è la materia luminosa, dotata di maggiore potere ri ettente. La densità


causa la luminosità, mentre la rarefazione (“rarità”), quindi i corpi rari, causano oscurità.

- Dante si accinge a superare una posizione che aveva espresso nel Convivio. Estende quello
che nel Convivio aveva attribuito alla sola luna a tutti i corpi celesti.

- La fonte deil’opinione del Convivio era il De sostantia orbis di Averroè. C’è un lessico tecnico
scienti co e loso co latino, che Dante introduce in volgare per la prima volta (per esempio,
“argomentazione”).

- Inizia ora la lezione di Beatrice; sono circa 100 versi ed è una vera e propria lezione scolastica,
con una pars destruens e una pars costruens.

- Pars destruens: no al v. 105-6, Beatrice confuta l’opinione di Dante, smontando Averroè;


dimostra che la causa delle macchie lunari non dipende dalla distribuzione della materia,
più o meno densa.

- Beatrice prima svolge una confutazione teorica, con delle argomentazioni per
assurdo;

- poi invece confuta sulla base dell’esperienza, facendo un esempio che deve
convincere Dante dello sbaglio.

- Nella pars costruens, dà la risposta corretta al problema delle macchie lunari, che
dipendono non dalla densità o rarità della materia, ma dall’in uenza delle intelligenze
motrici, dalla diversi cazione delle virtù che si distribuiscono nei diversi cieli.

- Parte dall’osservazione della sfera ottava, cioè le stelle sse. Le stelle hanno diverse qualità e
sono distribuite in modo diverso. Se questa di erenza dipendesse solo dalla densità e dalla
rarità, ci sarebbe un solo principio in tutte le stelle, distribuita in modo maggiore e uguale, e non
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ammetteremmo tutti gli altri principi formali. Questi principi formali sarebbero eliminati secondo
la tua ragione, tutti tranne la densità.

Lezione 6 / 11 ottobre 2021

Recuperare

LEZIONE 7 / 12 ottobre 2021

Denso è uno di quei latinismi che oggi sono entrati nel vocabolario base dell’italiano ma che prima
avevano un altro signi cato. Dante lo usa come termine tecnico proveniente dal De substantia
orbis di Averroè. Ricorrerà poi anche nel canto XXII, ma come chiara ripresa intertestuale del II.
Dante è il primo a prendere il termine tecnico a immetterlo nella lingua italiana. È un latinismo
estremamente raro. L’italiano antico usava aggettivi come spesso, tto, grosso. Nei
volgarizzamenti trecenteschi, proprio la parola densus veniva resa con questi aggettivi. Denso
aveva una posizione periferica.

Canto III
È il primo canto narrativo, in cui Dante incontra Piccarda Donati e Costanza d’Altavilla. L’incontro
con una donna è signi cativo, come nell’Inferno il primo dialogo era con Francesca. Si trovano
parole centrali del dolce Stil novo.

Ci troviamo ancora nel cielo della luna; le prime beate sono all’ultimo grado della gerarchia
celeste.

Il canto III fa parte di un gruppo di canti (III, IV, V) che sono attraversati dalla dottrina del voto
come patto con Dio. A partire dalla vicenda di Piccarda Donati si svilupperà poi una discussione
teologica sulla natura del voto e sul problema della volontà.

- Vetri: specchi

- Persi: non visibili, o anche neri, cupi

- Postille: tracce. Nel Medioevo la postilla era l’annotazione marginale a un manoscritto. Le


interpretazioni per la scelta di questa parola divergono. Per alcuni sarebbe “ciò che viene dopo
un testo”, e l’immagine viene restituita successivamente alla cosa stessa; altri interpretando
postille come note sintetiche, succinte, e dunque ridotte all’essenziale, così tanto da risultare
poco visibile. Può anche essere interpretata come il segno gra co posto ai margini di un testo,
quindi il tratto dei lineamenti che risultano riconoscibili all’evidenza.

- Dante vede avvicinarsi un gruppo di anime, che sono così diafane che le scambia per immagini
ri esse in uno specchio.

- Omo e fonte: mito di Narciso.

- Riferimento alla moda del tempo, per cui ci si metteva una perla in fronte.

- Amore, bella, dolce, immagine della bella fronte sono rimandi al lessico stilnovista.

- Altissima cura formale anche a livello fonico.

- Cóto < COGITUM, infantile di Dante, che non poggia ancora sulla verità e lo fa “girare a vuoto”.

- Verace luce: della verità, divina

- Vaga: altro termine della lirica

- Smaga: indebolisce. Smagare è un francesismo che contiene la radice germanica mag-


dell’avere forza, con pre sso privativo exmagare. Esisteva anche con il pre sso dis-.

- V. 38: Sostantivo dolcezza risemantizzato come appagamento dell’amore divino.

- V. 48: si spiega perché Dante conosceva Piccarda, sorella di Forese Donati, che Dante aveva
incontrato nel Purgatorio, e gli aveva detto che Piccarda si trovava in Paradiso. Piccarda si era
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fatta suora, ma il fratello Corso Donati l’aveva rapita perché l’aveva promessa in sposa. Questo
episodio è ricordato nell’ottimo commento.

LEZIONE 8 / 18 ottobre 2021

Lezione sulle risorse online

LEZIONE 9 / 19 ottobre 2021

- V. 57: gioco tra voti e voti che si trovava già ai vv. 28-30.

- Festino: latinismo per “pronto”

- Piccarda risponde che la beatitudine delle anime sta proprio nel conformarsi a quella divina.

- Parola amor risemantizzata come carità di Dio.

- Soggetto è la virtù di carità, quindi l’amore di Dio.

- v. 73: allitterazione della sibilante

- Anafora del sostantivo volontà, voglia, volere. Sottolinea perfetta conformità del volere delle
anime col volere di Dio.

- V. 76: necesse, latinismo schietto.

- V. 76: se introduce una causale

- V. 86: mar riprende l’immagine del primo canto.

- v. 89: etsi è in latino; rientra nel plurilinguismo di Dante e nello stile del Paradiso.

- v. 96: metafora della tessitura per intendere che non portò a compimento il suo voto.

- v. 98: inciela: colloca più in alto nel cielo. Fa riferimento a Santa Chiara. È un dantismo,
parasintetico in in-. Sarà richiamato all’inizio di Paradiso XVIII, “quella che imparadisa la mia
mente”. Sono formati da un sostantivo, il tipo più di uso, ma non l’unico.

- v. 108, fusi: si fu. I verbi pronominali (fusi, fuggimi), che hanno lo stesso signi cato dei verbi
normali sono di usi nell’italiano antico. Sono come dei medi.

- v. 100: vegghiare < VIGILARE > sincope di i atona, prima i diventa e.

- Reticenza di Piccarda a raccontare la vita successiva alla violenza subita.

- L’anima successiva non parla per prima ma viene presentata da Piccarda. È una situazione
topica del Paradiso: anime che presentano altre anime. È Costanza d’Altavilla.

- v. 117 rovescia v. 114.

- Da quel che sappiamo, Costanza d’Altavilla non fu mai suora, ma la leggenda voleva che fosse
monaca a Palermo e da lì sarebbe stata rapita su ordine del Papa per costringerla alle nozze
con Enrico VI (poi avrebbe generato Federico II). Per i guel , questa leggenda gettava cattiva
luce su Federico II; Dante invece la rovescia in senso positivo, perché Costanza rimase sempre
fedele alla promessa a Dio.

- V. 129: catafora, anticipazione dei due dubbi che tormentano Dante.

Dante chiede perché il fatto di rinunciare a un voto dovrebbe comportare l’appartenenza ad aut
cielo inferiore, dato che nel caso di Piccarda e Costanza fu dovuto ad un atto di violenza; la
seconda domanda riguarda un’opinione platonica contenuta nel Timeo. La premessa che Beatrice
fa ad entrambe le risposte è importante perché riguarda il modo in cui sono disposti i beati in
paradiso.

D’i Sera n colui che più s’india, 

Moisè, Samuel, e quel Giovanni 

che prender vuoli, io dico, non Maria,                            

non hanno in altro cielo i loro scanni 

che questi spirti che mo t’appariro, 

né hanno a l’esser lor più o meno anni;                      

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ma tutti fanno bello il primo giro, 

e di erentemente han dolce vita 

per sentir più e men l’etterno spiro.                              

Qui si mostraro, non perché sortita 

sia questa spera lor, ma per far segno 

de la celestial c’ha men salita.                                      

Così parlar conviensi al vostro ingegno, 

però che solo da sensato apprende 

ciò che fa poscia d’intelletto degno.                              

Piccarda e Costanza avrebbero dovuto sottrarsi. Le anime che stanno in cieli più alti hanno
sopportato la violenza e la so erenza. Dio ha donato all’uomo il libero arbitrio, il bene più prezioso
che gli ha dato.

LEZIONE 10 / 22 ottobre 2021

Correzione esercizi su Moodle

Aguglia < *ACULEA (AQUILA) le > lj > glia. Formazione settentrionale ma di usa anche in
Toscana, anche prima di Dante.

Canto VI
È un canto particolarmente ricco di latinismi, giusti cati dalla tematica politica. I canti VI hanno
tutti tematica politica (Ciacco profetizza le lotte tra guel e ghibellini nell’Inferno, Sordello
pronuncia l’invettiva contro l’Italia nel Purgatorio). Sordello nel canto VI del Purgatorio citava
anche Giustiniano, che aveva riordinato il Corpus Iuris Civilis.

Parla Giustiniano, che scaglia un’invettiva contro guel e ghibellini, che, vuoi perché contrastano
l’impero, vuoi perché si appropriano della sua politica impropriamente, ostacolano il corso della
politica imperiale. Parte dalla Guerra di Troia e dal viaggio di Enea, no ad arrivare all’età
contemporanea. C’è una stretta connessione tra l’elevatezza della materia politica e il registro
linguistico.

Alla ne del Canto V, Dante e Beatrice sono ascesi al cielo di Mercurio, i cui spiriti sono molto
luminosi. Un’anima si rivolge a Dante, che chiede chi sia; nel canto VI si rivela essere Giustiniano.

- L’intero canto VI ha per soggetto e oggetto l’aquila imperiale.

- “Costantino portò l’aquila imperiale contro il corso del sole”: trasferì la capitale da Roma
(occidente), a Bisanzio (oriente).

- Aquila, uccello di Dio, sacre penne: anafora con variazione dell’aquila, che ha sempre
governato attraverso varie gure.

- Allude subito al Corpus iuris civilis, stabilendo immediata continuità tra Enea, Costantino,
Giustiniano. Tra il mandato di Costantino (330) e quello di Gisutiniano (527) in realtà non sono
passati più di duecento anni come dice (“cento e cent’anni e più”), ma Dante potrebbe basarsi
su un’altra datazione, quella del Tresor di Brunetto Latini, e l’espressione di tempo può anche
non essere interpretata in senso letterale.

- Autopresentazione di Giustinano attraverso l’opera che lo aveva reso più decisivo per la storia
di Roma; Dante leggeva anche nel nome di Giustiniano un gioco etimologico come “colui che è
giusto”.

- Si ricorda l’altro aspetto per cui Giustiniano è stato una gura di svolta, la restaurazione
dell’autorità imperiale in Occidente con la cacciata dei Vandali dall’Africa e la conquista
dell’Italia settentrionale e di Ravenna nelle guerre gotiche.

- Il sacrosanto segno: sempre l’aquila imperiale.

- C’è una di erente interpretazione del testo fra Petrocchi e Inglese al v. 35. Inglese interpreta e’
cominciò, nel senso di egli cominciò (la giunta); Petrocchi interpreta invece e cominciò, e come
congiunzione, e il soggetto è virtù.

- Riferimento alla fondazione di Alba Longa, alla guerra con i romani, al combattimento tra Orazi
e Curiazi.

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- Al v. 37, Petrocchi interpreta “Tu sai che fece sua dimora in Alba”; Inglese invece interpreta “tu
sai ciò che fece in Alba”. In questo caso l’argomentazione di Inglese è persuasiva, perché vuole
istituire un parallelismo e restituire un’anafora nell’incipit delle tre terzine successive.

LEZIONE 11 / 25 ottobre 2021

Il canto VI è una panoramica dell’aquila che ripercorre diacronicamente il cammino salvi co


provvidenziale della storia no alla Pace Augustea.

- V. 43, egrege: uno dei latinismi di cui è ricco il canto, data la connotazione politica del discorso
politico di Giustiniano. L’uso prima di Dante è limitato; era già nota l’etimologia EX GREGIS,
fuori dal gregge > colui che si allontana dalla moltitudine. L’aggettivo EGREGIUS nei
volgarizzamenti viene evitato, si cerca di usare perifrasi, dato il suo stigma di rarità.

- Cirro negletto: perché Cincinnato era glossato come colui che non ha una capigliatura
pettinata. Cirro è un latinismo, prima attestazione dantesca che vale “crocchia di capelli”,
quindi per metonimia “capigliatura”. Nelle Derivationes di Uguccione (vocabolario latino
esplicitamente citato da Dante nel Convivio) è spiegato come un capello scomposto. Si dà
un’etimologia parlata del nome di Cincinnato attraverso questi due latinismi.

- Mirro: mirrare è un dantismo, probabile neoformazione dal sostantivo “mirra”; onorare,


incensare.

- v. 57, tolle: prendere, sollevare; presente storico che si di erenzia dagli altri verbi al passato o
all’imperfetto. È importante la distribuzione dei tempi verbali nella Commedia: il presente
conferisce importanza e mette in risalto l’azione che si compie. Per Dante Cesare è il primo
imperatore e segna un momento cruciale per l’umanità.

- v. 68, cuba: prima attestazione dantesca, dalla fonte virigliana, “Ettore giace”.

- Azioni di Cesare ripercorse con velocità, continuo avvicendarsi di azioni che mostrano la
velocità, la forza di fulmine di Cesare.

- v. 73: baiulo: “portatore” delle insegne imperiali (colui che regge l’impero, perché porta
letteralmente il segno dell’aquila).

- “Atro”, in Dante ha sempre un valore gurato, traslato; non signi ca “nero”, ma spaventoso,
orribile.

- L’impero cura le condizioni per l’incarcerazione e la croci ssione di Cristo.

- v. 83: fatturo, latinismo sintattico, participio futuro.

- vv. 94-96: salto temporale di 700 anni, con la vittoria di Carlo Magno contro i Longobardi. Il
salto crea una continuità tra impero romano e Sacro Romano Impero.

- v. 96: ricostruzione storica di Giustiniano.

- v. 97: invettiva contro coloro che si appropriano del “sacrosanto segno”, la politica di guel e
ghibellini.

LEZIONE 12 / 26 ottobre 2021

- Gli spiriti di questo cielo sono stati deboli, perché, pur agendo sempre nel bene, non lo hanno
fatto per amore di Dio, ma per fama e potere. I primi tre cieli mostrano spiriti che hanno ancora
caratteristiche terrene, “meno Beati” degli altri, ma anche Giustiniano, come già aveva detto
Piccarda, ribadisce che questo non li rende meno felici.

- Gaggi: gallicismo per compensi, premi; < gage (antico francese).

- Maggi < MALIUS

- In nostra vita: la vita paradisiaca

- v. 124: fan giù: Inglese rimane fedele alla lezione di Triv, restituendo un parallelismo: così come
diverse voci fanno giù interra una dolce armonia musicale, così qui nella vita paradisiaca…
Fanno è una banalizzazione, ma anche senza giù rimane la simmetria.

- Dal v. 127 Giustiniano introduce Romeo di Villanova, ministro del conte di Provenza Raimondo
Berengario. Fu ingiustamente esiliato a causa di intrighi di corte. È una gura importante perché
ricorda Dante stesso. Tema nale del canto è come l’ideale di giustizia che dovrebbe governare
sia contraddetto all’ingiustizia sulla terra, che si manifesta da un lato nelle lotte tra guel e
ghibellini e dall’altro belle vicende dei singoli uomini.

- Rima diece : fece che dimostra la desinenza arcaica di dieci.

Canto IX
Nel canto IX si chiude la prima terna degli spiriti che occupano le beatitudini inferiori, è un
momento di passaggio. Anche i canti IX di Inferno e Purgatorio segnano dei momenti di
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passaggio (nell’Inferno entrano nella città di Dite grazie al messo angelico, nel Purgatorio l’angelo
segna le sette P dei peccati capitali sulla fronte di Dante). Sono momenti di passaggio da una
zona all’altra dei regni. Cielo di Venere: spiriti amanti

Carlo Martello si trova qui perché rappresenta l’ideale del principe giusto. Pronuncia l’invettiva
contro Carlo d’Angiò e si chiede come può da una buona stirpe nascere un cattivo principe.

Il canto IX può anche essere detto delle profezie, perché si incontrano tre beati, e vengono
pronunciate tre profezie.

- Per elogiare Carlo Martello si rivolge in absentia alla moglie, Clemenza. Qualcuno ipotizza si
trattasse invece della glia.

LEZIONE 13 / 29 ottobre 2021


- Ci sono due interpretazioni diverse sul perché Cunizza (e quindi Dante) speci chi che non è
facile comprendere la sua sorte. Secondo Inglese, è una sorta di ripetizione di ciò che è già
stato detto da Piccarda: i beati sono sempre beati, perché è parte della beatitudine conformarsi
all’ordine divino. Per altri commentatori “la mia sorte” sarebbe “la mia condizione, la mia
disposizione ad amare”. Secondo Inglese questa interpretazione è poco ortodossa.

- Rime rifulgo : indulgo : vulgo sono tre latinismi, i primi due rari in italiano antico. Per rifulgo è
addirittura una prima attestazione. Anche nei vv. successivi propinqua (latinismo) : incinqua
(dantismo) : relinqua (latinismo); luculenta è un altro latinismo.

- Cunizza spiega la propria condizione ricorrendo nel lessico a latinismi, lessemi scelti rari e
nobilitanti. Presenta poi l’anima che le è vicina, Folchetto da Marsiglia. Dante prosegue su
un’altra tonalità: arretrano latinismi e dantismi e si fa strada un lessico volgare più crudo, anche
fonicamente che esprime le tre profezie pronunciate da Cunizza, tutte relative alla
degenerazione politica della Marca trevigiana.

- Luculenta: splendente. Nell’etimologia è contenuta la radice LUX, più su sso -ULENTUS.


Ricorda foneticamente, col suono in u, anche il precedente rifulgo. Folchetto da Marsiglia è uno
dei più eccellenti trovatori provenzali, quindi l’aggettivo pare particolarmente appropriato. Sul
Vocabolario dantesco (cfr. la voce online):

- Questo centesimo anno ancor s’incinqua: passeranno cinquecento anni. Incinqua è uno dei
tanti parasintetici con pre sso in in-, nello stesso canto ce ne sono almeno altri tre. Secondo
alcuni non signi ca che bisogna moltiplicare il cinque per cento, ottenendo cinquecento anni,
ma intenderebbe 1300 anni. Inglese non è d’accordo, meglio tenersi su un generico “saranno
passati secoli”. Cfr. Nota di Inglese.

- Dal v. 43 inizia la denuncia della realtà contemporanea.

- Si allude alla scon tta dei guel padovani per opera dei ghibellini di Vicenza comandati da
Cangrande della Scala. È un canto imperiale, in cui si celebra indirettamente il capo la dei
ghibellini italiani, in cui Dante riponeva le speranze per la pace imperiale.

- Per esser battuta: per + in nito con valore concessivo, latinismo sintattico

- Accompagna : ragna; poco dopo Cagnan. Insistenza su suono palatale e sull’immagine della
tela o della rete da caccia. Lessico realistico, immagine concreta e suono palatale si troveranno
anche nel canto XVII, nella profezia di Cacciaguida (vergogna : menzogna : rogna). Rimanda alla
categoria continiana del plurilinguismo e pluristilismo, della lingua enciclopedica che abbraccia
tutte le risorse espressive.

- V. 54: Inglese mette malta a testo con la maiuscola, mentre Petrocchi, Chiavacci Leonardi e altri
tengono malta con la minuscola. Il Triv mette la minuscola, ma ovviamente questo non signi ca
molto. Malta non indica l’isola del Mediterraneo, ma la prigione papale per gli ecclesiastici (si
sta parlando del vescovo di Feltre) che si trova nel Lago di Bolsena. Se lo interpretiamo con la
minuscola, è una prigione comune, dal signi cato che malta aveva in italiano antico, “fango” e
per estensione “prigione” (attestato anche in Iacopone da Todi).

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- Il vescovo aveva condannato alcuni rifugiati ghibellini, che erano stati decapitati.

- La bigoncia è un recipiente di legno a doghe.

- Il v. 68 ha secondo alcuni “cara cosa”, che sembra riprendere il v. 37 con “cara gioia”. Secondo
altri, “preclara cosa”, lezione alternativa, una sorta di predicativo del soggetto. È forse una
correzione a monte di Urb.

- Dante chiede a Folchetto la stessa rassicurazione sul fatto che i Beati leggano nella sua mente.

- S’inluia, m’intuassi, t'inmii: exploit di parasintetici danteschi.

- Fuia: Parodi ipotizzò FUR > *FURIUS > fuio (esito normale toscano del nesso R+jod)

- Coculla < CUCULLA, manto, abito (latino tardo).

- Folchetto di Marsiglia è uno dei massimi trovatori provenzali, di cui abbiamo 27 tra canzoni e
sirventesi. In gioventù ebbe molti amori e alla poesia d’amore si dedicò per anni, nché, dopo il
pentimento, non si fece monaco cistercense; divenne poi vescovo di Tolosa. È in Paradiso
perché si è pentito, ma anche per un motivo poetico. Folchetto era già stato ricordato da Dante
nel II del De vulgari eloquentia, quando parlava dello stile metrico più elevato, la canzone, cui è
appropriato lo stile tragico. Dante citava, tra gli 11 esempi di suprema contructio (grado
supremo della costruzione sintattica), la canzone di Folchetto “Tan m'abellis l’amoros
pensamen”. Nel canto XXVI del Purgatorio, nella cornice dei lussuriosi, Arnaut Daniel si
rivolgeva a Dante con le parole “Tan m’abellis vostre cortes deman…” Dante si identi ca con
Folchetto, essendosi anche lui dedicato per anni alla poesia d’amore, e avendo poi scritto la
Commedia anche come suo superamento.

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2 novembre

Folchetto da Marsiglia introduce l'ultimo personaggio del canto, Raab.


Imprentare> francesismo per il toscano improntare, alterato specificamente da Dante
per indicare le influenze astrali, paragonate al sigillo che da l'impronta alla cera.
Lungo iperbato del v.99 “più di me non arsero”
Riferimento al mito di Didone cantato da Ovidio nelle Eroides. Delusa corrisponde
al decepta di Ovidio.
Questa terzina è una ripresa variata del v.34, il problematico passo di Cunizza che ha
suscitato perplessità nei commentatori in merito all'auto-idulgenza del personaggio
che sembrerebbe perdonare a sé stessa l'eccesso di passione amorosa che ne avrebbe
causato la posizione di inferiore beatitudine. Chiavacci Leonardi vede nelle parole di
Cunizza un'esaltazione del ruolo dell'amore nelle anime disposte all'amore
totalizzante.
La terzina è discussa per motivi filologico-linguistici: si ammira l'arte cioè l'opera
divina che impreziosisce la creazione intera e si comprende il fine provvidenziale per
il quale i cieli attorniano la terra. Le lezioni problematiche sono affetto al v.107 e
torna.
Affetto è la lezione colta a testo da Petrocchi ed è quella che si legge anche nel
Trivulziano e nell'urbinate 366. Secondo Inglese sarebbe da preferirle “effetto” come
complemento oggetto. Se dovessimo accogliere la lezione di affetto dovremmo
interpretarlo come soggetto di attornia: si ammira l'opera che l'amore di Dio rende
bellissima.
Il caso di torna pone problemi di ordine linguistico più che filologico: se si considera
che il verbo tornare può avere in italiano antico il valore transitivo del verbo torneare;
il commento di Chiavacci Leonardi porta una citazione del Tresor come esempio
dell'uso transitivo del verbo.
Cambio di soggetto rende difficile la lettura del verso: si sigilla sarebbe variante del si
imprenta di Folchetto. Inglese propone una diversa interpunzione
Nell'alto dei cieli un cerchio ( un grado di beati) si chiude di Lei> questo sarebbe
coerente con il verso di Paradiso XXXII, 17
Nel nostro ordine congiunta> pur manifestandosi in questo cielo è accolta nell'alto dei
Cieli insieme alle Sante ebree. Sommo grado sembrerebbe una locuzione fissa. È un
verso irrisolto.
v.120 : Rahab fu accolta prima di ogni altra anima nel cielo in cui si esaurisce
l'influsso terreno, laddove finisce l'ombra proiettata dalla terra.
v.118-120: rima equivoca.
Per alcuni non sarebbero le mani di Cristo, le palme del v.123, ma quelle dello stesso
Giosuè, giunte in preghiera. L'alta vittoria tuttavia non può che essere la crocifissione.
Il genere del palmo della mano in italiano antico è femminile per cui l'uscita in palme
è regolare. Lo slittamento del genere in tempi moderni deriva verosimilmente
dall'assimilazione al maschile di mano a cui viene associato oppure all'estensione del
genere dall'unità di misura del palmo. L'immagine di Folchetto come vescovo e la
questione del suo coinvolgimento nelle Crociate vorrebbero evocare l'ideale
conquista della Terrasanta secondo un'interpretazione che appare però piuttosto

forzata perchè non si hanno fonti certe che attestino la conoscenza da parte di Dante
del ruolo di Folchetto nelle crociate.
v.129: altra rima equivoca
metafora biblica che ricorda l'avidità che avrebbe distolto la pecora dal gregge.
Ultima parola forte di questo canto è “adultero”, inteso come tradimento della
missione originaria della Chiesa in nome dell'oro. Inglese lo intende come sinonimo
di contraffazione e adulterazione in riferimento al ruolo di usurpatore che potrebbe
essere attribuito al Papa stesso.
I bivagni sono le note marginali, i commenti che corrono lungo i bordi dei
manoscritti. La parola ricorre in tutti e tre i canti; è una prima attestazione e come
ricorda anche Inglese il significato originario rimanda all'orlo delle vesti e in senso
lato al margine di un testo. I commentatori sono spesso tratti in inganno e glossano:
“ricche vesti dei prelati”. Tutta l'alta curia è dedita solo al diritto e ad esercitare uno
studio con ricadute pratiche.
Continuando sul filone tematico della profezia arriviamo ai canti di Cacciaguida. Ci
troviamo nel quinto cielo di Marte, degli spiriti militanti che appaiono a Dante sotto
una croce luminosa al centro della quale rifulge l'immagine di Cristo.

8 novembre
Tetragono: secondo l’etimologia è una figura con 4 angoli, figura con 4 angoli
perfetta è il quadrato, qui l’immagine si riferisce al cubo. Nell’etica nicomachea
l’uomo tetragono è l’uomo virtuoso che sa resistere a qualsiasi situazione, non
superbo ma nemmeno che si lascia abbattere facilmente.
Quaderno: uno dei fascicoli rilegati nel volume. La metafora dei volumi e dei
quaderni che lo compongono chiude tutto il paradiso. Vedi paradiso 33-36. Inglese
mette a testo quaTerno per motivi di stile e di rima. Il Triv porta la forma in d ma
Inglese mette T. Paterno quaterno etterno
08/11
Dante chiede al trisavolo di rivelargli il significato delle profezie che si è sentito
pronunciare nel corso dei canti precedenti.
L'aggettivo tetragono è usato ad indicare la saldezza di dante di fronte agli avversi
rivolgimenti della fortuna. È un grecismo entrato nel lessico corrente: per l'etimologia
è una figura con quattro angoli derivante dall'aggettivo sostantivato greco to
tetràgonon subentrato nell'uso attraverso il latino tetragonum. Un precedente dell'uso
figurato che ne fa dante si ritrova nella Retorica di Aristotele con generico riferimento
all'uomo virtuoso mentre successivi utilizzi del termine nell'accezione codificata da
dante si hanno tra gli altri anche in s. Tommaso , nel suo commento all'etica
nicomachea. Il rimanere saldo e costante rispetto ai mutamenti della sorte è una delle
caratteristiche della magnanimità, virtù analizzata da aristotele e ripresa da dante nel
convivio, presente anche nella commedia. In una delle fonti scolastiche note a dante,
la magnanimità era definita tramite l'immagine del tetragono. Il passo proviene dal
fortunatissimo De regimine principis di egidio romano, presenza sicura nella
biblioteca dantesca. Si tratta del primo speculum principis interamente basato sulle
opere aristoteliche. Nel volgarizzamento senese, il tecnicismo filosofico tetragonus si

perde, sostituito già nella versione francese dalla parafrasi ferme tor che si mantiene
anche nella versione italiana.
Beatrice invita dante a rivolgersi a cacciaguida e delega al trisavolo il compito di
pronunciare la profezia.
Padre amoroso> ipallage con inversione di nome e aggettivo
ambage> latinismo mutuato dall'eneide, usato al plurale già nel latino.
La premessa alla rivelazione della profezia finale si apre con il concetto di
contingenza, caratteristica del mondo sub-lunare antitetica alla necessità. Anche i fatti
che esulano dalla logica divina e ineriscono alla materialità sono esposti allo guardo
divino e presenti nella mente di dio. Da questo non deriva necessariamente alcun
carattere di necessità: dio contempla la contingenza ma non la rende di per sé
necessaria come il guardare una nave attraversare il mare non può in alcun modo
influenzarne il tragitto o cambiarne il corso. L'antinomia tra contingenza e necessario
è ribadita stilisticamente dalla posizione incipitaria delle parole ( vedi al v.40
necessità ). dio ha donato all'uomo il libero arbitrio rendendolo capace di peccare:
questo implica la contingenza di fatti che possono o non possono avvenire e che dato
il loro carattere non necessario si oppongono ai piani divini. La lungimiranza e
onniveggenza dello sguardo divino scorge anche la vita futura di dante: si pone il
problema del rapporto tra la contingenza e la scienza divina per cui corre in soccorso
la similitudine chiarificatrice della nave. All'interno della terzina assumono rilievo
l'immagine della nave e del quaderno entro cui è iscritta la materia sub lunare. Il
quaderno è un fascicolo rilegato che va a costituire il volume, immagine finale con
cui chiude il paradiso. Nel paradiso viene a chiudersi in un organismo unitario e
organico ciò che si dispiega nell'universo ( si squaderna). Il termine è stato
variamente interpretato: in maniera letterale vorrebbe indicare come nel paradiso si
dischiudano le cose del mondo, trovando armonica composizione; altri suggeriscono
l'interpretazione secondo cui le cose del mondo non costituirebbero che un capitolo
del mondo intero.
Manoscritto trivulziano presenta la lezione torrente in loco di corrente, secondo
l'accezione accolta anche da petrocchi: la scrittura medievale confonde la t e la c a
causa della grafia. Inglese opta invece per corrente giustificando la scelta con motivi
di coerenza interna al testo.
Noverca> latinismo ovidiano per matrigna. La critica si divide su chi sia fuor di
metafora la matrigna di dante, se firenze o la chiesa. Per la chiavacci leonardi sarebbe
la prima, inglese propende per la seconda ipotesi suffragando la sua tesi con
l'esempio di paradiso xvi in cui la matrigna è appunto la chiesa cattolica.
Costruzione passiva di venire è tipica dell'italiano antico> venire fatto esprime senso
di compiutezza rafforzato dall'avverbio tosto.
La prima freccia che l'arco dell'esilio scocca è l'abbandono delle terre amate cui segue
la celebre immagine del pane salato assaggiato in terre straniere. Ciò che più graverà
sulle spalle di dante sarà la compagnia infingarda e crudele che si rivolgerà contro di
lui ma che di li a poco subirà anch'essa una sconfitta. La compagnia cui fa riferimento
è la pars alborum, i guelfi bianchi. Dal 1303 al 1307 si avvincendarono i tentativi dei
guelfi bianchi esiliati di rientrare a firenze. Nel 1303 lo stesso dante spera di tornare a
firenze tentando l'approccio da forli ma sceglie poi di fare parte per se stesso non

partecipando alla battaglia della lastra. Alcuni filologi danteschi non sono concordi
nel vedere il riferimento alla battaglia della lastra per motivi di cronologia.
L'intera terza cantica sarebbe dedicata al signore di verona. L'epistola a cangrande è
divisa in due sezioni di cui soltanto la parte dedicataria è certa. Il v.84 è stato
associato al primo dell'Inferno dove “non curar d'argento” era inteso come sinonimo
di disprezzo per la ricchezza a differenza dell'uso che se ne fa nella terza cantica.
Cangrande è presentato come immagine della giustizia. Prima che papa clemente v
inganni l'imperatore enrico vii, risplenderà il valore di cangrande nel non badare a
spese per il suo ruolo di vicario di verona . La magnificenza in sunctibus è percepita
come virtù, consistente nel finanziare bellezza tramite opere di mecenatismo.
Si conclude l'investitura del poeta-profeta. Per colui che si lascia vincere è tanto più
forte il colpo della sorte rispetto all'uomo virtuoso che come un tetragono assorbe gli
urti della sorte.
Acume> altro latinismo di attestazione dantesca
agume> sostantivo non per arancia ma per gli ortaggi dal sapore amaro.
Se dante diffondesse quanto ha testimoniato nel suo viaggio, le sue parole
risulterebbero aspre ai più ma se non fosse amico della verità perderebbe la sua fama.
Cacciaguida lo incarica di manifestare la sua visione e lasciare che chi ha la rogna se
la gratti perchè se anche le sue parole dovessero risultare amare, daranno poi grande
nutrimento a chi le ascolta. In questi cieli sono state rivelate le anime degne di nota
dalle quali ricavare un esempio.
09/11
L'espressione sulla rogna rappresenta il massimo esito del pluristilismo dantesco che
accoglie nel suo inclusivismo linguistiche formule del patrimonio popolare e
proverbiale. Altre attestazioni di quest'uso proverbiale ed idiomatico di rogna si
ritrovano nell'italiano del '200 nei Memoriali serventesi. Il verbo unisce al significato
una sinuosità linguistica che lo colloca ad un livello comico. Nel serventese
l'attestazione di rogna è intesa come provocare fastidi, nel caso dantesco il significato
è sensibilmente diverso e allude al lasciare che il dolore venga elaborato da ciascuno
per sé.
Ai vv.49-50 il dativo d'agente è l'opzione normale per le costruzioni partitiva ( la feci
uccidere a un mio familiare) e causative.
Venire+ part. Passato e dativo è costruzione che si va grammaticalizzando e che
preluderà al passivo vero e proprio. In particolare venire fatto è attestato nel
Decamerone.
Canto XXVIII
è il canto della visio dei. È stato inizialmente stigmatizzaato dalla critica come uno
dei canti teologici per questo definito grigio, di non-poesia per dirla con Croce. È
stato poi riabilitato dall'analisi linguistica e stilistica in occasione del centenario
condotta da Gianfranco Contini, fautore di un ribaltamento del giudizio della filologia
dantesca. È il primo canto nel quale sono assenti incontri con altre anime: comincia il
percorso di astrazione che innalzerà Dante alla visione divina. Il primo mobile è
l'ultimo prima dell'empireo, nono cielo a partire dalla terra, corporeo ma privo di
corpi e quindi definito etereo. Fuori dal cristallino si trova l'empireo che è di fatto un
non- luogo privo di corporeità che trasmette il proprio impulso motore ai cieli. Nel

canto XVIII Dante assiste al trionfo degli angeli e al dispiegarsi delle gerarchie
angeliche responsabili della rotazione delle sfere celesti. Il canto introduce il
rovesciamento di prospettiva che informa tutto il Paradiso: la prospettiva geocentrica
per cui il più lontano è il primo mobile viene ribaltata e si impone una logica di tipo
emanazionistico che fa sì che il primo mobile sia il primo pianeta in ordine nonché il
più veloce. Arrivato a questo punto del suo viaggio Dante si interroga sul perchè la
realtà ultraterrena gli appaia speculare alla visione che aveva sulla terra e la risposta
gli viene fornita da Beatrice che chiarisce la prospettiva binoculare rovesciata. Alla
fine del canto si enumereranno le gerarchie angeliche: partendo dal primo cielo,
serafini, cherubini, troni,ecc,ecc. La sistemazione del Paradiso qui seguita da Dante
proviene dallo psuedo Dionigi ed è palinodia di un passo del Convivio nel quale
Dante aveva seguito la disposizione delle gerarchie celesti teorizzata da Gregorio
Magno> caso di ritrattazione e correzione di un'opinione espressa nel Convivio.
Il canto inizia con una terzina di collegamento con quello precedente, conclusosi con
l'invettiva di Beatrice contro l'umanità corrotta. È un canto intriso di soluzioni
linguistiche innovative neologismi esibiti per far sfoggio dell'elevatezza dello stile.
v.4-10> similitudine. Dante vede riflessa negli occhi di Beatrice una fiamma e si volta
per verificare che quello specchio stia dicendo la verità. Anche nel canto III Dante
confonde le anime degli spiriti mancanti ai voti per specchiate sembianti.
assonanza della fricativa sonora e della vibrante nella parola chiave del canto vero al
v.2 e al v.8 poi ripresa dal termine vetro. Trasfigurazione poetica di un'immagine
paolina presente nell'epistola ai Corinzi ( analogia al canto I del Paradiso dove era
implicito un altro riferimento. La figura di S.Paolo sarà evocato anche alla fine del
canto XVIII). Il canto costituisce una sorta di proemio alla visione di dio il che spiega
i numerosi lessemi già attestati nel primo canto o la riproposizione dei riferimenti
paolini.
L'allitterazione della laterale crea degli effetti sonori di musicalità.
Volume > conserva traccia dell'etimologia latina da volvere, girare
La prima visione di Dio è puntiforme: dio è rappresentato sotto forma di entità
geometrica minima tale che qualsiasi stella più piccola vista dalla terra apparirebbe
grande se confrontata a quel punto. Il punto per la sua indivisibilità è
incommensurabile ma è esso stesso misura di tutto. Il punto apre e chiude l'intero
poema come evidenziano Contini e Corrado Bologna, per questo il canto rappresenta
un nuovo inizio per il poema.
Acume> lessema del I canto qui ripreso. La semantica di acume rimanda a qualcosa
di pungente e acuto che abbaglia per la sua capacità penetrante.
L'immagine del punto ritorna al v.42
La sintassi si fa sempre più complessa e maestosa.
Descrizione fantasmagorica dei cerchi sfavillanti che si dispiegano per emanazione
da Dio.
Igne> latinismo molto raro
il cerchio di fuoco avrebbe superato in velocità il cristallino> il confronto permette di
prendere contezza del moto vorticoso e inarrestabile che provoca vertigine.
D'altronde i serafini sono gli angeli che ardono d'amore e naturalmente il loro è un
cerchio di fuoco.

Circumcinto> gioco etimologico con il verso 27 con reiterazione del prefissato,


nonché dantismo che non ha riscontro in altri testi. Il gioco tra verbo base e prefissato
era anticipato nel canto
precedente quando Beatrice descrive la natura del paradiso.
v.112 canto XVII > precinto-cinge. La perfezione della figura geometrica del cerchio
sottende a queste immagini. Le astrazioni geometriche vengono in soccorso della
poetica dell'ineffabile per esprimere compiutamente l'idea di perfezione.
Credo> non ha valore dubitativo in questo caso ma vuole esprimere convinzione
espressa con verità.
La fiamma è tanto più pura e schietta quanto più è prossima alla fonte di ogni verità
invera> parasintetico che ripete la parola cardine del canto.
Beatrice vede Dante preda di forte dubbio.
Da dio dipendono il cielo e tutta la natura> ripresa letterale di Aristotele con
sostituzione di principio con punto. Il movimento è così veloce per il movimento
ardente da cui è spronato.
v.41> punto
v.45> participio passato per fare una rima equivoca che ribadisce il centro concettuale
e simbolico del canto.
A Dante sorge un dubbio: se il mondo fosse disposto secondo l'ordine dei cerchi
sarebbe appagato intellettualmente dalla vista di ciò che si offre al suo sguardo ma
dalla terra si possono vedere le sfere celesti che quanto più si allontanano dal centro
della terra, tanto più sono lente. Perchè quella stessa ultima sfera è ora la più vicina
al centro> è cambiato il centro del sistema di riferimento che è ora modellato su
un'ottica geocentrica.
non c'è da meravigliarsi che Dante non sia in grado di sciogliere i suoi dubbi.
Subtilis> ragionamenti propri della filosofia contrapposti alle scienze della retorica.
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Canto XXVIII costituisce un nuovo proemio per l'accesso alla visio dei come si
evince dal ritorno di parole chiave del primo canto come acume e acuto. Il ruolo
proemiale è rafforzato da riferimenti intertestuali che chiudono la struttura ad anello
ALla metà del canto sorge il dubbio di Dante circa la mancata corrispondenza tra
l'osservazione della terra e la visione celeste degli angeli. Si chiede come sia possibile
che dalla terra sia più vicino a dio il cerchio che apparirebbe il più grande perchè più
lontano mentre il primo cielo celeste è in questo caso il più grande> la prospettiva è
rovesciata perchè al modello geocentrico si è sostituito quello teocentrico.
Nelle terzine dal v.46 al v.63 si osserva l'anafora della congiunzione se, già osservata
nel canto II e spia del carattere dottrinale del canto che vuole ostentare i propri
strumenti linguistici ( fonici, lessicali e sintattici). Tutte le proposizioni inanellate da
Dante, sono subordinate condizionali ma hanno valore diverso ( controfattuale,
ipotetica con valore fraseologico, interrogativa indiretta ) .
I cerchi sono più o meno ampi a seconda della quantità di virtù che si distribuisce in
ogni loro parte.
Bontà> sinonimo di virtù non da intendersi in senso morale ma come qualità.
Una maggiore virtù produce maggiore influsso benefico ( salute) che a sua volta
richiede un corpo di dimensioni più estese e con giusta proporzione tra le sue parti.

Questo cielo che trascina tutto il resto dell'universo con sé > perifrasi per indicare il
primo mobile.
Il cerchio che dalla terra viene percepito come il più grande è quello che contiene in
sé più virtù perchè i Serafini sono i più prossimi a Dio e dunque maggiormente
desiderosi di congiungersi al principio primo. Beatrice invita Dante a non ragionare
in termini di diametro e grandezza apparente ma in termini di gradazione di virtù. È
cambiato il centro di riferimento da usare come unità di misura: non è più la terra il
parametro del mondo sensibile.
Il cielo che più move e più sape è il cristallino/primo mobile mentre il cerchio più
veloce è quello dei Serafini.
Allitterazioni sulle sibilanti e labiodentale ( splendido, sereno,soffia) per raffigurare
icasticamente il vento purificatore che spira e dissolve i dubbi che tormentavano la
mente di Dante.
v.87> torna la parola chiave “vero” che finalmente “si vide”
paroffia> adattamento del grecismo parokia che ha poi originato l'italiano parrocchia,
con sostituzione del ki greco con la labiodentale sorda.
Roffia> sporcizia, negli Statuti senesi è attestato agli inizi del '300 come scoria.
Secondo Inglese ci sarebbe una ripresa letterale del termine ma Contini predilige il
valore etimologico di forfora, rogna , francesismo che avrebbe poi dato luogo alla
specificazione del tecnicismo usato dai pellai che compare negli Statuti.
Inmilla> altro dei parasintetici di Dante, formati sul numerale. Il topos del raddoppio
progressivo degli scacchi è proprio della poesia lirica e deriva dall'aneddoto sul re di
Persia: è utilizzato con valore iperbolico per indicare una quantità inenarrabile e
infinita.
Inizia l'enumerazione delle gerarchie angeliche. La palinodia di Dante, dal Convivio
alla Commedia, si vale di una diversa fonte: nel convivio segue il modello dei
Moralia in iob di Gregorio Magno, nella Commedia procede dalla Pseudo Dionigi
l'Areopagita.
I troni hanno un aspetto divino tale da chiudere la prima terna: la chiosa è insicura e
non si comprende perchè debbano essere chiamati così per il fatto di chiudere la
prima gerarchia.
Perchè potrebbe essere interpretato come relativo , per la quale.
Ternaro è una ripresa del numero perfetto di tre gerarchie ciascuna composta da tre
ordini. È probabile derivi dalla fonte dantesca del De gerarchia dello Psuedo Dionigi
“ternaria distributionem” per riferirsi alle gerarchie angeliche.
Solo successivamente alla visione e dunque alla comprensione, scaturisce l'amore e
così di grado in grado si procede attraverso gli ordini.
Terminonno> desinenza che già nel De vulgari eloquentia Dante identificava come
caratteristica del pisano.
Interna> essere trino, comporsi di tre ordini ; dantismo che ricorre anche nel passo
dell canto del Paradiso XXXIII. Oggi tende ad essere interpretato come “sprofonda”
ma dai commentatori antichi veniva considerato nel primo significato.
Svernare > lemma diffuso prima di Dante.
In questa seconda terna sono gli altri angeli Dominazioni, Virtù e Potestadi.

Caso di diffrazione delle varianti > Si mirano nell'Urb, Rimirano in altri codici e
S'ammirano in Triv. , accolto nel testo Petrocchi anche se pone problemi di sintassi.
Quest'ultima opzioni come nota Inglese, ha come argomento a proprio favore la
minor frequenza del verbo tuttavia meravigliarsi non trova uguale riscontro nei
capitoli dionisiani che il poeta sta qui parafrasando. A problemi di fonte si aggiunge
poi una considerazione filologica: quando è presente una diffrazione si preferisce una
lezione che possa spiegare più plausibilmente lo sfrangiamento delle varianti.
Rime sdrucciole> s'ammirano, mirano che riproducono il moto di trascinamento.
Il canto si chiude con la rivelazione della fonte da parte di Beatrice : Dionigi ha
descritto gli ordini sul modello esplicato da Beatrice ma Gregorio se ne distaccò e
quando dischiuse gli occhi in Paradiso, auto-corresse la propria sistemazione.
All'uomo mortale che scoprì una verità così profonda in terra, fu rivelato questo
arcano da s.Paolo stesso che lo rese partecipe di altre verità di questi cieli. Negli Atti
degli Apostoli, un Dionigi poi identificato con lo pseudo Dionigi, compariva come
discepolo di s.Paolo, figura ricorrete attraverso il canto , rappresentato come colui che
è stato rapito al cielo. Si propone il parallelismo tra Dante, nuovo Paolo e il Santo.

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