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Clemente d'Alessandria è uno degli intellettuali più iconici del cristianesimo primitivo. Il
suo atteggiamento nei confronti della cultura greca classica ha avuto un ruolo decisivo
nella sua accettazione come strumento adeguato per l'interpretazione della rivelazione
biblica. Nel contesto del presente articolo seguiamo la descrizione clementina dei testi
orfici, un'interpretazione che si distingue per il modo di affrontare la questione. Ciò
significò non solo ignorare il contesto in cui si sviluppò la “tradizione orfica”, ma anche
mettere da parte la qualità immanente della cultura greca. L'approccio di Clemente avrebbe
avuto un profondo impatto sul modo in cui il cristianesimo tardoantico avrebbe compreso la natura d
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Tradizione classica e rivelazione giudeo-cristiana in Clemente Alessandrino
introduzione
Nel presente articolo vorremmo discutere la formazione della filosofia cristiana concentrandosi
sull'integrazione della cultura greca come risorsa per interpretare la rivelazione. È in questo
contesto che ci avviciniamo al modo in cui Clemente d'Alessandria incorporò testi della
tradizione orfica nei suoi Stromata V; si allude qui ad un insieme di citazioni, comprendenti
alcuni commenti e riferimenti all'Antico Testamento, in particolare al Libro di Isaia, utilizzato
da Clemente come argomento per aiutarci a comprendere Dio.
L’interpretazione del fatto rivelato è un processo intellettuale complesso che comporta, da un
lato, l’analisi dell’universo di ciascun corpus testuale – greco e antico testamentario – e,
dall’altro, l’accettazione della visione cristiana del colui che raccoglie i testi ed esprime il suo
ARTICOLI
Sebbene i testi citati appartengano alla “tradizione orfica”, non ci fermeremo su questa
complessa questione né cercheremo di individuarne il significato intrinseco. Non ci occupiamo
di questo, poiché Clemente d'Alessandria accettò questi testi acriticamente e li usò senza alcun
riguardo per il loro contesto, cioè trascurò i fatti del problema.1 La sua interpretazione è
determinata da questo atteggiamento, come la mentalità degli alessandrini ha poco a che
vedere con quella dell’intellettuale scettico preoccupato della meticolosità del metodo. Egli,
infatti, non tiene conto delle profonde differenze tra le due visioni del mondo, ma le interpreta
secondo quello che comprende come il disegno provvidenziale di Dio: una continuità essenziale
tra la rivelazione e le culture di cui parla. Vorremmo quindi sottolineare che non è nostro
obiettivo mostrare il significato storico dell'orfismo. Per “Or phic” si intendono “coloro che
seguirono gli insegnamenti religiosi nelle opere o nei riti attribuiti ad Orfeo; sono un gruppo
molto eterogeneo, che dovrebbe essere incluso negli ambienti dionisiaci, in quanto i misteri
orfici sono anche misteri bacchici.”2
Clemente trasformò questi insegnamenti in uno strumento per una migliore comprensione di
Dio. Da questa convinzione è nata buona parte della filosofia e della teologia cristiana, creando
un percorso di nuove intuizioni sul mistero della salvezza.
I teologi del II secolo utilizzarono – e questo fu uno dei loro contributi più importanti – il
concetto di Dio come contenuto principale della rivelazione, e cercarono di consolidarlo
utilizzando la metafisica. Potrebbe sembrare semplice, ma il processo fu tempestoso: il
tentativo di arricchire la comprensione del Dio delle Scritture mediante concetti fu causa di
profondo rifiuto, poiché si sosteneva che la filosofia avesse il ruolo di un razionalismo
inquietante. L'impresa venne compiuta su uno sfondo polemico: la giustificazione della novità
cristiana nei confronti dei pagani, che sostenevano che i credenti della nuova religione fossero
atei. Questo processo si svolse nel contesto culturale della tradizione ebraica di interpretazione
della Bibbia, il cui apocalitticismo determinò in maniera decisiva l'orientamento dottrinale del
cristianesimo primitivo.
1 Questo metodo di appropriazione, pur applicato alla tradizione platonica, è stato ampiamente studiato da
Evasione (1983).
2 Barnaba (2011: pp. 11–12); Barnaba et al. (2010); Perez (2011: pp. 113–131). L'autore discute il contesto dei passaggi
orfici.
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Tradizione classica e rivelazione giudeo-cristiana in Clemente Alessandrino
È importante fare qui una nota metodologica. La nozione di “trascendenza di Dio” deve
essere spiegata nei suoi limiti e nella sua continuità con la cultura ellenistica.
In effetti, l’idea di una divinità trascendente così come intesa nella tradizione giudaico-cristiana
era estranea al mondo greco-romano. L'interpretazione di quest'ultimo era così immanentemente
connessa alla nozione di physis3 (la totalità e regola di tutto ciò che esiste in senso ontologico
ed etico) che il divino non poteva essere compreso al di fuori di essa; i “gradi di divinità” e i
“gradi di intelligibilità” corrispondevano tra loro tanto da diventare sinonimi. L'interesse
moderno per la tradizione orfica deriva dalle somiglianze percepite con il cristianesimo;
apparentemente hanno alcuni elementi in comune, nonostante la loro relazione asimmetrica tra
loro, e sono diventati attraenti per il contrasto che presentano con la religiosità greca più
convenzionale.
ARTICOLI
Gli elementi che potremmo considerare comuni (la sopravvivenza dell'anima dopo la morte e la
sua ricompensa o punizione nell'aldilà) mostrano, come diremo più avanti, un duplice
adattamento al concetto greco di physis e alla vita trascendente caratteristica del cristianesimo.
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Che cosa significa trascendenza in ciascun caso? La tradizione orfica interpretava la
trascendenza in termini spaziali come un “qui” e un “al di là” sempre disponibili. La fede
cristiana lo intendeva in senso temporale come un “presente illimitato” e una “successione di
istanti”, un agire di Dio che non può dissolversi in considerazioni metafisiche, cioè qualcosa
che non è mai “a disposizione dell’uomo”. Il messaggio salvifico di Cristo è concepito in
chiave temporale e interpretato come verità comprensibile, anche se soprannaturale, per
l'uomo.5
Il nostro approccio metodologico è ermeneutico, in quanto il nostro obiettivo è recuperare la
vitalità della lettera e dell'universo che essa rappresenta. Se ogni cultura implica
un’interpretazione, la considerazione culturale contiene una riflessione espositiva sulla
tradizione a cui appartiene e, in maniera fondamentale, sulla vita che esprime.6
Una generazione prima di Origene, cioè intorno all'anno 159, nacque, presumibilmente ad
Atene, Clemente di Alessandria. Si ritiene inoltre che egli abbia studiato nella città che porta il
suo nome, sia nelle scuole pubbliche che in quelle cristiane, il che spiegherebbe la sua vasta
conoscenza della letteratura e della filosofia greca.7 Il nostro interesse per questa versatile e contraddittori
3 Di norma traslitteriamo i termini tecnici greci. Tuttavia, trascriviamo soprattutto in caratteri greci
termini significativi nelle citazioni di Clemente.
4 Dal fabbro (2010: pp. 2–4).
5 Grabmann (1957: p. 62).
6 Lo associamo alla seguente idea di Ricoeur: «Il lettore qui è ogni volta una comunità confessante che comprende se
stessa interpretando i testi che costituiscono la base della sua identità». Ricoeur (2008: p. 194).
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writer8 nasce dal suo utilizzo dei modelli ermeneutici dell'ellenismo al fine di sotto
sostenere in modo più profondo il testo della rivelazione, ma senza tentare di respingere o
confutare i miti greci.9 L'alessandrino si appropria del materiale greco con il chiaro intento
di erigere il nuovo edificio che abbiamo chiamato «filosofia cristiana».10
La concezione di questo nuovo mondo presentava una questione familiare allo stesso
Clemente11: come stabilire una gerarchia nelle diverse forme di conoscenza. Dal punto di
vista teorico si trattava di trovare un principio di unità tra i vari momenti della speculazione.
Questo intenso dibattito si verificò anche all’interno della cultura greco-romana, in
particolare tra gli stoici, che si concentrarono sulla questione etica e si interrogarono su
come organizzare il resto della filosofia, in particolare la fisica.12 Lucio A. Seneca (Epistulae
ARTICOLI
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Tradizione classica e rivelazione giudeo-cristiana in Clemente Alessandrino
Per gli alessandrini intendere la fede come “potenza” (ÿÿÿÿÿÿÿ), cioè come “facoltà o libertà ARTICOLI
20 Idem 3, 2. L'aggettivo deriva dal verbo ÿ - ÿÿÿÿÿÿÿ. Cfr. Bailly (19633 : sv).
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Tradizione classica e rivelazione giudeo-cristiana in Clemente Alessandrino
«Anche quando viene rimossa la causa dell'investigazione di ogni questione, la fede rimane salda...»21
Comprendiamo il brano citato nel modo seguente: la fede non è definita come un postulato
della ragione, poiché non esiste alcuna misura umana accettabile per quella divina: la ragione non
esige la grazia in senso stretto; anzi, è quest'ultimo a mettere in tensione il primo verso Dio. Se
consideriamo gli elementi caratteristici dell’atto di fede in
In termini di percezione teologica, si apre un cammino che coinvolge in modo reciproco filosofia
e teologia, e poi mito e rivelazione. Sebbene la fede rimanga salda nel credente nella misura in cui
crede, la fede si identifica con la testimonianza di Dio. Altrimenti come potrebbe essere definitiva
una manifestazione che non ci conduce alla soglia di Dio? Se la vita in qualche modo comincia
con la grazia, la fede costituisce in un certo senso una visione dell'essere di Dio: sostiene ogni
ARTICOLI
creatura in quanto stabilisce le modalità con cui Dio ci incontra attraverso la percezione sensibile
e il pensiero, perché la profondità di Dio non risiede nelle affermazioni verbali, ma nell'unità del
Figlio che rende testimonianza al Padre.
«Affermiamo quindi che non è adeguato che la fede progredisca in modo solitario e ozioso, ma
con l'aiuto della ricerca (ÿÿÿ ÿÿÿÿÿÿÿ).»22
Clemente intende questa affermazione come «intelligenza dell'anima»,23 cioè l'atteggiamento
più deciso adottato dal credente che ricrea spiritualmente la sua fede: una preoccupazione
essenziale di circoscrivere la divinità di Dio. L'indagine è necessaria per valutare il rapporto tra
questi fattori.24 Tale conoscenza detta l'atteggiamento di fede verso l'Assoluto: l'autorità del
rivelarsi di Dio risiede nel riconoscimento che gli atti della cultura fanno parte del carattere
provvidenziale di Dio.
In questo senso Clemente pensa che i testi orfici possano “dire qualcosa”: l'essere non è un fatto,
ma l'espressione dell'oggettività di ogni ente. Pertanto, l'atto filosofico è per l'uomo una
giustificazione nella quale gioca tutta la sua esistenza.
È solo dall'intimità di questa scelta che è possibile giungere alla luce di Dio che sostiene l'essere.
In questo senso, l'atto filosofico conduce alla soglia della fede, e alla sua accettazione o rifiuto (la
possibilità suprema della libertà come tale avviene nell'essere). Il passo successivo, se ce n'è uno,
porta la tappa filosofica al suo compimento, in quanto rappresenta l'incontro con l'essere in
termini di amore; l'ansia per la propria sorte si trasforma in un abbandono che non si preoccupa
del proprio destino.
In altri termini, è la ragione che pensa alla luce della fede, forza purificatrice che aiuta la ragione a
essere se stessa in quanto la prima spinge la seconda, secondo Romano Guardini, verso realtà
spirituali e personali.25 Come può allora la conoscenza di Dio verificarsi? La domanda potrebbe
essere posta tenendo conto dei diversi livelli di comprensione umana.
Il primo livello è il più universale e il meno chiaro, anche se accessibile a tutti,
21 Vado V, 2, 4.
22 Clemente Alessandrino, Stromata, V, 11, 1.
23Ibidem.
24 Clemente Alessandrino, Stromata, V, 4, 2. Il termine ÿÿÿÿÿÿÿ, caratteristico del platonismo e del medioplatonismo, si
riferisce alla conoscenza scientifica in contrapposizione alla conoscenza volgare, come vediamo in Platone (Crat. 406
a; Tim. 47 a; Rep. 336 c e 368 c; Phaed. 66 d).
25 Cf. Guardini (1983: p. 112). Man determines himself as “capacità di cogliere Dio.”
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e appare nell'uomo nel momento della creazione. Per questo motivo Clemente sostiene in
Strom. VII, 8, 2 che i pagani riuscirono a raggiungere un'oscura conoscenza di Dio. È
certamente una conoscenza molto imperfetta (ÿÿÿÿÿÿÿÿ è il termine usato dagli alessandrini),
ma è vera conoscenza. Il secondo livello si chiama ÿÿÿÿ ÿÿÿÿÿÿÿ e riguarda un'immagine
specchiata, cioè una conoscenza che viene raggiunta dall'anima intesa come immagine, e,
quindi, come riflesso di Dio. Il cammino per conoscere Dio implica un cammino strettamente
filosofico, che viene qui interpretato come un dono di Dio. Questa dottrina, che avrà una
grande influenza in epoca patristica e scolastica, appare per la prima volta in Clemente.26
Perché Orfeo? Come suggerisce Herrero de Jáuregui, uno dei motivi principali dietro questo
interesse per la tradizione orfica era la percezione delle sue somiglianze con il cristianesimo
(anche se lo studioso allude qui alla modernità, la sua affermazione potrebbe essere applicata a tutte le
La distanza che separa la religione omerica dall'orfismo, e l'apparente somiglianza tra
quest'ultimo e il cristianesimo, ha prodotto un'immagine poco sfumata della teologia e della
composizione sociale del cristianesimo.27 Tuttavia, sia coloro che vedevano nell'orfismo
una preparazione all'orfismo ricezione del cristianesimo e coloro che lo consideravano una
manifestazione della decadenza dello spirito classico, concordavano tutti nel ritenere
l'orfismo il preambolo del cristianesimo nel mondo greco.28 Gli elementi che li accomunano
esprimono la confluenza di diverse tradizioni, tra cui l'orfismo e il cristianesimo, nella koiné
spirituale del Mediterraneo.29 Per questo i testi orfici tentano di spiegare l'origine del mondo,
che era una preoccupazione presente nella cultura ellenica in ambito mitico e filosofico. 30
Entrambi gli ambiti rimasero separati finché non trovarono un corso comune in Platone e, in
misura minore, in Aristotele. Platone definisce i theolo goi “uomini divini”, cioè persone
ispirate alle quali era concessa una conoscenza superiore a quella dei comuni mortali. Siamo
consapevoli della situazione difficile di Platone o, più precisamente, della situazione difficile
del platonismo medio nella Patristica e specificamente in Clemente d'Alessandria. Disseminati
nell'opera di Platone troviamo molteplici riferimenti a Orfeo, figura strettamente legata
all'origine, caratteristica che per la mentalità greca equivaleva a “più vicino agli dei”.31
Questo è il motivo per cui pensiamo che Orfeo e la tradizione orfica fossero tanto stimato da
Clemente.
31 Alcuni riferimenti platonici: Crat. 402b; Fil. 66c; Gamba. 669 d, 829 d; Rsp. 364 e, 715 e; Ione 536 a.C. Da
Aristotele: Met. 983 b 27 (la dottrina associata all'Orfismo in questo passo a quella che Platone gli
attribuisce anche in Crat. 402 b), 1000 a 9, 1071 b 27, 1091 a 34; Mund. 401 a 27. Prendiamo in
considerazione gli approfondimenti di Alberto Bernabé (2011: pp. 22–24), che discute quella che chiama
la “riluttanza platonica” nei confronti dell'orfismo.
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Vedremo ora le citazioni orfiche mentre Clemente cerca di coordinare i testi ellenistici
e biblici che discutono dell'unità, della spiritualità e dell'inaccessibilità di Dio (da un
punto di vista puramente razionale). Fedele al suo stile in Stromata, cioè acritico verso
il contesto, Clemente cita senza ulteriori commenti Senofane di Colofone in tre diverse
occasioni: (a) Dio non è come i mortali per quanto riguarda il corpo (ÿÿÿÿÿ) e il
pensiero . (ÿÿÿÿÿ);32 (b) Dio non può essere rappresentato in modo antropologico;33(c)
il frammento in cui si suggerisce che se i cavalli, tra gli altri animali menzionati,
avessero le mani, disegnerebbero figure di dei simili ai cavalli. 34 Poi cita Bacchylides,
il quale sostiene che coloro che sono liberi dalla miseria non sono come gli uomini
mortali.35 Segue la reinterpretazione platonica dello stoico Cleante, il cui concetto di
ARTICOLI
“buono” (ÿÿÿÿÿÿÿ)
36 è considerato da Clemente equivalente a Dio.
In questo contesto l'Alessandrino cita il primo brano di origine orfica di cui dispone:
41 È. 40, 19.
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42 Gv. 1, 18.
43 1 Tm. 6, 16.
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Il testo di Isaia (66,1) dice: “Il cielo è il mio trono e la terra è lo sgabello dei miei piedi”.
Come affermato prima, l'alessandrino ignora il contesto dei versetti orfici e li associa a
Isaia, cioè trascura la loro visione del mondo chiaramente enoteistica (il riferimento a un
principio religioso e a diversi immortali)48 e immanente . I versi di Orfeo citati provengono da
ARTICOLI
poemi diversi e sono stati selezionati con un criterio poco chiaro. È probabile che la fonte
fosse un'antologia destinata ad uso scolastico o con scopi apologetici. Seguiamo qui il
commento di Herrero (2007: p. 172) sul contesto della citazione: “è molto probabile che
Clemente la ignorò o la pensò sufficientemente marginale da poterne cambiare il significato
senza disturbare i suoi lettori”.49 L' introduzione Il commento è breve, ma importante, poiché
afferma che Orfeo menziona che Dio è invisibile (ÿÿÿÿÿÿÿ) e che era conosciuto (ÿÿÿÿÿÿÿÿÿ) da
Abramo o da suo figlio.
Aggiunge che i versetti orfici sono in un certo senso una parafrasi (ÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿ) di Isaia 61:1.50
La svolta orfica sopra menzionata, “pronunciabile solo agli immortali”, manifesta un'esperienza
archetipica della fede, poiché la storia della salvezza va oltre le forme che la esprimono: il
Logos opera nella poesia orfica e nelle Scritture.
È in questo contesto che entra in gioco la forma di comprensione dell'estetica platonica,
che fa parte del repertorio intellettuale di Clemente, perché la contemplazione che viene
dall'intellettualità del cuore (“la cavità intellettuale del tuo cuore”) porta a una ÿÿÿÿÿÿ che
unisce la caratteristica mistica orfica e la trascendenza del Dio giudaico-cristiano. Clemente
lo interpreta nel modo seguente: Isaia mostra un'immagine materiale della trascendenza di
Dio, rafforzata da un'estetica mondana, dalla bellezza sensibile come il modo più alto di
esprimere Dio. L'alessandrino spiritualizza ancora di più questa percezione, pur utilizzando
immagini materializzate, poiché pensa che tra le due sfere (Orfeo e Isaia) vi sia una certa
analogia, non un'identità, che scaturisce dall'attualità. Ciò porta ad una seconda fase
nell'interpretazione di Clemente. Se consideriamo la comprensione di Dio nell'Antico
Testamento da un punto di vista escatologico, ciò può essere applicato anche al processo di
rivelazione. È chiaro, quindi, che il suo obiettivo non è quello di analizzare il significato dei
versi, ma di sottolineare la continuità tra le due tradizioni. Potremmo associare questo
atteggiamento all'urgenza apologetica dell'alessandrino, ancora fortemente influenzato dalla
necessità
48 Questo principio è spesso chiamato Zeus per alludere alla sua preminenza, sebbene non vi sia alcuna relazione diretta
con il dio olimpico. Cfr. Mendoza (2011: p. 29): “L’ascesa di Zeus a Primo Principio e Sovrano dell’universo non può
essere realizzata direttamente, ma richiede piuttosto un riesame della mitologia consolidata”.
49 Herrero de Jáuregui (2007: p. 172).
50 franchi 248 (Kern) in Clemente Alessandrino, Stromata, V, 124, 1.
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di un'apologetica. Ciò si manifesta nel fatto che Clemente semplicemente trascura i riferimenti
all'immanenza divina. Come spiega Herrero (2007: p. 292): “un secolo dopo, l’urgenza
apologetica è minore, mentre è più forte il raffinamento della teologia cristiana”.51 Il Dio di
Israele è compreso nei termini della promessa, mentre il Logos è diventato oscuramente
visibili agli Orfici, almeno secondo la forma propria delle epifanie estetiche nel mondo
classico, che si palesano come un relativo nascondimento: ciascuna illumina a modo suo,
ma senza interagire tra loro. Per questo la rivelazione passa progressivamente da una
visibilità imprecisa ad una chiarezza crescente attraverso la figura dell'archetipo, che è
caratteristica della teologia dell'Antico Testamento.52
L'insieme dei testi assume così un distinto carattere prolettico in cui ogni percezione del
divino è allo stesso tempo soddisfacente e insoddisfacente, in quanto mirano a un obiettivo ARTICOLI
3. Conclusione
Nella prima parte del nostro contributo abbiamo presentato una correlazione tra l'esperienza
archetipica nell'Antico Testamento e la bellezza mondana nel modello orfico. Rispetto a
quest'ultima, abbiamo proposto come sostanza la nozione clementina di una tradizione
primordiale, originata in Egitto, i cui detriti hanno dato origine al mito greco. Clemente
riprende la trattazione della questione della fede intesa come vera gnosi, cioè come
discernimento della verità. Quando parliamo di raggiungere il Padre attraverso il Figlio, ciò
richiede di credere nell'Ignoto per avvicinarsi alla conoscenza dell'Ignoto.
L'alessandrino intende la fede come “bellezza indeterminata”, ÿÿÿÿÿÿ ÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿ. Anche se
questa bellezza non resterà a lungo nella sua speculazione, aprirà la strada alla bellezza come
origine e autoperfezionamento della fede. Ciò ci porta all'inizio della teologia speculativa, che
cerca di comprendere la rivelazione biblica e, proprio per questo, include in modo sistematico
la filosofia e l'universo mitico-letterario.
Se l'essere manifesta l'oggettività dell'ente, l'azione filosofica mette in gioco l'esistenza.
Solo dall'intimità di questa scelta è possibile giungere alla conoscenza di Dio che sostiene
l'essere. Come è possibile questa conoscenza? Potremmo considerare la questione secondo
i diversi livelli di comprensione umana. Il primo livello è il più universale e il meno chiaro,
anche se è accessibile a tutti e appare nel momento della creazione. Il secondo livello si
chiama (ÿÿÿÿ ÿÿÿÿÿÿÿ) e riguarda l'immagine specchiata, cioè una conoscenza che viene
raggiunta dall'anima intesa come immagine (e quindi come riflesso) di Dio. È la forma di
conoscenza di chi fa un uso adeguato della ragione, perché esprime il modo strettamente
filosofico e viene interpretato come dono divino. La singolare lettura clementina dei testi
orfici rese possibile un intellettuale
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