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Habermas - “Verità e giustificazione”

- Il realismo dopo la svolta pragmatico - linguistica


Habermas nel dover trattare temi come la concezione dell’intesa normativamente ricca di
contenuto, le pretese di validità riscattabili discorsivamente e con ipotesi di tipo pragmatico
- formale sul mondo, la comprensione degli atti linguistici e la condizione della loro
accettabilità razionale, non viene guidato dall’interesse della metafisica per l’essere
dell’ente, né dall’interesse dell’epistemologia per la conoscenza di oggetti o di fatti, e
nemmeno dall’interesse della semantica per le forme delle proposizioni assertorie. Per
Habermas, la pragmatica linguistica è servita alla formulazione di una teoria dell’agire
comunicativo e della razionalità. Anzi «è stata il fondamento di una teoria critica della
società e ha aperto la strada alla concezione teoretico - discorsiva della morale, del diritto e
della democrazia»1. I saggi raccolti in Verità e giustificazione, vertono su due questioni
fondamentali della filosofia teoretica:
I. per un verso si tratta del problema ontologico del naturalismo - in che modo la
normatività possa venire armonizzata con la contingenza di un’evoluzione storico -
naturale di forme di vita socioculturali;
II. per l’altro verso, si tratta del problema gnoseologico del realismo: in che modo l’ipotesi
di un mondo indipendente dalle nostre descrizioni, identico per tutti gli osservatori, sia
da conciliare con l’idea della filosofia del linguaggio secondo cui non ci è consentita
una presa diretta, non mediata linguisticamente, sulla «nuda» realtà.
«Ancora impigliata nella vestigia del platonismo, la filosofia della coscienza aveva
privilegiato l’interiorità rispetto all’esteriorità, il privato rispetto al pubblico, l’immediatezza
del vissuto soggettivo rispetto alla mediazione discorsiva. La teoria della conoscenza aveva
occupato il posto di una “prima filosofia”, mentre la comunicazione e l’agire ricadevano
nella sfera dei fenomeni e mantenevano, quindi, uno status derivato. Dopo la transizione
dalla filosofia della coscienza alla filosofia del linguaggio, era ovvio non già rovesciare,
bensì livellare questa gerarchia delle fasi interpretative»2. Così Habermas scardina il
tradizionale ruolo della filosofia, intesa come spazio dell’Io, subordinando ad esso la sfera
dell’agire comunicativo e della dimensione pubblica. Certo con J. Austin e l’introduzione
dell’atto linguistico, si porta all’attenzione - in maniera rilevanze - la relazione interrogativa
tra parlante e ascoltatore la quale - peraltro - si pone, contemporaneamente, in un rapporto
oggettivo col mondo. Michael Dummet - sebbene ponga l’attenzione al rapporto tra
rappresentazione e comunicazione - insiste nell’affermare che con tale svolta epilettica, la
comprensione si sposta dalle condizioni di verità accessibili solipsisticamente alle

1 Jürgen Habermas, Verità e giustificazione, Editori Laterza, 2001, Introduzione pp. 3-57;
2 Ibidem;
condizioni nelle quali la proposizione da interpretare può essere affermata come vera e,
quindi, giustificata pubblicamente come razionalmente accettabile3.
L’interesse preminente di Habermas è, chiaramente, la pragmatica formale che - nata dalle
esigenze di una teoria sociologica dell’azione - dovrebbe spiegare la capacità di integrazione
sociale delle azioni linguistiche con le quali i parlanti sollevano pretese criticabili di validità
e inducono i loro ascoltatori a prese di posizione razionalmente motivate.

3 Michael Dummet, Truth and Meaning, in ID. (1993), pp. 147-65;

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