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ÁTOPOn

Rivista di Psicoantropologia Simbolica


e tradizioni religiose

Annamaria Iacuele
maria Pia Rosati

Gilbert Durand
e la mitodologia

mythos edizioni
ÁTOPOn
!Rivista di Psicoantropologia Simbolica
e tradizioni religiose
ISSN 1126-8530

Dir. Maria Pia Rosati, past dir. Annamaria Iacuele


Redazione: Giuseppe Lampis, Marina Plasmati,
M. Pia Rosati, Claudio Rugafiori,
Lorenzo Scaramella
Ad memoriam: Gilbert Durand, Julien Ries

I edizione 2006
2aed. elettronica 2015
© «átopon»
(rivista di Psicoantropologia Simbolica)
‘MYTHOS’ Associazione scientifico-culturale
Via Guareschi 153- Roma 00143
www.atopon.it – atoponrivista@atopon.it
SEMINARI
COLLANA ISTITUITA DA ANNAMARIA IACUELE

Psicoantropologia Simbolica
e Tradizioni Religiose
Annamaria Iacuele
maria Pia Rosati

Gilbert Durand
e la mitodologia
In Occasione dell’ Omaggio tributato a
Gilbert Durand ‘Maestro di Mitoanalisi’
In Collaborazione con I.C.S.A.T.
Italian Committee for the study
of Autogenic Therapy

Nell’ambito del Convegno


“IL RITO ”
Ravenna 20 - 21 Maggio 2006
L’immaginale o lo spirito non è che l’assenza,
il vuoto significativo – cioè simbolico – dell’essere.
Nella più umile immagine, nell’immaginario
più incoerente si stanno già scavando
le fondamenta dell’immaginale o dello spirito
Gilbert Durand
GILBERT DURAND

Fare un ritratto di Gilbert Durand è


compito difficile a causa della personalità
complessa e poliedrica del pensatore e
dell’uomo che, impegnato attivamente in ogni
battaglia civile e culturale, percorre la via
dell’ermeneuta interrogandosi incessantemente
sui significati palesi e nascosti di ogni
avvenimento, ogni gesto, ogni rito, ogni mito
che appartiene alla vicenda umana all’interno
della più grande vicenda cosmica. Di questa
ricerca di senso egli ha fatto la sua missione,
traendo la forza per dire ripetutamente No a
tutto ciò che in mille maniere diverse rischia di
annichilire l’uomo vanificando il suo cammino
antropologico più significativo, il cammino
spirituale.
Gilbert Durand, maître à penser,
antropologo, filosofo e ermeneuta tra i più
sottili e coraggiosi del novecento, ha fondato
nel 1966 il celebre C.R.I. (Centro di Ricerca
sull’immaginario) dell’Università di Grenoble
da cui sono nati nel mondo circa cinquanta
Centri di ricerca, attivamente presenti nel
dibattito transculturale e transdisciplinare.
La sua ricerca di filosofo e ermeneuta
si è confrontata con quella dei pensatori più
autentici e originali della nostra epoca (tra cui
G. Bachelard, R. Bastie, M. Eliade, C. G. Jung,
H. Corbin, G. Dumézil, C. Lévi-Strauss, S.
Lupasco, R. Thom) e da tali incontri sono
scaturiti avvenimenti culturali tra i più
significativi e fecondi.
L’ampiezza dell’attività di studioso di
Gilbert Durand si è esplicata attraverso un gran
numero di opere magistrali (molte delle quali
tradotte in più lingue: inglese, tedesco,
italiano, spagnolo, portoghese, polacco,
rumeno, cinese, coreano, giapponese…),
saggi, articoli accolti in enciclopedie, annali,
riviste specializzate, opere collettive. Nelle sue
opere il rigore scientifico si unisce alla vivacità
dell’intelligenza, alla folgorante penetrazione
delle intuizioni, agli inattesi accostamenti che
collegando domini diversi fanno scaturire
illuminanti scintille. Le sue pagine estre-
mamente lucide e vibranti di intima
convinzione, emanano forza e intensità e
riflettono sempre la luce di un vasto e antico
sapere.
Intensa e feconda la sua partecipazione
come professore alle attività accademiche nelle
università francesi ed estere, a simposi,
seminari, colloqui in tutto il mondo che hanno
segnato momenti e svolte decisive nel percorso
culturale del nostro secolo. Durand ha sempre
sentito la necessità di contattare uno a uno tutti
i domini del sapere alla ricerca di momenti di
scambio, di incontri autentici e dialettici (ma
polemos panton patér, come dice Eraclito) in
cui fosse possibile il confronto sui temi
importanti e decisivi per cercare ovunque e
sempre le strutture profonde, i lineamenti
simbolici, le forme formanti che si
presentificano a differenti livelli nell’uomo e
che sono i gradi successivi di una ricerca
verticalizzante, in quanto rivelatrice di senso.
Tra i meriti di Durand è quello di aver
compreso la grande portata euristica della
ricerca epistemologica di Gaston Bachelard,
suo maestro. Seguendo la sua strada è passato
dall’epistemologia della scienza all’epistemo-
logia del senso e all’ermeneutica poetica
aprendo un’affascinante prospettiva sui
paesaggi dell’immaginario letterario. La sua
Psicoanalisi della neve (1953), scritto
altamente poetico dedicato al maestro
Bachelard, ci fa già presentire l’inquietudine di
chi è sospinto oltre la verità del fare della
scienza tecnocratica, oltre la verità dell’essere
surreale della poesia, alla ricerca di una realtà
simbolica in cui le cose sensibili e transitorie
rinviino a realtà metafisiche.
Durand si muove nell’ambito della
vera filosofia che «... è saggezza terrestre che
sa far posto, accanto alla scienza esatta e
ideale, alle intimità della poesia e della
mitologia», perché, secondo le sue stesse
parole «... ogni saggezza che non ha un pizzico
di follia non è veramente umana; l’umanesimo
autentico è quello che sa dare spazio alla
debolezza e a tutto ciò che è errore agli occhi
della scienza. Ci vuole di tutto per fare un
uomo».
Nel dopoguerra, con tutta la forza della
sua autorità culturale, scientifica ed etica, ha
denunciato la crisi in cui erano cadute le
cosiddette scienze umane: «Il nostro XX
secolo è ossessionato dalle scienze umane,
quasi per una nostalgia o un rimorso, ma
impotente riesce soltanto a sezionare un
cadavere usando i bisturi dello sperimen-
talismo psicologico, del pansessualismo (…) di
analisi storiche o linguistiche».
Il nuovo Spirito antropologico

Gilbert Durand ha avvertito che un


‘nuovo spirito antropologico’ stava sorgendo e
ha alacremente lavorato per dargli vita (cf. G.
Durand, Nouvel Esprit anthropologique,
1975). Ha saputo cogliere la grande
rivoluzione epistemologica del nostro tempo
che affermava la necessità di superare la
radicale distinzione tra sapere razionale e
sapere immaginario. Una nuova ragione con i
propri assiomi incontrava una fenomenologia
organizzata dell’immaginario, già esplorata
dagli psicoanalisti e dagli psicologi del
profondo.
Due modalità del sapere (due serie di
processi interscambiabili, per lo meno nelle
loro grandi concettualizzazioni), quella che
procede dalla ragione più attiva (soprattutto
dalle teorie fisiche post-eisteiniane) e quella
che sorge dall’esplorazione dell’immaginario
nella simbolica post-freudiana, si incontravano
senza confondersi (poiché è la specificità del
punto di applicazione che decide i metodi) per
convergere in una filosofia d’insieme, in nuove
forme a priori non kantiane, in una tem-
poralizzazione di fenomeni non hegeliana, in
logiche non aristoteliche.
Etologia, simbologia, mitologia, psicologia
del profondo stavano creando un nuovo
dominio epistemico che veniva ampliando
l’orizzonte epistemologico in cui la triade
epistemica di Foucault (psicologia, linguistica
e sociologia) rischiava di mutilare e sfigurare
l’Uomo costringendolo in un letto di Procuste.
Era ormai giunto il momento di gettare
le fondamenta per costruire un’unica Scienza
dell’Uomo che tenesse conto del sapere
tradizionale dell’uomo sull’uomo, un uomo
che, al di là di ogni localizzazione spazio-
temporale, sente di essere sempre ‘lo stesso’,
proprio come gli dei sono sempre gli stessi.
Hermetica ratio e il principio di similitudine

Durand ha saputo dunque spezzare il


nodo gordiano del metodo di origine
aristotelica, unidimensionale e bivalente, per
proporci una Hermetica ratio, una nuova
scienza ermetica, una ‘filosofia del no’ che
secondo l’epistemologia di Einstein dicesse no
alla dualità di soggetto-oggetto, di materia-
spirito.
La nuova scienza, posta sotto il
patrocinio di Hermes il mediatore, doveva
offrire la trama per un unico tessuto capace di
inglobare le coerenze (visibili in una logica
non binaria) in seno ad una trans-disciplinarità
aperta alla pluralità della psiche e della cultura,
sempre nel rigoroso rispetto di ciò che è
specifico di ogni disciplina e di ogni
metodologia. Dunque alla ‘unicità del metodo’
aristotelico per cui la differenza è percepita
come variazione dualistica (vero o falso) si
sostitisce ‘il politeismo dei valori’ fondato sul
pluralismo delle singolarità (cf. G. Durand,
L’Ame tigrée, les pluriels de Psyché, 1980),
garante dell’unità comprensiva, coerente del
Sapiens.
Al principio d’identità aristotelica
basato sulla ‘non contraddizione’ e sul ‘terzo
escluso’ si sostituiscono i principi di ‘identità
semantica’ (tra simbolizzante e simbolizzato),
del tertium datur e il ‘principio di
similitudine’. Il principio di similitudine, su
cui si fonda il testo ermetico per eccellenza, la
Tabula Smaragdina, rivela la coincidentia
oppositorum tra ‘alto’ e ‘basso’, tra ‘esteriore’
e ‘interiore’, tra ‘visibile’ e ‘invisibile’, tra
microcosmo e macrocosmo. Possiamo anche
dire che la similitudine è l’intuizione (la
visione immaginale) della scienza che sa
riconoscere la virtù costitutiva delle cose, il
denominatore comune della conoscenza nel
soggetto conoscente come nel soggetto
conosciuto.
Ad essa può essere paragonata la
sincronicità di cui parla C. G. Jung, una sorta
di coincidenza tra immagini, esperienze interne
della psiche e avvenimenti del mondo e-
steriore. Il philosophos della scienza ermetica
è come un iniziato al segreto cosmico grazie
alla mediazione di Ermete Trismegisto (tre
volte grande), per Jung archetipo del vecchio
saggio e cioè del portatore di senso.
Nella tragedia di Eschilo, Prometeo, il
titano ribelle che ruba il fuoco agli dei per
donarlo agli uomini, liberarli e salvarli dal
dolore, è costretto a interrogarsi sulle con-
seguenze del suo dono. Padre di ogni conquista
tecnologica, sconta, incatenato alla roccia, la
pena della sua hybris. La conoscenza
tecnologica separatrice consuma l’uomo, come
l’avvoltoio di Zeus divorerà il fegato di
Prometeo. Ma nel confronto con Ermete, il
messaggero di Zeus, Prometeo (colui che pre-
vede) afferma che può allontanare l’angoscia
del dolore, della morte, in quanto pre-vede la
verità del Tutto: questo è il sapere che salva
dal dolore. L’uomo è mortale e nessun rimedio
della tecnica può salvarlo dall’angoscia del-
l’annientamento, ma la via della verità che dal
cieco divenire si apre alla visione dell’eternità
del Tutto può consentirgli di allontanare
l’angoscia facendogli pre-sentire, al di là di
ogni divenire, il suo essere nel Senso del Tutto.
Ermete, psicopompo, guida delle
anime, è figura emblematica per ogni terapeuta
dell’‘anima’ che tenti di ricondurre la
coscienza lacerata e alienata verso il Sé e
l’accettazione del mistero del Senso del Tutto.
Scienza dell’uomo e tradizione

Durand nel Colloquio di Cordova


‘Scienza e coscienza’ (ottobre 1979), assieme a
scienziati di rilevanza mondiale di differenti
campi quali la Fisica, la Neurologia, la
Psicofisiologia, la Psicologia analitica, la
Filosofia e le Scienze Religiose, ha evidenziato
la scoperta di traiettorie convergenti tra forme
di pensiero tradizionale e forme di pensiero
scientifico e la rivoluzione epistemologica in
atto nella scienza contemporanea (G. Durand,
Science de l’homme et tradition, le nouvel
esprit anthropologique, 1979).
Le forme di pensiero tradizionale,
estremamente antiche, affondano le loro radici
nel terreno magico-religioso, mitico, esca-
tologico, da cui scaturiscono le produzioni di
un inconscio metarazionale che vanno dal
sogno (che contiene ancora l’impronta
dell’immaginario della specie) alla visione
profetica, dall’allucinazione individuale o
collettiva alle teofanie che hanno dato origini a
religioni (come l’esperienza teofanica vissuta
da Mosè sul Sinai, o quella vissuta da Paolo
sulla via di Damasco). Storici delle religioni,
etnologi e antropologi ritrovano tali forme di
pensiero in miti, leggende, racconti popolari,
riti sciamanici e in culti appartenenti a
differenti culture. Tale modalità di pensiero è
propria delle arti tradizionali, delle correnti
mistiche ed esoteriche, delle scienze come
l’alchimia e l’ermetismo a cui si sono dedicate
le più alte menti della nostra cultura
rinascimentale (vedi Marsilio Ficino, Pico
della Mirandola, Giordano Bruno, ecc.).
Le più avanzate metodologie della
Scienza dell’Uomo si sono trovate a riscoprire
e a fare proprie le verità basate sul principio di
similitudine e ‘simpatia’ tra i mondi e
veicolate in particolare dall’ermetismo.
L’ermetismo implica che ogni linguaggio sia
un mesocosmo (in cui figure e simboli
pregnanti costituiscono una sorta di ponte tra
microcosmo e macrocosmo), un luogo inter-
medio tra il cosmo dei significanti e il cosmo
dei significati. Al contrario le forme di ciò che
chiamiamo ‘pensiero scientifico’ sono in realtà
molto recenti nel computo astronomico delle
ere; pretendono di svelare le leggi implicite nel
divenire naturale, le quali fanno che gli esseri e
le cose siano come sono, attraverso un
processo di deduzione logica, da premessa a
conseguenza, da causa ad effetto, secondo il
postulato che deve ritenersi ‘scientifico’ solo
ciò che può essere verificato sperimentalmente
da ciascuno e può essere misurato con rigore.
La forma di pensiero logico-scientifico,
nonostante sia soggetta a limitazioni forte-
mente restrittive in quanto non si occupa dei
campi immensi che suscitano l’interesse
ancestrale e permanente dell’uomo (l’origine e
il fine ultimo di tutto, la vita, la morte, il
dolore, il destino e il suo senso, il significato
dell’uomo nell’universo, ciò che è unico e
irripetibile e per questo tanto più prezioso
ecc.), ha portato a risultati straordinari quanto
alle tecniche trasformatrici della materia, alla
conquista della forza, dell’energia, della
velocità, del potere di produzione e di
sterminio. Ma Durand evidenzia come in realtà
i popoli siano affascinati soprattutto
dall’aspetto magico delle tecnologie
scientifiche, mentre sfuggono loro com-
pletamente i sistemi di idee, le teorie, i
paradigmi (potremmo dire i miti e i riti) che
sono dietro queste prodigiose tecnologie e
queste macchine dall’inquietante efficacia.
Tuttavia è proprio nelle pieghe
invisibili che passa l’essenziale. Le scienze
moderne più avanzate ci presentano nuovi
orizzonti che sanno d’antico.
Dalle grandi rivoluzioni storiche della
relatività, della teoria quantica, della
cristallografia avanzata e della geometria
frattale risultano nuovi modelli di universo,
come la vertiginosa nozione di un universo
composto di ordini ‘espliciti’ che emergono da
un ordine ‘implicito’ e che ad esso ritornano,
secondo quanto ci propone la fisica teorica di
David Bohm. Come ancora le sincronicità
acausali scoperte nei domini delle particelle
subatomiche come nei domini di alcuni
fenomeni psichici che interagiscono in maniera
ugualmente acausale con fenomeni per-
fettamente ‘oggettivi’ (vedi la sincronicità
esplorata da C. G. Jung assieme al fisico
Pauli).
Ci si rende conto che questi universi
richiamano le grandi cosmogonie ‘poetiche’
dell’induismo e del buddismo, la concezione
della molteplicità dei mondi espressa negli
yantra indotibetani o taoisti, le visioni di Jacob
Boheme o i sistemi del pensiero alchemico e
della filosofia ermetica a lungo attivi in
Occidente.
Le Strutture antropologiche dell’immaginario

Gilbert Durand ha dato forma


monumentale alla concezione di uno
‘strutturalismo figurativo’ nella sua opera
fondatrice, il trattato Les structures anthro-
pologiques de l’imaginaire, introduction à
l’archétypologie générale, pubblicata per la
prima volta nel 1960. L’opera ha acquistato
l’ampiezza di una vera galassia dell’immagine
e dell’immaginazione simbolica in cui le
strutture, lungi dall’essere formalizzate e
fissate in astrazione spaziale (topologica), ci
appaiono al contrario dinamizzate dai
contenuti vissuti che conferiscono loro
sostanza e intenzionalità ontologica.
La traiettoria di questa ricerca di sensi
profondi, archetipici, fondatori e fecondatori di
forme mitiche, artistiche e religiose ha portato
Durand a ipotizzare un ‘fantastico trascen-
dentale’ (quale quello presente nei sogni di
romantici e surrealisti) e a concepire un
sistema di integrazione logica simile a quello
che S. Lupasco ha creato a partire
dall’osservazione dei fenomeni della fisica e
della biologia.
Dopo la costruzione di questa
magistrale ‘archetipologia generale dell’im-
maginario’, Durand ha intrapreso una ricerca
mitocritica su alcuni assi principali: il
deciframento dei mitemi che sono alla base
della produzione di oggetti di utilità corrente e
della creazione di opere d’arte o della lenta
elaborazione degli stili; lo studio delle
correlazioni della scienza generale e unificata
dell’uomo produttore di simboli con le scienze
analitiche, cosiddette esatte; l’interpretazione
dei segni e delle figurazioni involontarie
dell’immaginario (ormai quasi atrofizzato e
respinto nell’incoscio) del nostro quotidiano
moderno.
La mitoanalisi

Durand ha fortemente sottolineato la


sua convinzione che la costruzione di una
nuova antropologia potesse passare solo
attraverso la ‘mitoanalisi’.
L’idea di una mitoanalisi si era venuta
sempre più delineando in Durand durante gli
Incontri di Eranos (nella villetta sul Lago
Maggiore ad Ascona, in Svizzera) che dal
1939 per molti anni hanno costituito la fucina
della cultura del XX secolo sì da essere definiti
dei veri ‘ciclotroni’, accelleratori di idee.
Grazie alla statura eccezionale di
pensatori, filosofi, storici, uomini di scienza
attenti a aprirsi l’uno alla ricerca dell’altro
(ricordiamo soltanto M. Eliade, E. Benz, H.
Zimmer, C. G. Jung, G. Sholem, K. Kerényi,
L. Massignon, Tillich, H. Corbin, G. Tucci, J.
Servier, J. Daniélou) questi incontri amicali tra
studiosi di varie discipline hanno contribuito a
riformulare le questioni essenziali del pensiero
del nostro tempo e hanno aperto la via a svolte
epocali.
In sintonia con Carl G. Jung, Durand si
è avventurato nei vasti e inediti orizzonti del-
l’intelligenza ‘genetica’, patrimonio del
Sapiens sapiens: miti, credenze, rituali
dell’Homo religiosus, abissi dell’inconscio da
cui sgorgano efflorescenze mitologiche
mescolate a sogni e a visioni grandiose. Come
Mircea Eliade, Durand ha ipotizzato che
proprio la comprensione del mito sarà
annoverata un giorno tra le più significative
esperienze del XX secolo.
La mitoanalisi di Durand è un’analisi
dei miti che va oltre una lettura puramente
sociologica. Il mito, grazie al suo
metalinguaggio, integra e rende presenti nella
vita quotidiana e banale gli elementi fondanti
dunque eterni, ‘sacri’, numinosi, kerigmatici:
divinità, attributi numinosi, archetipi. Nel mito
(parola) si esprime il linguaggio dell’essere,
ma un essere che ‘incarnatum est’ e proprio
per questo può farsi comprensibile per l’uomo.
Il mito è infatti ‘racconto esemplare’ che
affronta tematiche cosmologiche, escato-
logiche, teologiche, problemi dell’esistenza
umana, dell’individuo e del gruppo al quale
appartiene. «Le strutture e le figure mitiche
sono lo specchio nel quale possiamo guardare
il volto delle opere dell’uomo e decifrare la
legenda (che sempre ancora deve essere letta)
della condizione umana e del suo destino».
Per Durand la grammatica e la retorica
universale del discorso umano si centrano sul-
l’immagine simbolica e sull’elaborazione delle
strutture mitiche inseparabili tanto dai
contenuti rappresentativi e affettivi quanto
dalla coerenza interna dei significati. Durand
ha ordinato i simboli fondamentali secondo le
categorie della distinzione (o regime diurno
che ha come schema le antitesi e i cui archetipi
sono puro-impuro, chiaro-scuro), dell’unione e
della confusione (o regime notturno, retto dallo
schema della discesa e penetrazione i cui
archetipi sono profondità e intimità).
La sua antropologia, tanto figurativa
quanto strutturale, ha creato un’archetipologia
generale che cerca le forme invarianti della
traiettoria antropologica e una mitocritica che
si interessa alle opere della cultura, al fine di
comprendere come la dinamica archetipica del
mito strutturi, organizzi e infine ‘animi’ le
opere dell’uomo. Si passa in tal modo da una
mitoanalisi ad una sociologia del profondo
(analoga ad una psicologia del profondo) atta a
determinare gli archetipi sociali e a esaminare
con maggiore chiarezza le derive, le fluttua-
zioni e anche gli occultamenti che nel corso
della storia della società subiscono i grandi
miti ispiratori di differenti espressioni: opere
d’arte, ideologie, sistemi politici, sociali,
economici.
A Durand gli psicologi analisti
junghiani riconoscono il ruolo di maestro della
mitoanalisi. J. Hillman in particolare ha
evidenziato le ampie e articolate possibilità
offerte dalla mitoanalisi attraverso la lettura
non solo psicologica, ma anche socioistorica
delle varie figure mitiche che rappresentano
uno stesso archetipo (ad es. Venere, Demetra,
Giunone, Diana, come figure di Anima,
archetipo del femminile).
La Mitodologia

La ‘fantastica trascendentale’ illustrata


negli anni ‘60 dalle ‘Strutture antropologiche
dell’immaginario’ è divenuta una ‘mitodo-
logia’, una rifondazione del metodo delle
scienze (non più separate in scienze della
materia e scienze dello spirito) ad opera del
repertorio dei grandi miti archetipici che da
sempre hanno presieduto alla costruzione di
ogni sapere, compreso il sapere scientifico.
Nel suo libro del 1996 Introduction à
la mythodologie. Mythes et societés, opera di
profonda e vasta cultura (rara visione sinottica
che spazia dai paradossi della fisica moderna
alla storia della spiritualità francescana) in cui
la chiarezza del linguaggio si accompagna a
grande audacia speculativa, Durand elabora
l’epistemologia di una vera scienza
dell’immaginario e ne sviluppa le molteplici
applicazioni nel campo della storia della
cultura.
L’immaginario (cf. L’imaginaire,
1994), identificato al mito, inteso come
costruzione di immagini archetipiche
ridondanti è un linguaggio metastorico di
forme psichiche costituito da mitologemi che
si attualizzano attraverso dei drammi, storie
fondanti che riguardano cosmogonie, dei,
avvenimenti iniziali.
Diversamente dalle tradizioni evemeri-
stiche o positiviste che vedono nei miti e nei
simboli fictions proiettive o sintomi di
infrastrutture sociali, per Durand i miti
avrebbero origine da nuclei di senso
autonomo. I miti si sviluppano alla maniera di
un processo di embriogenesi (nello sviluppo
dell’embrione è possibile individuare un
carattere direzionale e stabile dei tessuti),
dunque non per una causalità a tergo (relazione
di causa e effetto), ma per attrazione formativa
in cui la causa finale si confonde con la forma
compiuta.
La natura e la funzione dei miti si
illuminano quando se ne riconosce un senso
immateriale, implicante, potenziale, costituito
da forme informative primordiali che si
attualizzano nello spazio e nel tempo
attraverso un processo di ‘ridondanza’
(paradigma proveniente dalle scienze
dell’informazione) che fissa il senso
eliminando ‘il rumore’. Dietro ogni simbo-
lizzante c’è sempre un ‘altrove’ che lo fonda.
Secondo Durand, lo studio dei miti
appartiene a pieno diritto alla nuova epi-
stemologia generale condivisa dalle scienze
contemporanee, partecipi di una ‘Scienza
dell’Uomo’ finalmente unificata (fisica,
medicina, fisiologia, psichiatria, etnologia,
sociologia, storia delle religioni ecc.) che ha
posto il focus sulla realtà delle forme, dei
simboli e sul potere delle immagini, e si pone
il compito di costituire una scienza generale
della topica e della dinamica dei fatti culturali.
Sulla scia di Roger Bastide e di
Abrahams Moles, Durand esamina le
possibilità dell’immaginario e i suoi numerosi
effetti strutturanti, verificando come nella vita
del mito possano manifestarsi periodi intensi e
esplosivi, o momenti di distanza dal reale, o
fenomeni per così dire eretici. La sua
mitodologia elabora un modello euristico delle
figure mitiche (dominanti o recessive) e del
loro sviluppo in tendenze che oscillano in un
andamento a fasi periodiche di ascensione e
discesa, in cui i temi del mito sono captati,
rinforzati o si dissolvono. I miti sono dei
sistemi in evoluzione, obbediscono a
configurazioni successive che Durand indica
con metafore geografiche. Essi si inscrivono
così in ‘bacini semantici’ in cui confluiscono
diverse correnti e da cui nascono corsi più
importanti che acquistano nome e in cui si
versano altri corsi, ma le acque si dividono, si
disperdono in meandri, si dissolvono in un
delta.
Attraverso lo studio dei miti, sia
sincronico che diacronico, osservando come la
sistemica delle forme (sincronia) si pluralizza
nella storia (diacronia), Durand esamina le
variazioni delle forme culturali nel tempo: sia
le opere d’arte individuali (mitocritica) che le
forme direttrici di una società (mitoanalisi).
Questa visione culturale meta-storica
permette di cogliere una ritmica dell’
immaginario in cui un tema mitico cede il
posto a un altro.
L’immaginario, non più oscura dimora
di credenze illogiche o folli, ma matrice delle
rappresentazioni e degli avvenimenti di una
società, diviene logica creatrice che fa
comprendere non solo l’economia generale del
senso e la storia come sistema, ma anche i
derivati patologici e le tragedie connesse.
Perché i miti respinti provocano rabbiose
reazioni quando ci si oppone alla loro
incarnazione (vedi il mito di Dioniso che,
respinto dalla città per ragioni di ordine,
affascina le donne di Tebe che lo seguono sui
monti trasformandosi in menadi furiose e
terribili).
Durand ha disegnato una mitoanalisi
del XX secolo che conferisce straordinaria
coerenza pluralistica e dinamica all’insieme
dei fatti culturali della modernità e della
postmodernità. Ha rilevato come i miti del
XIX secolo (miti prometeici, faustiani, miti di
conquista, di lotta contro le tenebre, del
progresso della storia, del superbo imperium
sulla natura e sugli uomini) siano tramontati
lasciando una Wast land disincantata, inaridita,
eppure assetata di un farmaco salvifico.
Nei temi della poesia e dell’arte del
XX secolo è quindi subentrato un altro regime
dell’immaginario, più ‘notturno’: sorge il
bisogno d’intimità, il rimpianto nostalgico di
mondi infantili, l’attaccamento alla terra, la
sete di un ritorno all’equilibrio. Da qui la
nascita di una nuova antropologia, di una
nuova gnosi, la riscoperta della tradizione
ermetica e dell’antico mito dell’Alchimia,
l’Arte di Ermete. Nel segreto dei loro
laboratori gli alchimisti compivano un’ope-
razione immaginale nell’Unus Mundus,
l’universo degli archetipi, un atopon che regge
sia il cielo dell’anima che la terra delle
localizzazioni oggettive. La loro difficile e
segreta ricerca di trasformazione della materia
attraverso le varie tappe dell’Opus (nigredo,
albedo, rubedo) indicava un percorso interiore
iniziatico la cui meta non era una conquista
tecnica o materiale: l’oro volgare o l’elisir di
lunga vita terrena, ma l’oro spirituale dei
filosofi, la vera sapienza, sempre collegata ad
un ‘altrove’ assoluto, vera ricchezza e vero
farmaco.
Mito. temi e variazioni

A quarant’anni dalla pubblicazione di


Le strutture antropologiche dell’immaginario,
Introduzione all’archetipologia (1960) Gilbert
Durand ha continuato con entusiasmo e
alacrità nella sua opera di ricercatore indomito
sul tema del mito. Le ricerche svolte per quasi
mezzo secolo sull’Immaginario, facoltà
strategica del pensiero dell’Homo sapiens,
hanno confermato la necessità di una ricerca
collegiale, pluridisciplinare e transdisciplinare
che sappia evitare, per quanto possibile, le
ossessioni personali, i provincialismi delle
specializzazioni e gli etnocentrismi a favore di
un’unica ‘Scienza dell’uomo’.
Oltre al Centro di Ricerca sull’Imma-
ginario dell’Università di Grenoble, i più di
cinquanta centri di ricerca pluridisciplinari e
transdisciplinari sorti, per l’impegno di
Durand, nelle cinque parti del mondo hanno
elaborato, attraverso un lavoro collegiale,
numerosi testi sul simbolo, il mito, il fantasma,
il racconto letterario orale e scritto. Ne è un
esempio l’opera a quattro mani Mythe, thèmes
et variations (2000) nata dalla ricerca
intrecciata degli studi di Durand stesso
(appassionato della cultura europea come delle
culture esotiche della Cina e del Brasile) e
della studiosa cinese Chaoying Sun.
Gilbert Durand, grazie alla comunione
di studi e ricerche con Chaoying Sun, ha
riscoperto la vastità e la profondità del bacino
semantico della cultura cinese, vero tesoro
dell’umanità, nella cui materia mitica si è
immerso ritrovando nuove immagini, miti,
simboli le cui radici affondano nelle strutture
figurative dell’immaginario umano. Questi
sguardi incrociati sul mondo dell’Immaginario
sono una garanzia supplementare contro gli
abusi dell’etnocentrismo.
In Mito, temi e variazioni, vediamo
riconfermata la convinzione profonda che le
strutture permanenti si modulano con le
variazioni più circostanziali e i dettati oggettivi
si intrecciano con le diverse forme delle
risposte della soggettività perché la vitalità
umana, lungi dall’esprimersi in un unico
percorso lineare scandito da tappe pro-
gressive, emerge in maniera ciclica,
spiraliforme, dedalica, secondo aspetti
disordinati e contraddittori in cui ogni
movimento in avanti viene integrato da un
ritorno indietro che serve a fondare nel fertile
sostrato del passato il nuovo seme, la nuova
possibilità.
Per Durand l’Immaginario, come il
tema di una sinfonia, può modularsi
all’infinito, svilupparsi, variare, sempre
sorretto dall’ineluttabile solfeggio della natura
umana. Già dal titolo, Mito, temi e variazioni,
(con un gioco di parole su ‘mitemi’ materia di
base di ogni universo mitico) Durand vuole
annunciare un tentativo sempre più spinto al
fine di chiarire le variazioni, derivazioni,
recezioni di quei nuclei duri che sono le
strutture archetipiche e simboliche del mito.
Ma nel contempo allude anche alle tecniche
musicali. Mito e musica hanno molte
intenzioni e procedure comuni. L’uno e l’altra
si svolgono nel tempo, l’uno e l’altra sono
linguaggi non dimostrativi e non descrittivi che
per meglio raggiungere la comprensione
mentale utilizzano il procedimento principe di
ogni persuasione (si potrebbe dire con Charles
Mauron di ogni ossessione): la ridondanza.
Durand si sofferma sulla ‘complessità e
stabilità della materia mitica’ insistendo sulle
motivazioni del cambiamento del mito:
polisemia, dunque ‘incertezza’ di molti oggetti
simbolici, derivazioni che precipitano le
diverse recezioni dei momenti storici, identità
culturali che colorano in maniera sfumata un
simbolo o un mito, fluttuazioni biografiche che
segnano le immagini ossessive, diffusioni di
un tema simbolico attraverso differenti
recezioni culturali.
Durand mette anche in luce ‘risonanze
universali e scambi generali’, ritorna alle per-
manenze, ai residui, dell’Immaginario sotto
due modalità antropologiche: la ‘risonanza’
che accorda semanticamente un insieme
culturale a un altro insieme e lo ‘scambio
generalizzabile’ della simbolica. Citiamo solo
un esempio: dopo aver evidenziato il nesso tra
i miti delle divinità della folgore e l’agiografia
di Sant’Antonio l’Eremita, guarda alla
risonanza dei mitemi antoniani in una
importante leggenda dell’immaginario cinese,
il Xyou Ji ‘Il viaggio verso l’Occidente’. In tal
modo ha potuto rinvenire una straordinaria
concordanza tra il mito cinese della ‘Età della
grande Concordia’ e quello occidentale dell’
‘Età dell’oro’.
L’Immaginario, luogo del metasapere

Gilbert Durand ha lavorato in fraterna


e feconda collaborazione anche con Henry
Corbin, l’orientalista che ha rivelato
all’Occidente alcuni dei più straordinari testi
filosofici e mistici dei maestri iranici e islamici
della teosofia orientale centrati sulla
fondamentale importanza del mondo
immaginale, un mondo intermedio nel quale si
schiudono le rivelazioni profetiche e si
compiono gli eventi della storia sacra.
Durand nei suoi studi sulle strutture
antropologiche dell’immaginario aveva
concluso che non c’è soluzione di continuità
tra immaginario e simbolico e che
l’immaginario è il connettore obbligato
attraverso il quale si costituisce ogni rap-
presentazione umana. L’immaginario non è
una delle tante discipline, ma il tessuto
connettivo tra le discipline, il riflesso, o
possibilità di riflessione che consente di
scoprire significati ulteriori al di là del
significato banale in una continua ricerca di
senso. Si tratta del sapere di ogni sapere, di un
metasapere che si pone ai confini di ogni
conoscenza, una sorta di gnosi che dallo studio
del fondamento di ogni sapere evidenzia un
ordine che trascende ogni sapere perché li
collega tutti.
Durand ha visto nell’immaginario,
imaginatio vera, immaginazione creatrice, la
facoltà umana più elevata che ci permette di
raggiungere un universo spirituale, un mundus
imaginalis, quel mondo intermedio in cui
secondo quanto dicevano i maestri persiani «i
corpi divengono spirito e lo spirito diviene
corpo». Questa facoltà può accedere a un
tempo, l’illud tempus dei miti e delle favole,
che sfugge alle leggi dell’entropia newtoniana
e ha una distesa figurativa (un ‘non-dove’, un
atopon) che trascende lo spazio delle
localizzazioni geometriche. Proprio questa
immaginazione permette all’uomo un riscatto
dall’oppressione della sua situazione con-
tingente, dalla prigione della pura fattualità
meccanica, concedendogli di intravedere una
nuova possibilità di libertà e di salvezza.
L’antropologia del sacro

Durand ha esplorato nella sua ‘antro-


pologia del sacro’ le strutture religiose
archetipiche dell’uomo. Con il saggio L’uomo
religioso e i suoi simboli, ha collaborato al
Trattato di Antropologia del Sacro (1989),
imponente opera in sei volumi diretta da Julien
Ries, il grande studioso di storia delle religioni
dell’Università Cattolica di Lovanio. In tale
studio Durand ha ribadito come all’interno
della rivoluzione epistemologica della seconda
metà del novecento, in accordo con il nuovo
sprito scientifico, le Weltanschauungen, le
logiche, le assiomatiche della scienza più
moderna, è nato un nuovo spirito antro-
pologico che ha riabilitato i concetti di
‘immaginario’ di ‘simbolo’ di ‘rito’, riscoperto
le potenze del pensiero simbolico e
riconosciuto l’innegabile perennità della
struttura religiosa del Sapiens. Elemento
fondamentale di ogni esperienza umana è il
desiderio di ‘altrove’.
I simboli sono ritenuti segni non
arbitrari che rinviano attraverso un rapporto
naturale a qualcosa di assente, o di impossibile
da percepire: «il simbolo è una
rappresentazione che fa apparire un senso
segreto; esso è l’epifania di un mistero».
La grandiosa convergenza della ricerca
scientifica più avanzata (fino ai ‘confini della
materia’) con la conoscenza religiosa ha
permesso di vedere nel processo simbolico il
modo in cui una trascendenza si manifesta
attraverso segnali immanenti, oppure, nella
direzione inversa, il modo in cui le percepibili
ridondanze immanenti al tempo e allo spazio
costituiscono tracce che indicano un senso che
le trascende. L’attività simbolica viene così
giudicata come la più specifica dell’Homo
sapiens che è anche Homo religiosus proteso
innanzitutto nell’attività di costruzione di se
medesimo o, potremmo dire con Jung, in
cammino nel processo di individuazione verso
il raggiungimento del Sé.
Molti studiosi contemporanei, storici
della religione, antropologi, scienziati hanno
usato il termine gnosi, secondo Paolo (Rm 2,
20) «conoscenza dell’essenziale», per indicare
il cammino di tale ricerca. Ciò che caratterizza
questa nuova gnosis è il fatto che non ci sia più
separazione tra le intuizioni e i ragionamenti
del nuovo spirito scientifico e i discorsi delle
religioni e delle mistiche (sermones mythici).
Per Jung le grandi immagini, le immagini
archetipiche della psiche, normale o pato-
logica, dell’homo sapiens sono le dramatis
personae di ogni scenario mitico e di ogni
racconto religioso e (secondo le leggi della
sincronicità) del destino umano.
Al convegno transdisciplinare
promosso dall’istituto Mythos «La cerca del
sacro e la sua simbolica» (Bougy St. Martin,
Svizzera, 1992) e presieduto da Gilbert Durand
hanno partecipato rappresentanti delle tre
religioni abramiche (Armand Abécassis, Julien
Ries, Roger du Pasquier) antropologi,
psicoanalisti e studiosi di simbologia i quali,
uniti in un’unica ‘cerca’, hanno condiviso la
loro esperienza di studiosi e di uomini che
testimoniano con la loro vita la fede
abbracciata. Durand nel discorso di apertura ha
ribadito che dagli albori l’Homo sapiens è
legato al sacro da un legame (= religione)
naturale che implica non solo ‘le strutture
antropologiche’ del suo immaginario, ma
soprattutto le strutture e le funzioni stesse del
suo equipaggiamento cerebrale. La neurologia,
l’anatomofisiologia dell’encefalo, l’etologia
ominide hanno dimostrato come ogni
rappresentazione umana sia in qualche modo
simbolica. La mediazione rappresentativa del
simbolo si manifesta attraverso differenti gradi
di collegamento e differenti distanze tra segno
simbolizzante e significato simbolizzato.
L’archetipus descrive le strutture
plurali, le forme vuote, le istanze ultime della
simbolica da cui dipende ogni
rappresentazione umana, compreso il
‘linguaggio’ delle rivelazioni. Il religiosus, il
collegamento in cui esiste il più grande scarto
tra simbolizzante e simbolizzato, usa scale di
rivelazione per tentare di raggiungere la
sembianza dell’Assoluto ‘completamente
altro’. L’arte interviene come funzione
ausiliaria, una sorta di sursum, e aggiunge un
surplus iconico, musicale o letterale che
concretizza attraverso l’opera le aspirazioni
degli altri collegamenti.
Durand conclude che il mondo della
religione, dell’arte e il mundus archetipalis
della psicologia del profondo appartengono
all’ordine del collegamento ultimo, sono il
vertice della rappresentazione del Sapiens, il
punto culminante di ogni simbolizzazione;
l’attività simbolica va verso l’in-venzione (nel
senso etimologico di andare verso) del sacro.
Ancora più chiaramente afferma che il
religiosus è ciò che modella l’attività
simbolica e che questa a sua volta è la
definizione del ‘genio’ specifico del Sapiens.
Questo convegno, nel quale Durand presentò il
primo numero della rivista di psico-
antropologia simbolica e tradizioni religiose
«atopon», come gli incontri di Eranos,
rimangono nella memoria dell’Istituto Mythos
come momenti numinosi.
L’antropologia della libertà

Ci sembra impossibile, anche solo per


dare un’idea del portato eticoculturale di
Gilbert Durand, non ricordarne la sua figura di
generoso combattente. Poco più che ventenne,
aveva organizzato in Francia, con i suoi
altrettanto giovani compagni di liceo, un
gruppo di partigiani della resistenza che, pronti
al sacrificio estremo, si erano posti il compito
di esprimere, con tutta la forza ideale della loro
gioventù, un grande No fondatore ad ogni
tentazione di vigliaccheria che, in cambio di
una pace troppo comoda ma disonorevole,
avrebbe tolto alla Francia la sua dignità di
nazione libera.
Durand fu catturato dalla Gestapo,
torturato e condannato a morte, ma salvato in
extremis dai suoi compagni. Le conseguenze
delle ferite di allora hanno continuato ad
accompagnarlo per tutta la vita. Ma lo spirito
di giovane combattente indomito di quegli anni
permane anche nel vecchio saggio pluri-
decorato al quale è stato offerto dalla comunità
Ebraica della Savoia nel maggio del 2001 a
Chambéry, sua città natale, l’altissimo
riconoscimento della medaglia di ‘Giusto tra le
Nazioni’.
In tale occasione egli è riuscito a far sì
che il commovente rito di questa cerimonia
fosse un vero rito, in cui rivive e si presentifica
la più alta forma archetipale dell’uomo, la
ricerca del Sé, della propria autenticità di
uomo libero, in armonia e rispetto delle leggi
eterne del cosmo, che sempre sono e saranno e
che già erano prima ancora che fossero mai
state formulate da alcuno.
Ha testimoniato il suo essere uomo
«che libertà va cercando ch’è sì cara, come sa
chi per lei vita rifiuta», intellettuale che da
sempre vive, opera e combatte, al di là di ogni
engagement politico, per la libertà dell’uomo e
della polis che è il contesto in cui l’uomo
esercita i suoi diritti, i suoi doveri e la sua
‘professione’ di uomo. E ha ribadito il suo No
di sempre a ogni politica che in nome del fine
giustifica i mezzi e in tal modo tortura,
avvilisce, distrugge gli uomini. Proprio i mezzi
usati indicano la natura del fine a cui si vuol
pervenire. Le recenti esperienze storiche ci
hanno fatto dolorosamente comprendere come
drammi atroci possono sorgere anche dal
tentativo di raggiungere nobili fini quando si
utilizzano non altrettanto nobili strumenti.
Durand ci ha ricordato che «il campo di
concentramento di Buchenwald-Weimar co-
struiva il suo universo intorno a quella quercia
sotto la quale Goethe un tempo aveva sognato
la fraternità degli uomini e dei popoli».
Il pericolo è sempre in agguato sotto le
forme più insidiose, magari i meravigliosi
progressi della tecnica (Timeo Danaos et dona
ferentes!). Il vero dono di Prometeo all’uomo
non è la tecnica, attraverso la quale l’uomo
non ha potuto dare senso al suo dolore, quanto
un sapere atopon, luogo dell’immaginario,
spazio profondo del significato, spazio
spirituale e dunque spazio dell’utopia, spazio
amico che salva dal tempo e dalla morte.
Questo sapere è salvifico in quanto permette di
allontanare l’angoscia del nulla, la paura della
morte e dunque l’impossibilità di accettare la
vita. Nel mondo immaginale in cui tutto
prende senso ed è supporto simbolico di senso,
è possibile anche dar senso al dolore e dunque
sopportarlo. È il dolore ‘in-sensato’, il dolore
a cui non riusciamo a dare senso che finisce
con il divenire insopportabile e sempre rischia
di gettarci nella follia.
Il pericolo è sempre in agguato sotto le forme
più insidiose, magari i meravigliosi progressi
della tecnica (Timeo Danaos et dona
ferentes!). Il vero dono di Prometeo all’uomo
non è la tecnica, attraverso la quale l’uomo
non ha potuto placare la sua angoscia e dare
senso al suo dolore, quanto un sapere atopon,
luogo dell’immaginario, spazio profondo del
significato, spazio spirituale e dunque spazio
dell’utopia, spazio amico che salva dal tempo e
dalla morte. Questo sapere è salvifico in
quanto permette di allontanare l’angoscia del
nulla, la paura della morte e dunque
l’impossibilità di accettare la vita. Nel mondo
immaginale in cui tutto prende senso ed è
supporto simbolico di senso, è possibile anche
dar senso al dolore e dunque sopportarlo. È il
dolore ‘in-sensato’, il dolore a cui non
riusciamo a dare senso che finisce con il
divenire insopportabile e rischia di gettarci
nella follia.
L’uomo può trovare salvezza, anche da se
stesso, solo grazie a un’episteme (il sapere che
radica) basata sulla ricerca di comprensione
del Senso del Tutto, della necessità del destino,
della legge inviolabile secondo cui tutte le cose
si raccolgono nell’unità immutabile.
Bibliografia

Riportiamo in ordine cronologico le principali


opere scritte da Gilbert Durand

« A propos de W. Faulkner: romanesque et


philosophie », in Cahiers des Alpes, Oct.1951.

« St Esprit contre St Sulpice », in Cahiers des


Alpes, Nov. 1951.

« Signification de l’enfance », in Cahiers des Alpes,


Déc. 151.

« Le Diable, le Bon Dieu et l’Homme », in


« Psychanalyse de la neige », in Mercure de
France, Août, 1953.

Savoie, Brochure publiée par l’Office des HLM,


1954.

« Portrait philosophique de Joseph de Maistre », in


Cahiers d’Histoire, n°3, Lyon, 1955.

« Lucien Leuwen ou l’héroïsme à l’envers », in


Stendhal Club, Lausanne, 1959.
« L’Art moderne en Savoie », in Mémorial de
Savoie, Chambéry,1960.

Les Structures anthropologiques de l’Imaginaire:


introduction à l‘archétypologie générale, Ie éd.,
Paris, P.U.F., 1960.

Le Décor mythique de La Chartreuse de Parme:


contribution à l’esthétique du romanesque, Ie éd.,
Paris, J.Corti, 1961.

« Mythe et poésie », in La Poésie et le mythe,


Maison du poète, Courrier du Centre international
d’Etudes poétiques, n°34, Bruxelles, 1962.

Les Catégories de l’irrationnel: prélude à


l’anthropologie », in Esprit, Janv. 1962.

« Sanctuaires de l’art et société scientiste », in


Synthèses, n° l94, Bruxelles, Juillet 1962.

« Les trois niveaux de formation du symbolisme »,


in Cahiers internationaux de symbolisme, n° 1,
Genève / Bruxelles, 1963.

« L‘Occident iconoclaste: contribution à l‘histoire


du symbolisme », in Cahiers internationaux de
symbolisme, n°2, Genève / Bruxelles, 1963.
Les Structures anthropologiques de l’Imaginaire,
Préface de la 2e éd., Paris, P.U.F., 1963.

« Science et conscience dans l’œuvre de Gaston


Bachelard », in Cahiers internationaux de
symbolisme, n° 4, Genève / Bruxelles, 1964.

« Préface » de l’Encyclopédie des arts divinatoires,


Paris, Tchou, 1964.

« Dualisme et dramatisation: régime antithétique et


structures dramatiques de l’Imaginaire », in Eranos
Jahrbuch, XXXIII, Zurich, Rhein Verlag, 1964.

L’Imagination symbolique, le éd., Paris, P.U.F. ,


1964.

« Un théâtre de province et son public: contribution


à une sociologie de la culture » (collettivo), in
Annales du Centre universitaire de Chambéry,
1964.

« Les gnoses, structures et symboles archétypes »,


in Cahiers internationaux de symbolisme, N° 6,
Genève / Bruxelles, 1965.

« Tâches de l’esprit et impératifs de l’être », in


Eranos Jahrbuch, XXXIV, Zurich, Rhein Verlag,
1965.
« Les loisirs populaires à Chambéry: essai
d’analyse statistique » (Enquête collective dirigée
par G. Durand), in Annales du Centre universitaire
de Chambéry, 1966.

« Eléments et structures », in Cahiers


Internationaux de Symbolisme, n° l1, Genève /
Bruxelles, 1966.

« La création artistique comme configuration


dynamique des structures », in Eranos Jahrbuch,
XXXV, Zurich, Rhein Verlag, 1966.

« Le statut du symbole et de l’Imaginaire


aujourd’hui », in Lumière et Vie, t. XVI, n° 81,
1967.

« Les structures polarisantes de la conscience


psychique et de la culture : approche pour une
méthodologie des Sciences de l’Homme », in
Eranos Jahrbuch, XXXVI, Zurich, Rhein Verlag,
1967.

« Kôsôshugi o meguru ronzô », in Asahi Journal,


vol. 10, n° 9, Tokyo, 1968.

« Joseph Communal le peintre de la Savoie », in


Catalogue de l’exposition rétrospective J.
Communal, Musée des Beaux- Arts Chambéry,
1968
« Structure et fonction récurrente de la figure de
Dieu ou la conversion herméneutique », in Eranos
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« Les chats, les rats et les structuralistes.


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« Les chats, les rats et les structuralistes.


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Science de l’Homme et tradition: le Nouvel Esprit


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Les Structures anthropologiques de l’imaginaire


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Le Décor mythique de ‘La Chartreuse de Parme’.
Les Structures figuratives du roman stendhalien
(1961), ed. Corti, 1983.

L’imagination symbolique (1964), ed.4 P.U.F., 1984


Les Grands Textes de la sociologie moderne (1969),
ed.3, Bordas, 1979

Science de l’homme et tradition, Le Nouvel Esprit


anthropologique (1975), ed.3 Albin Michel, 1996

Figures mythiques et visages de l’oeuvre, de la


mythocritique à la mythoanalyse (1979), ed.2,
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L’Ame tigrée, les pluriels de psyché, Denoël, 1981

La Foi du cordonnier, Denoël 1984

Beaux-Arts et Archétypes, la religion de l’Art,


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L’Imaginaire, sciences et philosophie de l’image,


Hatier, 1994.

Introduction à la mythodologie. Mythes et societé,


Albin Michel, 1996.
Champs de l’imaginaire, ELLUG, 1996.

Mythe, Thèmes et Variations, Desclée de Brouwer,


2000.

Articoli pubblicati nella rivista « Átopon »

- Intorno al Graal. Archetipo della incorporazione


divina e sembianze della presenza, in «Atopon»
voll. I, II, 1992-3.
- Il simbolo come ricerca del sacro, in « Átopon »
vol. II, 1993.
- Verità anagogiche del Cristianesimo in
« Átopon » vol. III, 1994.
- Immaginari al negativo, in « Átopon »vol. III,
1994.
- L’immaginario luogo del transdisciplinare, in
« Átopon » vol. IV, 1995.
- Una lezione di mitoanalisi, in « Átopon » vol. V,
1997.
- Il drago in Asia e in Europa, in « Átopon » vol.
VI, 2000.
Ritratto di Gilbert Durand
In « les Cahiers européens de l’imaginaire »

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