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CONSULENZA PEDAGOGICA

La consulenza pedagogica è un’attività consulenziale ed è una Relazione d’aiuto, temporaneo,


spesso fornito da una persona esterna a sostegno di consultanti che si pongono nella posizione di
risolvere un problema che essi stessi riconoscono e vogliono affrontare per risolverlo.
Appunto perché si dà nei contesti educativi, si tratta prevalentemente di un
= approccio a supporto del lavoro educativo, rivolto a professionisti di primo livello che
aiuta il percorso di rielaborazione dell'esperienza lavorativa al fine di operarvi al meglio.

Igor Salomone  cerca di dare una definizione di consulenza pedagogica


Per lui la consulenza pedagogica potrebbe presentarsi come una proposta non solo riguardante i
contesti educativi ma che rappresenti uno sguardo utile in qualsiasi situazione come una azienda,
una associazione o un gruppo professionale; quindi il consulente lavora proprio per
individuare, sostenere e sviluppare all’interno di diversi contesti le competenze educative in
essi presenti.
Anna Rezzara riconferma la necessità di riconoscere le specificità dello sguardo del consulente
pedagogico, ponendo come obiettivo quello di attivare negli operatori educativi il sapere
esperienziale e trasformarlo in risorsa per sviluppare la capacità di leggere pedagogicamente le
vicende e le situazioni educative e riconoscere le vicende e i dispositivi educativi che vi agiscono”.
QUALE E’ L’OGGETTO DELLO SGUARDO DI QUESTO SPECIFICO CONSULENTE? CHE
COSA DIFFERENZIA IL SUO INTERVENTO DA QUELLO DI ALTRI CONSULENTI (PSICOLOGI,
PSICHIATRI, MEDICI E FILOSOFI) CHE STUDIANO I SERVIZI E I CONTESTI EDUCATIVI
SUPPORTANDO IL LAVORO DEGLI EDUCATORI?
Per rispondere a queste domande bisogna partire dall’oggetto (punto di vista) del sapere
pedagogico e dall’ipotesi che l’oggetto possa essere rintracciato nell’esperienza educativa e nella
struttura che sta alla base di essa, più precisamente i dispositivi agenti, nelle componenti visibili e
invisibili, nell’esperienza educativa.
Inoltre, si ammette l’esistenza di una “regione ontologica specifica”, di “un mondo nel mondo” che
ha una forma specifica connessa al dispositivo che lo sostanzia, alla struttura (corporea e
incorporea) che ne rende possibile e ne quantifica il darsi, nelle sue caratteristiche e nei suoi effetti
formativi. Dare attenzione al dispositivo dare attenzione agli spazi, ai tempi, ai corpi, ai
linguaggi, ai riti, ai significati, ai modelli che abitano e sostanziano l’esperienza educativa e la
caratterizzano, dandole una forma. La specificità pedagogica si dà nello sguardo a queste
strutture (corporea e incorporea) e a questi elementi.

CHE COSA DIFFERENZIA IL SUO INTERVENTO DA QUELLO DI ALTRI CONSULENTI


(PSICOLOGI, PSICHIATRI, MEDICI E FILOSOFI) CHE STUDIANO I SERVIZI E I CONTESTI
EDUCATIVI SUPPORTANDO IL LAVORO DEGLI EDUCATORI?
Quello che li differenzia è:

 la capacità di conoscere il campo di esperienza


 attraversare questa esperienza assieme all’educando
 conoscere le strutture alla base dell’esperienza educativa e riuscire a presidiarle
 agire con una competenza metodologica.
È quindi la centralità dell’aspetto metodologico, del “come” si dà quell’esperienza e quindi della
struttura che la implica, l’elemento legato al sapere pedagogico, quell’oggetto che sfugge agli
altri saperi ma che è fondamentale se si vogliono allestire e promuovere esperienze educative.
La pedagogia trova la sua specificità nella metodologia con cui gli obiettivi formativi vengono
concretamente perseguiti per il mezzo di un certo tipo di esperienza.
Questo oggetto rimanda anche allo sguardo e all’oggetto di lavoro del consulente pedagogico che
si occuperà dell’esperienza e della sua strutturazione, delle condizioni strutturali alla base
dell’esperienza educativa.
Lo sguardo del consulente dovrebbe aiutare gli educatori a riconoscere queste dimensioni
strutturali dell’esperienza e a individuarle nel loro darsi e nei loro effetti  aiutare gli educatori a
capire che la loro azione si colloca in un insieme di elementi corporei e incorporei  aiutare il
professionista dell’educazione a riconoscere:

 il proprio “come”
 il modo e la metodologia con cui agisce
 la qualità dell’esperienza
 le convinzioni circa le strategie
 le attività da proporre
 i presupposti relativi al contesto
 le ipotesi circa le interazioni
IL LAVORO DEL CONSULENTE PUO’ ACCOMPAGNARE GLI EDUCATORI E GLI INSEGNATI
DI PRIMO LIVELLO A VEDERE:

 la struttura (corporea e incorporea) che dà forma all’esperienza educativa e produce effetti


formativi.
Rossana Brambilla ricorda che lo specifico di un consulente è rintracciabile nella capacità
di “far vedere gli aspetti, e tra essi i più potenti, in grado di incidere sul prendere forma dei soggetti,
al di là del fatto che questi ultimi ne siano consapevoli”. Individuare non solo gli elementi che
intervengono ma anche le questioni che permettono di modificare quel meccanismo
educativo, il focus è sul “mondo nel mondo” e sulla ridefinizione.
L’autrice sottolinea alcuni aspetti su cui il consulente pedagogico dovrebbe porre la sua attenzione:
1. Mettere a fuoco il funzionamento di una istituzione, il suo sguardo dovrebbe
concentrarsi sul funzionamento dei mondi educativi, con un focus sui contesti.
2. Lo sguardo del consulente potrebbe permettere di individuare quale rapporto ci sia tra il
fatto avvenuto in una istituzione e il funzionamento del microcosmo nel quale si è verificato
con una specifica attenzione alle pratiche e linguaggi che hanno portato a quei fatti.
3. Essere in grado di interrogare ogni pratica e concetto utilizzato cercando di capire su quali
aspetti dei soggetti si ripropongono di andare ad agire e che cosa si propongono di
controllare e modificare.
4. Dovrebbe cercare di capire e di far capire il rapporto tra “il mondo nel mondo” e la vita del
contesto sociale più ampio in cui l’esperienza educativa si colloca.
Collegandoci a quello che diceva Igor Salomone sull’attenzione alle competenze pedagogiche,
possiamo definire anche lo sguardo capace di vedere le caratteristiche dell’esperienza che i
professionisti di primo livello hanno attivato, i modelli di formazione, gli scopi, le interazioni, le
attività, le connessioni tra tutti questi livelli. Quindi il consulente pedagogico può permettere agli
educatori e formatori di riconoscere queste dimensioni dell’esperienza educativa, mostrarle e
indagarle per ritrovare quel “come” si fa educazione, quei modelli di ciò che la formazione è, di
come la si fa e la si sente che è appunto il cuore della professionalità educativa e quindi il focus
della consulenza CON SGUARDO PEDAGOGICO.
Questo modo di intendere la consulenza pedagogica, porta alla conduzione dell’attività
consulenziale e della definizione delle questioni, che potrebbero risultare inedite rispetto alle
modalità più diffuse appunto per la difficoltà che spesso si riscontra tra insegnati, educatori e
professionisti nel riconoscere queste dimensioni strutturali.
Es. un gruppo di insegnanti chiede a un consulente pedagogico un supporto per affrontare le
crescenti situazioni di disagio dei bambini, sempre più frequenti e problematiche. L’approccio che
dovrebbe adottare una consulenza pedagogica potrebbe essere, non il centrarsi sul problema, ne
sulle singole situazioni e non sull’analisi dei singoli casi dei bambini con disagio, ma
semplicemente nel proporre una tematizzazione dell’esperienza e del modo in cui essa avviene e
come viene gestita dagli insegnanti.
Una consulenza pedagogica, potrebbe e dovrebbe concentrarsi sull’analizzare le dimensioni
strutturali e progettuali della situazione, tenendo conto che è necessario interrogarsi su cosa si
intende per disagio e sulla connessione che c’è tra percezione del disagio e il contesto in cui la
percezione avviene. Quindi il consulente potrebbe aiutare gli insegnanti a chiedersi quale tipo
di esperienza educativa si sta mettendo in atto, le caratteristiche e le condizioni che portano
ad esserci così tanti casi di disagio.
Una consulenza pedagogica, invece concentrarsi sul caso, potrebbe concentrarsi sull’esperienza
educativa, sulle pratiche che si mettono in atto, indagando come gli insegnanti la rappresentano e
la presidiano, che elementi la caratterizzano e che effetti producono cosi che si potrebbe scoprire
inoltre, che il disagio non è solo quello degli alunni, ma anche quello degli insegnanti che magari
manifestano la difficoltà di riconoscere il proprio ruolo e i propri compiti e quindi arriverebbero a
fare una riflessione personale sulla propria professione. Quindi si tratta di attivare un tipo di
consulenza vicina a quella di Schein  lavorare con dei professionisti dell’educazione, consente di
illuminare il “come” si fanno le cose, le dimensioni strutturali dell’esperienza, nella convinzione che
lavorando su esse sia possibile promuovere anche la possibilità della miglior gestione delle diverse
situazioni, partendo con una tematizzazione dell’esperienza e mantenendo il focus il “come” si fa
esperienza.

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