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Accademia Nazionale di Scherma

METODOLOGIA DELL’INSEGNAMENTO

Riflessioni per i colleghi con i colleghi

Maestro Faustino Colombo

Napoli, 26 – 27 Luglio 2021


Introduzione……presentazione……inizio……spiegazione……premessa……..
Queste pagine sono scritte per coloro che desiderano intraprendere la professione di
Maestro di Scherma ed hanno la caratteristica di essere piene di liste.
La catalogazione è il modo che ho usato per suscitare un pensiero.
In materia di metodologia dell’insegnamento, o dell’allenamento, chiunque può reperire e
studiare un’ampia scelta di manuali e ponderosi trattati quindi, quando mi è stato chiesto di
partecipare a questo corso, ho avuto il dubbio di cosa presentare ai colleghi.
Perché questo siete: i mei colleghi. E nel dialogo e la riflessione tra colleghi risiede il motore
che permette di crescere professionalmente, migliorare tecnicamente, rendere più robusta
la capacità professionale.
Userò spesso la parola “insegnante” nella convinzione che questo siamo così come sono
convinto della parola “professionista” che implica atteggiamenti, modi di fare, conoscenze,
capacità organizzative e cultura.
Ogni riflessione è una parte di lavoro a sè stante per cui troverete anche concetti ripetuti e
parole reiterate.
Una riflessione la possiamo considerare una curiosità utile ad osservare le cose che
riguardano l’insegnamento attraverso l’ottica più scientifica.
L’ultima riflessione è la più amara, la più difficile, la più cattiva ma che dobbiamo affrontare
in forza di quella professionalità che abbiamo o che dobbiamo costruirci.
Per finire questa parte due indicazioni per me importanti: non ci sarà il vocabolo “capitolo”
ma “riflessione” all’inizio degli argomenti di cui parleremo. In questo scritto troverete solo tre
citazioni perché in un dialogo tra colleghi è obbligatorio mettere a disposizione la personale
esperienza con tutti i suoi limiti e le sue debolezze ma anche con tutte le sue magnifiche
intuizioni.

RIFLESSIONE 1
Ho fatto molti tentativi prima di dare una forma a queste dispense.
Mi sono perso più di una volta nel cercare organicità ai temi che vorrei esaminare. Chi legge
in questo momento è interessato a diventare maestro di scherma, quindi un insegnante ed
allora è agli insegnanti che mi rivolgo ed a loro propongo delle riflessioni con l’intento di
suscitare dei ragionamenti.
Anna Freud, figlia del celebre psicanalista, ha detto:” Tre cose sono impossibili: governare,
guarire, insegnare”
Forse impossibile no, ma certamente insegnare è complicato. E’ una attività che attiene alla
relazione tra persone ed ha connessioni davvero complesse tanto è vero che quando si
parla di metodologia dell’insegnamento si tirano in ballo la sociologia, la psicanalisi, le
materie neurologiche, la comunicazione.
In materia è reperibile una quantità enorme di studi con l’orientamento più multiforme
possibile a testimonianza della complessità del tema.
Molto materiale è collegato direttamente al mondo scolastico; in percentuale minore si trova
quella parte dedicata all’insegnamento sportivo e per ogni lavoro che è possibile insegnare
si individua una metodologia, o meglio, esistono esperti che suggeriscono sistemi al fine di
far apprendere una conoscenza o una attitudine.
Io credo che la difficoltà intrinseca sta nel fatto che la relazione umana non è
standardizzabile secondo canoni scientifici. Infatti spesso si parla “dell’arte dell’insegnare”
sottintendendo che in quella azione si nascondono elementi che attengono alla sensibilità,
all’efficacia, alla perizia di chi esercita l’insegnamento.
Ho iniziato ad insegnare a 18 anni, come istruttore di sci, e poi per varie vicissitudini mi sono
trovato ad insegnare nella scuola e nel contempo anche a gestire una palestra di scherma.
Adesso ho 60 anni, quindi fate voi i conti; quello che posso offrire non è il riassunto dei libri
letti o dei pensieri degli altri, ma solo le mie convinzioni che si sono maturate nel tempo. Fra
le tante persone che hanno contribuito al mio sviluppo professionale una desidero ricordarla:
Serafino Rossini. Professore universitario di scienza della formazione. Ha saputo dare
ordine e parole adeguate ai miei pensieri e quindi molto merito deve essere attribuito ai suoi
insegnamenti.
Io provengo da una educazione in cui si sosteneva che gli insegnanti non si discutono,
“…hanno il coltello dalla parte del manico…”. Non era permesso avere dubbi e con loro
confrontarsi.
Quando facevo la prima elementare la mia maestra aveva 50 anni, l’età giusta per insegnare
ma era nata nel 1916 e la sua cultura di riferimento si rifaceva a quel periodo. E lo stesso
posso dire per tutti quegli insegnanti che si sono succeduti nella mia vita di studente. Tra
loro pochi hanno inciso in maniera significativa nella mia crescita, anzi ne ricordo solo tre.
A voi chiedo: “quanti insegnanti hanno dato realmente significato alla vostra crescita?” Certo
è che lo sviluppo culturale della nostra nazione è passata per fasi complesse, talvolta
dirompenti e se ora possiamo considerarci in un periodo maggiormente sereno lo dobbiamo
a quanti hanno sviluppato nuove considerazioni ed hanno avuto il coraggio delle loro idee
però ciò non toglie il fatto che ancora adesso, per esempio il mondo liceale, esprime le
stesse lamentele che si facevano negli anni 70/80 a dimostrazione che lo sviluppo nel
mondo educativo è complesso.
Noi siamo maestri di scherma, insegnanti di scherma che, in quanto tali, veniamo investiti
gioco forza dai medesimi problemi e dalle medesime difficoltà che hanno tutti gli insegnanti.
Personalmente vorrei proporre alcune riflessioni e stimolare il pensiero sulla nostra
professione secondo una prospettiva che nell’ambiente schermistico non credo sia mai stata
affrontata.
La prima domanda che propongo è: ”cosa fa un insegnante di scherma?”
La seconda domanda è: ”come agisce un insegnante di scherma?”

RIFLESSIONE 2
Cosa fa un insegnante di scherma?
L’insegnante di scherma è un professionista in possesso di una qualifica tecnica. Insegna
una disciplina sportiva e organizza il suo lavoro secondo convinzioni e stili che lo
caratterizzano in armonia (si spera) con la struttura che utilizza il suo operato.
Io mi sono convinto del fatto che l’insegnate di scherma è in buona sostanza colui che
gestisce il tempo libero delle persone.
Su questo apriamo una parentesi. Le persone fanno attività sportiva per svariati motivi: per
rimanere in forma fisicamente, per curiosità, per passione, per vincere l’oro olimpico. I più
giovani arrivano allo sport perché questo è ancora percepito come elemento utile alla
crescita sana sia fisica che morale.
In ogni caso tutti si avvicinano allo sport e lo praticano con costanza se da quel contesto
ottengono una personale soddisfazione.
L’insegnante di scherma è un professionista e come tutti i professionisti viene pagato per la
sua prestazione e non ha importanza se la sua abilità è quella di conquistare una gara dietro
l’altra o quella di attrarre e mantenere alti numeri di iscritti. La sua azione deve essere
professionale, cioè ispirare fiducia, comunicare capacità, cultura, buona relazione, rispetto,
autorevolezza. Più o meno come fa un dentista quando lo incontrate per la prima volta: vi
deve convincere col suo comportamento della sua cultura medica e della sua competenza
nel curarvi.
Cosa fa un insegnante di scherma?
Partiamo subito dall’assunto che l’insegnante è tale se ha un comportamento etico.
Anzi il comportamento etico è imprescindibile per svolgere questa professione.
Vocabolario della lingua italiana "Zingarelli" - verbo “insegnare”:
"esporre e spiegare in modo progressivo una disciplina, un'arte, un mestiere a qualcuno...."
L'insegnante, quindi, è colui che guida alla conoscenza, per gradi, un'altra persona in una
determinata materia.
Le responsabilità dell'insegnante sono ampie e la prima è quella di determinare col suo
modo di agire la positività o la negatività dell'esperienza degli allievi, soprattutto quando
questi hanno un'età giovanissima.
Ci sono docenti che praticano un sistema atto a far sentire alcuni elementi più bravi di altri,
valorizzando coloro che rispondono appieno alle aspettative dell'insegnante e criticano chi
invece realizza risultati diversi.
Questo sistema tiene conto di qualcuno e si evolve in quest'ottica.
Sottolinea i meriti, disapprova gli errori, stila classifiche di merito relativamente al
superamento o meno di prove, considera il risultato buono come obbiettivo raggiunto, tutto
il resto è insufficiente. Questo è un modo di insegnare.
Altro metodo possibile, altro modo d'essere insegnante, è quello che si realizza con la
pratica "dell'ottica del ciascuno".
L'insegnante, con la sua azione, può definire condizioni tali da trattare la realtà in modo che
ciascuno provi soddisfazione per ciò che sa fare e per ciò che è.
La realtà, per ciascuno di noi, è ciò di cui facciamo esperienza e questo sentire è diverso da
persona a persona.
Favorire l'esperienza positiva contribuisce a determinare la sensazione di adeguatezza, di
crescita, di piacere, di abilità.
Queste sensazioni positive aiutano a creare un'immagine di sè positiva e l'unione di vissuto
positivo e di immagine di sé positiva determinano la formazione equilibrata della persona.
L'uso dell'aggettivo "positivo" è volutamente reiterato perché in esso è racchiuso il senso
vero della soddisfazione, in opposizione al negativo che, invece, è da noi inteso come
l'insieme di esperienze che hanno come effetto quello di maturare un'idea di inadeguatezza,
di incapacità, di non evoluzione.
E il sentirsi bene, capace, adeguato è base per costruire personalmente quei punti necessari
a nuovi successi. Si amplifica così la disponibilità alla sperimentazione e a provare il nuovo.
La fantasia si sviluppa, il pensiero si allarga. Questa evoluzione favorisce i nuovi
apprendimenti. Sentirsi adeguato, per un giovane, significa appoggiare i piedi su solide basi
che gli permetteranno anche di reggere il confronto con gli altri, di sostenere il giudizio, di
produrre auto-correzioni e nuove strategie.
E' innegabile che ognuno di noi, indipendentemente dall'età, cerca di trovare una
soddisfazione di sé. Ma quella soddisfazione è frutto di sensazioni personali, intime, forse
neanche spiegabili, che però esistono e tutti noi più volte le abbiamo provate.
Così come le provano i bimbi; anzi sembra che in loro la soddisfazione provochi "terremoti"
fenomenali!! Provano e riprovano una cosa, la ripetono, cercano una nuova strada, si
accordano con gli altri, inventano nuovi disegni per risentire quella gioia intima legata ad un
successo ottenuto. E qui la parola successo significa consapevolezza di essere più capaci,
più abili, anche più grandi. Non ha niente a che vedere con i buoni voti, con i premi o
quant'altro. Il premio è personale, è il positivo che ognuno sente per sé che diventa
medaglia!!
Questo è il compito dell'insegnante: agevolare la costruzione di sensazioni positive con il
fine di costruire soddisfazione del sé tale da innescare un meccanismo per il quale il ragazzo
stesso diverrà disponibile alla ricerca di nuove strade soprattutto in modo autonomo.
L'allievo diventa “insegnante” di sè stesso.
Ma quanto detto avverrà a patto che l'insegnante stesso provi una personale soddisfazione
di sé.
Un insegnante è prima di tutto una persona con una storia, un'esperienza, una vita. Egli
stesso cercherà per sé quelle sensazioni di adeguatezza e di capacità, se è vero che
ognuno è animato dalla necessità di "soddisfazione di sé". Ma così agendo si allena a
riconoscere negli altri la medesima tensione, soprattutto nei giovanissimi, e quindi maturerà
nel tempo la sua sensibilità.
Per cui l'insegnante agisce mettendo in pratica una serie di azioni, in maniera più o meno
conscia delle quali possiamo fare una lista:
 ESERCITA LA VIA DELL'ARTE: intendendo qui la parola arte come produzione di
alta qualità che provoca una particolare soddisfazione personale.
 HA MEMORIA DELLE ESPRIENZE PERSONALI
 HA COSCIENZA DEGLI ERRORI
 AGISCE IN MODO ESTEMPORANEO: esiste un'azione istintiva che si adatta al
momento e che funziona.
 PRATICA L'ASTENSIONE DAL GIUDIZIO: vale a dire che evita di entrare in spazi
che non sono di sua competenza o di fare cose che in quel momento non sono
funzionali al percorso educativo immaginato
 ACCETTA L'INDIVIDUO
 ACCETTA DEI LIMITI
 COMPRENDE DELLE POSSIBILITA'
 PRATICA UNA ATTENTA OSSERVAZIONE
 ANALIZZA IL REALE
 ANALIZZA L'ESSERE
 REGISTRA DEI DATI
 PRATICA LA VIA DEL RISPETTO
 PRATICA LA VIA DELL'ASCOLTO
 ACCETTA DELLE INFORMAZIONI
 ACCETTA DELL'ESPERIENZE
 PRATICA LA SPERIMENTAZIONE
 E' DISPONIBILE A NUOVE PROPROSTE
 PROPONE NUOVE ELABORAZIONI
 ALLENA LA CAPACITA' DI CORREZIONE
 ALLENA LA CAPACITA' DI AUTOCRITICA
 PRATICA LA SODDISFAZIONE DI SE’
 PRATICA LA SODDISFAZIONE DEGLI ALTRI
 PRATICA LASODDISFAZIONE PER SE’
 PRATICA LASODDISFAZIONE PER GLI ALTRI
 PROVA DIVERTIMENTO DEL FARE
 PROVA PIACERE DELLA REALIZZAZIONE
 POLITICIZZA L'ESPERIENZA
 PRATICA LA CONDIVISIONE: con i colleghi, con i ragazzi, con i familiari
 PRATICA LA COERENZA: come uomo, come educatore, come professionista.

Tutto ciò, unitamente alle esperienze personali, alla cultura, alla determinazione, alla
personale attitudine, determina lo STILE DELL'INSEGNANTE.
Anche se ogni insegnante pratica la ricerca della soddisfazione di sè, agisce con quei modi
sopra citati ed in maniera etica, nessuno sarà uguale all'altro. La diversità si nutre di
esperienza, di empatia, di sguardi, di momenti, insomma di quell'originalità che ogni uomo
possiede.
L’originalità è una condizione personale che sfugge da qualsiasi programmazione e
normativa: genera emozioni forti, qualità professionale.
Possiamo anche ammettere che è collegata ad una sensibilità particolare dell’individuo.
Quindi, dato che la sensibilità è allenabile, possiamo praticare una formazione della
sensibilità.

RIFLESSIONE 3
L’insegnante di scherma lavora nel campo del movimento.
Quindi le attività possono essere viste come esperienze caratterizzate da una rilevanza che
definiamo:
attività a rilevanza MOTORIA: si ha quando si producono esperienze che favoriscono la
maturazione di abilità motorie
attività motorie a rilevanza COGNITIVA: si ha quando si producono esperienze che
favoriscono la maturazione di comportamenti ideativi.
attività motoria a rilevanza RELAZIONALE: si ha quando si producono esperienze che
favoriscono la maturazione di comportamenti sociali (abilità relazionali)
attività motoria a rilevanza TONICA: si ha quando si producono esperienze che favoriscono
l’analisi personale, lo stare, il sentire. E’ una condizione più statica che dinamica.
Ogni attività che l’insegnante può proporre può essere catalogata in serie di lavori che
definiamo CICLI. Abbiamo quindi:
 CICLI DI ATTI CON MATERIALI
 CICLI DI GIOCHI STRUTTURATI AGONISTICI-OBLIQUI
 CICLI DI GIOCHI STRUTTURATI COOPERATIVI-OBLIQUI
 CICLI DI GIOCHI DI CONTATTO
 CICLI DI GIOCHI ESPRESSIVI

Le attività sono seguite con fini diversi e in ogni ciclo di lavoro l’insegnante può combinare
più di un modo di conduzione in relazione alla situazione, delle persone, delle difficoltà o di
quei problemi che insorgono in maniera imprevista. Volendo possiamo scrivere un elenco
di tipologie di conduzione con la convinzione che tale elenco è aperto, vale a dire non può
e non deve esaurirsi a questa lista.
CONDUZIONE:

 DIRETTIVA
 ESPLORATIVA
 STIMOLANTE
 "AGGANCI"
 COSTRUTTIVA
 DIMOSTRATIVA
 ACCENTUATIVA
 RIPETITIVA
 ESPANSIVA
 CONDIZIONANTE
 CORRETTIVA
 …………………………

Ovviamente l’insegnante opererà per produrre una cementazione degli elementi necessari
allo sviluppo dell’allievo. Questa operazione è un sostegno al vissuto dell’allievo e lo
chiameremo rinforzo. Anche dei rinforzi possiamo compilare una lista che, come per la
tipologia delle conduzioni, non è da intendere in maniera chiusa.
RINFORZI:
COME VALORIZZAZIONE della riuscita, del comportamento, della validità del lavoro, con:
 commento verbale positivo al singolo, al gruppo, al singolo davanti al gruppo.
 Commento verbale testimoniando soddisfazione
 Commento non verbale fatto con lo sguardo, con la mimica del viso e del corpo.
 Sotto forma di evidenziazione, sottolineando, rimarcando, ricordando.
COME DOCUMENTAZIONE affinché l'evoluzione positiva non si perda con:
 registrazione con disegni
 registrazioni con schede prestampate
 registrazioni con “plastici” (disegni, costruzioni, simboli) per sottolineare la positività
del momento
 registrazioni dell’insegnante

MORALI:

 come incoraggiamento
 come ri-memorizzazione
 evidenziazione
 gioco simpatico
 responsabilizzazione
 complicità
Altra lista aperta che possiamo redigere è quella inerente ai possibili interventi che un
insegnante opera per affrontare i momenti di difficoltà. Questa è la parte del lavoro dove
esperienza, intuizione, capacità empatica e sensibilità si manifestano. Io credo che molta
parte del lavoro dell’insegnante è strettamente legata al dover risolvere problemi, grandi o
piccoli che siano e che oltre alla pratica entri in gioco qualche cosa di imponderabile che
attiene esclusivamente a quella parte che abbiamo definito “sensibilità”
In realtà questa lista è la mia lista, o meglio è ciò che io faccio quando devo affrontare
momenti di difficoltà. Per cui immagino che ogni collega possa a sua volta scrivere la sua
lista o aggiungere altri modi che gli appartengono. Alcune di queste azioni le pratico con più
naturalezza, altre invece devo “pensarle”. E non è detto che quella scelta funzioni in quel
momento. Magari funzioni in momenti diversi.
Quello che voglio dire è che non siamo esenti né da percentuali di rischio né da percentuali
di insuccessi.
 STOP, RICHIAMO AL GRUPPO
 STOP, RICHIAMO AL SINGOLO
 RIPETIZIONI DI REGOLE
 INTERVENTO VERBALE DURANTE L'ATTIVITA'
 INTERVENTO NON VERBALE
 DIALOGO DURANTE L'ATTIVITA'
 DIALOGO FUORI DALL'ATTIVITA'
 COMMENTO NEL GRUPPO
 COMMENTO FUORI DAL GRUPPO
 COMMENTO IN SITUAZIONE DIVERSA
 MANIFESTAZIONE DI POSITIVO
 MANIFESTAZIONE DEL NEGATIVO
 MERAVIGLIA
 RICORDO DELLE REGOLE
 RIMEMORIZZAZIONE DEGLI EVENTI POSITIVI PASSATI
 RIMEMORIZZAZIONE DELLE SPECIALITA'
 SPIAZZAMENTI
 INSEGNANTE SORDO-CIECO
 COMPAGNI TUTOR
 SOTTRAZIONE TEMPORANEA
 SCAMBIO DEI RUOLI
RIFLESSIONE 4
IL GIOCO ESPRESSIVO
Il gioco basato sull’espressività parte dalle esercitazioni fondamentali che sono attuate nella
preparazione teatrale. Nell'ottica della soddisfazione del sé il lavoro espressivo permette di
dilatare le occasioni di sentirsi adeguati in una determinata situazione perché in esso è
possibile scansare i limiti imposti da definizioni esatte ed esaltare la personale costruzione
fantasiosa.

Questo metodo di lavoro interviene in maniera importante su:


AGGREGAZIONE
RELAZIONE UMANA
CONDIVISONE DEL LAVORO
SODDISFAZIONE DI SE’
SENSIBILITA ALLO SPAZIO
SENSIBILITA AL RITMO
CONTROLLO DELL’ANSIA
LIMITAZIONE DEL TIMORE DEL GIUDIZIO E DELL’IMBARAZZO.
MIGLIORAMENTO DELLA PROPRIOCEZIONE
MIGLIORAMENTO DELLA COORDINAZIONE
MIGLIORAMENTO DEL RAPPORTO CON LA PERSONALE CORPOREITA
Si basa con la somministrazione di esercizi di volta in volta più complessi, all’interno di spazi
definiti, che devono portare alla consapevolezza piena di sé e del miglioramento raggiunto.
L’uso della musica è importante così come è importante la costante ricerca del senso di
adeguatezza di ognuno che si raggiunge con la perdita del sentimento di imbarazzo.
E’ ovvio che il lavoro di questo genere richiede tempo, apertura mentale, capacità di ascolto
e d’osservazione nonché voglia di divertirsi.
Questa ultima osservazione la spiego: il divertimento è una sensazione di benessere
importante; se chi guida un gruppo sta bene, si diverte, è sereno e si sente adeguato, allora
anche il gruppo che segue avrà molte più possibilità di vivere le medesime sensazioni.
Il lavoro espressivo ha maggior efficacia se in si introduce la musica come elemento di
guida. Il lavoro è importante che abbia una suddivisone precisa in parte introduttiva, quella
di impegno massimo e quella di rilassamento o finale.
Di seguito alcuni esercizi di avviamento all’espressività che possono essere modificati,
plasmati o modellati in funzione delle situazioni, anche ambientali, in cui si propongono.
SEI MALATO
Un bimbo è indicato dall'istruttore come il malato del gruppo; il malato per guarire deve
inseguire e toccare un compagno urlando "malato!!"; il compagno toccato si ammala mentre
l'altro guarisce e scappa a sua volta; durante il gioco i ragazzi non parlano, non escono
dallo spazio di gioco; ognuno si deve accorgere da solo dei propri sbagli ed allontanarsi dal
gioco senza indicazioni da parte dell'istruttore. Semmai l'insegnante potrà fermare il gioco
e, in positivo, sottolineare che X ha ricordato le regole.

STATUE
Creare uno spazio delimitato della grandezza appena minore di quella di mezzo campo da
pallavolo; i ragazzi vi camminano all'interno, al comando di "STOP" gli allievi si fermano. Di
volta in volta si aggiungono regole semplici tipo:
 non ci si tocca
 non si parla
 non si fa rumore con i piedi mentre si cammina (o si corre, si salta, si cammina…)
 si deve utilizzare tutto la spazio a disposizione (l'istruttore controlla i vuoti e i pieni
del pavimento)
 non si esce dalle righe
 allo stop ci si ferma a coppie, in tre, toccandosi per la schiena, per la fronte, per le
orecchie.............
Progressivamente si deve arrivare alla fase di statue, dove il controllo è totale: l'allievo non
deve muovere niente del proprio corpo, deve mantenere l'immobilità assoluta per un tempo
più o meno lungo e con lo sguardo fisso (ovviamente senza chiudere gli occhi)
L'insegnante, variando il ritmo e le andature, potrà dare le indicazioni di lavoro con:

 la voce
 rumori diversi
 con la musica

Raggiunto un discreto grado di controllo, da parte del gruppo, l'istruttore potrà agire da
elemento di disturbo cercando di far sbagliare gli allievi.

SGUARDO SENZA FINE


Quando l'attenzione è raggiunta si può chiedere agli allievi, al momento dello stop, di
rivolgere e fissare lo sguardo verso un punto posto all'esterno dello spazio di gioco (un
foglio colorato, un cartello, un attrezzo...)

IL MAGO
L'istruttore, ordinato lo stop, presenterà la sua mano aperta davanti al volto dell'allievo. E' il
segnale che la statua può animarsi, seguire sempre dalla stessa distanza e senza
distogliere l'attenzione alla mano, il Mago che lo farà muovere come vuole e dove vuole. Il
resto dei ragazzi mantiene la posizione di statua in attesa del loro turno di lavoro. Con una
musica adeguata di sottofondo è possibile creare una corta coreografia di grande
emozione.

IL BOSCO CHE CRESCE


Il lavoro avrà questo preambolo: " Voi siete dei semi, nascosti sotto terra, che lentamente,
al ritmo della musica, mettono radici, le foglie, escono dalla terra, e crescono fino a
diventare degli alberi di un grande bosco. Ognuno potrà essere l'albero che vuole."
Nello spazio di lavoro i ragazzi si distribuiscono in modo omogeneo, mimeranno la posizione
del seme e, con l'inizio della musica, cominceranno a crescere.
Come tutela di ognuno si raccomanda il lavoro, soprattutto all'inizio, ad occhi chiusi.
Elemento importante da aggiungere è il vento.
Il lavoro finisce con la fine della musica.

SALTO REI
Ogni allievo, a turno, davanti ai compagni seduti in semicerchio, si produrrà nella recita di
un terribile guerriero. Partendo da fermo, solo quando si sente pronto ed ottiene il silenzio
e l'attenzione dei compagni, spiccherà un salto e, nel contempo, si produrrà in urlo
"terrificante". Appena avrà preso contatto con il terreno si trasformerà nella statua
spaventosa di un samurai che affronta i suoi nemici.
L'allievo che interpreta non potrà mai perdere la posizione di statua, dovrà fare di tutto per
essere credibile e non dovrà farsi distrarre da ciò che lo circonda.

I DUELLI IRLANDESI
Primo duello: a coppie, tenendosi per le spalle, ognuno deve pestare i piedi al compagno
senza farseli pestare.
Secondo duello: a coppie in uno spazio delimitato i due giocatori dovranno fare in modo di
darsi una pacca sul sedere; il primo che ci riesce senza essere toccato vince un punto.
Terzo duello: a coppie, uno davanti all'altro; A diventa statua, impassibile ed immobile; B,
senza toccare A e senza fare rumore con la voce, dovrà distrarre e far ridere A. All'errore
si inverte il ruolo.
Quarto duello: a coppie, con una bottiglia grande di plastica (tappata e vuota) ognuno cerca
di toccare senza essere toccato il compagno. I bersagli sono decisi dall'istruttore e variati il
più possibile (attenti al naso!!)

IL CIECO CHIAMATO
A coppie. A fa il, cieco, B la guida. A, mantenendo per tutta la durata del gioco gli occhi
chiusi, si lascia guidare da B che, tenendolo per mano e assolutamente senza parlare, lo
porterà in giro nello spazio di gioco tra le altre coppie, e facendo in modo che A eviti i
possibili ostacoli o si scontri con gli altri. Dopo in po' i ruoli si scambiano.

RIFLESSIONE 5
C’è un libro scritto da John Medina dal titolo “Cervello: istruzioni per l’uso” che consiglio di
leggere e di ponderare attentamente. Medina è un neuro ricercatore americano e studia il
funzionamento del cervello e di conseguenza anche le capacità di apprendere. A me è
servito tantissimo e il decalogo qui sotto riassume perfettamente il concetto che la
complessità dell’insegnamento è legata strettamente alla questione biologica e che l’aspetto
fisiologico dei nostri allievi è un elemento importante da considerare.

Decalogo per il cervello

1) L’esercizio fisico potenzia il cervello perché stimola i neurotrasmettitori e alimenta


l’ippocampo, che consolida la memoria.

2) L’attenzione cala ogni dieci minuti circa. La si può ridestare con contenuti emozionali:
provocando rilascio di dopamina, aiutano a cementare i ricordi.

3) Ripetere a intervalli cadenzati è il mezzo più efficace per fissare le memorie, perché le
reti neurali possono rimodellare il ricordo evitando l’interferenza di nuove informazioni. Per
questo una lezione monolitica è meno memorizzabile di più piccole lezioni intervallate da
ripetizioni.

4) Un sonnellino di 26 minuti migliora del 34% le performance del cervello. Uno di 45 minuti
ricarica il cervello per circa 6 ore. Una notte in bianco abbassa la performance cognitiva del
30%.
5) Un senso di controllo sul mondo esterno aiuta il cervello. La stabilità emozionale della
famiglia è il maggior predittore di successo scolastico dei bambini, avere delle responsabilità
allevia lo stress di chi lavora.

6) Più una informazione coinvolge i sensi, meglio verrà ricordata. Per ogni senso stimolato
da un’esperienza multisensoriale, si crea una “maniglia” che il cervello userà per recuperare
il dato in futuro. Più sensi, più maniglie. Anche gli esempi funzionano da maniglie.

7) Il cervello è inadatto al multitasking. Chi viene interrotto più volte durante un lavoro può
impiegare fino al 50% del tempo in più per eseguire il compito, con il 50% in più di errori.

8) Il cervello ha bisogno di senso, così inserisce delle informazioni fittizie tra i ricordi quando
questi non hanno, da soli, abbastanza senso. Non abbiamo mai la certezza totale della
verità dei nostri ricordi.

9) Più un dato è visivo, più verrà ricordato. Se un’informazione orale è percepita da sola,
dopo 72 ore ricordiamo il 10%. Se c’è una figura, ne ricordiamo il 65%

10) I cervelli non maturano tutti in tempi eguali. Circa il 10% degli alunni non ha ancora
abbastanza connessioni neurali per poter leggere all’età in cui ci si aspetta questo da loro

RIFLESSIONI 6……………..quella più amara.


Desidero stimolare una riflessione nei docenti di scherma relativamente alla questione degli
abusi che, nello sport, non sono solo di tipo sessuale ma anche di prevaricazione psichica
e fisica su atleti di ambo i sessi e di età diverse
Premettiamo l'amarezza che scaturisce dal prendere atto che lo sport in genere deve
assumere elementi di tutela per tecnici, presidenti ed atleti e che purtroppo questa
necessità si verifica anche nel mondo schermistico.
Ma per quanto ristretto il problema dell'abuso esiste e non può essere ignorato; scrivo non
tanto per darne una spiegazione ma soprattutto per individuare dati utili a proteggere e
tutelare la maggioranza dei Maestri e degli istruttori che, al contrario, hanno comportamenti
leciti, onesti, professionali
Quanto di seguito intende essere un pensiero da condividere sia per far scaturire una
riflessione tra professionisti sia per suggerire possibili comportamenti atti a non far sorgere
dubbi sulle azioni dei maestri. La riflessione fatta si basa su dati in parte rinvenuti dal sito
ISTAT e in buona parte ricavati dal libro “Impunità di gregge” di Daniela Simonetti,
giornalista che per “La repubblica” ha per prima sollevato il problema.
In estrema sintesi, per dare un inquadramento generico al fenomeno diamo alcune
indicazioni: tesserati alle federazioni: 4.703.000 il 56.7% sono minorenni
Casi censiti dal 2014 al 2019: 90 ma teniamo presente che solo il 35% dei casi vengono
denunciati per cui rimane una realtà silente, ampia, e che riguarda solo il mondo Federale
e non quello degli enti (di cui non ci sono dati).
Dei casi censiti 21 riguardano il calcio, 16 l’equitazione, 13 il volley, 2 la scherma.
In Italia non esiste un osservatorio permanente su questo fenomeno e le federazioni fanno
finta di essere attente al problema ma il sistema legale federale e le norme esistenti sono
tali da evitare qualsiasi invischiamento diretto o indiretto. Le maglie della legge sportiva
sono talmente grandi che le pene comminate si traducono in squalifiche temporanee. Nel
mondo anglosassone, dagli anni ’90, esiste un programma di sensibilizzazione e di
prevenzione agli abusi rivolto al mondo minorenne e praticato nelle scuole. Da un punto di
vista patologico (Marshall 1997) il numero dei molestatori extra familiari o familiari si aggira
intorno al 65%. I molestatori non sembrano avere particolari fantasie o chiare prove di
pulsioni. Il loro riconoscimento è complicato per non dire impossibile. Tendenzialmente,
nello sport, assumono l’aspetto di persone valide, sensibili, di cui ci si può fidare. Agli occhi
di chi non è esperto della materia non appare niente di strano. Affrontare il problema implica
affrontare materie complesse che vanno: dalla visione sociale della persona (riferimenti)
alla tipologia di educazione (peso culturale) all’autorevolezza genitoriale e scolastica, alle
informazioni fuorvianti relative ai sentimenti ed alla sessualità giovanile agli atteggiamenti
costruiti ed accettati come corretti non in linea con l’età degli interessati. E ciò riguarda
principalmente l'aspetto sessuale del problema. A questa aberrazione dobbiamo
aggiungere gli abusi psichici e fisici che si perpetrano su atleti di ambo i sessi e di età
diverse e di cui non si parla per niente. E' facile capire che laddove insorgesse un minimo
dubbio sul comportamento di un Maestro o di un Istruttore di Scherma, che chiameremo
insegnanti, si cascherebbe all'interno di un terrificante mondo fatto di complicazioni
relazionali, legali, umane. E' quindi inevitabile rimarcare convincimenti, evidenziare buoni
comportamenti, incoraggiare il dialogo per allontanare il più possibile sospetti. La prima
fonte di convincimento nella quale l'ANS si riconosce, e che per il suo sviluppo opera da
anni, è quella che identifica il Maestro di Scherma come un insegnante sportivo che agisce
esclusivamente ispirandosi a principi etici. Rispetto della persona, rispetto delle leggi,
rispetto delle regole sportive, rispetto della convivenza civile, promozione dello sviluppo
morale, sono certezze che contraddistinguono l'insegnante di scherma. Ad ogni Maestro
ovviamente si riconosce l'originalità del suo essere ed il particolare stile con cui opera.
Iscriversi o iscrivere un figlio/a ad un corso sportivo di una società significa siglare un
contratto che ha come base un rapporto di fiducia relativo alla serietà, professionalità e
correttezza nei modi con cui viene elargita l'istruzione e l'insegnamento. Fatto questo ampio
preambolo ci dobbiamo addentrare negli argomenti che riteniamo corretti per perseguire
quell'obbiettivo sopra citato. Ribadiamo che è insegnante di scherma colui o colei che dopo
un periodo adeguato di preparazione supera con successo l'esame abilitante previsto dalla
normativa vigente e possiede fedina penale immacolata. Questa indicazione non è da
sottovalutare perché accanto ad uno sviluppo tecnico ed operativo si colloca anche un
altrettanto corretto sviluppo etico; vale a dire che con quel documento si certifica una
formale correttezza della persona. E già questo dovrebbe, in parte, essere un dato
rassicurante che si lega ad altro fattore che riguarda la coscienza di cosa fa, nella sostanza,
un insegnante di scherma. Stringando il più possibile si può affermare che l'insegnate di
scherma si occupa del tempo libero delle persone che hanno scelto di praticare la disciplina
della scherma, sia olimpica che storica. Quindi è sotto la sua responsabilità che si espleta
la formazione, l'addestramento, l'allenamento e l'educazione alla pratica schermistica.
Pratica che non è detto debba coincidere col successo agonistico. Alla scherma si può
afferire per più di un motivo: per raggiungere o mantenere una forma fisica, per curiosità
culturale, per divertimento e anche per il desiderio di appagare la voglia di conseguire
l'alloro olimpico. In ogni caso l'insegnante è colui che segue lo sviluppo dell'allievo, sia esso
giovanissimo che già adulto. Per sua natura l'insegnamento della scherma porta ad una
vicinanza fisica e ad un profondo rapporto umano. Questa relazione tra insegnante ed
allievo può assumere comportamenti amichevoli e di forte vicinanza umana. E diamo per
scontato che l'insegnante, che ricordiamo è ispirato da principi etici, non travalicherà mai in
atti illegittimi .L'argomento che riguarda la vicinanza fisica tra allievo e insegnante è vasto;
nell'azione dell'insegnare spesso ci si trova nella circostanza di dover fisicamente toccare
una persona e in quel semplice gesto si nascondono implicazioni enormi che saranno
argomento di possibili corsi sulla metodologia dell'insegnamento, per adesso ci basti
sottolineare che quel gesto esprime un'intenzione e l'intenzione dell'insegnante è avvertita,
sentita praticamente dalla persona che la riceve. Quindi l'insegnante sensibile sa che la
sua intenzione non deve e non può essere fraintesa. Chi legge comprenderà benissimo
che già in questo approccio è insito un rischio: quello dell'interpretazione. E le
interpretazioni errate sono la fonte dei problemi. Per evitarle non ci si può esimere dal
parlare, dal spiegare, dal rendere visibile ciò che si fa. Il maestro di scherma ha tra i suoi
compiti anche quelli di organizzare, dirigere e controllare l'attività della palestra di cui è
responsabile. Anche in questa incombenza si può vedere lo stile dell'insegnante, il suo
carattere, il “tocco” come si sente dire talvolta. L'organizzazione ha aspetti pratici e operativi
e aspetti relazionali: quelli con gli allievi, con i genitori, con le persone, con i colleghi. Il
rapporto con i colleghi è complesso. Nella quotidianità dell'impegno spesso si dimentica di
dare uno spazio al “dialogo professionale”; intendiamo con questa dizione quei momenti in
cui vengono analizzati problemi o momentanee difficoltà personali. Questo spazio, questo
dialogo, innalza enormemente il livello professionale degli in segnanti e ne garantisce una
qualità operativa. Chiedere consiglio, esprimere un disagio personale, condividere un
dubbio non sono solo espressioni di una vicinanza amicale, sono anche fenomenali
momenti di crescita. Attuarli aiuta molto ad allontanarsi da episodi che possono produrre
problemi. Volendo estremizzare potremmo dire che il dialogo professionale è una sorta di
riflessione a voce alta su se stessi che indirizza le azioni da intraprendere o per risolvere
momenti di crisi o condizioni di dubbio. Con lo stesso sistema si può analizzare la situazione
reale della palestra in cui operiamo. Porre l'attenzione su possibili problemi e collegialmente
individuare azioni adeguate per porvi rimedio è sinonimo di alta qualità professionale. E la
qualità professionale, ripetiamo, unita al dialogo aiuta a mettersi al riparo da difficoltà legate
ad interpretazioni errate sui comportamenti che gli insegnanti hanno. Nel contempo devono
rendere in ogni maniera serena, rispettosa e corretta la relazione tra i frequentatori della
sala tenendo ben presente le diverse età, il genere e le sensibilità di ognuno e che ogni
persona persegue una volontà di soddisfazione di sé. Mettiamo un punto e ribadiamo un
concetto fondamentale: le scelte fatte in ordine all'insegnamento, all'allenamento, alla
progressione tecnica e, nel caso, alla partecipazione all'agonismo attivo, sono di esclusiva
pertinenza degli insegnanti. Essi praticano l'arte dell'insegnamento con il proprio unico e
originale stile e niente deve mortificare questa caratteristica. Se insegnare è arte allora
l'insegnante è un “artigiano”. In quanto tale si distinguerà dagli altri per caratteristiche che
gli sono proprie e che si sono sviluppate nel tempo con l'esperienza e la coscienza del
personale operato. Quanto detto sopra di per sé non esprime argomenti che identificano
azioni utili ad evitare comportamenti illegali o malati riferiti all'abuso nello sport, ma
ribadisce convinzioni e riflessioni che hanno il solo scopo di mantenere alta la qualità
professionale degli insegnanti di scherma e stimolarne l'ulteriore sviluppo attraverso la
pratica del dialogo. In accordo con l'idea di Daniela Simonetti, anche noi siamo convinti che
il dialogo e il non nascondersi davanti ad un problema di pochi, ma reale, è già di per sé un
modo per tutelare i tanti che hanno comportamenti corretti, legali, mai censurabili. Nella
relazione umana è difficile dare indicazioni utili ad evitare tensioni o dubbi, però riteniamo
che sia sufficiente iniziare dalle più normali ed ovvie regole della buona educazione fermo
restando che laddove ogni insegnante di scherma fosse testimone di azioni lesive su una
persona, sia di carattere fisico che psichico, deve assolutamente intervenire denunciando
agli organi competenti l'accaduto non solo per impedire il fatto ma anche per tutelare
l'integrità dei colleghi. Anche se la strada della legalità è sforzo, coerenza, fatica e talvolta
anche grosso impegno economico, non possiamo che incoraggiare l'intrapresa di quel
percorso. La prevaricazione psichica e fisica non è giustificata dal raggiungimento di
nessun successo agonistico e laddove invece tale prevaricazione si estrinsechi in abusi
fisici nessun insegnante deve e può tollerare o far finta di non vedere. Sarebbe l'artefice di
un misfatto: quello di consentire il radicarsi di un comportamento patologico.

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