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2 Critiche alla teoria dell’utilità attesa

2.1 Critiche ai concetti di razionalità e utilità


Nel corso del primo capitolo abbiamo descritto l’essere umano in veste di homo oeconomicus, egli è
infatti dotato dei requisiti cognitivi che gli consentono di valutare ogni scelta, massimizzare l’utile e
di conseguenza comportarsi in modo “razionale”. La teoria di Von Neumann e Morgenstern si basa
proprio sui requisiti elencati nel paragrafo § 1.1 e solo se essi vengono soddisfatti è possibile definire
un individuo razionale.
È necessario precisare il periodo in cui è stata formulata tale teoria: essa si colloca alla fine
della Seconda Guerra Mondiale quando John Von Neumann e Oskar Morgensetern erano entrambi
professori all’università di Princeton negli Stati Uniti. Il primo era diventato famoso grazie al suo
prodigioso intelletto che spaziava in molteplici campi, inoltre erano ben note le sue antipatie verso i
russi e i giapponesi e ciò traspare anche nella sua stessa opera quando paragona i giochi ad una
persona alle economie comuniste1. Il secondo, proveniente dagli ambienti accademici austriaci, era
già stato professore di economia all’università di Vienna ed aveva collaborato con Friedrich von
Hayek, di conseguenza è facile intuire che venne influenzato fortemente dalle idee liberiste della
scuola austriaca.
Possiamo definire la teoria dell’utilità attesa come “figlia” del suo tempo e di due autorevoli
studiosi che condividevano la stessa idea riguardo la natura dell’uomo e dell’economia, inoltre tramite
gli strumenti a loro disposizione crearono una teoria che perdurò fino agli anni ’80 ed influenzò anche
molteplici branche del sapere.
Con il passare del tempo, tuttavia, sono state apportate varie modifiche a tale teoria, in
particolare venne rivalutata la concezione antropologica: l’uomo non è più visto come un essere
dotato di una “razionalità perfetta” in quanto cadono i requisiti dell’ottima memoria e delle illimitate
capacità di ragionamento. Herbert Simon affermerà che tali abilità sono proprie degli dei, cioè di
esseri che trascendono l’umana comprensione e che posseggono capacità alle quali l’uomo è estraneo.
Simon definirà tale concetto col nome di “razionalità olimpica”. Il significato di tale termine
indica che i requisiti dell’agente razionale non fanno parte del modo d’agire dell’uomo comune: gli
uomini non risolvono i problemi in modo lineare, ma procedono per prove ed errori cercando
informazioni rilevanti durante la ricerca e limitando la capacità di computazione delle di informazioni
che acquisisce. Simon contrappose al concetto di “razionalità olimpica” quello di “razionalità
limitata”. Questo concetto venne elaborato durante le ricerche operate nel campo dell’intelligenza
artificiale e del problem solving: il numero di variabili che deve essere tenute in considerazione per

1
Vedi Von Neumann e Morgenstern 1947, p. 555.
1
risolvere un problema, ritenuto nella realtà abbastanza semplice, richiede una capacità di
immagazzinamento e di computazione tali che solo un computer possiede. Tenendo conto del fatto
che nella realtà non esistono problemi “semplici”, ma esistono infinite relazioni tra gli oggetti del
problema e la situazione in cui esso si trova, l’uomo non dovrebbe essere in grado di risolvere niente
seguendo le regole della teoria dell’utilità attesa. La realtà dei fatti mostra tuttavia che l’uomo è in
grado di risolvere problemi costituiti da un numero altissimo di variabili; cade così la convinzione
che Von Neumann aveva della mente umana come modello dei primi calcolatori.
Secondo il fisico statunitense la sovrapposizione ideale che veniva a crearsi tra l’architettura di
un calcolatore e quella della mente, a suo parere, era sufficiente per far comunicare nel migliore dei
modi l’uomo e la macchina. Le scoperte nell’ambito dell’intelligenza artificiale dimostreranno che
non è sufficiente basarsi sul ragionamento lineare per la risoluzione dei problemi in quanto la mente
non opera in tal modo. L’identità tra la macchina e il cervello verrà gradualmente abbandonata2 e da
quel momento lo studio dell’intelligenza artificiale si affiancò allo studio della mente valutando i
successi conseguiti in altri ambiti di ricerca.
Un’ulteriore precisazione riguarda la differenza che sussiste tra l’approccio normativo di Von
Neumann e Morgenstern e l’approccio di Herbert Simon: il primo tenta di stabilire i criteri universali
che rendono “razionale” il soggetto, mentre il secondo si basa sulle limitate capacità dell’uomo e
tenta di formulare delle strategie d’azione basandosi su tali limitazioni. Dal momento che l’uomo
deve agire tenendo conto delle proprie limitazioni l’approccio mira a descrivere le singole situazioni
nelle quali il soggetto può trovarsi: non cerca di individuare norme valide universalmente, ma cerca
di astrarre strategie in base alla casistica.
Un altro punto a sfavore della teoria di Von Neumann e Morgenstern riguarda la vaghezza del
concetto di utilità. Come abbiamo visto precedentemente esso ha acquisito il significato che oggi
conosciamo solo con Bentham e Mill, tuttavia tale concetto è stato formulato solamente in modo
qualitativo, quindi l’unico modo per costruire un sistema formale è quello di utilizzare un surrogato
come il denaro. Von Neumann e Morgenstern affermano che l’utilizzo del concetto di utilità è
fondamentale per la loro trattazione, tuttavia hanno dovuto porre come premessa alle preferenze
individuali l’ipotesi di completezza in modo da non creare contradizioni interne3, infatti solo in questo
modo è possibile calcolare il grado di utilità e comparare oggettivamente i diversi valori. Possiamo

2
Vedi Warwick 2015, pp. 19-65, 107-147.
3
Il concetto di completezza esprime il fatto che un insieme di assiomi è sufficiente a dimostrare la verità di un
enunciato formulato nel sistema stesso, questo concetto viene utilizzato in quanto la teoria tiene in considerazione solo
individui che abbiamo una chiara intuizione delle preferenze senza che avvengano contraddizioni interne. (Vedi Von
Nuemann e Morgenstern 1947, pp. 17-20.).
2
affermare che tramite quest’ipotesi i due autori hanno potuto proseguire nella loro trattazione, ma
l’ostacolo rimane in quanto non è stata data una definizione formale.
Il denaro ci aiuta in quanto la quantità per definizione è misurabile, tuttavia non sappiamo se il
denaro corrisponda oggettivamente all’utilità del soggetto. Nel 2004 un’anziana signora di nome
Beulah Hern possedeva un’abitazione a Cheshire in Ohio (USA) e si rifiutava di venderla alla
American Electric Power: l’azienda su tale terreno voleva costruire una nuova centrale elettrica che
avrebbe abbassato il costo di energia per i cittadini, ma l’anziana signora affermò che si sarebbe
avvalsa della difesa armata se lo avesse ritenuto necessario. Se avessimo dovuto porre una somma di
denaro al valore d’utilità della casa per la signora Hern avremmo avuto un valore altissimo se non
infinito e ciò non avrebbe rispecchiato affatto il valore oggettivo dell’abitazione.
Questo esempio porta alla luce un problema ancora più grande: se poniamo a confronto l’utilità
della signora Hern e l’utilità degli altri cittadini avremmo anche dall’altra parte un valore d’utilità
molto alto, così alto che potrebbe superare quello dell’anziana signora. Tale misura, seppur
accettabile da un punto di vista morale, non può essere valida da un punto di vista formale in quanto
non è oggettiva: non esiste uno strumento, che possiede una scala graduata con un valore zero,
attraverso il quale possiamo misurare il valore di utilità di un individuo, di conseguenza possiamo
solo inferire il valore dai dati che ognuno assegna in modo arbitrario.
I problemi principali che si incontrano nella misurazione dell’utilità riguardano in primo luogo
la sensibilità. Ogni individuo assegna un valore di preferenza agli oggetti e tale valore dipende dalla
storia sua storia passata o da altri motivi che non possiamo prendere in causa data la complessità, di
conseguenza su uno stesso bene due individui possono assegnare valori d’utilità diversi e se
aumentano i soggetti i dati possono variare sensibilmente. Il secondo problema è il fenomeno
dell’utilità marginale decrescente del denaro. L’assegnazione di una certa somma di denaro in base
al valore di utilità non risolverebbe problema: se il soggetto possedesse inizialmente una gran quantità
di denaro la perdita o l’acquisizione di una determinata somma avrebbero un valore di utilità molto
simile, ma secondo la teoria di Von Neumann e Morgenstern ciò appare paradossale. Il problema
della sensibilità sussiste in quanto l’arbitrarietà dell’assegnazione del valore di utilità comporta
l’arbitrarietà nell’assegnazione di denaro al valore di utilità e rende vano ogni sforzo di dare
fondamenta formali ad un concetto meramente qualitativo.

2.2 Paradossi
Nel paragrafo precedente abbiamo discusso i problemi concettuali che stanno alla base della teoria
dell’utilità attesa, ma oltre ad essi sono presenti dei paradossi che minano la coerenza interna in
quanto l’utilizzo di tale teoria, nella realtà dei fatti, porta a conclusioni contraddittorie.

3
Il primo paradosso è stato anticipato nel capitolo precedente ed è il paradosso di San
Pietroburgo di Daniel Bernoulli del 17384, seppur tale paradosso sia stato formulato molto tempo
prima della reale sistematizzazione della teoria dell’utilità attesa esso può essere applicato ad essa in
quanto riguarda l’ambito delle scelte che un individuo compie contro natura, le scommesse.
Il gioco consiste nel pagare una determinata somma di denaro solamente all’ingresso nel gioco
e non prevede ulteriori puntate. Quando viene lanciata la moneta il gioco ha inizio: se esce croce al
primo lancio il giocatore riceve dal banco 2 euro, tale soma corrisponde tale somma corrisponde alla
vincita se uscisse croce al primo lancio, infatti 21=2. La somma che si potrebbe vincere ad ogni lancio
è indicata dalla funzione 2n dove l’esponente n indica il numero di lanci effettuati: ogni volta che esce
il segno testa il banco raddoppia la somma che deve offrire al giocatore e il gioco prosegue con i
lanci. La fine si ha quando esce croce, cioè quando il giocatore incassa la somma dal banco in base
al numero di lanci effettuati; se il giocatore vuole giocare ancora deve spendere la stessa somma che
ha versato all’inizio per entrare e il gioco riprende da capo.
Fino a questo punto il meccanismo pare essere quello adottato dai casinò, tuttavia dobbiamo
riflettere sull’ammontare reale della vincita per capire la vera contraddizione. Non è necessario
specificare la puntata di partenza, se il banco offre ad ogni lancio il doppio della somma del lancio
precedente giocare pare conveniente, tuttavia dobbiamo tenere conto delle probabilità. Al primo
lancio la probabilità che esca croce è del 50% e se esce tale segno allora vinciamo 2, al secondo
lancio, se al primo è uscito testa, abbiamo il 25% di probabilità di vincere 4, al terzo abbiamo il 12,5%
di vincere 8 e così via all’infinito. I conti dimostrano che la somma vinta sarà sempre costante in
quanto le probabilità di uscita di un segno vanno a moltiplicarsi con quelle del segno
precedentemente:

1 1 1
EU = p1 ⋅ u( v1 )+ p2 ⋅ u( v2 )+ … = ⋅ u(2) + ⋅ u(4) + …= 1 + 1 +…= ∑∞ n
𝑛=1[ ] ⋅ u(2 )= ∞.
n
2 4 2

Secondo questi calcoli è possibile vincere una somma infinta nel lungo periodo, per questo motivo
secondo la teoria di Von Neumann e Morgenstern lo scommettitore “razionale” dovrebbe continuare
a giocare anche a costo di mettere in palio molti soldi. Egli è conscio del fatto che anche pagando una
somma altissima per entrare dopo numerosi lanci uscirà croce, dal momento che esistono le
probabilità, e ciò ripagherà completamente la somma spesa in precedenza.
Lo scopo del paradosso tuttavia non è quello di calcolare la vincita totale, ma di far sorgere in
noi la domanda “quanto saremmo disposti a pagare per partecipare?”. Non abbiamo specificato la

4
Il primo ad aver formulato il paradosso di San Pietroburgo è stato Nicolas Bernoulli, cugino di Daniel Bernoulli, il
quale lo espose nel 1713 in una lettera a Pierre Rémond de Montmort.
4
puntata iniziale perché non importa il valore esatto, se è bassa allora un normale giocatore può ripetere
il gioco molte volte, ma se è alta la situazione cambia. Lo scommettitore avveduto, infatti, sceglie di
non puntare soldi all’infinito: egli sa infatti che la possibilità che esca croce diminuisce ad ogni lancio
e tale serie numerica si avvicinerà asintoticamente a 1, cioè al grado massimo di certezza, senza mai
arrivarci interamente.
Il paradosso risiede proprio nel fatto che nessuna persona pagherebbe cifre enormi per
partecipare a questo gioco in quanto idealmente nel lungo periodo il gioco può portare sicuramente
ad una vincita che ripagherà tutti i soldi scommessi, ma nessun individuo vorrebbe aspettare una
lunga serie di lanci per intascare una somma modestamente alta nel corto periodo5. Fino a quando si
tratta di piccole somme la serie di lanci necessari sarà corta, ma quando la somma di entrata aumenta
allora il numero di lanci necessari per ripagarla aumenterà moltissimo.
Il secondo paradosso che andiamo ad illustrare è stato scoperto dal premio Nobel per
l’economia Maurice Allais nel 1953, tramite esso è possibile notare la violazione del principio di
indipendenza. Come abbiamo già avuto modo di illustrare precedentemente se un’alternativa A è
preferita all’alternativa B allora tali alternative devono essere mantenute anche nel caso venga inserita
una nuova alternativa C con altrettante probabilità, sempre rispettando i criteri indicati nel § 1.4.
Allais arrivò alla dimostrazione del paradosso attraverso un sondaggio eseguito su una classe
di studenti del Centre national de la recherche scientifique di Parigi, tale sondaggio si configurava
nel seguente modo6:

Biglietto n° 1 Biglietto n° 2-11 Biglietto 12-100


Scommessa 1 1.000.000 € 1.000.000 € 1.000.000 €
Scommessa 2 0€ 5.000.000 € 1.000.000 €

Biglietto n° 1 Biglietto n° 2-11 Biglietto 12-100


Scommessa 3 1.000.000 € 1.000.000 € 0€
Scommessa 4 0€ 5.000.000 € 0€

In questa situazione il soggetto deve scegliere una delle possibili alternative in entrambe le lotterie.
Nella prima lotteria il giocatore sceglierà la Scommessa 1 in quanto ha il 100 % di possibilità di
vincere 1.000.000 €, fino a questo punto la teoria dell’utilità attesa si applica perfettamente, tuttavia
il soggetto è ora chiamato a scegliere l’alternativa nella seconda lotteria. È facile notare che la
maggior parte degli individui sceglierebbe la Scommessa 4 in quanto la vittoria di 5.000.000 € con la

5
Vedi Peterson 2017, pp. 84-85.
6
Vedi Peterson 2017, pp. 80-81.
5
probabilità del 10% è più allettante di una vincita di 1.000.000 € con la probabilità dell’11%. La
differenza di un punto percentuale non incide sulla valutazione del soggetto, infatti per il soggetto è
meglio guadagnare una somma maggiore anche se ha una probabilità leggermente inferiore.
L’aspetto interessante risiede nel fatto che il principio di indipendenza cade non a causa della
scelta fatta dal soggetto, ma in base a come esso sceglie: la violazione del principio risiede proprio
nel fatto che il soggetto viene influenzato dal modo in cui vengono presentate le probabilità e i
risultati. La teoria dell’utilità attesa infatti afferma che se l’individuo sceglie la Scommessa 1 alla
Scommessa 2 allora la Scommessa 3 deve essere preferita alla Scommessa 4, solo per il fatto di avere
una maggiore probabilità di vincita.
Dal punto di vista formale, tuttavia, anche se il soggetto utilizzerebbe il principio di
massimizzazione dell’utilità attesa, non avrebbe un’idea chiara su quale alternativa scegliere, infatti
possiamo notare che:

EU (1) – EU (2) = [1⋅ u(1.000.000 €)] - [0,01 ⋅ u(0 €) + 0,1 ⋅ u(5.000.000 €) + 0,89 ⋅ u(1.000 €)]
= 0,11 ⋅ u(1.000.000 €) – [0,01 ⋅ u(0 €) + 0,1 ⋅ u(5.000.000 €)].
EU (3) – EU (4) = [0,11 ⋅ u(1.000.000 €) + 0,89 ⋅ u(0 €)] – [0,9 ⋅ u(0 €) + 0,1 ⋅ u(5.000.000 €)]
= 0,11⋅ u(1.000.000 €) – [0,01 ⋅ u(0 €) + 0,1 ⋅ u(5.000.000 €)].

Da queste operazioni otteniamo che l’utilità attesa delle due lotterie è identica, infatti se il soggetto
dovesse basarsi su tale principio non avrebbe una guida sicura su cui operare la scelta in quanto
l’utilità delle due lotterie è la stessa, quindi il principio di indipendenza non può essere formalmente
rispettato.
La concezione che avevano Von Neumann e Morgenstern dell’uomo viene a cadere in quanto
esso non è in grado di soddisfare i requisiti che loro stessi avevano posto all’inizio della loro opera;
l’esperimento di Allais sugli studenti universitari ha dimostrato che la maggior parte di loro preferisce
nella seconda lotteria la Scommessa 4, mentre nella prima lotteria scelgono la Scommessa 1 in quanto
sono attirati solo dalle probabilità di vincita e non dal risultato. Nella seconda lotteria, invece, tengono
conto esclusivamente del risultato e tralasciano le probabilità in quanto, a prima vista, hanno un
aspetto irrilevante.
Dal punto di vista formale ci sono due osservazioni degne di nota: la prima riguarda il fatto che
il paradosso è stato dimostrato attraverso un esperimento empirico, infatti nessuno studente era a
conoscenza della teoria di Von Neumann e Morgenstern e i risultati sono stati ottenuti in piena libertà
da parte dei soggetti. Questo punto accentua il divario tra la concezione dell’uomo nella teoria
dell’utilità attesa e la concezione reale in quanto la prima risulta essere troppo ideale e non rispecchia
il vero comportamento. La seconda osservazione riguarda il fatto che nella dimostrazione del

6
paradosso non abbiamo dovuto ricorrere all’assegnazione di un valore di utilità, infatti il paradosso
si colloca a monte di tale assegnazione: il soggetto prima deve valutare la situazione in cui si trova
ad operare e, per evitare una situazione di incertezza epistemica7 sui risultati, utilizza i dati che gli
sono più utili per prendere una decisione.
L’ultimo paradosso che andiamo ad affrontare riguarda il problema sollevato da Daniel Ellsberg
alla fine del 1950. Poniamo il caso in cui in giocatore abbia a disposizione un’urna contenente 90
biglie, 30 di esse sono rosse mentre 60 sono nere o gialle, tuttavia non si conosce la proporzione tra
le ultime due. Al soggetto vengono poste due differenti lotterie composte nel seguente modo:

Rosse Nere Gialle


Scommessa 1 100 € 0€ 0€
Scommessa 2 0€ 100 € 0€

Rosse Nere Gialle


Scommessa 3 100 € 0€ 100 €
Scommessa 4 0€ 100 € 100 €

In questa situazione non possiamo immediatamente utilizzare il principio di massimizzazione


dell’utilità attesa in quanto non conosciamo le probabilità che escano le biglie nere e gialle, tuttavia
possiamo affermare a prima vista che un individuo, che si ritrova in questa situazione, nella prima
lotteria sceglierebbe la Scommessa 1 in quanto conosce le probabilità che esca una biglia rossa.
Se dovessimo utilizzare la teoria dell’utilità attesa nella seconda lotteria dovremmo scegliere la
Scommessa 3 rispettando il principio di indipendenza. L’operazione del conto delle biglie tuttavia
inganna, infatti se utilizziamo il principio di massimizzazione dell’utilità attesa otteniamo lo stesso
tipo di conclusione del paradosso di Allais. Nella seguente operazione verranno indicate le percentuali
di vincita attraverso i rapporti tra il numero di biglie considerate e il totale di esse, inoltre verrà
utilizzata la lettera B per indicare le biglie nere delle quali non conosciamo la quantità e l’utilità u
della vincita nulla coincidere con zero:

EU (1) – EU (2) = [(30/90) ⋅ u(100 €) + (60/90) ⋅ u(0 €)] – [(30/90) ⋅ u(0 €) + (B/90) ⋅ u(100 €) +
((60 – B)/90) ⋅ u(0 €)] = ((30 – B) ⋅ u(100 €))/90.
EU (3) – EU (4) = [(30/90) ⋅ u(100 €) + (B/90) ⋅ u(0 €) + ((60 – B)/90) ⋅ u(100 €)] – [(30/90) ⋅ u(0 €)
+ (B/90) ⋅ u(100 €) + ((60 – B)/90) ⋅ u(100 €)] = ((30 – B) ⋅ u(100 €))/90.

7
Vedi Peterson 2017, pp. 228-234.
7
Come abbiamo osservato prima nel paradosso di Allais per il soggetto è impossibile utilizzare
il principio di massimizzazione dell’utilità attesa e il principio di indipendenza in quanto i confronti
danno lo stesso valore. La teoria non fornisce indicazioni precise, quindi i soggetti sono più propensi
a scegliere la Scommessa 4 in quanto ritengono che la probabilità che esca una biglia gialla o nera,
essendo in tutto 60, sia superiore alla probabilità che esca una biglia rossa e nera, dato che non il
totale potrebbe essere inferiore a 60.
È necessario fare un’ulteriore precisazione al problema sollevato da Ellsberg: a prima vista il
suo paradosso e quello di Allais possono sembrare simile in quanto a dimostrazione, tuttavia nel
primo caso il soggetto agisce in modo da evitare la sopracitata incertezza epistemica sulle probabilità,
mentre nel secondo caso cerca di evitare l’incertezza sui risultati. Il paradosso di Ellseberg invece ci
pone di fronte al fatto che in una scommessa in cui non sono conosciute con certezza le probabilità
di vincita la teoria dell’utilità attesa non offre nessun aiuto. Bisogna inoltre tenere in considerazione
il fatto che nella realtà nessun individuo compie delle scelte conoscendo le probabilità esatte, anzi la
maggior parte delle situazioni in cui si opera sono più simili alla situazione descritta da tale paradosso.
Dopo l’esposizione di questi paradossi abbiamo le prove che la teoria dell’utilità attesa non solo
non tiene conto delle reali limitazioni dell’uomo, ma anche nel caso esistesse un uomo
dall’intelligenza assai sviluppata egli non riuscirebbe ad orientarsi nelle scelte quotidiane le quali
possono essere incomplete, dal punto di vista delle informazioni fornite, oppure avere un numero così
elevato di variabili che l’uomo non sarebbe in grado di computare. L’aspetto normativo della teoria
delle decisioni sembra essere stato sostituito da un altro approccio, l’approccio descrittivo, il quale si
avvale di altri campi di indagine come la psicologia cognitiva.

2.3 Effetti e difetti del sistema cognitivo umano: le critiche di D. Kahneman e A. Tversky
Finora abbiamo trattato le critiche alla teoria di Von Neumann e Morgestern secondo i mezzi che la
teoria stessa ci forniva, inoltre abbiamo tentato di eviscerare la vera natura delle sue fondamenta
dimostrandone l’imprecisione concettuale. A questo punto, per completare il quadro della critica alla
teoria, non ci resta che prendere in considerazione le critiche che sono state mosse dagli psicologi
cognitivi Daniel Kahneman e Amos Tversky. Ripercorrerò brevemente il loro lavoro nel prossimo
capitolo in quanto in questo paragrafo tratterò solo gli “errori” che l’uomo incontra quando prende
decisioni, tali errori rientrano sotto il nome di bias
La definizione di bias è molto ampia, ma in merito alle scienze cognitive è possibile definirlo
come una tendenza del sistema cognitivo a distorcere la nostra rappresentazione della realtà. Un
aspetto particolare è il fatto di non poter essere evitati o cancellati dalla mente umana: l’uomo convive
con questi “errori” fin dalla sua origine e sono parte integrante della nostra costituzione mentale,
anche se può sembrare strano la loro esistenza aiuta la nostra mente a non dover soccombere
8
all’immane mole di dati che provengono dal mondo esterno. L’unico modo per porre rimedio
all’influsso negativo dei bias consiste nella presa di coscienza di essi e contrastarli quando sorgono
in determinate situazioni8.
Tali bias prendono la forma di “effetti” del sistema cognitivo e affianco ad essi possiamo
trovare anche le euristiche che sono strategie mentali di risoluzione dei problemi, l’aspetto
interessante di queste strategie è che sono indipendenti dal contenuto del problema e quindi sono
applicabili a ogni situazione in cui l’uomo viene a trovarsi. I bias e le euristiche si configurano come
le facce di una stessa medaglia perché quando si verifica un “errore” interviene un’euristica che ci
aiuta a risolvere il problema e a prendere una decisione9. È necessario precisare che con l’assunzione
di esistenza dei bias non stiamo negando il buon funzionamento della mente umana, infatti noi
prendiamo ogni giorno decisioni che risultano essere appropriate, tuttavia essendo guidati dalle
impressioni, non sempre sono giustificate e quando questo avviene l’individuo cade in errore.
Kahneman e Tversky durante il loro periodo di ricerca scoprirono l’esistenza di due sistemi i
quali vennero nominati Sistema 1 e Sistema 210, ognuno di questi sistemi ha caratteristiche particolari:
il primo opera in maniera veloce, automatica e intuitiva, non richiede nessuno sforzo e nessun
controllo volontario da parte del soggetto, tuttavia non è difficile intuire che tale sistema è spesso
soggetto ai bias. Il secondo sistema, invece, è più lento in quanto ricorre a processi mentali che hanno
bisogno di attenzione, tuttavia è in grado di analizzare maggiormente le informazioni che il Sistema
1 acquisisce e può intervenire a correggere le imperfezioni di quest’ultimo.
Adesso che abbiamo definito le caratteristiche dei due sistemi possiamo passare all’analisi del
loro funzionamento. Nei casi in cui è richiesta una decisione il Sistema 1 interviene immediatamente,
tuttavia la sua capacità di elaborazione è limitata e non riesce sempre a fornirci un giudizio adeguato.
Immaginiamo di trovarci in una situazione in cui il soggetto è chiamato a prendere una decisione in
una lotteria simile ad una di quelle descritte nel paragrafo precedente, tra i tanti errori ai quali il
soggetto può essere affetto ce ne sono alcuni che meritano una considerazione particolare:

• Effetto alone: questo processo viene innescato quando il soggetto si trova di fronte ad un
oggetto o ad una persona che non conosce, esso serve a semplifica l’immagine del mondo
e renderla coerente. Le prime impressioni che emergono fungono da base per i futuri
giudizi, infatti i giudizi che creiamo su ciò che ci sta di fronte vengono influenzati dalla

8
Vedi Kahneman 2017, pp. 4-5.
9
Non abbiamo nessuna prova che tali errori facciano parte dell’eredità dei nostri antenati e che si siano evoluti nel corso
degli anni, tuttavia è facile intuire che dal punto di vista evolutivo il prendere una decisione, seppur non proprio
corrispondente alla realtà, è più utile piuttosto che sospendere il giudizio e la decisione. Questo è uno dei problemi della
psicologia evolutiva: l’indimostrabilità diretta.
10
Vedi Kahneman 2017, pp. 23-38, 131-141.
9
nostra risposta a certi tratti che ci hanno colpito: se incontriamo una persona generosa, e
noi abbiamo una simpatia verso questa caratteristica, il giudizio che ne deriverà sarà
sicuramente positivo. Osservando la situazione da un’altra prospettiva osserviamo che di
questa persona non conosciamo praticamente nulla, tuttavia, siccome la nostra risposta
emozionale è positiva, è bastato questo particolare per dare un giudizio positivo alla
persona in generale.
• Effetto priming: tale effetto può sembrare simile al precedente ma opera in modo differente,
infatti esso viene causato dal fatto che l’esposizione ad un determinato stimolo influenza
la risposta agli stimoli successivi. Tale effetto può portare a riconoscere più velocemente
lo stesso stimolo o uno stimolo simile quando si presenteranno, inoltre la sensibilizzazione
ad un determinato stimolo può portare alla sensibilizzazione verso altri simili o alle
situazioni in cui essi si presentano.
• WYSIATI11: tale sigla indica il fatto che la mente dell’uomo tende a basare i giudizi su ciò
che riesce a reperire istantaneamente dalla memoria. Per formulare un giudizio un giudizio
il soggetto deve creare una “storia” nella quale siano presenti i diversi elementi che ha
preso in causa e ciò che non viene richiamato viene considerato non esistente. Il primo
requisito che una storia deve possedere per essere ritenuta tale è la coerenza: la qualità e la
quantità dei dati che reperiamo non sono rilevanti, infatti se dobbiamo dare un giudizio in
base alle poche informazioni che possediamo in merito ad una persona e se tali
informazioni sono coerenti tra loro il giudizio non potrà che rispecchiare la coerenza tra le
informazioni date. Tali informazioni tuttavia non rappresentano in modo completo un
individuo, ma il Sistema 1 salta immediatamente alle conclusioni.
• La legge dei piccoli numeri: tale legge è la manifestazione di un errore sistemico più
generale definito “bias della certezza rispetto al dubbio”. Tale norma si applica soprattutto
nei contesti di ricerca: se si utilizza un campione troppo ristretto non si avrà un’idea del
comportamento generale. In un campione ristretto i risultati possono avere differenze molto
marcate tra loro e ciò rende impossibile eseguire una media, inoltre utilizzare un campione
ristretto significa essere in balìa del “caso” in quanto si basa la propria analisi su fenomeni
che non seguono nessun ordine. L’utilizzo dei piccoli numeri per formulare ipotesi è molto
frequente nelle valutazioni quotidiane: riteniamo che dopo aver vagliato alcuni casi siamo
in grado di formulare una legge generale oppure porre una correlazione tra eventi. La verità
risiede nel fatto che i piccoli numeri hanno un’incidenza statistica molto alta, di

11
Tale sigla sta per what you see is all there is (quello che si vede è l’unica cosa che c’è).
10
conseguenza la correlazione che abbiamo individuato, potrebbe non esistere a livello
generale. Un altro aspetto di questa legge riguarda il fatto che la mente umana non è in
grado di formulare una connessione tra eventi quando si trova davanti a dati meramente
statistici, infatti il concetto di causa-effetto è molto più immediato da assimilare per la
mente umana, mentre i dati statistici richiedono una elaborazione complessa.

Gli effetti che abbiamo descritto sopra sono solo una piccola parte della ricerca di Kahnemnan
e Tversky tuttavia essi hanno delle ripercussioni sulla teoria di Von Nuemann e Morgenstern in
quanto attaccano i punti basilari della loro concezione antropologica. Il mito dell’homo oeconomicus
cade in quanto l’uomo appare come un essere che, se anche volesse comportarsi secondo i punti
elencati nel § 1.2, non è in grado di avere una rappresentazione oggettiva della realtà: ogni dato che
acquisisce determina l’interpretazione del dato successivo e di conseguenza la sua capacità di
valutazione, anche verso scommesse semplici, risulta non oggettiva.
Abbiamo constatato precedentemente come i paradossi di Allais e di Ellsberg siano semplici a
prima vista in quanto potrebbero essere il prototipo dei problemi quotidiani. Le scelte che operiamo
a volte apportano risultati vantaggiosi e certe volte falliscono nel farlo dal momento che ci facciamo
trarre in inganno da piccoli particolari se non eseguiamo all’inizio un’analisi lunga e accurata del
problema; a priori non è possibile definire un agente “razionale”.
Nella realtà osserviamo che, seppur l’uomo non sia un “agente razionale”, le scelte vengono
comunque effettuate e i risultati la maggior parte delle volte hanno effetti positivi, infatti anche se
non viene sempre applicata la teoria dell’utilità attesa l’uomo opera comunque delle scelte e la sua
vita procede senza timore di sbagliare. L’uomo ricorre all’utilizzo di euristiche per operare le scelte
quotidiane dal momento che non è in grado di analizzare completamente le informazioni provenienti
dalla realtà. Gli esperimenti condotti da Kahneman e Tverky rivelato che la mente umana utilizza tre
tipi di strategie per analizzare la realtà12:

• Euristica di disponibilità: tale strategia si basa sul normale funzionamento della mente,
infatti l’uomo per formulare un giudizio deve prima di tutto recuperare dalla mente le
informazioni che gli servono come base. È stato notato che le stime in merito ad un
evento erano influenzate, e di conseguenza falsificate, dal numero di eventi che il
soggetto riusciva ad evocare. Tale numero corrispondeva alla frequenza con cui gli
eventi, secondo i soggetti, si verificavano: più numerosi sono gli eventi che vengono
ricordati e più la frequenza è alta.

12
Vedi Nicoletti 2017, pp. 234-240.
11
• Euristica di rappresentatività: questa euristica fa in modo che le stime si basino sul grado
di similarità tra l’evento che deve essere stimato e il processo che l’ha generato. Il
soggetto quando formula un giudizio ha in mente il prototipo di un determinato evento
e, se dovesse scegliere tra un insieme di eventi simili la sua mente, assegnerebbe la
probabilità maggiore all’evento che corrisponde al suo prototipo. L’assegnazione
tuttavia non è oggettiva perché un determinato evento può presentarsi tramite molteplici
forme e in modi non ancora esperiti. Un aspetto interessante riguarda il fatto che
riteniamo, erroneamente, che due eventi congiunti abbiano una probabilità maggiore di
avverarsi rispetto ad uno singolo.
• Ancoraggio e aggiustamento: secondo tale euristica il soggetto compie sempre una
prima valutazione di un evento (ancoraggio) e in seguito, se acquisisce ulteriori
informazioni, vengono apportate modifiche più o meno consistenti (aggiustamenti) al
giudizio finale. La particolarità di questa strategia mentale sta nel fatto che, anche
tramite l’acquisizione di nuove informazioni, il giudizio finale non si allontana molto
dal giudizio effettuato durante la fase di ancoraggio; la quantità e la qualità delle prove
acquisite non apportano un cambiamento sostanziale alla valutazione.

Grazie a queste tre euristiche Kahneman e Tversky sono stati in grado non solo di dare
fondamenta solide all’approccio descrittivo, ma dimostrarono l’esistenza di certe “illusioni” in merito
alla capacità degli esperti in campo economico di compiere costantemente investimenti proficui.
Come abbiamo descritto precedentemente i bias e le euristiche sono proprie di ogni essere umano e
sono una parte ineliminabile della nostra mente, ciò vale sia per le persone comuni sia per gli esperti
in diversi settori.
Secondo Kahneman, nel suo celebre saggio Pensieri lenti e veloci, gli esperti che operano sui
mercati finanziari non sono dotati di abilità superiori alla media e non hanno nemmeno un metodo
infallibile per riconoscere gli investimenti migliori. Secondo lo psicologo statunitense13 il Sistema 1
è strutturato in maniera da saltare subito alle conclusioni partendo da scarse prove, inoltre a causa dei
bias che abbiamo elencato precedentemente, come il WYSIATI, l’effetto alone e tanti altri, si
interpretano i dati in modo non sempre corretto. A questo punto interviene un altro fattore che è la
sicurezza nelle proprie capacità: grazie alle informazioni che estrapoliamo dai dati creiamo uno
scenario ideale in cui è presente una coerenza interna tra i vari elementi, inoltre tutto ciò che va contro
a questo scenario viene etichettato come una semplice anomalia.

13
Vedi Kahneman 2017, p. 279.
12
Il processo che abbiamo appena descritto se venisse applicato ad un broker che lavora per un
grande fondo di investimenti farebbe apparire le analisi di mercato come semplici scommesse senza
nessun fondamento, tuttavia tali fondi di investimento, come ci dimostra Kahneman, operano
ugualmente sul mercato in quanto sono affetti da due “illusioni”: l’illusione di abilità e l’illusione dei
guru.
La prima è descritta attraverso l’esperienza che lui, Amos Tversky e Richard Thaler hanno
avuto durante una consulenza per una società di Wall Street14, essi ebbero modo di esaminare il
rendimento annuo di tutti i manager dell’azienda nel corso degli anni ed ottennero che l’indice di
correlazione tra gli investimenti conclusi con successo era dello 0,001. Non c’era nessun segreto
dietro le scelte degli operatori finanziari, i risultati di ogni singolo operatore variavano moltissimo
durante gli anni e più un operatore dimostrava la volontà di “aggredire il mercato”, attraverso
investimenti rischiosi, più i suoi rendimenti erano instabili. Un barlume di abilità, invece, era possibile
scorgerlo in quei manager che non azzardavano eccessivamente e di conseguenza le classifiche erano
più stabili. Quando esposero i risultati ai dirigenti aziendali la loro reazione non fu di sorpresa, infatti
ritenevano che, a discapito delle analisi fornite, gli operatori stessero facendo un ottimo lavoro in
quanto erano professionisti qualificati. È necessario ricordare che il compenso di un manager è
determinato in base al suo rendimento aziendale, cioè in base al guadagno che riesce a fruttare
all’azienda, tale guadagno si ottiene solo attraverso grandi investimenti con grandi rischi: possiamo
concludere che ciò che viene premiato non è l’abilità degli operatori, ma il puro “caso”.
L’illusione dei guru riguarda invece il fatto che è difficile reprimere la tendenza a ritenere che
se un’idea ha funzionato in passato non può non funzionerà in futuro. Questa idea è innanzitutto
determinata a posteriori, inoltre la mente umana è sensibile al fatto di poter prevedere il futuro in
base all’esperienza passata. Chi dimostra di aver compiuto grandi imprese viene visto come un uomo
dalle innate capacità, invece per tale individuo è stato possibile compierle solo in determinate
circostanze; ancora una volta, le nostre illusioni sono basate sul puro “caso”.
Da queste esperienze è possibile notare che la forza motrice dell’economia sia l’ottimismo. I
dirigenti aziendali non hanno avuto una reazione esagerata alla notizia che i loro broker non avevano
nessuna abilità e che i loro investimenti erano solo una questione si fortuna. L’ottimismo crea nel
soggetto una propensione a sottovalutare le situazioni di rischio e le probabilità, inoltre non fa cedere
la determinazione davanti agli ostacoli e i fallimenti. Possiamo quindi dedurre che l’ottimismo deve
essere la qualità primaria di chi si appresta ad operare sul mercato in quanto più il guadagno è alto
più il rischio e l’incertezza aumentano. L’individuo che ottiene buoni risultati nel breve periodo non

14
Vedi Kahneman 2017, pp. 284-296.
13
solo riterrà di avere un’abilità particolari, ma riterrà sé stesso superiore alla media, quando, in realtà,
è solo modestamente bravo nelle cose che sa fare.
Sul mercato, tuttavia, ogni giorno aumenta e si rinnova il numero di persone che operano.
L’individuo che si trova sul mercato da molto più tempo non terrà conto della nuova concorrenza e
proprio questa noncuranza lo porterà al fallimento, infatti la presunta abilità cederà di fronte ad altri
individui che manifestano competenze simili o migliori; l’imprenditore che avrà guadagnato una
grande fortuna farà sperare in altrettanti investimenti proficui e questo aumenta l’illusione dell’essere
un “guru”.
L’ottimismo degli imprenditori e degli operatori conduce a fare investimenti proficui ma molto
rischiosi, in questo modo si avrà un rinnovamento non solo delle persone, ma anche degli investimenti
e della mole di denaro che circola: quando un individuo compie un investimento sbagliato il suo posto
verrà preso da un altro il quale riattiverà il ciclo esposto prima. Dal punto di vista del singolo questo
sistema non sempre porta vantaggi, mentre il mercato invece ne giova ad ogni riattivazione del ciclo.
Oltre ai bias e alle euristiche elencate precedentemente esistono altri bias, euristiche e fallacie
del ragionamento esaminate da Kahneman che in questa sede non è possibile affrontare per brevità
della trattazione. Egli insieme al collega e amico Amos Tversky, tramite queste scoperte, hanno
formulato una teoria della decisione che fa parte dell’approccio descrittivo, essa mira a fornire
un’indicazione sul miglior modo di agire nella presa di decisione e tale teoria si basa sulle nuove
scoperte in campo cognitivo.

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